seems like the whole damn world went and lost its mind

TUTTI, DAJE. [ challange: 08] @ateas, 26.12

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    «Facciamo festa!» Disse Sasha battendo le mani felice, come un bambino davanti alla giostre pronto per fare tutte quelle più paurose, anche se in realtà lui le odiava perchè aveva il terrore dell'altezza; eppure, dopo settimane di ricerche, neanche tanto impegnative per quanto gli riguardava, degli sperduti era arrivato proprio il momento di godersi un attimo di gioia. Sapeva anche lui che quella non era una semplice festa ma era un modo per riunire quanta più gente possibile così da non far passare le feste da soli, ma questo a lui non importava davvero aveva solo voglia di stare tra la gente e divertirsi, magari flirtare perchè no.
    Ammirò il compagno sdraiato sul letto, aveva preferito passare le feste con lui piuttosto che con la sua famiglia, non era amato e il sentimento era ricambiato quindi perchè stare con loro quando poteva aver quel bel pezzo di manzo per tutti quei giorni. Ci sei? Tirò il cuscino per far destare dai propri pensieri il moro che continuava a fissarlo in silenzio. Si erano conosciuti qualche settimana prima mentre Sasha si stava occupando di un lavoro; stava torturando uno in pratica. Jack aveva provato sentimenti contrastanti, come paura ed eccitamento allo stesso tempo, era così elegante e aggraziato mentre ai suoi piedi la vittima continuava a contorcersi da dolore che ne era rimasto stregato. Dall'alto della sua posizione rideva e sembrava quasi un angelo dai capelli biondi; peccato che non era davvero così angelico dato le sue mani sporche di sangue e la persona ai suoi piedi ormai morta, ma non esiste la perfezione o quasi e poi per lui fu un colpo di fulmine, ovviamente non ricambiato.
    «Ma tu non ti stanchi mai?»
    «Assolutamente no. Quindi muovi quel tuo bellissimo sedere dal mio letto.» il biondo tirò il cuscino a Jacky, il suo nuovo compagno di giochi sessuali ; probabilmente quella sarebbe stata anche l'ultima volta dato che il thailandese si stancava praticamente subito delle persone e il kinese nel suo letto non era un'eccezione,anche se doveva ammettere che non era male e non solo tra le lenzuola.
    «Veramente è il tuo sedere ad essere formidabile» e finalmente anche lui era in piedi, lo sorpassò non prima di palpargli appunto il sedere.
    Ora potevano iniziare a prepararsi, dopo una lunga sessione di sesso giochi. «Lo so.»
    «Modesto lo chiamano»
    «é il mio secondo nome.»
    « e qual'è il primo?»
    «Bellissimo ovviamente» lo guardò con aria di superiorità, quella non era una domanda da fare, era così ovvio che lui fosse praticamente perfetto su ogni lato che lo si vedesse. «Dai vieni a fare la doccia?» chiese Jack e Bammie non se lo fece ripetere due volte, corse sotto la doccia per del sesso poi festa probabilmente da solo, non voleva farsi vedere accompagnato, dando così un' impressione sbagliata, lui era single. Sempre.

    «Non andiamo insieme alla festa?»
    «No zuccherino. Ci sentiamo però »
    «Davvero?»
    «Certo» mentì ed entrambi sapevano che lo stava facendo, ma importava? Non a Sasha-imi che diede un bacio al ragazzo per poi dileguarsi verso la festa da solo.
    Una volta dentro rimase estasiato da tutto quello che lo circondava, dai colori sulla pelle fatti all'entrata alla miriade di ragazzi che poteva farsi quella sera. Il resto non contava. Sapeva il motivo di quell'evento ma per lui davvero era solo caccia, anche se senza Heidrun non era la stessa cosa, come faceva la sgualdrina con lei non lo faceva mai con nessuno, anche se da solo se la cavava comunque bene, era pur sempre Sasha – imi. Tanto che intravide da lontano una figura appetitosa, dai capelli corvini e un viso allungato, coperto da una mascherina cordinata ai guanti; si il ragazzo indossava dei quanti nonostante fossero in un locale e sicuramente avrebbe avuto caldo, ma non sembrava importargli. Gli si avvicinò «Ehi bellezza, ti va un drink? Offro io» disse al ragazzo avvolgendolo col braccio. Venne subito respinto in malo modo. «Prima di tutto» Kim si spostò di qualche passo e lo guardò negli occhi «non mi toccare mai più. Chissà quanti germi.» odiava profondamente essere toccato, tutto era sporco specialmente in quel universo, non c'erano igenizzanti efficaci come a casa sua e tutto era fonte di germi e quindi virus, lui non voleva ammalarsi e poi lì, senza un'adeguata assistenza medica. No no. «e Seconda di poi, non devi mai e ripeto mai stare vicino a me. Deve esserci almeno un metro.» disse per poi sistemarsi la mascherina per bene, non voleva per nessun motivo respirare la sua stessa aria, e si pentiva ogni minuto che passava di essere lì, c'era troppa gente, troppi portatori di malattie. Quanto odiava quel mondo, invece era costretto a viverci già da diversi mesi, per fortuna aveva sua sorella Kotomi, lei si che era una boccata di aria fresca, l'unica essere al mondo che lo faceva sentire al sicuro e tranquillo non come quella plebe puzzolente, macchiata di quel colore. «Ho capito. Se cambi idea chiamami» gli fece l'occhiolino ma Kim lo fulimò all'istante, perchè mai avrebbe dovuto chiamare qualcuno che lo avrebbe contagiato con qualche malattia? E poi «Non sei il mio tipo. A me piacciono le donne» con questo fu proprio il moro ad andarsene dal biondo, non aveva voglia di parlare con lui era solo un dei tanti che lo avrebbe fatto ammalare di quel passo.

    Sasha Imi

    «Better a temporary disappointment
    than an eternal illusion.»
    «Everything goes,
    but nothing goes away completely.»
    22 y.o // 24 y.o
    2018//2018 au
    Special:Onde sonore// Special:Ombre
    Kim Et-Chu


    Scusate la schifezza ho scritto il post in poco tempo perchè sto crollando. Forse un giorno lo rileggo e correggo gli errori, ma amatemi lo stesso.
     
