[ funeral party ] gone but not forgotten

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    maple walsh
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    Non ci stava capendo niente, non ci avrebbe mai capito niente, si doveva semplicemente rassegnare. Tutto ciò che avvertiva era un dolore lancinante all’altezza della spalla sinistra, dovuto all’atterraggio poco delicato sul terreno, il resto erano parole, qualche grida, inveimenti a caso fra voci a lei sconosciute, l’espressione mutò appena solo all’udire quel “GRAZIE!” forse fin troppo esaltato della donzella che aveva appena salvato. Sì, perchè Maple Walsh aveva appena salvato qualcuno, roba da non crederci. La chioma dell’amica Jess le offuscava la visuale, altro non vedeva che quei ricci perfettamente definiti, colpevoli anche di solleticarle il naso, ma doveva alzarsi, e doveva farlo subito. Era un po’ come se non volesse, se ne sarebbe volentieri rimasta lì, ad imitare la carta del quattro di bastoni, sdraiata a pancia in su sul diligentemente tagliato prato del cimitero ad aspettare che qualcuno si rimboccasse le maniche e la piantasse di alimentare il sadismo di Vasilov, ponendo fine a quella che stava per sfociare in una tragedia, ma non poteva. Non poteva perchè quest’ultimo aveva ripreso la parola, accompagnato da quel suo tono acido e fastidiosamente divertito, colpa di chi? ma soprattutto, colpa per cosa?. Si lamentò fra sé e sé, lanciando un gemito al vento e liberando il corpo dell’amica dalla stretta delle proprie braccia, costringendosi a sollevarsi, appoggiando i palmi a terra e facendo leva con i bicipiti – se così possono esser chiamati -. Doveva aver sbattuto anche la testa, perché per un attimo tutto apparve nero e confuso, e le persone attorno a lei sembravano distorte, roteanti per un certo verso, disegnate come lo sono i personaggi di un quadro di Van Gogh, con pennellate impastate. ’Gran bella mossa’ ri ritrovò a pensare, massaggiandosi appena la nuca nel tentativo di alleviarne il dolore. Non sapeva neanche cosa le facesse più male, se la spalla o la zona della testa che aveva battutto, dove il 99% dei casi vedeva l’orogenesi di un imponente bernoccolo avvenire. E se qualche povero illuso – lei stessa, ad esempio – pensava che Maple fosse pronta per uscire di scena, tornarsene a casa ed affogare la propria faccia nella cheesecake agli Oreo preparatele da Bernardine, beh mi dispiace deludere le vostre aspettative. Evidentemente doveva essere stata lei, questa volta, a far andare su di giri il preside di Durmstrang, perché fortuna volle che l’incantesimo successivo era rivolto proprio alla sua persona. Un milione e mezzo di insulti e vocaboli poco idonei ad una personcina quale era le passarono per la mente, ma nessuna riuscì ad attraversare le corde vocali e divenire parola effettiva, raggiungendo l’aria aperta. Cercò la sua bacchetta, non trovandola – ovviamente, doveva esserle caduta mentre compiva il suo salto eroico e paragonabile a quello di uno scoiattolo volante -, avvertì le palpitazioni del suo cuore accelerare, sempre di più, del tipo che se non l’avesse uccisa l’incanto, probabilmente l’avrebbe fatto l’infarto. Pensò di aver visto la sua breve vita da scansafitiche passarle davanti: i pianti per le palline di gelato caduti in terra, gli incidenti con la scopa, le caccole mangiate per sbaglio – o così voleva far credere -, le volte che aveva mandato a fuoco la cucina, quando aveva rubato tutte le figurine delle cioccorane del fratello. Era arrivata a quando aveva accidentalmente rasato a zero l’allenatore della squadra di Quidditch alla Mahoutokoro, quando notò le figure di Connor ed Aidan piazzarsi proprio lì, fra lei e Vasilov. Se non fosse stato per loro sarebbe probabilmente finita nel mondo dei sogni per un po’, magari si sarebbe goduta quella posizione ‘a quattro di bastoni’ che aveva sognato poco prima, fra le braccia di un grasso e grosso Morfeo che l’avrebbe amabilmente cullata, vittima di un incanto che non pensava assolutamente di meritarsi. Per Merlino, aveva solo aiutato un’amica mica gli aveva sputato in faccia, a quel Vasilov. Lo doveva star guardando proprio storto, al drago, lo sentiva nei muscoli del volto, ora più tesi ed irrigiditi che mai. Non aveva proferito parola, non aveva ringraziato nè il fratello nè l’amico per l’averle letteralmente salvato il culo, si era semplicemente alzata, con gli occhi infuriati di chi è appena stato quasi schiantato. Chiunque la conoscesse ne sarebbe probabilmente stato sorpreso, l’anima pura e docile che liberava il suo lato feroce, quello perennemente in letargo, nascosto, colei che spendeva le sue giornate a raccogliere margherite per poi intrecciarle in graziose coroncine era adesso estremamente arrabiata, contrariata, pronta a munirsi di padella e sbatterla con violenza sul cranio di qualcuno, priva della sua usuale gentilezza. “Ma come si permette” disse a denti così stretti da avvertire male alla mandibola, mentre appoggiava la mano sulla spalla dolorante, convinta che, così facendo, potesse giovarne. Andò alla ricerca della propria bacchetta con lo sguardo, trovandola nelle vicinanze, proprio vicino ai piedi di Syria, un’altra concasata che doveva essersi da poco avvicinata al loro gruppetto. La raccolse con una rapidità che non pensava di possedere, accecata da un’ondata di rabbia che mai avrebbe pensato le appartenesse; e quel Vasilov ci aveva preso proprio in pieno con Maple, aveva risvegliato quel suo lato sommerso, nascosto, che di rado aveva occasione di uscire alla luce del Sole. Era furiosa, dannatamente ed ingenuamente furiosa. Ingenua perché non pensava a tutto quell’altro mondo, all’altra realtà che aveva portato quel caos ad essere generato. Si dimenticò dell’attentato, della commemorazione ai caduti, delle lacrime versate proprio prima; non pensò che – forse – avrebbe semplicemente dovuto mandare giù il rospo, lasciare ai grandi il compito sbrigare quella faccenda, prendendo le chiavi dalla tasca di Connor e tornarsene a casa con quanta più gente possibile. Ma no, testarda com’era, Maple Walsh non lo avrebbe ingoiato, quel rospo. ”Bombard-“ ed era così decisa, così determinata, a far esplodere quel tipo dal sorrisino così irritante, ma l’ennesimo colpo di scena arrivò a scombussolarle ogni sorta di piano. La ragazza dai capelli scuri le aveva impedito di terminare di pronunciare la formula, disarmandola in un battito di ciglia, come si fa con un bambino del primo anno. E come una bambina la sua rabbia si spostò rapidamente, dal drago alla concasata, più perché le aveva impedito di lanciare uno dei pochi incantesimi che le riuscisse che per altro. ”Ma Morgana crudele, tu, da che parte stai? le gridò contro, frustrata, lasciando che le parole uscissero dalle labbra prive di filtri. Il fatto era che non lo sapeva neppure lei, da che parte stava, non se lo era mai chiesta, non ne aveva mai avvertito il bisogno. Lei stava dalla sua di parte, dalla parte di suo fratello, dei suoi genitori, di Aidan, di Jess, dei suoi amici, al diavolo il resto. Ascoltava le parole della ragazza dai capelli castani, della quale le sfuggiva il nome, ma talmente la sua mente era offuscata dalla rabbia che queste entravano ed uscivano dal il canale uditivo senza passare per il cervello, senza aver il tempo di esser metabolizzate. Nel profondo ella sapeva quanto avesse ragione, sapeva che se avesse continuato ad agire di stomaco, piuttosto che di testa, probabilmente si sarebbe ritrovata a dover competere con una bella maledizione, eppure aveva un tremendo e fastidioso prurito alla punta delle dita. Imploravano un’esplosione, spingevano perché avvenisse qualcosa di grande ed eclatante, che nessuno si sarebbe aspettato provenire da un figurino esile quale era il suo. Assottigliò lo sguardo nella sua direzione, disarmata e ferita nell’orgoglio: non avrebbe fatto nulla, ma cavolo, quel bombarda sarebbe stato in grado di fare un gran bel buco nel terreno.
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    #maplepiromane
    Connor e Aidan la difendono, si infuria con Vasi e cerca di lanciargli un bombarda ma la stessa Ekate la disarma impedendole di farlo
     
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    La francese non era meglio del preside di Drumstrang, anzi. Mi stava altamente sulle scatole anche lei, era colpa sua se era cominciato quel casino, diamine. Ma al momento, la cosa che mi premeva di più, come a molti, era quello di non avere altre morti da piangere almeno per quel giorno, perchè in futuro, ce ne sarebbero state per forza di cose. E così, proprio per quella ragione, con Syria mi recai verso quel gruppetto che non conoscevo, ma forse poi non sarebbero più stati visi senza nome. Inoltre, Sy sembrava conoscere qualcuno di loro, e tanto mi bastava. Il mio incanto andò a buon fine, almeno questo, riuscii a disarmare quel cattivone e ci avvicinammo ancora di qualche passo, anche se qualcosa non andava.
    Vasilov riprese a parlare, purtroppo. Mi dava sempre un enorme fastidio, uno di quelli viscerali proprio, il suo comportamento, la sua voce. Tutto mi urtava il sistema nervoso, eppure in apparenza ero tranquillissima, anche se dovevamo valutare bene le nostre mosse Se attacchiamo uno dei suoi, qualcuno ci rimette.. non importa che genere di attacco.. dissi, a voce anche abbastanza bassa, tale che solo il gruppetto eventualmente, mi avrebbe potuta sentire. E fu proprio in base a quel pensiero, che decisi che avrei evitato gli attacchi, anche quelli meno "ovvi" vista la reazione che ha causato un semplice disarmo. Non era il caso di peggiorare la situazione. Avevo capito che ogni incanto offensivo provocava qualcosa, anche se rimaneva assai difficile limitarsi alla difesa stretta, quella che prevedeva l'uso di incanti come il Protego. Forse non sarebbe servito, forse si, tutto stava nel provare e sperare di aver avuto l'idea giusta.
    Nonostante ciò la ragazza venne aiutata da due tizi, era una confusione anche solo in quel nostro piccolo gruppo, non osavo immaginare nell'intera superficie dove eravamo. Appena notai che Maple, una delle ragazze appena state prese di mira, voleva attaccare, non ci pensai due volte, e puntai la bacchetta contro di lei, non certo per ferirla Expelliarmus enunciai. Forse sarebbe riuscita a evitare una strage, un minimo. Se fosse riuscita, avrei anche recuperato la bacchetta della ragazza. Ogni attacco provoca un nuovo bersaglio. Se te lo avessi lasciato attaccare avrebbe potuto mirare a qualcun altro, magari uccidendolo stavolta. E non ho intenzione di rischiare che scelga Sy per un tuo colpo di testa dissi quindi mantenendo il viso inespressivo Sto dalla parte di chi va protetto risposi quindi, riporgendole la bacchetta, col rischio che cambiasse bersaglio, ma ero stata torturata così tante volte che poteva pure accomodarsi, non sarebbe stato nulla dopotutto.
    20 Agosto 2001
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    In breve XD visto che ad attacco corrisponde attacco, si fa odiare da Maple cercando di disarmarla per evitare che attacchi u.u''
     
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    what the hell am i doing here? | 03.07.17

    È accaduta una cosa terribile
    Dopo due settimane a stretto contatto con la forma più virulenta di disagio che l'uomo fosse mai stato chiamato ad affrontare, Barrow sapeva che una frase del genere era da prendere con le pinze, in attesa di individuare il giusto contesto. Dopotutto, solo due giorni prima Stiles lo aveva chiamato in lacrime balbettando qualcosa riguardo a Xavier e come, a suo dire, il fremello gli avesse bruciato una delle maglie preferite - quella di Spider-Man, capisci??? Il corvonero capiva, ma fino ad un certo punto; come si era ritrovato a vivere in quel modo? Abbracci, carezze tra i capelli divenuti scuri e mossi, pizze con il suo nome - uno nuovo - scritto sopra la mozzarella grazie a rondelle di wurstel e cipolle; niente di quello che Andrew Stilinski e Murphy Skywalker gli donavano con tanta naturalezza, mettendoci anima e cuore spinti da una bontà intrinseca che Barry ancora non comprendeva pienamente, aveva mai fatto parte del suo mondo. Non sapeva che sapore avesse la parola famiglia sulla lingua, sussurrata a fior di labbra. Lui la odiava la sua; non era forse normale credere che dovesse essere così per tutti? la Montgomery ha finalmente capito che sei troppo strano per lei? chiese, poggiando mollemente la schiena contro il muro ruvido, la suola delle sneakers premute sulla sedia posta di fronte a lui. Sorrise, lì dove nessuno poteva vederlo, nascosto nella penombra dell'unico luogo che sapeva lo avrebbe sempre accolto, anche nel cuore della notte; sorrise, perché già pregustava il successivo ammonimento - Obi-wan Kebobi Skylinski! - seguito a ruota da un sermone da mamma preoccupata sul motivo per cui fosse sveglio a quell'ora (poco importava che l'avesse chiamato lui, eh!). E smise, le labbra di nuovo tese, tutti i sensi in allerta, un lieve pizzicore lungo le braccia, quando Stiles dall'altro capo del telefono fu costretto a schiarirsi la voce. Spezzata, come di fatto era il suo cuore, colpito dove faceva più male. Cos'è successo? Una mano passata fra i capelli biondissimi, il corvonero ascoltò in silenzio, i canini a tormentare il labbro inferiore pungolandolo senza sosta; non si sentì triste, o amareggiato, il sedicenne, nemmeno una lacrima a scivolare sulle guance pallide. Perché avrebbe dovuto? Nemmeno li conosceva, i Withpotatoes. Delilah Jackson e Neil Armostrong erano solo nomi privi di volti, ai quali il corvonero non sarebbe stato in grado di collegare alcun ricordo. Niente che potesse spiegare come quell'unica parola - Okay - decise di abbandonare le labbra appena socchiuse, quando Stiles parlò del funerale; quando un ragazzo di vent'anni che pretendeva di essere sua madre gli chiese di accompagnarlo. Era assurdo, privo di senso, alienante, epphre Barry lo disse comunque. Okay. Okay, ci vengo
    Era questo che significava, famiglia?

