Un thè prima della morte

EP - William

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    «Il senso d'impotenza e di solitudine del condannato incatenato, di fronte alla coalizione pubblica che vuole la sua morte, è già di per sé una punizione inconcepibile.»
    Guardai pensierosa lo zucchero affondare e finire infondo alla tazza, chissà se esistesse un mare di thè se, in sella ad una scopa, dall'alto, ci farebbero cadere tanto zucchero - e limone, non riuscivo a capacitarmi di come le persone potesse bere thè senza limone- da renderlo dolce e bevibile. E chissà se facendo cadere altrettanto sale in un lago questo diventerebbe d'acqua salata oppure, per un qualche scherzo della chimica, tornerebbe dopo non molto al suo normale gusto di… acqua. Certo è che nessuno vorrebbe bere qualcosa dopo che altre mille persone ci hanno fatto il bagno portando ovviamente con loro capelli, peli, saliva e sudore. Per non parlare di altri fluidi corporei, insomma, il mare è mare, a nessuno piace bere quell'acqua, ma io personalmente non urinerei mai in una tazza di thè, anche se grossa quanto un oceano!
    Presi il cucchiaino e cominciai a mescolare piuttosto distratta il tutto, notando come le gocce di limone si espandessero nel liquido rendendolo sempre più chiaro e dorato.
    Fosse stato per me sarei rimasta a crogiolarmi nei pensieri più insensati della storia ma continuava ad arrivarmi all'orecchio la voce irritante della donna che avevo di fronte. Aveva lavorato per alcuni anni in un negozio poco distante e a caratterizzarla era il perfetto comportamento da convinta. Era ormai più di un quarto d'ora che sputava insulti sulla famiglia Italie e su come fosse possibile che, dopo un simile tradimento, si desse ancora la possibilità ai suoi famigliari di atteggiarsi a loro piacimento tra i corridoi del castello se non addirittura dell'intero mondo magico.
    "Dovrebbero prendere sua sorella e torturarla fintanto da poterla vedere agonizzante sul pavimento freddo"
    Prese fiato in un millesimo di secondo, tanto da non darmi neanche la possibilità di intromettermi nel discorso, ma infondo cosa le avrei potuto dire? Ero stata cresciuta con regole rigide secondo le quali chi andava contro la legge, la nostra legge, si doveva aspettare solo torture e terrore se non, addirittura, la morte.
    Mio padre, il buon vecchio Signor Whole, era sempre stato di vedute più larghe di mia madre ma questo non comportava darle torto ogni qual volta che lei cercava di inculcarci nella mente nuove direttive, si mordeva la lingua e si limitava ad appoggiare una mano sulla spalla di Eleanor sussurrandole all'orecchio quanto già io e Seth fossimo allenati a combattere e quanto fossimo bravi a distinguere le brave persone da quelle che non si meritavano neanche uno sguardo.
    Negli ultimi tempi però, negli occhi di alcuni studenti, avevo colto una scintilla in più, la stessa luce che ogni tanto si impossessava dello sguardo di mio padre quando alla sera, prima di rimboccarci le coperte, ci raccontava le gesta eroiche di alcuni maghi del passato. Sapevo che le parole che uscivano dalla sua bocca erano pura invenzione, ma ogni volta rimanevo affascinata da quello che la sua mente era in grado di inventare.
    Per la prima volta, ora, mi stavo chiedendo se fosse davvero giusto torturare e uccidere Alexander Italie senza se e senza ma.
    Annuii alla donna davanti a me senza neanche sapere se stesse parlando ancora della stessa cosa o se, nel frattempo, avesse cambiato altri cento discorsi passando da come spazzolare il proprio gatto persiano a come da giovane avesse rotto il naso dell'uomo che le aveva chiesto di sposarla solamente perchè non era un mangiamorte.
    Alzai impercettibilmente gli occhi al cielo e, in quel momento, vidi il paradiso. La mia ancora di salvezza. Il burro che completava la birra, la birra che completava il burro, insomma, qualcuno che poteva salvarmi da quella tortura! Interruppi la donna senza tanti convenevoli e,senza aggiungere altro a delle semplici scuse e senza dimenticare la tazza di thè ancora mezza piena, mi alzai dalla sedia per dirigermi verso un ragazzo che prima non avevo notato.
    Speravo non si fosse dimenticato di me nonostante non fossimo mai stati veramente amici ma solo compagni di casata, in realtà però poco importava, a quel punto avrei attaccato bottone anche con uno sconosciuto.
