[ funeral party ] gone but not forgotten

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    William prese una sigaretta, la infilò fra i denti. La tenne li, appesa e sospesa, spenta su un mondo in cenere - tutto cadeva a pezzi, e lui non possedeva la lucidità necessaria per raccoglierli. Quando aveva lasciato il ruolo di leader dei ribelli, non aveva abbandonato solo una scrivania: Will, alle proprie spalle, s'era lasciato ogni fottuta responsabilità. Aveva deciso che nulla l'avrebbe più strettamente riguardato, che altri sarebbero stati molto più utili, rispetto a lui, nel trovare soluzioni pacifiche a situazioni critiche: era fatto per i debiti di guerra, il Barrow. Aveva smesso di contare i caduti, lavandosi la coscienza con il libero arbitrio ed un fine comune. Era uno stratega, certamente; non lanciava eserciti allo sbaraglio come avrebbe fatto un Howe allo scopo di seminare caos e distrazione - ciò non significava che i loro ideali non fossero affini, anzi: quando Will ideava un piano, partiva dal presupposto che non sarebbe riuscito a salvare tutti.
    E si sentiva un cinico bastardo, relitto di una civiltà disperata: metteva in conto il minimo di vittime, ma taluni se lo lasciava sempre alle spalle.
    Semplicemente, non quel giorno. Non così: considerava che a morire per la resistenza sarebbero stati altri ribelli, martiri che, come lui, avevano scelto come morire - non ragazzini che non c'entravano una sega. Non pirletti di quindici anni a cui, ad Hogwarts, insegnava come spostarsi in un fottuto campo minato - ed a cui, quando nessuno guardava, mostrava come rollare una canna degna di quel nome.
    E non ad un funerale, santo Dio. Ma che Cristo non andava in Jeanine? Che fosse una psicopatica, l'aveva già compreso - non aveva creduto così tanto, ecco. Non c'era niente di più frustrante al mondo di una bionda che non veniva scopata regolarmente - eccetto i biondi, dove con biondi intendo William Barrow: quello era indubbiamente peggio.
    Chinò il capo, accompagnando così la caduta di una casacca francese su una tunica scura di Durmstrang: nessuno dei due si rialzò. Will si limitò ad osservarli, i denti serrati e le mani chiuse distrattamente a pugno. Si domandò quante probabilità avesse di riuscire a colpire Niv alla tempia così forte da farle perdere i sensi, in modo da lanciarla fra le braccia di Lancaster. Non dubitava che avrebbe partecipato alla battaglia, soprattutto considerando che finché non li avessero fatto uscire da lì, per la droga avrebbero potuto contare solamente sulla scorta di Jeremy - ed era quello a preoccuparlo. Che sua sorella fosse brava, non aveva dubbi.
    Ma erano in schifosa inferiorità numerica. Confidò, perlomeno, che gli stranieri non comprendessero l'inglese: Niv ci metteva ancor meno di lui, aprendo bocca, a guadagnarsi una mazzata nelle gengive.
    I Barrow non erano famosi per il loro tatto.
    Volse il pigro sguardo fiordaliso attorno a sé, la bacchetta a ticchettare distratta sulla coscia. C’era troppa carne al fuoco, e lanciarsi nella mischia, in una situazione del genere, non era nelle corde di Will: osservare e capire come muoversi, al contrario, faceva fottutamente William Yolo Barrow.
    Nelle risse da bar era il primo a creare disordini, ma quello non era uno scherzo violenti fra uomini adulti ed ubriachi – credeva, ma non ne era del tutto certo. Qualcuno aveva fatto test alcolemici alla coppia dell’Ave Maria? Puntò gli occhi su quella budina della Chipmunks, la mascotte del quartier generale. Will la conosceva da sempre, era stata uno dei pilastri di quel loco che non sarebbe stato assurdo chiamare casa: l’aveva vista crescere, l’aveva vista cercare di combattere – ed addestrare il suo gatto a portarle le ciabatte, fallendo miseramente. Con che Cristo di cuore si poteva, dico fottutamente io, pensare di volgerle un attacco?
    Ma l’avevano vista?
    Adocchiò un ragazzino smunto, dinoccolato. Non sapeva chi fosse, Will -come avrebbe potuto?- eppure fu a lui che si rivolse, una mano attorno alla bocca per amplificare la voce: «SETH COHEN?» richiamò, pescando un nome a caso nella sua (ristretta) cultura sull’ebraismo. Il ragazzo lo afferrò per una manica, guadagnandosi un paio di scettiche sopracciglia corrugate: eau la, erano già amici? Senza neanche una birra condivisa e battute sconce a sfavore di uomini e donne – era per le pari opportunità ed uguali diritti- ? «io il serbo cecoslovacco figliodiputin, tu la ragazzina.» Gli sorrise sbilenco, lasciando pendere la sigaretta spenta da un angolo delle labbra. Aw, aveva anche lui adocchiato Erin? E dire che così nanetta, era facile perderla di vista. «ai suoi ordini, capitano» rispose, ironico e laconico, piegando la testa per sciogliere i muscoli del collo. Fu rapido, istintivo – puntò la bacchetta contro Erin, un incantesimo non verbale a fendere l’aria: Levicorpus. L’avrebbe sollevata come un salame, esponendola priva di difese ad ulteriori attacchi avversari - ma ehi, era una misura momentanea. L’avrebbe tirata giù di lì, non appena fosse passato il pericolo.
    E di fatti le sorrise, poi, passandole a fianco. «chip chop, sei un salame bellizzimo» le pizzicò una guancia, perfino. «WILLIAM TIRAMI Giù» Vorrei dire che fu così galante da prenderla al volo, ma.
    Ma non lo fece.
    «beh, buon compleanno will!!» che razza di troia da due soldi falsi.
    Volse un’occhiata apatica e priva di spessore su Mitchell Winston, da cui aveva divorziato giusto qualche giorno prima poiché in carenza di zuccheri – e quella vacca di Niamh, per i suoi dolci, si faceva pagare: la vecchina che abitava di fronte a loro, no. «eh, ma se non muori male-»
    Che veggente, William Yolo Barrow.
    «cristo, ti ci lascerei» osservò, puntando ironico il braccio verso il machete che il Draghetto aveva appena puntato al Winston, sbuffando sonoramente. Non l’avrebbe mai fatto. Piuttosto che non difendere, e lasciare impunito l’aguzzino, Mitchell Winston, si sarebbe fatto tagliare un fottuto braccio. Gesù, se amava quello stronzino. Guardò Patrick, un sorriso sghembo al suo urlo di battaglia: idealmente, essere uomini ed avere il ciclo, era una merda.
    Anche in pratica, a dire il vero. Eppure, con loro, poteva sopportarlo.
    «la cecenia non era abbastanza?» russi ingordi. Mentre Patrick cercava di deviare la lama del machete, Will colpì con un gancio secco la faccia della donna (già detto che era per le pari opportunità?), approfittando del fatto che mani ed arma fossero abilmente occupate dall’Howe.
    E quando il Guerrigliero le diede fuoco ai capelli, lui… beh, la osservò con un certo fascino.
    Non era un segreto che amasse il cartone di Hercules – era convinto di assomigliarci, vogliamo fargli causa? Aveva anche il suo Pegaso, Mitch, e un Phil personale: Niamh.
    Meh. «alimentes flames» così, che non faceva mai male.

    Cristo. Il dolore fu così improvviso da strapparle un mugolio a denti stretti, il respiro strozzato in gola. Si portò istintivamente una mano al ventre, ritraendola sporca di sangue – e l’altra a premere sul fianco, imprecazioni sotto voce a dèi in cui aveva smesso di credere. Deglutì, serrò le palpebre. Bruciava come lo stramaledetto whiskey invecchiato di Spaco, ed un’ondata di vertigini la costrinse a divaricare leggermente le gambe per mantenere la posizione.
    «grazie comunque» sibilò sorridendo storta ad Eugene e Jeremy, un pollice sollevato nella loro direzione: avrebbe potuto andarle peggio, ed apprezzava il pensiero. Forse. Inspirò dalle narici, la lingua a premere sui denti minacciando di spaccarsi, e con un movimento fluido ma alquanto sofferto, si privò della canottiera nera che aveva indossato per l’occasione. Tenne l’indumento fra le mani, lo sguardo smeraldo a scivolare sul proprio petto ora esposto, seppur raccolto nel reggiseno nero, all’intera fottuta radura.
    Eh, vabbè. Che gli stronzi vedessero quel che avevano perso - riferimenti puramente non casuali. Avvolse la canotta in vita, premendo perché contrastasse la perdita di sangue – non aveva tempo di curarsi, e non erano ferite così debilitanti. «prego, date pure un’occhiata» bisbigliò feroce, inarcando entrambe le sopracciglia – multi funzione, quel déshabillé che mise in mostra con disinibito orgoglio: avrebbe anche distratto i nemici.
    E se necessario, con il reggipetto, li avrebbe anche fottutamente strozzati: a qualcosa doveva rendersi utile, il soffoca capezzoli. «tranquilla jade, anche io sto bene» quando una era Beech, era Beech completa: subito a difendere il padre di suo figlio, e poi neanche a lanciarle un’occhiata per assicurarsi che le viscere fossero ancora al loro posto. Strinse le labbra e scosse il capo, alzando un dito medio verso uno Shot già diretto alla sua bella: «vaffanculo, shot» anche lui, comodo a non muovere il culo per la sua migliore amika, ma a volare per Murphy Skywalker.
    Li odiava. E noi tutti vogliamo fingere, per puro amor proprio della Crane, che non fosse semplicemente invidia – quale banale ed infantile stato d’animo, figurarsi se lei… ma poi per cosa. Tsk.
    Non che avesse strettamente bisogno di qualcuno che le andasse a salvare il culo, ma era il pensiero, a mancarle - che si fottessero tutti, nel dubbio. Si scrollò nelle spalle, le sopracciglia corrugate. Razionalmente sapeva che ci sarebbe sempre stato qualcuno a coprirle le spalle (o che almeno, ci provava): Eugene e Jeremy, ad esempio, gliel’avevano appena mostrato. Eppure. Si scrollò nelle spalle, come se quel gesto avesse potuto aiutarla a liberarsi di quei pensieri del tutto inopportuni - ed ingiustificati, ed immotivati, e non gliene fregava un cazzo. «stiles-» non ci voleva certo una scienza, a riconoscere il fremello a terra. Gli sorrise, schioccando le dita sulla propria faccia per indicargli dove guardarla: in un’altra occasione, sapendo del suo cuore spezzato, gli avrebbe anche permesso una palpatina in amicizia, ma insomma. «raccogliti a palla» lo sguardo a guizzare sugli avversari, i quali già avevano impugnato armi e bacchette. «cos-» Senza ulteriori preavvisi, Run lo sollevò e lo scagliò contro un Draghetto poco distante, cercando così di cogliere due piccioni con una fava: avrebbe tolto il Tassorosso dalla traiettoria nemica, ed avrebbe impedito a quello che puntava suo fratello, di fare lo stramaledetto figlio di puttana.
    E poi.
    Non avrebbe voluto sangue, Heidrun. Quel giorno, almeno quel giorno, avrebbe voluto essere quella razionale, la saggia Crane sul quale poter contare: ma non ce la faceva proprio, Run. Era troppo legata alle emozioni per potersi contenere, un tornado di passione ch’evolveva in violenza o sadismo – sentimentale, fisico. Era fottuto spirito imbrigliato in una scatola di carne, a bruciare di una rabbia disperata incapace di tollerarsi.
    Quando sorrise alla francese, seppe, che non fu piacevole. Lo sentì nelle labbra, nella bocca ora amara, nella sfumatura dorata delle iridi; il potere le si increspò fra le mani, dando forma ad una lama sottile ed affilata – il peso familiare sul palmo, il respiro quieto a seguire un pacato tracciato cardiaco. «non avreste dovuto venire» sussurrò, pragmatica ed atona, sbattendo languidamente le ciglia.
    Una mano sulla spalla di lei, l’altra a spingere per ficcarle il pugnale fra le costole.
    Che ci provava sempre, Run, ad essere come gli altri - ma non lo era, Cristo. Non lo fottutamente era.

    Se ne vanno sempre. Maeve annuì piano alle spalle di Amalie, il sorriso di lei ancora impresso sulla pelle. Stentato, timido - di quelli che tacitamente chiedevano un permesso, al quale la Winston avrebbe voluto rispondere con un deciso vengo con te. Non lo disse, Mae – alla fine, non lo diceva mai.
    Non l’aveva detto ad Ethienne. Non l’aveva detto a Liam. Non l’aveva detto ad Aiden.
    Maeve Regan Winston era sempre quel che rimaneva – gli avanzi di Natale che nessuno, dopo il pranzo, aveva più alcuna voglia di mangiare. Bastava per poco, Maeve. Bastava finchè non diventava troppo.
    Si morse il labbro inferiore, gli occhi blu ad indugiare sul profilo ora lontano della Corvonero. Che diritto aveva di dirle di rimanere? Che sarebbe stata al sicuro, insieme a Lancaster? Nessuno. Fremeva dal bisogno impellente di rimproverarla, la lingua a prudere contro il palato. Era pur sempre la sua insegnante di incantesimi, l’adulta che avrebbe dovuto prendersi cura di lei: permetterle di tornare al centro della faida, non rientrava esattamente nella lista delle cose responsabili da fare. «qui è sicuro…?» domandò, indugiando sul concludere della domanda, spostando le iridi zaffiro sul preside di Salem intento a barcamenarsi fra due bambini. Lui arricciò il naso, la mano con cui non reggeva il neonato – ma chi era quell’idiota che aveva lasciato un bimbo in fasce a Lancaster? – al petto: «dubita di me, maeve winston?» Sollevò cinicamente un biondo sopracciglio, lasciando che quel gesto rispondesse da sé: sì, dubitava di lui.
    Ma ci sperava, Maeve, che avesse ragione. Avrebbe trovato Amalie, e Byron, e li avrebbe obbligati a salire su quel maledetto palco. Sperava che Leaf fosse uscito prima della chiusura, e sapeva che non sarebbe riuscita a convincere Dakota a mettersi da parte - lo amava e lo odiava, per quello. Scese dalla zona neutra senza voltarsi un’ultima volta, consapevole che non sarebbe tornata: il fatto che non fosse propensa alla violenza, non significava che sarebbe rimasta ad osservare senza muovere un dito.
    C’era la sua famiglia, lì. C’erano i suoi amici. C’era tutta la sua vita. Scansò la guerriglia fra Vasilov e Lafayette – per loro, non aveva tempo – cercando con lo sguardo tracce dei suoi bambini: non le fu difficile riconoscere la chioma d’oro bianco della Shapherd, in mezzo a quel delirio. Non le era mai difficile, trovarla: l’avrebbe fatto sempre. «am-» tacque, Maeve Winston, le ciglia a sbattere mentre gli occhi s’impigliavano nello sguardo smeraldo dell’uomo al suo fianco – e di nuovo, la prima cosa che pensò, fu: Gesù, di nuovo Alexander?. Eppure lo sapeva, la Winston, che non era lui; lo sapeva da anni, ormai. Richiuse la bocca e corrugò le sopracciglia, l’attenzione a scivolare dalla Corvonero al Crane: cercò di celare la nota di fastidio nel rendersi conto che lui l’aveva aiutata, mentre lei era rimasta a riflettere sulla vita spalla a spalla con William Lancaster. Aveva forse dodici anni? . Senza pensarci, le dita scivolarono distratte a sfiorare il marchio sulla nuca, il capo ora abbassato sui propri piedi. Quanto tempo era che Maeve cercava di evitare qualsiasi contatto diretto con il Pavor? Da sempre, verrebbe da dire. Non voleva sapere cosa fosse loro successo, cosa fossero; non voleva neanche ritrovarsi a navigare nella confusione con un perfetto sconosciuto - preferiva rimanere ignorante da sé. Ciò non le aveva impedito di seguirlo, nei mesi precedenti: una vera fortuna che Al fosse avvezzo a locali in cui Mae non avrebbe messo piede neanche sotto tortura, altrimenti sarebbe stato improbabile liberarsi della tenace Detective Conan. Sollevò lo sguardo impettita, le spalle dritte come se non avesse voluto sotterrarsi in quello stesso istante. Non era certo così che aveva immaginato (l’aveva mai immaginato? certo) il loro primo incontro; e non erano certo: «ti vuole uccidere» le prime parole che aveva creduto gli avrebbe detto, lo sguardo a farsi brillante e bacchetta alla mano – ma una domanda inespressa, nelle iridi cobalto.
    Perché suonò più come un quesito, quello di Maeve, mentre gli occhi andavano a spostarsi su un babbo natale hipster che l’aveva appena approcciato: era normale? Dall’espressione di Al, non dedusse alcunchè: se anche voi aveste visto il disegno fatto da Lele sull’abbraccio di Shia, avreste capito il dubbio di Maeve. «evanesco» sussurrò rapida, la punta del legno a pungolare la superficie fredda della spada. «Se ci farai uccidere poi come la conquisti la bionda che ti sta aiutando eh?» Rimpianse di non aver lasciato la spada trafiggere Al. Avrebbe voluto far notare che era ancora lì, e sentiva tutto - invece preferì ignorare, con classe, il dibattito fra i due. Si volse verso Amalie, lo sguardo preoccupato. «torna sul palco, amalie. per favore» la supplicò, allungando le mani verso le spalle di lei - ma senza sfiorarla: appariva così delicata, la Corvonero, eppure così… forte. Inspirò dalle narici, pregando che la ragazza seguisse il suo consiglio. Ti scongiuro. Quando si volse, si ritrovò a fronteggiare l’hipster babbo: non retrocedette, solo perché era una signora. «Grazie per averci salvato la vita mia signora. Se non lo sai..io sono Shia Ry--» Lo osservò rapita, fra fascino e puro terrore, mentre le prendeva delicatamente la mano fra le proprie. Lanciò occhiate furtive ad Al, cercando (inutilmente) di non apparire troppo bionda: fa sempre così? Si schiarì la voce, un debole sorriso sulle labbra. «ero di passaggio» giustificò, reclinando lieve la testa.
    Ed era perfino vero - sciokkanteh.
    Fu in quel momento, mentre Shia veniva distratto da CJ - mister sexy? Davvero? - che lo vide: e di nuovo, Maeve, scattò in avanti.
    Bacchetta già pronta. «immobilus» scattò, rapida e precisa, puntando la bacchetta contro la freccia scagliata da uno dei galoppini di Dragomir verso Byron Winston.
    Figurarsi.
    Lo strinse a sè, cercando oltre la sua spalla eventuali possibili nemici. «Sali sul palco» ignorò la sua domanda, perché non lo sapeva. «per favore, byron. il palco» ed indietreggiando d’un passo, puntò il legno contro l’uomo di Vasilov: non avrebbe attaccato per uccidere, Maeve.
    «petrificus totalus» Ma non gli avrebbe neanche permesso di continuare ad attaccare la sua famiglia.
    Anche quella che non sapeva di avere.

    Lo colpì, CJ. E lo colpì. Anche quando l’uomo cadde a terra, CJ Knowles continuò a colpirlo, i pugni a straziare la carne del viso di lui e le nocche a tagliarsi sui suoi denti. Non sentiva niente, il Tassorosso. Non sentiva un cazzo di niente. Era cieco e sordo a sé stesso, in quell’accanirsi su un corpo ormai esanime sotto il proprio peso; non fece caso al sangue che sporcava ormai gli avambracci, od alle gocce che giunsero ad inumidirgli il viso. Violento, e crudele - ma soprattutto disperato, in quell’incapacità di smettere: le braccia si muovevano da sole, ringhi bassi e gutturali a sfuggire dalle labbra dischiuse.
    Ti prego, basta.
    Un lamento a cui non diede voce, se non con l’ennesimo pugno a scorticarsi. Non si rese conto della minaccia imminente, CJ: l’uomo di Dragomir avrebbe potuto fottutamente ucciderlo, e lui non se ne sarebbe neanche accorto. Non vide Joey, non vide Sun - non vide l’uomo a terra, capro espiatorio di tutti i suoi fottuti peccati. Avrebbe continuato, il Tassorosso. Avrebbe maledettamente continuato, finchè ci fosse stata pelle da spaccare, malgrado il petto dell’altro avesse smesso d’alzarsi ed abbassarsi ormai da un pezzo.
    «cj» quel suono disperato - quello, gli giunse. Andò a toccare quel filo sottile ed appena percettibile della sua coscienza che gli aveva sempre impedito, negli anni, di farsi troppo male.
    Il proprio freno.
    Una promessa che non ricordava di aver fatto.
    Colpì ancora, ma rallentò il ritmo. Il fiato si spaccava in brevi rantoli, la lingua stretta fra i denti.
    «cj, basta.»
    Ed invece non bastava mai. Ma la sentiva, quella voce. L’avrebbe sempre sentita, e sempre gli avrebbe spaccato il cuore: senza motivo, quella fitta nel costato. Abbassò il capo.
    «cj-» Una mano sottile, delicata, a toccarlo lì dove faceva più male. Sulla spalla, sulla carne, sulla pelle. Rotolò fulmineo di lato, sottraendosi a quel contatto come un animale ferito ed ingabbiato – gli occhi verdi opachi, il viso affilato sporco di sangue. «non fottutamente toccarmi, cazzo» ed avrebbe voluto non suonare così lamentoso e patetico, in quella supplica.
    «cosa ti hanno fatto» Respirare divenne complesso, mentre gli occhi languivano sulla minuta figura in piedi di fronte a sé. La lista era fottutamente lunga.
    E non riusciva neanche a guardarla, CJ.
    Quindi rise, folle e malato. Disfunzionale, come un ingranaggio montato al contrario. Rise perché gli occhi gli pungevano di lacrime, perché la gola bruciava dell’urlo costretto a rimanere immobile nelle corde vocali.
    Le dita di lei,sottili dita da pianista, tentarono di sfiorargli la guancia.
    Si ritrasse, CJ. Dio santo, si ritrasse, CJ. «e tu chi cazzo sei?» la pregò, con il sorriso sghembo di chi poco se ne fotteva, di quel mondo.
    E di chi aveva bisogno, di saperlo.
    Perché si sentiva improvvisamente completo, CJ, in quel singhiozzo soffocato nella bocca dello stomaco. Perché le mani gli prudevano di quel sangue a marchiarlo, vergogna ed umiliazione: perché voleva solamente abbandonare la testa sulla sua spalla, dirle che Cristo, ci aveva provato. Ci aveva fottutamente provato – per BJ, per Sandy. Per sé stesso.
    Non funzionava mai.
    Lui, non funzionava mai.
    Menzogne, ecco di cosa aveva bisogno. Aveva bisogno che lei gli dicesse che l’uomo non era morto; che sarebbero andati avanti, insieme, come avevano sempre fatto. Che non era colpa sua. Che non era da solo, CJ. Che andava bene, ci stesse provando.
    Perché CJ aveva sempre creduto, alle bugie di Adelaide.
    Ignorò gli occhi feriti di lei, un cobalto dal sentore familiare. Ignorò la stilettata al petto, l’istintivo riconoscerne il dolore nella linea delle labbra.
    Voleva andarsene, CJ. Aveva bisogno di andarsene.
    Ed invece rimase, mentre lei gli prendeva le mani nelle proprie. Rimase immobile, ancora seduto al suolo, mentre la ragazza si chinava cercando il suo sguardo: «me l’avevi promesso, cj»
    Un taglio al cuore, il sangue fra le costole. Faceva male, faceva fottutamente male. «ho fatto…» una cazzata, Ade: il sorriso sghembo, le sopracciglia arcuate; il sospiro rassegnato di lei. Sempre, ma non quella volta: CJ inspirò, tossì l’aria ch’era incapace d’entrare.
    Si strappò, si lacerò, dalla presa della ragazza. Scattò in piedi senza guardare nessuno, senza più voltarsi verso l’uomo esanime al suolo - cosa aveva fatto. Si fiondò in avanti, richiamando con battute storte ed ironiche l’attenzione d’un uomo, lo sguardo color giada cieco a tutto all’infuori della mera azione. Non guardò davvero Shia, CJ; non guardò Al, nel sorriso spaccato che comunque gli rivolse. A malapena guardò Niamh, mentre si schiantava di peso contro il nemico di lei, un ginocchio a picchiare violento contro il plesso solare.
    Continuò a correre.
    Doveva andarsene.
    La tachicardia, l’ossigeno che non giungeva ai polmoni. La vista appannata, le mani a tremare.
    Un attacco di panico.
    Doveva uscire.
    Cristo, se doveva uscire. Li avrebbe uccisi fottutamente tutti, se fosse stato necessario.
    Si scontrò con Todd Milkobitch, ed approfittò dell’occasione per premurargli, feroce ed affilato, di muovere il culo. Fammi uscire, fammi uscire.
    Respira, CJ.
    Respira, CJ.
    Ed avrebbe potuto sbattersene le palle, ma non lo fece. Non l’avrebbe mai fatto, CJ.
    Non sapeva neanche il perché.
    Con un braccio afferrò una sedia libera, stringendosela al fianco. L’altro lo allungò, le dita ad indugiare sulla camicia scura dell’uomo - ma fatti i cazzi tuoi, CJ. Fatti i fottuti cazzi tuoi.
    Strinse i polpastrelli sulla manica, strattonando il moro verso di sé. «non ringraziarmi» scimmiottò in un soffio, arcuando debolmente un sopracciglio. Respira, CJ. Sorrise come se il cuore non gli stesse spaccando le costole, come se respirare non fosse ormai un dono. Sorrise come se la presa sulla sua realtà fosse concreta, e non un susseguirsi d’istanti sconnessi.
    Con lo strattone con cui spostò il tipo al suo fianco, fece passare la sedia in primo piano, poggiata ora al petto: «via dal cazzo» mentre spingeva, CJ, contro di loro.
    Doveva uscire.
    Doveva respirare.
    Doveva fare tante cose, CJ Knowles.
    Ed invece: «alla terza, ci skambiamo il numero e via di pigiama party»
    Forse sorrise, o forse non lo fece mai.
    | ms.