    3 luglio 2017, 18.20

    «Senti, obi-wan, che cazzo hai in testa?» Le avrebbe risposto con maggior veemenza, se solo si fosse trovato nei giusti panni. Quelli di Barrow Cooper, il cui rapporto con Sersha Kavinski si era dimostrato sin dall'inizio tormentato da un inguaribile bisogno di battibeccare quandunque ce ne fosse l'occasione, fosse essa di normale routine quotidiana o meno adatta a certi coloriti scambi di battute. Durante le lezioni, per esempio. O ad un funerale, perché no. Ma le iridi nocciola rivolte alla bionda raccontavano una storia diversa, un copione al quale Barry era intenzionato ad attenersi fino all'ultimo istante di quella farsa: Obi Skylinski si limitò a sollevare la mano destra, passando le dita tra i corti capelli castani avendo cura di lasciar spuntare solo il medio dalla massa disordinata, rivolgendolo alla serpeverde con grazia e pacatezza. . «Ma ti sei vista?» Lei contraccambió il gesto con uno simile, ma reso più plateale da un sorriso affilato, ed il sedicenne sentì chiaramente l'universo riallinearsi; gli per continuare a respirare sotto quella maschera indossata per necessità e inconfessabile desiderio: essere Obi, quando sapeva che sarebbe rimasto Barrow - un Cooper - per sempre. Bella fregatura.
    Abbassó lo sguardo sulle proprie scarpe, quando i parenti delle vittime salirono sul palco, evitando cosi di incrociare lacrime e sorrisi divenuti folli per la disperazione, ma fu costretto a rialzarlo quando la voce di Dragomir si elevó a sovrastare tutte le altre. Non aveva bisogno di urlare, il preside di Durmstrang, per mettere a tacere anche il più flebile brusio; pareva quasi essere fatto di ombre e polvere, sinuoso e sfuggevole ed impalpabile mentre il lento incedere lo portava tra le file di sedie scomode, e gli occhi di ghiaccio a lamoeggiare per un istante simili a tizzoni ardenti quando le dita premettero nella carne di un viso affilato che il corvonero conosceva ormai bene. Troppo e troppo in fretta, al punto che nemmeno ricordava come fossero diventati amici, lui e Cj Knowles; lui e i Freaks. Allungó la mano sinistra mosso da un istinto incontrollabile, stringendo con forza la gamba di Sersha più vicina a lui, quando la sedicenne si spinse in avanti per alzarsi ed intervenire; non che Barry provasse una qualche forma di piacere nell'osservare i primi rivoli di sangue colare lungo il collo del tassorosso, ma reagire in quel preciso momento - contro un preside con la nomea di Vasilov - sarebbe stato come dichiarare guerra.
    O suicidarsi, che non guasta mai. «dobbiamo trovare un modo per levarci dalle palle.» solo un sussurro, le iridi scure già alla ricerca dj coloro i quali sarebbero per forza di cose dovuti andare con lui; a costo di trascinarli, il corvonero avrebbe preso di peso Stiles e Murphy fino a portarli a distanza di sicurezza. Erano come bambini quei due, lasciarli da soli in mezzo a quello che evidentemente stava per trasformarsi in un casino voleva dire abbandonarli ad un infausto destino. Ma da quando te ne frega qualcosa, Barrow? Socchiuse le palpebre, senza sapere come rispondere a se stesso, ma odiando Cj ancora di più quando lo vide salire sul palco, il microfono in una mano e l'apparato che ad un funerale sarebbe stato opportuno tenere nei pantaloni nell'altra. «cosa cazzo..» Non pensava sarebbe avvenuto tutto così rapidamente; eppure avrebbe dovuto imparare, Barry, fare tesoro di una festa e delle sue donne corvo assatanate; non esiste situazione al mondo che non possa precipitare all'improvviso. E quel funerale, nello specifico, rischiava di diventare il loro. «SERSHA ASPETTA!» eh, ciauan: partita in quarta, la bionda si ritrovò sul palco prima ancora che le dita del ragazzino potessero sfiorarne la stoffa lisata della maglietta, e a quel punto seppe di non poter fare più nulla; ma anche stare con le mani in mano a cosa sarebbe servito?
    Cj stava morendo.
    Lì, proprio sotto i loro occhi, immerso ormai in una pozza del suo stesso sangue; il volto esanime ed emaciato comunque tirato in una smorfia furba che si sarebbe portato nella tomba, se qualcuno non avesse trovato una soluzione. Mise mano alla bacchetta, estraendola con cautela mentre una delle sedie (dell'ikea - cit.) lo riparava alla bell'e meglio dagli attacchi volanti, incanti lanciati con spirito di rabbia e vendetta a colpire soprattutto ragazzini. «che teste di cazzo» perché diciamocelo, nel dubbio Barrow odiava tutti i presidi, cosi presi dai loro interessi - ideologici, politici o di sopravvivenza, cambiava poco - da non rendersi conto che a morire sarebbero stati solo degli innocenti; o se ne rendevano conto eccome, ed era quello il vero problema. «ma ci servono donatori purosangue! Devono essere intaccabili dal veleno» Poteva trovarsi al Circus, a quell'ora. Stravaccato su uno dei divanetti, la chitarra poggiata in grembo e una pillola sotto la lingua, lontano da tutto e da tutti. Al riparo da lacrime e sofferenza, ricordi d'infanzia, accuse e tradimenti. Distante come era sempre stato, e come ora non riusciva più ad essere. Lo avevano rovinato, ecco la verità. Strinse gli occhi e i pugni, il destro attorno alla bacchetta salda e bollente sotto i polpastrelli, le gambe a spingere verso l'alto per rimettersi in piedi; gli veniva data l'occasione per fare qualcosa di utilile e, invece di voltare le spalle nell'unico modo cui era stato abitiato a fare, Obi-wan la colse. Fanculo.
    «Protego!» lanciò l'incantesimo di protezione senza pensarci due volte, il braccio teso e la punta della bacchetta rivolta alle spalle di Sersha, ancora così presa ad accertarsi che Cj respirasse ancora da non notare uno degli uomini di Vasy puntare il proprio catalizzatore con l'intento di colpirla. Si fece di corsa gli scalini che lo saperavano dal palco, le ginocchia a cedere contro la superficie in legno del pavimento, lo sguardo cauto a passare dal Knowles alla professoressa Winston: non si fidava di lei al punto da rivelarle la sua vera identità, ma abbastanza da credere sapesse cosa stava per fare. «poi non dire che non ti regalo mai niente, ingrato bastardo.» riuscí persino a rivolgere un sorriso al freaks steso proprio di fronte a lui, quando questi tentò di muovere la mano destra sollevando solo il dito medio, rimasto però piegato a metà. Ne valeva la pena? Barry sollevò la testa, iridi nocciola che non gli appartenevano davvero a sfiorare i volti di quelli pronti a sacrificarsi, altri pronti a donare una parte di sé; altri ancora così presi dal dolore da rimanere pietrificati, ormai vuoti.
    Sì, certo che ne valeva la pena.

    | ms.


    difesa combo con akelei: lancia un protego per difendere SERSHA

    si offre come donatore di sangue per cj ♡
     
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    i will either find a way or make one || 03.07.17 - 18:00
    Sharyn Winston non era nuova alla morte, l'aveva accarezzata un paio di anni prima con gli occhi, lei stessa aveva dovuto impartire quella sorte per sopravvivere. Sopravvivere e sterminare, però, erano concetti diversi fra loro, anche se a volte uno non escludeva l'altro. Non credeva fosse quello il caso, non c'era un bisogno di sopravvivere dietro all'attentato di Parigi, era stato l'ennesimo gesto di follia di qualcuno, una sconosciuto che pensava di giocare a Dio. E lei si era stancata di quella merda, del continuo bisogno di spargere sangue per risolvere le cose, non era mai stata una fan della violenza ingiustificata e soprattutto non quando ci andava di mezzo i suoi amici. Non conosceva Deliljah o Neil, prima di quel momento, di quando avevano annunciato i decessi al telegiornale, non aveva neanche saputo nella loro esistenza - la loro morte non l'aveva toccata, non quanto apprendere di quella di April e Nathan Withpoatoes.
    Loro li conosceva, troppo per portarsi istintivamente la mano alla bocca, gli occhi a spalancarsi davanti a uno schermo che si nutriva delle disgrazie altrui, non ci aveva creduto davvero. Avevano ricevuto informazioni sbagliate, chiaramente, in mezzo al caos generale sarebbe stato con troppo facile. «Hai...sentito?» poteva sentire la sua esitazione attraverso lo schermo, il respiro pesante di qualcuno che stava per andare a pezzi, non ci volle una conferma da parte del biondo per capire che sì, aveva sentito anche lui. «Sono morti.» e in quelle parole c'era una finalità che non aveva mai percepito fino a quel momento, Isaac era convinto di quel che stava dicendo, non si stava aggrappando a quel filo di speranza come lei, forse non ne aveva mai avuto bisogno «come fai a saperlo? Possono essersi sbagliati» una scusa debole, la sua, ma non era ancora pronta a lasciar andare quell'idea. Erano stati degli amici, April e Nathan Withpotatoes, non semplici fotografie sullo schermo, persone con le quali aveva speso gli ultimi due anni, con cui aveva riso e scherzato. «L'ha detto Idem, li ha visti» ci mise qualche momento a fare due più due, all'inizio non afferrò come la Withpotatoes potesse averlo visti, quando loro erano in Francia, poi, tutto cliccò al suo posto: Idem era una medium, e di solito comunicavano con i morti. Quindi April e Nathan. «Dimmi che stai scherzando» un sussurro, il suo, la mano che andava ad asciugare la prima, molesta lacrima. Sharyn Winston non era nuova alla morte, l'aveva accarezzata un paio di anni prima con gli occhi, lei stessa aveva dovuto impartire quella sorte per sopravvivere. Poteva non esserci nuova, ma faceva sempre male come la prima, schifosa volta. «Mi piacerebbe» a tutti sarebbe piaciuto, quelle forme, le immagino che stavano scorrendo davanti alla bionda, figlie di un sogno, di un' allucinazione.
    Eppure era quella la realtà in cui vivevano.
    Fino a quel momento Sharyn aveva partecipato a pochi funerali, e mai di quella portata. Non si trattava di suo zia Geltrude, vista una o due volte quando era andata in vacanza a Dover, ma di un evento che coinvolgeva tutto il mondo magico - Gesù, ci sarebbe stata persino Damina! La ragazza osservò i volti tra la folla, alcuni ancora rigati dalle lacrime, altri con un' espressione confusa (quello erano gli studenti, i quali probabilmente non avevamo idea del perché si trovassero lì) domandandosi quanto impatto avessero avuto quelle morti, se sarebbe cambiato qualcosa nel modo in cui le persone vedevano il mondo o sarebbero rimaste le solite creature di merda, lei era per la seconda opzione, conoscendole. Voltò il viso verso Isaac, rivolgendogli un sorriso triste, intrecciando le dita con le sue io ci sono, se ne hai bisogno - ci sarebbe stata sempre, non importava quanto le cose sarebbero peggiorate. «Ingiusto. È così ingiusto che non ci siano più. Perché?» alzò gli occhi sulla Withpotatoes e insieme alle sue parole sentì un nodo andarsi a formare in gola, il petto farsi più pesante con ogni parole - non era così facile come aveva sperato, non lo era mai. Perché ad altri era stato concesso vivere e ad April, Nathan, Delilah e Neil no? Death doesn't discriminate between the sinners and the saints.
    Poi Elisa deve tagliare perché se no non posta più Akelei. Un applauso a levarsi tra la folla, il passo lento e calcolato di un predatore a farsi largo nel silenzio tombale che era calato. Non lo conosceva personalmente, Dragomir Vasilov, di lui sapeva solo che era il preside di Durmstrang - si vociferava mangiasse i cervelli dei ribelli, ma questo non poteva saperlo. Aveva il diritto di essere lì quanto lei, quanto ognuno di loro, solo non capiva le sue manie di grandezza, doveva per forza...alzarsi? Sharyn, anima pura qual era, non aveva ancora percepito la tensione nell'aria, gli sguardi nervosi che la gente si scambiava. Le parole che seguirono la costrinsero a sollevare le sopracciglia bionde, una certa sorpresa a farsi largo nel suo viso - ma era serio? Non era tutto una specie di scherzo, vero? La Winston sentì il sangue incominciare a ribollire sotto pelle, dovette stringere la mano di Isaac per impedirsi di alzarsi in piedi e dirgli che a nessuno fregava di lui, che quella era una cerimonia per i morti, non un rally presidenziale dove insultare la gente. Da lì, la situazione incominciò a peggiorare. Tra le file di sedie si fecero largo la preside di Beauxbatons e quello di Salem, così, perché se ognuno non diceva la sua non erano contenti, un po' come dei bambini di cinque anni.
    Non fu tanto dopo che gli incanti incominciarono a volare a caso, quegli adulti convinti che la cosa più giusta fosse sfogarsi su persone che non c'entravano nulla - era la loro guerra personale, non quella dell'Inghilterra. Fino a quel momento rimase in panchina, indecisa sul da farsi: non aveva idea da che parte schierarsi o come essere utile alla situazione, la cosa più intelligente da fare era lasciare il passaggio libero (?). Fino a quel momento non avevano toccato la famiglia, e madonnaemanuele come avevano osato, come avevano osato attaccare Byron? Scattò in piedi, ignorando il braccio di Isaac che tentava di rimetterla a sedere, di non farle fare cazzate - ma Sharyn era già partita in quarta, non dava più retta a nessuno. Puntò la bacchetta contro una persona mai vista, un volto che per lei non significava niente, se non l'ennesimo sconosciuto diventato nemico «protego!» un fascio di luce scaturì dalla bacchetta della pavor, uno scudo che si sarebbe parato davanti al Winston, evitando che si facesse male (?). Salì in fretta gli scalini che portavano al palco, cercando con gli occhi la cugina, anche lei con la stessa idea in mente: forse Sharyn sarebbe potuta essere utile, poteva sempre donare il sangue e sperare funzionasse. E poi sarebbe tutto finito, o così sperava.



    | ms.


