SUMMER PARTY... in love for a night ♥

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  1. maledimielë
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    Una luna piena e argentea spiccava sul manto scuro del cielo, costellato da diamantini di stelle. Delle luci, colorate e psichedeliche, illuminavano il parco di Hogwarts, là dove la terra incontrava le acque scure del Lago Nero. Un banchetto lungo, con una tovaglia rossa, era posto al centro della scena, vicino alla pista da ballo e al palco dove suonavano le Streghe di mezzanotte. Sul banchetto c'erano leccornie varie, tra cui involtini di Alga Branchia, dall'aspetto e dall'odore orribili, che però permettevano di ballare sott'acqua, dov'era stata allestita una seconda pista da ballo sospesa tra i pesci, le sirene e i mostri del Lago. Era evidente, tuttavia, che il posto più importante era occupato da una piramide di bicchierini colorati. Contenevano Amortentia, anche se nessuno lo sapeva. Chi li avrebbe bevuti si sarebbe innamorato all'istante di un altro degli invitati, e quell'altro l'avrebbe ricambiato, perché i bicchierini erano legati da ingredienti segreti accoppiati. L'effetto durava 12 ore: il tempo di festeggiare prima di tornare con i piedi per terra alla vita di tutti giorni.
    le coppie sono:
    1. Daphne Whiteley and William Barrow
    2. (Lydia Hadaway) Deimos Allen and Cassandra E. Zabini
    3. Deborah C. Owen and Stiles Stilinski
    4. Hope Mills and Edward L. Italie
    5. Zayn Bàs and Hanna I. Italie
    6. Jason Maddox and Maeve Winston
    7. Maya Fields and Shane Howe
    8. Claire O. Robinson and Evan Devereux
    9. Lilian Whole and Keanu Larrington
    10. Lewis Fitzegerald and Cora MacKenzie
    11. Aileen Fox & Sebastian R. Chamberlain
    12. Arthea Williams and Chad Moore
    Che la festa abbia inizio!


    Salve, players! Prima che la festa abbia inizio c'è una novità. Ossia: siete capitati in coppie gay/lesbo pur essendo etero? Avete l'opportunità, solo voi, di cambiare partner. Ma dovrete farlo da soli, mettendovi d'accordo con altre coppie simili che vogliono essere scambiate. ON gdr dovrete spiegare che mentre Tizio stava prendendo il cicchetto voi gliel'avete rubato, insomma spiegate com'è avvenuto lo scambio. Appena vi sarete organizzati, mandatemi un mp così approvo. Questo bonus è severamente vietato alla coppia Jason Maddox e Stiles Stilinski. Perchè? Perché è giusto così v.v Coppie sistemate v.v
    INOLTRE. Al termine del party le prime tre coppie che si distingueranno per originalità, simpatica, romanticità, insomma per QUALSIASI cosa le abbia rese speciali, vinceranno punti per le loro casate, e un dono segreto, che verrà svelato solo alla fine *nasconde il pacco a forma di pony ma è troppo grande e si vede comunque*
    DETTO QUESTO:
    buona role a tutti <3

    Edited by #epicWin - 16/12/2018, 14:55
     
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    darling, didn’t you know?
    souls like yours were meant to fall

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    « Non c'è fuoco né gelo tale da sfidare ciò che un uomo può accumulare nel proprio cuore.»
    Non puoi stare nel letto per sempre. Maeve Winston aveva preso quell’affermazione come una sfida, rintanandosi da occhi indiscreti sotto le leggere lenzuola del letto a baldacchino. L’afa non riusciva ad entrare fra le pietre del castello, e l’aria all’interno di Hogwarts era sempre fresca e respirabile. Maeve usciva solo quand’era strettamente necessario: lezioni, pranzi quando i crampi allo stomaco diventavano insopportabili, lunghi bagni pieni di bolle di sapone profumate. Non riusciva a dormire bene. Chi diceva che il tempo curava ogni ferita, si sbagliava. Passavano le ore, i giorni, le settimane, ma la Winston era ancora sulla cima di quella scogliera, con il braccio proteso verso qualcosa che non avrebbe mai afferrato. Ed era stata colpa sua: se non avesse salvato Barrow, a quell’ora non avrebbe pianto la morte di Liam Callaway. Ma era una ribelle, e doveva prendersi le sue responsabilità, mettendo da parte sé stessa, mettendo da parte tutto ciò che poteva nuocere agli obiettivi della Resistenza. Autoconvincersi di aver fatto la cosa giusta, non aiutava quando chiudeva gli occhi e l’espressione stupita di Liam faceva capolino nei suoi incubi. Quando il sangue si allargava sulla camicia, e lui alzava gli occhi e la guardava: sei stata tu, Winston. Come hai potuto?
    Come hai potuto? Come ho potuto? Cos’ho fatto?
    E quando le domandavano cos’avesse, rispondeva con un sorriso ed uno sbuffo esami, come se quello potesse spiegare tutto. E per chi non la conosceva se non di nome, probabilmente era così: diligente caposcuola dei Corvonero, non avrebbe stupito nessuno se lo studio l’avesse costretta tutto il giorno in camera, mentre gli altri ragazzi recuperavano il sonno perso o si dilettavano a giocare a Quidditch. Ma chi la conosceva sapeva che Maeve non aveva bisogno di studiare, perché sapeva già tutto ciò che le occorreva per superare in modo soddisfacente gli esami. Il primo anno, quando molti ragazzini erano ancora impauriti dalla novità insita nella scuola di Magia, la bionda Corvonero sapeva già almeno metà programma. Era ossessionata dallo studio, l’unico campo in cui era sicura di non poter deludere nessuno, l’unico ponte che aveva conosciuto fra sé ed i suoi genitori. Ormai anche studiare aveva un sapore diverso, come se le parole sui libri avessero perso il loro significato e fossero solamente vuoti scarabocchi sulla pergamena. Leggeva e rileggeva le stesse righe finchè non diventavano il profilo irlandese delle scogliere, finchè il silenzio non si tramutava in un mugolio sofferente. E poi il buio.
    Nessuno sapeva comprendere. Nessuno, e solo perché lei voleva così. Le piaceva crogiolarsi da sola nel suo dolore, senza interferenze, senza nessuno che le dicesse che non era stata colpa sua. Non poteva accettarlo, non poteva credere che qualcuno potesse davvero giustificare il suo gesto, non tenendo conto che per lei Callaway era.. non sapeva cos’era stato, non riusciva ad afferrare quel pensiero nell’intricata matassa nella sua testa, ma era stato qualcosa. Continuava a ripetersi che erano amici da tanto tempo, ma cominciava a sentirsi un po’ stupida. Eppure non le veniva in mente nient’altro, non.. non riusciva, come se ci fosse stata una solida barriera di marmo ad impedirle di concludere il puzzle. Vedere Aaron Sales trascinarsi in giro per il castello, non aiutava. I suoi occhi erano sempre un po’ spenti, la sua espressione un poco assente, camminava come se gli mancasse qualcosa su cui appoggiarsi, parlava di rado e quando lo faceva era per punire qualcuno. Se solo avesse saputo.
    A volte Maeve spariva senza avvisare nessuno. Aveva trovato una vecchia casa abbandonata, poco lontano da Hogsmeade; stava cadendo a pezzi, le ante della mobilia pendevano dai loro cardini con aria afflitta, travi di legno erano impilate per terra e ad ogni passo si sollevava una nuvoletta di polvere. Così aveva cominciato a distruggere tutto ciò che le passava sotto mano, indistintamente, guidata solo dall’istinto, e dalla rabbia, e dall’odio, e dalla necessità di fare qualcosa che non fosse compatirsi. Infilava le dita fra il muro e l’armadio, spingeva con quanta forza riusciva a racimolare e lo lanciava a terra, per poi depredarlo di ogni sua parte, strappando i pezzi con tanta foga da ritrovarsi a terra, le mani insanguinate e impolverate, il viso umido di lacrime che non sapeva di aver versato. Così rimaneva lì, ferma, senza asciugarle, aspettando che semplicemente si asciugassero sulla pelle. Stava impazzendo. Sentiva che quella cosa, quella vita, la stava consumando dall’interno, cibandosi di tutto ciò che di bello le era rimasto, lasciandola appesa ad un filo troppo sottile. E sapeva che nessuno avrebbe allungato la mano abbastanza velocemente da trattenerla, perché lei non l’avrebbe permesso. Si stava punendo, e forse era stupido. Forse era la cosa più sciocca che potesse fare, ma si sentiva meglio. Quando rimaneva senza forze né fiato, quando le braccia le dolevano per lo sforzo e non riusciva a pensare ad altro se non a quella spossatezza, non aveva incubi. Andava bene anche così.
    Non riusciva a sentire che la parola tempo: ci vuole tempo, ha bisogno di tempo, è passato troppo poco tempo. Tempotempotempo, quello che non bastava mai, che infame continuava a far cadere granelli nella clessidra, che pesava sia quando era troppo che quando era troppo poco, che soffocava e schiacciava e sfuggiva. Quando chiudeva gli occhi e poggiava la testa sulle ginocchia, il tempo non esisteva. Maeve Winston non esisteva.

    Guardò fuori dalla finestra, e il panorama la costrinse ad uscire dall’apatia che da un po’ di tempo appannava il suo sguardo chiaro. Troppe luci, troppi colori, troppo.. la festa. Si morse l’interno della guancia, combattuta, ricordandosi solo in quel momento della festa organizzata per la fine della scuola sulle rive del Lago Nero. Era una serata limpida, le stelle arridevano dal manto buio della notte, eppure la Winston non si sentì nemmeno un poco più sollevata, o eccitata. In cuor suo sapeva che doveva partecipare. Sarebbe stato alquanto sospetto se la reginetta dal cuore di ghiaccio (amava i nomignoli che sentiva in giro per i corridoi, specialmente quelli molto meno lusinghieri che echeggiavano nei sotterranei dei Serpeverde) non avesse partecipato al party. Nemmeno lo studio sarebbe stata una scusa soddisfacente. Ma non riusciva a convincersene, mentre con la spalla appoggiata alla parete seguiva gli ultimi preparativi. “Maeve?” Non si voltò nemmeno per guardare Lilian, troppo presa da un mondo di cui non sentiva più di far parte. Le sembrava di galleggiare, come se non appartenesse più a nessun posto. Una traditrice. “Mmmh” Rispose, assente. “Ci vediamo giù” Il tocco più leggero sulla spalla, mentre i passi della Whole si allontanavano. Maeve poggiò la testa al muro, sentendo il fresco schiarirle i pensieri, e la rabbia defluire quasi che il castello stesso lo assorbisse. Magari era così. Si trascinò sotto la doccia, e lasciò l’acqua fredda scivolare sul corpo nudo finchè non perse la sensibilità alla punta delle dita. Uscì tremando come una foglia, ma nulla a che vedere con il gelo che aveva accumulato dentro. Asciugò i lunghi capelli biondi alla bell’e meglio, legandoli poi in quello che amava definire un morbido chignon disordinato ad arte, ma che altro non era se non l’acconciatura più veloce che era in grado di fare. Ed era disordinato davvero, con qualche ciuffo che sfuggiva dietro le orecchie e dall’elastico. Tutto quello che seguì fu un insieme di azioni meccaniche, date solo dall’abitudine di gesti ripetuti mille volte: un leggero tocco di mascara sulle ciglia, una linea sottile, nera, sulla palpebra, un rossetto roseo sulle labbra carnose. Con il correttore coprì le occhiaie, e considerando lo stato di partenza ottenne un risultato più che soddisfacente. Con pigrizia si infilò all’interno di un vestitino estivo, il corpetto bianco e stretto con una scollatura a cuore e una gonna leggera che le scivolava sulle gambe lisce, azzurra. Nulla di particolarmente impegnativo per la Winston, ma ehi: bisognava apprezzare lo sforzo. Indossò un paio di sandali bianchi con un tacco vertiginoso per pura vanità, ritrovando in quel piccolo accessorio un poco della vecchia Maeve. Sperava con tutto il suo cuore che nessuno le chiedesse per chi si fosse fatta bella, perché non avrebbe risposto delle sue azioni. E se pensavano che fosse stata una stronza egoista nei sette anni precedenti, dovevano ancora vedere in cosa si era trasformata.