    -- will: obi + will › difesa erin: levicorpus su erin
    -- will: pat + will › difesa mitch: le da un pugno
    -- will: attacco combo (+ pat) vs drago!mitch (aka ELVIRA): alimentes flames sull'incendio di pat

    -- run: obi + run › difesa stiles: lo lancia -
    -- run: murphy + run › difesa jeremy: - sul nemico di jeremy
    -- run: attacco vs baguette!stiles (aka AMBRE): la pugnala

    -- mae: byron + maeve › difesa byron: immobilus
    -- mae: shia + maeve › difesa al: evanesco sulla lama
    -- mae: combo attacco (+ shia) vs drago!byron (aka KLIM): petrificus totalus

    -- cj: shia + cj › difesa niamh: calcia il tipo
    -- cj: todd + cj › difesa gemes: lo sposta
    -- cj: attacco barriera: fa ariete di cattiveria


    Edited by #epicWin - 4/8/2017, 13:41
     
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    lucien (20 pa): 30 ps | attacco:jerome(25 pa): 30 ps | attacco:
    run: 21 psscott: 30 psjericho: 30 psbrandon: 30 ps
    cece: 29 pseuge: 30 psthad: 30 psnathaniel: 24 ps
    gemes: 21 psjade: 30 psmeh: 30 psmeh: 30 ps


    DIFESE
    -- (16 PA) EUGE: jade + shot: 8 + 8 = 16 PD
    -- (14 PA) MURPHY: jade + shot: 8 + 12 = 20 PD (+6 PA)
    -- (23 PA) NATHANIEL: joey + sun: 10 + 7 = 17 PD (-6 PS)
    Mancandoti l'aria, hai un principio di svenimento: cadi a terra slogandoti la caviglia sinistra.
    -- (6 PA) CJ: joey + sun: 10 + 7 = 17 PD (+11 PA)
    -- (7 PA) ARCI: murphy + thad: 9 + 3 = 12 PD (+5 PA)
    -- (1 PA) JEREMY: murphy + run: 9 + 11 = 20 PD (+19 PA)
    -- (20 PA) ERIN: obi + will: 7 + 9 = 16 PD (-4 PS)
    Il Bombarda Maxima colpisce una zolla di terreno vicino a te, sbalzandoti a qualche metro di distanza; nella caduta, ti procuri un taglio sull'avambraccio destro.
    -- (6 PA) STILES: obi + run: 10 + 1 = 11 PD (+5 PA)
    -- (11 PA) THAD: thad + todd: 15 + 11 = 26 PD (+15 PA)
    -- (7 PA) PATRICK: pat + elysian: 2 + 6 = 8 PD (+1 PA)
    -- (4 PA) MITCH: pat + will: 3 + 15 = 18 PD (+4 PA)
    -- (11 PA) BYRON: byron + maeve: 4 + 9 = 13 PD (+2 PA)
    -- (13 PA) AMELIA: byron + arci: 4 + 12 = 16 PD (+3 PA)
    -- (11 PA) FOX: elysian + fox: 12 + 12 = 24 PD (+13 PA)
    -- (16 PA) AL: maeve + shia: 2 + 3 = 5 PD (-11 PS)
    L'Evanesco non ha effetto, ed il fendente squarcia lo scudo acido di Shia, provocandoti un taglio lungo trasversale sull'addome.
    -- (6 PA) NIAMH: cj + shia: 8 + 11 = 19 PD (+13 PA)
    -- (18 PA) GEMES: cj + todd: 5 + 4 = 9 PD (-9 PS)
    La palla di fuoco ti colpisce sul fianco sinistro, nonostante i tentativi di Todd e CJ: ti provoca una fastidiosa ma leggera ustione.

    ATTACCHI [vasy]
    -- KLAVA (6): joey + sun: 9 + 13 (+11) = 33 PA. K.O.
    -- IVAN (1): murphy: 4 (+19) = 23 PA
    -- ELVIRA (4): pat + will: 11 + 15 (+4 PA) = 30 PA K.O.
    -- DEMIAN (11): elysian + fox: 3 + 13 (+13 PA) = 29 PA K.O.
    -- GENA (16): shia: 3 PA
    -- ARIADNA (14): shot: 12 (+6 PA) = 18 PA K.O.
    -- KLIM (11): maeve: 15 (+2 PA) = 17 PA

    ATTACCHI [francia]
    -- BAPTISTE (11): thad + arci: 4 + 11 (+15) = 30 PA. K.O.
    -- AMBRE (6): run: 5 (+5 PA) = 10 PA K.O.

    ATTACCHI [barriera]
    -- jade + obi + byron + cj: 8 + 2 + 8 + 8 = 26 PA




    I Draghetti rispondono:
    -- JOEY: Glacius
    -- SUN: Expulso
    -- MURPHY: cerca di farti lo sgambetto
    -- PATRICK: cerca di lanciarti un pugnale
    -- WILL: Orbis
    -- ELYSIAN: Everte Statim
    -- FOX: cerca di strozzarti
    -- SHIA: Petrificus Totalus
    -- JADE: Tribumortem
    -- CJ: Foramen
    -- SHOT: cerca di pugnalarti alle spalle
    -- MAEVE: Collapse

    Le Baguette rispondono:
    -- THAD: Tendi
    -- ARCI: cerca di controllare le correnti per farti volare via (manipolazione aria)
    -- RUN: crea una spada di fuoco per cercare di tagliarti un braccio (manipolazione fuoco)
    -- OBI: Ad Ignem
    -- BYRON: ti sputa addosso (generazione d'acidi)

    Edited by al-coholism - 5/8/2017, 00:01
     
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    Stava praticamente diventando una cosa ingestibile. E come se non bastasse, avevo perso di vista Syria. Non mi sarei mai perdonata se le fosse successo qualcosa. Purtroppo in quel momento, me la stavo vedendo con la barriera di Vasilov, nessuno poteva "imprigionarmi" anche perchè quel chaos, quelle persone, che ci costringevano a stare dentro, sebbene fossimo all'aperto. Sentivo che non avrei resistito a lungo, anzi. Probabilmente la mia claustofobia stava peggiorando, come se prima fosse stata quieta, davvero. Ma non era il momendo di pensarci.
    Dopo aver aiutato la ragazza, dunque, ecco che insieme attaccammo la barriera di uomini che, davvero, erano infiniti. Non so quanti fossero, contarli era impossibile, ma erano troppi prima ed erano decisamente troppi ora. Il problema primario era che necessitavo di uscire da quel luogo, possibilmente ancora tutta intera. Cercai di schivare semplicemente il calcio del tizio che avevo attaccato poco prima. Notando poi che Hope rischiava grosso Relascio lanciaenunciai, puntando contro la lancia stessa, sperando di allontanarla dall'uomo e da Hope. Io ora cerco di colpire gli inglesi, sei con me? dissi a Hope, anche se non sapevo chi fosse logicamente.
    In ogni caso, brandii nuovamente la bacchetta, puntandola contro gli uomini inglesi che facevano da seconda divisione se vogliamo Bombarda esclamai nella mia mente, mantenendo la concentrazione, punta contro di loro, con la speranza di riuscire a combinare qualcosa. Volevo riuscire ad uscire da lì, portando con me più persone possibili..

    20 Agosto 2002
    Ravenclaw
    Claustrophobic
    Neutrale
    The sun will rise again.. [URL=http://tigerdirty.forumfree.it/?act=Profile&MID=8758744]©




    Difende Hope, si difende, attacca la barriera inglese.
     
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    «All the happy families are alike; Every unhappy family is one of her ways. »
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    Si era ripromessa che non avrebbe fatto del male a nessuno, aveva detto a se stessa che non sarebbe più caduta nei tranelli di persone doppiogiochiste come Lancaster o Vasilov, aveva deciso che non sarebbe stata più la Hope pronta a fare anche le cazzate per salvare gli altri; Si era detta che era più matura e che avrebbe pensato prima di buttarsi a capofitto in una missione, eppure era lì rinchiusa nella barriera. Di nuovo imprigionata, a combattere per non morire, come era potuto succedere, era più ottusa di quanto aveva creduto, non era cambiata né migliorata, era la solita ragazzina che senza pensare alle conseguenze si era gettata nella mischia. Guardò il nemico prendersi quel colpo e reagire all'istante. Ovviamente. Come poteva sperare che potesse andare diversamente, sospirò, era praticamente rassegnata a tutto quello, si mise in posizione di difesa quando vide una lancia arrivare verso di lei, provò a spostarsi, di lato, in realtà fu proprio un tuffo sul terreno. Per fortuna non aveva paura di sporcarsi. Nel farlo si ritrovò vicino a Eka, o magari lo era di già, comunque quando si alzò vide che stavano cercando di colpire anche lei. Tornata in posizione eretta avrebbe provato a puntare la bacchetta quel tizio Immobilus sperava di bloccarlo prima che questo compiesse completamente l'azione.
    Io ora cerco di colpire gli inglesi, sei con me? le disse la ragazzina, ma come poteva essere così sicura di se stessa? Lei alla sua età non lo era mai stata e non lo era neanche ora che aveva qualche anno di più, che aveva sulla pelle cicatrici di battaglie passate. Non era mai stata una vera combattente, non le era mai piaciuta la violenza anche se spesso si era trovata davanti a scontri. Avrebbe volentieri evitato di sferrare un altro attacco, avrebbe voluto portare la quindicenne nella zona neutra, perché aiutarla in quel caos era davvero difficile e in base a quello che aveva passato lei, non sarebbe uscita illesa da quella faccenda. Odiava dover vedere persone così giovani lottare per la vita,davvero; ma che scelta aveva se non aiutarla? Non poteva di certo lasciarla lì da sola, non se lo sarebbe mai perdonata. Così annuì va bene disse rassegnata e puntò la bacchetta verso la barriera, ma un secondo prima di sferrare l'attacco pensò di mettere ko prima la persona che l'aveva ferita o provato a farlo dipende dal fato perchè sapeva che avrebbe continuato a farlo; avrebbe pensato dopo alla barriera, così puntò la bacchetta verso Igor e Confundus sperava di metterlo fuori gioco per un po', sicuramente non ci sarebbe riuscita ma avrebbe avuto almeno un paio di minuti per far ragionare la ragazzina e provare a convincerla che la zona neutra era la miglior postazione. Che la via della violenza non era la giusta soluzione, che doveva salvarsi e lasciare che gli adulti compiessero quell'assurdità chiamata guerra.
    | ms.


    Difesa Hope combo con Eka: si sposta
    Difesa combo Eka con Eka: immobilus
    Attacco su Igor: Confondus
    Scusate per lo schifo....
     
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  5. call me lancaster!
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    barriera: 41 ps
    ariadna (15 pa): k.o.boris (20 pa): k.o.
    demian (15 pa): k.o.dimitri (20 pa): 19 ps | attacco: 8 (patrick)
    evgeny (15 pa): 12 ps | attacco: 2 (joey)elvira (20 pa): k.o.
    faddey (15 pa): k.o.fedor (20 pa): 10 ps | attacco: 10 (ekate)
    feliks (15 pa): k.o.gena (20 pa): 8 ps | attacco: 18 (shia)
    georgy (15 pa): k.o.grisha (20 pa): 30 ps | attacco: 1 (will)
    gleb (15 pa): 30 ps | attacco: 10 (sun)igor (20 pa): 5 ps | attacco: 8 (hope)
    ivan (15 pa): 7 ps | attacco: 3 (cj)klava (20 pa): k.o.
    klim (15 pa): 30 ps | attacco: 7 (maeve)ludmilla (20 pa): 13 ps | attacco: 20 (shot)
    lev (15 pa): 30 ps | attacco: 10 (jade)maxim (20 pa): 30 ps | attacco: 14 (fox)
    nikolai (15 pa): 30 ps | attacco: 6 (elysian)rudolf (20 pa): 30 ps | attacco: 10 (murphy)
    sergey (15 pa): 30 ps | attacco:tasha (20 pa): 30 ps | attacco:
    stiles: 30 pswill: 30 psfox: 17 psphob: 30 ps
    arci: 28 psjess: 30 psake: 30 pscain: 27 ps
    cj: 20 pssun: 30 pssin: 30 psobi: 30 ps
    byron: 30 psmurphy: 30 pspat: 30 psmitch: 30 ps
    ekate: 30 psal: 19 pserin: 26 psniamh: 30 ps
    hope: 30 psjeremy: 30 psamelia: 30 psshia: 30 ps
    shot: 30 psmaeve: 30 pselysian: 30 psjoey: 30 ps
    agnes (20 pa): k.o.alain (25 pa): 28 ps | attacco: 5 (thad)
    albert (20 pa): k.o.ambre (25 pa): k.o.
    baptiste (20 pa): k.o.blaise (25 pa): 30 ps | attacco: 9 (arci)
    claude (20 pa): 30 ps | attacco: 7 (run)dorian (25 pa): 30 ps | attacco: 17 (obi)
    etienne (20 pa): 30 ps | attacco: byron (4)gerard (25 pa): 30 ps | attacco:
    lucien (20 pa): 30 ps | attacco:jerome(25 pa): 30 ps | attacco:
    run: 21 psscott: 30 psjericho: 30 psbrandon: 30 ps
    cece: 29 pseuge: 30 psthad: 30 psnathaniel: 24 ps
    gemes: 21 psjade: 30 psmeh: 30 psmeh: 30 ps


    DIFESE
    -- (13 PA) EKATE: ekate + hope: 11 + 13 = 24 PD
    -- (7 PA) HOPE: ekate + hope: 6 + 15 = 21 PD (+14 PA)

    ATTACCHI [vasy]
    -- KLAVA (7): hope: 11 (+14) = 25 PA

    ATTACCHI [barriera]
    -- ekate: 15 PA




    I Draghetti rispondono:
    -- EKATE: Stupeficium
    -- HOPE: ti lancia una sedia in faccia

    Edited by al-coholism - 5/8/2017, 00:01
     
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  6. vq.
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    WAYNE-MADDOX -- 2020 | slyth
    HEATHCLIFF
    love at first sight
    give a damn.
    many damns.
    more dams than anyone.
    you did not wake up today to be mediocre||03.07.17 -- 21:00
    Le regole erano chiare: osservare l’evento svolgersi, controllare che proseguisse nel modo giusto e -regola base dei viaggi nel tempo in qualsiasi film-: intervenire il meno possibile. Aveva poco tempo per controllare come la missione stava proseguendo e in quel tempo, più che controllare effettivamente, avrebbe voluto notare le persone che si era perso anno dopo anno. Era arrivato in leggero ritardo, senza sapere chi avesse effettivamente partecipato alla missione, dei suoi conoscenti. Semplicemente messo di lato, di certo il non interferire non aveva in alcun modo a che fare con il finire l’alcool lì presente? Perché in quel caso, era già troppo tardi. Schiena appoggiata al tavolino, finì per far cadere il bicchiere non appena i russi elevarono la barriera. «Merda, qui rimaniamo bloccati se non facciamo qualcosa.» L’orologio ticchettava più per loro di quanto non l’avesse fatto prima per il ragazzo quasi morente. Per una volta, non aveva seguito quello che succedeva, sperando che in futuro le compagne di missione potessero aiutarlo nel mettere assieme i pezzi. Era troppo preoccupato ad osservare una coppia. La Coppia. Bere alcolici lo stava quasi aiutando, nell’avere a che fare con. E no, non sarebbe diventato come suo padre. Doveva occuparsi di lui e di Jem, prima di ogni altra cosa. La sua famiglia, per quanto sgangherata da quando suo padre era venuto a mancare, veniva prima di tutto. Persino prima dei fin troppi amici a cui teneva, sì, ma mai a quel punto. Rivedere la felicità negli occhi di Jason Maddox bastò al biondo per ritenersi relativamente soddisfatto di quella breve tappa. Avrebbero avuto una seconda possibilità, loro due. Una vita in cui sarebbero potuti essere felici, insieme, innamorati come lo erano nei primi anni in cui Cliff era stato con loro. Osservò Dakota, più giovane di come lo ricordava, ma nemmeno troppo. In fondo, era stato strappato dalla vita presto, decisamente troppo presto.

    In tutto il casino, finì per perdere di vista le mani dei due intrecciate, l’attenzione del giovane venne colta da una sagoma in lontananza. «Jem?» Si trattava più di una domanda rivolta se stesso che non altro. Non era possibile, lui non poteva aver partecipato a quella missione. Non senza dirglielo. Eppure. Non avrebbe dovuto intervenire, Cliff. Parlare con il ragazzo, poi, avrebbe decisamente messo a repentaglio la missione, se ancora non sapeva nulla. Sapete quanto gliene fregava, di quello che i piani alti e le altre persone gli avevano ordinato? Un cazzo. Prima di tutto, la sua famiglia. Poi, gli amici, infine le ambizioni ed il divertimento. Le leggi, in tutto quello, tendevano a perdersi. Bastò che notasse uno del gruppo di Vasilov puntare la bacchetta in direzione del fratello, che immediatamente corse per raggiungere il più piccolo, posizionandosi accanto a lui prima di lanciare quel «Protego!» seguito, quasi immediatamente, da un «Collapse!» Si era lasciato prendere dalla rabbia, complice anche l’alcool dell’open bar perché davvero, sono coglioni quelli che ne mettono uno ad un funerale? Si voltò quindi in direzione del più basso -ancora per poco, probabilmente, visto il suo metro e un tappo- «Tutto bene je… ovane?» Sì, magari evitare di chiamarlo con il suo nome sarebbe un gran bel passo avanti. Si voltò poi verso Hyde. Un volto già visto, della stessa identica età, ma non solo. Lui faceva parte della sua missione. Era improbabile che fossero stati mandati nello stesso posto. «Hey. Ehm, avresti bisogno di un… taxi per tornare indietro?» Inserite occhiolini ovunque per cercare di fargli capire che ovviamente intende un ritorno al futuro, delorean style. Si guardò intorno. «… non trovo la tassista.» Ora, si sarebbe potuto permettere di lasciarsi prendere dal panico. Prima, però, decise di aiutare una ragazza in difficoltà perché… Allora. Era più giovane di lui, decisamente più giovane di lui. Il fatto che fosse un bambino nel cuore non lo giustificava da quell’improbabile cotta. Però capitelo, per quanto sembrasse un maschiaccio con quei capelli corti, appariva così badass (certamente con un great ass). Ma insomma, la veloce cotta per una persona che probabilmente non avrebbe mai più visto in vita sua era qualcosa di così straziante che non poteva farselo mancare. Ah, se solo sapesse che era quella testa di cazzo di Ronan. «Expelliarmus!» Esclamò, tentando di disarmare il traghetto per evitare potesse attaccare la sua dama (no davvero, non è pedofilo, sicuramente gli sembra più grande). Un sorriso quindi, in direzione di Sun, l’altro verso Akelei che, caspita, somigliava decisamente a Meara. Chissà se era tornata indietro anche lei. In parte sperava di no, in nome della sua vecchia gigantesca cotta per lei durata tutto l’ultimo anno di Hogwarts di cui nessuno saprà mai. Assolutamente nessuno.
    | ms.


    difesa joey: protego mentre sta accanto a lui (combo con hyde)
    difesa sun: expelliarmus sul mangiamorte che cerca di scagliare l'incanto (combo con ake)
    attacco evgeny: collapse #howdareyou #donttouchmylilbro
     
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    who you should be?
    before you start a war You better know what you're fighting for
    Lasciò che il pugnale affondasse, aspettò di sentire il corpo dell'uomo afflosciarsi sempre più privo di forze, e solo allora fece scomparire l'arma fatta di luce, come se non fosse mai esistita.
    Si staccò leggermente dal soldato, guardando intorno a sè come quella barricata umana al momento sembrasse insormontabile, nonostante tutte le persone che gli si accanivano contro. Possibile che non ci fosse un altro modo? Possibile che Lafayette, invece che aiutare nella fuga bambini e feriti, preferisse mandare i suoi uomini contro inglesi che non avevano fatto nulla? Li vedeva, i francesi puntare gli studenti, gli stessi che Jade aveva allenato fino a qualche mese fa prima della gravidanza. Li vedeva, i francesi giocare sporco. Se volevano allearsi all'Inghilterra, quello non sembrava il metodo giusto, neanche a Jaden.
    «tranquilla jade, anche io sto bene»
    Sentito il proprio nome, si voltò verso Run. Col cazzo che Run stava bene.
    «Lo so» ammiccò, e si chiese se avrebbe avuto il tempo di far del male anche a chi aveva toccato Run, o se questo, badass com'era, se ne sarebbe occupata prima.
    Si massaggiò le mani fra loro, per far andare via il sangue del drago che aveva steso, guardando poco distante Shot e Murphy discutere. Accennò un sorriso triste, pensando a quante volte una scena del genere era già capitata in passato, con lei, Run e April con una mano sulla faccia per nascondere una risata. April, già... combattere, e pensare alla salvezza di Uran, alla propria per tornare da lui, la aveva distratta dal pensiero dell'amica, ora tornato prepotente. "E se la Francia davvero...?" scosse in fretta l'idea dalla testa. Che Lafayette avesse orchestrato il tutto oppure no, lei non voleva saperlo. Vasilov e i suo sgherri restavano i cattivi sulla scacchiera. Vasilov, i mangiamorte.
    «sali sul palco, murph. ora.»
    «MA NON SE NE PARLA NEANCHE!»