    Difende Byron (combo con Maeve) e dona il sangue per CJ
     
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    Here's the pride before the fall - Cause I was always such a runaway Trying to cheat my way right through the game
    i will either find a way or make one || 03.07.17 - 18:00
    Akelei Beaumont aveva realizzato diverse cose nell'ultimo mese. Primo, Cole Baudelaire era un bastardo, oltre a non essere morto per davvero (quindi, non averle lasciato l'eredità), le aveva anche smollato una panetteria ed era partito per un viaggio con biglietto di sola andata per Fanculonia. Secondo, Leroy-Merlin poteva o meno essere suo fratellastro - lei sperava in quel meno. E terzo, la sua vita stava piano piano diventando più monotona, gli svaghi di una volta rimpiazzati da sere passate a farsi fare la pedicure da Archibald una filippina qualunque (quindi Archibald). Che fosse quella la sensazione schiacciante provata da Cole mesi prima, l'infida voce della cocaina a sussurrargli che stava sprecando tempo? Stavano diventando vecchi, eppure decidevano di farsi scivolare le giornate addosso come se non gli importasse, come se non ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato a vivere come la plebe. Non se ne era resa conto, Akelei, finché Cole non le aveva aperto gli occhi - o era stata la baguette alla cocaina. Negli ultimi mesi si era accontentata di cambiare pannolini e sbattersi qualche biondo qualunque, far pulire la vetrina della B&B finché non avesse scintillato e versare latte e vodka in gola a Eugéne (non il tuo, Freme.) finché non fosse crollato, la sua realtà si stava trasformando inesorabilmente in quello che un paio di anni prima sarebbe stato un incubo. Non era così che doveva andare, sapeva di non essere tagliata per quelle cazzate e che quella casa la stava lentamente soffocando; doveva andarsene, ed era quello che avrebbe fatto, solo che sarebbe stato in grande stile. La Beaumont si appoggiò al muro dietro di lei, braccia conserte e sguardo fisso su un Archibald occupato a pulire il pavimento, ancora si chiedeva cosa l'avesse spinto ad accasarsi il peso di quella panetteria, se fosse stato il francese che gli insegnata a suscitare un amore per le baguette o fosse semplicemente scemo «domani ti porto a comprare uno yacht» lasciò fluire le parole lentamente, così che il ragazzo potesse digerirle, di solito la plebe non era abituata a quel tipo di attività, ancora rischiava di fargli venire un infarto «cosa?» quasi lasciò scivolare la scopa dalle mani, afferrandola prima che però potesse sfuggirgli, Akelei era certa che, se Archi avesse spalancato la bocca un po' di più, qualcosa di più grande di una mosca ci sarebbe potuta entrare «pensavo che le seghe facessero male alla vista, non all'udito» così, perché osservare Merlin mentre tentava di difendersi era sempre un'attività divertente, spoiler: non la convinceva mai «ho deciso di liberarmi di voi per un po', penso che la prima tappa sarà il gala di DiCaprio a Saint-Tropez» così, lo disse con una nonchalance che a qualsiasi altro avrebbe fatto venire voglia di prenderla a mazzate. Per i Beaumont, il gala annuale dell'attore non era altro che un'evento come un altro, uno dei migliaia di McDonalds a cui avrebbero potuto scegliere di mangiare, sospettava fosse quello l'effetto che l'essere ricchi faceva. «Se vengo a compre lo yacht, poi mi ci porti?» la bionda inarcò le sottili sopracciglia, un'ombra di sorpresa a passare sul viso prima di essere rimpiazzata dalla solita apatia «riprova a chiedermelo quando sarò strafatta, magari ti dirò di sì» perché per due fottuti mesi voleva far finta che lei non fosse Akelei Beaumont, che quella non fosse la sua realtà, tutto quello di cui aveva bisogno era un novità, la promessa che nulla sarebbe stato come in Inghilterra: ogni giorno una nuova incognita, mille possibilità davanti a lei. Poi, quando ne avrebbe avuto voglia, sarebbe tornata. Una persona differente in una casa senza vita, memorie ancora non scritte su pareti spoglie, solo a quel punto avrebbe potuto dire di essere tornata a respirare, e che Cole gliela poteva sucare - in senso figurato.
    Si distrasse un' attimo, un solo attimo!, giusto il tempo necessario a permettere a qualcuno che avrebbe preferito non vedere di invadere la sua panetteria. Assottigliò lo sguardo in direzione dei due uomini, desiderando di poter alzare la bacchetta e farli scomparire dalla sua vista, non era sicura di poter sopportare le loro cazzate quel giorno - bastava già un Archibald di turno, ora ne aveva tre tra i piedi. Staccò la schiena dal muro, i tacchi a rimbombare tra quelle quattro pareti mentre Akelei si avvicinava ai bambini, almeno non gli avrebbe parlato dall'altra parte della stanza «il Toys Center è dall'altra parte della strada» schioccò la lingua sui denti lasciando che il tono ruvido facesse loro da benvenuto, gli occhi a scivolare casualmente sul viso del Barrow, incapace di tener fuori le immagini della notte precedente, piccoli frammenti a riprodursi davanti a lei. Tossì una volta, due volte, improvvisamente conscia dei segni violacei a costellare la pelle, sperava almeno che Eugene e Archibald non sapessero della loro tresca - si era abbassata a un tale livello da farsi pena da sola, non aveva bisogno della compassione degli altri. «Meh, magari dopo. Siamo venuti a prenderci Arci» guardò confusa gli ex serpeverde, Leroy-Merlin non le aveva detto niente, sperava per lui che non intendesse in quel momento, in mezzo al suo turno. Alla Beaumont erano già iniziate a salire le tendenze omicide quella mattina, Arci non voleva davvero essere nel mirino. «Sta lavorando, puoi infilar-» «OH, EUGE» ma guarda te come l'aveva interrotta quello stronzino di un Baudelaire, lui e i suoi interventi degni di una scimmia «glielo facciamo fare a lei?» la bionda inarcò un sopracciglio, la bocca a piegarsi in una smorfia mentre attorno a lei i bambini stavano discutendo «Dieu, cosa volete?» eh se ogni tanto non le prendevano, non erano felici. Incominciarono a delirare, Eugene da una parte a spiegarle cosa fosse un Lucky Strike, Archibald a pregarla con le mani giunte e William a convincerla a prendere in braccio il Jackson. «<cristo, va bene. Poi vi voglio fuori di qui» sapeva che non se ne sarebbero andati finché non avrebbero ottenuto quello che volevano, i dannati bastardi. Quel che avvenne dopo fece quasi desiderare alla Beaumont di aver tagliato la gola a tutti e tre quando ne aveva avuto l'occasione, e a lei di avergli dato ascolto: la loro era una scommessa che avevano fatto con Spaco, William avrebbe dovuto lanciare Eugene nelle braccia di qualcuno mentre Archibald filmava il tutto. Il perché avessero scelto lei come vittima, le rimaneva oscuro.
    «Pronti, eh» si mossero tutti nelle posizioni concordate, mentre Merlin faceva partire il video. Akelei sfiorò con la punta delle dita la bacchetta portata sul fianco, lo sguardo ad agganciarsi con quello del Barrow nel momento in cui iniziò il conto alla rovescia «uno, due, TRE» e fu così che un' enorme vacca venne lanciata in aria, lo sguardo perso nel vuoto e le braccia protese in avanti, pronte ad agganciarmi al collo della bionda.
    Ma non oggi.
    La Beaumont estrasse rapida dalla tasca la bacchetta, un fascio di luce a partire dalla punta mentre le labbra si muovevano a formare parole incomprensibili. Si chinò a guadare quello che adesso si era trasformato in mini!euge, una patetica vocina a chiedere aiuto dal pavimento. Aw, assomigliava quasi a Peter Dinklage.
    «Bye, sluts» se avesse avuto una giacca con sé l'avrebbe portata in spalla e avrebbe sfilato verso l'uscita, in quel caso dovette accontentarsi della dignità del Jackson.

    Si sistemò una piega invisibile sul vestito, era la decima volta da quando si era seduta che cercava qualcosa da fare, tutto pur di non dover guardare i visi rigati di lacrime, o l'atmosfera generale a farle desiderare di non essere mai venuta. Non aveva mai capito quale fosse lo scopo dei funerali, se non piangere ancora e ancora, rispolverare un dolore che si tentava di mettere a tacere. Era pura tortura, insomma. L'unico motivo che l'aveva spinta a infilarsi in un abito nero erano le apparenze, sempre le apparenze per i Beaumont, poiché due delle vittime appartenevano a una famiglia purosangue e ormai si sapeva che i puri dovevano fare casta tra di loro. Akelei si aspettava una cerimonia noiosa, piena di belle parole e sorridi vuoti, memorie a cui nessuno fregava e lacrimucce sprecate, dove avrebbe cercato solo il/la prossimo/a giovane da limonarsi da qualche parte.
    E poi, signore e signori, era accaduto quello che pensava non fosse possibile - quella persona da paccare hard si era tramutata in madonna vasy quanto mi fai bagnare. Non credeva che molti lo sapessero, ma Akelei aveva avuto una sorta di fase dove aveva avuto una cotta per il preside di Durmstrang, e tutt'oggi non poteva dirsi indifferente al fascino che l'uomo emanava. Un giorno sarebbe riuscita ad averlo nel proprio letto, ne era certa. Quindi diciamo che mentre la metà dei presenti era salita sul palco per esprimere la loro (inutile e patetica) opinione, qualche ragazzino stava morendo nel proprio sangue e tutti sembrano incazzati l'uno con l'altro, la Beaumont stava facendo pensieri poco casti sull'uomo. A ognuno i propri passatempi, insomma.
    Poi uno schifoso ragazzino l'aveva urtata, facendole perdere la concentrazione e riportandola alla realtà. Meh, non capiva molto di quel che stava succedendo da dove si trovava, le voci si mescolavano una sopra l'altra e gli attacchi sembravano intersecarsi, obbiettivi che cambiavano continuamente e una certa tensione sessuale a crescere. Akelei sapeva che se non sarebbe salita sul palco in quel momento qualcosa di sbagliato sarebbe accaduto, una sorta di sesto senso che le aveva stretto il petto; la donna non poteva sapere che, in quello stesso momento, Sersha Kavinsky stava per essere puntata da uno bei galoppini di Vasilov. Si materializzò sul palco, giusto perché correre per tutta quella strada coi i tacchi era decisamente da poveri, guardandosi intorno e cercano di capire da dove provenisse quella sensazione. Cristo, stava per morire? Senza che ci facesse caso, il suo sguardo cadde su uno dei soldati di Dragomir, la bacchetta puntata su una ragazzina che gli dava le spalle. «Figlio di puttana» un sibilo a uscire dalle labbra scarlatte, la mano a stringere il legno si alzò prima che potesse rendersene contro, l'istinto innaturale di proteggere a farla scattare verso la bionda - non si attaccavano i bambini, Cristo! Doveva essere per quello che si sentiva così oltraggiata, giusto perché non riusciva a dare un nome a quell'emozione. Akelei Beaumont non provava emozioni, non sapeva neanche cosa fossero. «Sectumsempra!» una parola, il movimento rapido di un polso fine, e l'uomo era per terra. Si avvicinò alla ragazza, occhi che passavano da un corpo che si stava lentamente dissanguando, che stava lottando inutilmente per sopravvivere agli occhi ambra della bionda «finiscilo te, ti spetta» lo sguardo di Akelei a soffermarsi per qualche secondo su Sersha, incapace di staccarlo, di scacciare quella sensazione di déjà vu. Un cenno del capo, e la Beaumont l'aveva superata, dita a battere ritmicamente contro la bacchetta, il battito di una vita ancora da strappare.
    | ms.


    Combo difesa con Barry per Sersha
     
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  6. call me lancaster!
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    Draw a monster. Why is it a monster? || 03.07.17 - 19:30
    La spalla poggiata allo stipite della porta, le braccia incrociate sul petto. Lanciava occhiate al corridoio, l'uomo, e riportava meccanicamente l'attenzione all'interno del sontuoso ufficio panna ed oro - le sopracciglia arcuate, le labbra una linea sottile indice di quanto poco si curasse dell'intera situazione. Seccato, nel battere pesanti le palpebre su un paio d'occhi scuri ed annoiati: non voleva essere lì, lui.
    Ma non si poteva ignorare la chiamata del Drago.
    «l'hai trovato?» domandó, masticando languido le parole. L'uomo non rispose - non lo faceva mai - ma lo superò all'esterno della stanza, un fascicolo stretto meccanicamente al petto, e lo sguardo vuoto a studiare un punto indefinito di fronte a sé.
    Che tipo.
    Si umettò le labbra, le dita ora incrociate dietro la nuca; con una scrollata di spalle si limitò a seguirlo, una sigaretta stretta fra i denti. Quando una mano si strinse alla sua caviglia, si fermò a metà passo. Inspirò, chinò lentamente, ma con intenzione, il capo: «ce n'è uno -» prima ancora che potesse concludere la frase, il collega giunse rapido - la bacchetta spianata, un secco ed indolore raggio verde a colpire il superstite al petto.
    Le dita divennero morbide, sopra la sua caviglia. - ancora vivo. Scavalcò l'ennesimo cadavere, l'uomo.
    Si guardò alle spalle, gli occhi a scivolare sulle casacche cobalto ormai esanimi al suolo, chiazze di sangue a rendere l'oro rame.
    Quasi poetico.
    «fai strada,» sbuffò ironico, alle spalle già voltate dell'altro. Il cane da guardia del Drago, ed un fedele Padrone - cosa non si faceva, per comprarsi un maledetto sputo di libertà. Gli inglesi non si rendevano conto di quanto la loro politica fosse pulita e liberale: se crescevi a pane e Durmstrang, il mondo, lo vedevi in modo diverso. Lo vivevi, in modo diverso.
    Un sibilo fra i denti, l'odio strascicato fra lingua e palato - che a lui, prendere ordini, non era mai piaciuto. «il Drago ci aspetta.» un sorriso ironico, la sigaretta a bruciare in bocca.
    Vasilov gli aveva promesso libertà, in cambio di quel lavoro - ed essere pagato per una verità scomoda, era sempre stato il suo sogno.
    Così sorrise, lui. L'altro, immobile, non rispose: teneva il capo chino come chi fosse stato abusato troppo a lungo, le spalle curve sulle mani abbracciate al petto. Se avesse avuto un cuore, gli avrebbe fatto fin tenerezza, con quegli occhialetti neri e lo sguardo vacuo.
    Si domandò cosa gli avesse fatto Vasilov. Si rispose che probabilmente, non voleva davvero saperlo.
    Un attimo prima, erano fuori dalla scuola francese; quello dopo -

    «lo sapevo!» che non era del tutto vero, ma neanche una menzogna. William Lancaster sorrise - sincero, aperto - chinandosi al fianco di CJ Knowles, gli occhi socchiusi di lui a squadrarlo con malcelato scetticismo. Ruotò gli occhi su Maeve Winston, un'orgogliosa pacca sulla spalla; strinse l'altra mano sulla schiena di Amalie, inspirando fra i denti. «affari di famiglia.» commentó solamente, ridendo di sé - e con sé. «incredibile» sussurrò allora, le dita a posarsi ora impercettibilmente sulla guancia ora rosea del Tassorosso: un commento sentito, onesto quanto il sorriso gioviale. Un commento che nulla aveva a che vedere con la riuscita dell'incanto e con il salvataggio del ragazzino, e tutto con la mente geniale e malata di Dragomir Vasilov: un bene che il preside di Durmstrang fosse troppo accecato dalla sete di potere e dai propri pregiudizi, altrimenti, Lancaster non aveva dubbi, quel mondo sarebbe già stato suo.
    Lo ammirava, William.
    Come ammirava Jeanine Lafayette, d'altro canto.
    «c'è ancora macho man, là» indicò Fox, sollevando la mano per salutarlo allegramente; prima che qualcuno potesse accorgersene, estrasse la bacchetta e donò anche parte del proprio sangue, al Non Morto Tassorosso a terra - come avrebbe fatto, in seguito, anche con il Withpotatoes: «perchè?» gli occhi di CJ ora attenti, i muscoli tesi. Si limitò a ridere silenzioso, Lancaster, la mano a compiere un vago cenno nell'aria.
    Non disse che ne avrebbe avuto bisogno.
    Non disse che, dietro il sorriso gaio, v'era sempre un sottile senso di colpa - lo osservò solamente migliorare sotto i suoi occhi, giovando ora del sangue Puro e Magico che solamente un Lancaster, poteva possedere.

    Aveva dato loro fin troppe possibilità, Vasilov. Non stavano sfidando solamente la sua labile pazienza, ma anche la sua intelligenza ed il suo onore. Osservò apatico la battaglia imperversare attorno a sé, un sorriso sardonico e vuoto a curvare la bocca: «complimenti, jeanine -» sinceri. «hai firmato la loro condanna a morte» gli occhi velati da una patina di subdolo, meschino, crudele orgoglio: la nuda, ostentata, verità, a farsi strada dalle labbra turgide del preside di Durmstrang. «sarebbe patetico fingere, ormai: ammettilo. siamo uguali, io e te» Ed uguali, lo erano davvero.
    Lanciò uno sguardo al palco, laddove parevano aver compreso quale fosse la cura per il suo veleno: non aveva fatto che un favore, al Knowles ed al Withpotatoes, lasciando che per poco provassero l'ebbrezza sangue puro nelle proprie sporche vene. Non era stata una reale sfida, la sua - gli era parso alquanto ovvio, dato il teatrino precedente, in cosa consistesse la malattia: il corpo, con la sostanza presente sulla lama, rigettava il sangue impuro come avrebbe fatto con un organo non compatibile.
    Pulizia etnica.
    Il sorriso non vacillò sulla bocca del nordico: si era trattata di pura distrazione - anche se, ahimè, gli avrebbe fatto piacere se il ragazzino fosse morto -, di un semplice insegnamento. Della possibilità, ancora una volta, di schierarsi dalla sua parte.
    Erano davvero, degli idioti.
    Non avrebbe rimpianto nulla.

    «vasilov.» non ebbe bisogno di alzare la voce, per far sì che la folla si voltasse nella sua direzione. Perché avrebbe dovuto?
    Tutti lo conoscevano. Un sorriso lento, di mera circostanza e vanità, piegò le labbra del giovane uomo. Non domandò se fosse loro mancato - certo, che l'aveva fatto. E non poté nascondere, il figliol prodigo, l'irritazione nel notare che molti degli sguardi non si stavano concentrando su di lui, ma bensì sul collega che, con uno spesso fascicolo crema al petto, stava tagliando la folla per giungere nei pressi del suo Vero Padrone.
    Non c'era più rispetto.
    Attese che gli incantesimi cessassero, e che un corridoio di carne e sangue s'aprisse di fronte a lui - finse fosse un tappeto rosso di benvenuto, i piedi a calpestare eleganti e quieti l'erba fine dell'aetas. Un silenzio denso cadde sulla radura, mentre gli occhi si incrociavano alla ricerca di risposte - e tutti tacevano, armi spianate e respiro nel petto.
    Che la situazione non poteva peggiorare, sembravano voler credere.
    Se avessero conosciuto Liam Callaway, avrebbero saputo che quando entrava in partita, il gioco peggiorava sempre. L'altro si avvicinò a Vasilov, già tronfio di sorrisi e placida tempesta.
    Più di un sospiro serrato dalle labbra chiuse.
    Liam incrociò le dita dietro la nuca, raggiungendo i presidi - un rispettoso cenno con il capo alle prime file, gli occhi a posarsi sul vice ministro e la sua consorte.
    «condoglianze.» sincero, ma asciutto. Dei morti, se n'era sempre sbattuto ben poco: erano i vivi, quelli per il quale provava un vago sentore di dispiacere.
    Sempre posato, Liam - elegante, marmo d'altri tempi.
    «cosa significa, vasilov?» intervenne la Lafayette, schiena dritta e sguardo duro. L'irlandese la osservò senza battere ciglio. Vasilov rise, ma non fu un suono piacevole per nessuno - strisciava sotto pelle come fiele, Dragomir. L'aveva sempre fatto.
    Il preside fece un cenno con il capo all'uomo; Liam, che di quell'altro poco si fidava, sollevò gli occhi al cielo e lo seguì sul palco.
    Lui porgeva il fascicolo ad un improvvisamente aspro Lancaster; Liam, l'ombra di un sorriso negli occhi neri, guardava altro.
    Qualcun, altro.
    Non venne dal palco, però, la domanda: tutti guardavano, nessuno parlava. Giunse dal basso - un sussurro a risuonarne cento: «harry?» ma Harrison Palmer, ad Heidrun Crane, non rispose.