    Un bel respiro. Abbassò il capo, guardando le punte dei piedi, prima di uscire nel cortile. Quando rialzò il viso, un sorriso vuoto le incurvava le labbra e mostrava denti bianchi e perfetti. Accarezzò il braccio di Dalilah, sesto anno, Tassorosso, complimentandosi con lei per il bellissimo vestito. Diede una gomitata scherzosa a Jordan, accompagnando il gesto ad apprezzamenti per il papillon e la giacca elegante. Salutò da lontano, con un cenno della mano ed un sorriso se possibile ancor più entusiasta –e falso- George, Aislinn e Katherine, che sembrava non vedere l’ora di lasciare i due piccioncini alla ricerca di .. con chi usciva? Vide un ragazzo biondo poggiarle un braccio sulle spalle e sorriderle divertito, Abraham. Si avvicinò al tavolino dei drink, unico e vero obiettivo della serata, e troppo presa dai saluti verso persone di cui a stento ricordava il nome, picchiò contro un ragazzo. “Merlino, scusami.. Stiles” Concluse con un sorriso, realmente sollevata di vedere un viso amico. Stilinski riusciva a far spuntare un sorriso sincero a chiunque, indipendentemente dalla situazione. Maeve l’aveva sempre ammirato, anche se troppo spesso sottovoce. Prese un bicchiere a caso e lo alzò nella sua direzione. “Un brindisi, prefetto?” Dopo aver fatto cadere qualche bicchiere di troppo ed essersi impiastricciato la camicia, annuì allegramente. Come faceva ad essere sempre così.. entusiasta? Sapeva che per lui quella vita non era facile, e lo testimoniavano le cicatrici sul suo corpo giovane ed esile. Avrebbe voluto avere un quarto della forza che dimostrava di avere ogni giorno quel Tassorosso. Tentarono inutilmente in una mossa incrociata (“Sai, come fanno gli sposi” “Noi non ci stiamo sposando, Stilinski” “Ah no? Allora mi sono vestito elegante per niente?”), ma il risultato fu un fallimento palese. “Senti, facciamo così: io bevo dal tuo bicchiere, e tu dal mio. Sarà un po’ come la mossa incrociata.. giusto?” Domandò dubbiosa, dato che in realtà un senso vero e proprio, in quello che aveva detto, non lo trovava nemmeno lei. Stiles invece parve trovarlo, perché annuì con enfasi. “Vedi perché te sei una Corvonero ed io un Tassorosso? Oltre al fatto che il giallo a me sta meglio: senza offesa, Winston, non vorrei cioè insomma, ehi che bella luna beviamo?
    Alzò gli occhi al cielo divertita, mentre si portava il bicchiere alle labbra ed ingollava il contenuto senza farsi troppe domande.
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    Ysr0JsvI am Shane Howe
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    « non c'è cosa più divina che ********* la cugina. »


    Per Shane il tempo non esisteva, per questo i suoi sentimenti non sbiadivano e difficilmente mutavano, una volta insiti in lui. Sapeva odiare come nessun altro, a volte provare tristezza e deprimersi fino a vedere solo oscurità e senza avere più un barlume di speranza. Riusciva anche ad essere felice per qualcosa, in un modo anomalo, ma non era in grado di esternarlo. Non pensava che il tempo guarisse ogni ferita, perchè le sue, nonostante tutto, erano ancora aperte più che mai e in vista. Se solo qualcuno fosse riuscito ad andare più a fondo, a non soffermarsi sul suo aspetto e su quella maschera di freddezza che non riusciva mai a levarsi di dosso, se qualcuno avesse guardato la sua anima triste, l'avrebbe accettato comunque?
    Shane Howe era in grado di amare per sempre, senza limiti spazio temporali. Sapeva amare come pochi, lo sentiva, ma non ne aveva mai avuto l'occasione o forse non era mai stato propenso ad aprirsi a qualcuno, per paura.
    Amare qualcuno. Era sulla "Lista delle cose da fare", prima o poi, prima di morire.
    Già, innamorarsi, fidarsi. Forse, aveva letto troppi libri strani ultimamente, non erano il suo genere preferito, ma alcuni non erano così malvagi. L'amore descritto nei libri sembrava coinvolgente, esisteva sul serio?
    Shane era solo.

    Non era sabbia, di cui il vento cancellava presto ogni orma, senza lasciare traccia. Shane era marmo puro, sul quale sentimenti come dolore o gioia lasciavano un solco profondo e sempre uguale, della stessa identica, bellissima intensità.
    Prendeva come positive tutte le emozioni forti, che lo scuotevano e che erano in grado di toccarlo.
    Amava sentirsi così, sull'orlo della follia, con le parole amoreodio, gioiadolore, piaceresofferenza ad annebbiargli il cervello. Per lui la gioia era come il dolore, recepiva lo stessa, identica emozione, tramite quello che che definiva altro senso, che capiva solo lui, non potendo esternare queste sensazioni con un linguaggio compreso dagli altri. La sofferenza era indispensabile, pensava, come il piacere, per questo non avrebbe rinunciato facilmente ai momenti di puro dolore con sè stesso. Il dolore era un sentimento semplice, più del piacere che una volta cessato lasciava solo il vuoto.
    Tutti gli eventi che attraversavano la sua vita, restavano dentro di lui per un tempo troppo lungo per qualsiasi persona considerata "sana". Ricordava tutto come se fosse il primo giorno e non dimenticava niente, non era capace di dimenticare o di perdonare. Non dimenticava Anjelika, non perdonava Damian, non perdonava sè stesso per aver ceduto troppe volte.

    Erano passati sei mesi dalla morte dei genitori, eppure nel suo cuore la ferita era fresca come il primo giorno.
    Sei mesi in cui aveva smesso di parlare con Hope, in cui non si salutavano durante le colazioni in Sala Grande, nè durante i pranzi, nè alle cene, nei corridoi e alle lezioni.
    Allora, vieni alla festa? Gli aveva domandato quella mattina, con aria distaccata, come se per lei fosse un dovere invitarlo ad andarci, più che un piacere. E aveva fatto male, troppo.
    Certo! Un mezzo sorriso, non ricambiato, aveva chiuso quella breve conversazione. Non si erano nemmeno dati un orario per incontrarsi, non era più come prima, era tutto distrutto.
    "Hope, aspetta...rimani?" Non era riuscito a dirlo.
    Quell'ultimo bacio, con cui le aveva detto "arrivederci" li aveva separati, forse per sempre. Sapeva di dover essere lui a fare il primo passo, perchè lui aveva sbagliato, ma non aveva avuto il coraggio di guardarla negli occhi e dirle ciò che avrebbe voluto. Dirle scusa per essere scappato ed averla lasciata sola, per non aver passato con lei il Capodanno come facevano ogni anno, per averla baciata ed essersene andato nella foresta di Dean, senza darle una vera spiegazione. Anche non parlandole come prima, i suoi sentimenti erano intatti, non erano cambiati. Voleva bene a quella piccolina, alla sua unica vera amica. All'unica ragazza con cui amava ridere e con cui lo faceva con libertà e con sincerità. Le risate con Hope erano le più pure.

    Non era più come prima, ciò che restava era il fantasma del loro rapporto: non aveva consistenza, era vuoto.

    Voleva passare una serata tranquilla, anche se qualcosa quel giorno aveva fatto presagire sciagura. Forse perchè la sanguisuga che stava esaminando a lezione di pozioni lo aveva schizzato in faccia o forse era stato quel gufo che aveva rischiato di accecarlo appena aveva messo piede fuori dal castello, insomma, quella era una giornata negativa. Si era fatto la doccia e si era vestito con dei pinocchietti di jeans, camicia bianca a maniche corte leggermente sbottonata - per il caldo più che altro - scarpe bianche e si assicurò di avere al polso il braccialetto che gli aveva fatto Hope anni prima, non lo toglieva mai. Non voleva bere, anche se l'idea di perdersi nell'alcool, quella sera, era invitante.
    "Io sono la mia dipendenza." Ripeteva, mentre passava davanti al tavolo rosso al centro dell'area che era stata allestita per la festa. Si soffermòdinnanzi a dei drink particolari, disposti a piramide e li osservò a lungo, avevano un colore e un odore così piacevoli, così attraenti... Ne prese uno blu acceso, lo avvicinò a sè per odorarlo, sentendo l'odore dell'alcool misto a...lime? no, vaniglia? Mmmh mugolò qualcosa con aria assuefatta.
    "Io sono la mia dipendenza."
    Bevve il liquido azzurro tutto d'un fiato. Poggiò il bicchiere, che svolazzò leggero nell'aria, andando a buttarsi da solo in un cesto affianco al tavolino. Voltandosi riconobbe Maeve Winston e altri suoi compagni di scuola, alcuni professori e anche Maya, assistente di Damian. Maya, una cugina con cui aveva ben pochi ricordi condivisi. L'ultima volta che l'aveva vista - oltre che nei corridoi ad Hogwarts - era stato al funerale dei suoi genitori, a dicembre, sembrava quasi gli avesse sorriso, quella volta.
    Ripensò al tavolino delle bevande, all'alcool, alle sbronze, al non sentire la terra sotto i piedi, a staccare la mente dal corpo.
    "Io sono la mia dipendenza."
    Strinse forte i pugni e si allontanò da lì.


    made by mæve.



    Edited by shane· - 23/7/2014, 13:54
     
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    Mayne in love

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    7Tj0WqYJason "Jaz" Maddox
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    Jason era sempre stato un tipo da festa, non che fosse lo spirito dei Party che venivano organizzati, anzi, al contrario stava sempre molto in disparte, si faceva il suo drink e ballava, niente di più; ma adorava le feste, di ogni genere. Per questo motivo quando seppe che al Lago Nero si sarebbe tenuta una festa estiva, non se lo fece ripetere due volte, lui ci sarebbe stato. Anche perchè Hogwarts aveva bisogno di una festa, i ragazzi avevo il bisogno di distrarsi, di pensare a qualcosa che non fosse la battaglia in Irlanda, ai morti e alle perdite che avevano subito. Era arrivato il momento che ogni ferita venisse chiusa, cicatrizzata e magari qualcuno si sarebbe anche divertito, Jason sicuramente.
    La mattina del Summer Party decise di andare a fare compere, per mettersi qualcosa di diverso, nonostante la faccia fosse la solita, voleva apparire al meglio, quella era una festa esclusiva. Praticamente si fece il guardaroba nuovo per la serata, forse era eccessivo ma ormai l'aveva fatto, ed era anche fiero.
    Non sapeva bene l'orario del party, ma notando che i preparativi erano finiti, pensò che probabilmente era ora di andare, così dopo essersi cambiato con gli abiti nuovi decise di raggiungere il posto.
    Aspetta un attimo Si disse da solo, facendo una giravolta su se stesso con aria esaltata, tipico dei suoi momenti di follia, ecco un altro segno di quanto fosse strano, troppo spesso. Tornò indietro e con la bacchetta in mano esclamò Accio Roba! Con un incantesimo fece apparire la sua dipendenza, la cosa che amava di più sul pianeta, la droga fatta da Shane, che l'aveva chiamata Nirvana. Quel ragazzo era scontroso, sempre, ma aveva un qualcosa di particolare. Sopratutto dopo il loro ultimo incontro al Lilum...Scosse la testa al ricordo per poi farsi una dose di quella prelibatezza.
    Ohh si...molto meglio. Esordì, era finalmente pronto, carico al punto giusto per poter andare a divertirisi al ballo. Sperava di veder qualche bel visino, magari anche più di uno, magari non solo il viso.

    Una volta arrivato, ebbe l'istinto di fumarsi una sigaretta e se non fosse stato vietato lo avrebbe fatto molto volentieri ma ahimè, dovette semplicemente prendre una boccata d'aria e poi entrare. Tutto sembrava presagire a qualcosa di favoloso. Vide una piramide di bicchierini alcolici mmh.. Ci si fiondò immediatamente, assistette alla scenetta, idiota tra il tassorosso Stilinski e la Winston, la biondina corvonero, che non era niente male. Ne prese uno a caso, che sembrava dello stesso colore di quello di Maeve, ma non gli diede molta importanza, praticamente lo prese di mano a Cassandra, la sua nuova professoressa di Storia della magia, dopo Liam Callaway. Non la rispettava mai, insomma, il rispetto andava anche guadagnato, non bastava essere una professoressa, per di più così giovane e gnocca. Le sorrise Facciamo un brindisi? Domandò conscio del fatto che solo lui aveva in mano il bicchiere, lei no.
    Uno shottino e via, ora doveva solo capire come e cosa fare. Vide intorno a se la sala lentamente affollarsi, di facce anche familiare, tra cui Shane e Ophelia. La ragazza era davvero una bomba sexy, così come Daphne, semplicemente unica come sempre. Poi con lo sguardo tornò verso la bionda, caposcuola dei Corvonero. Maeve Winston, qualcosa all'istante cambiò. Non capì bene cosa stava succedendo ma fu irrimediabilmente attratto da lei - più del solito, molto di più - fu come un imprinting. Un filo invisibile sembrava legarsi da lui a lei, senza che lei lo sapesse. Così senza mai togliere lo sguardo da quella bellissima figura si avviò a passo lento verso di lei, per poterla sfiorare e parlarle.



    made by mæve.