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    “Secondo me sì.”
 Sussurrò di rimando all’interrogativo di Kain, spostandosi leggermente di lato, le braccia strette al proprio corpo come questo potesse bastare a schermarla dal freddo. Perché se la Dallaire era una stufetta portatile che si riscaldava a comando, la Weasley, al momento, era quanto più vicino ci fosse a un cubetto di ghiaccio. Si avvicinò al Tassorosso, confidando nel fatto che il suo cappotto fosse abbastanza pesante da emanare calore per entrambi o, se non altro, che il corpo dell’amico le facesse da scudo contro quel vento leggero che smuoveva i rami più alti dell’Aetas.
    Stava, letteralmente, congelando. Come le era potuto in mente fidarsi di una Chelsey che non era neanche lontanamente rossa? O a cui non piacevano gli zuccotti di zucca? O che aveva smesso di giocare a Quidditch? O che le aveva fatto togliere il caldo maglioncino natalizio che stava indossando prima a vantaggio di quell’outfit che cozzava con la temperatura esterna. No, in quel momento non le importava che dentro il tendone magico avrebbe potuto addirittura sentire caldo, che tutti quei corpi ammucchiati in un unico punto – e sudaticci – le avrebbero fatto ringraziare e apprezzare l’idea della bionda, perché quello era, a tutti gli effetti, un tentato omicidio! Con premeditazione!
    Si fermò un attimo a scandire, mentalmente, l’ultima parola: pre – me – di – ta – zio – ne . Era così lunga e complessa che, se da un lato si sarebbe volentieri data una pacca sulla schiena per quel nuovo acquisto del suo dizionario – sapeva anche il significato! –, dall’altro avrebbe voluto strappare quei pochi capelli che si ritrovava in testa Hyde per quella civilizzazione e quell’acculturamento non richiesto. Dai, lo sapevano tutti che bastava essere stupidi per essere felici e lei non voleva fare la fine del CW, odiando tutti dall’alto del suo divano, l’alito impregnato del primo alcolico che gli capitava a tiro. Per questo le piaceva di più Jek e il suo essere… Jekyll, appunto. Tranne quando si struggeva per la ex, lì perdeva tutta la sua simpatia, la gioia di vivere e diventava la copia sbiadita, meno malaticcia e più adorabile del fratello. Ogni volta pregava non piangesse, davvero. Se c’era qualcosa che riusciva a far dileguare la Grifondoro alla velocità della luce, era il sentore delle lacrime. Veder qualcuno piangere era sempre uno spettacolo osceno: volto gonfio e deformato, lineamenti spezzati, naso e occhi rossi – ma di un rosso brutto – e muco. Muco ovunque. Senza contare che non aveva la giusta dose di empatia per poter stabilire una connessione col malcapitato di turno e che il soggetto in questione non ascoltava. E poi potevano addirittura abbracciare all’improvviso, imprigionandola in un minuscolo spazio vitale.
    No, Chelsey odiava i piagnistei.
    Se le fosse capitato di piangere? Sì, ma solo quando la rabbia era troppa per poter essere contenuta, quando era il suo stesso corpo a tradirla.
    “E non l’hai vista castana. Era così… così… Ew.”
    Si portò una mano sotto il mento, meditabonda.
    Cosa poteva piacere a un’altra versione di sé? Cosa poteva rendere felice una persona così simile, eppure così lontana da lei? Avevano lo stesso nome, lo stesso cognome (più o meno), le differenze si limitavano quasi alla loro capacità magica e, soprattutto, all’aver vissuto sulla propria pelle una guerra, una rivolta che ancora per loro riecheggiava lontana. Tuttavia, entrambe avevano perso tanto, forse anche troppo.
    “E stesse cercando Kain? Pensaci. Se tu fossi in un altro universo, mi cercheresti, giusto?” Giusto. Ovviamente. Senza la benché minima ombra di dubbio. Se avesse negato lo avrebbe ucciso seduta stante perché lei avrebbe ribaltato mondi interi pur di ritrovarlo, pur di saperlo vivo e al sicuro, pur di proteggerlo dai suoi stessi incubi. “Forse è triste perché ancora non sa se Kain sta bene. Lei e Chris hanno trovato noi, ma non è detto che il suo Kain sia stato così fortunato da trovare un viso amico. Forse, più che sola, è preoccupata.”
    Merlino, le faceva male la testa per il troppo pensare e non era neanche una delle sue attività preferite! Quello che aveva detto, però, iniziava ad avere un senso, una logica che prima mancava e che poteva giustificare tutti gli attentati alla vita del suo Tassorosso. Perché le sembrava davvero impossibile potesse essere arrabbiata con la versione alternativa del ragazzo, per mesi poi!, specialmente se erano amici anche in quella realtà da cui provenivano.
    Spostò le ciocche fluo dietro l’orecchio, così da essere facilmente riconoscibile al buio anche a qualche luna di distanza, e tirò una manica della camicia del compagno di merende, attirando la sua attenzione.
    “Quello è… Jack? A una festa?” Sbatté le palpebre più e più volte, cercando di capire se non fosse un abbaglio. “Secondo te è… a posto? Non avrà sbattuto la testa, vero?” Più probabile stesse pianificando uno sterminio, ma tant’è. “Dovremmo andare a…” Si pietrificò sul posto, le iridi cobalto catturate dalla figura longilinea che oltrepassò il suo campo visivo. “a…” Era raro vederla muovere la bocca incapace di articolare anche la più stupida delle frasi. “Ar…” Il respirò iniziò a farsi spezzato, la mano andò a serrarsi sul braccio di Candy. “Arabells.” Si voltò per un istante verso il ragazzo, lo sguardo illuminato dalla stessa sfumatura dorata di un boccino.
    Si portò una mano sul viso, la testa che vorticava pericolosamente.
    “Arabells Dallaire.” QUELLA DALLAIRE. La più grande Cercatrice della loro generazione. La ragazza che era stata scelta dal Quidditch. Il prodigioso talento delle Holyhead Harpies. Il volto che spuntava da ogni angolo della sua stanza. Uno dei suoi idoli. “È qui.”
    Sua madre era lì.
    Da quando aveva scoperto di venire da un altro tempo, non aveva mai realmente preso in considerazione che la Dallaire fosse, in un certo senso, reale. Si era fermata spesso a fantasticare sulla giocatrice, su quanto fosse bello ed entusiasmate avere qualcosa in comune con lei, ma non era mai stata una presenza tangibile. Credeva nel legame con Hyde e con Jek perché erano veri, perché li poteva abbracciare, poteva parlare e scherzare con loro. Poteva lanciare la spazzola contro Jack quando la faceva innervosire con la sua mono-espressione, poteva cantare a squarciagola con Frank, lanciandosi in esibizioni che non avrebbero mai visto la luce – solo disturbato i vicini -. Ma lei… lei era diversa. Era idealizzata al punto da essere su un piedistallo talmente alto che faceva davvero fatica a vederla, a percepirla nella sua vita. C’erano i ricordi, aveva fiale intere di memorie con Bells che raccontavano una vita non sua, un affetto sconosciuto e di cui, forse, non avrebbe potuto mai sentirne il calore.
    Voleva correre da lei, abbracciarla e dirle che le avrebbe voluto bene, che non aveva mai smesso di amarla, ma non era Gryff e quelle parole sarebbero state pesanti come macigni.
    Sentiva gli occhi pizzicare e non era il prurito dovuto alle sostanze che l’altra Chelsey le aveva applicato sul viso. Era tornata in quel limbo in cui avrebbe voluto stringere a sé la sua mamma e il suo papà, per poi ricordarsi che non era più possibile. Per quanto avesse potuto allungare le braccia, per quanto le sue mani avrebbero potuto cercare di sfiorarla, Bells sarebbe stata sempre irraggiungibile.
    Liberò Kain dalla morsa delle sue dita, la testa china, i capelli che le scivolavano davanti al viso a coprire quell’espressione persa, così inusuale sul volto sempre determinato della Grifondoro.
    Prese un respiro profondo, prima di far schioccare i palmi contro le sue guance lentigginose.
    “Dobbiamo trovati.” Doveva avere un nuovo scopo, un nuovo obiettivo, allontanare quei pensieri che le avrebbero, sicuramente, rovinato la serata. Erano lì per divertirsi non per pensare a quella vita che non le apparteneva più. “Dobbiamo cercare Kai-”
    Si interruppe a metà frase, il dito puntato contro il petto dell’amico, gli occhi che si sgranavano appena. Mosse solo il capo, ruotandolo verso la fonte di quella voce che avrebbe riconosciuto ovunque. Nonostante il baccano della musica, nonostante i bassi che facevano tremare le casse. Perché non si può dimenticare quel suono basso e leggermente graffiato che aveva accompagnato la sua infanzia, tra la registrazione di un’intervista e un’altra. Tra le apparizioni radio e gli eventi speciali della Lega del Quidditch. Era il suono di chi ammaliava la gente con quella faccia da schiaffi, l’arroganza di chi sa di essere il migliore e l’attitudine di un vero e proprio stronzo, al cui si perdonava (quasi) ogni cosa solo perché era bello. Bello in modo assurdo.
    Sbatté le palpebre due, tre volte. Incredula.
    Niente cosa? Torcia chi? Versione che? Ehi. ALTERNATIVA A CHI?
    Portò la mano davanti alla bocca, prima di indicare l’uomo davanti a lei.
    Era in un loop di movimenti, il cervello incapace di connettere.
    Indietreggiò appena, più che altro perché andò a scontrarsi contro il petto largo del Tassorosso, evitandole di arrivare dall’altra parte della sala.
    “Merlino.” Sospirò senza staccare gli occhi dalla figura del nuovo arrivato. “È vero?” Sussurrò sotto shock, gli occhi incatenati a quelli azzurri dell’altro metamorphomagus. Aveva paura a voltarsi, ma doveva avere un riscontro. Si mosse appena in avanti, il desiderio crescente di poggiare una mano su quelle braccia che aveva adorato quasi fossero divinità. Perché non c’era un muscolo di Elwyn Huxley che lei non avesse impresso nella mente, marchiato a fuoco nelle retine. Passava interi pomeriggi davanti alle sue foto, cercando di imitarne le fattezze davanti allo specchio. Aveva il fisico del battitore perfetto e non a caso era stato uno dei titolari di punta dei Falmouth Falcons. Incarnava l’ideale di bellezza, intrappolato in ogni maledetto standard estetico. Era un adone e dal vivo era disarmante. E STAVANO RESPIRANDO LA STESSA ARIA. E L’AVEVA VISTA, CAPITE? ELWYN HUXLEY L’AVEVA APPENA VISTA. Vibrava come un diapason [cit.], incapace di trattenersi dal lanciare urletti isterici per troppo a lungo, gli effetti di quella magia che non riusciva più a contenere che avevano già fatto cambiare colore al tendone che ospitava quella festa e mandato a fuoco tre alberi poco distanti da lì. Perché se Chelsey non poteva prendere fuoco per autocombustione, non era detto che non potesse farlo l’ambiente attorno a lei.
    “Sono…” l’originale? L'unica vera e inconfondibile Weasley/Dallaire di quartiere? L’amore della tua vita? La tua futura moglie? La madre dei tuoi figli? La baby sitter dei tuoi figli? La tua dog sitter? No, Elwyn non aveva cani ma aveva degli occhi in cui ci si sarebbe immediatamente tuffata. Era la sua donna delle pulizie? Il suo futuro manager? La ragazzina che aveva inondato la sua casa di letterine, così come gli uffici del suo agente e della Lega per farlo tornare nuovamente in campo. Era la sua tifosa più accanita, quella che conservava e ricordava a memoria ogni singolo articolo scritto su di lui, che custodiva gelosamente ogni scatto dell’uomo che le fosse capitato a tiro, in poche parole: “la tua fan numero 1.”

