Winter Ball - Don't tell lies.

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.      
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Bolla
    Posts
    1,306
    Spolliciometro
    +524

    Status
    Offline
    mangiamorte• 21 • storia della magia
    liam callaway
    t h e e v i l
    tumblr_ms02pgOuDJ1sgw90fo1_500
    «Sono un malvagio che non perde tempo a chiedersi come poteva essere. Io sono quello che poteva essere e quello che non poteva essere. Io vivo qui e dal vicino. La mia erba è sempre verde»
    Le cose non vanno mai nel verso giusto. Pensavo di essermi ormai liberato della pesante presenza di Italie Alexander; pensavo che il tonfo sordo che aveva prodotto il suo corpo sul palchetto improvvisato ad High Street fosse l’ultima cosa che avrei sentito di quell’uomo: mi sbagliavo. Che dire, perfino i migliori a volte cadevano in errore.
    Di certo non avrei mai immaginato, nemmeno nei miei sogni più reconditi, che l’insegnante di Divinazione Karen Davis ci avrebbe allietato con una profezia. I profeti non mi erano mai piaciuti: il futuro non era fatto per essere conosciuto, altrimenti sarebbe stato chiamato passato. Le parole della rossa avevano fatto scattare qualcosa in ognuno di noi, avevo potuto vederlo chiaramente in ogni sguardo presente in piazza: ciascuno di noi si era sentito chiamato in causa.
    La cosa brutta era che il significato recondito delle sue parole implicava la fine del regime.
    L’inizio della guerra.
    Per chi aveva studiato un po’ di storia come il sottoscritto, era palese che una guerra non avrebbe risolto niente: si finiva sempre per pagare un prezzo troppo alto, ma gli uomini non se ne rendevano conto, e cocciutamente prendevano le torce e davano fuoco alla casa di paglia del signore, incuranti dei domestici che vi abitavano. Le rivolte male organizzate, e sicuramente dopo quelle parole sarebbero pullulate come funghi dopo una giornata di pioggia, venivano soffocate nel sangue: l’ardire della profezia aveva infiammato gli animi, ma in troppi rischiavano di bruciarsi. Io sapevo solo una cosa: qualunque cosa fosse successa, il meglio che potevo fare era combattere o morire. Il riassunto di una vita.
    Una cosa positiva però in tutto quello sfacelo c’era. Avevo sempre apprezzato il fatto che fosse qualcun altro a prendersi tutte le responsabilità, il fatto che tutto l’odio fosse riversato sulla Howe, in modo da finire in secondo piano. Eppure quella donna, chiaramente mentalmente instabile, aveva messo in una brutta situazione tutti i Mangiamorte, esponendoli ad una folla mai sazia che si stava pericolosamente avvicinando al punto di rottura. Era anche colpa sua, se al momento tutti noi camminavano sul filo del rasoio, senza sapere nemmeno da quale lato sperare di cadere.
    Ma da quando c’era stata l’esecuzione, Eris Howe era sparita. Avrei potuto pensare, o sapere, un sacco di cose riguardo la sua sparizione: ma non ero un buon occlumante, e quei fottuti legilimens si nascondevano in ogni angolo. Quando era nella mie possibilità, preferivo tenere i miei segreti ad uso esclusivo della mia poco modesta persona.
    Comunque. Essendo sparita la preside, era stato necessario trovare un sostituto adatto all’incarico: e chi, meglio di Liam Callaway, avrebbe potuto essere idoneo? Così, senza quasi aver avuto il tempo di rendermene conto, mi ritrovavo a fare da preside in una scuola dove gli studenti più grandi avevano solamente tre anni in meno di me. Imbarazzante, per loro si intende.
    Le vacanze di Natale erano ormai iniziate, e gli studenti che avevano posti migliori in cui passare quelle settimane avevano già lasciato il castello. In realtà, anche gli insegnanti. Era molto meglio non porsi domande sul perché invece io fossi ancora a scuola: adducevo la scusa del nuovo incarico, ma non ci credevo nemmeno con la più piccola ciglia delle mie palpebre. Per quella sera avevano organizzato un adorabile banchetto ad Hogwarts, cui erano invitati perfino gli esterni. Solite cose: cibo, danze, veritaserum nelle bevande. La pozione era stata un’idea mia, io ed Aaron Sales eravamo gli unici a conoscenza di quel tranello; essendo insapore, ben si confondeva con l’asprezza degli alcolici –perché c’erano anche quelli, potevate scommetterci- e con la velata dolcezza della burrobirra e del succo di zucca. Sarebbe stato un espediente perfetto per scoprire le carte nascoste dei ribelli.
    INDIZIO 3:La Regina vien di notte
    Senza stemma nè bacchetta
    Con l'ardore che tutto inghiotte
    Il più forte, la vendetta

    La mia parte stratega ne era a conoscenza, così come quella logica. Ma per una sera volevo far godere a tutti, me stesso in prima posizione, una serata tranquilla e priva di risvolti politici. Era anche previsto una specie di gioco a metà serata, ma di quello poco mi importava.
    La Sala Grande era meravigliosa, ed io non mi lasciavo sfuggire simili aggettivi per delle boiate. Anzi, solitamente lo riferivo solo a me stesso. Dodici immensi alberi erano decorati con palline che cambiavano colore ogni minuto, mentre statuine d’oro si inerpicavano sui rami animate da un incantesimo che le faceva sembrare creature viventi. Le candele brillavano nell’aria ed illuminavano la stanza in modo brillante ed allo stesso tempo soffuso, le ghirlande erano appese in ogni dove (ma senza mai sembrare troppo soffocanti) ed il vischio appariva sopra giovani coppie quando meno se lo aspettavano. Riuscivo quasi anche io ad avvertire l’atmosfera natalizia, completa di regali e di biscotti fatti in casa.
    Quasi.
    Indossavo un semplice smoking nero rinvenuto ben riposto in fondo all’armadio, con il farfallino leggermente allentato sul collo. Avrei potuto sembrare fin troppo elegante, ma molti presenti quella sera erano abbigliati come me, se non in modo ancora più sontuoso: certi abiti erano addirittura pacchiani. Un solo tavolo era sistemato a lato della stanza, gli altri erano svaniti per magia, ed era pieno di leccornie fino a morirne, partendo dai primi piatti alle squisite torte preparate dagli elfi delle cucine. Il centro della sala era libero, ed era lì che si sarebbero poi aperte le danze –o dove chiunque avrebbe potuto chiacchierare in piena libertà sorseggiando un boccale di idromele, o un bicchiere di whisky. Davamo gli alcolici anche agli studenti: un tempo non era così, ma erano cambiate davvero molte cose. Una pedana di legno, che ai più avrebbe ricordato il palchetto allestito ad High Street, troneggiava dall’altro lato della stanza: quello sarebbe servito per i giochi della seconda parte della serata. Aspettai che la maggior parte dei partecipanti fosse entrata, gli altri si sarebbero arrangiati.
    “Buona sera a tutti, e sono lieto di dare un benvenuto speciale ad i nostri ospiti. So che la maggior parte di voi ha frequentato qui gli anni della sua giovinezza: spero che questo evento possa rappresentare una piacevole passeggiata nel viale dei ricordi” Sorridevo ingenuamente, ma il tono di voce basso ed allusivo lasciava pensare che stessi parlando di tutt’altra cosa. “Come tutti avrete notato, la Preside ha dovuto lasciare momentaneamente il suo incarico al sottoscritto, ma spera di tornare a breve” Forse. “Detto questo, non so cos’altro aggiungere: mangiate, bevete, fumate. Vi chiedo solamente di non drogarvi, almeno non in Sala Grande. Per il resto, che la festa abbia inizio!” Il sorriso da malizioso divenne quasi feroce, mentre con un gesto secco portavo alle labbra il primo –ma di certo non ultimo- bicchiere di whisky incendiario, e ne bevevo il contenuto avidamente.
    La mia scorta era l’unica ad essere priva della pozione: quella serata si sarebbe rivelata davvero interessante.
    winston,©


    Giovani donne e giovani uomini, vi spiego brevemente le regole così come sono state descritte al sottoscritto.
    1. Potete ruolare in altri luoghi del castello, purchè inseriate come sotto titolo la sigla WB;
    2. Possono partecipare tutti, anche gli adulti che al castello non hanno un lavoro;
    3. Non c'è un ordine di risposta, potrete intervenire quanto più vi aggrada -e non c'è ancora una data di scadenza;
    4. Purtroppo per voi, il veritaserum è stato inserito in ogni bevanda ad Hogwarts, quindi per una sera dovrete fare i tontoloni e dire sempre la verità;
    5. Ah, ovviamente ON-GDR si svolgerà in un solo giorno, in particolare il 24 Dicembre.

    E dimenticavo: potete vestirvi come volete, eleganti, divisa, o anche nudi per quel che mi riguarda. Buon divertimento!


    Edited by [re-a]ddicted - 7/11/2015, 18:31
     
    .
  2.      
     
    .
    Avatar

    darling, didn’t you know?
    souls like yours were meant to fall

    Group
    Professor
    Posts
    15,098
    Spolliciometro
    +6,692
    Location
    Tralee