     
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  5. »Maya
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    « Siamo creature stupide ed incostanti,con la memoria corta e un grandissimo talento per l'autodistruzione. »
    Perdere entrambi i genitori non è mai facile da superare, neanche per Maya Fields che voleva essere come una roccia. Le rocce non piangono, Maya non pianse. Le rocce non parlano, non si esprimono, Maya non parlò con nessuno riguardo alla morte dei genitori, non sfogò mai la sua rabbia a parole. Era la tipica ragazza che pur di rimanere fedele all'immagine che gli altri si erano fatti di lei non si esprimeva, non raccontava cosa provava. Non esternava i sentimenti che l'avrebbero fatta passare come una debole, ma comunque non poteva negare che i genitori erano pur sempre i suoi genitori e che sentiva la loro mancanza. Chi mai poteva fregarsene dopo la morte dei genitori? Nonostante lei fosse una menefreghista questa cosa le importava. Non pianse dopo la morte della madre, neanche dopo quella del padre, eppure una parte di lei se ne era andata con loro. Era rimasta decisamente scossa.
    Poco dopo la morte del padre morì anche sua cugina Sarah con il marito, entrambi assassinati: quanti ancora dovevano morire?
    Il rapporto tra Maya e Sarah non era stato molto intimo negli ultima anni anche perchè Sarah era molto più grande di lei e si era già fatta una famiglia; Maya però ricordava le serate che passava a casa della cugina, quando era piccola, durante le festività. Ricordava le storie che Sarah le raccontava e raccontava gli scherzi che facevano ai Mezzosangue, non avrebbe ignorato la sua morte. La Fields, quindi, trovò corretto recarsi al suo funerale - dopo la lettera di Damian che la informava dell'accaduto- perchè comunque erano, con il marito, membri della sua famiglia e, inoltre, avevano lasciato il figlio Shane solo. Completamente solo.
    Shane era suo cugino di secondo grado,più piccolo di due anni, eppure non avevano mai avuto un forte legame. Certo, si vedevano per la sala comune dei Serpeverde quando lei non aveva ancora finito scuola, si salutavano e si scambiavano quattro chiacchiere ma niente di più e molto raramente. Maya aveva i suoi amici mentre lui aveva i suoi, non c'era mai stato un interesse di partecipare alla vita dell'altro. Alla Fields andava bene così e forse anche a Shane; il fatto era che, con la morte dei genitori del ragazzo, lei provò un certo affetto -o qualcosa di simile- nei suoi confronti; si rispecchiava molto nella sua situazione e avrebbe voluto stargli vicino e consolarlo ma, stare vicino alle persone e consolarle non era il suo forte. Al funerale si limitò a sorridergli, forse per dargli coraggio ma non era certa di esserci riuscita.

    Dopo il funerale passò diverse settimane in solitudine, per riflettere un po' e riprendersi dai lutti. Si sentiva costantemente instabile, fuori posto e terribilmente sola. L'occasione buona per riprendersi si presentò al termine dell'anno scolastico ad Hogwarts, quando, dopo un anno intero dopo la fine del suo percorso scolastico e il primo anno di assistenza al professore e cugino Damian Icesprite, fu invitata a partecipare al party organizzato sulle sponde del Lago Nero. Di certo un po' di divertimento non le avrebbe fatto male, no? Scacciò via la pigrizia e i pensieri che le corrodevano l'anima e quella sera si preparò per il party, sperando che non si rivelasse una perdita di tempo.
    Si buttò nella vasca da bagno, dove ad aspettarla c'era una grande quantità di schiuma e un'acqua calda e accogliente. Lì immersa pensò a come sarebbe andata la serata, si sarebbe divertita? O si sarebbe annoiata osservando quelli più piccoli ballare? Dopo averci pensato un po' decise che, anche se si fosse annoiata, voleva essere la più bella annoiata di sempre: non passare inosservata, ecco. Sarebbe andata alla festa comunque, almeno non sarebbe rimasta casa come al suo solito. In quel periodo odiava la monotonia, voleva cambiamenti, novità e vivere esperienze diverse. Odiava alzarsi sempre alla stessa ora, fare sempre le stesse cose senza sorprendersi ed entusiasmarsi mai di nulla e arrivare a sera senza poter essere soddisfatta delle giornata passata. Per cui uscire l'avrebbe fatta uscire dalla sua classica monotonia.
    Una volta fuori dalla vasca iniziò a prepararsi per la serata: indossò un abito corto e bianco con la schiena aperta e il petto coperto da uno strato di pizzo velato che le stava a pennello. Si raccolse i capelli in una delicata acconciatura bloccandoli con una spilla argentea a forma di fenice, voleva mostrare gli orecchini nuovi grandi e argentati, comprati per l'occasione e, per farlo, doveva avere i capelli raccolti. Si truccò con attenzione usando il mascara e l'eyeliner nero, infine si passò sulle labbra un rossetto rosa cipria. Non voleva sembrare ridicola con un rossetto di un color esagerato ed inadeguato, quella rosa cipria era perfetto: non troppo nè troppo poco. Infine indossò un paio di scarpe bianche con il tacco, aperte davanti, si mise una smalto trasparente sulle unghie sia dei piedi che delle mani e poi si specchiò. Il riflesso non la deluse e rifletté il suo sorriso compiaciuto del risultato. Sta sera dovrò divertirmi. Devo divertirmi.

    Raggiunse Hogwarts quando vi erano ancora davvero poche persone al party, qualche professore e alcune ragazze più piccole di lei che chiacchieravano o meglio, spettegolavano con un volume della voce molto alto. Le solite oche. Le guardò allontanarsi e le studiò attentamente: vestitini corti con colori sgargianti, scarpe e accessori di altri colori che non vi si abbinavano per niente e il rossetto rosso messo con poca attenzione, che aveva lasciato il segno anche sui denti. Le venne quasi da ridere, ma come potevano uscire in quello stato? Un po' di eleganza, un po' di femminilità! Sembravano piuttosto delle sgualdrine, sperava solo che non vi fossero solo individui del genere. Si guardò intorno alla ricerca di un viso famigliare e scorse Maeve Winston, Corvonero, parlare con un Tassorosso. Sapeva benissimo chi era la Winston, chi non conosceva la famosa "Reginetta dal cuore di ghiaccio"? Ma a Maya non era mai stata simpatica, riteneva che avesse sempre l'espressione da: "Oggi mi è morto il gatto e ho questa faccia. ", osservò il ragazzo accanto a lei ma non gli diede tanta importanza anche perchè intravide Shane Howe. L'ultima volta che lo aveva visto fu al funerale dei genitori, guardandolo si rese conto che era cresciuto: aveva un'espressione più dura, diversa da quella che ricordava. E' inevitabile cambiare dopo la morte dei genitori, c'è qualcosa che ci scatta dentro e ci fa diventare persone diverse. Il ragazzo teneva in mano un bicchiere contenente un liquido blu, era curioso. Poi lo bevve tutto d'un fiato appoggiandolo sul tavolo, Maya distolse lo sguardo dirigendolo prima verso al banchetto su cui stavano diverse ghiottonerie a cui, però, non diede tanta importanza perchè avevo occhi solo per il tavolo dei drink, dove si trovava Shane, su cui stava una piramide di bicchieri colorati. Che roba era? Sembravano invitanti con quei colori così accesi. Sicuramente si sarebbe annoiata ma forse, con un bicchiere o due, la serata si sarebbe dimostrata più interessante. Chissà. Tanto vale tenare. Una volta raggiunto il tavolo, a pochi centimetri da Shane che si volse un attimo a guardarla, con nonchalance Maya prese il bicchiere di un blu acceso e -prima che uno dei due potesse aprir bocca- lo bevve tutto d'un sorso.

    Il liquido era terribilmente dolce e la Fields fece una smorfia dopo averlo ingerito. Davvero troppo dolce per i suoi gusti e poi aveva un odore forte, strano. Quasi famigliare. Si pulì le labbra con un tovagliolo preso sul tavolo e appoggiò il bicchiere ormai vuoto. Si aspettava avesse un sapore simile all'alcool e invece non aveva niente a che fare con quello. Peccato. Volevo divertirmi. Strano come Maya trovava divertente ubriacarsi, dire parole su parole senza rendersene conto, perdere il controllo di sè e bere fino a stare male. Eppure era quello che trovava divertente, era quello che voleva in quel momento: affogare nell'alcool. Non ricordare, non pensare. Aveva scelto la bevanda sbagliata perchè quel liquido era tutt'altro che un alcolico e, a momenti, sarebbe stata sotto al suo effetto.
    Dopo essersi accorta che c'era Shane Howe a guardarla -anche dopo aver fatto la smorfia- si sentì arrossire e ricambiò lo sguardo alzando un sopracciglio e sorridendo. Voleva dirgli qualcosa, o meglio, tante cose, eppure non disse nulla e si limitò a guardarlo. Gli occhi scuri e truccati osservarono meglio il Serpeverde: si accorse che, oltre ad essere cresciuto, era diventato bello. Ora agli occhi di Maya era un uomo, dai capelli rossi, gli occhi apparentemente grigi ma con tracce di un verde chiaro e lo sguardo fugace. Il piccolo Shane non era poi più così piccolo.
    19 • z103gQs • Mangiamorte
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    Edited by »Maya - 26/7/2014, 12:37
     