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    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    CHELSEY WEASLEY
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    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Avete mai sentito parlare del detto beato fra le donne? Pare una pacchia, il sogno di qualunque uomo eterosessuale, individuo bisessuale o donna omosessuale – anche Liam Callaway l’avrebbe pensato, se gliel’aveste proposto qualche mese prima.
    Quando ancora non conosceva Roy Harvelle ed Annie Baudelaire, e la sua vita meritava ancora di essere vissuta. Contegno, onore – dopo settimane e settimane passate in loro compagnia, l’irlandese non ne aveva più, dimenticate nel mezzo del cammin di sua vita insieme ad una già sottile pazienza e tolleranza verso il genere umano. Alzò una mano per massaggiarsi le palpebre, venendo immediatamente schiaffeggiato dalla mano sottile - ma Cristo, fottutamente pesante – della Baudelaire. «così ti rovini il trucco.» Capite di cosa stava parlando? Un verso di gola uscì dalle labbra dischiuse del Callaway, disperato ed esasperato quanto, effettivamente, si sentiva. «sei uno spreco di risorse» eccola, l’altra. Non si sprecò ad abbassare lo sguardo su nessuna delle due, sollevando invece le iridi ad un Dio che, evidentemente, si era dimenticato della sua esistenza. Ricordava, e non senza orrore, la prima volta che le aveva incontrate, e le gomitate nello stomaco che aveva incassato cercando di impedire alla Harvelle di suonare il campanello di Jeremy e Todd Milkobitch («sono i miei fratelli» «no, non lo sono»); ricordava di essersi sentito sollevato quand’era apparsa Annie, la quale, osservandosi le unghie aveva commentato impassibile con un «tecnicamente, ha ragione lei» decretando sul nascere i livelli di gerarchia del loro triangolo.
    Il fatto che Liam avesse sempre (e ripeto: sempre) ragione, non significava che le due donne con cui condivideva le giornate gli dessero mai (davvero: mai) ascolto, preferendo invece far quello che veniva loro meglio: rompere il cazzo a chiunque ne fosse dotato. Non era il tipo d’uomo da far di tutta l’erba un fascio, preferendo sospirare il proprio rancore e massaggiarsi la radice del naso, ma era certo che Annie e Roy avessero un problema con il pubblico maschile, mentre chiunque possedesse le ovaie riceveva un trattamento di favore. Comprovato: fra tutte le persone che avevano fermato fino a quel giorno, solamente le donne non si erano trovate con un coltellino alla gola e minacce sibilate all’orecchio.
    Quello era fottuto razzismo. Non che il Callaway non ci fosse abituato, eh: era pur sempre un mago, ed atteggiamenti simili non erano una novità nella sua vita – non significava che amasse farsi maltrattare da due ricche ragazzine con l’ego di una cazzo di mongolfiera.
    Significava solo che fosse troppo vecchio per mandarle a farsi fottere tutte le volte che se lo sarebbero meritato. Era riuscito a spuntarla quel primo giorno, convincendo Roy che contattare i Milkobitch potesse mettere in pericolo il suo, Todd, ma da quel momento era stato tutto in salita per lui. Una fortuna che Dominique e Cole fossero ufficialmente morti: almeno non doveva preoccuparsi anche di Annie. Già Roy richiedeva uno sforzo sovrumano.
    Il pensiero che fosse madre, gli metteva i brividi.
    Quasi più del fatto che qualcuno avesse avuto il coraggio di inseminarla. Le lasciò proseguire qualche metro senza seguirle, domandandosi cosa non andasse nei geni Hamilton: stavano bene? ne erano sicuri? Perché poteva comprendere l’errore di uno dei due, la topa inganna sempre!, ma due su due sanciva una maledizione, un certo pattern dal quale era impossibile sfuggire.
    Brividi. Nel dubbio, non vedeva l’ora di trovare Pezzo Di Merda e Non Me Ne Parlare (cit testuale; rare le volte in cui le aveva sentite parlare di Gemes e Frederick Hamilton con i loro nomi di battesimo) così da scaricargli le loro donzelle, e tanti cari abbracci – a mai più rivedersi. I due Hamilton erano quasi – quasi – la prima priorità del Callaway; se non fosse esistita Amalie Dallaire, lo sarebbero indubbiamente stati.
    Ma ehi, il fatto che come padre fosse una mezza sega, non significava che non volesse bene alla bionda. Infilò una sigaretta fra i denti, ma prima che potesse accenderla, un’altra mano giunse a schiaffeggiarlo. «il rossetto»
    Le odiava davvero. Strinse i denti e serrò le palpebre contando fino a dieci – ad ogni numero, immaginò quanto piacevole sarebbe stato liberarsi di entrambe: erano perfino in un bosco, non se ne sarebbe accorto nessuno! – e quando finalmente riaprì gli occhi, riuscì perfino a sorridere. Un sorriso sadico, vagamente crudele, ma pur sempre un sorriso. «sappiamo tutti che anche con il trucco rovinato sono più bello di voi» fece scivolare una mano fra i corti capelli bruni, stringendosi languido nelle spalle. Potevano togliergli tutto, ma non quella certezza. Ignorò le occhiate di entrambe, impossibili sfumature di verde tossiche quanto un veleno, superandole per avvicinarsi alla tenda. Entrambe si erano convinte che in quella festa c’entrassero i loro amiki, e Liam era semplicemente troppo stanco per mettersi a discutere: le avrebbe seguite anche sulla luna, se avesse significato farle stare fottutamente zitte. Approfittando di essere (molto.) più alto di ambedue, scandagliò rapido la folla, ormai così vicino all’entrata da poter scorgere i profili della folla ivi riunita.
    Sospirò, il cuore leggero e le spalle a curvarsi sotto il peso di sofferti, dannati, mesi.
    Perché lo vedeva.
    Lo - LO VEDEVA.
    «freddie?» «freddie!» il tono del Callaway fu decisamente più sollevato, caldo e disperato rispetto a quello della Baudelaire; se non avesse rischiato di rovinarsi l’eye liner, avrebbe pianto lacrime di gioia. Mimò un grazie al Signore, sentendo la fine di quella tortura oramai vicina – quasi dietro l’angolo. Ancora non poteva credere di poter, effettivamente!, liberarsi di quelle due teste calde (e non di cazzo, perché era pur sempre un insegnante ed un signore: sapeva censurare il proprio linguaggio, quando lo riteneva opportuno, e non voleva far arrabbiare Dio proprio quando la salvezza era così vicina). Anziché aumentare l’andatura, Roy rallentò, le labbra strette fra i denti e la schiena rigida. Fu quasi – quasi – tentato di domandarle se fosse tutto a posto, ma…«tutto a posto?» – ma niente. Cazzarola, era davvero troppo buono. La Harvelle lo liquidò con un’occhiata fredda che avrebbe fatto gelare il culo di un Charmender.
    Ma che creatura amorevole. Non riuscì a trattenersi dallo schioccarle un bacio, ed a quel punto Roy si sentì legittimata a rispondere con il dito medio – che gente. Annie, invece, era già partita in quarta verso l’entrata della tenda. Mimò un allegro «tutta tua» con tanto di pollici sollevati a Freddie, quasi nello stesso momento in cui la Baudelaire colpiva l’Hamilton con uno schiaffo.
    Ah, l’amore! «a una festa? davvero? e ti stai anche divertendo, magari – cinque mesi, mon dieu! nON PARLARMI» e così com’era arrivata, senza dar tempo all’Hamilton di reagire, Annue Baudelaire era già sparita all’interno della tenda. Liam non biasimò né Frankie né Fergie per non aver osato dipingerla: immaginava che ci tenessero, alle dita. «dove sono i Disgraziati?» Chissà com’era bello poter racchiudere tutta la propria famiglia con un’etichetta sola; sicuramente risparmiava un sacco di tempo, e di ago e filo per i nomi scritti sul retro delle etichette: Disgraziato1, Disgraziato2 – ecc ecc. Assurdo che Liam sapesse perfettamente di chi stesse parlando?
    Neanche troppo. Sorrise, suo malgrado. Lanciò un’occhiata a Frankie, la bocca spalancata e gli occhi su Roy; riusciva a percepire l’esitazione del ragazzo, e si sentì abbastanza magnanimo da suggerirgli: «non morde, è così da un po’» di modo che l’altro si sentisse libero di andarla a salutare senza il rischio di perdere qualche arto.
    Okay, quindi: missione compiuta? Annie era sparita all’interno del tendone, Roy stava abbracciando (ah! Ma allora ce l’aveva, un kwore!) Frankie e perfino Victoria (shocking), il che lasciava a Liam: «alcool» e non dimentichiamo, «se vedete amalie, datele un bacio in fronte da parte mia» #father of the year
    roy + annie
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    «No.» rispose, secca, con un tono che non ammetteva repliche. Non era tipo da limitazioni, Halley Oakes; non era solita imporle a se stessa e non era abituata a farlo neppure con gli altri. Ciononostante, negli ultimi giorni aveva pronunciato quella parola così tante volte da sembrare un disco rotto. E lo era, in un certo senso. Si era rotto qualcosa in lei. Era spenta, privata di quell’energia straripante che bastava per sé, per Hunter e per tutte le sfortunate vittime delle sue idee strampalate. Si sentiva vuota, impotente, frustrata come non lo era mai stata prima. Aveva passato due vite, stralci di un’esistenza ancora da scrivere, a gridare al mondo il suo dissenso, a mostrarsi forte, più forte delle ingiustizie, della malattia, dell’assenza, del destino e di scelte che avrebbero dilaniato chiunque, che solo pochi volontari erano stati in grado di compiere. E poi, alla prima occasione, si era spezzata. Le sembrava di essersi sempre illusa di conoscere una persona diversa da ciò che sentiva di essere in quel momento, fragile e vulnerabile come chiunque altro. Voleva mostrarsi forte, Halley, ci provava davvero. Tentava di nascondere ad Hunter le sue preoccupazioni, si sforzava di alleggerire il peso di quella situazione, evitava di sostenere lo sguardo del fratello abbastanza a lungo da lasciargli leggere quanto quel ventuno dicembre l’avesse segnata, quanto vederlo steso sul suo letto, privo di forza, la lacerasse dentro. Tentava di tenere insieme i pezzi, di arginare un’emotività contro cui era andata violentemente a sbattere e cui non era preparata. Era cresciuta sapendo di aver rinunciato al suo mondo, ai suoi amici, alla sua famiglia, a tutta la sua vita per un bene superiore. Era cresciuta con la consapevolezza di quanto fosse tossica, spietata e brutale la realtà in cui era stata catapultata, non meno di quella che aveva lasciato. Era cresciuta convincendosi di essere pronta a tutto ciò che avrebbero dovuto affrontare, persino alle torture. Beh, non lo era. Non lo era affatto. Aveva imparato, quel giorno, che sapere non era abbastanza, conoscere non era sufficiente a sopportare quella violenza. E che spezzarsi era molto più semplice di quanto avrebbe mai potuto credere, molto più doloroso di quanto non avesse mai provato.
    Era stata così egoista fino a quel momento. Si era lanciata in imprese sconsiderate senza capire davvero cosa provasse Hunter nel vederla in un lettino d’ospedale, in quelle ore, in quei giorni di snervante attesa. Ci era voluto uno squarcio sul corpo del corvonero per rendersene conto. Aveva capito cosa volesse dire sentirsi impotente, colpevole di non esserci stata e non aver fatto nulla per opporsi. Era stata percorsa da un moto di rabbia tale da farle prudere le dita della mano con cui impugnava la bacchetta, una furia cieca che l’avrebbe portata a compiere azioni avventate se non fosse stata fin troppo occupata a non perdere di vista il fratello. «Non se ne parla.» continuò, replicando alle obiezioni avanzate dal fratello. Non gli avrebbe permesso di partecipare ad una festa qualsiasi e rischiare che quei corpi impegnati a dimenarsi a ritmo di musica lo urtassero accidentalmente, riaprendo una ferita che non si sarebbe rimarginata presto. Avrebbe voluto impedirgli di fare qualsiasi cosa, a onor del vero, persino quegli sforzi minimi che, a causa delle sue scarse energie, si trasformavano in imprese titaniche. Avrebbe voluto metterlo sotto una campana di vetro ed evitare che quel mondo potesse toccarlo, e ferirlo ancora. Non le importava sapere quanto quell’idea fosse irrealizzabile, né che suo fratello non le avrebbe mai permesso di privarlo di ogni libertà e rinunciare a tutto solo per proteggerlo – o per illudersi di poterlo fare. In quel momento era ciò cui voleva credere. Che ci sarebbe stata, la volta successiva. Che sarebbero stati insieme come sempre, qualunque cosa fosse successa.
    Continuò a mettere in ordine una stanza in cui non c’era assolutamente nulla fuori posto. Si teneva impegnata, si convinceva di poter essere utile, in qualche modo. Ascoltò le suppliche di Hunter, in silenzio, così come in quei giorni aveva fatto con esternazioni ben più velenose. Normalmente gli avrebbe rifilato un pugno sulla spalla; per il momento, invece, si limitava ad incassarne. Capiva il corvonero, la frustrazione dovuta al non poter fare nulla per guarire né per aiutare gli altri studenti, al non potersi dedicare a ciò che più amava, dalla band o all’andare sullo skateboard, al doversene starsene nel suo letto, con le mani in mano. Sapeva che impedirgli di respirare non lo avrebbe aiutato davvero, che trattarlo da debole lo avrebbe solo fatto sentire tale, ma aveva paura, Halley. Aveva paura di perderlo. Aveva paura di perdere Hunter ogni volta in cui abbandonava l’Istituto per andare al Ministero, di veder tornare una persona diversa, irrimediabilmente compromessa. «Sarò la tua ombra.» cedette, infine. Forse gli avrebbe fatto bene. Gli avrebbe restituito un po’ di normalità in un periodo in cui nulla lo era. Non poteva essere normale ritrovarsi con ustioni, ossa rotte e ferite sul corpo per aver fatto cosa, poi? Il proprio dovere? Per aver tentato di salvare gli altri studenti?
    Si lasciò confortare dall’abbraccio del fratello e, quando quest’ultimo si separò da lei, la grifondoro appoggiò le mani contro le sue guance, appiattendole fino a spremergli il viso. Lo guardò negli occhi per qualche istante, le iridi molto meno sicure di quanto avrebbe voluto. «Non farmene pentire.»

    «Potete scrivere restituire» fece scorrere l’indice sulla fronte di Hunter. «ad Halley? Su entrambe le guance, grazie.» notò le espressioni perplesse dei due ragazzi fermi davanti all’ingresso del tendone in cui si sarebbe tenuta la festa e precisò che si trattava solo di una «Normale precauzione.» nonostante nessuna persona sana di mente avrebbe mai utilizzato quell’aggettivo per definirla. Doveva aver dato l’idea di essere una sorta di guardia carceraria e, beh, in un certo senso lo era. Nessun fraintendimento insomma. «E Halley sarei io, potreste scrivermelo sul viso, a caratteri cubitali?» lasciò che i due completassero la loro opera e si addentrò nella tenda, le dita intrecciate a quelle del fratello per non perderlo tra la folla. Nonostante la scarsa illuminazione, riuscì a riconoscere dei volti familiari, tra cui Gideon – al quale mostrò che calze galle che il corvonero le aveva regalato, per poi abbracciarlo e ricambiare gli auguri – e Nicky. Non rispose alla prima domanda dell’amica, frenando l’impulso di elencare le decine di ragioni che lei stessa aveva esposto ad Hunter per impedirgli di partecipare a quella festa; aveva deciso di essere meno bacchettona rispetto agli ultimi giorni per fargli godere quell’ora d’aria, ed erano lì da troppo poco tempo per mandare alle ortiche quel proposito. «Se devo essere onesta, ho salutato un po’ tutti.» l’illuminazione era fin troppo scarsa per permetterle di capire se avesse davanti a sé la versione originale o alternativa della persona che credeva di aver riconosciuto; nel dubbio, aveva deciso di sorridere un po’ a tutti. «Già, dev’essere proprio strano.» come guardare nel futuro. Non poteva sapere, la tassorosso, quanto la sua affermazione fosse vicina alla realtà; e dover omettere la verità ad una persona così vicina, diventava sempre più difficile. «Lei suona? E crede negli alieni? Ci sono dei Losers anche nel suo universo?»