    Status
    Offline
    Resistenza • 17 • Ravenclawesome
    Maeve Winston
    tumblr_lzwsz7ll3W1r4kfic
    «Quelli che non sanno ricordare il passato sono condannati a ripeterlo.»
    Una ragazza ricambiava la mia occhiata malinconica. I suoi occhi azzurri sembravano dirmi che qualcosa non andava, anche se non sapeva nemmeno lei cosa. Aveva folte ciglia che le davano un’aria ancor più melodrammatica, mentre le labbra dischiuse lasciavano uscire un sospiro troppo a lungo soffocato. I capelli biondi erano legati in uno chignon alto, mentre qualche ciuffo le ricadeva ai lati del viso, facendola sembrare un immagine appena uscita da un vecchio quadro. Il vestito rosso le lasciava scoperte le spalle chiare, mettendo in evidenza il pallore naturale della sua carnagione. La scollatura a cuore fasciava il seno, mentre sotto di esso l’abito si stringeva grazie ad una cintura dorata; ricadeva poi morbido sulle lunghe gambe affusolate, più lungo dietro e più corto davanti. La ragazza si passò le mani sul vestito, un leggero sorriso ad incurvarle le labbra. Sapevo a cos’era dovuta quell’espressione, perché lo specchio rifletteva fedelmente ogni mio movimento.
    Sognavo quel vestito da quando avevo partecipato al primo ballo di Hogwarts. Avevo sempre sognato di indossarlo in quell’ultimo evento, l’ultima festa di Natale al castello: avevo diciassette anni, e non avrei più partecipato a tali eventi come una studentessa. Fino all’anno scorso avevo sognato di spalancare con fare sicuro le porte della Sala Grande, e tutti gli occhi si sarebbero posati su di me, la ragazza con il vestito rosso ed i capelli biondi: Maeve Winston. Essendo arrivato il gran giorno, carezzando quel tessuto così fine e liscio, non potevo che provare tristezza per quella ragazza, ed una nota di malinconia. Avrei voluto averla vicino ancora un po’, con quella sua esuberanza presuntuosa che le aveva fatto guadagnare la pessima reputazione di stronza egocentrica e narcisista; quella gioia che metteva nelle piccole cose, affrontando un problema alla volta senza mai pensare al futuro, incurante di quanto gli altri pensassero di lei: come diceva un vecchio detto, non importava cosa dicessero, bastava che ne parlassero.
    Ma quella ragazza non c’era più, ed al suo posto c’ero io: una giovane confusa e priva di indicazioni su quale strada seguire, priva di certezze, e con qualcosa di sbagliato ma indefinito.
    Inoltre, avrei preferito di gran lunga tornare a casa nelle vacanze, ma i miei genitori mi avevano fatto arrivare una lettera in cui dicevano che erano in missione. Per andare in Irlanda e festeggiare da sola il Natale, avevo preferito di gran lunga rimanere ad Hogwarts: almeno c’era Lil.
    Lilian Whole l’avevo conosciuta il primo anno al castello; non fu il fatto che eravamo compagne di stanza a legarci in quell’amicizia: fu un segreto condiviso. Eravamo entrambe studentesse modello sin dal primo giorno, due brave corvonero che ancora non avevano avuto motivo di finire nella Sala delle Torture. Un giorno eravamo rimaste a sistemare l’aula di Pozioni, io, lei, Adam il Grifondoro e una Serpeverde di nome Johnson o simili. In quella stanza tolleravo solo la Whole, e per il semplice fatto che era una corvonero come la sottoscritta. Accidentalmente diedi una piccola spinta alla serpeverde, la quale, essendo molto fragile, cadde dentro la vetrinetta dov’erano contenute alcune pozioni: molte si frantumarono a terra. Sia il Grifondoro che Lilian avevano visto della mia spinta: il primo, fiero ed orgoglioso, corse a chiamare l’insegnante per informarla su quanto era accaduto. Avrei dovuto maledirmi per essermi cacciata in un tale guaio per una simile sciocchezzuola, ma in realtà non potevo impedirmi di pensare che ne era valsa la pena. Sarei finita nella Sala delle torture, a meno che.. “colpiscimi” avevo detto alla corvonero, che stava cercando inutilmente di farsi gli affari suoi, riponendo i calderoni nel giusto ordine di grandezza. La serpe era ancora a terra che si scrollava di dosso i vetri, mentre una punta di pozione le consumava lentamente ma inesorabilmente la divisa. “Come scusa?” “Fallo e basta
    Già allora, solo undicenne, Lilian Whole aveva un buon gancio destro. Quando l’insegnante aveva varcato la soglia dell’aula, aveva visto Lilian che metteva a posto gli strumenti, la Serpe in piedi furibonda ed io con una mano sul labbro che iniziava a gonfiarsi. “E’ lei che l’ha spinta” Il Grifondoro indicò me. “Non è assolutamente vero. E poi è come impazzita, e mi ha colpita. Probabilmente ha fatto cadere le pozioni apposta” dissi, quasi con le lacrime agli occhi. Quando il docente chiese spiegazioni a Lil, lei affermò che avevo ragione. Risultato? La Serpeverde e il Grifondoro in Sala delle Torture, io e Lilian Whole in camera a riposare.
    Quel segreto divennero altri dieci, e cento, e forse di più. Ed eravamo diventate amiche, ed ormai io non riuscivo immaginarmi di essere a scuola senza di lei. Era uno dei motivi che, inizialmente, mi aveva spinto a non cedere alla causa della Resistenza: come avrei fatto senza di lei? Poi avevo capito che le persone crescevano, e che c’erano cose che ci avrebbero separate. Scelte che avrebbero cambiato la nostra vita. E avevo deciso che, da Ribelle, l’avrei salvata.
    “Maeve, siamo già in ritardo”
    Mi morsi il labbro e mi voltai, dando le spalle al mio riflesso. Lilian Whole era bellissima, con un abito rosso che le scendeva morbido e dava quasi l’idea che fluttuasse dietro di lei ad ogni passo; ma lei era bella sempre. Accennai un sorriso, anche se nasconderle qualcosa mi pesava più di quanto mi piacesse ammettere. “Scusami. Pronta per il nostro ultimo Natale ad Hogwarts?” Le domandai maliziosa in tono divertito, mentre girando su me stessa ammiravo come l’abito si allargasse attorno a me.
    Non volevo scendere in Sala Grande e vedere Liam Callaway, l’insegnante che mi aveva torturata ad High Street. non perché mi avesse fatto del male, ma perché era.. Liam. E io gli volevo bene, tanto che quasi non me ne accorgevo. E Aaron Sales, che non aveva mosso un dito quando Liam, fra tutti, aveva chiamato proprio lei. E Ethienne Leroy, ancora si imbarazzava al solo pensarci: l’aveva risparmiata, trovandola sbronza ad Hyde Park. Lei ci aveva provato spudoratamente, e lui l’aveva rifiutata; sentì le guance infiammarsi, ed abbassò lo sguardo con non curanza sperando che l’amica non ci avesse fatto caso.
    La Sala Grande era bellissima, come sempre. Adoravo l’atmosfera data dalle migliaia di candele, adoravo le decorazioni natalizie, ed adoravo il tavolo pieno di cibo ed alcolici che aspettava solo me a lato di quella che, a metà serata, sarebbe diventata una pista da ballo. Inarcai un sopracciglio quando vidi il palchetto si legno allestito dall’altra parte della stanza, ma non ci soffermai particolarmente. Presi un bicchiere contenente un liquido azzurro, non so cosa fosse. “Come tutti avrete notato, la Preside ha dovuto lasciare momentaneamente il suo incarico al sottoscritto, ma spera di tornare a breve. Detto questo, non so cos’altro aggiungere: mangiate, bevete, fumate. Vi chiedo solamente di non drogarvi, almeno non in Sala Grande. Per il resto, che la festa abbia inizio!”
    Liam Callaway preside di Hogwarts poteva significare solo una cosa: problemi. Alzai gli occhi al cielo e mi portai il bicchiere alle labbra quasi in simultanea al neo promosso insegnante di Storia: non sapevo che bevanda fosse, ma era zuccherata e bruciava la gola.
    La festa era iniziata: burn baby, burn.
    winston,©
     
    .
  3.      
     
    .
    Avatar

    all that remains

    Group
    Rebel
    Posts
    1,586
    Spolliciometro
    +1,058

    Status
    Offline
    Rebel's Boss• 20 • Ex-Ravenclaw
    William Barrow
    tumblr_mwdrflQwwp1sq3qm8o1_500
    «Non si può scegliere il modo di morire. E nemmeno il giorno. Si può soltanto decidere come vivere. Ora.»
    La luce che filtrava dalle tapparelle abbassate, era troppa perché Will potesse fingere che fosse ancora presto e continuare a dormire. C’erano mattine, o prime pomeriggi come in quel caso, dove l’unica cosa che aveva voglia di fare era stare nel letto e dormire, o semplicemente vegetare come un ameba. E invece aveva sempre, sempre, qualcosa da fare: poteva anche scriversi liste infinite delle cose che avrebbe dovuto fare, e spuntarle ogni giorno, ma questa anziché accorciarsi aumentava a dismisura. Era strano: non doveva andare a scuola, non aveva un lavoro retribuito, eppure era sempre impegnato. Dio maledica il giorno in cui aveva scoperto i documenti nella scrivania di Barrow Senior, ed aveva scoperto dell’oblivion. Il giorno in cui la sua vita era cambiata, e lui aveva deciso di non voler più essere una semplice pedina di quella scacchiera: voleva essere il giocatore.
    La lingua umida di Ef gli sfiorò lo zigomo, spingendolo a ritrarsi per schiacciare ancor di più la testa contro il cuscino. Borbottò al cane di andarsene, ma questi , incuriosito dalla voce soffocata, salì sul letto e si posiziono comodamente sopra Will. Non era esattamente un dolce peso. “Mischief, scendi. Ora.” Scandì le parole sollevando il viso, lanciando un’occhiataccia al muso dell’Husky che lo guardava con la lingua a penzoloni. Era così difficile essere severi con lui, maledizione!
    Lanciò un’occhiata all’ora: le due del pomeriggio. Alle tre aveva un appuntamento con una ragazza che era appena tornata dalla sua missione in Irlanda, e doveva fargli il resoconto della situazione. Dopo l’esperienza in Scozia, William era molto tentato di mandare a quel paese tutti gli altri presunti ribelli, ma sapeva che senza di loro avrebbero fallito una qualsiasi forma di rivolta. Il fatto che il suo gruppo fosse il più numeroso ed organizzato, non significava che era l’unico: erano solamente quelli che si facevano il mazzo più di tutti gli altri, i quali adducevano la scusa del fatto che loro erano più vicini ad Hogwarts, e dunque all’apice del potere.
    Meschini, sapevano sempre qual era il modo migliore per scaricare la botte su qualcun altro.

    Hayley non aveva trovato niente. Will aveva perfino dovuto offrirle un caffè, per poi sentirsi dire che non aveva trovato altri nuclei di ribelli: aveva sprecato un sacco di tempo, che poteva impiegare dormendo, per sentirsi dire che la spedizione era fallita. La perdonava giusto perché era una ragazza adorabile, e davvero molto carina. Un volantino lasciato distrattamente sul tavolo da colui che vi era stato seduto prima di loro, aveva attirato l’attenzione di Barrow: l’ultima volta che aveva visto un avviso simile in un pub magico, era stato per l’esecuzione di un suo compagno. Si irrigidì leggermente, domandandosi a chi sarebbe toccato quella volta: Ethienne Leroy? Ma l’immagine di alcune coppie danzanti che si muovevano leggiadre, gli aveva tolto un peso dal cuore: era il ballo invernale di Hogwarts. Dopo un’attenta analisi della situazione, si rese conto che l’invito era esteso anche a coloro che non frequentavano più Hogwarts, ma che avevano piacere di passare con loro quella festività. Gli stavano offrendo su un piatto d’argento la possibilità di entrare nelle mura del castello indisturbato: amava le feste. Congedò Hayley, la quale giustamente stava per partire e raggiungere i suoi genitori per festeggiare il Natale. Era la Vigilia, dopotutto.
    L’avrebbe fatto anche Will, ma passare il Natale in un cimitero di certo non era una delle cose più sane di mente che avrebbe potuto fare in quel momento, come se le persone già non vedessero la sua sanità come una realtà da tempo smarrita o dimenticata.
    Si smaterializzò in casa, ma né Ef né Jack davano segno della loro presenza. Era da solo, stranamente. Non l’avrebbe mai ammesso con nessuno, e quella lista non finiva mai di allungarsi, ma spesso temeva di essere diventato lui la minaccia da cui bisognava nascondersi. Temeva che gli altri vedessero in lui una condanna, non una salvezza; doveva però convincersi del contrario, altrimenti sarebbe crollato, e difficilmente le cose che crollano, quando vengono aggiustate, tornano identiche all’originale. Se mai vengono aggiustate.
    Aveva bisogno della doccia più lunga della sua vita, quelle dove l’acqua trascina via lo sporco dentro.
    Quando uscì, il bagno era una nube di vapore, e gli specchi erano così appannati che non riusciva nemmeno a scorgerci la sua magra figura, uniche macchie di colore quelle dei tatuaggi. Pensò che fosse proprio quel riflesso, a dire chi era William Barrow: distorto e sfocato.
    Indossò uno smoking rosso che non aveva mai indossato in vita sua: cravatta rossa, risvolti e pantaloni neri, camicia bianca. Quell’accostamento di colori lo faceva sembrare mortalmente pallido, quasi fosse neve macchiata di sangue. Una bella immagine per descrivere la maggior parte delle persone che si sarebbero trovate a quella festa: una volta tutti erano stati innocenti, bianchi come la neve. Prima di macchiarsi del sangue di qualcun altro.
    Si smaterializzò alle porte di Hogwarts, ogni respiro una nuvola di vapore. Entrare nel castello era come sempre entrare in un altro mondo: si ricordò di quando aveva varcato quelle porte nove anni prima, l’eccitazione a stento repressa, ed il terrore di deludere nuovamente suo padre. Era più piccolo degli altri bambini, così esile da essere invisibile. Era cresciuto, ma perdurava nell’essere invisibile; non solo triste, ma anche leggermente patetico.
    La Sala grande era addobbata a festa, e gli ricordava tutte le feste che aveva trascorso lì, ed erano ben tante –aveva sempre preferito rimanere a scuola, piuttosto che tornare a casa.
    Non era cambiato di una virgola.
    Il discorso di inizio quella sera fu tenuto da Liam Callaway: un grande oratore, non c’è che dire. Parole capaci di cambiare la storia. Trattenne uno sbadiglio e si avviò a passo strascicato verso il buffet, saltando subito al dolce. Adorava la crostata di melassa, specialmente se (prese un bicchiere di quello che sperava fosse whisky) imbevuta di qualcosa contenente almeno una percentuale d’alcool.
    winston,©
     
    .
  4. ~e.d.
        +2    
     
    .

