Seconda stella a destra.

Lydia.

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    « Il problema di Peter Pan, ragazzo, è che è un vigliacco. Ha avuto l'occasione della sua vita e l'ha sprecata, scappando di nuovo sull'isola che non c'è.»
    Lilith Lawrence chiuse gli occhi e si lasciò cadere sull’erba soffice del parco di Hogwarts. Era una giornata fredda, tipicamente invernale, ma a lei non importava. La sala comune dei grifondoro, oramai, le era diventata stretta come una maglietta che ti ostini a mettere nonostante non sia più della tua taglia, e questo perchè c’erano ragazzini di tutte le età che la perseguitavano ogni ora chiedendole permessi, favori, facendole domande di cui lei non sapeva la risposta. Insomma, era un prefetto, non era Merlino sceso in terra! I peggiori, a parere suo, erano quelli che la supplicavano di cercare di alleviare la loro punizione. Nonostante la grifondoro fosse consapevole che se Stiles l’avesse saputo si sarebbe arrabbiato a morte con lei, Lilith non concedeva favori di questo genere a nessuno. Avevi trasgredito e ti eri fatto beccare? Fatti tuoi. Tutti erano a conoscenza delle politiche della scuola, e lei non aveva alcuna intenzione di ficcarci il suo perfetto nasino alla francese e rischiare, magari, di finire lei stessa nella sala delle torture.
    Quando c’erano con lei Lucas Italie e Arthea Williams l’atmosfera si alleggeriva un po’, ma era raro che ci fossero: Lucas passava il suo tempo a fare chissà che cosa chissà dove, Law non si era mai interessata particolarmente, mentre Arthea passava la maggior parte delle ore in sala delle torture, o nascosta da qualche parte. La prefetta si era ripromessa di cercare di trascinarla in giro con lei, qualche volta, per farle assaggiare la popolarità che derivava dalla loro carica, ma fra una cosa e l’altra aveva sempre dimenticato questa promessa. Quel pomeriggio era uno di quelli dove i suoi compagni erano spariti nel nulla, lasciandola da sola nella tana del lupo, e lei non aveva esitato neanche un secondo a fuggire in giardino, dove sapeva che sarebbe stata sola almeno per qualche ora.
    Si era portata dietro una coperta pesante ed un libro babbano che le aveva prestato una sua compagna di stanza, ed era andata a mettersi sotto il suo albero preferito, a pochi passi dal lago nero, dove la piovra, quel giorno, dormiva placida dondolando di tanto in tanto un tentacolo.
    Sarebbe voluta passare dalle cucine a prendere qualche biscotto al cioccolato, ma alla fine la pigrizia l’aveva avuta vinta e si era accontentata di qualche gelatina tutti i gusti +1 che aveva trovato nelle tasche del mantello.
    Una leggera brezza saliva dal lago, e l’aria fredda le arrossò le guance e le rese le labbra simili a mele rosse, ma ancora una volta Lilith sembrò ignorare il freddo come se non esistesse. Le bastava sentire silenzio attorno a se, per essere felice, perchè aveva la sensazione che dal giorno dell’esecuzione nulla fosse più come prima, e tutti non facevano altro che parlare, e parlare. Per questo motivo aveva scelto di tornare a casa per le vacanze, per smettere per qualche giorno di sentire quel continuo brusio che aleggiava sempre nei corridoi della scuola.
    Purtroppo el vacanze erano finite troppo presto, e la prefetta era dovuta rientrare al castello e chiudersi in camera a fare i compiti che aveva, giustamente, evitato di fare durante il soggiorno a casa. Ma quel pomeriggio aveva deciso di prendersi una pausa da tutto e da tutti, quel pomeriggio ci sarebbero state solo lei, le gelatine ed il libro babbano che ancora doveva iniziare a leggere.
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    Lydia Hadaway
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    « Il vantaggio della cattiva memoria è che si gode parecchie volte delle stesse cose per la prima volta.»