    "Non ci credo, William Barrow!"
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    «Vorrei poter dimenticare che io son io.»
    Le persone avevano la strana convinzione che, quando fosse morto qualcuno a loro caro, l’avrebbero sentito nel cuore. Come se ci fosse davvero qualcosa di fisico a legarli, come se fosse anche solo lontanamente possibile. Sarebbe bello, e semplice, crederlo: sapere di essere lontani, ma avere comunque la consapevolezza che l’altro sia vivo, perché lo si sente. La verità, è che morto o vivo, non si smette mai di sentire l’altra persona nel cuore. Perché ormai è lì, nolente o dolente, e non si può estirpare come fosse erbaccia. A William non faceva che ridere, vedere persone tenersi la mano sul petto e sentire che il loro migliore amico, il loro ragazzo, o chi per esso , fosse vivo. lo saprei, se fosse morto .
    Barrow era dannatamente stufo di dover essere colui che infrange quella piccola campana di vetro. Vedere la superficie incrinarsi e spezzarsi sotto le sue dita, pur sapendo che era necessario, era quasi straziante. Ovviamente quella patata bollente, toccava sempre a lui: e non sia come né perché, le vittime del lutto se la prendevano sempre con l’ambasciatore che portava la notizia, quasi fosse stato Will stesso a soffocarli o fare solo Merlino sapeva cosa.
    Eppure lui sapeva come ci si sentiva. Una volta, incredibile, aveva amato persino lui. non si trattava dell’amore raccontato nelle favole, di quelli dove la principessa è sempre rinchiusa in una fortezza protetta dal drago. Era uno di quelli da raccontare presso il camino; non era una ragazza, l’oggetto dell’amore di Will, bensì un bambino: frequentava il primo anno ad Hogwarts, quando lui faceva l’ultimo. Era sempre oggetto di minacce, e torture sempre nuove infliggevano la sua carne. Aveva bisogno di lui, e Will aveva bisogno di qualcuno che lo tenesse in considerazione come un idolo dorato. Non sapeva esattamente cosa significasse amare ed essere riamati, finchè il bambino non si presentò sanguinante al suo letto, in cerca di un abbraccio. Voleva sentirsi dire che sarebbe andato tutto bene, e Barrow non se l’era sentita di dire la verità. Aveva letto negli occhi scuri del bambino, l’affetto di un fratellino minore. Aveva letto tutto quello che si sarebbe potuto desiderare da una famiglia, lì, piccolo come uno scricciolo e debole come una foglia al vento. Si affidava a lui, gli aveva consegnato le chiavi della sua anima, proprio come fosse suo fratello.
    Quando morì, William era a sbronzarsi alla Testa di Porco. Lo venne a sapere il giorno dopo, con un commento sarcastico da parte di un compagno di casata. Non sapeva quanto quelle parole avessero inferto un colpo al cuore poco abituato ad amare di Will.
    Fu in quel momento che decise che si sarebbe preso carico di tutti, senza affezionarsi a nessuno. Perché l’uomo è una creatura fragile, non si ha il tempo di affezionarsi a qualcuno che questi scivola fra le mani come sabbia.
    E quella mattina, cortesemente affisso ad ogni locale del mondo Magico, aveva letto l’avviso della morte di un altro conoscente. Parte della Resistenza, che nonostante tutto lavorava ad Hogwarts: Italie Alexander. Non erano amici, ma Will aveva dato una parte della sua fiducia a quell’uomo, così come lui aveva fatto con Barrow stesso. Vedere su di un’anonima pergamena poche parole che avrebbero cambiato intere esistenze, era vergognoso. Non si prese la briga di prenderlo ed accartocciarlo: voleva vedere quante persone si sarebbero presentate all’evento, probabilmente molto più attratte dal macabro spettacolo che dal messaggio insito in esso. Lui non si faceva illusioni, prima o poi avrebbe fatto la stessa fine. Sperava in poi, e sperava che nel frattempo fosse cambiato qualcosa.
    Tirava il guinzaglio di Mischief per tenerselo affianco mentre camminava nella trafficata via principale di Hogsmeade. Sentiva uno spiacevole peso sullo stomaco, il senso di colpa strisciante per dover assistere alla morte di un uomo cui ideali erano stati installati da Barrow in persona. Non era obbligato ad assistere, dopotutto non avrebbero potuto torturarlo se non avesse voluto, eppure almeno quello era convinto di doverglielo. Non poteva salvarlo, doveva avere almeno abbastanza rispetto da assistere al suo sacrificio.