    User deleted



    NEUTRALE • 17 • SLYTHERIN
    EVAN DEVEREUX


    Da un grammofono dall’aria antica, accantonato in un angolo della sua camera, presso i dormitori Slytherin, proveniva la voce di una donna d’età avanzata, armonizzata da un tono swing e dal brusio graffiato dello strumento che stava riproducendo il disco in vinile. Si susseguivano le più classiche canzoni di Natale, creando, grazie ad alcune candele accese disseminate nella stanza, un’atmosfera calorosa. Da una scatola di biscotti abbandonata sulla scrivania proveniva un aroma di zenzero e cannella: un omino gingerbread, decapitato, attendeva inutilmente che qualcuno ponesse fine alla sua triste agonia. Alle maniglie dell’armadio qualcuno aveva persino appeso qualche decorazione a tema. Un pupazzo di neve con un grosso cilindro laccato di nero, un babbo natale gioioso ma sofferente per il peso del grosso sacco caricato in spalla, un albero addobbato di cherubini e putti.
    In quel periodo, il già desolato, ma riccamente adornato, dormitorio degli Slytherin era pressoché vuoto. Comprendeva, intimamente, per quale motivo le nobili famiglie Purosangue preferissero educare a casa i propri figli: un erede ricoperto di cicatrici non sarebbe mai stato in grado di comandare con fierezza la propria famiglia, quando si sarebbe ritrovato ad esserne il patriarca, o la matriarca. Quei pochi folli che avevano insistito per mandare ad Hogwarts il proprio patrimonio genetico, poi, non avevano atteso lo scoccare della mezzanotte del primo giorno di vacanze natalizie, per riportare nel caldo delle proprie magioni gli adorati pargoli indifesi. Per il giovane Devereux non era stato così: sua madre si malediva ogni giorno per quella sveltina, per altro con orgasmo mancato, che aveva portato alla sua generazione. Così, alla luce del fatto che neppure la Preside apprezzava quel posto, vista la sua improvvisa sparizione, gli elfi domestici si erano dati da fare per diffondere una certa atmosfera, su ordine del Rettore ad interim Liam Callaway. Un vero colpo al cuore, quello di vedersi privato dell’unica persona che, saltuariamente, visitava quella Sala Comune. Il più delle volte, Evan aveva fatto in modo di non trovarsi lì quando questo era accaduto: quello che si diceva dell’uomo era che non fosse esattamente una persona amabile e lo spettacolo messo in scena ad High Street non aveva certamente fatto sì che questa ignominia venisse debellata. Tra l’altro, il ragazzo non era esattamente dell’umore adatto per soddisfare l’ego di quello che sarebbe divenuto, con buona probabilità, il nuovo Preside, considerando la voce che girava tra i fantasmi della scuola di un pittorico suicidio della Howe. Qualcosa inerente ad un auto impalamento, nel tentativo di soddisfare un prurito che nessun maschio dotato di pene e minimo senso del buon gusto avrebbe mai saziato. Esclusione fatta, forse, per il tristemente deceduto Alexander Italie, ma principalmente per i dubbi legati al fatto della sua reale dotatozione di un apparato genitale non femminile.
    Non provava affatto quello slancio verso lo spirito natalizio che era stato imposto all’arredamento della sua stanza. Come ogni anno, aveva ricevuto pochi regali: Giselle e Barth, dal Testa di Porco, gli avevano fatto arrivare la solita scorta d’Essenza di Dittamo, oltre ad una confezione di biscotti. Ne aveva assaggiato solamente uno, rimettendolo poi al giudizio degli antichi scarichi della scuola, motivando questa sua repulsione con la nota sgradevole che dava il chiodo di garofano al dolcetto.
    Oltre a questo, non aveva ricevuto nulla, se non una lettere di sua cugina Essence.
    Un gufo a tarda notte, pressoché all’approssimarsi dello schiarirsi del cielo, preannunciato da un Patronus vocale che lo aveva subito messo in allarme. Attendere alla guferia, vestito solo d’una felpa pesante, lo aveva spinto ad un passo dal vomitare la parca cena che si era costretto ad ingurgitare la sera prima. Sapeva che tutta quella fretta poteva presagire solo una cosa: cattive notizie.
    Stretta tra le zampe artigliate della civetta vi era una lettera macchiata di sangue recante il suo nome. Riconobbe la calligrafia caotica della ragazza ed una strana sensazione gli presagì la provenienza di quel sangue. Tremante e stordito, era sceso fino alla sua stanza, camminando piano, rigido, come se ogni passo gli costasse una fatica immensa. Quando era rimasto solo, aveva aperto la missiva. Sulla mano gli era scivolato un monile, lurido di un vischioso liquido cremisi. Sangue. Sangue sulla collana che sua nonna aveva regalato a suo fratello Aaron. Aveva capito.
    Volle negarlo con tutto se stesso. Volle negarlo persino con qualcosa che non gli apparteneva. Spiegato il foglio, lesse le prime righe. Un riassunto di quello che, sinteticamente, il ragazzo aveva raccontato a sua cugina quando, ferito mortalmente, l’aveva trovata al san Mungo. La riproduzione imprecisa di una verità stentata, questo stringeva tra le mani.
    Dopo la prima riga, qualcosa gli rubò il respiro. Gli cedettero le gambe e le sue ginocchia sbatterono al suolo: avvertì un dolore pulsante risalire fino al suo cervello, paralizzandolo lì.
    Aveva continuato a scorrere: la fuga, la furia, la ferita. Una corsa disperatissima, mani che cercavano di fermare lo scorrere del sangue. Il pavimento che si sporcava di suo fratello.
    Quello gelido di Hogwarts gli parve quasi una spalla su cui piangere.
    Sectumsempra. Poche parole, una colpa, la pena del boia, i capelli scarlatti di sua madre e le stille sanguigne sul suo volto. Le tante cose da dire. Le persone da rivedere. La verità, oltre le bugie.
    Il suo sguardo rilesse rapidamente molte volte quel testo troppo breve. Solo dopo molto, finalmente cominciò a capire il senso delle frasi che stava leggendo.
    Si ritrovò disteso nei pressi del proprio letto, infreddolito. Lo sguardo fisso al soffitto. Aveva cercato di piangere, ma si era ritrovato solo vittima di un attacco di panico. Iniziò con un improvviso dolore al petto, che lo aveva spinto a rannicchiarsi in posizione fetale. Non appena si era rinchiuso in sé, però, erano arrivati altri sintomi: nella gola riarsa un dio maligno gettò il medesimo sapore del sangue di cui le sue mani erano sporche, cominciò a tremare, annaspando per trarre un boccone d’aria. Un terrore improvviso lo colse, martellante sulle tempie, mentre, nel petto, il cuore pareva essere sul punto di scoppiargli. Quasi inconsapevole, si era trascinato fino al bagno e, qui, aveva vomitato i propri succhi gastrici. Cercò di pulirsi il viso con dell’acqua fredda, ma le mani, intorpidite, non parevano voler collaborare dal togliergli quel velo di sudore dalla fronte. Temeva, fottutamente, che tutto ciò lo schiacciasse, lo uccidesse. Temeva che quell’organo pulsante contro lo sterno stesse contraendosi per le ultime volte della sua esistenza. Temeva di morire senza aver vendicato il fratello.
    Avrebbe voluto chiedere aiuto, ma il suo orgoglio, il suo timore d’essere giudicato, lo aveva spinto a desistere. Era ritornato, mentre ancora faticava a prendere fiato, nel posto in cui tutto era cominciato. Si era stretto quella collana al petto e aveva atteso che tutto ciò si placasse. Aveva atteso per almeno un paio d’ore. Un tempo infinito, durante il quale il suo cervello era passato da visioni catastrofiche ad altre che, in seguito, non avrebbe saputo dire se fossero sogno o realtà.
    Aveva visto l’alba e, poi, verso l’imbrunire, aveva ripreso coscienza di sé. Con la testa tra le ginocchia, il foglio stropicciato steso al suolo, aveva passato ore a scoprire ogni particolare, mentre si stringeva sul cuore quel pendente. Alla fine, il suo sguardo, da vuoto che era, aveva assunto una certezza strana. Fiera, crudele, decisa, ombrosa, violenta. Non c’era più stasi, non c’era più attesa. C’era solo il cadavere caldo di suo fratello da sotterrare e, poi, un corpo di donna da privare del soffio vitale.
    Era giunta l’ora di quella stupida festa che Callaway aveva organizzato.
    Si addossò alle piastrelle sotto la doccia, cercando di togliersi il sangue di suo fratello di dosso e di scrostarlo dal prezioso gioiello. L’acqua era gelida, forse più di quella del Lago Nero, sulla cui superficie, nel corso della notte, si era formato un velo di ghiaccio. Eppure, ne aveva bisogno. Aveva bisogno di ricordare, di congelare i pensieri che aveva modellato nel corso della notte. Aveva bisogno d’agire, d’avere vendetta, di prendere quella stronza e ripagarla con la medesima moneta con cui lei aveva allevato i suoi figli. Aveva bisogno di soffrire ora, per gli ultimi cinque minuti, e poi smettere, dopo tanto tempo. Nudo, con le labbra bluastre e i denti che cozzavano tra loro, si era diretto verso la sua riserva di Dittamo. Osservò l’ultima ferita che si era auto inflitto, riapertasi durante la notte. Pronunciò un complesso incantesimo di guarigione che aveva appreso già molti anni prima, finalizzato a far cicatrizzare la recisione. Spalmò, poi, una dose abbondante d’essenza per sveltire il processo. Continuò la litania a lungo, fino a che non rimase altro che un pallido segno bianco sulla pelle altrettanto chiara. Si guardò allo specchio: non più vergogna, ma orgoglio. Orgoglio per ogni segno che si era inferto pur di non ferire chi lo aveva circondato in tutti quegli anni. Orgoglio per essere sopravvissuto al suo più grande nemico: se stesso. Aveva vissuto di bramosia di vendetta, ora la voleva ottenere, ma solo per poter chiudere un capitolo infelice della sua vita. Doveva solo pagare il soldo al proprio passato, per un’ultima volta.
    Un gorgoglio nel suo stomaco lo avvisò che il suo corpo reclamava qualcosa di consistente. Fu un riflesso incontrollato: prese il biscotto già cominciato e se lo mise in bocca, masticandolo rapidamente e deglutendolo, mentre si sfregava addosso un asciugamano pulito, per asciugarsi e scaldarsi. Con un altro biscotto in bocca, s’infilò un paio di boxer neri e una canottiera. Si passò rapido una mano sul viso, trovandovi la barba sfatta da un paio di giorni e decidendo di lasciarla. Deglutì un altro boccone e, ne fu certo, dal suo ventre si levò un suono quasi soddisfatto. Tanto valeva accontentarlo ancora, si disse, mentre le sue dita raggiunsero un tipo di frollini ricolmi di gocce di cioccolato.
    Scelse dal suo armadio un abito elegante, adatto all’occasione. Su una camicia bianca, un paio di pantaloni dal taglio diritto e una giacca corta, fasciata ai fianchi e con spalle sagomate. D’un colore grigio, con una fantasia a quadretti, l’abito appariva d’una certa finezza, smorzata dal fatto che aveva arrotolato le maniche fino ai gomiti, scoprendo gli avambracci segnati dalle molte cicatrice. A completare il tutto, una cintura di cuoio nero, un orologio da polso, cravatta e fazzoletto d’una tinta beige molto vicina all’oro, visto il tema della festa.
    Si pettinò con cura, intascò la bacchetta e le sigarette e si preparò ad uscire. Nel farlo, si mise in bocca un altro dolcetto.
    La fortuna d’essere nei sotterranei faceva sì che la Sala Grande fosse piuttosto vicina e che non fosse necessario, per lui, scendere tutti gli scalini i quali, invece, Ravenclaw e Gryffindor erano costretti a fare. Uno specchio, durante il tragitto, gli ridiede un immagine di sé che non si attendeva: era obbiettivamente bello, nonostante tutto, e con una strana espressione. Un sorriso. Ambiguo.
    Si accese una sigaretta e, stringendola tra le labbra, aprì le porte della sala ed entrò, giusto in tempo per sentire una porzione del discorso di benvenuto di Callaway. Si guardò in giro, vide volti già noti, molti spiacevolmente conosciuti, e un arredamento tutt’altro che minimal. Poi, inquadrò il tavolo dei superalcolici e, dopo aver ringraziato chi aveva riformato il regolamento scolastico, in quanto maggiorenne, andò a farsi servire un rum di ribes rosso. Se qualcuno lo avesse visto in quel momento, superato lo scoglio delle cicatrici, avrebbe visto solamente un ragazzo che fumava tranquillo. Poi, che nella sua testa stesse meditando contro la sua nemesi, quella era un’altra vicenda.