    BIDIBIBODIBIBÙ
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    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    HALLEY
    OAKES

    Lucky Strike - Dicembre 2018
    • Halley Oakes: Spremi la faccia di un pg a piacere come faresti con un brufolo
     
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    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Con una smorfia di dolore, Heather allungò il braccio per tirare su la zip del vestito, il naso arricciato a coniglietto; faceva male muoversi e faceva male respirare, ma più di tutto, più del calore pungente che ancora sentiva sulla schiena ogni volta che qualcosa la sfiorava, più dei lividi, più dell'angoscia al pensiero delle cicatrici che si sarebbero viste per mesi, faceva male pensare a quel cazzone di Chalres Dumont.
    «Si è salvato la pelle dandosela a gambe» aveva ruggito, sale sulle ferite del grifo - proprie - appena si era notata l'assenza del Dumont e del suo galoppino «Accettalo, Dallaire; Charles non tornerà a salvarti» A salvarla. Divertente: per una volta Heather aveva creduto di aver creato un'amicizia sincera che andasse oltre il come si vestiva o che ragazzi si faceva, che voti prendeva o quanti punti faceva vincere alla propria casata, e ne restava delusa e (letteralmente, ah!) ferita, in mano niente più che qualche taglio e un giornale con la propria faccia tumefatta. Umettandosi le labbra, la bionda distolse lo sguardo dallo specchio, puntandolo invece sulla L malamente nascosta dai bracciali al polso. Quell'esperienza era stata una lezione su tutti i fronti, su cosa doveva, e non doveva, mai più permettersi di provare o fare.
    Allora perchè si sentiva più combattiva che mai?
    Aveva assistito negli ultimi giorni a cose terribili, a vite spezzate di gente che aveva alzato troppo la voce - ed era sempre stata convinta che fosse giusto seguire le regole, Heather, che fossero quelle a renderli esseri umani e non bestie... ma non ne era più troppo certa; non dopo che gli animali erano stati quelli che era stata cresciuta credendo fossero i buoni. Cresciuta... era stata cresciuta con quell'idea, giusto? Il mondo era sotto lo stesso rigido governo da - sempre. Non era mai stata contro il regime. Vero?
    A volte, soprattutto ultimamente, da quando quella donna le aveva parlato, le pareva che le proprie idee le fossero state date da qualcun altro, inculcate a forza dove esse non avevano ragione di essere - che dentro di lei si combattesse fra fazioni opposte.
    Scacciandosi una lacrima ribelle che minacciava di scendere (a causa del dolore pulsante che provava - non aveva e non avrebbe perso una lacrima per il serpeverde fuggito verso il tramonto con quello psicopatico del Kaufmont), si passò ancora una mano fra i capelli ravvivando il mosso, prima di uscire dalla casa delle cugine sul paio di tacchi nuovi ricevuti a Natale.
    Forse era stata leggermente incrinata dagli avvenimenti degli ultimi giorni, ma spezzata? Mai. Che vedessero quanto era ancora favolosa e bellissima e pronta a divertirsi ad una festa... dove, con ogni speranza, avrebbe trovato dell'alcol.
    Dove, con ogni speranza, avrebbe trovato risposte.

    «Suvvia, non essere gelosa. Ci stiamo ancora scaldando»
    Arricciò il naso, Bunny, una mano portata prontamente al petto. «Lo sai che non posso sopportare l'idea di dividerti con nessuno, dorogoy» Che Bunny non sapesse cos'era la gelosia, Alister doveva averlo capito molto tempo prima - ritrovandosi la testa ancora attaccata al collo quando la bionda lo aveva trovato in uno dei propri rifugi provvisori con le gambe attorcigliate a quelle di un'altra tipa, e ignorando l'imbarazzo di lei Bunny si era limitata a fissare qualche istante la lieta coppietta «prova a leccarlo qui; lo fa impazzire».
    Bunny non si era mai cercata altri partner durante quei mesi - non per mero piacere, ma solo per approfittare una volta tanto di un letto pulito e profumato (ah, bella la manipolazione delle illusioni!) - ma questo non significasse che provasse qualcosa per Alister; a lei andava bene la loro squadra, e gli andava bene scopare quando ne avevano voglia - o bisogno. Non usava neanche più il proprio potere per fargli credere di essere sotto la doccia o sul divano a dormire per osservarlo quando credeva di non essere visto e coglierlo a fare qualcosa che non avrebbe dovuto fare; ormai si fidava abbastanza di lui. Non erano più di colleghi o soci in affari, e se a volte gli aveva chiesto di limitare i propri istinti (letteralmente) animaleschi, era stato solo perchè non voleva si portasse a letto persone minorenni; qualcuno come - un nome a caso, eh - la se stessa au.
    Bunny doveva ancora capire cosa fosse esattamente andato storto nella propria vita di quell'universo, perchè la ragazza, oltre a essere incredibilmente giovane, non stesse crescendo con la mafia russa o ancora non sapesse di proprio fratello Soho - quello che Bunny sapeva, che aveva scoperto, era che Heather Morrison, arrivata in inghilterra da un anno, non fosse esistita prima di quella data. La sua famiglia inglese si ricordava di lei, d'accordo, ma non c'era in foto, e i contatti che aveva trovato a Salem le avevano fatto sapere che lì, Heather, non ci aveva mai messo piede; pure la sua presunta madre non esisteva. Bunny si era chiesta se fosse anche lei una spia sotto mentite spoglie, ma gli O'Sullivan sembravano una famiglia per bene - non c'era un nucleo mafioso da smantellare; sembrava più un lavoro fatto con parecchi oblivion.
    Chi era Heather Morrison, e cosa ne aveva fatto di Bunny Moskovskaja? Non era facile cercare se stessa in quel mondo, se non chiedendo alla ragazzina per prima: e se avesse messo in pericolo la propria parte au, ancora infiltrata nella mafia, mentre Heather era un'esca? E se Heather faceva parte di un programma protezione testimoni - magari a propria insaputa?
    «sei tu.» Bunny abbassò leggermente lo sguardo. La cosa interessante della faccenda, era che anche la diciassettenne pareva confusa dalla questione; Bunny un po' si pentiva di essere andata a cercarla, non troppi giorni prima. Era stato inutile parlarle, se non frustrante - e anche se non glii aveva detto chi fosse, Heather si era riconosciuta piuttosto in fretta (dimostrandosi più sveglia di quanto non fosse apparsa subito alla russa; aw, era così bella e intelligente in ogni au!!!).
    «Sono io» ribattè allegramente, non senza lanciare uno sguardo al disegno fluo sul collo e sulle braccia.
    «dobbiamo parlare» Bunny si strinse di più ad Alister con una smorfia «siamo ad una festa, e sono impegnata»
    «allora domani. Sai come trovarmi»
    «khorosho, kukla» Ok, bambolina. «v lyubom sluchaye, khoroshaya kartinka v gazete» in ogni caso, bella foto sul giornale.
    Vide le guance di Heather arrossarsi leggermente, ma la serpeverde non rispose al commento, limitandosi a passarsi una mano fra i capelli come una diva, girare i tacchi e andarsene. La vide approcciarsi ad un tipo che non riconobbe di schiena e chiedergli di offrirle da bere. «adolescenti» commento divertita, per poi allungare una mano sul petto di Alister con fare lascivo. Era stato lì tutto il tempo della discussione? Sì, ciao Babbi, scusa Babbi. «Mi piace l'idea di bere qualcosa, però. Che festa è senza un po' di vodka?» Erano lì per cercare i canon dispersi mancanti, ma reggeva bene l'alcol - e le piaceva fingersi brilla e tonta quando in verità era sveglia e killer come o più del solito.
    bunny m. &
    heather morrison
    28 y.o. / 17 y.o.
    illusion / slyth
    26.12.2018


    heather e bunny alla festa parlano fra di loro + bunny parla ancora a alister
    heather va a molestare qualcuno a caso e gli/le chiede di offrirle da bere (dove? idk) VUOI ESSERE TU? MAKE YOURSELF AT HOME!!!
     
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    Dimitrova Elena
    26.12.2018 | pensieve | sheet
    Le feste. Termine con la quale si indica un evento di svago, che porta ogni individuo ad abbandonare i pensieri dietro le spalle e a scatenarsi come meglio poteva. Elena Dimitrova ricordava quelle organizzate dalla sua famiglia, dove erano invitati ogni mago purosangue del mondo magico. I bei tempi, però, erano cambiati e con il tempo, la donna aveva iniziato a preferire i posti al chiuso con una musica ad alto volume. In altri termini non prendeva parte ad una festa da… non lo ricordava.
    Davanti allo specchio della sua luminosa camera da letto, Elena strinse le labbra fino a chiuderle del tutto e a scoccarle qualche secondo dopo. Sì, si disse, il rossetto -di una tonalità fucsia scuro- era perfetto e non presentava nessun segno di sbavatura. Aveva passato l’ultima ora a perfezionare il suo make-up, abitudine giornaliera della donna. Mentre sistemava il suo vestito per l’ultima volta, si chiese quale idea malsana gli era venuta di prendere parte a quella festa.
    Santo Stefano. Pensò con aria disgustata la ex Serpeverde. Come se il clima abbastanza festoso del Natale non bastasse.
    Mirò per l’ultima volta la sua immagine nello specchio. Quel modello di vestito riusciva a far risaltare la sua figura snella. Rosso, con le maniche lunghe e profondo scollo a V, la lunghezza si fermava appena sopra le ginocchia. Onestamente non si era spremuta più di tanto, vista anche l’importanza dell’evento. Aveva accantonato, a malincuore, le trasparenze che tanto le piacevano. Del resto, immaginava che ci sarebbero stati ragazzini urlanti di ogni età, eccitati per il grande evento.
    Che gioia! Con questo ultimo pensiero, Elena si materializzò nel posto dove si sarebbe svolta la festa.
    Trovandosi davanti ad una tenda, si disse che era quella la zona. Si guardò intorno, vedendo qualche figura avvicinarsi a due… guardiani? Buttafuori? Elena scrollò le spalle, avanzando con passo sicuro verso l’entrata. Vide che quei due avevano un compito ben preciso: dipingere il volto degli invitati. L’avrebbe trovato divertente, se avesse avuto sedici anni e non ci avesse impiegato mezz’ora per il trucco. Quando toccò a lei, alzò la mano per fermare i due guardiani. “Un’ora e mezza di lavoro, ragazzi, e voi non me lo manderete a monte.” Disse, muovendo l’indice della mano destra, in senso orario, ad indicare il suo viso finemente truccato. Un tono che non ammetteva repliche e li superò senza difficoltà, addentrandosi nel cuore della festa.
    Elena si diede una rapida occhiata intorno. Sapeva quale sarebbe stata la sua prima mossa in mezzo a così tanta gente: avvicinarsi ad un tavolo delle bevande e cercare del Rum ai ribes rossi. Ne aveva urgentemente bisogno. Ammesso e concesso che ci sarebbe riuscita, in mezzo al buio della tenda e illuminata, a tratti, solo dalle luci speciali.