    Riscossasi, Jade guardò la ragazza allontanarsi, e uno Shot frustrato seguirla con gli occhi tra la folla. Era sempre stata invidiosa dello sguardo di Shot per per la ragazza; non perchè fosse lui, figuriamoci, ma solo perchè si era sempre chiesta come fosse riceverlo, e come facesse la Skywalker a non notarlo.
    «Ci penso io a lei» E non avrebbe avuto bisogno di dirlo, perchè Shot sapeva quanto la Beech tenesse all'amica, ma sperava che fargli sapere che anche gli occhi blu della neo mamma fossero puntati a lei lo avrebbe aiutato a stare tranquillo.
    «Tu butta un occhio se vedi il mio idiota nei guai» Non mio perchè Euge fosse suo suo in quel senso, eh, solo... suo. Come potrebbe esserlo lo yogurt nel frigo con scritto "non mangiare!". E suo come Murphy era di Shot (quindi non lo era #wat). Qualcosa del genere, ecco (???). «Magari senza ignorare troppo la nostra idiota gelosona» #ciaorun
    Ah! Era quasi simpatica quando voleva #no
    E seguì davvero Murphy, lei e i bambini, senza allontanarsi troppo dalla barriera che circondava la radura, la mano sul taschino della giacca per assicurarsi di sentire nel caso il cellulare avrebbe vibrato magari in una chiamata della madre riguardo Uran.
    Alla fine fu un bene aver tenuto d'occhio Murphy, perchè uno dei mangiamorte stronzetti allungò il piedino nel tentativo di farla cadere. MA NON OGGI! E prima che l'uomo riuscisse nel suo intento, Jade- Jade vide Amos Hamilton. Non aveva fra le mani una spada, oh no. Non era goffa o erratica come un fulminatore... era elegante invece, per tempi più civilizzati.
    Era
    una
    fottuta
    spada laser.
    Se Jade non avesse mai pensato di usare il suo potere per creare un'arma da Jedi? Certo che ci aveva pensata, e l'aveva anche già creata grazie alla luce. Lo stesso Eugene gli aveva chiesto di fargliene una, per andare a vedere Rogue One giustamente armato, e Skandar impazziva quando al quartier generale Jade faceva i suoi giochetti, mentre lui doveva accontentarsi di allungare gli ombrelli pieghevole chiusi lanciandoli avanti mentre faceva con la bocca il classico suono del laser cristo, arianna l'ha fatto domenica scorsa, e ha ucciso un bambino oltre ad aver rotto l'ombrello NON FATELO A CASA RIPETO NON FATELO A CASA
    Tuttavia
    Tuttavia la Beech non aveva mai pensato di usarlo davvero come arma. Madonnaemanuele. Era geniale.
    «Skywalker!» gridò, a caso, giusto perchè faceva atmosfera già che c'erano, e copiando l'Hamilton creò dal nulla, attingendo alla luce, una spada laser azzurro come il cristallo Kyber, e usata la super velocità si sarebbe avvicinata in tempo prima che l'uomo facesse lo sgambetto a Murphy, laserandogli (??) una gamba. CON TANTO DI «SWIIUUNN!»
    Era una nerd non giudicatela.
    Distolse lo sguardo dalla scena notando lì vicino un ragazzo, che a tempo con i gesti suoi e di amos aveva fatto lo stesso verso. Era uno sfottò, per caso? Nah, chiaramente era anche lui un fan. Come si può non amare Guerre stellari? «Ne vuoi una?» che vi devo dire, si sentiva particolarmente caritatevole, ma ignoriamo la risposta che Jek le diede, e pensiamo ad Amos, che evidentemente pensò che la Beech volesse ingannare il poverello dandogli una spada farlocca, perchè gliene diede una lui. Meh, ok. Per una volta che voleva essere karina. Lo perdonò solo perchè aveva avuto l'idea geniale delle spade, e perchè era nel club delle mamme bionde single (cosa? Amos non era la mamma di Cash? Ma chi prendiamo in giro.)
    «Mi ricordi qualcuno» disse a una certo punto, studiando il ragazzo. Murphy nel frattempo non si sa, forse chiedeva anche lei una spada laser, forse stava avendo fantasie su lavaggi di auto porno gay con Shot e Elijah, ma a Jade non importava tanto quanto la faccia del nuovo arrivato. «Ci conosciamo? Forse al torneo di wresling a scuola? Dal fabbro... Ho capito, al corso di ballo figurato, due semestri! Io ero in fondo perchè ho le caviglie fragili... Andiamo aiutami a ricordare!» -cit
    Meh, acab, non le importava poi davvero capire perchè quel tale le sembrasse tanto familiare (alla fine i maschi si assomigliano tutti se ci metti la barba #wat), quindi se ne andò verso l'infinito ed oltre, roteando la sua nuova spada laser (e ignorando la fottutissima spada di fuoco del ragazzo che, evidentemente, era un pirocineta coglione).
    Fu così (?) che notò William Barrow nei guai.
    Non che Will le fosse mai stato particolarmente simpy, ma una volta era il capo della ribellione, quindi tanto malaccio non doveva essere, almeno a livello di ideali. Poi era stato corvo, dai, ed era amico di Euge... un po' di credito glielo doveva.
    Contro il draghetto che aveva puntato Will, fece roteare l'arma, rendendola nel frattempo una spada laser a doppia lama, come quella di Darth Maul in Star Wars: Episodio I - La minaccia fantasma. Le spade a doppia lama erano solitamente usate da chi prediligeva il lato oscuro della forza, in quanto più violente e meno accurate, ma sapete a Jade quanto importava? Poco Tanto. Infatti sapeva che probabilmente sarebbe stata una Sith #wat #darthvadersposami #xoxox
    Avvicinandosi al mangiamorte avrebbe dato un colpa da majorette (?) alla mano della donna che teneva la bacchetta (tranciandogliela di netto col laser? Ops.«MAMMA GUARDa, SENZA MANI!»), proprio mentre Akelei tirava via William (aw love finds a wa- signore, doveva smetterla di passare tanto tempo con Euge).
    Jade si perse un millesimo di secondo a fissarle le tette, capendo improvvisamente perchè Eugene avesse quel gruppo per commentarle, ma prima di iniziare a sbavare già era tornata attenta alla scena, e tentò con un agile fendente di trapassare il fianco alla donna drago.
    Un po' le dispiaceva, eh.
    Ma anche no.
    | ms.


    DIFESA MURPHY con Amos. SPADE LASERRRRR (taglia il piede al kattivo)
    DIFESA WILL con Ake. SPADE LASERRRR trancia la mano della draghetta
    ATTACCO GRISHA con Ake SPADE LASERRRR te spiezzo in due
     
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    Can you fix the broken?
    hit it until it breaks || 03.07.17 - 21:00
    15.01.2043. Uno schiocco di dita, una flebile fiamma a danzare sui polpastrelli poco lontana dalla punta della sigaretta; gli occhi azzurri - gli stessi limpidi zaffiri di sua madre, come aveva sempre tenuto a fargli notare suo padre, il tono malinconico tra l’aroma di tabacco e luppolo ad addensare il profumo dell’uomo, mentre in quelli del più piccolo dipingeva diverse sfumature del celeste di Maeve, sempre nuove e sempre bellissime - a cercare di perdersi tra le fughe delle piastrelle sul terreno, nella vana speranza di non vedere nulla, di non sentire nulla. Fin troppo difficile, per chi aveva sempre sentito tutto fin troppo distintamente - ogni risata ed ogni pianto ed ogni abbraccio, impresso nell’amigdala a disegnare gli intricati sentieri nell’infinito labirinto della memoria emotiva, a mancare come l’ossigeno quando si ripresentavano inaspettati alla porta del subconscio.
    Jekyll Orwell Crane-Winston, non voleva vederli andare via, dimenticarsi per sempre di lui, di loro. Non lo aveva mai voluto. Non voleva alzare lo sguardo, incrociare quelli dei suoi amici, della sua famiglia, e leggerci dentro quello che sarebbe stato un ultimo saluto. Un commiato che aveva il retrogusto amaro dell’abbandono, definitivo nell’inderogabilità di una scelta che tutti quanti erano stati chiamati a fare.
    Non era mai stato bravo, con gli addii – che mascherava dietro un ampio sorriso il vuoto allo stomaco, l’assenza a premere nel petto prima ancora che la testa potesse capire l’effettivo danno. Eccelleva, il pirocineta, nel dispensare affetto e felicità con i gesti più stupidi e sinceri, a caratterizzarlo un’ilarità ed un’esuberanza che, a detta degli amici dei genitori quando non degli stessi, nessuno riusciva a comprendere da chi avesse ripreso - era il migliore, in quello.
    Allora perché, alla fine, lo lasciavano tutti? Perché ci tenevano così tanto, ad andarsene? Non che il biondo, d’altronde, avesse mai chiesto a nessuno di rimanere – restava lì sulla punta della lingua, penzoloni dalle labbra dischiuse, quell’inespressa supplica a pulsare sulle gengive. Restava lì, quel segreto taciuto dal biondo, quella volontà che mai aveva espresso a nessuno – perché non sapeva come chiederlo, di non venire abbandonato. Che era lui, a sbagliare, non glielo avevano mai detto; non aveva mai pensato, di essere lui quello sbagliato – il proverbiale gioco divertente fintanto che durava, e che quando iniziava ad annoiare, petulante e ripetitivo, nessuno aveva voglia di seguire; perché bastava sempre Jekyll, fino a quando non diveniva il troppo che stroppiava, fino a quando non si trasformava in nient’altro che la solita ordinaria routine. Che dovesse imporsi lui, un po’ di più, non glielo avevano mai fatto notare: perché di suo, il Crane, già lo faceva con la sola presenza, senza pretendere nulla se non quella altrui, senza tenere nulla per sé se non le proprie paure – ed aveva sbagliato, lo aveva sempre fatto.
    Aveva sbagliato, quando non era riuscito a chiedere a Maeve Winston di non lasciarli da soli, immobile davanti ai ricordi della madre, le braccia di Mabel strette attorno alle spalle – perché poteva farlo, per loro: perché immaginava fosse difficile, ma non le stava chiedendo così tanto; poteva raccontargli ancora un’avventura passata, una storia dalle sfumature mitologiche e concrete, di insegnargli qualcosa in più. Di rimanere: solo un altro po’, solo per sempre.
    Aveva sbagliato quando le parole non erano uscite, quando non era stato in grado di supplicare Aloysius Crane di restare assieme ai suoi figli – di cantare loro un’altra canzone, di strimpellare ancora un po’ la chitarra, di illuminare le notti più buie e tristi di piccole stelle in una stanza nella penombra: solo un altro po’, solo per sempre.
    Accese il cilindro di tabacco, le mani tremanti giustificate dal freddo inverno inglese e gli ultimi preparativi, le ultime avvertenze dirette ai missionari a suonare distanti nelle orecchie - troppo forti, per quelli che rimanevano; troppo pesanti, nello stomaco di chi stava lì a guardarli scomparire. Alzò gli occhi senza nemmeno accorgersene, distratto da tutto e da niente. Preso, da tutto e da niente. Altrettanto repentinamente lo distolse, senza voler sapere ancora quanto mancasse – le iridi chiare a cercare nell’oscurità appena rischiarata quelle di chi, come lui, aveva scelto di non partire. Di non dimenticare: non aveva mai ritenuto tanto quella missione un qualcosa di stupido come si ritrovò invece a fare in quel momento – River, Grey, Ade, tutti a cercare di non pensarci. Non chiese il permesso - non aveva mai dovuto farlo - quando andò ad abbracciare Hyde da dietro le spalle, il mento poggiato sulla testa del fratellino e le palpebre calate. «mi serviva un poggia testa» si giustificò, stringendolo un po’ di più – ad impedirgli, di andarsene. Almeno lui, glielo doveva; che ancora temeva, che anche gli altri prima o poi sarebbero partiti: come avrebbe potuto biasimarli davvero? C’era il loro tutto, proprio davanti agli sguardi carichi d’apprensione, a vibrare negli ansiti più preoccupati – e c’era il loro tutto, lì dietro. Eppure, Jekyll non riusciva davvero a comprendere la loro decisione. Nemmeno per un istante, lui, aveva pensato di prendere parte a quella cosa, se non come vigilante – un salto indietro, un salto avanti, una semplice passeggiata tra due epoche diverse e oh!, ma guarda: ci sono mamma e papà; ci sono Run e Gemes, zio Sin e Murphy, e Shot e Dakota; magari, possiamo parlargli. Soltanto un attimo, promesso, poi ce ne andiamo. Non poteva nemmeno pensarci, di tornare indietro e non ricordare
    Non ricordare quella volta in cui era uscito di casa senza avvisare i genitori, intrepido già all’età di cinque anni nello scavalcare la staccionata che separava la loro casa dall’ambiente esterno e vagare in solitaria senza alcuna meta – solo per il bisogno di sentire un po’ di libertà, di uscire e di correre senza qualcuno dietro a controllarlo. E quella volta in cui si era perso, camminando troppo più in là, gli occhi carichi di lacrime e le labbra tremanti; quella volta in cui sua madre l’aveva ritrovato, e l’aveva stretto al petto, il sorriso morbido a piegare il volto diafano e la supplica di non farlo mai più.
    Non ricordare la prima volta che aveva sentito suo padre suonare la chitarra, intonando un vecchia canzone dei suoi tempi - Pink Freud, forse? -; quella volta in cui gli aveva chiesto, dipinta sul volto fanciullesco la più ingenua delle ignoranze, cosa stesse facendo. Se potesse aiutarlo, in qualche modo, per il solo capriccio di rimanere dentro quella stanza e sentire un po’ di più la voce dell’uomo, imparare qualcosa di nuovo e sconosciuto fino ad appassionarcisi - fino a farlo diventare il suo tempo pieno.
    Non ricordare quella volta che aveva costretto Mabel ad insegnargli come si allacciassero i nodi delle scarpe, e non contento del primo successo le aveva sciolte, e sciolte ancora e poi un’altra volta, solo per ridere di gusto con la sorella per tutte le volte che lei rimaneva lì piegata a ripetere l’operazione fino allo sfinimento – della bionda, non di Orwell: era instancabile, sia da ragazzino che da pseudo adulto.
    Non ricordare quella volta che aveva chiesto a Grey perché si chiamasse in quel modo, pur essendo nera anziché che grigia (un dilemma che ancora, a volte, lo attanaglia) – ultimo tra tutti, il problema di chiedersi perché fosse così fisicamente diversa da lui, Hyde, River e le gemelle; perché per Jekyll, non aveva mai avuto nulla di dissimile dal resto della famiglia, lei. O quella volta che River gli aveva insegnato a guidare la macchina di papà, nonostante non avesse ancora l’età per farlo, finendo per capitombolare in un burrone che, giurava!, fino a qualche minuto prima non c’era. O quell’altra volta ancora, quando Gwen era appena tornata accasa dopo un’estenuante seduta dall’estetista e lui, accidentalmente, le aveva dato fuoco alle sopracciglia appena aggiustate – guadagnandosi piatti lanciati addosso tra urla e imprecazioni, e risa del resto della famiglia.
    Non ricordare quell’esibizione in quel pub anonimo di Londra, uno dei più sconosciuti ed anonimi, e Davina sotto al palco; non era un poeta, Jekyll, e probabilmente non sarebbe mai stato bravo come credeva fosse suo padre, ma cantare era la cosa che lo faceva sentire meglio - il modo migliore, per esprimere quei sentimenti che a parole negava dietro battute e stupidaggini. Non ricordare quella dedica, canto più che orazione, musica a coprire i silenzi: e quel bacio, strappato ad un tempo ed uno spazio al quale non sarebbe più appartenuto.
    Non ricordare tutte le volte, ogni singola volta, che Hyde non stava bene – i tremiti esagerati, la pelle traslucida, più pallida della normale carnagione del fratello. E tutte quelle dannatissime volte che in silenzio, senza che lui potesse accorgersene, si sdraiava al suo fianco stringendolo tra le braccia, il calore naturale del maggiore ad intiepidire le ossa del più piccolo – e la silente promessa, che non gli sarebbe mai accaduto nulla fintanto che la notte poteva raggiungerlo a scacciare quei demoni.
    Non ricordare Ade, CJ, BJ, Cliff, Joey, Kieran – non ricordare nessuno.
    Non ricordare se stesso.
    Non era disposto, a perdere così tanto – che già così, stava perdendo troppo.
    «è ora».
    Era ora – ed era quel momento, e tutti quelli passati, e tutti quelli futuri che si sarebbero persi.
    Fece per sporgersi, nell’aprire gli occhi sulla schiera in partenza. Dire loro di non farlo, dire loro che voleva aggiungersi; c’erano troppe cose in ballo, e Jekyll non era avvezzo a situazioni simili. Era un ragazzo semplice, si limitava a poche cose alla volta – suo fratello diceva che non era abbastanza sveglio per fare più cose contemporaneamente, tipo parlare e camminare allo stesso tempo, e forse aveva ragione. Non si mosse. Li osservò, e basta.
    Non gli aveva detto addio - non lo aveva mai fatto.
    Non l’aveva detto ai suoi genitori, anni prima.
    Non l’aveva detto a Davina, quando aveva cercato di convincerla a non andare, a non lasciarlo - e l’aveva lasciata lui, sperando e pregando che così facendo lei avrebbe cambiato idea: ma non era abbastanza, Jekyll Crane-Winston, per chiedere tanto.
    Non l’aveva detto a Mabel e Gwen, nascondendo in quel «non osate scordarvi di me» la sempre tacita richiesta di restare – solo un altro po’, solo per sempre.
    Era palpabile, la partenza – alzò una mano sorridente, nascoste dietro i denti le mille parole non dette. Perché non era capace di gestire la tensione, Jekyll – sfociava nell’eccesso di ridicolaggine, il biondo, senza nemmeno rendersene conto; quando, perlomeno, non si chiudeva in un religioso silenzio duraturo. «FATE BUON VIAGGIO EH» urlò, nel silenzio generale. Non era il caso? «E RIPORTATECI I SOUVENIR»
    Guarda che non tornano.
    Guarda che non tornano.
    «E FATE TANTE FOTO MI RACCOMANDO!»
    Non poté quantificare, il tempo che era passato da quando erano scomparsi – quanti respiri aveva trattenuto, quanto aveva più stretto a sé il fratello, quanti battiti persi nell’eco.
    Se n’erano andati. L’avevano fatto davvero; e lui che, fino all’ultimo istante, ci aveva sperato non lo facessero: quanto poteva essere stupido? Tanto. «ho bisogno di un abbraccio di gruppo» sussurrò al fratello, tentando lentamente e discretamente come un granchio sul bagnasciuga, di avvicinarsi agli altri: nessuno voleva fare abbraccio di gruppo - quindi, li prese singolarmente, anche se loro non volevano. Le molestie, le aveva riprese tutte da Run. «sa, raga; briscoletta? Tanto abbiamo un po’ di tempo per-» eeee rumori sospetti. Era tanto che non li sentiva, un po’ gli mancavano. «-… morire?» tentò, mentre gli spari echeggiavano.
    Inutile dire che, Jekyll, non ci stava capendo un cazzo.
    Non erano in un bunker? No, in realtà no: ma un po’ ci somigliava.
    … Non è vero, ma ok.
    «HYDE HO PERSO INJIN YAYAY» «CHI?» «HALLAH KEBAB» «COSA» «UHUHUH GANGA» «perché non sei partito.» «IL CRONOCINETA»
    Uno sparo.
    Qualcosa, qualcuno, li prese – degli altri nessuna traccia.
    Uno strappo allo stomaco.

    2016. Il deserto.
    Il fottutissimo deserto. «hyde copriti» fu la prima cosa che gli venne da dire, sotto i cinquanta gradi all’ombra – che d’ombra, non v’era nemmeno l’ombra. «ma fa caldo» «sì, ma ti becchi un’insolazione» - a volte, un po’ di Winston!Jekyll usciva fuori.
    «sto morendo jeky y yyyyy ll hyde e e e e e eE EeEe»
    «mh.»
    «mh»
    «pensi stia davvero morendo?» Jekyll si avvicinò, prendendo un rametto bianco da terra per punzecchiare il cinese. «uh, ma è un serpente! HYDE TI PIACE?» «POSALO» «MA GUARDA CHE MUSINO!» Hyde, giustamente, lo ignorò, preoccupandosi di punzecchiare il fianco del cronocineta con il piede. «amen, fratello; beato te» «è morto?» «tra poco»
    Morì, poco dopo, minacciato da Jekyll di non fare il cinese – quando scoprirono che, sorpresa!, era giapponese.
    Questa è la breve storia triste di come Jekyll Orwell Crane-Winston adottò un serpente albino.
    E di come i due fratelli si ritrovarono persi per gli Emirati Arabi.
    Fine?

    «merda» ringhiò piano Gemes, lo sguardo a saettare dai suoi difensori alla bruciatura sotto pelle. «non ringraziarmi»: piccolo stronzetto; apprezzava, davvero, che avesse ritenuto opportuno ricambiare il favore di poco prima tentando di salvarlo dalla palla di fuoco, ma onestamente? Avrebbe preferito che lui e il Milkobitch si fossero tenuti da parte, magari sarebbero stati più utili. Non si soffermò più di tanto a guardare Todd, che forse l’astio per quella disfatta non aveva niente a che vedere con la palla di fuoco, seguendo invece i movimenti dell’altro, la testa rasata a fare da sfondamento della barriera – le mani di Gemes distratte, tanto quanto distratto era lui, a sfiorare i margini della ferita. C’era qualcosa di sbagliato, in quel ragazzo. Disfunzionale – nella risata sprezzante, nei modi bruschi, negli scatti, in quella malsana disperazione a trascinarlo da una parte all’altra.
    Una tempesta, una catastrofe - una calamità naturale, di quelle che osservavi per ore ed ore, senza la forza di battere ciglio. Sorrise tagliente, la lingua a scoccare sul palato – gli occhi a guardarsi intorno, una bacchetta puntata al ragazzo. Due occhi azzurri - al che, Gemes, semplicemente si fermò.
    Qualsiasi cosa, in lui, si fermò – il battito, il respiro, la ragione. Perché non era semplicemente possibile.
    Fu un solo attimo, un solo dannatissimo attimo, in cui le iridi blu dell’Hamilton caddero in quelle d’oltremare della ragazza: fu come guardarsi allo specchio, per il telecineta.
    Fu come osservare una parte di sé, muoversi nella folla staccata dal proprio corpo, il suo stesso riflesso ad allontanarsi dalla superficie di vetro - fu così strano, da essere fastidioso.
    Da essere meraviglioso: di una meraviglia, che non aveva mai realmente provato; di una meraviglia, che non riconobbe scrutando le iridi di giada del giovane ariete.
    Puntò la mano, riscossosi nel momento in cui la ragazza fu entrata in scivolata sul ragazzo, verso la bacchetta di uno sgherro di Vasilov, l’intento di togliergliela dalle dita a scivolare inconsistente nell’aria, fino a poterla toccare - istinto, non ragione: perché non aveva niente a che fare, con quei due, non era compito suo aiutarli.
    Perché l’avrebbe fatto sempre, e sempre l’aveva fatto.
    «tu non vieni?»
    Cosa. Seguì lo sguardo della ragazza, seguì lei prima ancora di capire davvero, gli occhi puntati sulla figura di Run – e subito, il quesito sorse spontaneo. «perché dovrei?» Perché no?
    Perché, no. Si convinse, che se aveva accondisceso silenziosamente alla semplice richiesta della ragazza – così naturale, quel quesito, così normale; quasi fosse una cosa di tutti i giorni, sapete? – era stato solo perché, nel caso fosse morta la Crane, sarebbe morto anche lui. Non voleva permetterlo.
    Si convinse così tanto, che fu l’unico motivo per il quale alzò una sedia telepaticamente, diretta verso la testa dell’aggressore. Si convinse così tanto, da non esserlo affatto - che forse, non lo era mai stato; il piede a spezzare lo schienale di un’altra sedia, il semplice bastone di legno riarrangiato molecolarmente a divenire un pugnale fai da te.
    Si convinse così tanto, che se non la guardava negli occhi poteva credere che fosse vero – il legno a cercare, nel petto dell’uomo, qualcosa da trafiggere.