    -jaime©





    Edited by ~e.d. - 14/12/2013, 15:51
     
    .
  5.      
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Member
    Posts
    656
    Spolliciometro
    +485

    Status
    Anonymous
    Resistenza• 16• Gryffindor
    Arthea Williams
    jlgif21
    « La memoria sarà l'arma, il tempo il giudice.»
    Mancavano pochi minuti allo scoccare della mezzanotte, quando finalmente la partita a monopoly più lunga della storia si concluse. Giusto in tempo! Avrebbe atteso il suono dei dodici rintocchi, fatto gli auguri ai suoi genitori e poi sarebbe uscita. Sua madre, radiosa in viso, non attese nemmeno l’arrivo del Natale per darle il pacchetto che da giorni teneva nell’armadio.
    “Vieni!” Disse, tenendola per mano e portandola in camera. “So che stasera hai qualcuno di speciale da vedere...ti ho preso qualcosa per l’occasione!”
    Aspetta! Come diavolo sapeva la mamma a sapere che doveva vedersi con Jayden? Non le aveva mai parlato di lui!...Aaaah, le mamme! Ne sanno una più del diavolo!
    Aprì in fretta il pacchetto, trovandovi un vestito bellissimo. Era di pizzo nero, finemente lavorato e monospalla. La giovane Grifondoro, quasi quindicenne lo guardò perplessa.
    “Su avanti! Provalo!.”
    Se lo infilò in fretta, guardando il suo riflesso allo specchio. Sua madre alle sue spalle sorrideva felice.
    “Ti sta d’incanto!”
    Esclamò eccitatissima. In realtà, ciò che lo specchio rifletteva era una ragazzina magrissima, con un vestito troppo grande. Non c’erano forme da fasciare. Piatta come una tavola da surf, con la pelle pallida che contrastava col nero del vestito. Le spalle ossute la facevano sembrare malaticcia. La sua faccia era perplessa.
    “Sono orribile…”
    “Non dire così… forse ti sta un po’ grande. Ma per me saresti bellissima anche con un lenzuolo addosso.”
    Sua madre teneva le mani poggiate sulle sue spalle. La guardava fiera e felice. E nonostante il vestito, o il fisico poco prestante, era felice anche lei. Sarebbe uscita con Jayden, ed avrebbe trascorso il giorno di Natale con la sua famiglia e il suo gatto, probabilmente ascoltando le noiose storie della zia Susan.

    E come quella sera, di nuovo Arthea si trovava a guardare il suo riflesso nello specchio. Molte cose però erano cambiate. Il corpo piatto si era formato, assumendo curve sinuose e morbide. Ora quel vestito nero di pizzo le calzava perfettamente. I fiori ricamati creavano disegni sulla sua pelle, che traspariva dalla stoffa più leggera, ed ornavano la fibra nera, che componeva il vestito in sé. Le gambe erano ora molto più lunghe ed affusolate, le spalle erano rimaste ossute, ma nel complesso sembravano più aggraziate. Ma l’espressione del suo viso era diversa. Lacrime lucenti solcavano le sue guance, scendendo fino al collo. I grandi occhi verdi non irradiavano più gioia, ma un’infinita tristezza. Non c’era Jayden ad aspettarla quella sera. Non c’era sua madre a guardarla mentre si preparava. Non c’era suo padre che ancora esultava per la vittoria ad uno sciocco gioco da tavola. Non ci sarebbero mai più state quelle cose.
    Oblivion.
    Le persone che amava ora erano felici, ad attendere l’arrivo del Natale, ignare della sua esistenza. Nessuno ricordava l’esistenza di Arthea Williams. Non era che un corpo vuoto, superstite, fisso avanti ad uno specchio. Si sentiva invisibile.
    Si sedette un attimo avanti al focolare della Sala Comune, prima di continuare a prepararsi per la festa. Si accese una sigaretta, tanto tutto sembrava deserto. Probabilmente tutti erano tornati a casa. Tutti avevano una casa in cui tornare. E poi, lei era un prefetto ormai, non poteva togliersi punti da sola!
    Restò lì per un po’, aspirando boccate di fumo e perdendosi a fissare il movimento incessante delle fiamme.
    Tornata nella sua stanza, si lavò per l’ennesima volta il viso. Lavava via le lacrime, come se quel gesto potesse lavar via anche il dolore. Mise un goccio di collirio, cercando di far svanire il rossore dai suoi occhi.
    Indossò dei tronchetti neri, col tacco a spillo. Il trucco scuro, che metteva in risalto le iridi verdi. Ormai era cosa risaputa che Arthea Williams si truccava in base all’umore. Ed un trucco del genere significava una sola cosa.
    Tutto sommato il risultato non era poi così male… Forse sarebbe risultata un po’ aggressiva agli occhi di qualcuno, ma la gonna a metà coscia le permetteva di non cadere nella volgarità. Rossetto chiaro, tanto per bilanciare.
    Lasciò i capelli sciolti, appuntandoli da un solo lato. Ricadevano in morbide e ampie onde, in un acconciatura anni ’40.
    Due spruzzate di profumo al muschio bianco, poi guardò di nuovo il suo riflesso. Era pronta. Pronta ad indossare di nuovo la maschera che portava ogni giorno. Pronta a mostrare a tutti quella maschera, nascondendo la vera Arthea al mondo.
    La memoria sarà l’arma, il tempo il giudice.
    Le voci si facevano sempre più numerose ed acute, man mano che si avvicinava alla Sala Grande. Il ritmo cadenzato dei suoi tacchi la seguiva costante, e scandiva i suoi passi. Quello, purtroppo, era l’unico posto in cui avrebbe potuto passare il Natale.
    La luce nella sala Grande era quasi abbagliante.
    Callaway era sul palco, e dava inizio alle “danze”. Per quanto ne sapeva, la Howe era latitante, ed ora era lui a tirare le redini del castello. Cosa pericolosa.
    Si guardò intorno, facendo il suo ingresso. La Corvonero dal vestito rosso ovviamente era la prima cosa che si poteva notare. Ed in effetti, faceva la sua figura!
    Si avviò verso il tavolo dei drink, notando lo Slytherin che aveva spesso incontrato a lezione. Era la prima volta che lo vedeva vestito elegante. In effetti, c’era da notare che erano tutti molto più eleganti di lei. Ma la cosa non le importata molto. Le attenzioni non facevano per lei. Lei era invisibile.
    Si versò da bere. Magari la vodka avrebbe allontanato quel senso di tristezza che il Natale continuava a portare con sé!
    E poi un qualcosa di rosso attirò la sua attenzione. William Barrow. William Barrow? (Ebbene si, l’uomo che diede fuoco a una sfinge!!). Che ci faceva lì? Beh, non che fosse una cosa tanto anormale poi, visto che tutti potevano partecipare. Smise di farsi domande, e fece a meno di rivolgergli la parola…A quanto pareva era abbastanza assorto nei propri pensieri.
    Se ne restò in un angolino, a guardare chi arrivava e chi andava, cercando di dimenticare che stava arrivando lo stramaledettissimo giorno di Natale.

    winston,©
     
    .
  6.      
     
    .
    Avatar

    in ciao treno i trust

    Group
    Neutral
    Posts
    1,266
    Spolliciometro
    +1,185

    Status
    Offline

    neutrale • 16 • hufflepuff

    Andrew Stiles Stilinski

    I Accidentally Killed Santa Claus.

    Stiles pregustava quel momento da quando il primo Settembre era tornato ad Hogwarts: il giorno in cui finalmente sarebbe tornato a casa. Teneva in camera un calendario su cui aveva segnato meticolosamente il numero esatto dei giorni in cui doveva sopravvivere, prima di tornare ai maccheroni al formaggio surgelati che suo padre gli propinava ogni natale per festeggiare il grande evento. E ormai il conto alla rovescia era concluso: il giorno dopo sarebbe finalmente tornato a casa. Nel baule aveva già infilato tutto il necessario, e nella foga aveva perfino fatto parte dei compiti loro assegnati da svolgere durante le vacanze. Era così felice, che si sarebbe perfino messo a studiare: nulla avrebbe potuto intaccare quella piccola bolla dorata. Quasi tre settimane senza il continuo rischio di finire nella Sala delle Torture, senza minacce, senza nuovi tagli. Nessuno l’avrebbe malmenato per una parola detta nel modo sbagliato, nessuno l’avrebbe torturato se la sua battuta fosse stata più pungente di quanto era stato concesso. Sorrideva più spesso e più sinceramente, Stiles, mentre si avviava in Sala Grande fischiettando fra sé e sé.
    Quando il barbagianni fece cadere una busta spessa dentro la sua ciotola di cereali, schizzandolo di latte, capì che c’era qualcosa che non andava: Stiles non riceveva lettere. Mai.
    “Stiles, spero di non aver sbagliato, voi maghi avete davvero un modo strano per comunicare” forse era solo una sua impressione, ma gli parve che la parola maghi fosse leggermente più esitante rispetto alle altre. Chiuse gli occhi: suo padre non gli aveva mai mandato una lettera. Chiuse gli occhi nella speranza che le parole cambiassero, mentre le palpebre erano abbassate; chiuse gli occhi per assaporare i maccheroni al formaggio, e il vino scadente con cui mangiavano il pandoro. Chiuse gli occhi per sentire l’odore di casa sua, e per avere la sicurezza che solo il copriletto di superman poteva dargli.
    Volevo dirti che anche questo Natale mi tocca lavorare, e purtroppo devo andare via qualche giorno. Non tornare a casa, non ne varrebbe la pena. Rimani lì con i tuoi amici, ti divertirai di più che passare qualche scarso giorno con il tuo vecchio. Non fate troppo tardi però, e ricordati che anche se sei in vacanza devi studiare! Buone vacanze, campione.”
    Avevano proibito ai ragazzi di parlare ai proprio genitori della reale situazione ad Hogwarts. Prima di mandarli a casa li guarivano da ogni ferita, e facevano sparire le cicatrici. Stiles aveva detto al padre che la scuola era favolosa, che aveva un sacco di amici. A volte si mandava perfino delle lettere da solo, delle cartoline, firmandole con nomi inventati di sana pianta; la sua camera ne era tappezzata, un monito a ricordargli quanto in realtà fosse solo. Suo padre credeva ancora in lui: pensava fosse un ragazzo in gamba, popolare, felice. Pensava che finalmente avesse trovato la pace che a Londra gli mancava, quando Charlie si chiudeva nel suo studio ad ubriacarsi e piangere sulle foto della defunta moglie, quando le zie lo sgridavano anche se non aveva fatto niente perché lo reputavano un tipo strano. Le occhiate dei vicini di casa.
    Campione: solamente suo padre lo reputava tale. Per gli altri era un reietto, uno scarto della società finito per sbaglio nella loro vita; sia ad Hogwarts che nel mondo reale, lui era un escluso. Cercava di non pensarci, ma quella lettera non faceva che ricordargli tutto quello che non era, e che mai avrebbe potuto essere. Ma c’era qualcos'altro nella busta. La rovesciò sul tavolo, e ne cadde un buffo capello di natale rosso, di quelli di Babbo Natale, con delle stelle che teoricamente avrebbero dovuto illuminarsi a decorare il pelo bianco.
    La cosa che faceva più male, era che Stilinski sapeva che suo padre quel giorno non avrebbe lavorato. Con tutta probabilità sarebbe rimasto in casa da solo tutto il giorno, rincuorato dal fatto che almeno il figlio si stava divertendo: se solo avesse saputo. Appallottolò la lettera nel pugno, infilò il dono nella tasca della divisa e continuò a mangiare i cornflakes.
    Ehi, Stilinski, pensavo che a te non mandassero mai delle lettere. Pensavo che nemmeno i tuoi genitori volessero averti fra le palle. Chi ti ha scritto?” Una voce irriverente alle sue spalle lo fece quasi sobbalzare.
    Tua madre” Rispose serissimo, continuando a mangiare i cereali. Il pugno sul fianco lo raggiunse fulmineo, e lo lasciò senza respiro. Si soffocò con la colazione, e dopo qualche sputacchiamento si volse verso il suo aggressore. “Ehi, non è mica colpa mia! Voleva solo sapere se le mutande che ti ha sferruzzato per tutta la settimana vanno bene o ti prudono in zone dove non sarebbe opportuno grattarsi in pubblico”
    Le risatine furono l’ultima cosa che sentì, prima che il tavolo incontrasse ad un elevata velocità la sua testa.

    Quando si svegliò in Infermeria, alla testa un dolore pulsante, fermò con un cenno della mano le raccomandazioni che l’infermiere sapeva gli avrebbe fatto. “Lo so: devo riposare, non devo alzarmi di colpo, devo prendere qualche bevanda che fa schifo, e devo imparare a cucirmi la bocca. Già sentito” disse fra i denti, chiudendo nuovamente gli occhi. Attese che il dolore fosse meno bruciante, e si alzò a sedere. Prese la bevanda che l’infermiere gli porgeva: ovviamente aveva un sapore terribile. “Hai preso una brutta botta. Come hai fatto?” Stiles si passò la lingua sui denti, cercando di togliere il saporaccio. “La piovra mi ha fatto lo sgambetto, e ho preso una testata contro gli scogli”
    Non chiese altre spiegazioni.