    Mai inchinata. Mai spezzata.
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    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Una speciale caratteristica di Amalie Dallaire era quella di agire d'impulso se colta di sorpresa: non le piacevano le novità, così come non le piaceva quando qualcosa accadeva senza che lei l'avesse preventivamente messo in conto. Non era una ragazza che faceva qualcosa senza prima rifletterci su e valutare i pro ed i contro, ma quando il mondo non le dava il tempo necessario per riflettere, lei si ritrovava a fare disastri. Ed è per questo motivo che finì per dare una testata a Barrow Cooper esattamente dopo soli due (2) minuti dal suo arrivo alla festa: fu un vero e proprio riflesso involontario. «UHH» Il suo naso non si sarebbe messo mica a sanguinare, vero?? Voleva un po' morire «mi..dispiace?» Più o meno?? Cioè, sapeva che la sua reazione era stata un tantino esagerata ma insomma, non aveva motivo per scusarsi, non quando.. «..un bacio in fronte?! TI SEI IMPAZZITO, NON FARLO MAI PIÙ» Non le importava di apparire come un'esaurita davanti agli altri: i pochi che stavano assistendo a quella scena già lo sapevano, e stranamente le volevano bene anche così. Forse. Oh, del resto c'era un motivo per cui Victoria l'avesse soprannominata Spank da quando aveva forse dodici anni. «era da parte di tuo padre» Ah, «ochei» Non lo giustificava comunque, ma almeno attenuava un po' il tutto. Anche se (ci avrebbe messo la mano sul fuoco!) era stato lui ad offrirsi volontario per riferire il messaggio da parte di Liam. Che poi...FERMI UN ATTIMO. «..MIO PADRE?????» Era dentro al tendone??? Sano e salvo???? Sapeva che il Callaway sapeva cavare in ogni occasione, ma ciò non l'aveva comunque liberata dalla preoccupazione costante per la sua incolumità. «è arrivato meno di dieci minuti fa, insieme ad Annie e Roy» !!! Fu felice di aver ceduto, alla fine, all'andare a quella festa: con un pizzico d'indecisione in più sarebbe rimasta sicuramente a casa. «VADO» Prima di correre dentro però, fu costretta a fermarsi un attimo in più lì fuori. Okay, un po' si sentiva davvero in colpa, soprattutto a vederlo davanti a sé con una mano sul naso e gli occhi giusto un po' lucidi. La sua doveva esser stata una testata bella forte, per quanto il ragazzo si stesse sforzando per non darlo a vedere. Sospirò rassegnata, per poi stringergli la mano con la propria e trascinarlo dentro al tendone insieme a lei. «ed oltre a mio padre, andiamo anche a cercare del ghiaccio» Aveva un modo tutto suo di dimostrare affetto, Amalie Dallaire.

    Rowan Quinn non poteva saperlo, ma la scarsa tolleranza dall'alcol l'aveva ereditata da sua madre. Ma a differenza di quest'ultima, che toccava un bicchiere di alcolici una volta l'anno, Row era l'esatto opposto: non era il tipo da porsi dei freni. E, essendo già schizzata esuberante per natura, quando beveva si trasformava in un vero e proprio concentrato di euforia. E così, dopo due bicchieri, era finita a ballare insieme a Tim senza preoccuparsi delle persone intorno a lei, perché 1) se gli altri non ballavano, erano persone tristi e non era certo colpa sua, 2) era un'eccellente ballerina e 3) era già praticamente ubriaca. Insomma, non del tutto perché una parte del suo cervello era ancora lucida e razionale, sussurrandole da un angolino della sua mente cosa fosse giusto fare e cosa no. Correre da Barry ed Amalie, rischiando di inciampare innumerevoli volte durante il tragitto, non appena i due entrarono nel tendone? Era decisamente un no, ma sfortunatamente (o fortunatamente, in base ai punti di vista) quella vocina era troppo fievole per farsi sentire e sovrastare gli impulsi di Row. Così si posizionò davanti a loro, con il fiatone per lo scatto improvviso verso l'ingresso e un sorriso da ebete stampato in faccia. Erano così belli!!& Fin quando non se li ritrovò entrambi davanti, così vicini e OMG SI STAVANO TENENDO PER MANO?? non si era accorta di quanto le somigliassero. Dato che star lì a far un discorso complesso con tanto di preamboli era inutile, e se rimaneva a pensar troppo alla fine sapeva che non sarebbe riuscita a trovare le parole adatte, optò per l'esser più diretta e chiara possibile. «lo sapevate che siete il mio futuro dai genitori??» Vabbè, più o meno «PAZZESCHISSIMO, VERO???»
    Amalie D.
    & rowan quinn
    23 y.o. / 16 y.o.
    rebel / gryff
    26.12.2018
     
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    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    «e faccelo un sorriso, dom» Arabells replicò l’espressione offesa del suo alter ego, mentr’egli strizzava la guancia del Baudelaire. Non l’aveva ammesso con Billie, né aveva intenzione di farlo in un futuro prossimo, ma trovava offensiva l’esistenza di Dominique Baudelaire: come osava andare in giro con la faccia del suo miglior amico, ed un fioretto infilato su dal culo? Era troppo alieno perché Bells potesse apprezzarlo – non riusciva neanche a far valere, non del tutto il “almeno è un Arci”.
    Perché non lo era, maledizione. Non lo era neanche un po’. Si sentiva presa in giro dalla vita opposta di au-Arci, il quale aveva oSaTo crescere con la sua famiglia in Francia, anziché con loro ad Hogwarts: come aveva vissuto la sua adolescenza senza pomiciare con Jeremy, e prendersi coppini non richiesti e superflui dalla Dallaire?
    Indubbiamente male. «frigido» bofonchiò, incrociando le braccia sulla testa corvina di Billie, e poggiandovi sopra il mento. Erano davvero due ombre speculari, Arabells e Billie; avevano le stesse espressioni, gli stessi modi di dire, il medesimo sorriso gonfio di cinismo e bonaria presunzione – perfino il fetish per il Quidditch, dannazione! Se non l’avesse platonicamente amato così tanto, non sarebbe neanche stato divertente; una parte di lei avrebbe voluto una au-Bells, boh, con l’ossessione per gli smalti o per le cicogne. «scusami, hai mica visto dove si è diretta una ragazzina? bionda, alta cosi» Abbassò lo sguardo sul ragazzo appena giunto, e non ebbe bisogno d’incrociare le iridi grigio verdi dell’altro Dallaire, per sapere come anche Billie stesse osservando il loro interlocutore: confuso, ed affascinato. «tratti occidentali» Si spostò, ancora seduta sulle spalle del Corvonero, per permettergli di reclinare il capo e guardarla; dall’occhiata di lui, dedusse che le avesse appena lasciato la palla. Bells rispose con l’accenno di un sorriso, facendo rimbalzare gli occhi dall’uno all’altro. «non vorrei sembrare rude,» iniziò, già sapendo che lo sarebbe stata ma senza che la questione le impedisse di dormir sonni tranquilli, ammiccando lieve all’orientale. Scandì le parole con lentezza, indicando con un braccio la folla all’interno del tendone. «ma ti sei guardato intorno, di recente?» Non solo erano quasi completamente al buio, il che limitava alquanto la visibilità, ma erano circondati da ragazzine-bionde-dai-tratti-occidentali. Con un solo rapido sguardo agli invitati, potè indicargliene almeno tre (ciao Theia, ciao Halley, ciao Heather). «dovrai essere un po’ più specifico, se vuoi una mano» Si strinse nelle spalle, fiera della sua buona azione quotidiana – il karma doveva essere a posto per un po’, dai! – ignorando il fatto che, in ogni caso, non avesse di meglio da fare. Non aveva idea di dove fosse Jeremy, e considerando lo stato attuale del far west e avatar, la lista dei suoi amici era ridotta all’osso. Piegò le labbra verso il basso, e mentre attendeva una risposta dal kinese, ebbe l’illuminazione. «billie, sai cosa dovremmo fare? » «sì, ma sarebbe tipo - incesto» «biLLIE» gli diede un amichevole calcio nelle costole, mantenendo comunque, e con classe, l’equilibrio sulle sue spalle. Fece un vago cenno con la mano di fronte a sé per invitare il loro nuovo amico alla cantonese ad ignorare la risposta del Dallaire. «obbligo o verità.» sancì, annuendo fra sé. Beh? Era una festa, quale miglior occasione per un gioco simile? E sì, Sara ha decisamente subito la nefasta influenza di After, perché in quell’agghiacciante libro ci giocano davvero troppo spesso.
    Ma vabbè, qualcosa doveva scrivere in questi (sì, questi: stay tuned) post. «inizia tu: obbligo o verità?» L’altro non ebbe neanche bisogno di pensarci; le strinse delicatamente i polpacci, gridandole un «VERITà» per sovrastare la musica.
    Eau la, allora in qualcosa erano diversi: anche senza maledizione Arabells avrebbe sempre scelto obbligo. Tamburellò le dita sulla testa del moro, chinandosi infine per urlare, di rimando, «confessa un tuo kink all’orecchio di jackie chan!» Perché lei non era certa di sapere cosa, all’altro Dallaire, eccitasse: c’era un limite all’amore che provava nei suoi confronti. e non se la sentiva di venire a conoscenza di quanto gli piacesse travestirsi da animale. Lo seguì mentre si avvicinava all’altro, ma pur essendo praticamente attaccata, per non riuscì a sentire la risposta. Cosa? Volete saperlo? OH, ma gliel’ha detto all’orecchio, a meno che non ve lo dica JD (ciao ari, se stai leggendo scrivimi #wat) non lo saprete mai!!&&
    billie
    & bells dallaire
    23 y.o./
    18 y.o.
    ravenclaw /
    ravenclaw
    quidditch / quidditch
    my captain /
    oh my captain


    parlano con jd, pi lanciano l'hint di giocare a obbligo e verità ed iniziano con una verità per billie (che fa già, perchè è un esempio #wat)
    MASSI DAI GIOCHIAMO A TRUTH OR DARE!!&&
    regole:
    - chiunque posti, deve specificare sotto spoiler se il pg sceglie obbligo o verità (a prescindere)
    - quello che posta dopo di lui, dovrà dare l'obbligo / verità, e ripetere l'operazione precedente (aka dire del proprio pg se sceglie obbligo o verità)
    funzionerà?? PROVIAMOCI CIAO (e si, per quando posterò, se ci sarò sempre io #cosa, chiederò l'aiuto del pubblico quindi stay tuned)

    e bells sceglie OBBLIGO!!&
     
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    withpotatoes do it better