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  6. boogieman;
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    « Just a good guy always in the wrong place, always at the wrong time. »
    "Seb, smettila di tentarmi, che devo studiare! Qua come minimo mi ammazzano, se mi faccio bocciare!"
    Quelle parole echeggiavano nella mia mente da ore ormai: dovevo capirlo da subito che quella serata era nata sotto una cattiva stella. Perchè è una cosa assurda, contro natura, vietata dalla legge, probabilmente, che io debba cercare di convincere mio fratello ad andare ad una festa.
    E il fatto che lui fosse stato irremovibile nel suo rifiuto? Avrei creduto più probabile che una Puffola Pigmea gigante piovesse dal cielo e cominciasse a divorare tutti gli studenti di Hogwarts. Magari cominciando dai piani bassi, cosìcchè i Corvonero, dall'alto della torre più alta del castello, avessero il tempo di inventarsi qualcosa e salvarsi!
    Comunque, Jamie o non Jamie, ormai ero più che deciso: ultimamente vivevo solo ed esclusivamente per la scuola e la cosa mi aveva decisamente stancato. La mia vita poteva riassumersi in tre parole: studio, ronde, esercizi extra di Incantesimi utili in battaglia. Anche se nell'ultimo caso, in realtà, si tratta di un sintagma, non proprio di una parola, ma non stiamo a fare i pignoli.
    Senza contare che erano giorni che non avevo uno dei miei attacchi di rabbia: o meglio, io sono sempre arrabbiato - non sarei io, se non lo fossi! -, in realtà, ma era da un po' che non provavo l'ardente desiderio di poggiare delicatamente il palmo della mia mano dietro la nuca di qualcuno e di sbattere violentemente la sua testa contro il muro più vicino. Anzi, quel giorno mi sentivo persino di buon umore!
    Insomma, era arrivata l'estate e non ero più costretto a indossare quei pesantissimi e fastidiosissimi maglioni: il tempo era un po' afoso e umido, certo, ma era sopportabile, tutto sommato.
    E poi i Corvonero erano al primo posto: il numero degli zaffiri nelle clessidre della Sala Grande surclassava quello di qualsiasi altra gemma, riempendomi il cuore di soddisfazione e orgoglio. Eravamo la casata meno numerosa, ma ci stavamo dando da fare tutti al massimo. Inoltre, era da un po' che non ero costretto a raccogliere un primino fluttuante, vittima del Levicorpus di qualche Serpeverde un po' troppo sicuro di sè. Per quale ragione avrei dovuto essere furioso? Andava tutto alla grande! Più o meno.
    Insomma, non mi lamentavo: l'unica cosa che un po' mi infastidiva era la spirale di routine e staticità nella quale la mia vita sembrava essersi bloccata ma, con un po' di fortuna, a quello avrei presto posto rimedio. Quale posto migliore per conoscere nuova gente di una festa? Insomma, i quindicenni babbani vanno sempre alle feste, quindi dovrebbe essere divertente, no? Per lo meno, era quello che speravo dopo l'ennesimo cambio di vestiti: era snervante dover cercare nel proprio armadio qualcosa che mi facesse dimostrare più di dodici anni. Perchè, per volontà di Merlino e di tutti i santi Cavalieri della Tavola Rotonda, io ero il gemello intelligente, ma non quello muscoloso. Insomma, non che stessi riconoscendo di essere meno bello di Jamie - perchè diciamocelo, è una pura fesseria -, ma avevo perso altri tre chili nelle ultime due settimane ("Mamma, dì alla psicologa di smetterla di mandarmi dieci gufi a settimana: mangio come una manticora, non hai idea di che fame ho, con questi esami!"), con il risultato di sembrare meno salubre di Nick Quasi-Senza-Testa. E lui è un fantasma quasi senza testa!
    Alla fine, mi arresi all'evidenza che mai e poi mai avrei trovato qualcosa che mi facesse sembrare meno che molto magro, quindi mi buttai su un outfit sportivo: maglietta a righe bianche e nere, giacca di pelle, jeans scuri e sneakers. Fosse per me sarei anche rimasto in divisa, ma, ricordai a me stesso, che quella era la serata in cui niente mi avrebbe portato a pensare al dovere: ero un semplice studente che voleva divertirsi. Maledizione, ho sbagliato: studente, studio, scuola. Niente scuola stasera Seb, ma sei idiota?
    Sospirai, mentre pensavo che forse mia sorella aveva ragione a dire che ero un caso disperato. Impugnai la bacchetta e la agitai velocemente in direzione delle pile di vestiti che si ergevano sulla superficie del mio letto: uno dopo l'altro, i capi di abbigliamento finirono dentro il baule, che si richiuse con un sonoro schiocco. Soddisfatto, mi diressi verso lo specchio per finire di sistemarmi: mi passai una mano fra i capelli, mentre osservavo il mio riflesso. Se possibile, oltre a dimagrire a vista d'occhio, stavo diventando più pallido del solito e pesanti segni bluastri mi cerchiavano gli occhi. "Quando si dice, la bellezza esteriore riflette quella interiore. Anche se, in questo caso, sarebbe meglio dire il contrario" sussurrò una vocetta stridula, nella mia testa. Non che sentissi voci che mi dicessero di sterminare chiunque - pazzo sì, ma fino ad un certo punto! -, ma qualche volta, mi sembrava quasi che ci fosse qualcuno a ficcare a forza nella mia testa pensieri che, se fosse stato per me, avrei volentieri fatto evanescere. Sentii tutto l'entusiasmo provato fino a pochi minuti prima defluire, come sangue da una ferita appena inferta: era inutile sforzarsi di credere che, tutto sommato, così male non ero. Perchè lo ero: sarà troppo da ragazzina anche solo pensarlo, ma guardarmi allo specchio stava diventando praticamente insopportabile. - Merlino, Sebastian, se nonno potesse vederti, quante te ne direbbe! - mormorai, scuotendo la testa. Non che me ne fregasse veramente qualcosa di quello che pensava quel vecchio imbecille, ma il solo pensiero del suo tono roco e carico di disprezzo verso il mondo intero bastò a riscuotermi dal torpore in cui stavo cadendo: se avessi permesso alla tristezza di assalirmi, a quella festa non ci sarei andato più, mi conoscevo fin troppo bene. Mi diressi verso il mio comodino, alla ricerca di un piccolo flaconcino scintillante: al suo interno, tante piccole sfere colorate tintinnavano allegramente. "Mi raccomando, Sebastian: ti accontento e ti do dei medicinali più forti, ma non devi assolutamente prenderne più di due al giorno!" Potevo quasi sentirla, la voce della Guaritrice mentre mi ammoniva, nello scintillante e freddo candore del suo ambulatorio. - Aguamenti. - sussurrai, puntando la bacchetta verso il bicchiere che tenevo appoggiato sul mobiletto, in caso avessi avuto bisogno di bere dopo essermi svegliato da un incubo. Infine, aprii il flaconcino e lo inclinai verso il palmo della mia mano: cinque pastiglie colorate rotolarono giù dall'apertura. - Alla sua salute, Dottoressa Sullivan! - esclamai, sebbene fossi solo, mentre mi portavo tutte e cinque le pillole alle labbra e le mandavo giù con l'acqua, in un solo boccone. Chiusi gli occhi e aspettai: se quelle pillole erano forti come diceva la Sullivan, non ci sarebbe voluto molto prima che facessero effetto. Non so bene quanto tempo restai in quella strana situazione: in piedi accanto al mio letto, con gli occhi serrati e la bocca leggermente dischiusa. Ma dopo un po', uno strano senso di leggerezza si materializzò al centro del petto, cominciando ad espandersi: non so perchè, ma mi fece pensare all'elio che penetra in un palloncino babbano, gonfiandolo e facendolo fluttuare in aria. Quando la sensazione arrivò alla testa, non ricordavo nemmeno il motivo per cui, fino a qualche minuto prima, ero così triste: e così, quando riaprii gli occhi, la prima cosa che vidi di fronte a me fu il mio riflesso. Questa volta, sorrideva beffardo e vagamente capriccioso: per lo meno per qualche ora, ero sicuro di averne abbastanza del perfettino so-tutto-io che ero diventato.

    Stavo. Alla. Grande. Era tutto quello a cui riuscivo a pensare, mentre mi dirigevo a passi svelti verso il Lago Nero: non ebbi nemmeno bisogno di chiedere indicazioni per capire dove dirigermi, perchè, beh, la musica era talmente alta da essere percepibile fin dal castello! Non ci misi troppo ad arrivare: sembrava che qualcuno fosse già arrivato. - Mh, che schifo! - sbottai, osservando le cinque allegre vecchiette che si dimenavano sul palco, scatenate. Non che avessi niente contro le vecchiette rockettare, ma insomma, che schifo! Mi guardai un po' intorno: dovevo togliermi dalla mente l'immagine terrificante di anziane signore che mi rapivano per improvvisare uno spogliarello, quindi cercai di concentrarmi, alla ricerca di qualcuno di mia conoscenza. Rivolsi un sorriso smagliante e un'occhiolino alla mia Caposcuola Corvonero preferita - nonchè unica, ma perchè dovete sempre rompere con questi dettagli? -, mentre mi dirigevo verso quella che, al momento, era la più grande attrazione della festa: il tavolo degli shottini. Mi fermai per un secondo, bloccandomi ad un passo dalla meta, con il braccio già disteso verso uno di quei bicchierini colorati: avevo appena assunto una dose di farmaci da far avere le allucinazioni ad un ippogrifo. Cosa avrebbe detto la mia Guaritrice, se mi avesse pure visto berci sopra? Mi veniva in mente un'unica possibile risposta: datti una mossa, stupido moccioso, che il secondo giro lo offri tu! Inutile dirlo, sul mio viso si dipinse un sorrisone a trentadue denti. - Scusa, amico mio, ma questo lo prendo io! - esclamai soddisfatto, strappando il bicchiere pieno di liquido colorato dalle mani di un ragazzo appena arrivato. - Potrebbe essere avvelenato, sai? Sono un Prefetto, è mio dovere assicurarmene. Non ringraziarmi, ti voglio bene anche io! - Stavo quasi urlando, ero troppo su di giri, mentre ingoiavo tutto di un fiato il liquido rosso fuoco. Mi aspettavo di sentire il bruciore che ricordavo da quando, due anni prima, mio fratello mi aveva fatto bere del Whiskey Incendiario per scommessa, e invece no: gelato alla pesca. Quello shot sapeva di gelato alla pesca: il mio preferito, da sempre. Praticamente, si tratta dell'unica cosa che mangerei a tonnellate, senza essere in grado di fermarmi.
    Avrei dovuto preoccuparmi? Perchè mai, diamine? Quello era solo un bicchierino gentilissimo che aveva indovinato i miei gusti! - Ah, amico mio, tu sì che mi conosci bene! - esclamai soddisfatto al piccolo oggetto di vetro. Ero indeciso se andarmene subito o prima leccare quell'oggettino per bene, in modo da non lasciare nemmeno una goccia di liquore gelato, quando successe. Mi girai di scatto, come ero solito fare quando mi guardavo intorno per accertarmi di non essere osservato mentre facevo cose strane, e, all'improvviso, tutto quello che vedevo era una chioma rossa come il fuoco. Ero attratto da lei, innegabilmente, come se fossimo uniti da una corda invisibile che collegava i nostri cuori: mi sembrava di muovermi verso di lei come chi è sempre vissuto nelle tenebre si muove verso la luce. Come il polo nord di una calamita si muove verso il suo polo sud. Come un piccione viaggiatore si muove verso le briciole di pane.
    E in quel momento, mentre pensavo a quelle peotiche metafore, presi la mia decisione: entro la fine della serata la ragazza con i capelli di fuoco sarebbe stata mia.
    15 • eFp8unq • Neutrale
    winston,©


    Shot fregato a Deimos u_ù
     
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  7. It's a magic red!
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    Mangiamorte • 15 • Serpeverde
    Aileen Fox


    Quella sera, proprio sul Lago nero, ci sarebbe stata un grande Summer Party in cui tutta la scuola avrebbe ballato a suon di musica e fatto baldoria come non mai. Aileen era molto eccitata, come tutti del resto, dato che in quei tempi bui, di gloria per lei, le risate e il divertimento erano sempre stati messi da parte. Era stata una di quelle che aveva provedduto a che gli studenti arrivassero lì e non sapessero nulla di come era organizzata la festa, giusto per dare un pizzico di curiosità alle loro menti curiose. Sale e scendendo per le scale intenta nei vari controlli, si imbatte in alcuni ragazze che avevano in mano i vestiti che avrebbero indossato quella sera. Aileen con un sorrisino beffardo e velenoso si avvicinò ai ragazzini, undicenni probabilmente e incrociò le braccia al petto. Loro si bloccarono davanti a lei e la osservarono incuriositi. Non si sarebbero mai aspettati che quello che presto avrebbe detto, li avrebbe azzittiti per sempre.
    'Bhè, piccoli, sapete. . . le ragazze al giorno d'oggi non badano ai vestiti! Vi guardano quello che a voi, deve ancora crescere! Indicò alla cerniera dei pantaloni, e poi scoppiò a ridere. Loro, per tutta risposta, sene andarono molto dispiaciuti e quasi in lacrime. Non era stata una delle sue battute migliori e li osservò per tutto il tempo.
    ' Che ho detto di male?' Disse allargando le braccia per poi fare spallucce. Salterellando verso la sua sala comune, i capelli ondeggiavano nel vento che entrava dalla finestra e una volta a "casa", nella sala non si parlava d'altro. Le ragazze sopratutto, parlavano di quello che avrebbero indossato e i ragazzi, delle ragazze che avrebbero adescato. Uno del quarto anno indicò in modo continuo Lena, che per tutta risposta gli alzò un bel dito medio. Alcune sue amiche le domandarono cosa avrebbe indossato, in effetti non lo sapeva ancora, ma sicuramente qualcosa di fine. Dopotutto lei non avrebbe mai e poi mai fatto il bagno, a causa della sua paura per l'acqua in generale. Quindi verso una certa ora salì nel dormitorio e si lavò con cura i capelli, strofinandoli bene e tamponandoli con creme per non renderli secchi. Uscita dal bagno si mise seduta davanti l'armadio e, alla fine, optò per unvestitino azzurro, molto delicato e corto fin sopra al ginocchio. Lei era una bellezza classica e graffiante e certamente non aveva bisogno di scollature per mostrarsi sensuale. La sua scelta era stata molto selettiva, dato che lei aveva vestitini più o meno su quello stampo. Così verso sera, scese giù al Lago nero per unirsi ai suoi compagni a festeggiare. Era tutto magnifico, questa volta era stato fatto davvero un bel lavoro, e la prima cosa che l'attirò, furono i cicchetti su di un bancone. Una ragazza in particolare ne aveva preso uno e lo stava per bere, e sarebbe stato proprio quello, quello che desiderava lei e che avrebbe preso. Avevano un gusto migliore i cicchetti sottratti al proprietario.
    Scusami tesoro, ma questo è più adatto a me! Lo ingoio con un sol boccone e per qualche secondo gli girò la testa, sembrava realmente stralunata. Vagando per i tavoli annoiata, un colpo al petto le venne nel momento in cui incrociò lo sguardo di un ragazzo dai capelli corvini e gli occhi azzurri. Era bellissimo e sexy nel suo piccolo, ma le ispirava sesso a volontà. Con passo lento senza staccargli gli occhi di dosso gli si avvicinò, guardandolo intensamente. Una volta faccia a faccia, lo tirò a se per il colletto mettendolo naso contro naso con il suo.
    Io, tu noi. Stasera tu sei mio! Ancora attaccati naso a naso, Aileen gli guardò le labbra carnose e decise proprio in quell'istante, che sarebbero state sue.