    La viglia di Natale si svegliò con ancora un mal di testa lancinante; dopo tutta la giornata passata a fissare il vuoto in camera sua, si ricordò che quella sera si sarebbe tenuto il ballo invernale. Si chiese quanti dei suoi compagni fossero rimasti, o se per caso avrebbero cenato insieme solamente lui e Callaway, il vice preside. Non che la cosa lo seccasse particolarmente, ma quel ragazzo -non poteva definirlo altrimenti- lo metteva in soggezione: era quasi convinto che, se così fosse stato, gli sarebbe andato di traverso l’arrosto, ed avrebbe finito per sputarlo tutto nel piatto dell’insegnante. Non sarebbe finita bene.
    Inizialmente avrebbe voluto vestirsi da Babbo Natale, ma se davvero gli fosse toccato un tete a tete con il copro docenti, l’ultima cosa che voleva era essere un naturale pungiball rosso, completo di barba e baffi bianchi. Optò quindi per una camicia azzurra, su cui mise un panciotto rosso; indossò giacca e pantaloni del medesimo colore: una versione moderna e più giovane del grassone che portava doni ai bimbi buoni. Prese il cappello che gli aveva mandato il padre, cui ovviamente lucine non andavano, e lo calcò bene in testa.
    Era pronto per la serata, zanzan!
    Notò con piacere che la Sala Grande non era vuota come si sarebbe aspettato, anzi: fu davvero un sollievo. Sorrise e si avviò a passo deciso verso il banchetto del cibo e delle bevande: prese quello che aveva tutta l’aria di essere un ottimo stufato, ed un bicchiere di qualcosa, non molto indefinito, di colore viola. Bevve, confidando nel colore, ma aveva sbagliato: sui cento bicchieri riposti ordinatamente sul tavolo, era riuscito a prendere non solo qualcosa di analcolico, ma nello specifico del succo di zucca. Traditori!
    Camminando e blaterando fra sé era finito vicino alla Prefetta dei Grifondoro. “Il Natale è come il succo di zucca. Lo propinano sempre, ma fa schifo
    Aggrottò le sopracciglia. Quando aveva aperto bocca, aveva pensato che avrebbe iniziato la conversazione con un prevedibile “Bella serata, vero?”
    Non poteva nemmeno più fidarsi di sé stesso.

    -jaime©



     
    .
  7. Je$$ie
         
     
    .

    User deleted


    melanie-doutey-004-10
    Jessie Whitefield
    Hufflepuff • 16
    « Perché permettiamo che le nostre vite siano dominate dagli eventi, dalle persone e da qualunque altro fattore tranne che dai noi nostri sogni?»


    Un pacco troppo grande per essere trasportato da un solo gufo con una lettera di accompagnamento...ecco cosa aveva ricevuto giusto il giorno prima di partire per tornare a casa per le vacanze natalie.
    Natale con i tuoi!! con cavolo!! per la prima volta nei suoi 16 anni di vita si era ritrovata a leggere due righe su un foglio di pergamena dove le veniva detto che suo nonno no stava bene, che avrebbero passato i giorni di Natale a casa senza festeggiare e che, quindi, per lei era molto meglio trascorrere le vacanze natalie al castello dove, per lo meno, c'era ragazzi della sua età.
    Al diavolo!! per la prima volta Jessie aveva imprecato contro i suoi genitori mandandoli al diavolo perchè avevano paura!! dopo l'esecuzione dle professore di pozioni ad Hight Street avevano paura che potesse accadere qualcosa a lei ed a suoi fratello che in quel momento si trovava chissà dove, sempre se era ancora vivo.
    "Nel pacchetto c'è il tuo regalo di Natale.
    Tanti auguri,
    con affetto,
    mamma e papà"

    e con quelle semplici parole terminava il biglietto che accopoagnava un pacco. Un pacco che solamente a vederlo faceva capire cosa ci sarebbe stato all'interno: UN VESTITO!! probabilmente da indossare al solito ballo di Natale che veniva organizzato nel castello e che quell'anno era presieduto dal professor Liam che aveva iniziato a sostituire la preside vista la sua assenza.
    Jessie tirò fuori l'abito dalla scatola, era un vestito da sera lungo di colore rosso. Jessie lo provò solo per vedere come le stava. Sua madre, come sempre, non sbagliava mai la taglia di una virgola....doveva averlo provato e visto che di costituzione ed altezza erano molto simili doveva aver deciso che le sarebbe andato bene per forza. Se lo tolse dopo pochi secondi buttandolo poi sul letto e togliendosi le scarpe in coordinato che le aveva mandato esclamando: -non è mica capodanno!!- per trovare una semplice scusa per non indossare un abito rosso e che le calzava a pennello.
    Era nervosa...era un periodo che lo era...
    Aveva faticato a stare al passo con lezioni e compiti (anche se non era una novità), era riuscita a scampare una tortura solamente grazie alla professoressa Italie che era tornata in tempo da quel "viaggetto" alle serre (di cui riportava ancora quelache cicatrice di pus di bubotubero sulle braccia), non aveva capito un accidente della "profezia" enunciata dalla professoressa Karen tranne una cosa: "il mondo come l'avevano visto loro stava andando a scatafascio perchè, in verità, quel mondo era "sbagliato"", non aveva più visto Nick nemmeno per sbaglio e non sapeva se suo fratello fosse stato ammazzato o era ancora vivo.
    Passarono ancora alcuni giorni prima dell'arrivo della vigilia di Natale.
    Il vestito l'aveva riposto tutto stropicciato nella scatola e, di certo, non l'avrebbe indossato per dispetto anche se i suoi genitori non sarebbero andati a quella festa anche se era aperta anche ad esterni di Hogwarts.
    Decoltè nere con tacco alto, jeans, maglia nera e giacca di pelle nera con risvolti rossi alle maniche sarebbero stati il suo "abito da sera" per quella serata. Inizialmente aveva tirato fuori i pantaloni bianchi gessati ed il cappelino fucsia in cordinato con una cravatta stile uomo, ma alla fine aveva posato anche quei vestiti ed era scesa in jeans attillati e tacco alto.
    Non le interessava essere elegante tanto sarebbe stata da sola comunque, sia in jeans che in abito da sera.
    Quando varcò la soglia della sala grande il professor Liam (o doveva dire preside??) stava dando il via a quella serata.
    "...mangiate, bevete, fumate. Vi chiedo solamente di non drogarvi, almeno non in Sala Grande. Per il resto, che la festa abbia inizio!”
    Fumate?...aveva dato realmente il permesso di fumare in Sala Grande?
    Un sorrisetto si materializzò sul viso di Jessie che, tolse subito dalla tasca interna della giacca il suo pacchetto di sigarette estraendone una per poi accenderla con l'accendino di Vivienne Westwood che le aveva regalato suo fratello con la frase annessa "anche se non approvo" al natale precedente.
    Tirò due boccate dalla sigaretta mentre si avvicinò a tutti gli altri che già avevano attaccato il banchetto, o forse gli alcolici.
    -ciao Stilinski...- disse salutando il suo compagno di casata che, dall'espressione del suo viso, non stava facendo i salti di gioia per trovarsi li.
    Una rapida occhiata al banchetto per poi stappare una bottiglia di burrobirra poichè aveva solo 16 anni e doveva ancora imparare a sopportare gli alcolici e se avesse iniziato subito pesante le cose non sarebbero andate molto bene (anche se forse sarebbero migliorate...) accompagando il tutto da uno zuccotto di zucca che le ricordavano sempre le vecchie camille della mulino bianco.


    made by mæve.

     
    .
  8. leroy'
         
     
    .

    User deleted




    Ethienne Leroy

    21Professore




    Passai nuovamente la mano sui pantaloni del completo, lisciando pieghe che oramai non erano altro che immaginarie. Ero tornato a Hogwarts da un paio di ore, ed ero già pronto per il ballo di natale. Non avevo idea di ciò che Liam aveva organizzato, ma in fin dei conti non mi interessava particolarmente.
    Da bambino il natale era la mia festività preferita. Adoravo osservare i fiocchi di neve che si andavano lentamente ad adagiare sulle macchine, sugli alberi, sulle panchine. Adoravo entrare nella casa buia e vedere solo le luci multicolore dell’albero di natale, e scartare i regali a mezzanotte, perchè io ero sempre il primo sulla lista di Babbo Natale.
    Ma adesso non potevo fare a meno di sentire sulla lingua, e nello stomaco, il sapore amaro del rimpianto e del rimorso: tutto ciò che prima mi rendeva felice, ora serviva solo a ricordarmi tutto ciò che avevo perso, ma anche ciò che avevo strappato via a persone che solo dopo avevo capito essere innocenti. Avevo tolto loro la possibilità di sognare e di essere felici e, come il grinch, avevo rubato loro il natale e tutti i natali futuri.
    Ma, nonostante tutto, mi ero messo l’abito elegante, mi ero pettinato i capelli e spruzzato il profumo e sarei sceso nella Sala Grande con il sorriso sulle labbra.
    Non potevo assolutamente lasciare che le mie emozioni trapelassero, perchè questo avrebbe comportato espormi completamente ai miei nemici e mostrare loro la parte più vulnerabile di me e, ne ero certo, nessuno avrebbe esitato ad attaccarmi, e a farlo con l’intento di annientarmi.
    Come un fenomeno da circo, camminavo senza sosta su un filo sottile cercando di non cadere ne da una parte ne dall’altra, perchè in entrambi i casi non ero sicuro di quello che mi sarebbe successo.
    Inoltre, il ricordo della serata con Maeve Winston mi tormentava. Non avevo avuto il coraggio di parlarle per anni, e adesso sembrava che il karma si divertisse a sbandierarmi i miei fallimenti, come se questa situazione non fosse tutta una perenne recita, come se volesse dirmi che nonostante tutto non avrei mai potuto riparare ai torti che avevo inflitto.
    In sostanza, il mio spirito natalizio era andato a farsi fottere su al polo nord o dovunque si trovasse quel dannato Babbo Natale con i suoi elfi.
    Mi alzai lentamente dalla poltrona dalla quale mi ero lasciato inglobare nell’ultima ora, e mi spazzolai per un’ultima volta i pantaloni ponendo fine a quel gesto maniacale. Ero già in ritardo, e se non fossi sceso avrei iniziato a destare sospetti.
    Feci qualche passo esitante fino ad arrivare alla porta, poi ripensandoci raggiunsi velocemente la scrivania e mi versai un goccio di whisky in un bicchiere, mandandolo giù in una sola sorsata. Avevo bisogno di un’incentivo e, visto che in qualità di professore non avrei potuto ubriacarmi a dovere alla festa, tanto valeva che iniziassi l’opera nel mio ufficio prima di raggiungere gli altri insegnanti e gli studenti.
    La Sala Grande era addobbata con grande stile, d’altronde non mi aspettavo nulla di diverso da Callaway -se non forse qualche spogliarellista qua e là e fontane di alcool- e gli studenti si riversavano a gruppi dal portone principale popolandola sempre di più.
    Ci misi pochissimo ad individuare il tavolo degli alcolici, e iniziai a farmi strada, salutando e augurando buon natale a chi incontravo. Era tanto che non vedevo tutte queste persone a Hogwarts durante la vacanze, e questo mi faceva sperare.
    Quando finalmente riuscii a raggiungere i tavolo presi uno dei grandi bicchieri di plastica e un po’ di punch, portandomelo poi alle labbra. Faci vagare lo sguardo al di sopra del bicchiere, e i miei occhi incontrarono quelli azzurri di Maeve Winston. Era splendida nel suo abito, sembrava rappresentare proprio quell’angelo a cui io l’avevo sempre paragonata, e rimasi incantato a guardarla per qualche secondo poi, una volta finito il liquido del bicchiere, le feci un cenno di saluto e un piccolo sorriso. Speravo, molto probabilmente invano, che non fosse arrabbiata con me per quello che era successo alcune sere prima.
    made by mæve.

     
    .
  9. Astrid Rumkov
         
     
    .

    User deleted




    KENZI

    21 EX CORVONERO

    «La mia famiglia è la mia sola vergogna, no, non perché li odi, ma perché non li ho vendicati»



    Il ballo d'inverno era arrivato al solito, quest'anno si sarebbe tenuto nella sua vecchia scuola, Hogwarts, erano anni che non ci metteva piede, ma l'ìidea di entrarci di nuovo e vedere come fosse rimasta uguale l'affascinava. Si vestì in modo neutro, un abito nero a maniche corte in seta e pizzo, capelli sciolti, un velo di trucco e era pronta, si avviò al castello, arrivò al suo esterno con la smaterializzazione, poi aveva proseguito a piedi e quando arrivò nella Sala Grande si ritrovò di fronte a un covo di ragazzini.