    Lancaster trattenne il respiro, le dita a chiudersi sul fascicolo. Serrò le labbra, e fece languire lo sguardo fra il defunto capo dei cacciatori, ed il preside di Durmstrang.
    Non avrebbe dovuto essere possibile.
    Harrison Palmer era morto, durante la missione di Novembre, e nessuno l'aveva portato in vita. Non aveva partecipato al rito come gli altri; il Drago non avrebbe dovuto conoscere l'incantesimo.
    Ed evidentemente, qualcosa era andato storto.
    «mio dio.» si lasciò sfuggire, sotto voce.
    Un nuovo livello di tortura - qualcosa di disumano, perfino per Vasilov.
    «c'è posta per te» gli fece notare, beffardo, il giovane al fianco di Palmer. Lancaster si morse il labbro superiore.
    Scosse il capo, risoluto.
    «non è un mio problema.» osservò, cauto.
    «oh, william... io credo di si.» Vasilov brillava di luce propria - lo stomaco di Lancaster si strinse. Vasilov abbandonò la sua posizione sulla Lafayette per giungere al centro della radura, le mani al petto e lo sguardo fin troppo intelligente.
    «vi avevo avvisati, e non avete voluto ascoltarmi.» un passo. Qualcuno si mosse alle sue spalle, ma il Drago non si sprecò a guardarlo. «vi avevo avvertito che vi sareste accorti del vostro terribile errore, troppo tardi» strinse le mani sul bastone. «sono stato troppo buono e paziente, con voi.»
    «dragomir.»
    «avremmo potuto essere alleati, eppure avete deciso e di schierarvi contro di me -»
    «vasilov.»
    «- tic tac, tempo scaduto» un sorriso.
    «cosa c'è in quella busta?» una risata muta.
    Vasilov scosse il capo.
    «prove, jeanine»
    L'esercito inglese si fece avanti.
    Ed ingrandì le file di Durmstrang.
    Che lui, infiltrati, li aveva sempre avuti - ovunque. Era stato molto, molto magnanimo nel dar loro la volontaria possibilità di unirsi a lui.
    Non l'avevano colta.
    «colpevole.» fu il sussurro dal palco, gli occhi incollati a Jeanine Lafayette.
    «oltraggioso. patetico» lo era davvero? Si strinse piano nelle spalle.
    «volete giustizia? Prendetevela.»
    I primi incanti cominciarono a volare.
    Crudeli. Spietati.
    E senza più distinzioni, fra francesi e britannici.
    «ma ora, la voglio anche io.»
    E guerra, la fu davvero.
    | ms.


    Okay, allora.
    Chi non sapesse le vicessitudini della quest 07, può tranquillamente fare il molesto in chat, noi siamo sempre ben felici di ciarlarne mlml.
    Detto questo, la situazione si fa ancora più greve; vigono le regole precedenti (difese entro le 48h, combo possibili sia in difesa che in attacco).
    Ora, di nuovo, potete scegliere.
    Da che parte starete?

    ATTACCHI ESTRATTI RANDOM:
    L'esercito di Vasilov si arma, nuovamente, contro di voi:
    PATRICK - Petrificus Totalus
    AMALIE - Incendio
    MAEVE - Soffuco
    FOX - Sectumsempra
    CORA - Exulcero
    AIDAN - Tribumortem
    HELIANTA - Angustis
    MAPLE - Balsamum
    EUGE - Glacius
    LEROY - povertà Stupeficium

    La Francia ribatte agli attacchi ricevuti, ormai senza preoccuparsi di essere cauti:
    BJ - Acquarium
    RUN - Bombarda
    CECE - Luctus
     
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    Si era allontanato dieci minuti. Dieci minuti, contati eh – male, ma contati. Andrew Stiles Stilinski non aveva più la prostata di una volta, e tutte le red bull ingurgitate durante la giornata, avevano assai provato la capacità della sua vescica di reggere liquidi: al quarto (o era il quinto?) tipo sconosciuto che era salito sul palco, aveva scavalcato la propria fila, incapace di poter trattenere ulteriormente la propria urina. «torno subito» aveva bisbigliato a Jay e Stich, prima di infilarsi in uno dei tanti sentieri che costeggiavano la radura. Dato che aveva avuto timore di disturbare la cerimonia con la propria cascata d’oro , si era allontanato più del previsto: mai avrebbe immaginato che la ricerca dell’albero perfetto, l’avrebbe trascinato così lontano rispetto al punto di ritorno.
    Mai avrebbe pensato, che si sarebbe perso nell’Aetas. Ed invece.
    Tornò vittorioso, Stiles, dopo un tempo, a suo dire, brevissimo. Tronfio, finalmente privo di quel prurito impossibile da grattare al basso ventre, le gambe ballerine a cercare di contenere, con il mero molleggiare delle ginocchia, lo stimolo primitivo dell’urinare.
    Si grattò la nuca, l’ex Tassorosso. «ahm…» osservò il muro di persone di fronte a sé, la lingua ad umettare nervosamente le labbra. Aveva forse sbagliato, di nuovo, strada? «permesso?» tentò, infilando la testa fra i busti troppo spessi – ma chi erano, culturisti?- dei… soldati? Pavor? Carabinieri? Fai che non sia un raid anti droga. «permesso, scusate.» continuò imperterrito, allungando le braccia per cercare di crearsi un tunnel attraverso il quale passare. Tutto d’un tratto si spostarono, loro; Stiles sorrise ammirato, le sopracciglia arcuate in segno di meraviglia: in vent’anni di vita, mai nessuno aveva realmente ascoltato un suo ordine, o consiglio che dir si volesse. Che gentili, quei brav’uomini sconosciuti, a dislocare in massa per lasciarlo entr-
    Aspetta.
    «wat.» forse aveva sbagliato davvero. Portò la mano destra a coprire la bocca, le sopracciglia corrugate sullo spettacolo di fronte a sé: tutti erano in piedi, a sbraitare incantesimi od ingiurie che avrebbero fatto arrossire perfino Mosconi. Rimase a dondolare sui talloni all’entrata della radura, le labbra a premere fra loro e le palpebre assottigliate. Quando infine il muro cominciò a sgretolarsi, Stiles vide che si trattava del medesimo posto che aveva lasciato poco prima: le sedie, Jay e Stich; riuscì perfino a scorgere Obi e Murphy, poco lontano. E quello era Isaac…?
    Ed il palco, e le foto. E le bare.
    Ed un sacco di vippini che non conosceva, ma che non promettevano nulla di buono.
    Sfregò l’indice sul sopracciglio destro, chinando il capo per non attirare attenzioni non necessarie sulla sua persona; non era certo un combattente, Stilinski. Aveva passato metà della sua vita a scappare dai bulli, ci si faceva il callo a rendersi invisibili – diventava un talento, un bisogno morboso. «jay?» Jayson sobbalzò, le dita al petto. «cristo, stiles. Cristo. Sei vivo» Beh, era un bentornato strano perfino per il Matthews – che per Stiles, sarebbe sempre stato Matthews. «non… non dovrei? Non capisco» la storia di una vita. Sentì il cuore in gola, a palpitare come un uccellino nella propria gabbia. C’era qualcosa di sicuramente, ed indubbiamente, profondamente sbagliato, in quella situazione.
    Gesù, era solamente andato a fare pipì! Si scrisse un rapido promemoria mentale: al prossimo funerale, pannoloni. Istintivamente strinse nervosamente la bacchetta fra le dita, pronto a qualunque evenienza: era un padre ed una madre di famiglia, oramai, non poteva più permettersi di farsi trovare con la guardia abbassata. Chi si sarebbe occupato di Stich?
    E di Obi?
    E di Lovinski V, il suo criceto?
    «chi sono i cattivi?» pragmatico. Pronto perfino all’azione, in quel suo irrequieto saltellare sul posto, il capo a piegarsi per sciogliere i muscoli del collo. Sapeva che sarebbe morto nel giro di cinque secondi se fosse entrato nel gioco vero, ma sognare non costava nulla.
    «tutti» Si fermò, una lenta occhiata assassina al fratello. «molto filosofico, hamilton» arcuò le sopracciglia ed arricciò il naso, lo sguardo caramello a guizzare sulla battaglia intorno a loro.
    Davvero. Davvero. Non era stato via così a lungo.
    «jay.» drizzò la schiena, il braccio ad alzarsi per indicare un punto in lontananza. Vorrei qua, almeno fingere, che si fosse reso conto dell’offensiva avversaria, o che stesse sinceramente pensando di rendersi utile alla causa. Probabilmente l’avrebbe anche fatto, Stiles – ma con il tempo che impiegava ad elaborare le situazioni, rischiava di comprendere cosa fare, solamente quando la partita s’era già conclusa.
    Quindi no, non era a nulla di relativo alla faida, che l’indice del Tasso stava puntando.
    «ma quello…» di nuovo, premette la mano libera sulle labbra, il cuore a saltare un emozionato battito.
    Non poteva essere vero. Era vero?
    Quando gli sarebbe ricapitato.
    «è tony stark prima ancora di concludere l’affermazione, aveva già cominciato a correre.
    Sprezzante del pericolo, incurante del sangue a terra, o dei soldati morenti al suolo – ci si faceva l’abitudine, frequentando il Mondo Magico. Non cercò neanche i suoi amici, avendo occhi (e cuore) solamente per Iron Man - il suo eroe. «AH-» incappò in qualcuno, Andrew. Incappare è, in questo caso, un termine neutro per indicare uno spintone violento e brutale, ma privo di cattiveria: l’uomo si era ritrovato sulla sua traiettoria, e il Tassorosso, rinomato per i suoi riflessi da bradipo morto sul ciglio d’una strada, non era riuscito a fermarsi prima del prevedibile schianto.
    Neanche sapeva, dell’incanto lanciato a Cora. Neanche sapeva chi fosse Cora, figuriamoci.
    «scusami, non-AH» osservò incredulo la propria bacchetta, puntata verso il petto dell’uomo. Talvolta capitava che, seguendo l’entusiasmo del suo padrone, perdesse anch’ella il controllo di sé, e cominciasse a lanciare incantesimi a caso – motivo per il quale, quasi fosse stato un paio di forbici non dalla punta arrotondata, Stiles tendeva a non correre, quando la teneva in mano.
    Ma che dico, non correva e basta.
    Forse un Expulso? Uno schiantesimo? Chi poteva saperlo.L’uomo di Vasilov che aveva appena attaccato. «beh, che dire... ci si becca, eh.» o forse no.

    In qualsiasi altro momento, William Yolo Barrow sarebbe stato alquanto interessato allo scambio di battute fra i tre presidi: tutto faceva repertorio, tutto faceva storia. Informazioni snocciolate fra i denti e sorrisi che dicevano più di mille parole, sottintesi che vibravano nell’aria resa ormai densamente irrespirabile, e colpe a scivolare sulla pelle – colore invitante, sapore marcio. La mente logica di Will lo pungolava perché studiasse ogni termine usato dagli Stranieri, soppesandolo sulla sua personale bilancia morale: di cosa stavano parlando? quale colpa, come ad una partita a tennis, si stavano rimbalzando fra loro? che razza d’uomo era Vasilov per avvelenare un ragazzino? Perché Lancaster fingeva sempre di essere un coglione?
    Ma soprattutto: qual era il problema di Jeanine – perché era chiaro, ve ne fosse uno. Supportava le sue scelte, Will; nei suoi panni, avrebbe agito allo stesso, identico, modo: non credeva che la salvezza di uno sarebbe valsa la strage di decine di persone, fategli causa.
    Il punto fatidico della faccenda, ciò che al Barrow non tornava, era: perché lì. Perché si era presentata ad un funerale a muover guerra all’est Europa? Gli prudeva sulla coscienza, quell’interrogativo lì. Perché Jeanine Lafayette era troppo furba, per stronzate del genere.
    Non si fidava di lei, Will. Non lo faceva da anni, e non avrebbe cominciato in quel momento.
    Fortuna che avesse altre priorità, in quel preciso momento, rispetto al decretare colpe – tipo parare il culo a quegli stronzetti, santo Dio, che aveva buon cielo avvisato di non attaccare. Erano forse ritardati? Qual era il problema degli studenti di Hogwarts?
    Considerando che lì, fra le prime file, v’era Maple Walsh, avrebbe dovuto capirlo.
    Cristo se l’avrebbe bocciata.
    Si massaggiò la radice del naso, la bacchetta già stretta nel pugno. Scattò in avanti, e quando si ritrovò sul primo scalino del palco, onde evitare di colpire accidentalmente qualche ignaro passante, puntò il legno contro la schiena del Socioh di Dragomir, colui che stava indirizzando la propria alla Tassorosso. «walsh.» ed avrebbe voluto suonare più autoritario, o perlomeno arrabbiato, anziché lasciare che la propria voce assumesse un tono esasperato e quietamente divertito – li adorava, quei nanetti bastardi. «l’anno prossimo, ti boccio.» lo sguardo fisso sull’uomo, il braccio a sollevarsi in un silenzioso Everte Statim per poi ricadere lungo il fianco. Scese dal palco, Will. Era stato delicato in quell’offensiva atta a proteggere la ragazza, cauto - ma era incazzato, il Barrow. Ed era ancora disperato, logorato e consumato dall’idea malsana di una vendetta che non sarebbe riuscito a conquistare, finchè al mondo fossero esistiti uomini come Vasilov.
    La bacchetta al petto dell’uomo. Un sorriso che di divertito, non aveva un cazzo. «collapse.» il polso a scattare rapido, un taglio netto nell’aria.