    «sa, sa. Prova, prova» come ci fosse arrivato, su quel palco, Jekyll non lo sapeva. «yo, ciao raghi, mi sentite?» No, ma nessuno lo disse – perché, ovviamente, non lo sentirono. Come ci era arrivato, a quel funerale, Jekyll non lo sapeva. «a tutti voi del funerale mani in alto che mi affetto per Vasilov in due» indicò quello che sapeva essere, grazie ai libri di storia - aka, mamma, Mabel e Hyde, essere il preside di Durmstrang. Non se lo filò – e lui che gli aveva anche fatto l’occhiolino! Perché ci fosse una guerra in atto, Jekyll non lo sapeva - e cercò tra la folla la famiglia, gli amici, tutti. Un sorriso, ad increspare le labbra, la carnagione resa bronzea da un anno in Medio Oriente a tirarsi. «lo sai che Lancaster è il mio idolo da sempre» indicò l’uomo – anche lui famosissimissimo nel futuro per il suo swag. «che a Salem vende cazzate per la povera gente» il flow venne interrotto da un pop-corn, evidentemente di Willy, lanciatogli addosso - oh beh, almeno qualcuno lo stava ascoltando. «dai skerzo tvb lanchi»
    Come fosse arrivato a Londra, Jekyll non lo sapeva.
    Aveva troppo sonno, Franklyn Daniels - così aveva detto di chiamarsi, allo sceicco quale - per pensare razionalmente. Considerando che già non lo faceva quando di sonno non ne aveva, è tutto dire. «non ballo, non sballo – uh guarda Hyde» si staccò un attimo dal microfono, senza puntare gli occhi sul fratello: era ovvio fosse lì. E invece, probabilmente era a fare harakiri da qualche parte. «papà sta morendo – di nuovo! Non è cambiato proprio nulla, eh» - che tutto, era fottutamente cambiato. «NON SPUTO SU MIA NONNA, NON SPARO SULLA FOLLA.» ed era lì, il nocciolo della questione del rapper – perché cristo, erano tornati indietro nel tempo per mettere a posto tutto, e adesso si ritrovavano con una guerra mondiale. Davvero?
    Non sparo sulla folla.
    Non sputo su mia nonna.
    Non lo capivano?
    Non si sputava, sulla nonna – no, scusate: non si sparava, sulla folla.
    «sono soltanto un bianco, che suda come un nero, che rappa come un razzo, attaccati a sto» «ci sono dei bambini, jek» «hai ragione, willy – PALAZZO!»
    Lasciò cadere il microfono a terra.
    Nessun applauso: ora, okay che era stanco e magari non aveva dato il meglio di sé, ma insomma. Un po’ di incoraggiamento? No, eh. «uuuuuh river! TUPP!» nemmeno si curò, del fatto che, beh, non avrebbe dovuto interferire – ma come poteva non rompere le palle a quel cagacazzi di suo fratello, quando questo era ancora un neonato e non poteva sgridarlo perché gnegnegne jekyll non puoi dare fuoco alle tende dei campeggiatori. Scassa minchia. Fu voltandosi, che la vide.
    L’aveva già vista, mentre cercava inutilmente di aiutare Al, ma ora era lei in difficoltà - e papà a morire male, quindi non poteva intervenire. «hyde, mamma, attacco, difesa, via» chiamò il fratello al volo, ovunque egli fosse, gettandosi dal palco come un concertista strafatto di coca – rotolando poi sul prato, da vero esperto perché mai nessuno lo prendeva quando si gettava a fine canzone. In concomitanza con Hyde, premurandosi di non guardarla troppo - non intervenire, Jekyll, non intervenire - l’aiutò a scansarla, frapponendosi tra lei e l’attaccante, una barriera di fuoco a difenderla.
    E poi, le vide.
    Spade laser.
    Lele ha sonno.
    Si avvicinò zitto zitto quatto quatto a zio Amos e Jade, mentre questi ingaggiavano una battaglia con spade luminose – aw, quanto li amava. «SWIUUN SWIUN SWUUUSH SWUUUSH NA NA NA NA NA, NA NA NAAAAAAA» perché che lotta era, senza sottofondo musicale di Star Wars? Una merda, ecco cosa.
    Jekyll andò in brodo di giuggiole, quando Amos gli disse di averlo sentito - che voleva imparare da lui, quando anni dopo (o prima?) era stato il contrario. What a time to be a time traveler. Accolse la spada laser con summo gaudio tra le mani, individuando uno zio Shia non troppo lontano in procinto di morire - vizi di famiglia -, e sebbene deluso dal fatto che l’Hamilton mini non avesse voluto la sua spada di fuoco, lo seguì alla difesa del suo babbo natale preferito, quello che invece dei dolcetti nei pacchi metteva la droga.
    Sono le cinque e un quarto, quindi senza pensarci troppo provvide a cercare di tagliare le braccia all’attaccante, per poi ritornare da mamma.
    Mamma - poteva abbracciarla? «hyde, posso abbracciarla?» «no» «papà? Mabel?» «no»
    Eh vabbè ci aveva provato. «allora do fuoco al tizio» e così fece.
    Era sempre così bello, dare fuoco alle persone – anche se ogni volta lo sgridavano un po’ tutti.
    | ms.


    Jekyll
    Combo difesa con Hyde, per Maeve - barriera di fuoco
    Combo difesa con Amos per Shia - spadate laser
    Combo attacco con Hyde su quella baldravca che attacca mamma e che non mi ricordo - gli da fuoco *creepy psychotic laughter*

    Gemes
    Combo difesa con Ade per CJ - fa volare via la bacchetta a coso
    Combo difesa con Ade per Run - lancia una seria al tizio
    Combo attacco con Ade su quello di Run - lo pugnale con una sedia riarrangiata


    Edited by insomniac; - 5/8/2017, 05:35
     
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    2038


    Aveva una brutta sensazione, Adelaide. Una di quelle che s’insinuavano sulla lingua e nelle vene, che premevano sul cuore minacciando di schiacciarlo. Sedeva al tavolo della cucina, debolmente illuminata dai raggi di sole che filtravano dalle persiane semi chiuse; le sembrava di essere lì da anni - le sembrava di essere nata per aspettare. Le dita incrociate, il capo chino. Inspirava ed espirava, la Milkobitch - eppure, sentiva di non volerlo più fare. Non era mai stata come i suoi fratelli, lei. Non aveva mai avuto lo spirito distruttivo e dedito al caos di CJ, né quello di mantenere saldo il controllo e le redini tipico di BJ - il quale non fidandosi del gemello, tendeva a seguirlo ovunque andasse: Adelaide, della sua famiglia, s’era sempre fidata. Non aveva mai dubitato di loro. Quando dovevano uscire per fare qualche commissione, che fosse cercar cibo o qualche roba da adulti, lei preferiva attenderli a casa. Perché aveva sempre saputo, Ade, che sarebbero tornati. Aveva sempre creduto, Ade, che sarebbero tornati. Normalmente si trattava di una ragazza realista, sapete – sognava poco, e quando lo faceva, lo faceva male - eppure non aveva mai preso in considerazione l’idea che i suoi genitori od i suoi fratelli potessero non oltrepassare la soglia di casa. Non era certo nuova alla morte, quando mai: Adelaide Milkobitch era nata medium, e nel corso degli anni aveva sorriso triste a ben più di un viso conosciuto. Suo nonno, i suoi zii.
    Aveva una brutta sensazione, Adelaide.
    Quindi non si alzò, quando udì gli strascicati passi nel corridoio. Ingoiò il cuore e la saliva, le nocche ormai bianche dallo sforzo - ed attese, Ade. Le chiavi nella serratura. Un sibilo fra i denti.
    Il tonfo sordo di qualcosa che cadeva a terra.
    Drizzò la schiena, si alzò in piedi. Lisciò le pieghe dell’abito color crema, i capelli corvini legati con un nastro nero dietro la nuca. Uscì dalla cucina.
    BJ giaceva scomposto a terra, il viso sporco di sangue e terra. CJ, le braccia lungo i fianchi, non guardava nulla. Faceva sempre così, CJ. Un primo respiro a caderle sulla lingua, incapace di proseguire.
    «CJ» ed avrebbe dovuto bastare, invece non lo fece. Il fratello continuò imperterrito a guardare il pavimento, il capo chino e le spalle curve. Così sottile, che pareva potesse spezzarsi da un momento all’altro - e forse l’aveva fatto. CJ non era come lei, o come BJ: lui non provava le stesse umane emozioni degli altri, lui le ingoiava intere senza masticare. Come droga, come un sorso asciutto d’alcool – e rimanevano sullo stomaco, a bruciare e logorare. Era uno dei buoni, CJ Hamilton. Contro ogni prognostico, contro ogni sorriso spezzato, contro ogni guancia sporca di sangue, suo fratello sarebbe sempre stato, uno dei buoni.
    «cos’è successo» ed in realtà già lo sapeva, Adelaide. Già poteva immaginarlo, pur rifiutandosi di crederlo reale. Già poteva sentirlo nel battito a mancare, nel sangue a farsi rame sui denti, nelle gambe divenute improvvisamente molli. Già poteva sentirlo in quella voce stritolata, soffocata da un nodo impossibile da deglutire.
    Già poteva sentirlo nelle lacrime ch’erano scivolate sulle guance senza chiederle il permesso.
    «rispondimi» ti prego.
    Non lo fece.
    «devo andarmene.» «cristo, cj!» ed allora annullò la distanza che li separava, le mani a stringersi attorno alla maglietta di lui – non si mosse, non la guardò. Solamente quando lo strattonò verso di sé, riuscì ad udire le parole formulate flebilmente dalla bocca dischiusa: «gli avevo detto di non farmelo fare» cosa? Chi? Inspirò profondamente, Ade. Sapeva che i loro genitori erano malati, ma non così tanto - c’era ancora tempo, giusto? C’era sempre, tempo.
    Ironico come Adelaide Joanne Milkobitch ignorasse la regola di base dei Quinn, e degli Hamilton. E soprattutto, dei Crane: era sempre tardi, per loro. Il tempo, non l’avevano mai avuto.
    «parlami» lo pregò, a denti stretti. La rabbia a farsi strada in quello sputo d’aria, così debole che CJ non l’avrebbe sentito, se Ade non avesse poggiato la fronte contro la sua.
    «scegliere.» il fratello sollevò gli occhi, un verde screziato di colpe, su di lei.
    Ed Adelaide, gli tirò uno schiaffo – le dita a tremare, le spalle a tremare, il cuore a tremare. «non dirmi cazzate.» non rispose. Un secondo schiaffo, ed un terzo. Una spinta all’indietro, le scapole di lui a cozzare contro l’intonaco. «non dirmi cazzate» un pugno allo stomaco.
    CJ incassava, ma non reagiva. Era sempre stato così, lui – era quello che l’aveva reso affilato come una lama, velenoso quanto fiele: assorbiva, e lo sputava come sangue sul cemento. Percosse, ingiurie.
    Accuse.
    CJ sorrideva, mentre il vuoto andava colmandosi degli altrui pieni. Si credeva un dipinto sbagliato, montato al contrario – si credeva un errore, le vene sporche di cianuro. E lo odiò, Adelaide Milkobitch, per essere così fottutamente un CJ: lo odiò perché non reagiva, non rispondeva alla violenza con la violenza. Lo odiò perché non diceva un cazzo, lasciando che la Milkobitch completasse il disegno da sé. Lo odiò perché era un codardo. Ed allora lo colpì ancora, furiosa – le nocche a sporcarsi di cuore, il pavimento a fiorire di cremisi. «fottiti, cj. fottiti» lo odiò perché era un’egoista, e sapeva che se ne sarebbe andato. Lo odiò ad ogni colpo, perché le sue suppliche rimasero inascoltate: «sei un vigliacco, crane. non te ne puoi andare».
    Lo odiò, perché se ne andò davvero. Senza una parola, senza un perché: si alzò in piedi, traballante a causa dei colpi subiti; la guardò. Leccò il sangue dalle labbra, il dorso della mano premuto sul viso. Lanciò un’occhiata a BJ, ancora privo di sensi sul pavimento.
    Aprì la porta di casa, la richiuse alle proprie spalle.
    Ade, improvvisamente vuota di tutto, si lasciò scivolare a terra. Nascose il viso fra le mani, i singhiozzi amari a spaccarle schiena e gola – annaspò alla ricerca d’aria, gattonando fino alla porta. Ci appoggiò la schiena, prese la testa del fratello sulle proprie gambe, le dita ad intrecciarsi alla chioma ramata di BJ.
    Perché i loro genitori erano morti, e lui era tutto ciò che le era rimasto.
    «tornerà.» sentì il freddo tipico della vicinanza d’un fantasma a premerle sulle spalla - una mano. Ade non alzò lo sguardo su suo zio, il petto in fiamme. «tua madre lo faceva di continuo» Li avevano lasciati da soli. Li aveva lasciati da soli. Tossì, celando il volto nella spalla del fratello. Non voleva sentire, Ade.
    Non voleva sapere, Ade, quanto CJ fosse simile a Heidrun - di nuovo, sempre. Lo stesso sguardo, lo stesso sorriso sghembo.
    Lo stesso abbandonarla.
    Scosse la testa, sentendo il sorriso malinconico nella voce di Todd: «i crane tornano sempre a casa»

    2043


    «non ha senso,» Adelaide, le dita allacciate dietro la schiena, non guardò CJ. Ruotò gli occhi blu su BJ, cercando sostegno nelle iridi scure di lui - l’avevano già affrontato, loro, quel discorso. Strinse le labbra fra i denti, ma non abbassò lo sguardo. «tu non vieni?» Le si strinse il cuore, a vederlo così. La bocca dischiusa, le bionde sopracciglia arcuate – gli occhi opachi, la voce ad alzarsi. Era quel genere di disperazione che aveva rivolto sempre e solo a lei, confidente di una coscienza che il fratello non credeva d’avere. «bj, lasciaci soli un secondo.» le dita a sfiorare il braccio del fratello, l’ombra di un sorriso sulla bocca. «per favore.» BJ guardò CJ, prima di lasciare la stanza – CJ lo accusò silenziosamente, la mascella serrata.
    «lo sapeva? lui lo sapeva, che non saresti venuta?» Lo disse come se quello di BJ fosse stato un privilegio.
    Come se lui non fosse sparito per cinque fottuti anni. La bocca si curvò in una smorfia poco amichevole, il capo reclinato: «sì.» grondante di sarcasmo, venata di paura. Non di CJ, mai di CJ: per, CJ. Il ragazzò battè entrambi pugni sul tavolo, Ade non si scompose. «ma dobbiamo, andare» Era l’unica in grado di farlo ragionare, Ade – il telepata non seguiva le normali leggi della logica. «possiamo cambiare le cose. Possiamo salvarli» si lasciò sfuggire un sorriso, la Milkobitch: eccolo lì, suo fratello. In due parole, l’essenza dell’insensibile CJ Hamilton, occhi di vetro e sorriso sporco di sangue. «non ti chiedo di rimanere, cj» un passo in avanti, lo sguardo serio a cercare quello affranto di lui – scomposto, vacuo. Ade era sempre stata la colla della sottile sanità della sua disfunzionale famiglia, il materasso fra i gemelli, colei a cui guardare quando avevano bisogno d’un permesso. Sempre la più matura, più responsabile.
    L’unica, responsabile. Rimanere, era compito suo. «tu ricambia il favore» non sorrise – schietta, ruvida. Puramente pragmatica.
    Ma deglutì pianto, Adelaide Milkobitch: certo, santo Dio, che non voleva rimanere da sola. Aveva già perso tutto. Cristo, avrebbe preferito morire piuttosto che continuare una vita senza i suoi fratelli, senza i suoi amici, senza- «l’hai già detto a ronan?» Ade sollevò gli occhi al soffitto, attendendo che le lacrime si asciugassero. «sì» mentì.
    «bugiarda» un secondo, due secondi. Tre. CJ cadde a terra, le ginocchia due tonfi ruvidi contro il pavimento: «non so cosa fare, senza di te. Vaffanculo, ade» la voce secca a graffiare le pareti della bocca. Si avvicinò ancora, il volto di lui stretto fra le dita. «devi trovare tuo fratello» neanche ti ricorderai, di me. «ronan» accarezzò delicatamente le guance di CJ. «meara.» Sapeva come funzionava la missione: sarebbero stati mandate in famiglie diverse, in mondi diversi, finchè Wes, Leia od Eugène non avessero rivelato loro la reale identità, nonchè l’origine di quella missione. In un modo o nell’altro, si sarebbero trovati. Crane Junior Hamilton, avrebbe continuato ad esistere - con loro.
    Senza di lei.
    «non mi piacciono gli addii. non farmelo fare»
    «non è un addio, ci rivedremo ancora. sarò più… piccola - più di adesso, e non ridere. idiota»
    «ma non sarai tu»
    «sì, invece»
    «ma non sarò io» Ade non rispose. Lo strinse a sé, la testa contro il petto. Serrò le palpebre costringendosi a respirare, il fiato caldo a scivolare fra i capelli biondi di lui. «promettimi che ti prenderai cura di loro» asciugò una lacrima con il palmo della mano, un respiro a metà fra i denti. «promettimi che ti prenderai cura di te. ti conosco, cj» cercò i suoi occhi, allontanandosi di un passo.
    Gli sorrise - sghemba, sbagliata: il ghigno di famiglia.
    «promettimi che non farai cazzate.»
    […]
    «ti dico come andrà la situazione:» Ade poggiò la schiena contro la parete, gli occhi blu a seguire i lunghi passi di Ronan Beaumont – Barrow. Un anno. L’avevano creduto morto per un intero anno - eppure, con il sorriso leggero ad increspare le labbra, non ricordava di averlo mai visto più vivo. Gli occhi azzurri brillavano dell’eccitazione data dal pericolo di una novità sconosciuta, dal sapere che avrebbe fatto qualcosa di conreto. Cambiato la storia. «verrò cresciuto da una famiglia ricca – per forza, un’alternativa non è accettabile – e cj sarà la mia colf – non guardarmi così, sai anche tu che gli starebbe benissimo la divisa» Ma perché era così stupido?
    Ed era stato via un anno, e sembrava non l’avesse fatto mai. Ruotò gli occhi al soffitto, regalandogli l’ombra di un sorriso. «poi. Un giorno incontrerò questa ragazza – bellissima, ma non quanto me – ed i suoi occhi blu non potranno fare a meno di seguire le mie spalle in mezzo alla folla perché, voglio dire…chi non si innamorerebbe follemente di me a prima vista?» Inarcò un sopracciglio: lei. «cercherà di approcciarmi, magari un caffè insieme – un tempo si usava così – poi mi chiederà di darle ripetizioni di pianoforte, che come ben saprai,» Inarcò anche l’altro sopracciglio, reclinando il capo mentre lui le si avvicinava d’un passo. «sono un fenomenoh» Era una mezza sega, e lo sapevano entrambi.
    Non riuscì a sorridergli, con quel peso a comprimerle le costole.
    «vuoi sapere come finisce la storia?» Troppo vicino, abbastanza da costringerla a piegare la testa all’indietro per poterlo guardare negli occhi. Le era mancato così tanto da far male, e non era giusto.
    Non era giusto.
    Era colpa di Ronan, se si trovavano in quella situazione. Adelaide Milkobitch non l’avrebbe neanche mai guardato, né considerato, se non fosse stato per lui.
    E per quel disperato e rabbioso manca anche a me, quando CJ se n’era andato.
    «se sei interessata-» Ronan poggiò l’avambraccio sopra la sua testa, chinandosi per incontrare le sue labbra. Così naturale. Adelaide chiuse gli occhi, beandosi del calore del suo corpo ad un battito dal proprio, il profumo familiare ad intiepidirle il cuore. Inspirò, espirò sulla sua pelle prima che la tentazione di soffocare quella verità con la propria bocca, le appannasse il senso del giudizio: «io non vengo, ronan». Pacata.
    Ronan s’immobilizzò ad un soffio da lei, così vicino che ogni parola fu un lento strofinarsi di labbra. «come, prego?» scosse il capo. «non torno nel passato, rimango qui» un secondo, due secondi.
    Quando Ronan battè i palmi delle mani sulla parete vicino al suo viso, non battè ciglio - aveva vissuto ventitrè anni con CJ, d’altronde.
    «che cazzo dici, ade?»
    «che non vengo.»
    Un altro colpo. «e che cazzo farai? Rimarrai qui, morirai di guerra o di qualche fottuta altra malattia – magari metti su famiglia con quel fottuto Vernon il fottuto panettiere, tre figli e un maledetto pastore maremmano? Andiamo, ade» una risata amara, a cui Adelaide non rispose. Magari sì, avrebbe voluto dirgli. Avrebbe voluto puntare le mani sul petto di Ronan, spingerlo indietro, costringerla a guardarla negli occhi: sì, cristo. Probabilmente è quello che farò.
    «non saranno affari tuoi» ribattè invece, secca.
    Il cuore a perdersi nelle vene, la voce atona a vibrarle nelle ossa.
    «non saranno affari miei» ed ancora quella risata.
    Ed ancora, Ade non rispose.
    «conto così poco, cristo santissimo? Giusto, scusa: non siamo un cazzo, io te» Si indicò, la indicò. Avanzò ancora, facendo così aderire i loro corpi – poteva sentire il battito accelerato di lui, attraverso la stoffa sottile della maglia. E lui poteva sentire il suo, a perder pezzi di sé per strada. «questo, non è niente» le dita di lui a stringersi attorno alle gambe di lei, premendo nella carne fino a lasciare la propria impronta. Il naso di Ronan contro il proprio, il fiato a mescolarsi in brevi sospiri rabbiosi o rassegnati. «questo, non è niente» Lo odiava, Adelaide. Lo odiava, perché lui avrebbe avuto la possibilità di iniziare una nuova vita, senza di lei: non avrebbe sentito quel vuoto dietro le costole ogni giorno, Ronan; non avrebbe sentito la pelle soffrire per la mancanza di quella di Adelaide Milkobitch.
    Non avrebbe fatto così male, perderla. Non l’avrebbe neanche ricordata.
    «quest-» «taci, cazzo» attorcigliò le dita fra i capelli corvini di Ronan, aggrappandosi a lui nel premere la sua bocca contro la propria – i denti a cozzare contro le labbra in un bacio che non aveva nulla di gentile, le lingue a intrecciarsi mentre Adelaide faceva scivolare le mani sulle guance di lui, tenendo il suo viso fra le dita con una tenerezza che ben poco ci prendeva, in quel famelico bisogno.
    Nel salato sapore d’addio delle lacrime di lei.
    Un minuto – forse cento, forse una vita intera. Fu Ronan il primo ad allontanarsi, il fiato corto sulla pelle del suo collo. «questo non era un cazzo, milkobitch?»
    Adelaide non ribattè. Rimase a guardarlo, mentre lasciava la stanza per tornare dagli altri. Mentre lasciava lei.
    Non erano un niente da anni, ormai - E lo sapeva, Ronan. E lo sapeva, Adelaide.
    Eppure non lo fermò. Eppure, non lo trattenne.
    Aveva fatto la sua scelta.