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    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    «su, che ti divertirai» diede una spallata amichevole a Lydia Hadaway, la cui espressione lasciava intendere che fra tutte le cose che pensava di quella festa, il divertimento non rientrasse certo in categoria. Il sorriso di Idem non vacillò, mentre agganciava il braccio della rossa per portarla con sé verso l’entrata del tendone. La Withpotatoes credeva davvero che quella fosse un’ottima occasione per la ragazza – e non si trattava solo di un parere da amica, ma professionale: passava troppo tempo con il naso infilato fra i libri, o con la coperta fin sopra la testa dentro il piccolo appartamento di New Hovel. La capiva, Idem: anche lei talvolta avrebbe preferito escludere il mondo, entrare in letargo fino a che non le avessero riportato i suoi fratelli (almeno quelli vivi.) ma, tristemente, si rendeva anche conto che un atteggiamento simile non avrebbe mai funzionato. Dovevano, fare qualcosa; rimanere con le mani in mano a scavarsi una pozza di languida depressione non avrebbe aiutato Shot, Murphy, Jayson o Arci a tornare prima.
    L’avrebbe solo fatta impazzire, e Idem si sentiva in dovere morale di trattenere la sanità della Hadaway a galla. «ti fidi di me?» Troppo gentile Lydia per rispondere, e troppo buona Idem per offendersi dal silenzio della ragazza. Sapeva che se Lydia l’aveva infine seguita fino a lì, era solo per dovere morale nei confronti di Dominique o Freddie – come sapeva che il motivo per il quale lei avesse scelto di unirsi, era perché, da programma, avrebbe interessato troppi membri dell’universo alternativo, e malgrado nessuno gliel’avesse chiesto, voleva dare un background di canon caso mai qualcuno li avesse scoperti.
    E perché ci sarebbe stata April; e perché, speranzosamente, sarebbe arrivato anche Nathan. Motivazioni che non aveva mai dovuto spiegare, ovvie nella curva triste delle labbra ad ogni accennato sorriso. Una magra consolazione, qualcuno avrebbe cinicamente osservato - ma non si trattava di quello, per Idem. Sapeva che non potessero sostituire i suoi fratelli, quelli che non aveva salvato, voleva solo…voleva solo vedere come avrebbero potuto crescere, chi sarebbero diventati se ne avessero avuto la possibilità. E voleva imparare il più possibile su di loro; voleva raccogliere quante più smorfie, e family jokes, fosse riuscita nel tempo trascorso insieme, così da poter fare da portavoce a Darden o Gemes: sapeva che loro non gliel’avrebbero mai chiesto, e che alle sue uscite si sarebbero limitati ad arcuare le sopracciglia con amaro scetticismo (condivisibile, ma, per quanto potesse apparire scioccante, Idem non era stupida, e sapeva quanto loro che non fosse la stessa cosa), ma non significava che non volessero saperlo. «tutto bene?» Battè le ciglia corvine, rendendosi conto di essersi fermata a metà strada. Distratta, più del solito – ma fu rapida a cancellare il sofferente liquido nostalgico dallo sguardo ceruleo, sostituendolo con un sorriso sempre sincero e genuino. «mi stavo solo chiedendo se dovessimo aspettare gli altri» dai, non era neanche del tutto una menzogna! Era multi tasking, poteva pensare a più cose contemporaneamente. E voi vi chiederete: ma gli altri chi? Beh, noi diamo per scontato che da qualche parte ci sia la squad New Hovel (ciao Noah ciao Amos ciao Sin) o almeno una parte. La speranza era sempre l’ultima a morire. Idem si volse verso la tenda, notando una fiammante chioma rubino sparire all’interno. Socchiuse le palpebre, umettò le labbra. «quella eri…» «annie» rispose fra i denti la Hadaway, un sospiro a malapena udibile. Quando percepì la resistenza fatta dalla rossa sul cedevole terreno dell’aetas, spostò lo sguardo su di lei, notando come d’improvviso fosse impallidita: sembrava avesse appena visto un fantasma.
    E non era forse così? «ehi…» strinse la presa sul suo braccio cercando di riportarla alla realtà. «credevo di essere io la medium» Lydia tentò di ricambiare il sorriso, ma fu appena un’ombra sulle labbra corallo. Attese un paio di secondi, ma la ragazza non sembrava intenzionata a proseguire. «preferisci tornare -» «no, certo – no, andiamo» E la Hadaway partì in quarta, lasciando Idem ad arrancare alle sue spalle.
    Vera amikizia.
    […] «OBBLIGO» Uh, bellino! Raggiungendo Arabells, Idem: aveva perso Lydia; aveva trovato Fawn; aveva perso Fawn, ma aveva trovato Annie; aveva perso Annie, ma aveva trovato l’altra Fawn.
    Ed alla fine, aveva agganciato April come un marsupio: non voleva le sparisse anche lei. «sfila i reggiseni delle ragazze, e mettili ai ragazzi!!&&» Quando troppi occhi si posarono su di lei, alzò le mani in segno di difesa. «se loro se la sentono, ovviamente: il consenso è importante» Giusto? Giusto.
    lydia
    & idem withpotatoes
    22 y.o./
    25 y.o.
    paounmort /
    hufflepuff
    what /
    medium
    historiographer
    / pychowitch


    idem dice verità!! #ovvia e non parlano con nessuno perchè sono pigra asociali ciao vvb
     
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    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    «chiudi mai quella dannata bocca?» un ringhio basso e ferino, quello di Rea Hamilton. Strizzò gli occhi ed il bicchiere nel pugno, ringraziando mentalmente di aver finito il drink prima di accartocciare il sottile contenitore di plastica nella mano. Da quanto tempo si trovava a quella stupida festicciola da liceali? (meno di quanto credesse, e) Più di quanto potesse andarle a genio – anche perché, per piacerle, non avrebbe dovuto presentarsi affatto.
    La curiosità uccideva il gatto, a quanto dicevano; ma la Hamilton, talvolta, amava rischiare.
    Rimpiangeva tutto. Nel momento in cui ne aveva scorto La chioma bruna, aveva percepito quel brandello di cuore rattoppato che ancora si ritrovava incastrato nello sterno, raccogliersi in posizione fetale – perché sapeva, Rea, che il suo alter ego fosse morto, e di conseguenza aveva compreso immediatamente chi si trovasse di fronte. Non quale delle due, ma chi lo sapeva con certezza – a quel punto, di quale si trattasse, aveva poca importanza: faceva male sempre. Scoprire che fosse l’altra aveva solo parzialmente lenito la bile a risalire la gola, quietato il respiro poco controllato nei polmoni.
    Ma solo un poco, perché Charlotte Hamilton rappresentava tutto quello che la sua Charlie avrebbe potuto essere se nei Laboratori non le avessero fottuto il cervello; la donna dal sorriso dolce che, sin da quando aveva messo piede all’interno del tendone, non aveva smesso di abbracciare i suoi cosiddetti amici, era quel che sua sorella sarebbe diventata se non avesse avuto il maledetto istinto suicida di cercarla - di far parte di un mondo al quale ella non apparteneva. Rea sapeva benissimo che la sorte dei fratelli fosse d’origine colpa sua; il fatto poi che fossero biondi entrambi, chi dentro e chi fuori, non aveva certo aiutato la causa.
    Trovandosi davanti l’inesatta copia di se stessa, l’ex Serpeverde aveva – e per ovvi motivi – cercato di evitarla, per poi scoprire con immenso rammarico che la clone avesse, per immensa fortuna dei bambini per i quali costruiva case nel Terzo Mondo, la moltiplicazione, ed evitandone un doppione era finita direttamente contro l’originale. Una commossa, sorridente, originale, che aveva perfino avuto l’ardire di presentarsi, prima di raccontarle la sua non richiesta storia. Neanche troppo naturale che la reazione della Hamilton fosse stata zittirla, considerando che normalmente la priorità sarebbe stata accoltellarla. «sto cercando di fare ammenda» oh, buon Dio – ma perché a lei? Alzò gli occhi al cielo digrignando i denti, ruotando poi il sottile sguardo scuro verso quello color cioccolato dell’altra. «per avermi lasciato morire? Sei in ritardo, sorellina» sorrise, distaccata ed ironica, sollevando quel ch’era stato un bicchiere in un muto brindisi, prima di lasciarlo cadere a terra. Vide la lotta interna nell’espressione granitica di Charlie, e cedere alla battaglia chinandosi per raccoglierlo – cristo, era proprio un Amos. «mi dispiace» Charlie corrugò le sopracciglia, forse rendendosi conto che dare spiegazioni a quella Rea, non aveva alcun senso. Se quello della canon-Hamilton fosse stato un colpo basso? Certo che sì. Sapeva che la guerra avesse poche colpe, ed il fatto che Charlotte non fosse stata presente aveva permesso a quel lunatico di Ryder di avere ancora, nel mondo, una sorella su cui (forse. Non si fidava di lei) poter contare, ma doveva pur trovare un modo per farla tacere che non fosse ficcarle un’intera bottiglia in gola. «certo che ti dispiace» commentò caustica, lanciando un’occhiata alle spalle dell’altra. La festa sembrava essere entrata nel vivo, con uno di quei fantastici giochi che, per qualche assurdo motivo, erano un eccezione alla legge di Darwin, considerando che individui simili non avrebbero dovuto essere adatti alla vita. «si sentono soli, vai a tenere compagnia a chi è effettivamente interessato ad averla» e con l’usuale grazia, spinse la falsa sorella sotto i riflettori, nascondendosi nel mentre nell’ombra per evitare sfortunati incontri del terzo tipo. Potè udire la domanda rivolta ad Idem, «cosa ne pensi del matrimonio di justin e hailey? Oh, skste, spoiler!!&&» e fu quasi certa di essere al sicuro, fino a che un paio di braccia non le si strinsero alla vita.
    Trattenne il fiato (e l’istinto omicida, ma solamente perché si trovava in pubblico e non voleva macchiare il vestito) cercando di districarsi dalla presa ferrea di uno dei cloni, maledicendo il giorno in cui, nell’utero materno, non aveva risucchiato la gemella. «this is my nightmare».gif
    charlie
    & rea hamilton
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    moltiplication /
    illusionist
    emergency /
    mercenary


    danno la verità a idem ee charlie sceglie obbligo!! rea è troppo vecchia per queste cose anche se è più giovane di charlie