    Distolse lo sguardo dai propri avversari solo un secondo, Run. Distrazioni che avrebbero potuto costarle la vita - distrazioni che avrebbero potuto salvarla: volse lo smeraldo delle proprie iridi sul palco, i piedi ora saldamente a terra ed il fiato corto, i capelli castani a coprirle parte del viso. «lo sapevo!» e non avrebbe dovuto essere così sollevata, la Crane, dal sorriso di Lancaster.
    Ed invece lo fu. Istinto, non ragione.
    Un sospiro stanco, le spalle a sciogliersi di una tensione che non s’era resa conto di aver accumulato sulle spalle: qualunque cosa avessero fatto, aveva funzionato. Decise che fosse una reazione normale, la sua; non voleva veder morire nessun altro, almeno quel giorno, e di certo non un ragazzino che ancora doveva arrivare alla maggiore età.
    Di certo non un Nessuno a cui doveva ancora una canna. Nulla di personale. Per un battito di ciglia, si convinse davvero che la situazione avrebbe potuto risolversi in maniera… pacifica, o perlomeno senza alcun spargimento di sangue sul territorio inglese. Ci aveva sperato, Heidrun, che una cura avrebbe salvato la situazione, trasformando una guerra in una mera faida fra gang rivali.
    E la speranza, era una puttana ingannatrice.
    «vasilov» Tutto parve fermarsi, incastrato in quell’unica parola. Il tempo si ripiegò su sé stesso, brillando audace di un momento bloccato nel suo preciso esistere - vasilov. Non certo per il tono arrogante, o per la voce familiare di Liam Callaway. Non fu per quello che la Crane, a bocca spalancata, perse almeno un battito: lo sguardo di lei rimase incollato su una seconda figura, quella che si scavava a suon di spinte una strada verso il preside di Dursmtrang.
    Non era possibile. Doveva esserci un errore.
    Aveva lasciato il lavoro come Cacciatrice quasi un mese prima, ma era certa che se lui fosse tornato, qualcuno – almeno Akelei? – l’avrebbe avvisata: tutti sapevano del rapporto privilegiato, a dire di Run, fra la mimetica ed il capo dei cacciatori. La sua mancanza al quinto livello Ministeriale s’era fatta sentire ogni giorno, ogni secondo: non poteva, essere lì.
    Non avrebbe dovuto, essere lì.
    Cercò Shia fra la folla, Run; cercò gli occhi di Rea, saldamente puntati su Lancaster, e quelli di Akelei, sopracciglia fini a sottolineare uno sguardo ferino ed impassibile, fissi sull’uomo che aveva appena fatto la sua entrata in scena. Istintivamente, volse la propria attenzione su Gemes, un’espressione incerta fra la confusione ed attonito stupore – fermò l’azione sul nascere, preferendo guardare l’erba schiacciata della radura.
    «harry?» domandò sottile, in un filo di voce. Harrison Palmer.
    Lui non si volse. Heidrun deglutì, un involontario passo indietro. Normalmente sarebbe stata la prima a riderne, sapete – a saltargli allegramente al collo, sottolineando quanto le fosse mancato il suo Boss preferito. Gli avrebbe stropicciato le guance, rimproverandolo per averla fatta preoccupare, e gli avrebbe lasciato un intenso bacio sulla fronte, memore dell’affetto che provava nei suoi confronti.
    Ma lo sapeva, Run, che c’era qualcosa di sbagliato. Lo sentiva.
    Così fece un altro passo verso i francesi, le braccia strette protettivamente al petto: preferiva avvicinarsi ai nemici, piuttosto che rimaner vicina a quella… cosa, qualunque cosa fosse. Di certo, non era più Harrison Palmer. Un moto di rabbia le fece serrare i denti, le unghie piantate nella carne dei fianchi.
    «colpevole»
    Colpevole. Vasilov aveva puntato il dito contro la Francia, addossandogli la colpa dell’attentato avvenuto sul suo stesso suolo. Ed un poco aveva senso, ed un molto non lo aveva affatto - eppure non si fidava della Lafayette, Run. Non che avesse spazio per simili pensieri filosofici, lei; Heidrun era ormai diventata un grumo di solida e cieca rabbia, priva d’obiettivo o di giustizia. Voleva solo uccidere, e se ne sbatteva le palle di chi.
    Ma non l’avrebbe fatto – non quel giorno. Fremeva dal bisogno di ripagare Dragomir della sua stessa moneta, ma non l’avrebbe fatto: si consolò con l’idea che avrebbe potuto farlo il giorno successivo, o quello dopo ancora. Che avrebbe potuto farlo sempre - ma in quel tre luglio avrebbe dovuto trattenersi.
    Neil e Delilah meritavano di meglio. April e Nathan meritavano di meglio.
    Fu un piccolo proiettile umano, a distrarla dalle sue riflessioni. Istintivamente abbassò le braccia stringendo a sé il corpo contundente, letteralmente, trovandosi quindi ad avvolgere le spalle vibranti di- «scott?» ma non ci fu tempo, per i convenevoli.
    Distolse lo sguardo dai propri avversari solo un secondo, Run. Distrazioni che avrebbero potuto costarle la vita - distrazioni che avrebbero potuto salvarla; avrebbe dovuto importarle di più di sé stessa, a maggior ragione sapendo che non sarebbe stata l’unica a rimetterci, ma al posto suo, Euge e Gemes avrebbero fatto la stessa cosa. Istinto, non ragione. Corrugò le sopracciglia, volgendosi in modo che Scott potesse avere la visuale libera sull’avversario, colui che aveva puntato la bacchetta contro BJ. «disarmalo» non uccidere, Run. So che sei arrabbiata, ma non uccidere. Inspirò dalle narici cercando la quiete nel familiare profumo di Scott, le palpebre socchiuse; richiamò a sé la palla che aveva creato poco prima, e con un secco gesto del braccio la scagliò sulla faccia dell’uomo, stringendo il pugno per imprimere una maggior potenza: sapeva che era in realtà la telecinesi era un potere mentale, ma renderlo fisico l’aiutava a dargli più precisione.
    E sì che era brava e buona, Heidrun Ryder Crane; e sì che non voleva uccidere, ma-
    «un, due, tre…» osservò il francese, dita impalpabili a carezzarlo. Gli sorrise perfino, Run.
    «stella!»
    Prima di sbatterlo violentemente contro gli alberi che circondavano la radura.

    Trattenne il fiato per tutta la durata dell’incantesimo, Maeve Winston. Se avesse avuto un altro donatore da cui prelevare sangue, probabilmente sarebbe svenuta per mancanza d’ossigeno: era troppo concentrata a non far tremare la mano, per concentrarsi su azioni superficiali come respirare.
    Un colpo di tosse. Oddio. La bacchetta le cadde di mano, e fu rapida la Winston a chinare il capo, nascondendo il proprio sguardo ai presenti - l’aveva ucciso? Il cuore le saltò un battito, il fiato le andò di traverso.
    «smettetela di fissarmi, cristo.»
    Che Dio fosse lodato.
    Sollevò le iridi azzurre sul Tassorosso, le sopracciglia inarcate e la bocca dischiusa: aveva funzionato?
    «lo sapevo!» Aveva funzionato.
    Si sciolse sul posto, la bionda. Le spalle curve, le mani giunte sotto al mento, una preghiera verso un cielo sordo. Un debole sorriso le piegò la bocca, gli occhi a brillare quando la mano di Lancaster le picchiettò affettuosamente la spalla. Ce l’aveva fatta. Quando volse lo sguardo, però, non cercò gli occhi di William: guardò Amalie, Maeve.
    E sempre istinto, e mai ragione.
    «affari di famiglia» una bizzarra affermazione alla quale non diede peso – troppo eccentrico, il preside di Salem, perché fosse possibile considerare ogni sua parola come di fondamentale importanza. Si limitò a sorridere, la Winston, dimentica della battaglia a pochi metri da loro. Per un solo istante, volle crederci, lei. Volle illudersi, che potesse bastare.
    Non lo faceva mai.
    «vasilov»
    Ed il mondo di Maeve, collassò su sé stesso. Avrebbe riconosciuto quella voce ovunque - in ogni tempo, in ogni mondo. Quel modo peculiare di trascinare le parole quasi fossero state melassa, a dipingerle nel cielo come distratte volute di fumo. Si irrigidì, il cuore a scalpitare dietro lo sterno.
    Non si volse. Non ne aveva mai avuto bisogno.
    Si alzò in piedi meccanicamente, ma tenne gli occhi bassi. Bruciavano di una rabbia che poco s’addiceva alle circostanze, e tutto con il cuore spezzato di una ragazza al suo primo amore – ancora, e sempre. Si ripeteva sempre che non l’avrebbe mai perdonato, Maeve.
    Ed ogni volta, pregava le desse un motivo per farlo. Così patetica.
    Strinse i pugni.
    E fu sciocca, fu stupida, ma non riuscì a recepire alcuna parola fra quelle che vennero scambiate sul palco; non colse la risata di Vasilov, o il tono duro di Jeanine. Egoista, e codarda, non riusciva a cancellare la sensazione degli occhi di Liam su di sé – perchè alla fine, Maeve era una di quelle che ci credeva sempre. Cinica, scettica - ed alla fine, non lo era mai. Morse l’interno della guancia fino a farlo sanguinare, sentendosi, se possibile, ancora più idiota: non era così, che avrebbe dovuto essere – lei, lui, loro.
    Non era giusto, fosse così. Non era sano, quel dolore a pulsarle nelle vene.
    Quando Liam Callaway apriva bocca, Maeve Winston percepiva fisicamente una lama farsi strada fra le costole. Inspirò, espirò. Deglutì. «colpevole» Solo in quel momento, sollevò lo sguardo. Un istintivo passo laterale, a cercare di proteggere quanti più possibile su quel palco – da cosa, non lo sapeva ancora.
    L’avrebbe saputo presto.
    Guardò Lancaster; guardò Jeanine.
    «volete giustizia? Prendetevela.»
    Non guardò Vasilov.
    Cercò Byron e Leaf fra la folla, Scott e Dakota, Isaac. Allungò un braccio al proprio fianco quasi avesse potuto bloccare fisicamente qualunque incanto diretto alle proprie spalle – Sharyn, Amalie - presente e concreta mentre, intorno a lei, i primi incantesimi cominciavano a brillare come fuochi d’artificio.
    Non fu per sé stessa, il primo pensiero. Quando vide le bacchette sollevarsi nella loro direzione, Maeve non venne neanche sfiorata dall’idea che avrebbe dovuto proteggere sé stessa: perché puntavano alla Corvonero, loro. La ragazzina che, per prima, era salita sul palco sorridendo a Tupp – come avevano potuto?
    Ed era Amalie.
    Non avrebbe mai permesso che qualcuno le facesse del male, in nessuna vita. Il braccio già alzato, una linea precisa a tagliare l’aria – un intento radicato, necessario quanto ossigeno. «stupeficium» un sibilo basso, masticato fra i denti.
    Che non s’osassero di sfiorarla. Non lei - mai, lei.
    | ms.


    Allora:
    Stiles difende cora (combo w/ cora, o syria, BOh beh dai vins #wat) + usa splash (non succede niente...) e attacca i draghetti

    Will difende maple (combo w/ maple) + attacca draghetti

    Run difende bj (combo w/ scott) + attacca ancora la francia

    Maeve difende amalie, non attacca
     
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  8. t r o u v a i l l e
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    1999's - Hufflepuff - Guardian of the galaxy
    Eugéne D. R. L.
    Gene Starlord Campbell
    Hey Mr. Blue Sky
    Hey you with the pretty face
    Welcome to the human race
    A celebration, mister blue sky's up there waitin'
    And today is the day we've waited for
    Oh mister blue sky please tell us why
    You had to hide away for so long
    Where did we go wrong?
    Where did we go wrong? || 03.07.17 - 18:00
    Il corpo di Cj era ancora lì fra le sue braccia, mentre Gene si guardava intorno, cercando qualcuno.
    Dio santo, era negato con gli incantesimi di guarigione lo era sempre stato e non si era nemmeno impegnato più di tanto nell'impararli perché “tanto a cosa vuoi che servano” e ovviamente l'universo doveva dimostrargli, nella sua maniera contortamente ironica, che lui si sbagliava.
    Molto maturo Dio, destino, caso, Buddha, Allah o qualsiasi cosa fosse, davvero.
    «Girino?» un richiamo debole, appena udibile, ma il Tassorosso abbassò la testa, in parte sollevato. « non credevo di piacerti tanto »
    Gli sorrise, alzando gli occhi al cielo e tentando di nascondere quanto fosse sollevato. Se aveva ancora abbastanza energie per essere il solito stronzo allora non doveva stare così male, no? « ora non esageriamo » lo corresse Gene e finalmente, qualcuno di più preparato sul primo soccorso prese il suo posto al capezzale di Cj « diciamo che mi mancherebbe la tua testa pelata come bersaglio durante le lezioni di Erbologia » e si alzò, sapendo di lasciarlo in buone mani.
    « Tutto tuo prof, se ne uscisse un po' tocco nessuno si accorgerebbe della differenza » ed allo sguardo storto di gran parte dei presenti avrebbe alzato le mani, in segno di resa « ok ok, forse è ancora troppo presto per scherzarci su, colpa mia » in effetti Cj non era ancora fuori pericolo.
    Che pessimo tempismo aveva. Probabilmente era colpa di Phobos, ma anche madre natura doveva averci messo lo zampino.
    Quando si voltò quello che gli si presentò davanti fu lo spettacolo che meno si sarebbe aspettato. Quello che era nato come un funerale, un'occasione per ricordare ed onorare i morti, si era trasformato in un campo di battaglia degno delle Guerre Puniche.
    Scrollò la testa, allontanando appena in tempo un uomo che stava per essere colpito in pieno petto da un fascio viola, un incantesimo volante. E non riusciva semplicemente a voltarsi e far finta di niente, fingere che quella battaglia non riguardasse lui -quando effettivamente era così-, il suo compito era proteggere e preservare. E questo avrebbe fatto.
    Se nessuno si degnava di porre fine a quella follia generale, ci avrebbe pensato lui.
    Si diresse con lunghe falcate verso il preside di Salem, lo afferrò per il bavero della camicia e, nonostante Gene non fosse mai stato un ragazzo robusto, riuscì a sollevarlo quel tanto che bastava per fronteggiarlo « senti un po', hai deciso che farai qualcosa per fermarli o devo pensarci io? » ed i suoi occhi non lasciarono quelli di Lancaster sotto agli occhiali da sole, nelle sue lenti poteva vedere la sua espressione e riconoscervisi a stento. Tutta quella rabbia, quella furia, che non sentiva sua, ma era comunque lì, esplosa non appena era stato sfiorato un nervo scoperto « qualcuno deve fare qualcosa » gli lanciò quell'ultima sfida, prima di correre giù dal palco cercando di aiutare i feriti, chi era più in difficoltà.
    Ed uno sguardo più attento era dedicato ai suoi veri protetti, ma non si sarebbe mai perdonato di lasciare gli altri a morire perché non erano affare suo.
    Sapeva che era inutile pregare Vasilov di smetterla, se anche fosse riuscito ad avvicinarsi a lui, non lo avrebbe mai ascoltato. La preside di Beauxbatons era forse più diplomatica, ma anche orgogliosa e sapeva quanto le sue richieste sarebbero state per lei solo un'altra pietra nel fondo di un lago.
    Ma voleva provarci, doveva.
    Provò a farsi largo fra quelle cappe bianche per arrivare direttamente a lei, senza dover parlare attraverso una muraglia di corpi, ma calde mani lo afferrarono per le spalle e per le braccia. Gene lottò, provò a colpire uno degli uomini con un pugno per liberarsi e avanzare, ma non appena quest'ultimo cadde, un altro fu pronto a prenderne il posto.
    « lasciatemi! » gridò, la sua voce fu soffocata da un pugno contro il suo stomaco. Tossì, con la voce annodata in un raspo della gola.
    Non poteva permettere che lo liquidassero così « Lafayette » urlò in direzione della donna mentre i suoi uomini continuavano ad allontanarlo « S'il vous plaît. Il y a toujours un choix, un choix qui ne concerne pas la mort d'innocents»
    Non seppe se la preside di Beauxbatons sentì la sua preghiera o se quest'ultima avesse seminato in lei almeno il seme del dubbio, ma nessun contrordine venne dato ai lacchè e Gene si ritrovò spinto contro il manto erboso, senza fiato.
    « sempre così simpatici i francesi » mormorò tossendo tra i denti, tenendosi lo stomaco, faceva ancora stramaledettamente male. E se lo diceva lui...
    Bene a quanto pare, era solo contro tutti, di nuovo.
    Si alzò, appena in tempo per vedere uno degli uomini di Lafayette puntare la bacchetta contro una donna. Con ancora il groppo allo stomaco che bruciava, puntò la bacchetta verso di lui e gridò « Pietrificus Totalus! »
    Non che tifasse team Vasilov. Semplicemente voleva che meno persone possibile rimanessero ferite e se questo significava dover fronteggiare l'esercito delle due fazioni contemporaneamente, Gene era pronto alla sfida. E poi... quel cazzo di pugno gli aveva fatto davvero male.
    Fissò l'uomo pietrificato e poi la donna, gli rivolse un lieve inchino fingendo di togliersi un cappello invisibile con un gesto teatrale e le rivolse un sorriso brillante – di quelli che a lui riuscivano così bene -. Davvero Gene, che gran faccia a culo. « la donzella in difficoltà è stata salvata, ora... con permesso » fece per voltarsi e congedarsi definitivamente, ma venne trattenuto.
    Qualcosa o qualcuno lo aveva afferrato per la collottola della giacca prima che potesse filarsela.
    « che cazz-
    | ms.