    Il senso di colpa era abbastanza pesante da spingerlo dentro i Tre Manici in cerca di un sostegno dato da un bel bicchiere di whisky, nonostante fosse solo primo pomeriggio. “Signore, i cani non possono entrare” balbettò un cameriere, vedendo i peli dei gatti presenti nel pub rizzarsi alla vista dell’Husky. I freddi occhi di Will strisciarono su quell’esemplare umano alto e slanciato, sottile quasi quanto lui. Un sorriso si dipinse sulle sua labbra, mentre con non curanza circumnavigava l’ostacolo. “Scommettiamo?” disse semplicemente, prendendo posto al bancone. Ef, che si disinteressava di qualunque cosa accadesse nel mondo se non era Will ad ordinarglielo, si coricò per terra vicino al suo sgabello. Ordinò il Whisky, e si guardò attorno in cerca di visi più o meno familiari, espressioni più o meno esaltate o rattristate.
    “Non ci credo, William Barrow!"
    Non aveva riconosciuto la voce, il che significava che probabilmente la suddetta persona non era particolarmente importante. Arricciò le labbra e si voltò verso la bionda figura che si stava affiancando ad egli con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia. Aveva grandi occhi azzurri, labbra carnose e zigomi alti. I bianchi denti erano perfetti, e si accompagnavano alla perfezione del resto del viso. Lilian Whole, corvonero. Non era cambiata di una virgola da quando frequentava Hogwarts, ormai doveva essere.. fece un breve calcolo, all’ultimo anno? Di certo le sue forme si erano fatte meno morbide e più spigolose, già la donna che sarebbe diventata.
    E che donna.
    Continuò a guardarla per qualche secondo, socchiudendo le palpebre. Prese il bicchiere che il barista aveva cortesemente poggiato di fronte a lui, e spostò gli occhi azzurri di nuovo di fronte a sé, mentre un lieve sorriso gli increspava le labbra.
    Oh, per la barba di Merlino, che coincidenza. Dopotutto, non c’è l’esecuzione pubblica di un mio vecchio professore” si strinse nelle spalle mantenendo il sorriso sarcastico. Buttò giù un sorso di whisky, sentendolo ardere in tutto il corpo. “La mia fama mi precede. Tu invece saresti?” domandò inarcando un sopracciglio.
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    «Il senso d'impotenza e di solitudine del condannato incatenato, di fronte alla coalizione pubblica che vuole la sua morte, è già di per sé una punizione inconcepibile.»
    C'era da dirlo, i Grifondoro erano sicuramente una casata più unita della nostra. Ipoteticamente parlando magari poi si lanciavano frecciatine alle spalle o si sfidavano con cattiveria su chi fosse stato più abile ad indossare il numero più alto di mutande nel minor tempo possibile ma, all'interno della casata, si conoscevano tutti. Questo sicuramente accadeva anche ai Tassorosso, talmente premurosi l'uno verso l'altro da non tralasciare di certo il dettaglio di sapere nome e cognome dei propri compari. Noi Corvonero eravamo un discorso a parte: ognuno improntato sulla propria vita e i propri obiettivi, alle domande siamo in grado di rispondere da soli e, quando proprio le risposte vengono a mancarci, ci affidiamo ai libri. O ai buoni amici. Ma tediamo a diffidare delle parole del prossimo, in effetti sembra che nessuno ne abbia bisogno.
    In realtà è solo apparenza, non ci interessiamo solo a volumi polverosi e lingue morte, ma tendiamo a non volerlo far sapere in giro, e questo porta inevitabilmente ad una poca coesione. La sottoscritta ha però due occhi con cui può osservare tutto e, confidenza o no, Barrow era sempre stato un ragazzo interessante… ci eravamo persino rivolti la parola più di una volta, discutendo in sala comune dei discorsi più disparati, sentendoci tirati in causa non appena uno dei due toccava un argomento che stava a cuore all'altro.
    Forse non eravamo mai stati grandi amici, ma i corvi hanno una buona memoria, e il mio faccino angelico non si dimentica. Esattamente come il suo.
    Oh, per la barba di Merlino, che coincidenza. Dopotutto, non c’è l’esecuzione pubblica di un mio vecchio professore
    Inclinai impercettibilmente la testa da un lato e gli occhi diventarono due fessure mentre calibravo le sue parole, il sarcasmo era spesso pericoloso, sapeva celare il miglior veleno alla perfezione.