    -jaime©



     
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  8. Deborah;
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    « Non era il principe azzurro delle fiabe. A volte cercava di esserlo, ma a me piaceva di più quando il castello si disfava. »
    Avete presente le persone che vi dicono "Descriviti con una sola parola."? Ecco, quelle persone rimangono sempre sorprese dalla risposta di Deborah. Intanto come diavolo ci si può descrivere in una sola parola? Siete persone! Le persone hanno dei sentimenti, talvolta provano amore, talvolta odio, disprezzo, invidia, tenerezza o tristezza. Anche tanti altri sentimenti. Quando una persona è triste, non è solo triste, è anche delusa oppure si sente sola. Quando qualcuno è felice, non è solo felice ma forse è anche emozionato per qualcosa. Capite? Non si prova solo un sentimento, forse uno risalta più degli altri ma si prova di più. Quindi, anche come persone, non vi potete descrivere con una sola parola. Ma neanche con tre. Un giorno vi sentite forti, invincibili perchè avete preso un bel voto a scuola e allora se vi dicono: "Descriviti con una parola." voi rispondete " Forte." ma non è la vostra descrizione, quella è la descrizione di come vi sentite quel giorno. Il giorno dopo magari vi muore il gufo, come rispondete? Tristi. Ma non siete solo tristi, vero? Magari siete anche incazzati perchè quel gufo l'ha ucciso qualcuno a cui state antipatici e non è giusto, vero? Perchè prendersela con un gufo? Eppure non si può far nulla per tornare indietro, ormai il gufo è morto. E allora cosa sentite? Rimpianto. Rimpiangete quella volta in cui non siete usciti a trovare il vostro amato gufetto, a passare gli ultimi attimi insieme. Magari eravate anche affezionati a questo gufo perchè vi ha accompagnati fin dal primo anno ad Hogwarts, quindi vi manca. Quindi siete: incazzati, tristi, rimpiangete i momenti con il vostro gufo e vi manca. Visto quante cose provate, quante cose siete? Già quattro, ma possono essere di più. Incazzatura. Tristezza. Rimpianto. Mancanza. Non basta una parola per descrivervi, ci vuole un testo ben scritto e forse neanche quello. Le persone sono mille emozioni, sentimenti, storie, pensieri e sogni diversi. Una parola non vale niente.
    "Deborah descriviti con una parola."
    "DeborahCrystalOwen, l'unica ed inimitabile."

    Poi basta un sorriso e la risposta è perfetta, la Owen sapeva cavarsela. Dopo aver assunto le sembianze di un'altra ragazza però, si sarebbe descritta come "Un punto di domanda." perchè quel corpo che non le apparteneva, inizialmente, le aveva creato un forte disagio e si era trovata in una crisi d'identità apparentemente infinita che, però, nel corso di alcuni mesi, era riuscita a superare. Ora era tornata ad essere "DeborahCrystalOwen, l'unica ed inimitabile." e addirittura sorrideva. Anzi, a dire la verità lo faceva più spesso di prima. Forse trovava giusto sorridere anche se aveva perso i genitori, infondo era quello che avrebbero voluto. Avrebbero voluto che lei continuasse a vivere la propria vita, aveva solo 16 anni e quell'età -le dicevano- era una delle migliori: non voleva sprecarla.

    Deborah alle cinque di pomeriggio si trovava a letto, nel dormitorio dei Grifondoro a leggere " Il grande Gatsby" l'autore era un babbano. La passione per i libri l'aveva avuta fin da piccola, quando aveva appena cinque anni imparò a leggere ma -ovviamente- leggeva libri per bambini e come tutti i bambini del mondo dei maghi conosceva bene le Fiabe di Beda il Bardo; a dieci anni si recò in una libreria a Diagon Alley, non vi erano tanti clienti ed era ben nascosta dalla via principale che tutti frequentavano, in questa libreria tenevano anche libri di autori babbani molto famosi: Agatha Christie, Lev Tolstoj, William Shakespeare, Francis Scott Fitzgerald e molti altri. Deborah ne comprò uno e da allora si appassionò della letteratura dei babbani, la trovava così interessante, affascinate e diversa dal mondo da cui proveniva. Quindi quel tardo pomeriggio leggeva il suo bel libro nel letto, indossava vestiti comodi senza accorgersi che, il party che si sarebbe tenuto la sera sulle sponde del Lago Nero si stava avvicinando. "Deborah Crystal Owen! Cosa fai vestita così ancora nel letto? Non mi dire che sta sera non ci sarai sennò ti strappo i capelli uno a uno." Le disse la sua amica Jane già tutta in ghingheri per la serata. In effetti la rossa se ne stava quasi dimenticando, ma visto la minaccia dell'amica appoggiò il libro sul comodino fatto in legno di quercia e, pigramente si mise in piedi. "Sì che ci vado Jane. Non vedi che son già pronta?" le fece l'occhiolino e si girò su se stessa per mostrare all'amica com'era vestita: pantaloni larghi del pigiama con dei muffins disegnati e una felpa sopra con scritto "Free hugs!", i capelli lunghi e spettinati che le cadevano sulla schiena. Dopo lo sguardo di disapprovazione dell'amica aggiunse "Okay. Ho capito. Adesso mi preparo." e così fece. Raggiunse i bagni dei prefetti senza farsi beccare e si fece un bel bagno, con la schiuma e le bolle di sapone che volavano nell'aria. Si rilassava così tanto in quel luogo che avrebbe voluto restarci per sempre, poi, però i pianti di Mirtilla Malcontenta non li poteva sopportare per tanto tempo per cui, dopo essersi ben lavata uscì e raggiunse il dormitorio dei Grifondoro vestita con abiti normali: si sarebbe cambiata nella stanza. Cosa poteva mettere? Non ci aveva ancora pensato. Solitamente si preparava settimane prima l'abbinamento e il vestito adatto eppure questa volta non aveva pensato ancora a niente. Sbuffò e aprì il suo baule dove vi erano piegati una decina di vestitini, cinque o sei magliette -la maggior parte poco eleganti-, una camicia bianca, due gonne e tre paia di pantaloncini. Cosa mi metto? Tirò fuori tutti i vestiti dal baule, li buttò sul letto e li osservò per un attimo. Poi optò per un vestitino corto e bianco, senza spalline. Indossò un paio di scarpe con il tacco, non troppo esagerato sennò non sarebbe riuscita a ballare. Semplice ma graziosa. Si asciugò i capelli che profumavano di vaniglia e li tenne sciolti in modo che le cadessero lungo la schiena, sorrise al suo riflesso, magari avrebbe passato una bella serata. Magari. Indossò anche i suoi orecchini preferiti: pendenti con i diamanti. Infine si truccò gli occhi con il mascara e le labbra con un rossetto rosso scuro, badando bene a non sbavarlo. Okay, ora sono pronta.

    Al Lago Nero la festa era appena iniziata, c'erano diversi studenti più piccoli che si scatenavano in pista al ritmo di quella musica che a Deborah più che piacere, faceva ridere e quindi le scoppiò un piccola risata divertita. Solo la presenza delle Streghe di Mezzanotte la rendeva felice, bastava poco a dire la verità. Camminò diritta verso il banchetto più vicino, dove stavano i drink. Deborah non si era mai ubriacata e non le interessava nemmeno farlo, la trovava una cosa stupida perchè si divertiva anche senza bere, ma purtroppo era una delle poche che la pensava così. Intravide Maeve Winston e Stiles Stilinski a pochi metri da lei bere una bevanda strana dal colore acceso. Maeve era più grande di lei ma la trovava terribilmente bella e la ammirava, ha sempre pensato che fosse una ragazza particolare, da conoscere, eppure non le aveva mai parlato. Poi c'era Stiles per il quale aveva una cotta fin dal primo anno ad Hogwarts, non erano sentimenti forti perchè non pensava sempre a lui, soltanto che quando lo incrociava per i corridoi le sarebbe piaciuto restare lì con lui, a sentirlo ridere e fare le sue battute. Lui conosceva la Deborah con i capelli scuri, non quella rossa attuale, quindi, in quel momento, era una sconosciuta per lui e salutarlo sarebbe stato solo che imbarazzante. Per cui prese una bevanda che era sul tavolo, color rosso acceso -quasi fluorescente- e la bevve. Senza dubbio non era alcolica, e sorrise contenta. Si leccò le labbra assaporando quel dolce sapore che le aveva lasciato il liquido. Poi alzò lo sguardo e l'unica cosa che riuscì a vedere era la risata -o meglio- il sorriso di Stiles, non sentiva più la musica. C'era solo Stiles e il suo sorriso-risata. Continuando a leccarsi le labbra continuò a fissarlo, con il sorriso da incantata stampato in faccia. Forse i sentimenti che provava per lui erano più forti di quanto pensava.
    16 • uXeSUhC • Neutrale
    winston,©


    Edited by Deborah; - 24/7/2014, 00:45
     
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  9. ~lucas
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    « l'amore è un angelo travestito da desiderio »
    Giornata bellissima, il sole splendeva alto nel cielo e le rondini annunciavano la primavera, mentre un incavolato ragazzo bestemmiava di brutto contro dei maledettissimi gufi che gli avevano cagato addosso.
    Esattamente: due gufi, due, gli avevano cagato addosso sporcandogli la divisa e i suoi bellissimi capelli.
    Si dava il caso che quel ragazzo ero io. Mai mi era capitato di essere cagato da ben due uccellacci stramaledetti. Li avrei uccisi, loro e tutta la loro famiglia. Me lo ripetevo mentre ero sotto la doccia.
    Quella era proprio una giornata no.
    Inoltre, aveva dovuto studiare un libro scritto in microscopianese* ed ero stressato per via dei M.A.G.O. Sti esami!, a cosa servivano, per l'amor di Morgana e tutti i maghi che le furono graditi!?
    A proposito di Morgana, lei li aveva fatti gli esami? No, ma alla fine è diventata famosissima. Allora, a che diavolo servono gli esami?
    A farti perdere tempo, a farti stressare, a farti provare il secondo prima del suicidio, a farti ubriacare come se non ci fosse un domani. Ecco a cosa servivano.
    Fortunatamente, a volte la scuola era intelligente. Molte volte, infatti, mi stupivo di quanto la scuola stessa fosse rimbambita, ma stavolta aveva capito una cosa: che a noi studenti ci serviva un attimo di tranquillità. Per questo avevano organizzato il Summer Party. E io?
    E quando mai s'era visto Lucas Italie non partecipare ad una festa? Mai. Era come dire che Malfoy avesse appena deciso di offrirci dei cioccolatini o che Lewis avesse appena incendiato la biblioteca.
    E poi mi serviva, un po' di svago, dopo gli ultimi avvenimenti: la morte di mia madre, la scoperta di mia sorella, Arthea. Cavoli, avevo tantissime cose a cui pensare, come se non bastassero le dure lezioni e gli esami!
    Per questo mi ero fatto una bella doccia -soprattutto per levarmi la cacca dei volatili dai capelli, ovviamente- e ne ero uscito che odoravo un buon profumo di aloe, un profumo che si avvertiva solo a distanza ravvicinata. Mi sistemai la barba -era uno spavento!- e i capelli.
    Poi dovetti passar ai vestiti. Mio Dio, non sapevo cosa mettermi.
    Alla fine optai per il semplice: dei jeans scuri, una camicia bianca e sopra un leggerissimo gilé nero (x). Era stato l'ultimo regalo di mia madre, l'avevo messo solo per quello, senza pensare se sarei risultato bello.
    Alla fine il risultato non era niente male, anzi, mi piaceva come stavo. Mi misi qualche braccialetto, un orologio elegante al polso e uscii. Ovviamente dopo essermi dato un'altra o.sistemata ai capelli.