    Allora... parla a Cj e a Maeve.
    Prova a far reagire Lancaster. Scongiura Lafayette di finirla-francese by google.
    Protegge Charlotte a suo rischio e pericolo


    Edited by t r o u v a i l l e - 31/7/2017, 17:29
     
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    Era davvero un chaos, al punto che non ero neppure certa di starci capendo qualcosa. A parte che Vasilov e La Lafayette erano della stessa pasta, solo che sopportavo quasi di più Vasilov, almeno era più chiaro con le intenzione, non come quella francesina, che si nascondeva dietro ad una maschera, per poi pugnalare alle spalle. Insomma, aveva davvero intenzione di colpire a sua volta chi non centrava nulla? Ma scherziamo? E questi erano gli adulti.. ero perplessa. In ogni caso non era il problema primario. Infatti loro facevano per lo più cavolate e noi rischiavamo di morire.
    Fatto sta che, una volta ridata la bacchetta a Maple, anche se probabilmente lei e i suoi amici ora mi avrebbero odiata a morte, ecco che si scatenò l'inferno. Ci mancava solamente una musica sul drammatico o qualcosa del genere. Per fortuna mio padre sembrava non essere nei paraggi. Non amava i funerali tanto che mi aveva detto che probabilmente, sarebbe andato via, per tornare più tardi. C'era solo da augurarsi che non si ritrovasse con dei corpi inanimati.
    Ma tornando a noi, vedendo che le cose si stavano mettendo male, mi rivolsi a Syria Fa attenzione Sy le dissi quindi, prima di allontanarmi, bacchetta alla mano. Non sapevo ancora chi aiutare, ma avrei aiutato qualcuno. Nel mio piccolo volevo dare una mano il più possibile. Arrivai nei pressi di un tizio sconosciuto, un po' come tutti lì, giusto nel momento in cui uno dei cattivi gli castava contro un incanto. La mia fortuna era avere una certa capacità di reazione Protego Horribilis usai l'incanto non verbale, più perchè mi sembrava più consono in un certo senso e, nel caso fossi riuscita a sventare quel piano, mi sarei voltata verso il tizio, per vedere che stesse bene..
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    La cosa vitale(?) è che cerca di difendere Fox v.v
     
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    Amalie Shapherd

    She dreamed of paradise
    every time she closed her eyes.

    It’s not what you painted in my head || 03.07.17
    Amalie non sopportava la violenza. Non concepiva l'idea di dover arrivare alle armi o alle mani per ottenere qualcosa, non riusciva a comprendere come qualcuno non potesse semplicemente far affidamento alle parole ed alla diplomazia. Ed, ancora di più, Amalie non sopportava la violenza laddove avrebbe dovuto esserci tutt'altro: perché quel funerale doveva essere un'occasione per condannarla, non esaltarla, come stava invece accadendo. Venivano lanciati troppi incanti contro i presenti, erano messe a repentaglio troppe vite innocenti. Non se lo meritavano.
    Non se lo meritava CJ, a terra davanti a lei, mentre stava combattendo per riuscire a respirare e rimanere in vita. Amalie non riusciva a guardarlo senza sentire una morsa chiuderle in petto: aveva paura per lui, sopratutto perché nessun incantesimo sembrava riuscire a rimetterlo in forze. Aveva paura per lui, ed aveva paura per tutte le persone lì presenti. L'unica persona per cui non aveva paura era se stessa: non perché era già stata colpita da una lama di Vasilov uscendone illesa se non per una sottile linea cremisi lungo la guancia, ma perché si preoccupava sempre di più per l'incolumità altrui, più che per la propria.
    «sei stata brava.» non credeva di esserlo stata. Aveva paura di aver fatto qualche casino, avendo difeso Arci, non per la difesa in sé - era sollevata che il ragazzo fosse uscito da quell'attacco illeso - quanto più per il come. Si sarebbe dovuta limitare ad un "protego", mettere in salvo e non far del male, così come era nella sua natura. Eppure era stata più avventata, mossa dalla rabbia, dall'istinto ed un po', anche se era difficile ammetterlo, dalla disperazione per la situazione che si era creata, e quell'expelliarmus era rimbalzato sul suo mandante con forza. Ed Amalie non credeva che altra violenza fosse necessaria, o almeno, voleva crederlo. E si era meravigliata di sé, quasi spaventata, quando si era accorta che per un istante, un minimo istante, era stata fiera di ciò che aveva fatto, il pensiero di aver fatto del male a qualcuno non l'aveva inorridita ma anzi, l'aveva fatta star bene. Ma quella sensazione era durata il tempo di un battito di ciglia, ed il senso di colpa era arrivato un momento dopo a bussare alle porte della sua coscienza.
    Eppure quando sentì pronunciare quelle parole, ci credette. Quando sentì le sue mani poggiarsi sulle sue spalle, due dita a sfiorarle la ferita ancora fresca, ad Amalie sembrò di riempire di nuovo i suoi polmoni d'ossigeno come se, in tutto quel tempo, avesse trattenuto il fiato. E sentì il senso di colpa tirarsi in un angolo buio della sua mente, perché quella frase era stata pronunciata da Maeve Winston. Probabilmente, se glielo avesse detto chiunque altro, non ci avrebbe creduto. Ma a lei , a lei credeva sempre: le importava la sua opinione, fin da quando aveva messo piede ad Hogwarts. Per qualche irrazionale motivo, le importava ciò che la bionda pensasse di lei, le importava apparire degna delle attenzioni e dell'affetto che le aveva donato, fin da quando l'aveva presa sotto la sua ala protettiva, durante il suo primo anno. No, non voleva semplicemente apparirne degna, lei voleva esserlo. E dunque in ogni occasione ci provava e pensava sempre a ciò che la bionda avrebbe fatto al suo posto. E per questo quelle tre semplici parole furono per Amalie una boccata d'aria fresca, un abbraccio rassicurante in un'occasione che, di rassicurante, non aveva nulla. «Devi tossire?» un sussurro, che però la ragazza udì benissimo. Subito scosse la testa, per rassicurarla ma sentendosi anche in colpa per non presentare quei sintomi. Sentendosi in colpa per non star male come Fox perché aveva ricevuto la sua stessa ferita e per non star male come CJ che poco prima l'aveva salvata. Sentendosi in colpa per lo sguardo che Vasilov le aveva rivolto dopo averla colpita, quasi d'intesa, quasi come se condividessero qualcosa di cui però la ragazza non sapeva nulla, e sopratutto con cui non voleva aver nulla a che fare. Si sentiva privilegiata a stare lì in piedi su quel palco, immacolata. Le dava tremendamente fastidio e la faceva sentire colpevole anche se, di colpe, non ne aveva nemmeno una.
    «forse c’entra il sangue…?» E si maledì mentalmente per non averci pensato. L'idea non le aveva nemmeno sfiorato l'anticamera del cervello, eppure aveva tremendamente senso. Era stato il suo sangue a salvarla, quello di Fox e CJ a condannarli. Lo stesso sangue che ora macchiava il suo vestito, che se ne era impregnato quando era stata tirata a terra dal tassorosso. Glielo doveva. E, in ogni caso, era sicura che l'avrebbe fatto comunque. In qualunque giorno, in qualunque occasione, in qualunque vita. Si chinò affiancò al ragazzo, le parole rivolte a chiunque, gli occhi puntati in quelli di Maeve.
    «Potete provare con in mio». Dovete
    Ne sono uscita illesa
    È il minimo che possa fare

    E rimase immobile mentre il sangue si spostava dal suo corpo e da quello di Sharyn, Barrow e Alec fino alle vene di CJ. E tirò un sospiro di sollievo, quando si accorse che stava effettivamente funzionando, e che il tassorosso aveva iniziato a riprendersi. «smettetela di fissarmi, cristo.» Le sfuggì persino l'accenno di una risata. Era talmente sollevata da non far caso al commento di Lancaster, da non rendersi conto della sua mano poggiata sulla schiena della ragazza. Tanto, anche ascoltandolo, non avrebbe potuto afferrare la sua allusione, nonostante avesse ragione: quelli erano davvero affari di famiglia. Anche se nessuno dei diretti interessati ne era a conoscenza.
    Amalie si illuse che l'aver salvato CJ e Fox avrebbe segnato la fine di quello scontro. Idealista, sognatrice, forse un po' ingenua. Insomma, avevano capito come curarli senza arrivare a patti con Vasilov, e la cura era l'unica cosa con cui l'uomo aveva potuto far leva su di loro. L'unica arma a suo favore. Ed ora l'aveva persa: che senso aveva continuare a combattere? Non poteva richiamare i suoi soldati e tornarsene da dove era venuto? O semplicemente decidere di risolvere il tutto sul territorio della sua nazione, o della Francia, dato che la sua sembrava una discussione personale con Lafayette, e l'attentato un mero pretesto per scontrarsi?
    Ma si rese conto di quando fosse ingenuo il suo pensiero qualche minuto dopo. Quella situazione non aveva nulla di semplice, e di certo non si sarebbe risolta così, su due piedi. No, c'erano ancora altre cose in ballo: lo capì quando tra la folla si fece largo Liam Callaway. Lo conosceva solo per sentito dire, eppure sapeva che di certo non era lì a portare le colombe della pace. Ma guardandolo non provò alcun timore, solo un'assurda ed immotivata curiosità. Un sentimento sbagliato. E rimase in silenzio, cercando di capire i discorsi tra lui, Vasilov ed un altro uomo, eppure non riusciva ad afferrarne a pieno il senso, non capiva ciò che stava succedendo. Si sentiva una spettatrice, buttata nel mezzo di una circostanza che non comprendeva a pieno, dove non poteva fare o dire nulla per far qualcosa.
    In un'altra vita, qualcosa a Liam Callaway l'avrebbe detta sicuramente.
    (GUARDA QUANTO SIAMO FIGHE IO E LA MAMMA, BRUTTO IDIOTA)

    E gli incantesimi iniziarono a partire poco dopo: fasci di luce indirizzati verso di loro, da ogni parte. Avevano dato inizio ad un circolo vizioso senza fine. Vide come uno degli uomini di Vasilov puntava direttamente a lei, eppure non le importò, perché un altro, poco distante, aveva lo sguardo puntato su Maeve. La ragazza agì subito: prima che l'avversario riuscisse a pronunciare l'incantesimo del tutto, lei formulò il suo più velocemente. «mobilicorpus!» la mano dell'uomo scattò verso l'alto, il fascio di luce arancione si diresse verso il cielo. Un incantesimo del genere richiedeva concentrazione, parecchia concentrazione, e la ragazza riuscì a mantenerlo giusto il tempo di mandare all'aria - letteralmente - l'obbiettivo dell'adepto di Vasilov. Poi lasciò ricadere il braccio lungo il fianco, sospirando sollevata e portando lo sguardo sulla Winston, che a sua volta l'aveva protetta dal venir attaccata. La sua bocca si distese in un sorriso sincero, le labbra a sussurrare con un filo di voce . «grazie» E non solo per aver disarmato il mago che la stava attaccando. Perché era accorsa da lei non appena aveva visto che era stata ferita. Perché le aveva chiesto se stesse bene, ed Amalie sapeva che ci teneva davvero ad ascoltare la risposta. In quel grazie era racchiusa molto più che la semplice riconoscenza del momento. La ringraziò semplicemente perché Maeve Winston c'era, e perché Amalie era grata di averla conosciuta. Perché le voleva bene, perché difficilmente, troppo difficilmente, si fidava di qualcuno, eppure di lei si era fidata subito e senza riserve. Avrebbe messo nelle mani della Winston la sua stessa vita, e sopratutto quella di tutte le persone a cui teneva.
    Certi legami non possono essere spezzati da nulla.
    | ms.


    Difende Maeve ♡


    Edited by ‚quinn - 3/8/2017, 02:43
     
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    Have some fire. Be unstoppable. Be a force of nature. Be better than anyone here, and don’t give a damn what anyone thinks.
    aesthetic ||03.07.17 ||
    Era letteralmente generata la situazione, più attaccavano e più venivano attaccati, il suo attacco aveva provocato un'altro attacco. Lì per lì ci era rimasta malissimo, non era riuscita ad attaccare nuovamente, si sentiva in colpa. La sua azione, non abbastanza pensata e dettata dalle emozioni del momento non aveva fatto altro che provocare altri attacchi. Ed colpa sua? Era anche colpa sua, non era completamente in torto Vasilov. Era questo che l'aveva colpita come una pugnalata. Se fosse andata con lui non sarebbe successo nulla? No, anche perché non era l'unica ad aver attaccato, molti lì si erano schierati sull'attacco, dopotutto gli incantesimi non erano partiti da loro, gli incantesimi di rimando erano stati lanciati per difendere o per vendetta. Era quello che portava al cosiddetto circolo vizioso, che si sarebbe ripetuto all'infinito senza nessuna fine a meno che qualcuno fosse riuscito a trovare una scappatoia, il che era un po' difficile dato che pur non attaccando, i bersagli aumentavano a vista d'occhio e la cosa che più urgeva in quel momento era una difesa, ma anche gli attacchi non dovevano essere sottovalutati, perché ormai era stata dichiarata guerra. Gli attacchi erano uno dei modi per far diminuire gli attacchi, bisognava occorrere ad una sterminazione di massa, il che non la entusiasmava, anche perché era praticamente impossibile. Sapeva solo che non era il momento di pentirsi delle proprie azioni, l'aveva osservato rimanendo ferma ad osservare come si sarebbe svolta la situazione. Tutto inutile, Vasilov aveva già premeditato tutto, fin dall'inizio o forse li conosceva tutti fin troppo bene, come facesse, ancora era un mistero. La goccia che fece traboccare il bicchiere non le fu esattamente chiara, seppe solamente che il bicchiere traboccò lasciando spazio solo a devastazione. Era il momento di entrare in azione. «Fa attenzione Sy.» Quasi le avesse letto nella mente, la cugina, le aveva tolto le parole di bocca, si sarebbero separate per rendersi utili entrambe e avrebbero difeso più persone possibili. «Anche tu, mi raccomando. Ti voglio vedere viva, non deludere le mie aspettative» Fece l'occhiolino alla cugina, era come una sorella minore per lei e le voleva bene, l'avrebbe protetta sempre, ma in quel momento c'era bisogno di aiuto altrove. Aveva lanciato un ultimo sguardo verso Ekate che si era allontanata, per essere d'aiuto in qualche modo vista la caterba di incantesimi che venivano lanciati in tutte le direzioni e si ritenne piuttosto fortunata di non essere stata nella traiettoria di nessuna di esse. La sua attenzione era stata catturata da una ragazza di Corvonero, che conosceva per conoscenze in comune, ci aveva anche parlato e aveva trovato nella ragazza un carattere affine. Fortunatamente Stiles che passava di lì piuttosto spaesato secondo lei, quasi non sapesse manco dove si trovasse e ignorasse il fatto che tutto attorno a lui si fosse scatenata una guerra. Almeno era riuscito a salvare Cora, che anche lei se non fosse stato per quello sbadato di Stiles a questo punto sarebbe stata colpita in pieno. Non l'aveva neanche vista tuffarsi nella mischia per combattere, anzi, era rimasta al fianco di CJ che sembrava essersi ripreso lentamente con la successiva trasfusione di sangue. «Avete rotto i coglioni con le vostre manie del cazzo.» Ultimamente il suo vocabolario era diventato molto più forbito del solito e certe frasi le dedicava con amore e affetto a chi, come loro se lo meritavano. Aveva quindi puntato la bacchetta contro il mago che aveva scagliato l'incantesimo verso Cora. Altro che incantesimo di disarmo, non sarebbe stata contenta di vedere qualcun altro puntare le proprie bacchette contro le persone lì presenti, soprattutto a chi era innocente, a chi non aveva nemmeno attaccato e forse a questo che miravano, la catena debole della gruppo. Aveva notato che Cora non avrebbe attaccato neanche per difendere e che avrebbe usato tutti i mezzi per difendere senza far del male a nessuno. Ingenua, non sarebbe stato possibile, ormai era troppo tardi, ma ancora desisteva dal credere che non ci fossero altre opzioni. Syria aveva invece già preso la propria decisione, nel giusto come nel torto. Aveva quindi pronunciato con voce decisa un «Bombarda.» Non perse tempo ad avvicinarsi alla Corvonero che era rimasta da sola, mentre Stiles si era dileguato, le porse una mano aiutando ad alzarla e le sorrise incoraggiante. «Dovresti andartene, saresti al sicuro.» Non si sarebbe aspettata le successive parole della ragazza. «il mio posto è qui, ad aiutare. Devo la mia vita a troppe persone ora. Non me ne vado» Parole dette con una pacatezza invidiabile, un luccichio meglio occhi, quello di chi voleva vedere la fine di quello a tutti i costi, un lieto fine, quello che ci si aspetta da ogni favola.
    Il lieto fine che tutti desideravano.
    Il lieto fine che cambiava da persona a persona.
    Non era possibile accontentare tutti.
    Era un gioco al lotto, chissà quale lieto fine avrebbe vinto.
    | ms.