    Sbuffò leggermente e poi si guardò intorno, camminò verso il tavolo gigante pieno di bevande e cibo, uh, il cibo di Hogwarts lo ricordava ancora, era unico, si avventò verso il succo di zucca e il pollo, ne prese un boccone e poi si accorse di una presenza familiare, inghiottì il boccone e posò il piatto con il pollo al tavolo, bevve un altro sorso del succo che aveva nel calice e poi si pulì mani e bocca con un tovagliolo di carta, passo dopo passo si avvicinò alla sua conoscenza, Barrow.
    William...non sapevo che venivi, altrimenti potevamo accompagnarci a vicenda...
    I suoi occhi azzurri si puntarono sul viso dell'amico e un sorriso sincero e divertito comparve sul suo volto.
    made by mæve.

     
    .
  10.      
     
    .
    Avatar

    all that remains

    Group
    Rebel
    Posts
    1,586
    Spolliciometro
    +1,058

    Status
    Offline
    Rebel's Boss• 20 • Ex-Ravenclaw
    William Barrow
    tumblr_mwdrflQwwp1sq3qm8o1_500
    «Non si può scegliere il modo di morire. E nemmeno il giorno. Si può soltanto decidere come vivere. Ora.»
    Una festa davvero molto allegra, non c’era che dire. Will nella sua vita era andato a diversi banchetti –essere un Barrow comportava anche quello- a feste clandestine, e tutti gli anni aveva partecipato agli eventi organizzato dal castello. Che poi i primi anni lui stesse sempre in un angolino era secondario, da che si ricordava quelle feste non erano mai state così.. deprimenti. E pensare che di solito a Natale c’era meno gente. Non vedeva altro che musi lunghi, e tutte le persone che varcavano la soglia della Sala Grande sembrava stessero andando ad un esecuzione: di nuovo.
    Non c’erano più le feste di una volta.
    Però, erano tutti vestiti molto bene; era un piacere, per una volta, vedere tutti vestiti in modo elegante, anziché quelle divise anti-sesso che li costringevano a portare per sette anni. Davano un po’ di vivacità ad un ambiente sfarzosamente decorato eppure triste. Si poggiò al muro affianco al tavolo, con la torta che gli solleticava il palato ricordandogli tutti i momenti passati al castello, quelli belli e quelli brutti, tutti quegli attimi che l’avevano portato ad essere quel William Barrow; ed intanto studiava le persone, chiedendosi distrattamente il motivo per cui si trovavano lì e non a casa. Vide il ragazzino della Testa di Porco: non sapeva perché, ma aveva la sensazione di non andargli molto a genio. Un vero peccato, dato che Will si era sforzato di essere molto diplomatico e civile in sua presenza, cosa che molti altri non potevano vantare. Per una volta il carisma di Will aveva causato l’effetto contrario; anzi, era una cosa che succedeva fin troppo spesso. Nascose un sorriso dentro un bicchiere di Whisky, il primo ma di certo non l’ultimo della serata. Vide Arthea Williams, la Grifondoro che conosceva poiché sapeva che era interessata alla Resistenza, e perché era stato assieme a lei e a Karen che aveva trovato la parte mancante del libro rubato da Italie. E poi, dar fuoco ad una sfinge non era una cosa che accadeva tutti i giorni: insomma, gli era rimasta impressa, quella giovane donna. Indossava un delizioso vestito nero, eppure la sua espressione non era quella di una ragazza che non vedeva l’ora di festeggiare assieme ai suoi compagni: ne diede prova isolandosi, come avevano fatto tutti del resto. Entrò poi un ragazzo con un capello da babbo natale, che se non errava era quello che aveva corretto Italie sull’uso dei tempi verbali quando questi si trovava sul palco ad High Street in attesa della morte: macabro, ma Will non poteva negare che il giovane fosse davvero un personaggio meritevole. Fu seguti da una ragazza che non conosceva, e dalla spia all’interno del castello: Ethienne Leroy, il quale non si sprecò nemmeno con un cenno nella sua direzione, quasi non fossero andati a scuola insieme; la sua attenzione era puntata su una ragazza in vesti rosse, quella che era stata presa come ostaggio sempre il giorno dell’esecuzione. Incredibile quante persone Barrow avesse conosciuto grazie a quell’evento: poteva avere tutte le spie e gli informatori del mondo, ma Dio se gli era mancato stare sul campo. Fece schioccare la lingua con disapprovazione, mentre fra sé e sé rimproverava l’intero mondo per essere un luogo così difficile da comprendere.
    “William...non sapevo che venivi, altrimenti potevamo accompagnarci a vicenda...”
    Era talmente preso dalle sue farneticazioni mentali, che si era perso l’entrata in scena di Astrid, sua vecchia quanto piacevole conoscenza. Will non aveva mai avuto molti amici, di quello veri, specialmente al castello: la bella ragazza dagli occhi azzurri però costituiva una delle rare eccezioni. Sorrise di rimando, mentre alzava il bicchiere in segno di saluto. “Astrid, bastava chiedere: sai che ho sempre amato le feste” un luccichio divertito nello sguardo, malizioso o pericoloso che si volesse interpretare. “Allora, come va ragazza? E’ da un po’ che non ci si vede” domandò divertito all’amica, mentre distoglieva l’attenzione dai partecipanti per tornare con gli occhi su di lei. Era sempre stata una bellissima giovane, eppure fra loro non c’era mai stato niente. E dire che Will si era sempre divertito con le ragazze, e i ragazzi a dirla tutta, ma fra loro non era mai scoccata quel tipo di scintilla.. incredibile, davvero. E, al contrario di quanto poteva affermare della maggior parte di persone in quella stanza, era davvero felice di vederla.
    winston,©
     
    .
  11.      
     
    .
    Avatar

    darling, didn’t you know?
    souls like yours were meant to fall

    Group
    Professor
    Posts
    15,098
    Spolliciometro
    +6,692
    Location
    Tralee

    Status
    Offline
    Resistenza • 17 • Ravenclawesome
    Maeve Winston
    tumblr_lzwsz7ll3W1r4kfic
    «Quelli che non sanno ricordare il passato sono condannati a ripeterlo.»
    Avrei anche potuto bere interi barili di quella roba zuccherata ed alcolica, ma probabilmente non mi avrebbe comunque risollevato il morale, né reso più facile il proseguimento della serata. Non sapevo perché, ma ogni volta che volgevo lo sguardo verso Callaway sentivo una stretta al petto, ed era difficile respirare: perché? io lo odiavo, giusto? No, non era vero. Mi ricordavo perfettamente il momento in cui sul palco aveva puntato la bacchetta contro il mio addome, facendomi contorcere dal dolore. Ma anche in quel momento non avevo potuto odiarlo: era pur sempre Liam. Ed io lo a..pprezzavo anche per quello: anche quando avrei dovuto odiarlo, non ci riuscivo. Mantenni lo sguardo fisso sul cielo sopra di me, il soffitto era incantato, perché improvvisamente mi veniva voglia di piangere e non ne conoscevo nemmeno il motivo. Aspettai che gli occhi si fossero asciugati da quella cortina pesante: odiavo piangere, figurarsi davanti a tutta quella gente. Maeve Winston non cadeva così in basso. Accarezzai nuovamente il vestito cercando di tranquillizzarmi, di ricordarmi chi ero, di ricordare le scelte che avevo fatto; sapevo di non essere più la stessa, ma gli altri non avevano la mia stessa consapevolezza. L’ultima cosa che avrei dovuto fare era chiudermi asocialmente in un angolo della stanza: sognavo da sei anni quel momento, e volente o nolente, maledizione, me lo sarei goduto.
    Alzai lo sguardo giusto in tempo per incontrare gli occhi azzurri, ma di una tonalità decisamente diversa rispetto ai miei, di Ethienne Leroy.
    Che con il suo piccolo cenno con il capo in segno di saluto e il mezzo sorriso ad incurvargli le labbra carnose, poteva anche andarsene a quel paese. Era imbarazzata per diversi motivi, in primo luogo a causa del fatto che fosse un insegnante con cui ci avevo provato spudoratamente, in secondo luogo perché lui aveva rifiutato. Terzo, ma non ultimo, perché con lo smoking stava davvero bene. E quando ero imbarazzata, diventavo aggressiva e distante. Sorrisi lentamente, senza lasciare che quel movimento potesse portare una luce divertita anche agli occhi, che rimasero freddi come il mare del Nord, e a passi lunghi e ben distesi mi avviai nella sua direzione. I tacchi non mi impedivano di camminare elegantemente, come se anziché toccare terra stessi fluttuando a qualche centimetro dal pavimento; gli passai accanto, quasi sfiorandolo, senza nemmeno degnarlo di uno sguardo. Puntai dritta verso il gruppetto che si era riunito ai margini della pista, senza voltarmi per vedere se per caso Lilian mi avesse seguito. Prima di arrivare da loro, mi fermai un attimo ad osservare il caposcuola dei Serpeverde: non mi era mai piaciuto, anche se sospettavo che ciò fosse dovuto alla mia innata competitività. In realtà lo reputavo piuttosto brillante, cosa che comunque non avrei mai ammesso con nessuno, men che meno con lui. Prima di giungere gli altri, mi fermai un attimo vicino a lui. Non gli avevo mai parlato, e non pensavo che la cosa a lui dispiacesse, ma quella sera mi sentivo di farlo; probabilmente era lo spirito del Natale. “Ehi, Devereux..” Mi interruppi, indecisa su cosa dire esattamente. Aggrottai leggermente le sopracciglia, ed infine mi limitai ad un sorriso che, non l’avrebbe detto nessuno, ma era sincero. “Cerca di divertirti, stasera: hai sempre l’aria di qualcuno che muore dalla voglia di buttarsi da una finestra. Seconda ti meriti di meglio, davvero
    Non avevo avuto l’intenzione di dirgli una cosa del genere, ma in realtà l’avevo sempre pensato. Mi morsi la lingua e mi maledissi da sola, chiedendomi cosa diavolo mi fosse preso: ed io che volevo solo augurargli una buona serata. “Scusami, non volevo dirlo ad alta voce” dissi allontanandomi di qualche passo, scuotendo la testa incredula. Immaginavo che mi avrebbe presa per pazza, ed in tutta franchezza non avrei potuto dargli torto. Come se non girassero già abbastanza voci sulla bionda capo scuola dei Corvonero.
    Quando raggiunsi i prefetti, ero ancora stupefatta. Rivolsi un sorriso ad Arthea, la Grifondoro, a Stiles, il Tassorosso, e ad una ragazza che ero quasi sicura si chiamasse Jessie. Purtroppo non ero conosciuta per la mia buona memoria. in realtà non avevo mai parlato nemmeno con loro, ma sembrava una sere dedicata alle prime volte: ed era anche ora che tutti la finissero di pensare che io non fossi altro che una snob piuttosto stronza. “Che dire, ad Hogwarts non siamo rimasti in tanti; se non sbaglio, si dice pochi ma buoni” dissi con un sorriso leggermente forzato. Non che non volessi sorridere, ma non ero mai stata capace di rendermi simpatica, non era nella mia natura; socializzare come le persone normali, senza la mia solita vena sarcastica che tanti disapprovavano, era più difficile del previsto. “o probabilmente nessuno di noi moriva dalla voglia di tornare a casa; o forse erano i nostri genitori a non volerci”
    Maeve.chiudi.quella.bocca. Mi morsi il labbro stizzita. “Scusate, non so cosa diamine stia succedendo. Non vi sentite anche voi strani? Vi prego, ditemi che non sono la sola
    Non avevo ancora bevuto abbastanza perché io fossi l’unica a sentirmi in quel modo, come se non avessi un filtro fra bocca e pensieri. Come se dovessi per forza dire la cosa sincera, io che avevo sempre optato per dire stronzate nella mia vita, pur di non farmi odiare dalle persone.
    Ciascuno aveva la sua paura: la mia era quella che gli altri mi odiassero. Sapere quanto quell’idea fosse invece radicata all’interno del castello, spesso faceva così male da lasciarmi senza fiato. Ma Maeve Winston non aveva attacchi di panico: lei fingeva che tutto andasse bene, fintanto che l’illusione reggeva.
    winston,©
     
    .
  12. Deborah Archer
         
     
    .

    User deleted




    Debora Archer

    35 Direttrice del Vanity Witchcraft

    «She was a sidewalk's butterfly.»