    Hyde rimase in disparte, la felpa troppo grossa a pendere dalle spalle sottili. Lanciava occhiate di sottecchi ai preparativi, dondolava sui talloni fingendo un disinteresse che non provava. Evitava di guardarsi troppo attorno, preferendo le pieghe familiari dei propri jeans; ignorò le voci, scegliendo di chiudersi in sé stesso. Era sempre stato bravo ad estraniarsi dall’ambiente esterno, ovattandosi da una plebe che, a suo dire, non lo meritava. Non aveva mai avuto particolari rapporti con i cugini, o con i nipoti – ma non significava che non sapesse nulla della loro vita, figurarsi: nello scantinato dove ormai viveva e sopravviveva, la cosiddetta Hyde-Caverna, il wi fi prendeva che era una meraviglia, e lo stalking compulsivo era routine quotidiana. Talvolta River, mosso a pietà, gli portava del cibo; lo lasciava sulle scale, come si faceva con le bestie grame o difettose, ben sapendo che il fratellastro, come un ragno, avrebbe allungato le sue lunghe zampe pallide e se ne sarebbe appropriato. Grey passava le sue giornate a narrare leggende sul conto del fantomatico fratello minore che nessuno, a quanto pareva, aveva mai visto alla luce del giorno – taluni potevano solamente ipotizzare com’era fatto; altri s’erano convinti di non saperlo, passivi alle storie inventate dalla sorella; c’era perfino gente che alla sua esistenza, non aveva mai creduto.
    Jekyll era un rompicoglioni, e purtroppo Hyde non aveva mai avuto voce in capitolo sul loro rapporto. S’infiltrava nel suo covo, il maledetto, e rimaneva ore a raccontargli cose del quale, come potete ben immaginare, il minore dei CWs se ne sbatteva altamente le palle – oppure gli parlava della sua kotta per Davina, o peggio: gli cantava nuovi testi agghiaccianti con i quali, in poche righe rappate, paragonava gli occhi della Dallaire ai verdi prati irlandesi, o qualche altre terrificante stronzata simile. Hemingway era troppo ingenua, per quella vita. Pur avendo dieci anni in più rispetto ad Hyde, credeva ad ogni cosa che le veniva detta, e prendeva ogni narrazione altamente a cuore: una volta Hyde le aveva riferito della famiglia di topi che viveva insieme a lui nello scantinato, e di come ogni sera mamma topa rimboccasse le coperte dei suoi pargoli.
    E Gwen aveva cucito coperte per tutti i ratti perchè, testuale e dall’alto della sua mente Corvonero, non possono mica farsi la lavatrice, e non è igienico dormire sempre nel medesimo letto. Capite perché, perfino per Hyde, fosse difficile odiarla – difficile, non impossibile: era un Hyde, dopotutto.
    Infine, c’era Mabel.
    Era sempre stata l’unica in grado di attraversare le difese di Hyde senza sforzo alcuno - gliele abbassava, la agevolava: perché Mabel, fra tutti e fra tutto, era ciò che di più vicino a mamma gli era rimasto. Un ricordo in carne ed ossa, in quei suoi capelli d’oro pallido. Aveva il suo sorriso, i suoi occhi; aveva la sua linea dura delle labbra quando lo rimproverava per non aver mangiato la verdura, e la Voce a richiamarlo sulla retta via quando Hyde si lasciava andare un po’ troppo alla vena acida da adolescente in perenne ciclo mestruale. Hyde Joyce Crane Winston, in caso non vi fosse stato chiaro dalle linee precedenti, era un po’ stronzo: non dimostrava mai il proprio affetto, non resisteva alla tentazione di sputare battute crudeli come un lama avrebbe fatto con la propria saliva. Era arrogante, e presuntuoso - poco credibile, ma ci provava comunque. Pareva sempre che nulla lo toccasse, in quell’impassibilità per il quale più volte gli era stato domandato se fosse, per caso eh, figlio di Holt. Era un critico, Hyde - di quelli rompicoglioni, che per il puro piacere di darti fastidio, ti costringevano a spostare un divano per l’intera stanza solamente perché non soddisfaceva il proprio feng shui. Dipingeva paesaggi apocalittici e, con sorrisi che non facevano ridere nessuno, disegnava tetti rossi sui cimiteri: casa, rispondeva a chiunque fosse stato così stolto da domandargli il perché.
    Era sempre stato inquietante, fin da bambino. Mamma diceva che gli mancava il ferro, papà che eddai, ma neanche un cicchettino? Secondo me gli farebbe ben- scherzavo, scherzavo. Scherzavo? Sì SCHERZAVO. Eppure, c’erano stati anni in cui il suo essere diverso rispetto al resto della sua famiglia, l’aveva fatto sentire speciale – quando intorno al tavolo ridevano delle sue teorie su come i bambini non avessero un’anima, ed allora un sorriso allegro faceva capolino anche sulle sue labbra. Non era mai stato un emarginato, Hyde. Per un periodo se l’era vissuta bene, seppur in maniera peculiare, tolti i vari acciacchi che, ogni mese, attentavano alla sua esistenza – febbre gialla, rossa, fucsia, aviaria, malaria, eccetera.
    Ma aveva otto anni, quand’era morta Maeve.
    E ne aveva undici, quand’era morto Al.
    Mabel e Gwen erano abbastanza, lo erano sempre state, ma non erano tutto: non erano mamma e papà. Hyde non era come Jekyll, o come Grey; lui il lutto l’aveva somatizzato, gli era entrato sotto pelle. Aveva smesso di dormire, si dimenticava di mangiare. Il suo senso dell’umorismo non aveva fatto altro che peggiorare: la morte dei genitori era diventata una battuta, per Hyde.
    E poi gli zii, i cugini – cristo santo, avevano cominciato a morire tutti quanti – la sorella.
    Hyde era diventato instabile, di quelli un po’ folli che ti osservavano sopra la tazza di caffè, e con borse sotto gli occhi più spesse delle pandorine, ti esplicavano che giorno, ed in quale modalità, sareste morti. Aveva trovato il suo passatempo preferito nel spaccare le gioie, rovinando momenti felici con frasi misere e risate false.
    Non potevano essere felici, se lui non lo era. E lui non lo era da un pezzo.
    Eppure si preoccupava, per loro. Dipendeva, da loro: ne aveva bisogno, come acqua e come aria. Era quella necessità a spingerlo, nelle giornate buone, fuori dalla sua tana. Cercava la loro compagnia, correggeva la grammatica dei testi di Jekyll, accompagnava Grey a sparare, creava intricati sistemi d’irrigazioni per Gwen. Si sedeva sul divano vicino a Mabel per leggere un libro insieme a lei, la testa poggiata sulla sua spalla ma ben attento che nessun altro li vedesse - il loro segreto.
    Che alla fine era palese, Hyde volesse solo affetto. Che se la voleva avvolgere addosso, quel poco di famiglia che gli era rimasto.
    Per questo, quel giorno, non guardò nessuno.
    Non guardò CJ, BJ, o Ade; non guardò Leia, Jem. Si appiattì nell’angolo più lontano della piccola stanza, gli occhi appannati dalla noia ed il disappunto, e curvò le labbra nel solito broncio – giusto per rendere cristallino a chiunque non lo conoscesse, che non poteva importargli di meno, di quella missione.
    «hyde» non l’aveva mai trattato come un bambino, malgrado fosse il più piccolo. Ecco cosa gli era sempre piaciuto di Mabel: si prendeva cura di lui, ma come un amante del giardinaggio avrebbe potuto fare per la propria rosa prediletta – con attenzione, ma dosando il proprio riguardo per non soffocarla. Lo trattava da pari.
    Non la guardò comunque. «hyde joyce crane winston.» Le labbra si costrinsero in un sorriso maldestro, un’occhiata di sottecchi alla sorella maggiore. Lo guardava seria, lei – e ricambiava altrettanto serio, lui.
    Lo sapevano entrambi, che era un addio. Per favore, Mabel, non te ne andare.
    Non gliel’aveva detto, Hyde. Non lo faceva mai.
    «sai che dobbiamo farlo. Sai che devo, farlo» Lo sapeva, ma non lo rendeva più facile. Annuì, la mano a grattare distrattamente la nuca. «prenditi cura di jekyll per me, okay?» sempre. Mabel gli prese il viso fra le mani, costringendolo a sollevarlo di modo che potesse incrociarne gli occhi – avevano gli occhi della madre, i Winston Crane, nelle tonalità calde dell’azzurre e il fiordaliso. «meh.» la gola stretta in una morsa, lo sguardo a cercare d’evitarla. Non voleva piangere, Hyde - non voleva fosse un addio. «sai com’è fatto» sai come sono fatto.
    Ricambiò l’abbraccio, affondando il viso nella spalla di lei. Cercò d’imprimersi il suo profumo, note dolci di lavanda e vaniglia: non voleva dimenticare anche il suo odore, quando già quelli dei genitori andavano sfumando. A malapena ricordava l’aroma di tabacco delle camicie di papà, quello aspro e corposo dei bicchieri di whisky lasciati sul basso comodino - ”È SOLO UNO MAEVE, GIURO” -, quello più acido e morbido delle birre - ”aspettiamo forse un altro figlio, al? Si chiama heineken?” . Quello di zucchero e mandorle di sua madre, dolce sul palato e sulla pelle.
    Li aveva avuti per così poco, Hyde. Non erano stati loro ad accompagnarlo al binario dell’espresso per Hogwarts, il suo primo anno; non erano stati loro cui aveva scritto della propria, prevedibile, casata. Non avevano mai visto il castello costruito con i tubetti di Pringles su cui lui e Jekyll lavoravano da anni.
    Li aveva conosciuti così poco, Hyde. Per sentito dire, storie a passare di bocca in bocca. La spalla avvolta dal braccio di Run, mentre la sorella gli propinava la rubrica how our father met your blonde mother; i sorrisi di Mabel e Gwen, nel ricordare una vita del quale Hyde ancora non faceva parte. Tutta una vita in cui lui non c’era stato - e tutta una sua vita in cui loro, non c’erano stati.
    Un po’ odiava le sorelle anche per quello, Hyde: in un altro modo, in un’altra vita, avrebbe potuto conoscerli. Le odiava per abbandonarlo, per dimenticarlo. Non avrebbero avuto alcun lutto da piangere, loro, mentre lui, Jekyll e Grey raccattavano i pezzi di quella sempre più sottile famiglia.
    «mi mancherai.» le bisbigliò infine, sapendo che l’avrebbe sentito solo lei.
    «ti voglio bene» le bisbigliò infine, sapendo che non l’avrebbe ricordato.
    E Ronan guardava Adelaide Milkobitch, le dita delle mani di lei intrecciate febbrilmente fra loro. Lui al centro della stanza, lei contro le pareti. Il Beaumont deglutì, avanzò di un passo nella sua direzione – ma era già tardi, troppo tardi. «ade…» un filo di voce disperato a rimanere attorcigliato in una realtà incurante del tempo. «lo so» ma quando il sorriso di Adelaide si sciolse in lacrime, non ci fu più nessuno a vederlo.
    Hyde tacque, gli occhi azzurri sul pianto silenzioso di sua nipote; non si ribellò neanche alla stretta di Jekyll, mentre con sguardo lucido ma fermo, osservava gli ultimi cronocineti portar via tutti: rimasero lì finchè non ci fu più nessuno, in quella stanza. Rimasero finchè gli unici respiri non furono il suo, quello di Jek, quello di Ade – e di River, e di Grey.
    Respiri spezzati, i loro. Respiri contati, i loro.
    Era tutto finito.

    ora. proprio ora


    Adelaide chiuse gli occhi, si costrinse a respirare. Avrebbe dovuto seguire il suo stesso consiglio e rimanerne fuori, spettatrice di un tempo che non le spettava: ma come avrebbe potuto, Adelaide Milkobitch? Forse l’avrebbe fatto, se non avesse visto la ferocia di suo fratello. Forse.
    Cosa gli avevano fatto. L’aveva visto da così poco, quel sorriso sbilenco e pulito, che le pareva troppo surreale vederlo ora sul viso di un ragazzino – gli stessi occhi color giada, i tratti affilati e taglienti. Il sangue a inzuppare la camicia bianca, cicatrici antiche e recenti su una pelle chiara quanto quella della Milkobitch: chi era stato.
    Tutti. Ma quello, Adelaide, non poteva saperlo.
    Ed avrebbe sperato avrebbe fatto meno male. Si era convinta che, in fondo, CJ sapesse chi lei fosse – che l’avrebbe riconosciuta, quando l’avesse avuta infine davanti. Che l’avrebbe sentito.
    Si era illusa, Adelaide Milkobitch, che fosse ancora il suo CJ: non lo era.
    E lo era sempre.
    Sollevò lo sguardo cobalto di fronte a sé, incrociando gli occhi azzurri di una ragazzina. Familiare, ma non del tutto. Reclinò il capo, l’attenzione a scivolare sul biondino slavato al suo fianco: Jem.
    C’era anche BJ, in quella radura? C’era anche Ronan?
    Si squarciò da quell’occhiata in maniera brutale, fisica - e se lo sentì appiccicato addosso, ma Adelaide continuò a muoversi. Spintonò la folla, il capo chino ed imprecazioni strette fra i denti – e fu allora, che lo vide.
    Perché CJ poteva anche essersi dimenticato di lei, ma non esisteva, in quella vita o in quella futura, che le si rivolgesse a quel modo: chi cazzo era? Come osava. Maleducato. Inspirò dalle narici, la schiena impettita mentre emergeva al di là del muro di persone per giungere alla Barriera: «CRANE-» si bloccò, Adelaide Milkobitch.
    Così, a metà frase. Che se ne sarebbe sbattuta il cazzo se qualcuno avesse sentito il vero nome di CJ - nessuno avrebbe capito; e se ne sarebbe altrettanto sbattuta le palle, se quello non fosse più stato il nome al quale il fratello rispondeva: ma si bloccò comunque, Adelaide Milkobitch, quando due paia d’occhi si soffermarono su di lei. L’uno verde, l’altro blu.
    Il suo stesso, blu.
    E la voce le morì sulle labbra, la bocca dischiusa ed il cuore nei piedi.
    Cinque anni.
    Lo sapeva, che avrebbe dovuto evitare quel momento. Lo sapeva che non avrebbe dovuto porsi nella situazione di poterli vedere: Adelaide Milkobitch aveva detto addio ai suoi genitori già una volta, nei suoi venticinque anni di vita. Non voleva perderli di nuovo. Così si fermò a metà d’un passo, lo sguardo cobalto ad indugiare su Gemes Hamilton.
    Sei morto. Sei morto.
    Sei qui?

    Richiuse la bocca, indietreggiò. Le mani a tremare, il battito a tremare. I ricordi non gli avevano reso giustizia - non lo facevano mai. Rimase a guardarlo senza dire nulla, approfittando dell’età adulta per trovare le somiglianze che non aveva cercato, quando ancora sarebbe stata in tempo, e che aveva ricercato in ogni riflesso: l’iride blu, che talvolta tendeva al grigio; i capelli un tono poco più chiaro dell’inchiostro – la forma del naso, degli occhi. «mi -» sei mancato così tanto. Si inumidì le labbra ignorando il bruciore alla radice del naso, la gola a soffocarla. mi dispiace, perché non vi ho neanche salutati, quando siete usciti. Spostò lo sguardo su CJ - perché erano insieme? CJ sapeva? Si conoscevano? «servirebbe una mano?» aggiustò il tiro, notando con la coda dell’occhio un uomo sollevare la bacchetta verso suo fratello.
    Figurarsi.
    Scattò in avanti, la gamba destra ad incrociarsi su quelle di CJ prima di strattonarle violentemente a sé, così da fargli perdere l’equilibrio. Quando si fosse trovato al suolo, non più sotto attacco, gli avrebbe preso il viso fra le mani, obbligandolo a guardarla. «ti ricor-» si morse la lingua.
    Si uccise il cuore.
    Non poteva, ricordare.
    «sai cosa diceva sempre mia madre quando soffrivo di attacchi di panico?» Annuì fra sé, il petto a perdersi. «di cantare…» un sorriso. Gli occhi due pozze blu – sciolti, morbidi. «justin timberlake»
    Spoiler: funzionava davvero.
    «ADEEEEEEEEEEEE ABBIAMO UN PROBLEMAH»
    Cristo, aveva detto a Grey di non chiamarla per nome. Si alzò in piedi, gli occhi a cercare la figura (saltellante) della Winston Crane: la mora, le braccia alzate sopra di sé, le indicò qualcuno.
    La odiò, Adelaide – lei, loro.
    Corrugò le sopracciglia, sospirando pesante prima di cominciare a farsi strada verso sua madre - una madre che, in reggiseno, ammoniva un certo Claude a non usare spade senza protezione.
    Sorrise, Ade - Dio, quanto le era mancata - e ruotò gli occhi al cielo.
    Non aveva creduto avrebbe mai più sentito la sua voce. Le ossa ad incrinarsi, ripiegarsi su di loro.
    Un passo, due – si volse, la testa piegata di lato. Non voleva essere impertinente, figurarsi, ma… «tu non vieni?» un po’ perché egoisticamente, voleva papà al proprio fianco – ancora poco, ancora per poco- , ed un po’ perché… beh, era mamma. Sembrava così… assurdo. In quale universo avrebbero mai potuto -«perché dovrei?»
    Adelaide corrugò le sopracciglia corvine, un’occhiata a suo padre.
    Magari non aveva capito a chi si riferisse - sikuroh. Decise di rimanere con il dubbio.
    «grazie dell’aiuto, grey» sibilò sotto voce alla CW, uno sguardo opaco a posarsi su Heidrun.
    Cinque anni.
    Deglutì.
    «pensavo ti avrebbe fatto piacere» Non lo faceva. Chiuse gli occhi strappandosi quell’immagine dalla retina, il braccio sofferentemente allungati di fronte a sé - cercò la sua mano, Adelaide; intrecciò le dita alle sue, tirandola rapida verso di sé: rimase più a lungo del necessario a sentire quella pelle sulla sua, quel profumo nelle sue narici. Dio, perché?
    «stai piangendo»
    Fottiti, mamma.
    «polvere» ringhiò, prima di voltarsi a fronteggiare l’avversario.
    E tutto il suo odio, lo riversò su di lui. E tutto il suo dolore, quello a stritolargli le viscere.
    «fottiti» mamma ripetè, piegando la gamba contro il petto per tirare un calcio secco alle rotule dell’uomo - come le aveva insegnato Wes.
    «siete morti» sussurrò appena, rivolta al terreno.
    Un po’ come monito ai nemici.
    Un po’ per ricordarsi quale fosse il suo tempo.

    «eeee-» Hyde sospirò scuotendo il capo, la lingua ad umettare le labbra. Non capiva come fossero finiti lì; non capiva chi, fosse finito lì – ecco cosa succedeva ad accettare passaggi da sconosciuti che non parlavano la tua lingua.
    Quello che capiva, dopo un anno passato a vagare per gli Emirati Arabi con la sola compagnia di quel pirla secolare di suo fratello, era che avrebbe volentieri fatto a cambio con la vita chingchangrisocantonese, il cronocineta bastardino crepato nel momento meno opportuno, piuttosto che tollerare un altro secondo con Jekyll. Ma cosa non aveva funzionato correttamente, ne suo concepimento?
    Perché un Jekyll era capitato a lui?
    Lo guardò rappare, Hyde - rappare, giuro. Se avesse alzato ancor di più gli occhi al cielo, avrebbero cambiato orbita. «- lo sapevo che dovevi morire tu. o io - ora, possibilmente.» concluse a sé stesso, cercando armi contundenti con le quali squarciarsi il ventre – tattiche, si: mai visto un harakiri?.
    E sorrise, le rughe dell’anticipata vecchiaia (e delle sempre frequenti malattie mortali) a incresparsi sul volto da diciottenne, gli occhi azzurri a brillare: «meh, siamo decisamente ancora in tempo.» dopotutto, erano o non erano finiti all’interno di una battaglia del quale non sapevano mezza sega?
    C’era gente – e fin lì. Delle bare - ma perché? Delle foto.
    Che vi devo dire, Hyde non era mai stato, ad un funerale.
    Guardò il parkour del fratello affatto impressionato, le sopracciglia corrugate.
    Mamma?
    Neanche gli era passato nel cervello, a lui che odiava le persone da prima di nascere, di cercare facce conosciute - figurarsi: da quando erano arrivati, aveva tenuto il capo chino e la mano alzata a regalare benedizioni e segni della croce a chiunque gli fosse passato affianco, aggiungendo sotto voce che, se non fosse morto prima (e sarebbe morto prima di sicuro) avrebbe pregato per la loro anima.
    «hai di nuovo sniffato la colla? cristo, jek-» lo seguì comunque, perché era pur sempre suo fratello.
    E la vide, Hyde. «-yll» perfino la risata derisoria morì, lasciando posto ad un espressione esterrefatta.
    Era così giovane.
    Non ricordava fosse così bella.
    C’era anche papà? Mabel?
    Beh, magari ci avrebbe pensato dopo, suvvia. Afferrò sua madre da un braccio, spostandola rapido dietro di sé, e nel mentre avanzò verso l’uomo: «expelliarmus» istintivo, il cuore ancora a non crederci.
    La guardò ancora.
    Guardò Jek. «ma è biondissima»
    Sciokkanteh.
    Roteò con eleganza su sé stesso, allontanandosi prima di aggiungere qualcosa del quale si sarebbe, FORSE, pentito («SE SEI INCINTA DI UN MASCHIO ABORTISCI #CIAOJEKYLL») e finì, o toh che caso, vicino al suo cugino preferito.
    Ed all’armadio Ikea stupido – Cliff.
    Cosa ci faceva lì, quello era il suo posto. Lo osservò con sincero cinismo, senza neanche pensare al fatto che yay, avessero finalmente –forse?-trovato un passaggio: non vedeva che erano arrivati prima loro? Si era forse perso l’esibizione di Jekyll?
    Sperava per lui di no. Era stata terribile, ed Hyde tendeva ad augurare solo il peggio.
    «protego» e di nuovo distratto, e di nuovo istintivo. «sei ancora corvonero? non sembra» mugugnò, ruotando poi gli occhi su Cliff.
    Ma che cazzo stava dicendo: aveva perso la sua cronocineta?
    «non mi pronuncio.» tombale e mortalmente serio, mentre ancora roteava come una ballerina, con tanto di un braccio sollevato per fare uscita più sassy possibile, verso il punto dove si trovava fino a poco prima: «e comunque,» precisò, puntando la bacchetta verso il mago che aveva attaccato sua madre. «hyde non perdona: vendetta veVaah» un Foramen secco verso la gamba dell’uomo, e tadaaan.
    Tadan che?
    Madonnaemanuele, con ste aspettative. Fatevi i cazzi vostri, no?
    | ms.



    -- hyde: jekyll + hyde difesa maeve
    -- hyde: cliff + hyde difesa joey
    -- hyde: attacco su klim (vasy): foramen al kwore

    -- ade: ade + gemes difesa cj
    -- ade: ade + gemes difesa run
    -- ade: attacco su claude (francia): non lo so ancora e mi dimenticherò di modificare
     
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    Here's the pride before the fall - Cause I was always such a runaway Trying to cheat my way right through the game
    i will either find a way or make one || 03.07.17
    Non solo nell’ultimo anno aveva smesso di dormire con un coltello (quelli da cucina scrausi) sotto il cuscino per paura che un abitante della Villa lo strangolasse, era anche stato rapito da dei pazzi psicopatici e sua sorella aveva smesso di odiarlo, che anno di sconvolgenti cambiamenti per Amos Hamilton. Non si spiegava come fossero avvenuti la metà di questi, ma il fatto che non fosse morto era abbastanza - ci era andato vicino. Tutto questo per dire che non aveva idea di fosse stato mentre tutto ciò accadeva, insomma, a lui non era sembrato niente di che a quei tempi, e poi vai a scoprire che era un big deal. E le sorprese non erano finite lì.
    A differenza della calda e soffocante penisola italiana, l’Inghilterra era un paradiso in terra: temperature sopportabili e pioggia prevista per il giorno successivo, cosa poteva chiedere di più dalla vita? Era un ragazzo che si accontentava facilmente. Da esperto meteorologico cui era Amos, aveva stabilito che quello era il clima perfetto per un funerale: stare sotto ad un sole che spaccava le pietre non era una posizione che avrebbe consigliato a nessuno. Dire che il ragazzo si sentiva a disagio a quella cerimonia, sarebbe stato l'eufemismo del secolo: non conosceva così bene i defunti, la sua presenza sembrava scomoda e di troppo un mezzo a tutti quei familiari e amici, come se non avesse il diritto di trovarsi lì; probabilmente era così. Quando eri Amos Hamilton vivevi l'intera vita male, un po' come un'ora prima, quando Rea - Rea l'ex persona malvagia! - l'aveva portato a prendere un gelato, un'attività che mai avrebbe pensato di associare a lei. Non pensava che la sorella l'avrebbe mai ammesso, ma le era piaciuto fare qualcosa di normale per una volta, lontana da quella casa piena di casi umani che aveva deciso di prendere sotto la sua ala; finalmente il fotocineta poteva dire di avere una sorella, una aveva incominciato a comportarsi da tale. Certo, non era perfetta, il fatto che ci stesse provando era più di quanto avrebbe potuto sperare un anno e mezzo prima, non era perfetta, ma non l'avrebbe mai scambiata con nessun altro.
    Intanto, il funerale si stava dimostrando più movimentato di quanto avrebbe dovuto: erano arrivati dei personaggi mistici a farsi la guerra, cose nel mondo dei maghi e niente che avesse a che fare con lui: era da due anni che era entrato nella realtà magica, la sua conoscenza equivaleva a quella di un bambino. Sapeva che avrebbe dovuto concentrarsi sulla battaglia intorno a lui, non ci fece neanche vado quando la sua attenzione venne catturata da un biondino a caso, microfono in mano e parole spuntate fuori come proiettili: a pochi metri da lui l'Eminem dei poverissimi, il rapper che avrebbe cambiato il mondo - o solo la vita di Amos. Perché, era proprio con le prime strofe arrivate alle orecchie del ragazzo, che nacque Brodi Fibra, ancora niente di più di un concetto, di un neonato in fasce. Compì un passo in avanti con l'idea di chiedergli di, che so, firmargli le tette o chiedergli come si chiamasse (così una volta a casa si sarebbe ascoltato la sua discografia), quando una persona qualunque bloccò la sua scalata verso la gioia, spezzò quello che sarebbe potuto essere l'inizio di carriera del rapper. Indovinate un po'? Rudolf aveva osato rovinare i suoi piani, e se Amos - normalmente - non era una persona suscettibile, aveva superato i limiti persino per lui: non si toccava Brodi Fibra. Puntò lo sguardo sull'uomo dai capelli rossi, concentrandosi così su un unico punto mentre dalle mani iniziava a formarsi una spada laser verde, il tipico bagliore ad accecare i nemici del futuro rapper.
    Questa era per Al, il suo maestro Jedi.
    Si avvicinò minaccioso, o almeno così gli piaceva credere, all'uomo, roteando la spada tra le dita e dimostrando grande abilità nel maneggiarla - tutti quei tornei dovevano pur avergli insegnato qualcosa - mentre accanto a lui lo raggiungeva anche Jade, insieme alla propria spada laser. Prima che Rudy Zerbi potesse allungare la gamba per far cadere la Skywalker («coincidenze? Io non credo»), il fotocineta portò il busto in avanti insieme al braccio, spada stretta solidamente tra le dita mentre questa veniva fatta colludere con il petto del nemico, e che avrebbe dovuto provocare una ferita tale da renderlo incapace di proseguire nella sua offensiva. Accanto ai due giovani, il mitico rapper di prima si era affiancato a loro, il suo non era certo un intervento per aiutare, assolutamente no!, quanto più per imitare i suoi delle armi e rendere il combattimento più epico. Inutile a dirsi, Amos gli voleva già bene - non sapeva perché, ma gli faceva tenerezza come Brandon.
    Diciamo che entrambi ignorarono la proposta di Jade, poiché Elisa non ha idea di cosa faccia nella vita Jek. Amos colse sul viso della bionda un qualcosa di territoriale, come se non avrebbe davvero fatto una spada per il ragazzo nonostante ciò che aveva appena detto, perché non se la meritava. L'Hamilton era sempre stato per la pace e per l'amore nel mondo, in quel momento combattere per una spada non avrebbe fatto del bene a nessuno, così porse la sua al rapper «ma si dai, prendi la mia» e quando venne in momento, declinò molto gentilmente quella fatta di fuoco che lui gli offrì - anche perché l'elsa era di fuoco, non voleva morire. Così, nudo e disarmato, si preparò ad affrontare l'ennesima sfida che la cosa gli aveva posto davanti: salvare quel drogata di suo cugino. Prese un respiro profondo, pregò Morgan di non farlo morire in quel campo di battaglia e nel frattempo quasi si sentì Captain America che cercava di salvare il mondo. Chiaramente non lo era. Incominciò a correre verso l'Hamilton, quella rincorsa che appena sarebbe stato vicino a lui, gli avrebbe permesso di saltargli addosso lateralmente e buttarlo a terra così da evitare l'attacco. O da farlo vacillare al meno un po'? Suo cugino era un armadio, ma lui ci sperava sempre. Si rialzò da terra, scomparendo dalla vista dell'Hamilton prima che potesse capire cosa fosse successo #shiamifacosìpaura, per poi affiancarsi con nonchalance a Jekyll (aka il suo nuovo amiko, anche se lui non lo sapeva ancora) «sai, il pezzo che hai fatto prima era davvero forte» ed eccolo lì, a fangirlare come una ragazzina, mentre intorno a loro si ammazzavano di botte ) «rappi da tanto tempo? Sembra abbastanza difficile come genere, tipo tenere il ritmo e non ingarbugliarsi con le parole» ne parlava come se ci avesse provato, quando in verità stava solo immaginando come potesse essere, e conoscendosi stava cantando alla grande «si scusa sono molesto, me ne vado» alzò persino la manina nel salutare il ragazzo, tanto ormai l'aveva capito l'altro di non trovarsi davanti a un soggetto normale - non era colpa di Amos se prendeva confidenza troppo in fretta. Non poteva saperlo di aver trovato pane per i propri denti, forse proprio in quel momento c'era un Jekyll con le braccia spalancate, pronto per un abbraccio che pensava di meritare. Questo non possiamo saperlo finché blondi non posterà.
    Intanto l'Hamilton aveva adocchiato poco distante la barriera di uomini che impedivano alla folla di uscire, carne umana a intrappolarne altra come topi in un gioco perverso, dove alla fine non sarebbe rimasto niente. Il ragazzo era già stato in gabbia, e non gli piaceva affatto. Si concentrò sulla forma slanciata di una lancia, l'intera arma fatta di luce che in pochi secondi si trovò nelle sue mani, la ruotò nello stesso modo che fece con la spada, saggiandone il peso e la praticità. Portò il piede sinistro in avanti e la mano destra reggente l'arma poco dietro il suo orecchio per un maggiore slancio e l'altra in avanti per una maggiore precisione di traiettoria (sono le quattro e penso di avere un fetish per questa parola, si), dopodiché lanciò la lama verso la barriera, sperando di abbattere almeno un soldato come avrebbe fatto con un birillo.