    Combo con Stiles, lancia un bombarda al tipo che attacca Cora
     
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  12. ¬athazagoraphobia
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    FLEED -- 1992 | chronokinetic
    KILLIAN J.
    the more I reach the more I fade away the darkness right in front of me, it's calling out and I won't walk away
    flipping through my life, turning pages ||03.07.17
    Avrebbero dovuto già comprendere tutti che la questione dei morti durante l'attentato in Francia, oramai, non aveva più nulla a che fare con quella situazione. A chi importava di Delilah Jackson, quando la Francia aveva dichiarato Vasilov colpevole? Chi avrebbe potuto pensare a Neil Armstrong mentre incanti sfrecciavano da una parte all'altra della stanza? E chi, fra tutti, avrebbe continuato a piangere i due Withpotatoes mentre più e più persone rischiavano la morte?
    Solo degli stupidi avrebbero potuto venire a termini col proprio lutto, in quel momento.
    E di Killian si poteva dire molto, ma non che fosse stupido.

    Stava rimanendo in disparte, controllando come proseguiva la situazione ed osservando i tre con attenzione. Un'occhiata di riguardo era riservata ad Helianta, più o meno di continuo, quella testa calda con cui condivideva l'appartamento e la vita, letteralmente. Sospirò un istante, stringendo il pugno quando notò che l'altra aveva attirato l'attenzione di Vasilov. Quell'uomo, con cui un tempo condivideva buona parte dei pensieri perché così gli era stato insegnato. Il sangue puro è al di sopra di tutto il resto, è importante rispettare la società e ciò che decide per noi. Anche se ti mette al di sotto per colpe non tue, anche se dei disgustosi ribelli ti hanno rotto. Ironico come inizialmente fosse scappato alla ricerca di una famiglia per poi ritrovarsi, anni dopo, solo come un cane. Un padre morto, una sorella che per lui oramai non esisteva e solo una casa vuota in cui non aveva più messo piede, simbolo di una vita mai vissuta, che sarebbe potuta essere. Osservò Lancaster e Vasilov ed i loro scambi di battute e notò qualcosa. Le labbra di Vasilov iniziare a muoversi, quasi silenziose, ed a quel punto tentò di poi rallentare il tempo dal suo punto di vista, così da poter notare l'eventuale incantesimo o frase pronunciata dal preside di Durmrstrang. Non era tipo da passare all'azione senza alcuna effettiva ragione, anzi se poteva preferiva rimanere in disparte, facendo avanzare gli altri. Aveva semplicemente sussurrato, piano, sperando che qualcuno notasse il fatto che qualcuno venisse colpito ed altri no e trattandosi di una persona da un'ideologia forte come Vasilov, c'era poco da aspettarsi se non una discriminazione verso il sangue babbano. Il "vecchio" Killian, il giovane mago purosangue fissato con il proprio lignaggio, probabilmente sarebbe stato particolarmente orgoglioso di una mossa simile. Ora, era semplicemente preoccupato. Perché per quanto avessero trovato una cura nel sangue puro, lui -e le poche persone a cui teneva lì presenti- rischiavano comunque la vita. Osservò Lancaster per un momento, poi l'ex capo dei cacciatori scomparso dalla missione. Sospirò, percependo l'aria farsi piena di tensione, talmente pesante da poterla tagliare con un coltello. In un momento simile, lo sguardo finì sulla persona per lui più importante all'interno del luogo, verso cui si avvicinò ad un tranquilla velocità di 300 chilometri all'ora. Niente di che, ecco. «Hai ragione in quello che dici, ma... ricorda che è qualcosa più grande di noi.» Tentò di appoggiare la mano sulla spalla di Helianta per qualche istante, prima di fare qualche passo indietro. Si trattava di una guerra, che mai avrebbero potuto fermare e per quanto scappare sarebbe stata la cosa più saggia da fare, sapeva quanto la Moonarie poteva essere testarda «Solo... stai attenta. Quello ha avvelenato un ragazzino senza apparente ragione, dubito si faccia scrupoli.» Lo stesso poteva esser detto dei suoi scagnozzi, ovviamente. Si allontanò dal palco, anche se di poco, giusto in tempo per assistere a quella scena. Il ritorno di Palmer, accompagnato dal fratello di Emerald. Chissà se sapeva Liam, ironicamente, che con la morte di uno qualsiasi dei cronocineti, avrebbe scavato la tomba anche per se stesso. Forse, senza rendersene conto, anche lui era dalla parte sbagliata di quella guerra.

    O molto semplicemente, una parte giusta non esisteva. Vi era un'unica certezza: quel pezzo di merda di Lancaster andava salvato, o ci avrebbero rimessi tutti le penne. Tentò di rallentare il tempo una volta visto l'incanto sfrecciare in direzione di Helianta, tirandola giù dal palco e provando ad utilizzare lo stesso palco come scudo, abbassandola (non che fosse facile, visto che era già un tappo di suo). «Che ti avevo detto?» Alzò un sopracciglio, prima di alzare lo sguardo e cercare di osservare il resto del luogo, o perlomeno nelle vicinanze. «Mi è sembrato di vedere Elysian.» Commenti che nemmeno Titti con Silvestro, davvero. Si preoccupava dell'altra anche perché, insomma... Moriva lei, morivano tutti. Perlomeno era meglio essere concentrati, per difendersi più facilmente. Voleva vedere come proseguiva quella situazione, prima di prendere posizioni.
    | ms.


    difende helianta e... no, non attacca, skste è una persona noiosa
     
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  13. #biondo che non impegna
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    drakeabrahams
    « all i wanna do is to fall in deep »
    (wizard) | neutral | 30yo | Clairvoyance
    Si girò il nodo della cravatta, valutandone il risultato allo specchio. Non ne era esageratamente soddisfatto ma... poteva andare bene così: del resto era già tanto se in qualche modo era riuscito a chiuderlo-- o quanto meno a non strozzarsi. Il completo grigio rifletteva lo sguardo, vagamente distratto perché colto da pensieri sempre diversi, sempre improvvisi: nella sua testa, un interrotto fiume di coscienza cancellava ogni traccia di dolore, ma lasciava solo un tenero senso di nostalgia, lontananza.
    Era stato diverso quando, qualche settimana prima, aveva indossato quel completo, lo stesso sguardo, la stessa scomoda cravatta: quel giorno tuttavia, era stato suo padre -impettito di fronte a lui, vestendo lo stesso lutto- a sistemare quel nodo in modo deciso, sussurrandogli che «tua madre l'avrebbe fatto meglio; è sempre stata più paziente di me» prima di allontanarsi con passo pesante, strascicato. Persino suo fratello lo avrebbe atteso lì, fissandolo ancora contrariato-- probabilmente non avrebbe mai smesso di pensare che era stata tutta colpa sua, ancora una volta.
    Aveva ucciso loro madre.
    Non si erano nemmeno parlati durante quell'anniversario; erano stati tutti e tre in silenzio, i suoi ometti grandi e grossi, a fissare una foto sorridente e calda... questo trasmetteva, un calore stranamente vibrante, intenso, più familiare di quanto ricordasse. Le era mancato così tanto il sorriso di sua madre. Il suo odore-- assurdo, non ricordava un solo abbraccio senza quel profumo che portava su ogni abito, fra i capelli; un aroma leggero, bisognava stare assenti per diverso tempo per accorgersene altrimenti passavo inosservato, scontato.
    Esattamente come lei.
    E questo errore il povero Drake Abrahams lo stava pagando un pezzo alla volta.
    Guardò nuovamente con distrazione il proprio letto, in cui si era seppellito per ore dopo aver scoperto della morte di sua madre. Prima di allora non avrebbe mai immaginato di essere un figlio così terribile-- ma ormai, aveva perso ogni certezza. Perdere un polo è un po' come perdere se stessi: fino a quel momento sua madre era stata una costante, una banale realtà-- c'è, punto, non gli serviva sentirla ogni giorno o averla al suo fianco; gli serviva sapere che, in ogni caso, lei ci sarebbe stata.
    Avrebbe fatto tardi di quel passo; Claire sarebbe arrivata di lì a breve, mentre lui ancora sostava in camera, a pensare a ricordi ormai distanti-- doveva fare qualcosa, uscire da quel momento in cui ogni cosa sembrava essersi fossilizzata, a partire dal tempo. Sfiorò quel fazzoletto bianco e piegato sul tavolino, e con la quotidiana emicrania Drake rivide quel momento, cercando in questo modo di staccarsi dalla sua ombra.
    Idem sorrideva con una strana dolcezza -quasi surreale- mentre porgeva il fazzoletto al ragazzo, in quella caffetteria un po' in penombra-- lei così elettrizzata, Drake pacato- un po' era abituato a quelle cose losche, mentre l'altra peccava di un'ingenuità quasi dolorosa... ma in fondo non c'era davvero nulla di illecito. Il ragazzo si stava solo nascondendo; dal mondo, dalla vita, dai doveri... c'erano parecchi modi di interpretare quella paura-- forse aveva solo paura che non sarebbe stato riaccettato.
    Forse, dietro la piega dura del sorriso c'era solo quello strano -sensato- timore che Isaac non l'avrebbe nemmeno riconosciuto; o voluto riconoscere... non era poi così assurdo. C'erano così tante possibilità, il tempo era infinito nelle scelte, e in fondo Drake non riusciva a credere completamente a Idem-- ai suoi occhi, lei era fin troppo buona per conoscere davvero il risvolto tragico del suo ritorno nella vita di Isaac. C'era sempre il peggio, e forse -pensava quel giorno, senza averla conosciuta- la donna aveva vissuto una vita fin troppo facile, felice, circondata di cari e non -come lui- da persone che quotidianamente tentavano di ammazzarlo, lontano da casa dalla sua famiglia.
    Famiglia.
    Un po' poteva immaginare il dolore di Idem.
    E questo perché, stupidamente, neanche per un istante aveva immaginato la morte della madre-- giunti ad una certa età, diventa quasi normale, si inizia ad assimilare l'idea che un giorno i cari moriranno. Ma Drake sembrava non averci pensato, nemmeno per un istante-- o forse l'aveva fatto, e poi scordato; quei pensieri da bambino che si perdono quando arrivi a pensare ad altro. Idem non poteva certo immaginare la morte dei suoi fratelli. Drake non aveva saputo realizzare quella morte in tempo-- entrambi avevano pagato quell'ingenuità, e nel modo più orribile possibile. Fosse toccata a loro la morte; nel venire privati delle persone che amavano, erano le vittime di una congiura più grande di loro, un qualcosa del destino a cui loro non potevano in alcun modo porre rimedio.
    Erano alcuni dei tanti che ogni giorno si trovavano a ripensare alla loro vita, ora ricominciata da capo, senza una data costante; odiava onestamente rivedere Idem per un'occasione tanto terribile-- avrebbe odiato rivedere tutti i loro volti in quel modo, dopo tutto quel tempo. Qualcuno suonò alla porta, ma stavolta nessun ringhio accompagnò il suono: sembrava quasi che la stessa casa fosse caduta nel silenzio totale, nel lutto triste. Persino Hector si era preso una pausa da quella casa: non lo vedeva da qualche giorno, e non lo avrebbe mai ammesso, ma la cosa lo turbava un po'... si sentiva tradito, come se il suo storico coinquilino se ne fosse andato senza dire nulla.
    Alla porta trovò Claire, vestita di tutto punto, modesta nel suo completo scuro «ehi... pronto?» ma gli occhi chiedevano con insana curiosità tutt'altro, un altro che forse per orgoglio non avrebbe rivelato. In fondo, c'era ancora molto su cui avrebbero dovuto entrambi lavorare «beh, dio mio, se non mi lasci neanche lo spazio personale per mettermi la colonia... controllare i capelli... lucidare le scarpe--ahia» la ragazza lo afferrò poco carinamente per l'orecchio e con tranquillità lo trascinò fuori dalla porta, senza aspettare di sentire le sue altre stronzate. Forse avevano molto su cui lavorare... ma per ora, andavano piuttosto bene-- no?
    Piagnucolando in quel modo che faceva davvero innervosire Claire, alla fine la ragazza dovette abbandonare la presa «ci metto davvero poco a lasciarti qui e andarci da sola»-- aveva davvero senso? Non lo sapevano, ma in fondo era una minaccia, e come tale il ragazzo la rispettò, annuendo frettolosamente per poi chiudere la porta, aggiustarsi un'ultima volta i capelli e proseguendo verso la macchina della ragazza. Qualcosa di inaspettato accadde in quell'istante.
    Claire si fermò, lo fissò attentamente-- «bel nodo.»