    Capitava spesso che Lydia Hadaway si svegliasse con il cuore in gola, e si dovesse sforzare per trattenere un urlo. Si metteva il pugno in bocca e soffocava il grido, sentendo delle lacrime che non le appartenevano che le solcavano le guance. La cosa che più la irritava, era che non sapeva nemmeno più il motivo per cui piangeva. I primi tempi si era sentita così spaesata, a svegliarsi per scoprire con rammarico che era tutto identico a quando si era addormentata. Nessuno le aveva lasciato altri bigliettini, nessuno le aveva lanciato un salvagente che la riportasse alla barca. Lydia era alla deriva. Si sentiva come una bottiglia lanciata per sbaglio nel mare prima che qualcuno potesse inserire un messaggio. Incompleta.
    Ma quella sensazione avrebbe dovuto smettere, prima o poi. Avrebbe dovuto cominciare a costruirsi una vita, ad essere grata di aver avuto la possibilità di ricominciare da zero, dimenticando probabilmente molte cose brutte. Sovrappensiero si sfiorò le cicatrici sulle braccia, lunghe bruciature che sembravano provenire da una sostanza acida che le aveva corroso la pelle: lei non ne aveva memoria. Ogni volta che incontrava quell’imperfezione sulla pelle altrimenti perfetta, sentiva una rabbia improvvisa montarle dentro; a risentirne erano stati i mobili del Paiolo Magico, dove ancora alloggiava. Non sapeva il motivo, come non sapeva molte altre cose, ma si sentiva a disagio ad Hogwarts. C’era andata per capriccio, per dispetto, per comprendere. Perché non aveva null’altro. Eppure non poteva abbandonare la sensazione di essere osservata, e non la lasciavano sola i brividi freddi lungo la spina dorsale.
    Ovviamente quando si era presentata al castello ed aveva dato le sue credenziali, aveva finto perfettamente di sapere chi fosse: Lydia Hadaway, diciannove anni. Non ho frequentato questa scuola, ho avuto un’istruzione privata. Come mai sono arrivata qua? Vorrei avvicinarmi all’insegnamento, e lavorare da tirocinante mi sembra perfetto. Breve sorriso educato alla rossa Karen Davis, insegnante di Divinazione. La ringrazio per avermi dato questa possibilità, non la deluderò. A presto!
    Appena aveva chiuso la porta dietro di sé, aveva sentito il grumo che aveva nello stomaco farsi più pesante. Riconosceva ogni pietra di quella dannata scuola; riconosceva i volti nei quadri, e aveva riconosciuto perfino l’insegnante. Nei corridoi continuava ad essere vittima di occhiate curiose, e cominciò a sembrarle una pessima idea quella di essere tornata ad Hogwarts. Trovò subito i bagni; fu il suo istinto a guidarla dove i ricordi non potevano portarla. Poggiò le mani sui bordi del lavandino, e strinse finchè le nocche non le divennero bianche. Alzò lo sguardo verso il suo volto, quello che fin dal primo giorno in cui aveva aperto gli occhi aveva sentito come suo, e lo vide estraneo. Aprì il rubinetto con gesti meccanici, mettendo il tappo per fermare l’acqua. Voleva mettersi a piangere, rannicchiarsi e non alzarsi finchè qualcuno non l’avesse presa per mano e le avesse spiegato cosa stava succedendo; voleva picchiare qualcuno, scorticarsi le nocche e vedere il sangue macchiare il lucido marmo del pavimento; voleva trovare chi l’aveva messa in quella situazione e ucciderlo con le sue mani candide come la neve a Dicembre.
    Lydia Hadaway si sentiva terribilmente sola, priva di legami, come un aquilone cui avessero tagliato il filo. Aveva così tanto spazio, lì nel cielo. Ma cosa se ne faceva di tutto quel cielo, se da sola non sapeva nemmeno volare?
    Chiuse il rubinetto, abbassò il capo e lo immerse nell’acqua gelida. Soffiò fuori l’aria finchè i polmoni non ne furono completamenti privi. Sei Lydia Hadaway, Lydia Hadaway, Lydia Hadaway. Continuava a ripeterselo nella speranza di poterci credere.