    Bravo Lucas, sorridi e pacca sulla spalla. Sorridi e saluto da lontano. Sorridi e non-sai-chi-diavolo-è, ma lui ti sta sorridendo.
    Merlino, non sapevo che ci sarebbero stati anche dei non studenti. Non dico professori, dico gente fuori da Hogwarts. Riconobbi molti amici di mia madre, mangiamorte conosciuti e rispettati.
    Oh, santissima e benedettissima Morgana, quanta formalità! E io che volevo divertirmi. Mi allontanai dal palco della band per avvicinarmi al un tavolo in cui spuntavano bicchieri dall'aspetto invitante. Sembravano chiamarti: “Ragazzo, vieni a gustarmi!”, attiravano l'attenzione per il modo in cui erano disposti, a piramide.
    E io lo feci: mi avvicinai a quel tavolo, presi un bicchiere a caso e lo gustai, voltandomi verso la folla. Ne presi uno color arancione del miele, appena me lo portai alle labbra, constatai triste che non era alcolico. Anzi, era dolcissimo come il miele e buonissimo. Lo degustai a fondo, fino a finirlo tutto.
    Mi voltai nuovamente per posare il bicchiere sulla tovaglia rossa, ma il mio sguardo fu catturato da una persona.
    Amore. Amore? Mi ero innamorato? Merlino.
    Avevo mai provato il vero amore?
    Uno che quasi ogni fine settimana andava a letto con una ragazza diversa poteva amare? Poteva dire “Io ho amato ogni notte”? No, decisamente no, questo no. Ogni notte no.
    Potevano considerarmi quello che volevano: porco, donnaiolo, ma io la pensavo così. L'amore non può essere un sentimento che si ripete ogni notte per ragazze diverse.
    Quindi non avevo mai provato il vero amore... forse no... Ma quella ragazza...
    Com'erano dolci e belli i suoi lineamenti! E il suo volto...! Quel sorriso dolce e dai denti bianchi come l'avorio! La fissai come un bambino fissa la Nutella che si trova lì in alto: irraggiungibile.
    Scossi la testa. Hope Mills non era irraggiungibile. Mi avvicinai a lei e non so come diavolo feci, non l'avevo mai fatto con nessun'altra prima d'ora, la abbracciai da dietro.
    «Hope», quant'era bello il suo nome! Lo pronunciai con un'infinità dolcezza, avvicinando le mie labbra al suo orecchio. «Vuole lei concedermi l'onore di questo ballo?».
    Che mi prendeva? Fino al giorno prima la salutavo normalmente. Perché ora tutto questo amore, tutto questo desiderio di abbracciarla e farle sentire la mia presenza, sentirmela mia, sentire le sue labbra sulle mie... E da dove proveniva tutto questo coraggio?
    Forse stavo male.
    Ma no. Stare con lei mi faceva sentire bene. Come se fosse l'aria che respiravo, l'unica parte di aria pura in tutto quel mondo pieno di aria corrotta, aria dolce... Hope.
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    Microscopianese: Neologismo by BoogieWoogie u.u
     
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    Una mano gli solleticò delicatamente i capelli dietro il collo, arruffandoli e lisciandoli poi, tirando forse un po’ più di quanto a Deimos facesse piacere. Mugolò, ma aprì comunque gli occhi; il suo sguardo scivolò sul corpo latteo e perfetto di una ragazza dagli occhi color ambra, che non ricordava di aver mai visto in vita sua. Eppure sorrise. “Buongiorno, Philip” Philip. Doveva essere stato davvero ubriaco la sera prima, per aver detto di chiamarsi Philip. Si alzò sui gomiti poggiando la schiena alla tastiera del letto, senza curarsi di ciò che il lenzuolo copriva o meno. Andiamo, la donzella doveva pur aver già visto tutto, che senso aveva la pudicizia mattutina? “Buongiorno dolcezza” Rispose con un mezzo sorriso, inarcando un sopracciglio ammiccante. Odiava svegliarsi in un letto non suo, specialmente se in dolce compagnia. Deimos Allen era il ragazzo che sgattaiolava via di notte lasciandovi solo una leggera pressione sul cuscino ed un piacevole dolore il giorno dopo, non si fermava per fare colazione e parlare del cane che avevate all’età di sei anni. Lanciò un’occhiata distratta all’orologio: di certo non era il ragazzo che si alzava alle maledette cinque di mattina. “Maïskolf, quale catastrofe naturale ti ha impedito di dormire altre tre ore?” Approfittava fin troppo spesso delle sue origini olandesi, farcendo la conversazioni di termini che all’orecchio di una donna potevano sembrare i complimenti più dolci di sempre, ma che in taluni casi –come quello- rivelavano che aveva appena definito la donna al suo fianco una pannocchia. Lei gli diede una pacca sulla coscia, un po’ troppo vicino a zone che al mattino era meglio evitare onde ritardare la fuga di Allen, ridendo. “Tu, sciocchino! Non ricordi? Devi tornare a Buckingam Palace, sai che la Regina a quest’ora ha le sue.. crisi”
    Oh, santo Merlino. Aveva di nuovo raccontato in giro di essere il racconta storie della Regina Elisabetta, e che senza le sue favole ella si svegliava alle cinque e mezza e non riusciva più ad addormentarsi, obbligando così tutti a levarsi di buon ora contro la loro stessa volontà. Si portò una mano agli occhi e li massaggiò, sbuffando di rimando all’affermazione della giovane. “E’ vero.. povera nonna Beth, non vuole prendere le medicine. Ma..” Si alzò a sedere, prendendo le mani della ragazza fra le sue, guardandola intensamente negli occhi. “Devi promettermi che non lo dirai a nessuno. E’ una cosa che non racconto a nessuno, di solito. Tu, però.. sembri una così brava ragazza. Una di cui ci si può fidare” Concluse la frase accarezzandole il volto, con leggerezza, come se avesse paura di romperla. Lei annuì, il viso così piccolo sotto la sua mano. Ebbe la tentazione di rimanere ancora un po’ a godere della sua compagnia, ma Nonna Beth non poteva aspettare. Si alzò e si vestì, storcendo il naso all’idea di non aver ancora fatto una doccia. Poco prima che uscisse, la mora gli lasciò il suo numero in un fogliettino spiegazzato, tirandolo dalla cravatta perché si abbassasse a darle un ultimo bacio sulle labbra. “Mi chiamerai, Philip?”
    Ma certo che non ti richiamerò, diamine, non so nemmeno quale sia il tuo nome. Hai una casa troppo piccola per i miei gusti, e per quanto abbia gradito la tua compagnia, una donna che cede il proprio corpo ad uno sconosciuto in discoteca (e nei bagni della discoteca, e in una cabina telefonica, ed evidentemente a casa sua) non è particolarmente affidabile. Se ne trovano centinaia di ragazze come te, pronte a cedere al fascino del primo che capita solo per sentirsi amate per una notte. Hai creduto alla storia di un Philip che racconta storie alla Regina Elisabetta, santo cielo, il che implica un quoziente intellettivo davvero a livello del fondo della Fossa delle Marianne.
    Certo” Le disse con un sorriso da mascalzone, prima di uscire dalla porta di una casa che 101 su 100 non avrebbe mai più rivisto.

    Il paesaggio fuori non era familiare. Non erano a Londra.. Scozia, forse Glasgow. Camminando distratto sul marciapiede, andò a sbattere contro qualcuno che bofonchiò distratto delle scuse, per poi rimangiarsele ed attaccare Deimos con insulti e parole di cui lui nemmeno conosceva l’esistenza. “Mi scusi, io.. e che diavolo, non devo scusarmi io, se lei facesse più attenzione non mi avrebbe sbattuto contro, no? Per tutte le orde demoniache, ho combattuto in una guerra, rischiando di morire, ho partorito e mi scuso ancora con chi mi viene a sbattere addosso. Indicibile. Saranno gli ormoni. Dovevo ascoltare mia nonna quando mi diceva: Ehi, Lunastorta, non fare la primadonna: molla l'aragosta e prendi lo scarabeo!” Stupito e seccato dallo sproloquio, Allen guardò con chi avesse avuto l’ardore di scontrarsi: un ragazzino alto, magro, dai capelli scuri e gli occhi azzurrissimi. Era talmente stupefatto dalla reazione del moro, che si abbassò per raccogliere assieme a lui ciò che aveva fatto cadere: cavi e fili, cose dall’aria pericolosa, e un cacciavite giallo con un cinturino verde e due occhi curiosi. Lo prese fra le mani sbattendo le palpebre più di una volta: forse sei ancora ubriaco, Allen.E non toccare Polgy!” Concluse questo stizzito, strappandoglielo letteralmente dalle mani con fare possessivo.
    Deimos Allen non avrebbe mai capito i babbani.
    Eppure gli ricordava qualcuno. “Chiedo perdono, non avevo mai visto l’alba da queste parti” Disse con un sorriso di scuse, alzando impercettibilmente le spalle. “Ci conosciamo per caso?” Il ragazzo lo squadrò dall’alto in basso, spostando il peso nervosamente da una gamba all’altra e continuando a lanciare occhiate all’orologio. “No, direi di no”Come ti chiami?” “Lo sa vero che sono le cinque del mattino? A quest’ora perfino i Sontaran sono nella fase REM” Lo fissò qualche secondo più del necessario. Sì, era decisamente ancora sbronzo. “Donnie, Donnie Armstrong” Improvvisamente parve avere un illuminazione. “Hai per caso partecipato al corso sull’uso delle spade laser? Se sei quello con la spada viola, cavoli amico, dovremmo prenderci un caffè e devi assolutamente insegnarmi quel trucchetto.. sai, quello che fa così” Utilizzando il cacciavite come spada, cominciò a roteare sul marciapiede facendo strani versi con la bocca. Forse era lui ad essere sbronzo. Si avvicinò abbastanza da dargli una pacca sulle spalle, quindi si abbassò per sussurrargli all’orecchio: “ero io, ma non saprai mai i miei segreti, giovane padawan”
    Ah, Deimos Allen era un Legilimens, e non aveva la più pallida idea di ciò che aveva detto.. Ma Donnie, Donnie Armstrong parve felice, e chi era lui per rovinargli una giornata alle 5 del mattino?

    L’ex Grifondoro era un tipo pacifico. Se il buon costume implicava che talvolta dovesse raccontare qualche bugia per rendere felice un’altra persona, non si tirava certo indietro. Se per il proprio tornaconto avesse dovuto scavalcare, o calpestare qualcheduno, sarebbe stato il primo a chiedere educatamente perdono. Teneva le porte alle signore che entravano prima di lui nei bar, e se c’era una rissa si infilava fra i contendenti e la placava, offrendo ad entrambi un cicchetto in compagnia. Amava divertirsi, e amava godere dei suoi venticinque anni perché, è risaputo, non è possibile tornare indietro e riviverli. Era il classico ragazzo che, quando aveva un’opportunità, la coglieva al volo senza farsi troppe domande sulle conseguenze, e nel caso qualcuno ne avrebbe sofferto, sarebbe stata un’ottima spalla su cui piangere. A patto che non gli rovinassero la camicia bianca di mascara, quella era una cosa che davvero non sopportava. Un maniaco dell’ordine e della pulizia: l’esatto contrario del suo coinquilino, Martin Jackson. Era il suo miglior amico, ma per le mutande di merlino, a volte l’avrebbe volentieri affogato nella vasca. Avrebbe passato ogni secondo in cui lui implorava ossigeno a chiedergli perdono per un gesto tanto avventato, però l’avrebbe fatto. L’unica cosa che lo tratteneva era che, volente o nolente, a quel piccolo bastardo si era affezionato, e non averlo in casa l’avrebbe fatto sentire solo.
    “Alleeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeen”
    Forse però avrebbe corso il rischio. “Cosa vuoi, Jackson? Sono le sei, per i baffi di Morgana, dormi”Ho dimenticato di portare fuori Sbrodolo” Con una lentezza esasperante, Deimos roteò gli occhi verso la palla di pelo che, da terra, scondinzolava a più non posso. Un fottuto pincher con occhi più grandi delle zampe, un pelo lucido e fine che si intesseva (non poteva essere definito altrimenti, quell’incastro) nei suoi abiti come se vi fosse sempre stato. Sbrodolo. Avrebbe dovuto impedirgli di a) prenderlo b) dargli un nome tanto imbarazzante quanto, purtroppo, azzeccato. Sbrodolo cercava di saltargli in braccio, seppur su due zampe non arrivasse nemmeno al suo ginocchio, e intanto sbavava. “Per favore, Allen”
    Sbrodolo 1 – Deimos Allen 0. E osavano perfino accusarlo di essere uno stronzo. Che brutta la civiltà.