    C’erano giorni, come quello, in cui le mancava casa: quell’appartamento a Londra, per quanto confortevole, puzzava ancora di vernice. Lo aveva vissuto troppo poco, presa com’era stata dall’insediarsi a capo del Vanity Witchcraft, tanto che il suo ufficio, in redazione, sapeva molto più di lei. Era stato, questo, un problema che aveva riscontrato anche nella villa che aveva diviso con suo marito, quando, dopo il divorzio, l’aveva abbandonata: alle pareti c’erano i suoi successi in ambito lavorativo e su qualche mensola stavano i premi che aveva vinto, ma ciò che le apparteneva si fermava solo a questo. Non aveva scelto lei i quadri, né le foto da appendere. Sul comò della loro camera da letto, la foto del loro matrimonio era ricoperta da una strato costante di polvere. Tolti gli abiti, era riuscita a rinchiudere la sua vita in un paio di scatoloni.
    No, la casa che le mancava era quella in cui era cresciuta, quella in cui aveva trascorso le estati alla fine della scuola, quella piena dell’amore che intercorreva tra i suoi genitori e dell’odore di biscotti al cioccolato. Quella del sentore di vaniglia.
    Scivolò più in basso nella vasca, lasciando che il tepore dell’acqua la riscaldasse, risalendole il viso. Prese un respiro ed immerse il volto. Tenne gli occhi chiusi, mentre i capelli, animati, creavano un fiore di loto in superficie, tra la schiuma. Rimase immobile fino a quando non le mancò l’aria. Riemerse ansimante, respirando l’odore pregnante dei sali che aveva lasciato sciogliere nell’acqua. Raccolse i fili di grano sulla nuca con uno chignon improvvisato ed appoggiò la testa contro il bordo. La mano sinistra scivolò oltre il seno, fino ad incontrare il rilievo spiacevole della cicatrice che le sue vicende personali le avevano lasciato. D’improvviso, le mancò anche l’abbraccio di quell’uomo che era stato solo suo, ma che lei, presa dalla sua incessante ricerca di uno scoop, aveva allontanato. I suoi muscoli torniti, il suo torace caldo, le sue mani forti ma leggere, sicure ma quasi docili, le avevano sempre trasmesso un senso di sicurezza. Essere stuprata aveva infranto più volte quell’illusione: ad ogni spinta ferina, la sua illusione scivolò via da lei, diluita un po’ in ogni lacrima versata. Si tolse di dosso i residui di sapone e, mentre gli scarichi si riempivano, lei si alzò, legandosi un asciugamano attorno al corpo.
    Con le mani ancora bagnate impugnò l’invito ricevuto da Hogwarts: di stile pacchiano e poco chiaro, questo era parso un’aggravante, ai suoi occhi, del fatto che nessuno dei suoi sottoposti fosse bramoso di trascorrere la vigilia in compagnia di Liam Callaway, l’uomo che aveva torturato ragazzi innocenti pubblicamente. Lei non era riuscita a costringere nessuno a recarsi in quel luogo maledetto che era la scuola di Stregoneria un tempo più importante dell’intera Gran Bretagna, e, per questo, si era sacrificata in prima persona. In fin dei conti, anche se probabilmente non sapeva neppure chi lei fosse, lei non poteva astenersi dal partecipare a quel party: tutti sapevano che le notizie più attese dal pubblico erano quelle inerenti al regime e ai ribelli e tutti sapevano che un evento del genere ne avrebbe sfornate di diverse. Per questo, a malincuore, decidendo di non partecipare ad una cena con amici, in cui probabilmente sarebbe stata l’unica senza accompagnatore, cominciò a prepararsi per il Ballo d’Inverno. Sarebbe stata circondata da docenti e studenti che, come lei, non erano stati in grado di trovare una valida alternativa a quella seccatura. Dall’invito, constatò ancora, non si evinceva quale fosse l’abbigliamento che lei avrebbe dovuto indossare. Per questo, scartando un troppo impegnativo abito da sera lungo blu notte, scelse qualcosa di meno elaborato. Dalla cabina armadio trasse un vestito in chiffon d’un colore che pareva essere frutto della fusione d’un beige con il colore della sua carnagione, dalle linee morbide e raccolto sul fianco sinistro da un ornamento floreale che lasciava ricadere la stoffa con un fronzolo. Una decorazione rendeva più sobrio il decolté, unendo le due spalline dell’abito. Calzò, poi, un paio di scarpe laccate in tinta, dal tacco vertiginoso. Queste, oltre a slanciare la sua figura, le permettevano di raggiungere un’altezza dignitosa. Si concesse solo un leggero trucco nude con alcuni ritorni di luce dorata. Raccolse i capelli e arricciò leggermente l’unica ciocca che aveva lasciato a scenderle sul viso. Infilò tutto ciò di cui aveva bisogno in una pochette rigida ricoperta di brillanti in cui, se non fosse stato per un Incanto d’Estensione Irriconoscibile, non sarebbe entrato nulla se non un paio di banconote. Il suo obbiettivo era raggiungere la scuola, fare presenza e, presto, ritornarsene a casa, a meno che motivi lavorativi non richiedessero la sua presenza lì. Uscì di casa, già in ritardo. Quando arrivò, la festa era già iniziata da diversi minuti e, da quello che era riuscita a scucire dall’elfo domestico che le aveva preso il soprabito, Callaway, in funzione dell’ancora sperduta Preside Howe, aveva tenuto il discorso di benvenuto. Non le spiacque affatto d’esserselo perso. Sperando di passare il più possibile inosservata, s’infilò nella Sala Grande e raggiunse il tavolo degli alcolici. Il suo proposito svanì quando si rese conto d’essere, probabilmente, la più anziana lì presente, se non fosse stato per i fantasmi. Strinse la pochette tra le dita della mano sinistra, mentre la destra portava rapidamente alle labbra una flute d’un vino dolce e frizzante. Lo spirito natalizio, costatò tra sé, era stato colto alle perfezione. Un vero peccato che nell’aria si respirasse l’odore ferroso del sangue. Finse di non avvertirlo, anche perché, probabilmente, era solo la sua mente ad immaginarselo. Oppure, qualcuno aveva dimenticato la porta della fantomatica e mitologica Sala delle Torture aperta.
    E forse, lei, prima della fine della serata, avrebbe trovato qualcuno che l’accompagnasse fin nelle segrete di quell’edificio e le permettesse di documentare le sevizie che gli studenti, alcuni dei quali lì presenti, erano costretti a subire.
    made by mæve.

     
    .
  13.     +1    
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Inferius
    Posts
    2,543
    Spolliciometro
    +362

    Status
    Offline

    tumblr_mfh4pg4LmP1qbfaa9o1_500
    Lilian Whole
    Ravenclaw • 18
    «A Natale puoi dire quello che non puoi dire mai»


    Soffiai sullo smalto per l'ultima volta e con l'indice della mano opposta toccai leggermente l'unghia, pregando Merlino che si fosse finalmente asciugato. Sarebbe bastato poco per rovinare tutto, se l'avessi toccato anche solo un secondo troppo presto sarebbe rimasto il segno del dito, dell'impronta del polpastrello per la precisione, e avrei dovuto ricominciare tutto da capo. Il che era un po' come nella vita: un piccolo errore e tutto era rovinato.
    Un'altra mano di smalto? Avrebbe coperto il segno, ma tutto il lavoro sarebbe stato distrutto comunque. Che poi non è tanto quello che si vede, il problema vero e proprio è quello che si sente: quando sai che una cosa è rovinata, niente sarà più come prima, a partire dal tuo comportamento. Avrei passato la serata a guardarmi le mani chiedendomi se anche gli altri notassero quelle imperfezioni.
    Quando spostai il dito da sopra l'unghia mi lasciai scappare un sorriso di soddisfazione: era rimasto perfetto. Mi alzai dal letto e, scalza, mi diressi verso il bagno, ma qualcosa attrasse la mia attenzione prima di raggiungere la meta: la mia figura assorta nei preparativi riflessa nello specchio accanto all'armadio. Guardai le gambe nude e magre, anche se forse un po' troppo corte, coperte solo per metà da una sorta di sottoveste argento troppo leggera per la stagione in cui ci trovavamo, ed infine i capelli appena lavati raccolti in una coda di cavallo morbida, di modo che non prendessero una piega sbagliata ma che non mi dessero neanche fastidio mentre mi truccavo.
    Sullo sfondo, lo specchio rifletteva una Maeve Winston intenta ad aggiustarsi la chioma bionda, cosa che io dovevo ancora fare. Era sempre stata bella, ma nell'ultimo anno sembrava essere sbocciata! Di solito è l'amore a rendere splendente una ragazza, eppure negli ultimi mesi non aveva accennato neanche ad una semplice cotta… certo, di ragazzi carini per il castello ce n'erano eccome, ma lei non si sbilanciava mai, neanche dovesse mantenere un qualche rigore davanti a me e alle altre ragazze. Le sorrisi attraverso lo specchio nonostante lei non potesse vedermi e mi diressi verso il bagno per finire di prepararmi.
    Optai per un trucco semplice ma ben visibile: accoppiando un ombretto color oro con un eye-liner nero brillantinato gli occhi sembravano luccicare particolarmente, tutto il resto -mascara, fard e rossetto- serviva solo ad incorniciare il tutto, era come aggiungere una ciliegina su una torta già perfetta. Quando mi voltai verso Maeve però tutto crollò, compresa la torta con la sua ciliegina: i capelli erano legati in maniera spettacolare, non l'avevo mai vista con una pettinatura del genere… e io che mi ero convinta a fare la mia entrata al ballo con i capelli sciolti semplicemente lungo le spalle e la schiena! Ora sembrava proprio un'idiozia.
    Da bambina, a casa, mia madre stava delle mezz'ore ad incrociarmi i capelli e a pettinarli, era una delle poche cose che la rilassava rendendola meno irascibile. Io allora me ne stavo pazientemente seduta sul letto aspettando di vedere il risultato di tutto quel lavoro che immancabilmente era perfetto; il fatto era che non avevo a disposizione le mani magiche di Eleanor… a pensarci bene però qualcosa di magico lo avevo anche io. Allungai una mano verso il comodino ed impugnai la bacchetta con decisione, come ogni volta d'altronde: in ogni incantesimo, anche il più semplice, ci doveva essere tutta la determinazione possibile. Con un gesto fluido del polso feci roteare la bacchetta sopra la testa per poi puntarla decisa contro i capelli, pronunciando l'incantesimo. Questi cominciarono a legarsi fra di loro, come se le diverse ciocche stessero ballando su di una musica per noi non udibile e quelli che fino a poco prima erano semplicemente capelli mossi, diventarono un'acconciatura a dir poco perfetta per un ballo, fin troppo forse.
    Sfilai il vestito rosso privo di pieghe dalla gruccia e lo infilai. Dai piedi per la precisione. E questa era una cosa che mia madre odiava e mi aveva sempre rimproverato, a quanto pare è una tecnica da non utilizzare perché poco femminile… anche se devo ancora comprenderne il motivo. In realtà io trovavo fosse il modo più utile e pratico per indossare un abito senza sporcarlo con il trucco o rovinare i capelli appena fatti. Ma in quel momento mia madre -aggiungerei fortunatamente- non era presente, e a Maeve poco sarebbe interessato, anzi, non mi sarei sorpresa nel vederle fare la stessa identica cosa.
    Tirai su la cerniera cucita sul lato destro e di colpo l'abito aderì perfettamente al mio corpo, fasciandomi particolarmente dalla vita in su. Mi voltai di lato e poi di schiena davanti allo specchio, muovendo con le mani i veli del vestito che -se non fosse stato per la lunghezza- sarebbero stati come gli strascichi di un abito da sposa. Era perfetto, non potevo far altro che adorarlo! Infilai i piedi in un paio di tacchi alti dorati e conclusi l'opera svaligiando il portagioie di velluto blu.
    Mi voltai verso colei che aveva fin dal primo ballo tutto più semplice e le feci un cenno con la testa “Maeve, siamo già in ritardo”. Lei mi guardò e per un attimo mi sembrò di leggere nei suoi occhi un qualcosa che poco si addiceva all'aria di festa che aleggiava per tutto il castello, ma poi esordì con un “Scusami. Pronta per il nostro ultimo Natale ad Hogwarts?” e il suo sguardo malizioso cancellò ogni mio dubbio. Come per magia.
    Spalancai la porta della nostra stanza "Questa domanda dovrebbe essere fatta a chi ci vedrà così per l'ultima volta, non so quanto possano essere pronti ad una simile perdita!" le feci l'occhiolino e la precedetti fuori dal dormitorio.