    Quando alzò il capo e prese un respiro profondo, rimase qualche secondo con il capo ancora chino, l’acqua che colava in rivoli dalla radice dei capelli, dalle sopracciglia, dalle labbra. Incontrò i suoi occhi nello specchio: vuoti. Meccanicamente si asciugò il viso con una salvietta, prese la sua borsetta e con essa i pochi trucchi che aveva comprato nei giorni seguenti il risveglio: un po’ di mascara, un rossetto rosso, un correttore per le occhiaie.
    Uscendo dal bagno incontrò due ragazze che non la degnarono nemmeno di un’occhiata; per ogni evenienza si stampò sulle labbra un sorriso, che mantenne fin quando non mise piede fuori dal castello. Il giardino del Lago Nero era deserto, il freddo teneva la maggior parte degli studenti al caldo della loro sala comune. Su comodi divani verde smeraldo, di fronte ad un imponente camino cui fiamme lambivano lentamente le pareti, scaldandosi mentre si chiacchierava con altri compagni dalla divisa verde argento.. si riscosse con un respiro strozzato, esattamente come quando aveva alzato il viso dal rubinetto. Prese una boccata d’aria, ma fu troppa tutta insieme. Vide dei puntini bianchi nel suo campo visivo, sentì freddo e caldo. Si sentiva stranamente insensibile. Arrivò ad un grande tronco, vi appoggiò una mano e vi si afflosciò accanto come un fiore che si schiaccia sotto il peso dell’inverno.
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    « Il problema di Peter Pan, ragazzo, è che è un vigliacco. Ha avuto l'occasione della sua vita e l'ha sprecata, scappando di nuovo sull'isola che non c'è.»
    Non capitava spesso che mi soffermassi a pensare seriamente al futuro. Cosa avrei fatto dopo Hogwarts, chi avevo deciso di diventare, chi avrei potuto essere. Non mi capitava spesso di soffermarmi a pensare, è vero, ma c'erano quei rari momenti in cui alcune domande esistenziali facevano capolino nella mia mente canalizzando tutta la mia attenzione su quei pochi e all’apparenza semplici quesiti.
    Una folata di aria fredda mi scompigliò i capelli, lasciando che qualche ciocca mi scivolasse sulla fronte liscia, ma non me ne curai particolarmente, e con le dita affollate afferrai una gelatina tutti i gusti +1. Quel giorno non riuscivo a concentrarmi su nulla, e ovviamente il mio cervello stava cercando di mettermi alla prova.
    Spesso, con Stiles, ci ritrovavamo a discutere del nostro futuro ma quando ci rendevamo conto da essere animati da due prospettive diverse cambiavamo repentinamente discorso, come se anche solo parlandone avremmo potuto scottarci e, forse era proprio così. Non ero sicura di essere pronta a mentire, di essere pronta a mettere a repentaglio la mia vita per un amico -e forse questo non faceva di me una bella persona ma, dopotutto, chi lo è?- di essere pronta ad ascoltare le confessioni che Stiles aveva da fare. Così lo assecondavo, e cambiavamo discorso.
    Ma poi, in momenti come questo, mi trovavo a chiedermi se seguire Stiles non fosse la cosa più giusta, se la strada che avevo scelto, nonostante fosse la più semplice, era anche quella giusta. Ma non sapevo darmi risposta, perchè a soli diciassette anni avevo visto ancora poco del mondo vero, del mondo fuori dal castello, e forse anche perchè ero consapevole che trovata quella risposta avrei smesso di essere un’adolescente e sarei diventata adulta.
    E il atto che fossi sdraiata in un parco in pieno inverno solo per sfuggire ai doveri che il mio ruolo implicava era la dimostrazione che non fossi per nulla pronta a diventare un’adulto.
    Mi portai la gelatina alla bocca, e la morsi con decisione. Come per i cerotti, per le gelatine tutti i gusti più uno bisognava agire con decisione, senza indecisioni, perchè se ti fosse capitata quella sbagliata le conseguenze sarebbero state gravi.
    Fui parecchio fortunata, poiché me ne capitò una alla mela che assaporai, concentrandomi sulla sua consistenza e sul suo sapore, per evitare di pensare a qualcosa di complicato.