    La mia fama mi precede. Tu invece saresti?
    Ripresi subito a sorridere cordialmente come solitamente facevo con le persone di poca importanza o, come in questo caso, quando mi sembrava di camminare su ghiaccio già venato.
    "Oh scusa, non mi sono fatta riconoscere, effettivamente sono molto più bella rispetto a quando potevi vedermi tutte le mattine in Sala Grande." alzai la tazza di thè fino alle labbra, tenendo nell'altra mano il piattino, e ne bevvi un lungo sorso, aspettando di sentire il calore del liquido fin nello stomaco. "Sono Lilian, Lilian Whole, tre anni indietro a te se non erro." Ovviamente la possibilità che io stessi realmente errando non era contemplata. Appoggiai tazza e piattino, non in quest'ordine, sul bancone producendo un basso tintinnio e rivolsi di nuovo lo sguardo verso il mio interlocutore.
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    «Vorrei poter dimenticare che io son io.»
    Era impensabile che William dicesse di aver riconosciuto Lilian Whole, una ragazza con cui aveva scambiato pressoché poche parole in cinque anni. Sarebbe sembrato che gli fosse rimasta impressa, e non avrebbe fatto altro che montarle la testa. Questo era quello che pensava, mentre gli occhi color del cielo scivolavano sui movimenti fluidi del barista, il quale stava asciugano bicchieri già asciutti. Incredibile cosa si trovasse fare pur di rimanere con le mani impegnate. Da quel che ricordava, Lilian era una ragazza conosciuta e stimata da tutta Hogwarts; non c’era da dubitarne, data la bellezza disarmante ed il sorriso angelico. Non aveva alcun bisogno che Barrow incrementasse il suo ego, di fatti non lo fece.
    Un pallido sorriso incurvò le labbra sottili, mentre un sopracciglio saettava nuovamente verso l’alto.
    “Oh scusa, non mi sono fatta riconoscere, effettivamente sono molto più bella rispetto a quando potevi vedermi tutte le mattine in Sala Grande. Sono Lilian, Lilian Whole, tre anni indietro a te se non erro.”
    Will si passò il pollice sul mento con aria distratta, mentre faceva dondolare il liquido ambrato dentro il bicchiere. Socchiuse gli occhi ripetendo il nome a bassa voce, infine lo puntò nuovamente su di lei.
    “Ma certo, Lilian Whole. Come ho fatto a non arrivarci prima. Sei decisamente cresciuta bene, a saperlo mi sarei fatto bocciare” un sorriso sornione ed un leggero ammiccamento. William flirtava con chiunque gli capitasse a tiro, ma con una leggerezza che era impensabile trovare pesante o molesta. Ormai nessuno ci faceva più caso, anzi, sarebbe parso strano se non avesse accennato a nulla del genere.
    Quando Will era all’ultimo anno, lo conosceva tutta Hogwarts. Fosse per meriti o dispetti, non aveva importanza: aveva passato sei anni nell’ombra di chiunque, ed era spuntato al settimo anno come se prima di allora non fosse mai esistito. Invece lui aveva passato gli anni precedenti studiando le persone, osservandone i movimenti e cercando di intuirne i pensieri. L’aveva sempre fatto da che aveva memoria: cercava di vedere negli altri un po’ di sé stesso, di comprendere fino in fondo quanto tutti fossero dentro quella storia. Se anche a casa loro funzionava come a Villa Barrow, o se i loro genitori gli rimboccassero le coperte prima di andare a dormire.
    Dato che si trattava di una giornata scolastica, sicuramente la preside aveva sospeso le lezioni per dar moro anche agli studenti di assistere all’esecuzione. Bella mossa, William era quasi ammirato. Quasi, perché era impossibile provare ammirazione per la Howe. Quella donna aveva seri problemi relazionali. Più volte Barrow se l’era immaginata chiusa nell’ufficio della preside a parlare con il suo stesso riflesso, magari litigando perfino. Non si sarebbe affatto stupito se un giorno avesse annunciato a tutta la scuola che avrebbe messo al rogo il quadro appeso alla parete della sua stanza, data la sua infamia, per poi scoprire che non era altro che uno specchio. Quando sorrideva, si aveva sempre la sensazione che le sarebbero spuntate le zanne di punto in bianco; era lo stesso sorriso che rivolgeva ad un cucciolo o al capezzale di qualche infermo. Davvero terrificante.