    In fondo, chi se ne sbatteva dei due ragazzini morenti sul palco. La mente di Akelei non riusciva a elaborare una buona ragione per cui avrebbe dovuto importarle di salvarli, non si trattava di Archibald, Morrigan o Eugéne, e nemmeno del pulisci cessi che aveva assunto. La piccola folla che si era radunata sul palco per assistere a una morte live - magari anche immortalarla per Instagram – era quello che chiamava uno spreco di risorse, se si trovavano tutti lì lei quale prestate giovane avrebbe adescato? Quel funerale stava incominciando a piacerle meno con i minuti che scorrevano, il vestito nero ad intrappolare il calore e a farle desiderare di poter girare nuda – non che qualcuno avrebbe avuto da ridire. La vera festa, tuttavia, erano i tre presidi che discutevano come avrebbero fatto un Archibald mentre tentava di convincerla a passare droga sottobanco in panetteria, quindi inutilmente e senza speranza di spuntarla. «finiscilo te, ti spetta» incrociò gli occhi viridi della ragazzina, una rabbia muta ad ardere in essi, la smorfia sulla bocca a far pensare ad Akelei che, forse, la bionda non aveva mai avuto bisogno di essere salvata «trpp gentile, m’lady» Sersha ruotò il polso fingendo di poggiarsi un borsalino in capo, mossa tattica imparata dai video che quella fighetta di Barrow si guardava. La Beaumont arcuò le sopracciglia, chiedendosi perché era sempre lei a trovarsi i casi umani, forse frequentare per tutto quel tempo gente come Eugene, Archibald e Run le aveva messo addosso un bersaglio «vie de merde» un sussurro che si perse nel rumore della battaglia, la descrizione di come la Beaumont considerava la vita. Le dita tamburellavano lente e letali sulla bacchetta, lo sguardo volto oltre le varie teste di cazzo che si stavano scontrando, posandosi su una chioma che avrebbe potuto riconoscere ovunque – la presenza di una creatura dal sangue cremisi a scorrere nelle vene e il cuore di ossidiana di chi non aveva niente da spartire con le persone comuni, con i vivi. La voce di Run si alzò tra quelle di tutti gli altri, lo sguardo della bionda che si intrecciò nel suo in un muta domanda cosa gli è successo?; era evidente a tutti coloro che l'avevano conosciuto, c'era qualcosa di terribilmente sbagliato in Harrison Palmer, forse era il modo in cui si portava, forse come i suoi occhi sembrassero vitrei, intenti a fissare il vuoto e nient'altro. Sembrava più un burattino, che un essere vivente. Akelei lo seguì con gli occhi finché non salì sul palco, non era certa di cosa gli fosse successa dopo Brecon, ma di certo non era un problema che si sarebbe caricata sulle spalle, anche senza Palmer aveva altre cose a cui badare.
    Tipo l'uomo che l'aveva presa tra le braccia. Sbatté lentamente le ciglia, le dita a stringersi in un pugno mentre l'unica cosa che riusciva a sentire erano le mani lerce del vecchio a bruciare attraverso il tessuto, come fosse pelle su pelle. Akelei odiava essere toccata in generale, quando erano gli sconosciuti a farlo, e senza un particolare motivo, potevano pur stare certi che li avrebbe massacrati: un dito per volta, carne macellata come coriandoli. «Chi cazzo sei?» severa ma giusta, la smorfia sulle labbra a prendere maggiore forma man mano che era esposta a tanta immondizia, gli occhi ferini ad assottigliarsi. Non le importava di quale fosse il suo nome, sarebbe potuto anche essere Gesù, e l'avrebbe comunque mandato a farsi fottere senza pensarci due volte. Le nocche della bionda di schiantarono sulla guancia di Sinclair, l'immediata scarica di dolore alle nocche a farle dolere l'intera mano, la presa dell'uomo finalmente a sciogliersi. La prossima volta non sarebbe stata così misericordiosa, l'avrebbe fatto cantare a suon di Cruciatus tanto perché ne aveva voglia, perché poteva e nessuno l'avrebbe fermata.
    Durante quella pausa pubblicitaria, le cose attorno a lei non erano cambiate né il mondo sembrava per essere distrutti. La prima cosa che notò guardandosi intorno fu una ragazza, di norma il suo stesso sesso non avrebbe dovuto essere così interessante (tranne per una cosa), ma c'era qualcosa di diverso in lei. Non il suo aspetto, Cristo, nel duemiladiciassette chi non portava i capelli verdi e si vestiva come un barbone?, quanto più nel modo in cui si comportava. Non avrebbe neanche saputo dare un nome a quella sensazione, come se avesse visto gli stessi gesti in un'altra persona, come se quella non fosse solo una sconosciuta. Ah, il Quaalude doveva aver incominciato a fare effetto.
    Non sembrava essere l'unica interessata alla ragazzina, tra le fila dei Draghetti c'era qualcuno con la bacchetta puntata su di lei, un incantesimo ancora sconosciuto a farsi strada nella mente del servo della Gleba. «Oh Ucraina, tieni le mani giù dai miei bambini» un urlo nella sua direzione che avrebbe dovuto attirare l'attenzione verso di lei, la bacchetta dimenticata in tasca e una sedia stretta tra le mani mentre correva verso l'estone.
    E uno, e due, e tre! Si fermò improvvisamente a pochi passi da lui, e lasciò cadere brutalmente la sedia in testa all'uomo, sperando che gli fracassasse il cervello o almeno lo facesse diventare più intelligente. Raccolse per terra una gamba della sedia, infilandosela in tasca come souvenir, magari le sarebbe servita dopo per impalare un altro servo della gleba.
    Indovinate chi c'era a pochi metri da lei, aria sperduta come un cerbiatto e l'onnipresente espressione corrucciata sulla fronte? In quel momento William Barrow era l'immagine della sobrietà nello stesso modo in cui lei lo era della povertà. Il suo sarebbe dovuto essere un'occhiata veloce, un po' come quelle che ogni tanto riservava ad Archibald, un solo sguardo casuale e poi sarebbe ritornata a spezzare ossa e a far piangere i russi. Se anche William non fosse stato puntato da una lituana, l'avrebbe fatto - la situazione, tuttavia, era cambiata così repentinamente da farle girare la testa. Osservò la bacchetta della bulgara alzarsi, e nella testa di Akelei si ripetettero i mille incantesimi che sarebbero potuti fluire da quella punta.
    Voleva far finta di niente, ma come poteva? Era fottutamente davanti a lei, non poteva ignorarlo. «vaffanculo, davvero» un ringhio sentito in ogni vibrazione di quelle due parole, i passi a farsi più rapidi e una mano ad agguantare l'avambraccio del biondo, il corpo di lui a farsi più vicino a quello di Akelei rispetto a quello che avrebbe voluto. Sbatté le ciglia una volta, due volte, e rendendosi conto che stava ancora stringendo il braccio del Barrow liberò la sua morsa «non mi ringraziare, la prossima volta ti lascio a morire» così, tanto per chiarire. La Beaumont gli strizzò l'occhio, per poi scomparire dietro di lui in cerca di carne fresca da sacrificare. Tirò fuori il paletto di legno che aveva infilato in tasca poco prima, stringendolo solidamente tra le dita e buttandosi addosso alla donna che poco prima aveva tentato (o forse ci era riuscita) ad attaccare William, il fatto che le fosse capitata proprio lei sotto mano era un caso. Appoggiò una mano sulla spalla della mora, avvicinando il corpo in modo che da chiunque le avesse viste dall'esterno, sarebbe sembrato un ammoscio - in realtà Akelei aveva il legno pronto tra le dita e quando fu abbastanza vicino, tentò di spingerlo abbastanza da farlo penetrare nella pancia, carne che si lacerava e tessuti che cedevano sotto l'arma che continuava inesorabile la propria crociata «i Beaumont mandano i loro saluti» così, perché citare Game of Thrones in mezzo a un combattimento faceva sempre effetto.
    | ms.


    «Amos»
    COMBO DIFESA con Jade, per Murphy crea una spada laser e tenta di colpire Rudolf al petto
    COMBO DIFESA con Jekyll, per Shia si butta su Scaia per farlo cadere
    ATTACCO sulla Barriera crea una lancia e la spedisce su dei soldati a caso

    «Akelei»
    COMBO DIFESA con Cliff, per Sun spacca una sedia in testa a Gleb
    COMBO DIFESA con Jade, per Will lo tira a sé
    ATTACCO COMBO con Jade, su Grisha la pugnala allo stomaco
     
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    barriera: 30 ps
    ariadna (15 pa): k.o.boris (20 pa): k.o.
    demian (15 pa): k.o.dimitri (20 pa): 19 ps | attacco: 8 (patrick)
    evgeny (15 pa): k.o.elvira (20 pa): k.o.
    faddey (15 pa): k.o.fedor (20 pa): 10 ps | attacco: 10 (ekate)
    feliks (15 pa): k.o.gena (20 pa): 8 ps | attacco: 1 (cliff)
    georgy (15 pa): k.o.grisha (20 pa): 11 ps | attacco: 2 (ake)
    gleb (15 pa): 30 ps | attacco: 15 (jade)igor (20 pa): 5 ps | attacco: 8 (hope)
    ivan (15 pa): 7 ps | attacco: 1 (hyde)klava (20 pa): k.o.
    klim (15 pa): k.o.ludmilla (20 pa): 13 ps | attacco: 20 (shot)
    lev (15 pa): 30 ps | attacco: 10 (jade)maxim (20 pa): 30 ps | attacco: 14 (fox)
    nikolai (15 pa): 30 ps | attacco: 6 (elysian)rudolf (20 pa): 30 ps | attacco: 11 (jekyll)
    sergey (15 pa): 30 ps | attacco: 4 (amos)tasha (20 pa): 30 ps | attacco: 16 (cora)
    stiles: 30 pswill: 30 psfox: 17 psphob: 30 ps
    arci: 28 psjess: 30 psake: 30 pscain: 27 ps
    cj: 20 pssun: 23 pssin: 30 psobi: 30 ps
    byron: 30 psmurphy: 30 pspat: 30 psmitch: 30 ps
    ekate: 30 psal: 19 pserin: 26 psniamh: 30 ps
    hope: 30 psjeremy: 30 psamelia: 30 psshia: 30 ps
    shot: 30 psmaeve: 30 pselysian: 30 psjoey: 30 ps
    cliff: 30 psjekyll: 30 pshyde: 30 psamos: 30 ps
    cora: 30 psmeh: 30 psmeh: 30 psmeh: 30 ps
    agnes (20 pa): k.o.alain (25 pa): 28 ps | attacco: 5 (thad)
    albert (20 pa): k.o.ambre (25 pa): k.o.
    baptiste (20 pa): k.o.blaise (25 pa): 30 ps | attacco: 9 (arci)
    claude (20 pa): k.o.dorian (25 pa): 30 ps | attacco: 17 (obi)
    etienne (20 pa): 30 ps | attacco: 4 (byron)gerard (25 pa): 30 ps | attacco: 17 (gemes)
    lucien (20 pa): 30 ps | attacco: 10 (ade)jerome(25 pa): 30 ps | attacco: 14 (al)
    run: 21 psscott: 30 psjericho: 30 psbrandon: 30 ps
    cece: 29 pseuge: 30 psthad: 30 psnathaniel: 24 ps
    gemes: 21 psjade: 30 psade: 30 psmeh: 30 ps


    DIFESE
    -- (2 PA) JOEY: cliff + hyde: 15 + 7 = 22 PD (+20 PA)
    -- (10 PA) SUN: cliff + ake: 1 + 2 = 3 PD (-7 PS)
    Le difese sono totalmente inefficaci ma apprezza il tentativo #no, e vieni brutalmente scagliata, addosso ad un mucchio di sedie.
    -- (10 PA) MURPHY: jade + amos: 1 + 14 = 15 PD
    -- (1 PA) WILL: jade + ake: 4 + 5 = 9 PD (+8 PA)
    -- (10 PA) SUN: cliff + ake: 1 + 2 = 3 PD (-7 PS)
    -- (7 PA) MAEVE: jekyll + hyde: 6 + 2 = 8 PD (+1 PA)
    -- (18 PA) SHIA: jekyll + amos: 14 + 13 = 27 PD
    -- (3 PA) CJ: gemes + ade: 13 + 10 = 23 PD
    -- (7 PA) RUN: gemes + ade: 9 + 11 = 20 PD (+13 PA)

    ATTACCHI [vasy]
    -- EVGENY (2): cliff: 6 (+20) = 26 PA K.O.
    -- GRISHA (1): jade + ake: 9 + 2 (+8) = 19 PA
    -- KLIM (7): jekyll + hyde: 15 + 14 (+1) = 30 PA K.O.

    ATTACCHI [francia]
    -- CLAUDE (7): gemes + ade: 13 + 15 (+13) = 41 PA K.O.

    ATTACCHI [barriera]
    -- amos: 11 PA




    I Draghetti rispondono:
    -- CLIFF: Incendio
    -- JADE: cerca di prenderti i capelli e sbatterti addosso a una sedia
    -- JEKYLL: Frastronum
    -- HYDE: Sigillis
    -- AKE: Angustis
    -- AMOS: cerca di saltarti addosso e schiacciarti al suolo
    -- CORA: Stupeficium

    Le Baguetterispondono:
    -- GEMES: Extractum
    -- ADE: cerca di stordirti emettendo potenti onde sonore (Emissione di Onde Sonore ma dai)
    -- AL: Deploratio
     
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    Quando la Crane non lo terrorizzava psicologicamente, cosa che accadeva più spesso di quanto la mimetica fosse disposta ad ammettere pubblicamente, a Stiles piaceva - andiamo, a chi non piaceva Run? Ciononostante, quando se la vide sanguinante e mezza nuda di fronte - stiles non guardare le tette stiles non guardare le tette stiles- «EH VABBè MA ME LE SBATTI IN FACCIA» – qualche, legittimo, dubbio, gli sovvenne. Perplessità che non fece che aumentare, quand’ella lo invitò a raccogliersi a palla come un riccio, ma lungi da lui mettersi a criticare: poteva non sembrare, lo so, ma voleva vivere.
    E poi accadde.
    La magia, l’incanto. Pregava (egoisticamente, dato che probabilmente l’amico non era in mood) che Isaac, in quel momento, avesse gli occhi sollevati al cielo: perché quello, ragazzi miei, era un sogno che diveniva realtà.
    Stiles stava volando; provò la stessa eccitazione di Rovazzi e Morandi - anche lui non ebbe alternative e dovette atterrare in tangenziale, kind of. Fu un emozione così mistica, che quando raggiunse il Draghetto colpendolo con il proprio dolce peso, aveva le lacrime agli occhi.
    Di commozione, eh. Mica perché s’era incrinato una costola.
    «un sogno» singhiozzò, prima di rotolare lateralmente onde evitare di finire vittima degli attacchi contro l’uomo.
    Chissà quanto rimase a terra, Andrew Stilinski – probabilmente più del dovuto, le mani intrecciate in grembo e gli occhi caramello a cercare forme buffe nelle nuvole. Intorno a lui l’apocalisse, eppure nessuno lo scalfì: di tanto in tanto dovette raccogliere le gambe al petto per evitare che qualcuno gli frantumasse le rotule, ma nulla di tragico – un po’ di esercizio fisico gli faceva solo che bene.
    Forse Karma se n’era andata perché i bueno, anziché averli come addominali, li aveva mangiati.
    O forse perché se li infilava sotto al labbro superiore fingendo di essere un tricheco.
    Probabilmente entrambi.
    Ed allora lo sguardo del Tassorosso si fece più triste e pensoso, le sopracciglia corrugate. Strinse le dita così forte da farsi venire le nocche bianche, la mascella serrata. Dio, Stiles, quando inizierai a crescere?
    Quante volte la Montgomery gliel’aveva detto - aveva creduto fosse una battuta, quelle frasi su cui rider sopra con un finger gun strategico. Si inumidì le labbra, ruzzolando prono per potersi reggere il mento fra le mani come ogni tredicenne con il cuore spezzato.
    E fu allora, che lo vide.
    «EHI» scattò in piedi – e noi tutti vogliamo fingere che si trattò di un movimento agile ed aggraziato, non quello di un cammello nelle foreste peruviane. Puntò lo sguardo su Obi, il suo Obi: poco importava che l’avesse adottato da sole due settimane, ormai era un membro affermato della famiglia. Una strana, surreale famiglia – ciò di cui Stiles aveva sempre avuto bisogno. Quella gente che lo accettava e gli voleva bene malgrado fosse un caso umano, sapete. Quelli che altri chiamavano amici, ma che per lui erano sempre stati qualcosa di più.
    «LO SO» gridò in risposta alla Skywalker, scavalcando un (cadavere?) corpo a terra ed incrociando così la strada della geocineta. La mano di Stiles afferrò saldamente il braccio della ragazza, supporto morale o semplice bisogno d’equilibrio, mentre con la grazia di due pinguini reali annaspavano fra la folla cercando di raggiungere Obiwan.
    Vorrei dire che nella vita di Stiles non accadevano spesso simili situazioni, ma.
    Ma effettivamente, aveva in famiglia uno Stich ed un Isaac, quindi.
    «BODY SLAAAAAAAAM» fu un urlo di battaglia, il suo, come quello di Peter Pevensie nel nome di Aslan. Stiles, approfittando della rincorsa, saltò verso il collo dell’uomo, memore di tutte le puntate di smackdown viste in TV; lo trascinò a terra con il proprio peso, il braccio allacciato alla sua gola mentre, violentemente, trascinava entrambi a terra.
    Come aveva osato: il suo Obi!
    Ed ancora strinse maggiormente la presa, cercando di diminuire l’afflusso di sangue al cervello così da fargli perdere i sensi: nei film di Jackie Chan, funzionava sempre.
    Si trovava ancora lì, a far pressione per cercare di mettere K.O. il baguettaro, quando poco distante vide Hope minacciata da una sedia - orrore. Con la mano libera estrasse la bacchetta e la impugnò verso la bionda, lo sguardo concentrato sull’oggetto Ikea d’arredamento: «ACCIO SEDIA» ovviamente non pensò che la sedia avrebbe potuto, effettivamente, rispondere al suo comando.
    Beh.
    Nel caso avrebbe usato il Draghetto come scudo – non era forse a quello che servivano gli amiki?

    «WILLIAM, TIRAMI GIÙ» Generalmente, non era bello trovarsi sospesi a testa in giù ad un metro e mezzo da terra, ma sapete quando la situazione peggiorava?
    Quando intorno a voi gli incanti impazzavano come coriandoli a carnevale, fischiando colorati ad un pelo dalle vostre orecchie.
    Se la sua intenzione era stata ucciderla, esistevano metodi molto meno brutali, che non appenderla a mo’ di pignatta nel bel mezzo di una guerra mondiale. Come da lei richiesto, l’incanto venne a mancare: Erin rotolò al suolo come un budino di gelatina, un sibilo fra i denti mentre le dita andavano a stringersi sul braccio ferito. Una scia di sangue giungeva fino alla spalla, ed ora tornava a seguire la normale gravità riprendendo a sporcarle gomito e palmo. Meh, poteva andarle peggio.
    Ciò non significava che non fosse facilmente impressionabile, e quel piccolo taglio bastò a farle venire le lacrime agli occhi. Voleva cercare Amalie e chiederle un abbraccio, malgrado sapesse che la Shephard, troppo preoccupata, le avrebbe fatto una ramanzina mistica. Voleva trovare Scott ed appallottolarsi su di lui al sicuro, lontano dalla bolgia. Voleva comprarsi (con biscotti) Jess e Nathan per farle da body guard.
    Ed invece cosa fece, la nostra eroina in miniatura?
    Non si fece gli affari propri, ovviamente. «ATTENTO» gridò verso Byron Winston, conosciuto perché stalkerava il profilo instagram di Maeve; afferrò repentina una sedia, ringraziando che fossero quelle scrause dell’ikea facili da maneggiare – era pur sempre alta un metro e tanto amore, la Chips-, e la sistemò strategicamente fra l’uomo francese e Byron. «ew, che schifo» –cit Summer Roberts. Sputare sulle persone era di per sè un attacco meschino ed agghiacciante, figurarsi quand’era acido.
    Ovviamente Erin non lo sapeva, quindi si preoccupò solamente dell’offesa emotiva che avrebbe implicato avere saliva altrui su di sé.
    E non seppe cosa la attirò verso di lui, gli occhi grigioverdi a soffermarsi sul profilo dannatamente alto di un ragazzo – la pelle olivastra, i capelli scuri. Lo ricordava dalla radura, Erin Chipmunks.
    Lo ricordava perché le era parso familiare, pur essendo certa che non lo fosse.
    Lo ricordava perché l’aveva aiutata, e lei avrebbe sempre ricambiato il favore.
    Lo ricordava perché tutti, ma non loro valeva per qualunque vita.
    Così si lanciò su Archibald Leroy, le palpebre serrate mentre tentava, con il suo peso da banana bread, di tenerlo ancorato al suolo. «è questo che si prova a salire su un elicottero?» #wat Quando fosse stata certa di non vederlo volare via come la casa di UP, allora avrebbe ruotato lo sguardo sul suo aguzzino – ma qual era il problema della Francia? EBBASTA. «molto rude» osservò con disappunto, per poi entrargli in scivolata sulle caviglie.
    Una vera badass, lo sapeva.