    Quando Callaway decretò l'inizio della festa alzai il bicchiere verso l'alto e bevvi la maggior parte del liquido con cui era stato riempito senza neanche soffermarmi ad assaporarlo: se quello doveva essere il nostro ultimo ballo di Natale in veste di studentesse allora andava fatto per bene.
    La Sala Grande non era ancora del tutto piena, probabilmente molte studentesse erano ancora a lavorare su trucco e parrucco, specialmente quelle che per la prima volta passavano le feste al castello: avrebbero dovuto essere all'altezza della situazione -che in effetti questa situazione non aveva alcuna altezza particolare, ma era chiaro che dall'esterno sembrasse più seria ed imponente di quanto fosse in realtà- per la prima volta. In effetti le feste ad Hogwarts erano una fantastica occasione per avere svariate prime volte, ma questa è un'altra storia.
    Lasciai scorrere lo sguardo sulle persone più vicine a me e per un attimo pensai di raggiungere Maeve già in compagnia di altri studenti, a bloccarmi fu la faccia imbambolata di Leroy. Mi avvicinai a lui senza sapere bene cosa avrei detto, in realtà non sapevo neanche perché lo stavo facendo… ma infondo un saluto cordiale ad un professore non avrebbe fatto male a nessuno no?
    Gli arrivai alle spalle e, sporgendomi un poco verso il suo orecchio, sussurrai parole che -lo giuro- io non avevo neanche pensato. O per lo meno non avevo pensato di dire!
    "Se vuole ho delle sue foto in bikini, non è necessario che la spogli con gli occhi." non poteva non capire a chi mi stessi riferendo, stava palesemente fissando Win da svariato tempo.


    made by mæve.

     
    .
  14. Key is the way.
         
     
    .

    User deleted


    Resistenza • 17 anni • Hufflepuff
    Kiyan Right
    tumblr_lx6h5bAtl91qdpwf1o1_500
    « I don’t want a lot for Christmas...»

    Kiyan aveva sempre amato il Natale, come tutti i bambini e come tutte le famiglie nel mondo. Purtroppo, da quando era morto suo zio, non aveva più festeggiato il Natale a casa. Era solito tornare a York nelle vacanze natalizie per passare in famiglia quelle giornate che straripavano di sorrisi, felicità, doni e addobbi. Anche diventato troppo grande per credere a Santa Claus, adorava comunque l’aria che si percepiva durante quei giorni e seppur odiasse la sua sorellina, avere una bambina piccola in casa era ancora più bello. Lei aveva deciso di tornare a casa, nonostante facesse tanto la dura, beh, le mancava molto la mamma.
    Key non aveva avuto il coraggio di seguire il suo esempio avendo la certezza di provare un vuoto dentro. Per carità, ci sarebbe stata tutta la famigliola felice, ma sarebbe mancato suo zio, l’unico di cui avrebbe apprezzato seriamente la presenza. Colui che sapeva veramente far felice il Tasso.
    Ad Hogwarts ovviamente non c’era da annoiarsi. Infatti, come tutti gli anni in Sala Grande era organizzata una festa per tutti, anche quelli che non abitavano al castello.
    Finalmente avrebbe partecipato ad un evento sociale mica da poco ed avrebbe rivisto un po’ di persone che non vedeva ormai da troppo tempo.
    Aprì il baule e poggiò i vestiti che avrebbe dovuto indossare da lì a poco sul letto. Rimase in boxer a guardarsi per qualche secondo. Era cambiato tanto in quegli anni, non si sentiva più sé stesso, ma la nuova sensazione gli piaceva.
    Indossò la camicia, quella che odiava così tanto per quei maledetti piccoli bottoni, non li sopportava proprio. Si infilò un paio di pantaloni classici e fece un bel nodo alla cravatta. La giacca in tinta con i pantaloni gli calzò a pennello. Si preoccupò di allentare il nodo alla cravatta e passarsi una mano fra i capelli, si allacciò le scarpe di vernice e si diresse verso le scale. Unica meta? La sala grande ovviamente.
    Le porte della grande stanza erano spalancate e alcuni entravano affiatati perché in ritardo, altri uscivano chissà per fare cosa.
    Inspirò profondamente e indossò uno dei suoi migliori sorrisi facendo il primo passo nella sala. Gli addobbi erano ancora migliori di quelli dell’anno prima. Questi professori erano proprio bravi con la magia.
    Vi erano molti studenti di cui non sapeva nemmeno il nome, altri che conosceva ma che non aveva voglia di salutare. Passò di fianco al tavolo delle consumazioni e prese un calice con dell’idromele. In realtà non aveva fatto molto caso a quello che ci fosse dentro fino al momento del brindisi con Callaway che gli rivelò il sapore della bevanda. Deglutì con piacere.
    Si guardò un po’ intorno ed avvistò con sorpresa un vestito rosso ed uno chignon biondo.
    Bastarono pochi passi per raggiungerlo e notare che era accompagnato da altre belle donzelle a cui rivolse un rapido sguardo ed un occhiolino per poi posizionarsi alle spalle della giovane Corva e coprirle gli occhi.
    Chissà chi è quell’affascinante Tassorosso che ha coperto gli occhi a Maeve TiMozzoIlFiato Winston, vero?
    winston,©
     
    .
  15.      
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Member
    Posts
    512
    Spolliciometro
    +363

    Status
    Anonymous
    Resistenza• ETA':26•
    Keanu Larrington

    tumblr_m2yvivrgxr1qem0u6o2_500
    «Everybody's going to the party have a real good time»
    Aveva già deciso cosa mettersi, d'altronde non è che aveva poi tutta questa scelta, dato che il suo armadio era composto da smoking, cravatte, papillon, e poi altri smoking e cravatte, non era un problema partecipare ad un ballo.
    Il problema era dove si svolgeva quel ballo, ma ormai aveva preso la decisione di andare, che si fotta tutto. Keanu era sotto la doccia , a sciacquarsi dalle fatiche del pub, e mentre l'acqua bollente scivolava lungo il suo corpo immergendolo del suo tepore, allontanava tutti i ripensamenti, ci aveva riflettuto una giornata intera, doveva andare.
    Poteva essere un'ottima occasione per mettere piede in quella dannata scuola, osservare da vicino tutto quello schifo che si stava vivendo, poteva finalmente dire :Ci sono stato lì dentro..., certo, era un'arma a doppio taglio, correva grandi rischi, ma almeno , se fosse uscito vivo, avrebbe raccontato molte cose al suo capo, che sperava vivamente non ci fosse, altrimenti sarebbe stato in seri guai, e quindi meglio se stesso, che lui, era un ragionamento un po' vecchio stampo, da guerriero coraggioso, egli in fondo non era così ma l'occasione era troppo ghiotta per non buttarcisi a capofitto.
    Ancora odorante di felce iniziò a vestirsi, indossando la sua classica camicia bianca, con la sua giacca nera e scarpe lucidate con una minuzia ancora più estrema del solito, proprio per l'occasione, e già che si avvicinava il tanto amato natale, una cravatta rossa non troppo accesa, non voleva mica assomigliare ad un semaforo...
    Il locale, nella mani di Nigel e di suo fratello poteva essere considerato al sicuro, l'unico che non lo era, era proprio lui, ma doveva, e poi non gli piaceva essere preso per uno che parlava solamente, ci volevano i fatti, e anche se consapevole che probabilmente i Mangiamorte stavano tendendo l'ennesima trappola, avrebbe corso il rischio.
    Un ultimo sguardo allo specchio, legò i suoi capelli in una piccola coda, l'unico rimedio al fatto che non li tagliava da un bel po' e non voleva sembrare uno squattrinato qualsiasi, la barba appena visibile, gli piaceva, e anche parecchio, gli dava un tono di signorilità e anche di maturità, abbandonò il suo collo al piacevole odore di uno dei suoi profumi preferiti, che gli donava un leggero aroma di vaniglia, era pronto.
    Lasciò il suo piccolo appartamento e si tuffò nelle strade della piccola cittadina, destinazione: Hogwarts.
    Fece lunghe aspirate della sua pipa, che ripose presto nella tasca interna della giacca, molto probabilmente sarebbero state le ultime della serata, era difficile che nella scuola si potesse fumare.
    Durante il tragitto fu molte volte tentato di tornare indietro, ma la voglia di riabbracciare la sua vecchia scuola, la sua sete di conoscenza erano molto più forti, e poi sperava che almeno i Mangiamorte fossero in vacanza dai loro compiti, almeno per l'occasione, e che cavolo, non si divertivano mai?.
    I pensieri era tanti, e prima che se ne accorgesse, si ritrovò ad aprire con timidezza le porte della Sala Grande, si, era arrivato, Hogwarts.
    La calda e indimenticabile atmosfera lo aveva accolto sin dai primi passi in quell'edificio, come poteva non ritornare ragazzo?Quai non ci credeva, tratteneva a stento le lacrime, ma tuttavia, riusciva a constatare quel qualcosa di diverso che non gli faceva assaporare fino in fondo quel luogo maestoso, l'aria era pesante, molto più pesante, ma l' essere immerso tra ragazzini, ragazzi, e qualche adulto, tutto questo lo fece ritornare come un bambino che muoveva i primi passi in quella scuola di magia. La Sala Grande, era come l'aveva lasciata, immensa, spaziosa e ben organizzata, e le decorazioni non erano niente male per i suoi gusti, almeno una nota positiva dell'operato dei Mangiamorte.
    Riuscì ad arrivare proprio in conclusione del discorso dell'odiato Callaway, sostituto preside, e le uniche parole che lo resero veramente felice furono la possibilità di fumare nell'edificio, sante parole, presto avrebbe rispolverato l'amata pipa.
    E quindi, era lì, pronto a farsi investire da quella possibile marea, o pronto a scoprire qualcosa di comodo per tutti quanti.
    Staccò gli occhi dal Mangiamorte per guardarsi intorno, si sentiva un po' spaesato, ma riuscì a riconoscere qualche volto, ad esempio, la ragazza della Stamberga, Maeve Winston, probabilmente non era ancora arrivato il momento di parlare di cose serie con lei, bisognava aspettare del tempo, per il momento si limitò a farle un velato occhiolino a distanza, mentre egli si dirigeva al tavolo degli alcolici.
    Procedette spedito senza girarsi intorno per vedere chi ci fosse, d'altronde con una bevanda in mano si ragiona meglio, no?.
    Si versò velocemente del vino bianco, meno di metà calice, galanteria, e iniziò a sorseggiarlo, voltandosi verso la folla, e per poco non stava per sputarlo, rischiando di innaffiare per bene dei poveri studenti di fronte a lui.
    Non poteva credere ai suoi occhi, c'era Barrow, diamine, cosa era venuto a fare lì? Era troppo rischioso, troppo, un atto sconsiderato, ed egli non era stato messo al corrente di tale gesto, trattenne la rabbia, e si diresse facendo finta di nulla verso di lui.
    Gli fu a qualche metro quando una ragazza lo precedette avviando una conversazione, poco gli importava della maleducazione che gli sarebbe stata attribuita, lo guardò con aria da rimprovero e passando la ragazza di fronte a lui lo afferrò per un braccio, e guardandosi intorno, cercando di non destare sospetti gli disse:-William, tra un po' sarò costretto a portarti in giro con il guinzaglio..., il suo broncio e il suo sguardo glaciale terminarono presto per colorare la sua faccia di un largo sorriso, tirò un piccolo schiaffo amichevole alla nuca del suo capo, quasi a rimproverarlo, sembrando un genitore alle prese con una ramanzina al proprio figlio, poi si rivolse ad entrambi coloro che aveva al suo fianco,:-Godetevi la serata!-, passò senza altre parole oltre le spalle di Barrow, non sapeva cosa aveva in mente, ma aveva fiducia in lui, doveva averla, sperò solo che quello non fosse un gesto sconsiderato, non poteva perderlo, ormai era come un fratello per lui, non poteva.
    Decise di ritirarsi quasi in disparte da tutta la folla di studenti, spostando lo sguardo ogni tanto su William, se fosse stato in pericolo, non avrebbe esitato a tirar fuori la bacchetta.
    Solo un'altra persona lo distrasse, la giornalista, vide anche lei abbastanza in difficoltà in mezzo alle onde di un oceano giovanile, e constatando che anche lei aveva preso da bere, pose in avanti il calice,e anche se lei era molto distante, e sperando che vedesse il gesto, fece un brindisi a mezz'aria rivolto verso di lei, sorseggiò ancora il vino, tenendosi poco distante dal resto dei partecipanti.
    winston,©
     
    .
94 replies since 7/12/2013, 00:47   2980 views
  Share  
.
Top