    “Fammi compagnia, soffro di solitudine” disse tornando presente alla situazione ed indicando alla bionda lo sgabello vicino al suo. Prima differenza sostanziale fra i due: la ragazza beveva un thè, William whisky. Ciascuno sceglie di iniziare la giornata nel modo che più gli si addice. Rubò un cubetto di ghiaccio dal bicchiere e lo mise in bocca, soffrendo silenziosamente e sentendo la lingua intorpidirsi. “Come va a scuola? Qualche novità? Malfoy è ancora vivo?” chiese con un sorriso ironico. Era convinto che fosse immortale, e che fra settant’anni sarebbe stato ancora ad Hogwarts ad inseguire goffamente i malandrini del momento. Una volta gli aveva perfino scritto una poesia, ma a Draco non era piaciuta molto. L’aveva mandata alla preside, e lo scarso senso dell’umorismo della Preside aveva spedito William nella sala delle torture.
    Oh beh, come se non vi fosse stato abituato.
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  5. ;Jack
         
     
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    Resistenza • 17
    Jack Herondale
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    « The show must go on»
    Non avevo mai compreso veramente l'espressione 'vivi ogni attimo come fosse l'ultimo' fino a quando non mi era capitato di credere di essere arrivato al mio atto finale, alla fine di quel grande -e drammatico- spettacolo che era stata la mia vita fino a quel momento. E lì, appeso al muro della mia cella con le manette in ottone che mi laceravano la pelle ogni secondo di più, avevo visto scorrermi davanti agli occhi ogni instante vissuto fino a quel momento, consapevole che presto avrei potuto togliere la maschera e che il sipario si sarebbe chiuso, una volta e per sempre sul mio volto.
    Ma, poi, come il regista troppo stressato che chiede di riprendere dall’inizio, William Barrow era piombato nella mia vita e aveva fatto riaprire le tende, e continuare lo spettacolo.
    The show must go on, dopotutto. Mi aveva salvato, portato via dalle grinfie dei miei aguzzini arrivando proprio quando io avevo raggiunto il limite della sopportazione umana, e mi aveva permesso di vivere.
    Vivere.. Dopo anni passati a pensare solo a come sarei morto, il pensiero di poter continuare la mia vita, indossare nuovamente la maschera e riprendere lo spettacolo, era stato come una doccia fredda da ubriaco, quando nemmeno ti rendi più conto di chi sei.
    Ma io sapevo chi ero. Ero Jack Herondale, e lo ero ancora solo grazie a William.
    Nel momento stesso in cui mi portò fuori dalla mia prigione, decisi che avrei dedicato il resto della mia vita a cercare un modo per ripagarlo del regalo che mi aveva fatto.
    Ma tutto questo non è che la prefazione, un inutile fiume di parole buone solo ad autocommiserarmi, non l’avevo forse già fatto abbastanza?
    Quella mattina sembrava che su Hogsmeade fosse passato un esercito di dissennatori. Le strade erano vuote, i bambini tutti rigorosamente chiusi in casa ed i negozi chiusi. Tutti si stavano preparando, perchè da lì ad una manciata di minuti Alexander Italie sarebbe stato giustiziato davanti a gran parte della popolazione magica inglese.
    Dovetti mordermi il labbro a forza per impedirmi di imprecare sonoramente e, di conseguenza, rompere quell’artificiale silenzio che gli abitanti della cittadina avevano creato.
    Camminavo a passo svelto, il cappuccio del mantello calato a celarmi gli occhi, in direzione dei tre manici di scopa dove sapevo avrei trovato William. Mentre aprivo la porta, che tintinnò, pregai merlino e morgana che non fosse ubriaco, perchè altrimenti sarebbero stati cazzi.
    Per fortuna, notai con sollievo, sembrava essere più sano del solito -strano ma vero- e forse questo era dovuto alla compagnia. Una delle più belle ragazze che avessi avuto occasione di incontrare era seduta vicino a lui, e stavano chiacchierando. Mi avvicinai al tavolo senza troppa convinzione, non mi piaceva l’idea di disturbarli, ma Will mi aveva chiesto di avvisarlo quando era ora di andare ed oltretutto oramai era tardi per tirarmi indietro.
    Mi annunciai con un colpo di tosse, poi feci un mezzo sorriso ad entrambi. «Mi duole interropervi, ma purtroppo è giunta l’ora di andare»Dissi, stringendomi nelle spalle e calando il cappuccio, che mi ero ricordato di avere ancora su solo in quel momento.
    winston,©
     
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4 replies since 25/8/2013, 14:28   218 views
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