    Jericho Lowell si prese il suo tempo per controllare le munizioni, le gambe incrociate per terra. Nessuno pareva più interessato a lei, e prima di scagliarsi in una lotta all’ultimo sangue, voleva essere certa di avere abbastanza proiettili da non ritrovarsi a mani vuote quando più ne avesse avuto la necessità. Senza contare che quel genere di caos, non le piaceva poi così tanto: era disorganizzato, come la politica inglese. Impossibile capire da che parte stare, ed una vera fortuna che la Lowell, in momenti come quello, ne avesse sempre e solo una: la sua. Stava lì, seduta sul fine prato verde della radura, ed ignorava bellamente il conflitto attorno a sé, limitandosi a secchi «non qui» quando qualcuno cercava, poco carinamente, di morirle di fianco.
    Non c’era più rispetto.
    Inarcò le sopracciglia, un gomito poggiato distrattamente al suolo. C’era un che di affascinante nell’osservare l’orda all’opera, un gruppo di disagiati che, ogni tre per due, riusciva a perdere sangue laddove non qualche arto – emblematica nella sua attesa, i pigri occhi zaffiro a scandagliare la folla. Non c’erano molte persone per le quali sarebbe stata disposta a muovere il culo, e buona parte di quelle persone avevano già altri che s’impegnavano a difenderli: buon per loro.
    Lei poteva continuare a cazzeggiare, come tanto le piaceva.
    «ah, che sbatti» sospirò, arcuando le sopracciglia nel notare come, poco distante da lei, Thad fosse stato preso sotto attacco da uno dei foie gras: e figurarsi se quel nano non riusciva a far incazzare una delle casacche blu abbastanza da aizzarlo ad ucciderlo. Sollevò il braccio destro, la pistola ben stretta nel palmo: «fuoco» avvisò, con tono distratto ed apatico, così da dare modo a chiunque si fosse trovato sulla linea, di spostarsi – e premette il grilletto, mirando allo stomaco del francese.
    Meh, aveva fatto il suo dovere.
    Avrebbe continuato ad impigrirsi sul prato, un lieve sorriso a piegarle la bocca, se solo.
    Se solo non avesse visto le spalle di Fox Withpotatoes, ed un uomo a scagliarsi contro di lui nel tentativo di strozzarlo. Uno di Vasilov: Jericho avrebbe dovuto, farsi i cazzi suoi. Tifava per il Drago, lei – non avrebbe cambiato idea sul suo conto solamente perché s’era mostrato più estremista di quanto si fosse aspettata, ad ognuno il suo.
    Ma era Fox, quello. Ed a Jericho diceva qualcosa, il sorriso storto dell’uomo. La sfumatura calda delle iridi. Scattò in piedi e fendette la folla fino a giungere dallo special, la pistola a rinfrescarle il palmo. Sollevò gli occhi blu su Gemes, un cenno del capo ed un mezzo sorriso: «bella lì, come butta?» prima di sparare contro la gamba dell’uomo, sperando così di bloccarne l’offensiva.
    E non avrebbe dovuto attaccare, Jericho - non era la sua parte di barricata.
    «meh.» ma lo fece comunque, perchè Fox era Fox: ancora, sparò a bruciapelo all’uomo del Drago - questa volta al petto.
    Non si toccava a famigghia.
    | ms.


    -- stiles: difesa obi, stiles + murphy: body slam
    -- stiles: attacco dorian (francia): stringe la gola per fargli perdere i sensi #wat
    -- stiles: difesa hope, stiles + sun: accia la sedia

    -- erin: difesa byron, erin + dak: mette una sedia per non fargli sputare su byron (?)
    -- erin: difesa arci, erin + arci: si aggrappa ad arci
    -- erin: attacco combo con arci su blaise (francia): fa uno sgambetto

    -- jericho: difesa thad, jericho + arci: spara
    -- jericho: difesa fox, jericho + gemes: spara
    -- jericho: attacco su maxim (vasy): spara
     
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    Le mani di Dakota si muovevano veloce sulla cravatta, gli occhi azzurri a seguirne i movimenti senza alzare neanche una volta lo sguardo sul giovane uomo di fronte a lui.
    «Così dovrebbe andare», sentenziò quando ebbe finito, dando una pacca sul petto di Jason come fosse bastata quella per togliere le pieghe dai suoi abiti. «Sei bellissimo»
    Sembrava così rilassato, il Wayne; un sorriso sottile dipinto sulle labbra, l'espressione pacata e affabile di quando lavorava con i bambini e doveva tranquillizzarli. Sembrava stesse semplicemente sistemando il completo del proprio ragazzo per una festa qualsiasi. Chi avrebbe mai detto, vedendolo adesso, che negli ultimi due giorni aveva dormito non più di due, tre ore? Chi avrebbe mai detto che sentiva ancora un ago (che un ago, un fottuto palo) piantato nel petto ogni volta che ripensava a quanto capitato? "«Avevo da recuperare delle ore a lavoro»", aveva detto a colazione a Maeve per giustificare la sua scarsa presenza in casa gli ultimi due giorni e le occhiaie che facevano invidia a quelle di Carrie, ma come avrebbe potuto crederci la ragazza, quando Dakota non aveva mai perso un turbo al San Mungo neanche per malattia? Come poteva crederci, quando Mae conosceva così bene il ragazzo, e sapeva quindi che quella, ovvero il lavorare incessantemente, non stare mai fermo, era solo la sua tecnica di difesa contro i problemi del mondo esterno?
    «Ehi»
    Non guardava Jason, non ne aveva il coraggio. Dakota si risistemò al suo fianco, cercando con nonchalance la mano tatuata dell'uomo, trovando conforto nelle dita callose a causa delle troppe corde di chitarra premute. «Ehi»
    «Mh? Cosa?» Si rese conto di aver accelerato il passo e di starsi quasi trascinando dietro Jason. Quando era arrivato al'aetas con Mae e co, subito aveva cercato l'ex serpeverde nella folla, lasciando agli altri il compito di occupare dei posti. Trovato Jason, si era limitato a una saluto distratto, a un bacio sulla guancia, e a sistemargli il vestito messo male. Non aveva accennato ai messaggi che Jason gli aveva mandato, lasciati senza risposta.
    «Sicuro di non volerne parlare?»
    «Ti ho già detto che non c'è niente da dire»
    Odiava quando Jason cercava di insistere su cose che neanche lui capiva, nel tentativo blando e inutile di far star meglio Dakota, e allo stesso tempo lo amava.
    Solo che non gli piaceva parlarne comunque.
    «Rosso, se vuoi tornare a c-»
    «Guarda se vedi qualche Winston vicino a cui metterci»
    Perchè a Dakota non andava di stare a discuterne, di tirare fuori il discorso. Non con Jason, non con qualcuno in generale.
    Delle persone erano morte. Molte persone, persone innocenti. Non erano morte in una missione, non erano morte lottando, non erano morte perchè nel posto sbagliato al momento sbagliato, non erano morte perchè malate di una qualche malattia incurabile. E non erano davvero solo morte: erano state uccise. Che li conoscesse o meno (e cavolo, li conosceva pure), Dakota ne era rimasto straziato. Un altro attentato, altre giovani vite strappate via per fondamentalismi che neanche erano stati resi pubblici.
    Era rimasto a guardare le immagini di fumo e pianti alla televisione per ore, incantato, le labbra socchiuse e le ginocchia strette al petto, aspettando altre notizie, aspettando altri sopravvissuti.
    Il fatto che sapesse che quel mondo non fosse il migliore degli universi possibile, che sapesse che c'erano persone sbagliate che facevano cose sbagliate (perchè definirli cattivi era troppo pure per lui), non l'aveva fermato dal mettersi a piangere domandandosi perchè. Almeno, i Cacciatori avevano rivendicato quanto iniziato ormai un anno prima. Nel loro torturare i rapiti, erano stati comunque in qualche modo umani, con degli ideali, per quanto sbagliati. Quell'esplosione in Francia invece era sembrata così inutile. La goccia che aveva fatto traboccare un vaso che acqua già la perdeva da tutte le parti.
    Non era mai stato particolarmente forte, Dakota, quando si parlava di accettare le disgrazie. Lui i problemi era sempre stato più bravo ad evitarli, e anche quella volta li aveva evitati andando al San Mungo più ore, facendo degli straordinari che nessuno gli aveva chiesto. Il bello di lavorare in un ospedale, era proprio il fatto che ci fosse sempre bisogno di qualcuno. Tutti i giorni, tutte le ore. Era tornato a casa giusto per mettersi a tavola con Mae, Leaf e Byron, evitando allegramente l'argomento attentato (se non per dire qualche bella parola sul fatto che non dovevano vivere nella paura, perchè i colpevoli sarebbero stati trovati), e offrendo invece aneddoti divertenti sull'ospedale. Non aveva neanche visto Jason, quei due giorni. La prima notte, si era infilato nel letto di Mae, il braccio a circondarla in un abbraccio protettivo. La seconda notte, l'aveva passata in bianco a singhiozzare.
    Si sedettero vicino alla loro famiglia (perchè sì, ormai Jason era di famiglia, non avendone una propria), sorrisi fugaci rivolti anche a Jess, Niamh, Amalie... Quando Idem iniziò a parlare, Dakota non piangeva, a differenza di altri. Non guardava negli occhi Jason, per paura di vederci una preoccupazione immotivata che non voleva trovarci. Non guardava nessuno negli occhi, per paura qualcuno avrebbe potuto vedere in lui come davvero stesse di merda. Non si sarebbe dimostrato debole davanti alle persone che amava. I fratelli di Idem e Del erano morti, ma sarebbe stato forte, perchè ormai era successo, e non avrebbe cambiato la situazione crollando. Si limitò a mettere un braccio attorno alla spalla di Leaf, mentre l'altra mano era sulla gamba di Jason, le dita ancora intrecciate.
    Da un certo punto di vista, andava tutto bene. Poteva reggere. Poteva reggere i racconti su Nathan e April, poteva reggere di vedere Tupp senza genitori accanto. Poteva reggere a ripensare a quando Nathan, nel capanno, aveva cercato di distrarlo raccontandogli come funzionava questo o quell'aggeggio, poteva reggere il ricordo di Delililah che gli insegnava a tenere una pistola in mano.
    Poteva reggere poteva reggere poteva reggere. Finchè a un certo punto, era sulla soglia di non farlo più.
    Giusto giusto quando Vasilov diachiarò guerra a Lafayette.
    La velocità con cui successe il tutto lo lasciò confuso e inerme (complice le poche ore di sonno alle spalle), ma capiva abbastanza per sapere che stava succedendo qualcosa di grosso.
    «Rosso, stammi vic-»
    «Dobbiamo pensare ai ragazzi»
    aw, un deja vu. Chissà perchè ad ogni sacro evento a cui andavano i mayne, alla fine ci fosse da combattere, e ci fosse Jason che diceva (provava a dire) a Dakota di non fare cazzate e stargli vicino, e ci fosse Dakota che invece pensava a come poteva rendersi utile.
    Restava il dubbio: dalla parte di chi avrebbero dovuto combattere? Di solito era piuttosto chiaro, ma quella volta si trovava a metà fra due fuochi, amici contro amici. Vasilov per ovvi motivi non gli piaceva, mentre Lafayette era praticamente il capo della resistenza internazionale... ma era stata Vasilov a tirare fuori lui e Jason dal capanno a Brecon. Ma aveva lasciato gli special dentro. Forse per errore. Poteva fidarsi di Jeanine, se diceva che era stato il Drago a fare l'attentato? In fondo, Vasilov non sembrava così sciocco da lasciarsi prove alle spalle, da farsi addirittura vedere.
    Decise che si sarebbe limitato a difendere e attaccare solo se necessario per neutralizzare. Dak non riuscì ad avvicinarsi al palco per occuparsi del ragazzino pelato che era stato avvelenato, ma districando le mani da quelle di Jason pensò comunque che sarebbe stato utile un guaritore, più che un soldato, in quel combattimento senza veri giusto o sbagliato. Quella era la sua guerra, ma non si sarebbe buttato alla cieca. «Aspetta»
    «Jaz, non c'è più tem-»
    Non riuscì a rifiutare il bacio, non del tutto, e quando finalmente le mani del Maddox gli lasciarono il viso, Dakota aveva un sorriso confuso sulle labbra. Dopo tre anni e vari tira e molla, le labbra di Jason erano ancora capaci a mandargli in sobbuglio testa e stomaco.
    «Ecco, ora puoi andare a fare l'eroe. Ti guardo le spalle»
    Aw. Avrebbe voluto spingersi di nuovo in avanti per un altro bacio, ma prima il dovere poi il piacere. Si buttò nella mischia, cercando la gente ferita, cercando bambini davanti a cui mettersi per fare da scudo, e essendo semplicemente Dakota.

    Well, ovviamente il francesino di merda tirò le cuoia, all'attacco combinato della tharci. C'erano dubbi? «Dovremmo rifarlo qualche volta», disse allegramente Arci, e non certo geloso perchè sapeva che Thad ogni tanto se la andava a spassarsela con Jericho nei ghetti a uccidere gente mentre a lui non l'avevano mai invitato gli stronzini. Mica per quello eh . (però davvero, avrebbero voluto chiedergli di andare con loro qualche volta. Non è che solo perchè erano bff gngngn we're like a small gang allora potevano permettersi di escludere Arci e fare le cose solo fra loro da veri asociali razzisti insensibili; lui voleva tanto bene a entrambi: erano così psycho e tascabili!)
    «Tipo- adesso
    Like, literally.
    Neanche il tempo di lamentarsi e mettere su un po' di draaaama perchè veniva ignorato (che poi perchè? Era così simpy e gnocco; tutti sapevano che Thad lo amava, mentre Jericho... beh, Jericho non aveva ancora provato a ucciderlo, se non è affetto questo), che un escargot (non avevano neanche il diritto di chiamarsi baguette, gli infami; la loro baguette non era bella come quelle di Arci.) tornò all'attacco verso Thad. Perseverante, mh.
    «JERITHARCI ASSEMBLE!» o qualcosa del gente, meh. Cedendo il suo corpicino a qualsiasi cosa la ragazza avesse potuto trovarlo utile (spoiler: niente), Arci si mise in posizione, le braccia aperte, il paletto sporco del sangue del francesino di prima stretto fra le mani. Quando si accorse che non aveva la più pallida idea di cosa fare per contrastare un incanto con quella mazza improvvisata, passò al piano due. Placcaggio. Buttando all'aria l'inutile paletto, quindi, si sarebbe buttato su Thad, atterrandolo per toglierlo dalla traiettoria dell'incanto. E se nel frattempo la mano di Arci andò a toccare punti delicati, non era colpa sua.

    «Perchè non puoi ascoltare tua madre e salire su quel fottuto palco?» sì, papà castoro dakota stava facendo la ramanzina a Byron, e non gli dispiaceva neanche un po'. Come ribelle ovvio, Dakota era d'accordo sul fatto che tutti dovessero combattere e fare la propria parte, ed era entrato lui stesso nella resistenza a quindici anni (ricordava ancora la prima missione in quella creepyssimo caverna labirintica)... ma questo non voleva dire che i vari bimbi!Winston(c)- che quindi erano anche un po' la sua famiglia, potessero ora andare in giro a picchiare la gente invece che a mettersi in salvo. Non quanto erano così too pure e too precious for this wolrd. Non quando quel funerale era un picchiaduro tutti contro tutti, senza veri schieramenti. Come facevi a capire in quel macello chi fossero i buoni e chi i cattivi?
    «Anzi, cerca di raccattare chiunque abbia meno di diciassette anni e portalo con te» ma anche chi era già maggiorenne, dai. Davvero avrebbe dovuto lasciare dei duemila azzuffarsi contro dei soldati addestrati, solo perchè già diciassettenni? Ovvio che no. Ma neanche i novantanove come Jess e Carrie, ora che ci pensava.
    Sapete cosa? Nessuno doveva direttamente combattere, ecco. Fine della storia.
    «Tipo -oh, Erin! Eccoti! Dovreste decisamente andare a mettervi al sic-»
    «ATTENTO!»
    «Cos- eeeeeeeh no bello, non ci pensare neanche»

    Uno non poteva neanche fare il papà apprensivo, ed ecco che arrivava random una baguette a cercare di sputare addosso al suo figlioccio. Ma come si permetteva?? MA CHI ERA? Dakota cercò di tirare via Byron, allontanandosi leggermente dallo spruzzo di bava acida (ew, e Dakota che pensava volesse semplicemente sputare, non so, saliva), per poi guardare grato Erin. Aw, se lei non fosse stata lì forse-... beh, ci sarebbe stata una persona in meno a cui pensare . E se Byron fosse andato subito a mettersi al sicuro, Dakota ed Erin non avrebbero dovuto salvarlo. «Davvero» riprovò, ammorbidendo il tono «Mi renderesti più tranquillo... e ah! Ho visto quell'incanto a CJ, prima» Sorrise a Byron, dandogli un leggero buffetto sulla guancia. Non poteva non essere fiero di lui. «Sei stato bravo»

    Arci non aveva seguito la scena, ovviamente, quindi Erin su di lui fu una sorpresa.
    Dopo che Thad se l'era scrollato di dosso (rude), si era semplicemente sistemato i vestiti offeso, cercando tra la folla i suoi amiki. Aveva proprio bisogno di una pausa cool, quelle un po' special, ma da solo non era divertente. Aveva riperso Jeremy, e sperò che non fosse a farsi uccidere, così come Bells e Oscar. Che fossero sul palco con i neutrali? In fondo, loro non erano mai sembrati particolarmente interessati alla guerra e alla violenza. Non come i Jerarci, almeno.
    Era tutto preso da se stesso (come al solito), quando sentì delle manine addosso. «Eja, segñorita» un po' di brasiliano in onore di Nico CIAO MANCHI ANCHE TU
    Si voltò verso la ragazzina mentre questa, con tutto il suo peso (quanto, trenta chili da bagnata?) cercava di-... di? Solo a quel punto Arci notò che uno special (di poteri e mentale, visto che se la stava prendendo random con lui) stava usando la sua magia contro di lui. O almeno ci provava. Andiamo, chiunque abbia giocato a Final fantasy o qualsiasi altro videogioco sa che le magie dell'aria sono le più inutili! Non è neanche un tipo di pokemon!
    Arci in ogni caso apprezzò il tentativo della ragazzina, piantando i piedi a terra e godendosi la brezza senza cadere o farsi trascinare via come farebbe un surfista (???). «Grz bro. avevo un po' caldino»
    «è questo che si prova a salire su un elicottero?»
    Aprì la bocca, per rispondere che se voleva, glielo faceva provare lui l'elicottero (?), ma qualcosa lo fermò. Prima di pensare alla testa di cazzo che aveva cercato di attaccarlo (attaccarlo? Madonna quanto lo confondevano gli special con i poteri invisibili), e a come rompergliela, quella testa di cazzo, si concesse un paio di secondi per guardare la pulcina che aveva ben pensato di aiutarlo. C'era qualcosa di familiare, in lei, come sempre, come quella prima (prima?) volta che l'aveva incontrata a Brecon, e si erano gentilmente aiutati contro i Cacciatori. Forse qualcosa nei suoi occhi, o forse nei lineamenti della faccia. Ora che la poteva guardare da più vicino, sentiva una specie di pizzicore in testa, un campanello di allarme che suonava e lo avvisava che si stava perdendo un pezzo. Perchè le pareva di averla già vista, ma non era sicura di dove e come e se proprio in quella forma. Non sapeva neanche bene in cosa, ma decise che le ricordava la sorella e insieme Scott, come se avessero deciso di avere un figlio #wat "Il sorriso", decise, e subito scacciò via le domande. Ovviamente era impossibile che i tre fossero collegati; probabilmente neanche si conoscevano.
    Mentre la ragazzina tirava un calcio sgambettoso all'escargot, Arci avrebbe approfittato della corrente d'aria ancora presente, facendo un calcio volante alla Chuk Norris all'uomo.
    «Siamo una bella squadra», ammise rivolto verso la ragazza, e con un sorrisetto se ne andò.

    Meanwhile, Dakota non aveva potuto fare a meno di notare come la sua piccola (?) e dolce e folle protetta fosse brava a mettersi nei guai. Possibile che Elysian, sparita per mesi, dovesse essere rispuntata proprio quando il mondo sembrava essere impazzito??
    «Giù!», la avvisò saltandole davanti, mentre tirava fuori la bacchetta e la agitava in un protego muto. Perchè aveva detto giù se tanto aveva fatto il protego? Meh, abitudine, scena, a voi la scelta. «Mi sei mancata», ammise, ed era felice finalmente di poterle parlare. Per mesi, ormai due anni prima, aveva dovuto essere un piccolo stalker, tenendola d'occhio per la resistenza per assicurarsi che non si mettesse nei guai nel mondo magico (o in quello babbano, rivelando i suoi poteri) (potete immaginarvi un giovane Dakota Wayne con baffoni finti a spiare da dietro un giornale con i buchi #wat), ma finalmente, sebbene nelle peggiori condizioni, nel capanno di Brecon Dak aveva avuto l'occasione di presentarsi per bene e diventarle amico. Non aveva potuto ovviamente dirle che era stato per tutto quel tempo il suo angelo custode, però dai, ora almeno era amiki (?).
    Improvvisando un balletto per restare nello stile di Elysian (?) agitò nuovamente la bacchetta, questa volta in un Incarceramus verso il soldato del drago, lanciando solo un'occhiata veloce all'uomo che aveva aiutato e che nè Dakota nè Ari sapevano di conoscere. Nel dubbio, finger gun di ringraziamento.

    | ms.