    Una doccia, quattro ore di sonno , e due tazze di caffè dopo, Deimos controllava la posta, compito che teoricamente sarebbe spettato a quel lava mutande di Martin. Una locandina scura, caratterizzata qua e là da colori vivaci che lampeggiavano nella foto magica, attirò la sua attenzione: una festa, al castello. Erano anni che non metteva piede ad Hogwarts, nonostante avesse promesso ai suoi insegnanti che sarebbe andato a trovarli. Una festa sembrava proprio l’occasione giusta per una vecchia rimpatriata con i compagni. E Deimos Allen non diceva mai di no ad un party.
    Aveva cercato inutilmente di trascinarsi Jackson dietro, ma questi aveva lamentato un alquanto improbabile ciclo mestruale che gli avrebbe precluso la danza più vecchia del mondo con le signore che avrebbe –sicuramente- attratto sulla pista. Era inutile discutere con Martin, quindi Allen aveva semplicemente deciso di lasciar stare. Indossò un semplice smoking nero, sbottonato e con le maniche della camicia che spuntavano disordinatamente dal completo, mentre un farfallino rosso staccava abbastanza da non farlo sembrare partecipe di un funerale. I capelli mossi e spettinati gli ricadevano di tanto in tanto davanti agli occhi, ma era troppo vanesio per un acconciatura più comoda.
    Dopo aver appurato, come si confaceva a qualcuno che non avesse messo piede all’interno del cortile della vecchia scuola per più di cinque anni, che nulla fosse cambiato, in modo che nessuno potesse accusarlo di negligenza, si diresse verso le rive del Lago Nero dove diverse persone si stavano già godendo la musica delle dolci streghe di mezzanotte. Se gliel’avessero chiesto, avrebbe mandato sua nonna: con i suoi capelli rosso fuoco ed il rossetto inadatto alla sua età, sarebbe stata uno spettacolo più divertente per tutti. Sorrise a qualche vecchia conoscenza, ma purtroppo non vi era nessuno della sua vecchia cerchia di amicizie, anzi: la maggior parte della pista da ballo, e non solo, era occupata da adolescenti in preda agli ormoni che non riuscivano a frenare la libido nemmeno davanti ai loro insegnanti. Non c’era più rispetto.
    “Scusa, amico mio, ma questo lo prendo io!” Un ragazzino gli fregò il bicchiere fra le mani ancor prima che Deimos stesso si accorgesse di averlo preso. Vecchia, si fa per dire, volpe furbacchiona. “Potrebbe essere avvelenato, sai? Sono un Prefetto, è mio dovere assicurarmene. Non ringraziarmi, ti voglio bene anche io!”
    Santo Merlino, non era possibile. Il Prefetto era uguale al ragazzo che aveva incontrato quella mattina in Scozia: se non fosse sembrato molto più giovane, e più magro, gli avrebbe chiesto se aveva partecipato al corso sull’uso della spada laser. Allora non era un problema dei soli babbani: era un problema dei ragazzini con capelli scuri e occhi azzurri. O forse solo di quei due. Aveva già accennato al fatto che non ci fosse più rispetto? Sorridendo fra sé –quel ragazzino gli ricordava sé stesso alla sua età, solo che lui era, beh, più carino- si avvicinò nuovamente al tavolo con i bicchierini. Affascinato dal contenuto violaceo di quello tenuto in mano da un giovane (e distratto, dai vestiti umidi che riusciva ad intravedere al buio), decise di attirare la sua attenzione. “Ehi, ragazzino. Guarda, una libellula enorme!” Disse indicando dietro di lui, enfatizzando l’ultima parola con gli occhi leggermente sgranati. Approfittando dell’attimo in cui questi si voltava, gli fregò il bicchiere dalle mani e ne bevve il contenuto in un solo sorso. Aveva un sapore agrodolce, e lasciava sulla lingua sapore di violetta e dolcetti al marzapane, quelli che sua madre gli faceva sempre trovare sul tavolo il giorno del suo compleanno. Incredibili le nuove frontiere delle bevande servite al castello.
    Sorrise al ragazzo e gli diede una pacca sulle spalle. Un giorno avrebbe capito.


    winston,©


    Stiles, a cui frego il bicchiere, e Seb, che accuso di essere più bruttino di quanto non fosse Deimos alla sua età, vi voglio bene:3
    Sì, arthea, ho infilato polgy anche qui <33
     
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  12. daphne¨
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    Ribelle • 20 • ex grifondoro
    dahpne whiteley
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    « Tutti vogliono la libertà; almeno a parole, ma nessuno è veramente libero. »
    Aveva ballato tutta la notte al MoS nella periferia di Londra e bevuto fino a non distinguere più il dancefloor dal bar. Aveva anche conosciuto un ragazzo carino di nome Samuel che non aveva perso tempo a provarci con lei, inizialmente ricevendo un rifiuto bello deciso. Ma era carino, sembrava simpatico, per questo l'aveva studiato per due ore - tempo in cui avevano flirtato in effetti e fatto tira e molla - prima di decretare che non era un pericolo, era un comune babbano, molto attraente. E così era finito nelle lenzuola del suo nuovo appartamento a Londra - certo non avrebbe potuto portarlo ad Hogwarts - Daphne amava il sesso, amava sentirsi libera di poter andare con chi voleva e soddisfare le proprie voglie senza dover rendere conto a nessuno. Non si vergognava per questo, era sempre stata mentalmente molto aperta e considerava il sesso come una valvola di sfogo, come lo era il combattimento. Jason glielo diceva sempre, nelle loro notti di intimità, nascosti dagli occhi indiscreti di professori o altri studenti "Noi siamo uguali"
    Ripensandoci adesso, forse Maddox aveva ragione, non erano poi così diversi. Entrambi amavano il sesso, amavano il divertimento senza quei limiti dati dal buon costume, ma avevano una cosa che li dinstingueva e che probabilmente li aveva divisi da due anni ormai: Daphne sapeva amare, Jason era convinto di non esserne in grado. Gliel'aveva detto l'ultima volta che avevano parlato come due comunissimi amanti, quando ancora non si era instaurato quel rapporto stereotipato tra insegnante ed alunno. "Io non so amare, Daph, lo sai. Non chiedermi questo."
    Aveva detto, spezzandole ogni sogno e decretando la fine del loro rapporto, non aveva pianto per lui, nemmeno un po'.
    "E allora vattene" La sua risposta era stata fredda e tagliente, mentre si stringevano sul prato che circondava il castello. Non se n'era andato, era rimasto lì con lei.
    Sapeva che infondo, Jason aveva un cuore come qualsiasi altra persona, sapeva che l'aveva amata, nonostante i suoi rifiuti e che probabilmente adesso non l'amava più, sapeva che il cuore di Jason aveva rischiato di diventare di pietra, troppe volte e lei troppe volte aveva tentato di scioglierlo di nuovo, di ammorbidirlo e non fargli pensare a quanto andasse male a casa sua, con suo padre. Ma voleva delle conferme, forse sbagliando, le aveva volute. Adesso non erano più gli amanti segreti del castello, appartenenti a due casate opposte, erano professoressa e studente, così doveva essere, niente di più.

    Si fece la doccia nel suo bagno e tornò in camera avvolta in un asciugamano rosa. La camera era vuota, Sam se n'era andato ma aveva lasciato un biglietto sul cuscino.
    Mi chiami? 345 6985057
    Si lasciò cadere a pancia in giù sul letto su cui avevano fatto sesso tutta la notte e raccolse il biglietto, stringendolo con due dita e rimanendo a fissarlo per qualche secondo.
    Evanesco. Il biglietto sparì dalle sue dita e lei si rivoltò a pancia in su guardando il soffitto. Sam era un bravo ragazzo, certo...ma... Daphne non voleva impegnarsi con nessuno, specialmente con un babbano, perchè avrebbe sentito addosso la costante necessità di difenderlo, sempre. Non voleva addosso questo peso, non poteva averlo, non adesso che era entrata tra i ribelli e la sua posizione nel mondo magico era più che mai instabile e minacciata.
    Era sola, non aveva famigliari in Inghilterra, non da quando aveva praticamente obbligato i suoi a partire in America. Aveva comunque i suoi amici ad Hogwarts, aveva Lilian, aveva Ethienne e Blake alla resistenza - Non riusciva a chiamarlo Jason - Non era completamente sola, in fondo.

    Un pranzo veloce nella Londra babbana, una giornata passata tra i negozi - perchè sì sa alle ragazze piacciono i bei bestiti - e poi sarebbe tornata ad Hogwarts, per partecipare alla festa estiva che si sarebbe tenuta sulle sponde del Lago Nero. Amava le feste, quindi non ci aveva pensato due volte prima di accettare l'invito. Ci sarebbero stati molti studenti e altri professori, ci sarebbe stato Jason, probabilmente.
    Si vestì con un abito comprato per l'occasione, era bianco a fascia e lungo fino a metà coscia con tacchi bianchi. Si smaterializzò nei pressi del castello, più vicino possibile, anche se al di fuori dei cancelli della scuola, dentro la quale non era possibile smaterializzarsi.
    Arrivata alla festa riconobbe alcuni studenti e professore, riconobbe Jason e William Barrow. Anche lui lì? Che fosse lì per delle ricerche in incognito? Un elfo domestico troppo basso per essere notato da chiunque le passò affianco porgendole un vassoio con delle bevande. Lei gli sorrise in modo dolce. Oh, gentilissimo! E prese un bicchierino rosso. Lo osservò a lungo rendendosi conto che aveva un odore particolare e piacevole. Avrebbe risconosciuto l'Amortetia fra mille bevande, ma quel bicchiere era camuffato troppo bene persino per lei, così bevve senza pensarci troppo e lasciò in aria il bicchiere, che svolazzò nel cesto tra gli altri bicchieri usati. Si avvicinò proprio a William. William Barrow, insomma, non era un bel nome?
    William Disse una volta arrivata vicino a lui. Apriamo le danze?
    Rise appena e indicò la pista poco distante da dove si trovavano loro.
    Si soffermò a guardare i suoi occhi chiari e si trattenne dall'accarezzare la sua pelle bianca. Cosa le stava prendendo?!
    Voleva ballare con lui, sentirsi vicina a lui, toccarlo, stringerlo e divertirsi. Insomma, come aveva potuto essere così cieca e non provarci prima? Aveva avuto tante possibilità con lui: alla resistenza, quella volta che si erano incontrati a Londra per la sua prova...eppure non ci aveva mai provato, forse perchè aveva sempre visto William come troppo distante da lei, troppo impegnato in qualcosa di più grande di lui, di tutti loro. Lo aveva sempre visto come un Leader, dimenticando forse che era un ragazzo normalissimo, come lo era lei e solo adesso si rendeva conto che avrebbero potuto divertirsi e passare una serata insieme, sempre che lui avesse voluto. Ma sì, perchè no?
    winston,©


    Spero di non aver azzeccato i vostri numeri di cellulare AHAHAH


    Edited by daphne¨ - 13/8/2014, 23:05
     
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  13. differently blowhard.
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    NEUTRAL• 25'• JOURNALIST
    CHAD MOORE
    XEwWwwym39Aj3Y

    « She's got everything I want, but all rolled into one. Gotta get me some. »
    Quando aveva aperto gli occhi, l'oscurità che solitamente accompagnava i suoi risvegli era lacerata da dei raggi troppo prepotenti per provenire dalla serranda socchiusa del suo nuovo appartamento: era steso, le gambe doloranti appoggiate su un piano duro e il resto del corpo intorpidito in una posizione a dir poco scomoda; sdraiato per metà, dal busto in su era leggermente in avanti, e a Chad servirono parecchi minuti prima che riuscisse a rendersi conto del fatto che ancora una volta si era risvegliato sul sedile anteriore della macchina. Se fosse stato più furbo, non faceva che ripetersi, avrebbe avuto il buon senso di mettersi a dormire su quelli posteriori, sebbene fossero sempre occupati da oggetti di qualsiasi genere – immondizia e cianfrusaglie per l'esattezza.
    Sempre meglio che una nottata così, dove per la stanchezza il suo corpo non era nemmeno riuscito a reagire al dolore svegliandosi, ma aveva continuato a soffrire così in silenzio... sbadigliò con difficoltà e tolse i piedi dal cruscotto, cercando di stiracchiarsi mentre tastava distrattamente con una mano attorno a sé alla ricerca di qualcosa che potesse evitargli le consuete “lacrimucce” agli occhi; trovò gli occhiali da sole che non metteva da tempo, non ve n'era quasi mai bisogno, e pulitili velocemente col bordo della maglia dalle impronta di dita, li indossò rilassandosi non appena sentì il sole farsi meno prepotente sulle sue palpebre.
    Primo sollievo.
    Necessitava di almeno altri tre prima di poter dire di aver iniziato “bene” la giornata.
    Aprì così la portiera e con un piccolo balzo fu fuori, dolorante e con le gambe quasi instabili, Chad si costrinse ad appoggiarsi all'auto: che zona era quella? Non doveva essere tanto lontano da casa sua, secondo sollievo dal momento che non vedeva l'ora di rintanarsi in casa propria per sfuggire ancora un po' a quel sole mattutino... certo, a 'sto punto avrebbe anche potuto tornare a casa prima di crollare sul sedile della macchina, ma dal momento che il danno era fatto Chad si ripeteva che era inutile inveire adesso; rientrò quindi in macchina e accese il motore, cercando intanto – molto lentamente – di dare un senso a quel disordine presente oltre che in macchina anche nella sua testa.
    Sull'altro sedile vi era qualche scatto, segno che alla fine aveva passato una serata come un'altra, a raccogliere qualche informazione per un qualcosa che adesso non riusciva a ricordare. Si era ucciso, avrebbe dovuto fare qualcosa o dubitava sarebbe sopravvissuto a quella serata; eh sì, stranamente non sembrava aver scordato che quella sera avrebbe partecipato alla festa estiva che Hogwarts aveva organizzato, aperta anche agli “adulti” – sotto un limite, probabilmente, ma era sicuro di non superarlo e poterne anche dimostrare di meno.
    Non sapeva ancora dire se avesse deciso di andarci per svago o per lavoro: sarebbe stata una buona occasione per cercare di capire come i ragazzi stavano vivendo fra quelle mura, cercare di farsi un'idea di quel posto tanto nominato in cui lui non poteva mettere piede. Forse era giusto così, non andare a infilare troppo il naso, ma Chad era famoso per non seguire sempre il “giusto”, e una volta parcheggiata e spenta l'auto, si trascinò verso casa con un nuovo pensiero.