    Appena arrivati all'ingresso della piccola radura, una raccolta folla si stava preparando a prendere posto. Drake, con Claire a braccetto, non perse un istante per porgere i suoi saluti alle salme chiuse nelle bare, posando quattro rose bianche per poi cercare i parenti. I primi a saltarle all'occhio furono Al, e quel bambino -vitello- che teneva in braccio: l'uomo aveva gli occhi lucidi, ma col bambino si tratteneva, perdendosi in qualche sorriso caldo, carezze. Era la prima volta che vedeva il figlio, «ma di chi è questo vitellino?» si sentiva quasi in colpa a riguardo, ma non poteva fare a meno di scherzarci su, mentre Aloysius lo fulminava con uno sguardo da padre geloso «tutto uguale a suo padre-- cos'è, gli dai già whisky?» il migliore amico del deficiente gli riservò una smorfia che valeva più di ogni parola; gli presentò Claire e a sua volta lo presentò alla donna, e in quel mentre spuntò Isaac. Piccolo, eppure stranamente grande in quell'abito che gli faceva forse le spalle troppo larghi... o probabilmente era solo Drake, che non riusciva a vederlo ormai un piccolo adulto.
    Gli si avvicinò, scusandosi con Claire di cui abbandonò il braccio, e piano posò una mano sulla spalla del ragazzino «ehi, piccolo uomo» lo abbracciò forte, stringendolo al petto largo per qualche istante. Poteva capire il suo dolore-- lui aveva vissuto per anni con quella famiglia, aveva imparato a conoscere i Withpotatoes come fratelli, genitori, amici. «tu...tu lo sai che non sono bravo con queste cose... ma, beh, non me ne vado più» sussurrò piano fra i suoi capelli, un'ultima stretta prima di lasciarlo andare, prendendo quel viso segnato fra le mani per accarezzare coi pollici le guance.
    Gli chiese dove fosse Idem, e il ragazzino le indicò un punto poco distante.
    In quel momento Claire gli si avvicinò, con un sorriso incoraggiante, e insieme i due si avvicinarono ad Idem. La ragazza-- no, Drake, non la ricordava così. Quasi faticò a riconoscerla, sembrava aver perso più delle vite dei suoi cari... com'era lecito, ma restava comunque la vista più angosciante della sua vita. Non che non fosse abituato a cose simili-- aveva vissuto qualche anno nei laboratori.
    Ma un conto era, tristemente, abituarsi alla tristezza.
    Un altro era vedere la luce del sole strappata all'improvviso dal volto di una ragazza: la ragazza più dolce che avesse mai conosciuto per giunta. Aveva quasi timore di avvicinarsi-- si sentiva così inadeguato per quel dolore, chi era lui per diventare una parte di quella condivisione? Eppure era lì, no?, tecnicamente non bastava per sentirsi una parte del tutto? Era più complesso, lo era sempre stato. Voleva onestamente fare marcia indietro, ma «se non ti muovi, ti ci spingo» quella ragazza, nella sua rudezza, sapeva esattamente come sbloccare il panico dell'uomo. Strinse la mano sul suo braccio e fece il primo passo, immediatamente seguito da uno dell'uomo-- Drake era lì in particolare per lei, non poteva dire di conoscere i parenti o le altre salme presenti al funerale... ma conosceva Idem.
    E dietro quel falso sorriso e quelle lacrime fresche, riconosceva Idem.
    Ti prego, 'sta zitto «allora... siamo un po' in anticipo» ecco, si morse l'interno della guancia, e Claire -neanche troppo velatamente- gli lanciò un'occhiata scioccata, e un calcio sullo stinco-- perché non riusciva a dire la cosa giusta al momento giusto, mai? «ahia-- Idem. Io... non so cosa dire. Sai, faccio schifo come persona per queste cose... avevo anche paura di venire, onestamente» e lei meglio di tutti sapeva che genere di disagio fosse quell'uomo, che aveva preferito dare dei soldi ad una famiglia piuttosto che ricomparire nella vita del bambino da cui era stato strappato-- doveva capire il suo disagio esistenziale, magari non sostenerlo né apprezzarlo... ma almeno accettarlo-- «ma, beh, le solite cose... mi mancano le nostre sedute in quella topaia, sai, quando vuoi possiamo sederci, prendere una bella burrobirra e parlare... io -lo sai- non ho mai impegni. E» inutile, la strinse forte al petto, preferendo soffocare le ultime parole contro i capelli scuri.
    Non doveva piangere.
    Non, doveva, farlo.
    «mi dispiace così tanto... vorrei essere una persona migliore per esserti più d'aiuto di così» l'avrebbe segnata. Idem Withpotatoes-- un'altra persona per cui diventare un uomo migliore.

    La cerimonia inizialmente fu tranquilla, solenne, rispettosa come avrebbe dovuto essere ogni funerale.
    Poi qualcosa iniziò a mutare-- lo capiva, Drake Abrahams, seduto in terza fila ad assistere agli eventi: la gente era stanca, stanca dei morti, dei sotterfugi. Preferivano tutti una battaglia a viso aperto, e per quanto Drake si fosse sempre tenuto fuori da quei disastri, adesso non poteva che trovarlo irrispettoso nei confronti di chi aveva già pagato con troppo sangue. Si era alzato all'improvviso, abbandonando il fianco di Claire per farsi avanti senza timore «non vi vergognate? Non vi vergognate nemmeno un po' di quello che state facendo qui, adesso, con testimoni solo alcuni dei morti che il vostro “buonsenso” sta causando giorno dopo giorno?» tutti bravi, tutti giusti-- ma in fondo, davanti alla morte come testimone, si era uguali allo stesso modo. Peccatori, viziosi chi più chi meno... non doveva giudicare, ma quegli uomini stavano offendendo un suolo ora sacro; all'alzarsi dei toni, qualcuno iniziò a pronunciare degli incantesimi, e il disastro venne compiuto.
    Come in una catena, tutti si alzarono per fare qualcosa: chi ancora si ostinava di mantenere l'ordine, chi era già passato all'attacco per vendetta, odio, rivalsa... o semplicemente approfittando della confusione. Non c'erano più parole: forza bruta contro forza bruta, solo chi si era armato poteva permettersi di parlare-- qualcosa sfiorò l'orecchio di Drake e l'uomo fece in tempo ad allontanarsi, afferrando Claire. «dio santo, come diamine è successo» era meglio andarsene-- Drake non aveva mai preso parte a queste cose, Drake non voleva entrarci.
    Tuttavia.
    Per una volta.
    C'era qualcosa -qualcuno- di più importante.
    «Isaac... e Al, dove sono?» non poteva andarsene di nuovo. Non poteva sparire come ogni volta-- portare in salvo se stesso abbandonando coloro che diceva di amare. Non aveva promesso di diventare una persona migliore?

    role code made by effe don't steal, ask



    Non fa nulla in realtà
    Ha un potere che non gli fa fare molto in guerra in effetti ihihih
     
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    A Scott Noah Chipmunks, gli eventi sociali, non erano mai piaciuti. Potevano essere di qualsiasi genere, dal più allegro al più triste, dal più rumoroso a quello più silente e rispettoso: tutto ciò che, in un modo o nell’altro, prevedeva grandi folle a presenziare sul luogo della cerimonia, qualunque essa fosse, lo metteva inevitabilmente a disagio. Non aveva mai avuto modo di essere al centro dell’attenzione, né tantomeno aveva mai cercato di esibirsi a tal punto, prediligendo strisciare ai lati delle strade, la spalla il più possibile vicino ai muri o i piedi sempre con il rischio di sporgersi oltre il limite della banchina, invisibile agli occhi di chiunque – solo una comparsa, il sedicenne, in quel lunghissimo film della vita -; non erano gli sguardi di tutti puntati alla propria nuca, ad intimorirlo in contesti simili, non la possibilità di essere preso di mira da qualcuno – perché almeno, quando cose del genere accadevano, aveva notato che si accalcavano poche persone attorno a lui. Era la loro semplice presenza, a disturbarlo - senza davvero sapere perché, senza davvero sapere come. Senza volersi dire, perché o come. Ed avrebbe preferito, quel tre luglio, rimanere a casa, da solo con Artemis, i videogiochi e le cassette – le cuffie ad ovattare i suoni, il joystick a tenerlo impegnato, le fusa del gatto a tenergli compagnia. Avrebbe voluto potersi imporre di più, impedire a Christopher di fargli notare che era suo dovere, nonché diritto, esserci.
    Ed era vero: dopotutto, era stata più o meno la sua famiglia; l’unica cosa che avrebbe desiderato fare in quel momento, tuttavia, era fuggire il più lontano possibile, complici gli alberi dell’Aetas a nasconderlo alla vista di chiunque, i tronchi a sorreggere una schiena vibrante. Perché erano troppi, erano fottutamente troppi - e se erano così tanti, forse in fondo non erano mai stati come aveva creduto fossero; forse, in fondo, non meritava di essere in quel posto ad onorare la loro memoria, assieme a gente che li aveva amati. Si sentiva un ipocrita, il Chipmunks, a quel funerale – molto plausibilmente, lo era davvero.
    Strinse le dita con ferocia, spasmodico bisogno di qualcosa da tenere stretto come sostegno, attorno ai bordi della sedia, facendosi il più piccolo possibile tra le spalle esili, cercando di scivolare quanto più gli era concesso verso il terreno, le gambe ad appropriarsi dello spazio lasciato libero sotto il sedile dell’invitato di fronte a sé. Scott, i Withpotatoes, non li aveva mai davvero conosciuti: non aveva mai voluto conoscerli sul serio, ritenendo che la parte della loro famiglia che gli era capitata alla nascita potesse essere abbastanza. Gli bastavano i Larson, al biondino; chi poteva dirgli, che tutta quell’altra fetta del parentado non fosse esattamente come loro – d’altronde, Aiden Larson e l’efferato omicidio plurimo commesso dalla gemella di Idem non lo aiutava ad avere di loro un’idea del tutto oggettiva. Ma in quel momento, a quel funerale, le parole della giovane medium a scivolare calde tra le teste dei presenti, zuccherato caramello macchiato di una rabbia abilmente celata, non potevano che farlo ricredere. Non sembravano così simili a Constance e Benedict Larson, Nathan ed April – non parevano avere lo stesso sangue di Charlotte, Idem e Darden.
    «voglio andare via di qui» sibilò piano Scott, una voce così sommessa da essere diretta unicamente ad Erin, mentre Idem terminava il suo discorso, e dalle retrovie un battito di mani s’alzava ad applaudirle. Non gli interessava di chi aveva preso la parola, né aveva intenzione di riconoscere nel suo volto – in quello della donna bionda che s’era presentata in seguito, in quello dell’uomo con i pasticcini tra le dita -, quello del preside di Durmstrang, la sua voce a rimembrargli le parole che aveva rivolto ai Volontari di Brecon lo scorso autunno: voleva soltanto andare via, fuggire come un codardo; se fosse rimasto lì, sarebbe stato unicamente per Erin. Ma, insomma, confidava ch’ella lo avrebbe assecondato. Era intuibile, anche a qualcuno che non stava ascoltando le parole di nessuno in quella diatriba (Scott), che la situazione stava lentamente degenerando.
    Quando effettivamente calò a picco, non se ne rese conto – CJ a sputare sangue sul palco, le masse a muoversi come un corpo solo, le bacchette sguainate, gli attacchi. Si era distratto un attimo, santo cielo!, aveva sconnesso la mente dai sensi un solo secondo: dove erano finiti tutti?
    «erin?» si alzò in piedi di scatto, la testa a saettare al suo fianco ormai vuoto – della migliore amica, non v’era più traccia. «nathan? jess?» chiamò, più mero fiato che sonora voce, ma nessuno rispose: evidentemente, al richiamo delle armi, avevano risposto come meglio credevano – e lui, naturalmente, si era perso l’azione del momento.
    Iniziò ad approfittare delle file vuote, per scavalcare sedie e spostarne altre, aprendosi una via verso il palco, evidente centro nevralgico del party post-funerale. Non aveva visto i suoi amici, né Eleanor, né alcuna faccia conosciuta – troppo caos, per poter davvero mettere a fuoco. Sbatté gli occhi, lucidi ad umidificare le lenti a contatto, di un pianto di panico che non avrebbe lasciato scoppiare: non era il momento. Mise mano alla bacchetta, riluttante, quando tra le facce sconosciute riconobbe quella di «RUN!» la chiamò, nel momento stesso in cui, come solo un koala con il suo albero preferito di eucalipto, si avvinghiò al suo corpo. «dov’è erin? E nate? Jess? Me li sono persi dove sono aiut-» «disarmalo» «- eh?» alzò la testa di colpo, seguendo lo sguardo della Crane puntato su un soldato francese, la bacchetta spianata contro uno studente di Hogwarts. Annuì deciso, staccandosi dalla presa confortevole che aveva guadagnato. Deglutì. L’ultima volta che aveva usato la magia, di fatto, era stato durante la Missione – non ne aveva avuto più occasione, più voglia. Non voleva combattere, Scott, non gli era mai piaciuto.
    Non fu il “necessità fa virtù”, a spingerlo a puntare la bacchetta contro quella dell’uomo, un preciso Expelliarmus non verbale a privarlo della bacchetta, un rapido Stupeficium a ricambiare il favore – senza curarsi, il Chipmunks, di quale parte avesse preso le difese e quale stesse attaccando -; fu il distratto sguardo del Chipmunks, a ricadere sul volto del rosso - una sensazione sulla punta della lingua, un prurito fastidioso e stranamente piacevole: la stessa che aveva sempre avvertito per Erin, che aveva sentito quando aveva incontrato CJ per le strade di Londra, skateboard alla mano. C’era qualcosa, in lui – in loro -: qualcosa, che lo avrebbe portato a tenere la presa più forte sulla bacchetta, ad attaccare anche quando non avrebbe voluto, quando non era necessario. Un senso di protezione, il suo - che a vederlo, a dover essere protetto era proprio lui.
    Perché Noah Hamilton, la sua famiglia, l’aveva sempre voluta proteggere – almeno loro, sempre loro.
    | ms.


    eeeeee difende BJ con Run
    attacca la Fvancia
     
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    The bond that connects your true family is not a bond of blood, but of respect and joy in each other's life
    Non era programmato quell'assalto, probabilmente se i suoi amici fossero stati in vita gli avrebbero anche dato dello stupido per aver reagito così alla loro morte #wat, ma non era pronto per affrontare un lutto così grande nella sua vita e aveva finito le lacrime per quel dolore, ora voleva solo vendetta. Non era mai stato un tipo vendicativo, dispettoso al massimo, una persona alla quale piaceva prendere in giro e giocare con le persone ma mai e poi mai poteva essere definito una persona rancorosa; eppure quella volta non era riuscito a trattenersi e aveva dato libero sfogo alla propria rabbia. Non importava della possibile innocenza dell'uomo, quasi sicuramente stava sbagliando tutto ma ormai il sasso era stato lanciato e non era, lui, il tipo che nascondeva la mano.
    Guardò Vasilov che gli dava la colpa per quello che stava succedendo e senza che se ne rendesse conto vide partire degli attacchi verso i ragazzi lì presenti. Oh cazzo no fece in tempo a capire, a reagire o magari è solo la player lenta a fare i post e non sta partecipando come gli altri che in un attimo iniziò la guerra.
    Di solito programmava ogni attacco, ogni azione era ben studiata, sapeva anche che non sarebbe stato più lo stesso senza i suoi due amici, nessuna ricognizione insieme; nessuna sensazione di freddo fino a tremare perchè Neil si era incazzato troppo con lui; niente più truffe ben elaborate; quella casa sarebbe stata vuota senza Del. Il fatto che se ne fosse andata in Francia diversi mesi prima, era solo un dettaglio perchè sapeva di poterla rivedere se andava a trovarla ma ora non avrebbe potuto fare quel viaggio, non sarebbe stato lo stesso andare lì. Di nuovo gli occhi sembravano potesse esplodere in un pianto adolescenziale mentre guardava intorno a se le varie persone che si difendevano e attaccavano a loro volta; gli sembrò di essere tornata alla missione di un anno prima, quando con Khai si divertivano a fare gli scemi tra una prova e l'altra. Certo che era stato idiota, aveva rischiato anche la vita. Invece era lì e Del no. Strinse i pugni, e tornò a guardare l'uomo colpevole di aver strappato dalla sua vita la sua famiglia, ma senza che potesse davvero rendersene conto gli venne lanciato un incantesimo. La merda aveva deciso di uccidere anche lui eh? Non poteva,lui doveva morire e non Fox. Così si lanciò a terra, sperando che rotolando Verso sud avrebbe evitato quel cazzo di incantesimo, non sapeva neanche cosa compromettesse se fosse stato colpito. Solo dopo, se fosse riuscito a tornare in piedi e soprattutto non da fantasma si sarebbe accorto che non si era difeso da solo, ma la provvidenza divina gli aveva mandato una ragazzina ad aiutarlo. Grazie dolcezza Ammiccò alla quindicenne, ovviamente si limitò a quello, era fin troppo piccola per lui, non poteva: A) passare per pedofilo e B) Poteva essere sua sorella Jericho, più o meno. La squadrò comunque da capo a piedi, era Fox che poteva fare oltre a fare il coglione eh? Ma non disse e non fece altro, era comunque una personcina responsabile lui (ahahah).
    Che dire,in seguito avrebbe continuato con quella sua grande cazzata personale, avrebbe provato ad uccidere Vasilov e ci provò usando ancora una volta il proprio potere. Si fece aiutare dalla natura, avrebbe allargato le braccia coi palmi ben aperti. Un respiro profondo, una volta che l'energia fosse stata ( ma è giusta la coniugazione? o.o) piena, stile gioco di lotta della play, avrebbe richiuso le braccia, battendo i palmi e sentendo in quel modo i rami degli alberi dietro di lui fiondarsi come lance sui presenti ( chi? A boh)
    | ms.


    Si difende rotolando verso sud ( si sono ripetitiva, uccidetemi)
    e attacca qualcuno a caso...chi ha provato ad ucciderlo magari. Ciao.
    E si, fa schifo, scusate.
     
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132 replies since 16/7/2017, 15:00   5988 views
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