    Edited by idk‚ man - 10/2/2019, 01:13
     
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    Stiles, ancora confuso dal racconto breve ma intenso di Andy (aveva una morale? ai posteri l’ardua sentenza), aveva trovato il proprio posto dove morire stare in pace con sé stesso: un divanetto lontano dalla folla e lontano da ogni tentazione alcolica, la sola compagnia di grumpy Andy a criticare i giovani come un Sin qualsiasi. Poteva farcela - sempre meglio di osservare le bottiglie ancora piene domandandosi quando, infine, avrebbe ceduto ad un sorso.
    Ma si sapeva che nessun angolo di paradiso era destinato a durare a lungo.
    «AAAAAAAAAAA/AAAAAAAAAAANDYY/YYYY» alzò lo sguardo giusto in tempo per spostarsi di un millimetro, prima che il dolce peso di Frankie Cobain cadesse a peso morto sul divano al proprio fianco. Lo sentì sospirare, una mano poggiata drammaticamente sugli occhi. «cambio della guardia, vai te fuori con il jackson» Il Jackson? Malgrado la sua presenza non fosse stata riconosciuta, e la sua voce non richiesta, Stiles non potè fare a meno di aggrottare le sopracciglia e domandare: «eugene?» guadagnandosi un’occhiata confusa (e sorpresa: evidentemente, il ragazzo non l’aveva visto davvero) da parte di Frankie. Era stata una domanda scema? BEH, a suo favore conosceva solo lui – e non gli pareva troppo assurda l’idea che potesse creare questioni all’entrata. «ferguson» ah ochei.gif. Gli occhi scuri di Frankie rotearono supplicanti su Andy, ed il se-stesso-ma-cooler tentò un sospiro di falsa sconfitta, e reale trionfo: chi voleva prendere in giro, Andy voleva fare l’usciere da quando l’avevano segregato all’interno del tendone. «cos’ha fatto?» domandò l’altro, già in modalità professional, facendo guizzare lo sguardo dal divano all’entrata. Il Cobain rispose con un grugnito inintelligibile, che Stiles – per esperienza personale – riuscì però facilmente a tradurre: «esiste» condivisibile. Andy si limitò ad annuire e dileguarsi nella folla, abbandonando (Stiles) Frankie al suo destino.
    Bene, ma non benissimo. Stiles si umettò nervosamente le labbra, adocchiando le proprie mani senza sapere bene cosa fare. Non era propriamente il campione delle small talk, e non si sentiva particolarmente a suo agio con gli sconosciuti – avrebbe potuto rimanere zitto, certo, ma non sarebbe stato Stiles se, in preda all’ansia da prestazione, non avesse iniziato a blaterare. «Ferguson è il ragazzo che dipingeva le facce con te, vero? Sì, vero, non rispondere – beh, pensavo foste amici? insomma» deglutì, mentre l’altro – con lenta e misurata intenzione – lo osservava a sopracciglia corrugate. «è normale avere incomprensioni sul lavoro, non bisognerebbe mai lavorare con i propri amici» ??? ma ci credete che Andrew Stilinski fosse uno psicomago? Difficile da pensarlo, quando lo si vedeva in un ambiente esterno al san mungo; doveva essere il camice ad essere miracolato, salvandolo da se stesso. «fergie non è mio amico» Oh? Ma pensa. Per quanto poco acuto potesse sembrare, non gli sfuggì il modo in cui Frankie distolse lo sguardo, o come digrignò i denti mentre le guance avvampavano. «è solo fastidioso» corrugò ancora le sopracciglia, prendendo – da dove, non gli fu ben chiaro – una lattina di birra. Lo osservò affascinato mentre la stappava e ne ingurgitava un sorso, gli occhi a seguirne le dinamiche affamati e disperati; dovette girare il capo verso la pista da ballo, fingere di essere interessato alle interazioni sociali che gli esseri umani, a quanto pareva, erano ancora in grado di fare. Un tempo era anche lui, così - normale.
    Più o meno, normale: aveva pur sempre adottato un ragazzino del Burundi quando aveva tredici anni. «vuoi un…sorso?» ugh, anche una cassa intera. Respirò dalla bocca anziché dal naso, usando tutto il proprio autocontrollo per non fuggire: sei meglio di così, Stiles. Aprì la bocca per reclinare l’offerta, ma anziché mostrarsi educato e dire semplicemente non ne avesse voglia, replicò con «frequento gli aa» ed annuì perfino, le labbra curvate in un sorriso ironico e non particolarmente divertito. «quindi, direi di no» Frankie lo osservò con più interesse di quanto non fosse lecito, prima di posare la lattina – ancora piena – a lato del divano, così che non fosse in bella vista. Posò poi la schiena al sedile della poltrona, le braccia incrociate sul petto. Rimasero in silenzio per minuti che parvero ore, fino a che l’altro non decise di romperlo nella maniera meno opportuna, e più giusta. «ho conosciuto j…ason? Jaxon?» «jayson?» Frankie annuì, un’espressione allegra in viso. Aveva qualcosa di…vagamente familiare, ma – avendo passato più tempo da sbronzo che non da sobrio – non era particolarmente oggettivo: poteva averlo visto davvero ovunque. «un tipo triste» Sì, decisamente Jayson. «gli mancava casa, credo» si strinse nelle spalle, evitando lo sguardo di Stiles come Stiles poco prima – ah, a quanto pareva non era l’unico a non sentirsi a suo agio! Buono a sapersi. Anche a casa, manca Jay. «nah, è triste sempre» replicò invece, abbandonandosi anch’egli al morbido abbraccio del divanetto. «è la sua espressione standard, insieme a pissed-off» accennò un sorriso, cercando – per quanto possibile – d’ignorare la fitta di nostalgia a pulsare nel petto. Frankie rise, ed il silenzio che ne seguì fu meno intenso di quello precedente. Più rilassato.
    Ma a quanto pareva, al Cobain piaceva davvero un sacco fare lo spacca gioie. «conosci darden?» «larson? uh-uh» non che a scuola frequentassero esattamente le stesse compagnie, ma si trattava pur sempre della sorella di Isaac, il che – negli anni – gli aveva imposto un certo carico di occhiatacce killer da parte della mora: it be like that sometimes. «e jericho?» era un interrogatorio? Cosa stava succedendo. «mh-mh» La conosceva, aka: era stato minacciato più volte, ed in svariati quanto creativi modi, di perdere la vita. Valeva? «e jeremy??» Stava cominciando a diventare strano, e, citando Chidi, Stiles non si era sentito più stressato in vita sua. «perché???» Avrebbe voluto che il proprio tono non salisse di un’ottava, ma quando mai quel che voleva Andrew Stilinski diventava realtà? Mai, ecco quando. «curiosità. sciallo, amico» Gli diede perfino una spintarella, Frankie. «che ansia. so cosa fa al caso tuo, EHI» Gridò il Cobain, portando una mano alla bocca. Ne seguì lo sguardo verso un capannello di persone poco distante, e – come prevedibile – non capì. «obbligo, né charlie? Okay, canta la canzone vincitrice di sanremo 2019- spoiler: tappatevi le orecchie, ragazzi- saltellando su un piede solo» dopodiché, con grande orrore di Stiles, afferrò la sua mano sollevandola al cielo come quella dei vincitori di un incontro di pugilato. «ANDREW SCEGLIE OBBLIGO» Lui – cosa? «stiles» corresse in automatico, «e -» NON HO ALCUNA INTENZIONE DI PARTECIPARE A NESSUNISSIMO GIOCO OH MA POI QUALE OBBLIGO? LET ME BE. «STILES SCEGLIE OBBLIGo»
    Citando sciàde, bene ma non benissimo.

    frankie
    & stiles
    21 y.o./
    21 y.o.
    hufflepuff/
    hufflepuff
    healer / psychowizard
    guess what /
    what????


    parlano solo fra loro (ancora? sempre) e stiles non sceglie obbligo
     
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    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    «continuo ad avere i miei dubbi» scusa??? Era stata la prima (ed unica) studentessa, Willow Beckham, ad aver dubitato della sua natura di fantasma. Insomma, quando insieme a Nate aveva scelto quella copertura, non aveva messo in conto in fatto che tra i corridoi della scuola potessero ancora esserci in giro amanti di film horror e fantasmi: quella generazione, di capolavori come Ghost Buster, probabilmente non ne conosceva neppure l'esistenza. L'esistenza di una come Will non l'avevano messa in conto e così il momento in cui Jess aveva deciso di avvicinarsi alla ragazza e, soprattutto, a suo fratello (insomma, parliamo di gaylord beckham), la Goodwin aveva firmato una sorta di condanna: la ragazza aveva iniziato a tartassarla di domande, pretendendo una descrizione minuziosa dei dettagli più macabri della morte di Jess, e quest'ultima non aveva potuto far altro che tentar di esser il più convincente possibile. Tutti i suoi tentativi però non sembravano aver avuto l'effetto desiderato, visto che la Beckham continuava ad esser titubante e lanciarle occhiate sospettose almeno una volta al minuto. «beh - perché non era come il tryhard??? Con lui, e con quegli angeli dei losers, non avrebbe mai avuto il bisogno di mettersi a dimostrare la sua natura di fantasma - non dovresti, sono un fantasma certificato™» Se in un momento di disperazione, pur di convincere will, si era fatta scrivere un falso certificato da Erin??? Ovviamente si. «...quel certificato era chiaramente falso» Ecco perché, durante i suoi anni ad Hogwarts, per la maggior parte del tempo aveva evitato i ragazzi con la cravatta blu-bronzo come la peste: le eccezioni simpatiche e non spacca-gioie tra le fila dei corvonero si potevano contare sulla punta delle dita, e Willow Beckham non era certamente una di quelle. «QUEL CERTIFICATO È VERISSIMO E NOI ABBIAMO UNA FESTA A CUI PARTECIPARE, ANDIAMO» Ormai stava perdendo ogni speranza di farle cambiare idea, quindi tanto valeva direttamente cambiare argomento #wat Ed aveva abbastanza fiducia nel fatto che, una volta trovatasi tra tutte quelle persone provenienti da un altro universo, Will sarebbe stata troppo impegnata a riempirle di domande così da non pensare a Jess e Nate, ed il loro palesemente falso spacciarsi per fantasmi.
    [...] «non abbandonarmi» sussurrò appena, Willow, quando bastava per farsi unicamente udire dalla Goodwin e non dal resto delle persone nel tendone. Di solito le feste non la mettevano a disagio, ma trovarsi circondata da sconosciuti provenienti da un altro universo un po' di ansia gliel'aveva messa. E nonostante non si fidasse completamente di Jess - insomma, era il peggior fantasma della storia - allo stesso tempo nel corso dei mesi aveva imparato a volerle bene per quella che era (scema) «se mi perdi di vista, urla TEINA» perchè? eddai, erano quasi due mesi che la ragazza non toccava alcol, il tè era diventato la sua nuova droga «e arriverò da te in un attimo» E parlando di (ex)alcolizzati....stavano forse giocando al gioco della bottiglia??? SENZA JESSALYN GOODWIN????? TRADITORI!!1!1 «ANDIAMO A GIOCARE!» Trascinandosi dietro una Willow chiaramente a disagio, e spinta dal suo sponsor radar (#wat) che aveva captato un grave pericoloh, Jess arrivò giusto in tempo per dare l' obbligo a Stiles ed evitargli l'imbarazzo - o peggio, la tentazione - in caso qualcuno non a conoscenza della situazione del ragazzo gli avesse proposto qualcosa a base alcolica. «OBBLIGO EH? LO SO IO!» In realtà non lo sapeva. Così diede una gomitata alla mora al suo fianco per farle dire qualcosa, e nonostante l'occhiataccia, Will sembrava aver già un obbligo da proporre. Eh, la gen z era decisamente più allenata a giochi del genere #wat «allora...bevi un bicchiere..»E NO EH, LE BASI WILLOW. LE B-A-S-I!!! «DI ACQUA!» Era un po' troppo poco? A giudicare dalle occhiate degli altri, «..con UNO SPUTO! Di una persona a tua scelta, eh» Almeno. Lanciò uno sguardo di scusa allo Stilinski, rendendosi conto che, seppur mossa dalle migliori intenzioni, non aveva poi migliorato di molto la situazione. E vabbè, perlomeno non avrebbe toccato una goccia d'alcol. «e willow mi ha appena detto all'orecchio di aver scelto verità » cosa? cosa. La ragazza le aveva appena pestato un piede? Eh vabbè, doveva mostrarsi impassibile, I FANTASMI NON PROVANO DOLORE «poverina, si vergogna un po' a parlare davanti a tutti voi» E chissà se quel «vaffanculo» Jess lo udì solo nella sua testa, o la Beckham gliel'aveva appena sussurrato rivolgendole il più falso dei sorrisi.
    Jess
    & willow beckham
    19 y.o. / 16 y.o.
    wizard / raven
    ghost / goth


    non fanno praticamente nulla, parlano tra loro, si inseriscono nel gioco e willow sceglie verità!!
     