    Fu in quel momento che un fruscio attirò la mia attenzione, ed aprii gli occhi di scatto. A pochi passi da me, appoggiata al tronco, la Caposcuola di Slytherin era appena svenuta. La osservai, inclinando lievemente il capo, per qualche secondo chiedendomi cosa dovessi fare. Perchè Annie Moreau aveva deciso di venire a svenire in giardino? E, diamine, perchè proprio dove io avevo deciso di rilassarmi.
    Alzando gli occhi al cielo mi tirai su a sedere, e mi voltai verso la mia compagna. Non potevo dire di essere sua amica, ma l’avevo incontrata alcune volte in giro per le ronde e nella saletta per i prefetti ed i caposcuola, quindi mi sentii in dovere di fare qualcosa.
    Gattonai nella sua direzione, osservandola attentamente. Era bianca cadaverica, e le guance sembravano essere infossate più del solito.
    «Annie?» allungai un dito e le punzecchiai una spalla, come per vedere se fosse effettivamente viva. «tutto bene? Sei viva?» domandai, come un’idiota. Sicuramente non si era accasciata contro un albero per puro divertimento!
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    scusa per il passaggio dalla terza alla prima persona, spero non sia un problema! :3
     
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    « Il vantaggio della cattiva memoria è che si gode parecchie volte delle stesse cose per la prima volta.»
    Il flash di una mano nella sua, di un sorriso sdentato, di una zazzera di capelli chiari al sole. Sussurri fra un letto e l’altro in una stanza verde, litigi e abbracci con un ragazzo più grande. Correre, più veloce. Si sentì stringere le braccia, e qualcosa che bruciava. Aprì gli occhi e si alzò a sedere di scatto, con il cuore che andava all’impazzata. Per poco non colpiva una ragazza lì a fianco, che la stava guardando con lo stesso interesse che avrebbe potuto riservare al resto del pranzo servito a cena. La osservò per qualche secondo senza dire nulla, poi chiuse gli occhi e appoggiò la testa all’albero, cercando di tornare a respirare. Cercando di mettere insieme i pezzi. Non era ancora niente, ma per lei rappresentava tutto quel che aveva. Flash.
    Si inumidì le labbra rosse e quando riaprì gli occhi, realizzò finalmente quello che la giovane le aveva appena detto.
    Annie?” Domandò scettica, inarcando un sopracciglio. Con una fitta di disappunto si chiese se per caso il suo viso si potesse confondere con quello di qualcun altro. La cosa la irritava particolarmente, anche se non sapeva il motivo; non se ne preoccupò molto, dato che ormai era abituata agli sbalzi d’umore, ed al non capire da cosa nascevano le emozioni che le scuotevano il petto. Cercò semplicemente di deviare la sua attenzione su altro, come la sensazione dell’erba fredda –fin troppo-sotto le dita, o sui grandi occhi azzurri della ragazza. Le sembravano familiari, anche se non avrebbe saputo dire dove l’aveva già vista. O se l’aveva già vista, perché ormai metteva in dubbio persino quello.
    Comunque, svenire davanti a quella che sarebbe diventata una specie di allieva acquisita, non era davvero il modo migliore in cui presentarsi. Cercò di rendersi presentabile, rassettando l’abito e togliendo delle foglie impigliate ai capelli. Avrebbe dovuto rifare la coda, dannazione!
    Andava tutto bene? Quella sì che era una bella domanda. Rise, scuotendo leggermente il capo, come a voler minimizzare la cosa. In realtà, la cosa che la divertiva di più era l’ironia della situazione. Lei stava benissimo: peccato che non sapeva chi fosse. “Certo, anzi, mi spiace di averti fatto spaventare” Lo disse per educazione, perché la ragazza non sembrava affatto spaventata. “Sai, stamattina avevo un colloquio, non ho avuto forza di fare colazione” Un sorriso timido, una scusa debole come un aeroplanino di carta in un uragano. Abbastanza credibile, però: non era raro che le ragazze perdessero i sensi.
    Comunque, chi è Annie?” Domandò ostentando non curanza e sistemandosi le maniche. Poteva non essere niente; poteva essere semplicemente una ragazza che le assomigliava, Lydia non lo metteva in dubbio. Però.. poteva anche essere qualcosa di più. Un indizio.
    Un passato.
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3 replies since 12/1/2014, 23:10   152 views
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