    DAK
    difende byron spostandolo combo con erin
    difende elysian con protego combo con zoel
    attacca nikolai (NIKOLAJJJJJJJ) con incarceramus combo con zoel

    ARCI
    difende thad saltandogli addosso combo con jer
    difende sè restando in equilibrio (?) combo con erin
    attacca blaise sorvolando l'aria (?) e tirando un calcio volante combo con erin


    Edited by mephobia/ - 6/8/2017, 11:19
     
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    WHAT THE HELL AM I DOING HERE? | 03.07.17

    Le mie toste giornate filavano così, tra un mega-tiro di bamba e una benza di Spaco Lee. Poi la mia sedia lanciata un po' più su andó proprio sulla testa di quella Heidrun laggiù; lì la Crane si incazzó, face una trottola di me e la Beecha rassegnata disse: «Vattene a caghér!».
    Cristiddio, ma quanto aveva bevuto? Sbatté le palpebre, Eugene Jackson, osservando la sedia ikea volare in tutt'altra direzione rispetto a quella desiderata - giuro, era convintissimo di aver mirato il nemico -, la fronte corrugata nel momento in cui Run venne colpita dall'incantesimo. Soffriva, il pavor, come mai avrebbe pensato di poter stare male nella vita, e si sentiva svuotato di una parte di sé fino a quel momento data per scontata, ma non bastava a giustificare il casino che stava contribuendo ad alimentare. Prima quell'attacco in nome di una vendetta ubriaca e sbiadita, rabbiosa e per questo affatto logica, poi il sangue . Sangue che era come fosse suo, e non solo perché ormai gli eumes erano legati anima (e anche un po' corpo, suvvia); non poteva sopportare di vederla soffrire. Di vederli rischiare la propria vita mentre lui barcollava come una spugna marcia, sentendosi nient'altro che uno schifo. E se Lardina fosse stata abbastanza vicina per vederlo? «MEH! SCUS HEIDI STAI BENE? TVB!» Mimó un cuore con le dita, stampandosi un sorriso sollevato sulle labbea quando la vide rialzarsi, un cenno del pollice sollevato per assicurargli di non essere ancora morta. Diciamo che se ne sarebbe reso conto, ecco. A tal proposito, dove cazzo era finito Gemes? Non gli piaceva perderlo di vista così, sapendo quanto negli ultimi tempi il telecineta sembrasse voler morire gettandosi da una rupe al solo scopo di sfracellarsi su delle pietre appuntite; ed infatti, nemmeno a farlo apposta, eccolo là: intento a lasciarsi parare il culo da due ragazzetti con le palle a dir poco quadrate. Ah, quanto amava le nuove generazioni! Sempre pronti a fregarsene delle loro giovani vite per salvare musoni sconosciuti che li avrebbero ringraziati al massimo con un grugnito di disappunto (ovvero come quell'ingrato dell'Hamilton si rivolgeva ad Euge ogni volta che lo salvava dalle grinfie assatanate di tjade, stronzetto); che poi, anche qui, sconosciuti era un termine relativo, ed il serpeverde non aveva nemmeno un'idea di quanto. Tanto per non smentirsi e rischiare di fare bella figura lì dove il sul nuovo bff stava riuscendo meglio di lui, finse - #credici - di non rendersi conto del pericolo, lasciando a Jade e a quel suo amico raggio di sole evidentemente innamorato della Skywalker (lo shipper club non perdona) l'ardua impresa di proteggerlo dall'attacco nemico. Perché nessuno avesse ancora pensato a proteggerlo da se stesso, non si spiegava proprio. O forse già lo facevano, tutti loro, come si fa con un bambino speciale (autistico?) da tenere sotto controllo per evitare si infilzi un occhio con le forbici.
    Capì di averla scampata bella solo quando la semiautomatica di Shot sparó l'ultimo colpo, quello letale, e pur non conoscendo a fondo il ragazzo Euge si sentí in dovere di alzare entrambi i pollici, soffiandogli poi un bacio omaggio sfiorandosi la punta delle dita con le labbra; jade non fu così fortunata, e il limone se lo beccó diretto, seppur rapido e non del tutto soddisfacente. Avevano entrambi da fare, e nella lista oltre a non morire rientrava anche il desiderio di rimettere un po' di cose a posto. Proteggere gli amici e la famiglia, fare il culo a Vasy, organizzare un'appuntamento al buio per Jean.. tutti obiettivi basilari. Vi direi la verità - ovvero che Euge sarebbe andato avanti a paccarsi Jade ancora per una ventina di minuti senza mai perdere il ritmo -, ma il tempo comincia a stringere e non siamo nemmeno a metà, quindi: saltó su una sedia, per osservare meglio la scena di battaglia ormai entrata nel pieno della sua fase più brutale, e non ci mise molto a trovare qualcuno bisognoso del suo aiuto. Non conosceva Ekate e per quanto ne sapeva la ragazzina avrebbe anche potuto difendersi da sola - apparentemente nessuno avrebbe scommesso su una dodicenne Akelei Beaumont, con quel visino d'angelo e l'accento francese, eppure -, ma si stava riavendo da un brutto momento di scarsa lucidità e quel tipo di azione poteva fargli solo bene. A patto di non tirarle una sedia in testa come ad Heidrun, si intende.
    «ehi ragazzino!» troppo generico. Ce n'erano un'infinità di bambinetti alle prime armi, a quel funerale, buttati nella mischia quando la loro più grande preoccupazione sarebbe dovuta essere come superare gli esami dell'anno successivo. «BIONDINO CON LE LENTIGGINI EHI!» per non farsi mancare niente abbrancó Joey per la vita, sollevandolo letteralmente di una decina di centimetri, entrambi a roteare come ballerine finché anche lui non poté vedere Ekate e il tizio che le puntava la bacchetta contro. «Dammi una mano, da bravo.» Una carezza lieve sui capelli color grano - chissà se Uran li avrebbe avuti cosi, un giorno -, poi con quella stessa mano afferró la prima sedia a portata di mano, tenendola in orizzontale con entrambi i palmi; non intendeva lanciarla, se è di questo che vi preoccupate. Peggio, pensó al suo figlioccio con la testa rasata e sorrise: con una luce malsana a luccicare nelle iridi chiare, ma pur sempre un sorriso. Cj Knowles avrebbe usato una mazza da baseball, forgiata dal legno di cedro (wat), cosparsa di lacrime e sangue, ma Eugene Jackson non ne aveva una a portata di mano: in compenso, l'azienda svedese più famosa al mondo gli aveva donato un'arma altrettanto letale, se non addirittura più terribile; plastica scadente e mille viti montate a casaccio da un povero cristo incapace di leggere le istruzioni scritte in aramaico antico, pronte a schizzare sa ogni parte e conficcarsi nel corpo del nemico. Con uno scatto il pavor fu al fianco del draghetto, la sedia sollevata dietro la testa, i piedi leggermente divaricati nella posizione di battuta. Allarga di più le gambe, quattrocchi. E anche le mani, già che ci sei. «Va bene Danette.» E lo fece, ascoltando il consiglio della sorella morta, una voce che poteva benissimo essersi immaginato. O forse no Le braccia scattarono in avanti, e la sedia avrebbe dovuto colpire tiziocaio di taglio dietro le ginocchia, costringendo queste a piegarsi e raggiungere il terreno; fosse riuscito cosi ad interrompere l'attacco, avrebbe calato nuovamente la sedia Ikea, questa vilta di piatto, sulla testa dell'uomo, con tutta l'intenzione di spaccarla una volta per tutte: la sedia, la testa, both. Sono cose che danno soddisfazioni, capite?
    E sarebbe riuscito persino ad esultare, se solo lo sguardo non gli fosse caduto su uno spettacolo ignobile, assolutamente imperdonabile. Passó quanto rimaneva della sedia a Joey, apolverando con entrambe le mani il completo di tessuto leggero, prima di sfregare i palmi tra loro; «Tienimela un attimo. Torno subito.» E quando il ragazzino la prese, l'espressione perplessa di chi si trova per la prima volta di fronte ad un adulto con problemi psicologici gravi, Eugene Jackson cominciò a correre; non era sua intenzione battere il record di Usain Bolt, ma solo prendere la rincorsa necesaaria e giungere con un po' di fiato nei polmoni una ventina di metri più avanti. Dove un subdolo figlio di puttana serbo croata stava oer attentare alla vita della madre di suo figlio: se non era un affronto personale quello! Gli si sarebbe lanciato contro, al caro Lev, placcandolo ad altezza stomaco con tutta la forza conservata nei muscoli tesi, la testa bassa e le braccia allungate in avanti pronte a chiudersi attorno alla vita dell'uomo, con tutta l'intenzione di buttarlo a terra gambe all'aria. benvenuto a Londra, stronzetto.


    L'aveva già vista. Murphy ebbe pochi secondi per decidere il da farsi, e in quel brevissimo lasso di tempo le iridi cioccolato si posarono, quasi per uno scherzo del destino, su Kieran Sargent. La prima volta, nemmeno troppi giorni prima, il viso della mimetica le era apparso totalmente nuovo e sconosciuto, eppure era bastato un istante perché il cervello della geocineta pensasse istintivamente a Shot; magari il cervello non c'entrava niente, ed era stato il cuore a farle uno scherzo crudele. Dovevano essere sgati gli occhi da cerbiatta, forse i capelli così neri lucidi da rendere reale la similitudine con la pece, uno spruzzo di lentiggini a cavallo del naso; le aveva anche lui , di questo era certa. E adesso una stronza qualunque stava cercando di strappargliele via con un coltello che nemmeno Miracole Blade (seriamente, quant'era figo quando tagliava le lattine???), costringendo Murphy a guardare. Beh, sticazzi. No, non Lovinski, l'altro ragazzino adottato da Stiles, che in quel momento era preso a proteggere bambini (?) sul palco facendo loro da scudo. Un pezzo di pane quello Stich. Nemmenk glielo chiese, a Kieran, di darle una mano; si limitó a guardarla per quella manciata di secondi, sentendo la rabbia crescerle dentro come il fuoco di un barbecue acceso con la trielina, un cenno del capo ad indicarle lo Shot selvaggio in difficoltà. Fu verso di lui che si giró, finalmente, ma senza sfiorare il ragazzo con lo sguardo: tutta l'attenzione la riservó alla frontata col pugnale, cui Murphy rivolse un diplomatico dito medio prima di socchiudere le palpebre nel tentativo di trovare la giusta condentrazione. Non era mai stata una ragazza volgare, ma aveva anche lei dei punti di rottura come tutti gli esseri umani, e Ludmilla ne aveva appena oltrepassato uno con entrambe le scarpe. L'avrebbe sbalzata in aria, riducendo improvvisamente al minimo la gravità che teneva la donna con i piedi per terra, costringendola a galleggiare in aria come un astronauta nello spazio, lasciando a Kieran la soddisfazione di menarla male. Perché poi sarebbe dovuta essere una soddisfazione? magari perché si trattava di suo padre, diciamo.
    Fu allora che accadde: lo avvertí come un mistico richiamo della natura (?), un dolore profondo all'altezza del petto, lí dove cuore di genitore batteva troppo forte e rapido per essere ignorato; c'era un dannato mangialumache con la bacchetta puntata alle spalle di suo figlio. Ora, Murphy era sempre stata affascinata dagli uomini francesi - soorattutto se biondi, con gli occhi verdi e di nome Elijah-, ma quel tipo avrebbe potuto strozzarsi con un boccone di baguette e lei non avrebbe mosso un dito per salvarlo, nemmeno fosse stata in grado di praticare la manovra di Hailich, ed è inutile dirvi che non sapeva nemmeno da che parte iniziare; come osava, come poteva anche solo pensare di portarle via il suo piccolo obi all'inizio della loro vita insieme? «Stiles!!! 'U NOSTRU FIGGHIU!!!» disperata, incazzata, terrorizzata, le mani a tuffarsi nei capelli scuri e i palmi premuti sulle guance paffute, prima che il fremello allungasse la sua per afferrarla; finalmente legati insieme, uniti nella buona e nella cattiva sorte, traballanti tra la folla isterica come due ubriachi alla prima sbronza. Si precipitarono da obiwan con la stessa grazia di quelli che partecipano alla corsa nei sacchi, sostenendosi a vicenda fisicamente e moralmente (?) in un momento che avrebbe messo alla prova per sempre le loro vite, forse cambiandole in maniera radicale. «OBI AMORE DI PAPÀ STA' GIÙ!» e gliel'avrebbe abbassata lei la testa, circondando il corpo del ragazzo con entrambe le braccia spingendolo di lato («adesso basta veramente però!» ), mentre stiles si avventava sul nemico come John Cena nel suo periodo d'oro della wwe, lasciandosi alle spalle una Skywalker non poco turbata. Magari un pensierino... mlmlml. «ora sistemiamo tutto.» diede un bacio sulla fronte del suo cucciolo, il quale per qualche strana ragione semnrava voler morire lì, sprofondando nel terreno, e raggiunse Andrew, fermandosi ad un passo dall'uomo steso a terra e sul punto di soffocare. «I cuccioli non si toccano, fils d’un chien E con un pestone ai testicoli avrebbe accompagnato l'insulto, una delle poche parole mai imparate nei tanti anni in cui Eli aveva tentato - senza successo - di darle lezioni.

    | ms.


    euge

    COMBO DIFESA per Ekate con Joey:
    usa una sedia come mazza da baseball

    ATTACCO tipo di ekate:
    gli dà in in testa sempre la stessa sedia

    COMBO DIFESA per Jade con Kieran:
    si butta su Lev placcandolo come nel rugby

    murphy

    DIFESA COMBO per shot con kieran:
    fa levitare la tipa (?) modificando la gravità

    DIFESA COMBO per obi con stiles:

    ATTACCO COMBO con stiles:
    calcio nelle parti basse
     
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    Uno squarcio al petto.
    Un urlo.
    Shia si toccò dove la lama aveva lasciato il segno. Si guardò le mani ma non aveva niente. Non c'era sangue, la sua bellissima maglietta firmata era ancora intatta. Ma allora perché sentiva ancora dolore? Guardò Al,era lui quello ferito, che quasi cadde a terra dopo l'attacco. Lo prese al volo, e insieme in modo delicato e quasi fiabesco si ritrovarono a terra. Aladino, cosa mi combini? Ci vuoi morti? disse premendo la mano sulla ferita, in effetti non era colpa dell'amico ma sua, visto che la spada era penetrata nell'acido. Merda. In tutta risposta Al, sorrise Hai fatto del tuo meglio ma quanto era adorabile mentre moriva ( non quanto Rob u.u) Tranquillo amico, ti aiuto io e questa volta davvero se prima non era stato in grado di creare uno scudo poteva comunque fare in modo di guarirlo. Anche se non aveva quelle doti, con i poteri che aveva qualcosa poteva fare. Posò una mano sulla ferita, e provò ad anestetizzarla, no avrebbe retto per molto ma almeno poteva continuare a morire combattendo.
    Quando furono in piedi diede una pacca all'amico Davvero Al, cerca di non morire. Sai com'è, finalmente con Shane.. disse e non aggiunse altro, perché entrambi sapevano cosa voleva dire, in fondo dopo quell'avventura nella foresta erano diventati molto amici, intendiamoci, lo erano anche prima eh, ma avevano un doppio legame, come con Sin. Quando Lancaster aveva detto che insieme erano più forti era vero, anche se in quel momento poteva non sembrare. Era comunque un confidente, spesso si ritrovavano in villa a parlare durante la notte; Shia si divertiva a drogargli il bicchiere per farlo sbottonare e a volte alleggerire il cuore, come la volta in cui aveva appreso la notizia di essere padre (di nuovo), oppure quando Shia aveva bisogno di consigli su Shane. Già, poteva sembrare strano ma Howe lo aveva spiazzato diverse volte e nonostante fosse davvero molto bravo con le persone e coni ragazzi in particolare, con lui si era trovato spesso in difficoltà. Il Crane sembrava capirlo, ed era davvero una persona molto saggia, quando beveva. Ahah. Scherzo, lo era sempre.
    Fece per allontanarsi ma il fato sembrava odiare il ragazzo e per sua sfortuna lui era ancora lì, così si mise davanti a lui, ignorando chi fosse arrivato ad aiutarli, sperava di farcela ( sennò lele, mi dispiace ma dovrai smettere di farti proteggere da noi u.u); mise una mano sul suo petto, così da continuare a tenere la ferita sotto controllo e col corpo gli fece scudo, mentre creava dietro di se uno scudo di acidi.
    Almeno ci ricorderanno così. Insieme e felici. rise guardando il Crane a pochi centimetri da lui.
    E chi lo dirà a Sin?
    Gli facciamo una sorpresa chissà che stava facendo tra l'altro, magari se la stava cavando meglio di loro invece per colpa di Shia sarebbe morto. Amen.
    Se avesse davvero salvato la vita al suo amico, avrebbe anche provato ad attaccare il nemico, solo che quella volta, avrebbe provato con un attacco diretto. Avrebbe provato ad afferrarlo da un braccio, così da bruciare al contatto la pelle, avrebbe posato l'altra mano sul suo volto, così da sentirlo morire tra urla di dolore.
    Solo dopo qualche secondo si sarebbe reso conto che non era il solo ad essere in pericolo, e chi non lo era in quell'arena eh? Persino lui stava per essere attaccato, e pure lui come un vero eroe delle favole, ( guardami Shane) decise di aiutare chi in quel momento sembrava messo peggio ( ma guardati, sei sotto attacco con 20 da battere, morirai). Si avvicinò quindi al cugino, mica poeva farlo morire senza averlo portato in un locale gay; doveva trovargli marito al ragazzo, e soprattutto non poteva morire vergine, non glielo avrebbe mai permesso.
    Notando che il tizio stava provando a saltargli addosso, lo avrebbe preso da un braccio e lo avrebbe spostato di peso, in fondo era uno scricciolo d'uomo, Amos. Non puoi essere pane per uccelli. Impara a sceglierti quello meglio dotato disse serio ma con un punta di malizia. Notò dopo che anche Run era arrivata in soccorso del cugino. Fu una visione, la sua sgualdrina preferita era lì. Cazzuta come sempre.
    Ehi sgualdrina mia, da queste parti anche te le fece l'occhiolino, era una gioia combattere al suo fianco, in ricordo delle volte in cui gareggiavano per chi avrebbe fatto più conquiste nel locale dei 100 uomini


    Erano lì anche loro, la Mayne aveva deciso di fare presenza in quel funerale, se solo Jason fosse stato un veggente e quindi avesse visto quello che stava succedendo, avrebbe evitato volentieri di ritrovarsi immischiato in una battaglia, ancora una volta, e che per di più non era manco la sua. Aveva deciso di smettere di compiere missioni per il governo, o lo avrebbe fatto solo se Dakota era d'accordo, aveva deciso di sposare la sua stessa causa, e non perchè credesse alla resistenza; ma meglio quella che dover ritrovarsi un'altra volta a combattere contro il rosso.
    Aveva tenuto stretto a se il ragazzo, erano arrivati mano nelle mano, come una coppia finalmente; Dakota aveva deciso di non preoccuparsi più degli altri e riguardo a Jason beh, lui non si era mai fatto problemi a limonarsi un uomo in strada, quindi era tranquillo per quello, ma anche per lui era la prima volta; stava passeggenando con la persona che amava. Ma quella pace, non era durata molto, perché vide la guerra scoppiare e avrebbe voluto tenere Wayne al suo fianco ma lo conosceva bene e sapeva che per prima cosa avrebbe provato a portare sul palco i ragazzi più giovani. Ma perché non era egoista? Perché non si sarebbe mai innamorato di uno come Jason.
    Rosso, stammi vic- ci provò lo stesso, ma la risposta ovvia non tardò ad arrivare
    «Dobbiamo pensare ai ragazzi» eccola, prevedibile e sicuramente non avrebbe accettato repliche da parte sua il compagno; così si avvicinò a lui, lo afferrò dalla vita «Aspetta»
    «Jaz, non c'è più tem-» era il suo turno, non lo avrebbe fatto finire di parlare, tanto sapevano entrambi che era inutile, così lo bacio. Fu un bacio casto, veloce ma dolce, come per ricordargli che non doveva morire e che lui era lì. Sempre. Che doveva tornare da lui. «Ecco, ora puoi andare a fare l'eroe. Ti guardo le spalle» gli fece l'occhiolino e impugnò la bacchetta.
    Si guardò intorno e vide quella bonazza di Akelei sotto attacco,che poteva fare? Lasciarla morire? Non era un cavaliere, ma non se lo sarebbe mai perdonato se per quel suo atteggiamento egoista ci avesse rimesso una persona bona innocente (ma quale?) così si avvicinò al tizio che stava provando a farle del male; lo prese per una spalla, voltandolo nella sua direzione e gli diede un pugno in pieno viso, come amava fare quando era ubriaco e aveva bisogno di sentire il sangue sulle nocche; quando aveva bisogno della sana violenza e del contatto fisico, non di sesso, ma di un vero e proprio scontro dove la pelle si rompeva a contatto con l'altra persona; gli piaceva sentire l'odore del sangue e del rumore che faceva un naso rotto a causa del suo pugno. Tanto che sorrideva soddisfatto mentre lo faceva, gli piaceva ogni tanto essere un normale babbano invece che usare la magia.
    (non so come collegare ciao)
    Quando vide Joey correre verso un ragazzo, ah quell'arrogante testa di cazzo, che gli ricordava un po' se stesso, senza rendersene conto lo seguì Ehi ragazzino, dovresti andar-- stava per dire che doveva andare nella zona sicura, come avrebbe fatto un padre al figlio. Dakota lo stava influenzando davvero troppo. Comunque non riuscì a finire la frase che vide un attacco dirigersi verso il ragazzo che Joey aveva affiancato, o forse lo stava già aiutando ma Maddox decise di avvicinarsi a loro in quella che probabilmente si sarebbe rivelata una cazzata. Puntò la bacchetta verso l'incantesimo rivolto verso il giovane Aguamenti urlò così da provare a spegnere quel fuoco prima che giungesse allo sconosciuto. Ehi tutto bene? chiese al nuovo arrivato, cioè per lui lo era non lo aveva mai visto in giro anche se insomma non è che conosceva tutto il mondo magico, era Jason anche se fosse successo la memoria era quello che era. E tu..Perché cazzo non sei sul palco eh? disse a Joey, stupendosi di tanta premura nei suoi confronti. Non si preoccupò neanche di attaccare.


    E poi ancora una volta c'era Hope, che si ritrovava in quel casino senza neanche rendersi conto di quello che stava succedendo davvero, era riuscita a venire fuori da un attacco e di sferrarne uno a sua volta, ma era davvero molto stanca, forse doveva smetterla di fare l'eroina, dato che lo stava facendo nel modo sbagliato e soprattutto non era riuscita a portare al sicuro praticamente nessuno. Possibile che erano tutti così smaniosi di guerra, di fare a pugni di vedere morte intorno a loro? Perché ancora una volta lei era lì a chiedersi se non avesse sbagliato qualcosa, se non ci fosse davvero una parte buona come la resistenza, ma che fossero solo diverse fazioni tutte in conflitto per il controllo del mondo magico e non. Sicuramente stava sbagliando qualcosa Hope, ma ancora era difficile capire cosa, visto che era una semplice pedina di un grande gioco e sicuramente non le era dato sapere cosa c'era dietro e quindi capire come risolvere il tutto ( ma che cosa sto dicendo?Ho sonno scusate).
    (Qui c'è il momento in cui Hope viene attaccata e qualcuno la protegge, si spera)
    Hope una voce maschile la riportò sul pianeta terra. Era Phobos, da quando era vicino a lei? Non se ne era accorta, ma per quanto tempo voleva rimanere lì, sembrava quasi che avesse attaccato il mirino con scritto “colpitemi”, doveva darsi una mossa. Forse parlarono o forse fecero ognuno per conto loro ma comunque Hope provò a salvare sua cugina. Chissà perché la neo-mamma era ancora a combattere invece di essere al sicuro, cosa non andava nella loro famiglia e soprattutto, perché Eug non la stava trascinando via con la forza da quel posto? Dannazione erano genitori, avevano il dovere di crescere loro figlio. Puntò la bacchetta , perché provare a spostare il tizio con la forza bruta non era da Hope e Immobilus sperava di bloccarlo mentre Phobos lo picchiava, o magari stava dando una lezione alla sua ex studentessa; peccato che lei non era proprio adatta a quel genere di lezione, a fatica rimaneva in piedi sul tappeto durante le prove pratiche di corpo a corpo. Parliamoci chiaro era proprio negata, non solo perché piccola, quello non l'avrebbe certo fermata, ma probabilmente incideva molto che era contro la violenza. Si, ipocrita vero? Visto che era lì, ma di solito sperava in cuor suo di non dover lottare e se doveva farlo non avrebbe mai ucciso o attaccato per prima, in fondo la difesa personale era giusta no? No no?
    Alla fine decise quindi di assecondarlo e insieme al professore prese a pugni il nemico, lei si limitò a dargli qualche calcio in realtà, proprio non le riusciva ad essere cattiva (motivo per il quale nel futuro, muore alla prima grande guerra, ciao).
    (scusate salto)
    Aiutò anche Cora, per farlo estrasse la bacchetta e la puntò verso il nemico Everte statim . sperava che con quell'incantesimo non verbale di riuscire a scaraventare l'avversario lontano dalla ragazza prima che il suo incantesimo la prendesse; certo che per una pacifista si stava davvero dando troppo da fare, forse doveva andare di corsa nella zona neutra, di quel passo avrebbe aiutato ad uccidere altre persone invece che proteggerle. Stupida Hope.



    | ms.



    Allora, scusate non ho riletto e qualcosa forse non torna grammaticalmente, ma apprezate lo sforzo
    Difese:
    - Difesa combo Shia e Hyde per Al : abbraccia e crea scudo di nuovo
    - Difesa combo Shia e Run per Amos: Sposta di peso Amos
    - Difesa combo Jason e Joey per Cliff: Aguamenti
    - Difesa combo Jason e Nate per Akelei: prende a pugni
    - Difesa combo Hope e Phobos per Jade: immobilus
    - Difesa combo Hope e Nate per Cora: Everte Statim

    Attacco:
    - Attacco combo Shia e Hyde sul tizio di Al : Scioglie la testa del nemico
    - Attacco combo Hope e Phobos sul tizio di Jade: prende a calci .


    Edited by Hope; - 6/8/2017, 01:25
     
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