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    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Schiaffi e testate in faccia, classica notte brava per i pg di rob. Uno dei quali meritava certamente di essere malmenato (freddie), mentre all'altro (barrow) sarebbe servito di più un bacio in fronte, ma ci rendiamo conto che è chiedere troppo.
    Soprattutto ad una amalie dallaire da sempre confusa e particolarmente suscettibile ai lineamenti puliti del cooper; una sorta di istinto primordiale per colpa del quale la ragazza sembrava incapace di trattenere frustrazione e violenta ogni qualvolta se lo ritrovava di fronte. E forse per questo, dopo cinque anni, barrow cooper ci aveva fatto l'abitudine. «che. dolore. ciao ams!» un gorgoglio gli sfuggì dalle labbra simile al verso soffocato emesso da una gallina sgozzata, le mani premute sul naso con i palmi uniti in preghiera. E in effetti una grazia al signore la stava anche chiedendo, quella di arrivare vivo a fine serata. Non che avesse grandi programmi nella vita, il ventisettenne, ma si figurava almeno di scrivere e pubblicare il seguito di extraterresti fantastici! lo doveva ai suoi accaniti lettori, nonché alla sua fonte di ispirazione massima: i mayali galattici. Mica per niente aveva dedicato loro buona parte dei capitoli del libro e la sceneggiatura originale di una serie tv.
    Attendeva solo notizie da netflix, con la stessa ansia con cui rob aspetta di sapere se rinnoveranno o meno the punisher. «è sempre una gioia vederti!» non si avvertiva nemmeno un'ombra di ironia in quel commento soffocato, nonostante la punta del naso rossa come un peperone e le lacrime a sprizzare dagli occhi chiari. Ad amalie dallaire avrebbe perdonato qualcunque cosa, e non solo perché l'amava come il gran cretino che era - aka incondizionatamente e conscio di non avere speranze -: il problema di barrow cooper risiedeva tutto nell'essere buono da far schifo. E ingenuo, come un bambino dall'aria innocente e un po' tonta al quale ti piange il cuore fare un torto; persino i bulli si intenerivano di fronte a quello sguardo perso, al sorriso ebete e scanzonato, alla fissa degli alieni e all'evidente mancanza di qualche rotella. Era il charles boyle dell'upside down, e se avesse conosciuto l'originale non se ne sarebbe certo vergognato. «UHH» mi..dispiace?» aaawww.
    Visto? Faceva bene ad amarla. Rigorosamente da lontano e senza troppe pretese, like a gentleman. Ogni tanto le regalava dei fiori o si metteva a scrivere poesie spedendo queste ultime in forma anonima via gufo - una mossa super smart finché non bruciava la sua copertura decantandogliele di persona alla prima occasione utile -, ma non si era mai fatto avanti davvero. Inutile dire che la mancanza di un'influenza positiva come quella dei freaks gli era sempre mancata nella vita. Avrebbe voluto dirle che no, a lui non dispiaceva affatto, ma l'avanzare di liam costrinse il barrow a fare un conseguente passo indietro, lasciando ai due spazio e un po' di sana privacy; per quanto le vicende familiari altrui lo incuriosissero tanto quanto i gossip sulla vita delle celebrità (#brad+georgelives), ed in effetti interessarsi dei fatti altrui rientrasse nelle sue competenze lavorative (ma ci credete che frequenta l'accademia dell'fbi? assurdo.), sapeva quanto delicato fosse l'argomento per amalie. E quanto difficile fosse affrontarlo sapendo che la vita appartenente al 2043 non sarebbe mai stata la sua. Non sarebbe mai stata la loro. «beeeeh allora io... vado.» gesticolò un po' random nell'aria, prima di girare su se stesso stile trottola impazzita, piombando con poca grazia tra le braccia di un victoria ancora saldamente ancorata alla bottiglia di vodka.
    Quando non sapeva cosa fare, il cooper, poteva sempre contare su quel gruppetto di disgraziati, sebbene tre su cinque fossero dei criminali e qualcuno avrebbe forse potuto obiettare che non si trattava della compagnia migliore per un futuro agente speciale dell'fbi; un'osservazione contro la quale barrow avrebbe ribattuto che anche clarice starling si faceva hannibal lecter, eppure era diventata comunque una delle più famose e apprezzate rappresentanti del bureau dagli anni novanta in poi. E questa spiegazione irrazionale era solo uno dei tanti motivi per cui i suoi amiki non si capacitavano di come cristo avesse fatto a superare i test preliminari per entrare in accademia. Damn boy, non lo sapeva nemmeno lui. «EAULA.» era arrivato giusto in tempo per godersi appieno il rumore secco provocato dalla mano di annie che impattava senza preavviso contro la guancia destra di frederick, rischiando di mandare il ragazzo in questione gambe all'aria. Si era fatto prendere alla sprovvista, il buon vecchio freddie, dopo cinque mesi durante i quali evidentemente il suo sesto senso aveva perso quella dinamicità cui era abituato vivendo fianco a fianco con la rossa: quante volte aveva visto la ragazza menare l'amico? Impossibile contarle. Quante volte freddie se le era meritate, per un motivo o per l'altro? Impossibile contarle. «quanto siete carini!» #shipit
    «ed oltre a mio padre, andiamo anche a cercare del ghiaccio» surprised but not disappointed. Nemmeno il tempo di beccarsi anche lui uno schiaffo random da parte di annie, ed ecco la mano di amalie stringersi attorno alla sua, salda quanto quella di un carpentiere di terza generazione; avrebbe potuto resistere alla pressione generata dalla ragazza, che lo mancava di almeno venti centimetri e altrettanti chili abbondanti, ma barrow adorava farsi trascinare via verso l'ignoto. Soprattutto se a portarlo nell'oblio era la sua bionda preferita (sks vic). «ma no, ams, il ghiaccio non serve. Questa volta non me l'hai rotto!» questa volta. lo sentite il tristissimo orgoglio nella sua voce? ci aveva provato cj hamilton a spiegargli che ogni tanto poteva anche attaggiarsi da essere umano e abbamdonare per u istante la forma di zerbino, ma barrow non ammetteva ragioni: i'm a cinnamon roll, bro, ripeteva fiero e sgargiante quanto un pavone in calore, too good for this world, too pure. Come se quell'affermazione avesse una qualche valenza positiva in grado di salvargli la faccia.
    Seguì giustamente amalie all'interno del tendone, andando giù di slalom tra persone che ballavano e altre intente a pomiciare duro (chi??? fatevi avanti), senza lasciare la mano della ragazza nemmeno per un seocndo; stava a lei fare il primo passo, perché al cooper andava bene rimanere così anche tutta la serata, dita intrecciate come fidanzatini e nasi sanguinanti. «lo sapevate che siete il mio futuro dai genitori?? PAZZESCHISSIMO, VERO???» nessuno uno di secondo, nemmeno zitto #iwashere. Chiuse un istante gli occhi, barrow cooper, mentre amalie gli stringeva convulsamente una mano riducendo le ossa in briciole e row la toccava pianissimo (il modo di dire, non nel senso che stesse toccando qualcosa #wat), cercando di capire se fosse sveglio o il suo organismo avesse già assimilato una certa quantità di droghe e alcol rimossa dalla memoria, ma quando risollevò le palpebre niente era cambiato di una vigola. Rowan Quinn lo stava ancora fissando con i suoi occhioni azzurri strabuzzati, le guance incredibilmente paonazze e un tic nervoso all'occhio destro che poteva benissimo essere sintomo di malsana eccitazione; li conosceva bene quegli attacchi di shipping compulsivo, e all'ex grifondoro quasi dispiaceva dover distruggere i sogni della bionda aggiornandola sull'inesistenza di una relazione sentimentale tra lui e amalie. Damn, era anche il suo di sogno. «sure, jan! quanto hai bevuto? devo chiamare vic????» vagamente terrorizzato all'idea, barrow avvicinò il viso a quello di amalie, sussurrando al suo orecchio così ch3 nessun altro potesse sentire, row compresa. «ti prego, diglielo tu. io ho paura. mi ha già picchiato due volte questa settimana.» tipo quella mattina stessa.

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    ricapitolando: dopo averle detto che una sua cugina era una strega quindi WOW potevano avere rapporti, JD aveva perso questa ragazzina quindicenne ad una festa a cui lei non sarebbe dovuta essere in primo luogo, aveva chiesto informazioni ad un tipo e alla sua sorellina (andiamo, erano identici ma genderswap) per ritrovarla e la loro risposta, well, non era stata delle più utili: «non vorrei sembrare rude, ma ti sei guardato intorno, di recente?» Jd spalancò le braccia con sguardo sommesso.
    «Come disse un vecchio saggio kinese: più sorridiamo, meno ci vediamo»
    «dovrai essere un po’ più specifico, se vuoi una mano»
    Più specifico. Come poteva essere più specifico?? Non c'era letteralmente altro da dire! Le ragazzine occidentali erano tutte uguali, e Fitz - per quanto gli fosse cara - non faceva eccezione.
    «E' in vestaglia?» tentò, non esattamente certo che potesse essere un indizio utile; in fondo, un pigiama è tale nel momento in cui ci dormi, se lo indossi di sera diventa un abito da sera *meme tipo che si tocca la fronte*
    Sadly i suoi nuovi amiki si erano distratti e non lo stavano più minimamente calcolando
    «ok, magari vado a chiedere una mano a qualcun-»
    «confessa un tuo kink all’orecchio di jackie chan!» cosa. Jd si portò una mano al petto, occhi sgranati. «moi insomma, non che non fosse lusingato dal paragone... ma se non si fosse trovato lo sguardo dello strano duo addosso, non avrebbe neanche capito che si stavano riferendo a lui; del grande attore cinese Jd non aveva assolutamente niente ??? o almeno così credeva.
    Forse era lo sguardo fascinoso e penetrante... e a proposito di cose penetranti (cosa) fu il fortunato ascoltatore dunque delle fantasie sessuali del ragazzo. mani in alto (letteralmente). «puoi sculacciarmi quando ti pare» wink wink «ma prima vado a cercare la mia anonima ragazzina bionda»
    Ignorando il gioco che iniziava a prende piede nel tendone, si spintonò fra la folla girando gente a caso alla ricerca di nikita. Diciamocelo: JD non era esattamente il tipo da sapersi prendere cura delle altre persone o che tendesse a farlo (aveva sempre lasciato il ruolo della mom friend a suo cugino con grande piacere, prima del Fattaccio) ma se Fitz si trovava lì era colpa sua e sì, non voleva finisse uccisa o stuprata o con un pene disegnato sulla faccia come lo spilungone scuro attaccato allo strano duo (ahah non è vero, il pene in faccia sarebbe stato divertente) (MA POCO APPROPRIATO SU UNA MINORENNE!!!!!). Non riusciva a fare a meno di chiedersi: se fosse Kiki, cosa farei? Se fossi un buon fratello maggiore, cosa farei? Una parte di lui sperava che la sorellina che non aveva mai incontrato avesse avuto nella vita persone che si prendeva cura di lei
    e non la perdevano ad una fottuta festa.
    «FIII/IIIIII/IIIITZ» voltò una ragazzina bionda, convinto fosse la sua. Nope, tipa sbagliata. «FII/IIII/IIITZ!!» altra nanetta bionda, di nuovo nanetta sbagliata. «scusami???» «Mh ciao BEL VESTITO SKS» si sentiva mushu alla ricerca di mulan nella neve, e fu solo dopo qualche minuto che finalmente ritrovò la giovinetta... proprio
    dove
    aveva iniziato
    a cercarla
    .
    «Fitz.»
    Ma ovviamente la bionda, occhi sberluccicanti che glitter di celeste levate, stava osservando il gioco obbligo verità che era partito proprio quando JD si era allontanato per cercarla. Non era certo se avesse già trovato Svetlana, o si fosse semplicemente distratta nella ricerca.
    Probabilmente la seconda.
    «e willow mi ha appena detto all'orecchio di aver scelto verità. poverina, si vergogna un po' a parlare davanti a tutti voi»
    «UH !!! IO IO IO IO !!!!» la vide alzarsi in punta dei piedi saltellante, la mano in alto per richiedere attenzione. JD roteò gli occhi, ma a parte decidere di starle appiccicato non intervenne. «Chi ti faresti a questa festa?»
    per poco a JD non andò di traverso la saliva, e iniziò a ridacchiare istericamente. «io scelgo obbligo!!!»
    «è minorenne» ricordò a tutti, casomai qualcuno se lo fosse perso per strada e volesse farla denudare o slinguazzare gente. Not under his watch.
    «ma se richiesto, metto la lingua»
    «F I T Z»
    «I'm inadeguate. What can you do?»
    nikita Fitzgerald
    & joon-ho JD kim
    20 y.o. / 15 y.o.
    mage / medium
    26.12.2018


    JD ascolta il segreto di Billie + importuna a caso le nane bionde alla festa cercando fitz + trova fitz vicino a Jess.
    Fitz dà la domanda a willow e sceglie obbligo ♥
     
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43 replies since 26/12/2018, 01:12   1979 views
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