    Provare a dormire era stato inutile; nonostante le avesse fatte male, lui le sue ore di sonno se l'era dormite, e per quanto avesse provato alla fine Chad si era dovuto arrendere. Meglio sprecare quel tempo per qualcosa di più utile, aveva deciso, e così si era ficcato sotto la doccia ancora mezzo stordito e si era dato una rinfrescata. Il giorno era passato veloce, soprattutto perché doveva ancora finire di sistemare la roba chiusa negli scatoloni del suo nuovo appartamento, ma forse addirittura troppo, tant'è che senza nemmeno rendersene conto Chad si era ritrovato davanti alla famosa scuola di Magia e Stregoneria vestito con abiti puliti ma ben poco distanti dal suo solito – quali una camicia chiara, la giacca di pelle, e i jeans – e uno sguardo ammirato: non ricordava la sua scuola così maestosa, Hogwarts trasudava magia e imponenza da ogni pietra, vetro, decorazione. L'aveva vista molte volte, in quei tempi era al centro delle notizie riguardo alle torture a cui venivano sottoposti gran parte degli alunni, e in un certo senso vederla macchiata di quelle tristi vicende la rendeva più oscura, triste, ben diversa dall'incredibile sogno che si era andato a creare nella parte più infantile della sua testa.
    Era la prima volta che gli si avvicinava tanto, che poteva dirsi “dentro” Hogwarts, ma per la prima volta in vita sua si sentì come “gabbato” dalla sorte: sarebbe stato nei territori della scuola, ma nei pressi di un lago, il Lago Nero; niente giri per i corridoi alla ricerca di qualcosa, niente sbirciatine in giro, niente sale proibite in cui curiosare... solo una normalissima festa su un placido lago.
    Questa la chiamava sfortuna del professionista.
    Aveva seguito le istruzioni per giungere fino al Lago, dove la festa sembrava essere già iniziata: c'erano ragazzini, per la maggior parte, e in un certo senso si sentì fuori posto. Non ricordava nemmeno di aver mai partecipato alle feste scolastiche della sua “epoca” – sebbene avesse voluto –, a tenerlo lì era solo l'aspettativa di potersi guardare attorno e studiare i visi dei ragazzi che sopportavano il regime. Divertimento? Mah, con dei ragazzini, dubitava di poterlo chiamare “divertimento”, ma per lo meno avrebbe provato a trovare una nuova ragazza che lo avrebbe mollato di fronte al suo terzo involontario bidone... questa sì che era speranza.
    Si infilò così nel mucchio guardano attorno a sé i visi, chi allegro chi un po' meno, degli studenti da cui era circondato: provava un po' di nostalgia, ma... no, non sarebbe mai tornato ai suoi sedici anni, per nulla al mondo. Assistette a qualche spettacolo che in qualche modo riuscì a fargli tornare a galla altri ricordi, ricordi che credeva ormai sepolti dalla quantità immane di fumo e altro che il suo organismo aveva dovuto mandare giù in quell'epoca tanto lontana, eppure ciò non riusciva a farlo comunque sentire bene lì in mezzo. Pensi troppo, fu automatico riprendersi in questo modo, così decise di dare un'occhiata al tavolo vicino alla “pista da ballo” colma di ragazzini che sembravano aver perso da un po' di tempo la lucidità: c'erano bicchieri dai contenuti un po' troppo sgargianti, e il primo che prese gli sembrò di un assurdo colore troppo rosso che mollò alla prima ragazza che gli capitò fra le mani – abbastanza educatamente.
    Provò con un altro, uno di un curioso ocra: beh, qualcosa che poteva scambiare per... mh, un misto fra un'arancia e un limone chissà che schifo, ma magari avrebbe anche potuto alleggerire la noia; l'importante era che non fosse troppo forte. E nemmeno troppo poco, aveva bisogno di una via di mezzo. Chad se lo portò alle labbra mentre andava ad appoggiarsi al tronco di un ramo, spostandosi dal tavolo per evitare la confusione: il liquido scivolò fresco, forse un po' troppo dolce, ma in fondo non gli dispiacque; con un incantesimo lasciò che il bicchiere tornasse sul tavolo vuoto, e aspirando l'aria si rese conto che in fondo non era cambiato granché, che sebbene non toccasse da un po' dell'alcool quel bicchiere non gli dava alcun sollievo, quello di una dipendenza.
    Incrociò le braccia, pensò che forse avrebbe dovuto berne un altro per ottenere qualche effetto, ma il suo sguardo invece che scivolare di nuovo sugli shootini, navigò sulle persone attorno a lui: ce n'era una marea, maschi, femmine, giovani, più adulti, eppure lui sentiva di non aver visto abbastanza, di non sentirsi per nulla appagato da quelle facce, come se ne stesse cercando una in particolare. Era una sensazione che non poteva controllare, iniziò a credere a qualche scherzo di un giovane mago alle prime armi, ma per quanto si sforzasse di trovare una ragione... ogni parte del suo corpo sembrava troppo impegnata a guardarsi attorno alla ricerca di quel qualcuno, dimenticando la noia e il lavoro per la prima volta in vita sua.
    winston,©
     
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    uk19GpaOphelia odiava le feste.
    Odiava le miriadi di persone che si azzuffavano sudate e sorridenti, spettegolando sugli altri, flirtando frivolamente e trascinando abiti ingombranti su scarpe scomode. Odiava la musica, sempre troppo alta quando stava parlando con qualcuno o troppo bassa quando non voleva sentire qualcun'altro. Odiava gli sguardi, indiscreti e pungenti, delle persone che non la conoscevano ma che avevano la presunzione di guardarla più del lecito. E più di ogni altra cosa, odiava le feste necessarie, a cui non solo bisognava partecipare, ma bisognava anche fare buon viso a cattivo gioco.
    Necessaria. Era proprio questo il termine che aveva utilizzato sua madre nell'ultima lettera che le aveva spedito. Aveva scritto: è una festa necessaria, spero tu abbia il buon senso di prendervi parte senza fare storie. O smorfie. Conosco la tua faccia, tesoro, trattieniti. Trattenersi! Sua madre le diceva di trattenersi quando non faceva altro da diciassette anni! Avrebbe voluto averla lì davanti solo per mostrarle quale fosse la sua reale smorfia di rabbia senza trattenersi! La smorfia che avrebbe dovuto essere costantemente piazzata sulla sua faccia ogni volta che i suoi genitori le rivolgevano la parola (perché ovviamente se lo facevano era sempre e solo per sottolineare qualche suo difetto o mancanza). Quindi certo che si sarebbe trattenuta. Sarebbe andata a quella festa perché doveva e avrebbe sorriso e finto di essere divertita al punto giusto, discretamente e senza saltare all'occhio, proprio come si aspettavano da lei.
    « Le sta d'incanto. » Gli occhi verde-smeraldo di Ophelia si voltarono verso lo specchio vicino al camerino, e incontrarono il loro riflesso. Era il primo vestito che provava e non aveva intenzione di misurarne altri. Faceva troppo caldo, e soprattutto voleva allontanarsi da quell'odiosa commessa il primo possibile. Il vestito era marroncino con i riflessi dorato, di pelle, aderentissimo e senza spalline. Le cadeva morbido sulle forme, mettendole in risalto senza ingrossarla. Guardò l'etichetta con il prezzo e scoprì, senza batter ciglio, che superava lo stipendio mensile di un qualsiasi impiegato del Ministero. « Sì. Lo prendo. » Ribadì allora placida, mentre i suoi occhi distaccati spegnevano la luce del sorriso della ragazza. I soldi non erano mai stati il problema. A meno che non si consideri un problema l'averne troppi. Piuttosto era tutto il resto che non andava bene, nella sua vita, tutto quello che riguardava la sfera emotiva e i gesti d'amore. Ad esempio il problema era che quel vestito lo doveva comprare da sola, senza una madre che la consigliasse o un padre che portasse personalmente il portafoglio. Il problema era che tutto sommato non le importava proprio un cazzo di avere un vestito così costoso, se al suo posto poteva avere un abito sporco dopo essere tornata dal parco con i suoi genitori. Il problema era che l'unico rapporto che aveva con i suoi genitori era tramite il conto bancario che li univa. Si tolse il vestito e rindossò gli abiti con cui era uscita. Pagò con la carta di credito, accennando a un vago sorriso prima di uscire dal negozio con la busta tirata su per il braccio. Era una giornata calda, caldissima, e Ophelia aveva la netta sensazione che prima o poi sarebbe morta asfissiata, sotto quel sole di giugno. Ma ovviamente non sarebbe mai successo, non sarebbe mai morta così facilmente. Non si poteva permettere di morire così stupidamente, di lasciarsi andare anche solo per un istante. Doveva continuare la sua vita secondo le tappe sapientemente prestabilite, fare tutto nella maniera ottimale, essere sempre perfetta e non lasciare mai nulla al caso. L'essere diventata Caposcuola rientrava a tutti gli effetti nella "lista delle cose che ci si aspetta da una Robinson", subito prima della voce "uscire dai MAGO col massimo dei voti". La Serpeverde, in un certo senso, sentiva di vivere una vita che era stata già scelta e descritta da altri, e a lei non rimaneva che muoversi da un posto all'altro seguendo le istruzioni con cautela e sorriso smagliante.

    Tornò al castello in perfetto orario. Aveva due ore per prepararsi e per arrivare né troppo presto, né troppo tardi. Si fece una doccia e si truccò pesante, creando una sfumatura obliqua che le dava uno sguardo civettuolo e costruito. Sistemò i capelli con una treccia raccolta sulla fronte, lasciando la folta chioma ondulata che le cadeva sulle spalle. Ophelia si era sentita spesso carina, ma mai bella. Si era sentita perfettamente vestita e pettinata, ma mai perfetta. Sentiva sempre di avere qualcosa che non andava, in fondo, come la sensazione di un ragno che ti cammina sulla spalla senza che tu possa vederlo. Quella sera non fu diverso. Guardò il proprio riflesso allo specchio, proprio come aveva fatto quello stesso giorno al negozio. Ma ora lo fece con più cura, scrutandosi gli occhi con minuzia, quasi volesse cercare un barlume di tristezza, in fondo a quel verde, quasi volesse mostrare a se stessa di non essere poi così brava, a mentire. Ma non trovò altro che smeraldo, e per una volta sorprese le sue stesse aspettative e si mostrò in grado di saper ingannare persino se stessa. Fece un respiro profondo e salutò la Sala Comune, nel cuore la speranza di poterla rivedere il prima possibile. I corridoi non erano molto affollati, era relativamente tardi per la festa, proprio come aveva immaginato. Più si avvicinava, più si distinguevano musica e luci. Arrivò col sorriso stampato in faccia, e l'odio dentro, mentre incontrava gli sguardi di studenti che non conosceva e più raramente di qualcuno che conosceva. Un ragazzino della sua casata si avvicinò sorridente verso di lei, e con fare sicuro le portò la mano sul fianco, come per...cosa? Salutarla? Palparle il sedere? Gli occhi di Ophelia si strinsero a fessure.
    « Oph... » Aveva appena cominciato a dire, ma si interruppe da solo quando si rese conto dello sguardo della caposcuola. Il sorriso gli morì sul nascere. « Paul Conners spero che tu abbia solo accidentalmente messo la mano lì perché ovviamente né tu né io vogliamo spiegare ai tuoi genitori come sei morto per mano di una ragazza, vero? » Le parole erano solo un sibilo lento, ma avevano la forza di un urlo. Paul Conners si fece rosso in volto, e dall'altro dei suoi 150 centimetri di altezza si voltò in fiamme per correre chissà dove, tra le braccia di qualche ragazza della sua età. Ophelia andò dalla parte opposta, distinse chiaramente Howe, il caposcuola Williams e poi incrociò pericolosamente lo sguardo col prefetto Maddox, tanto che dovette girare i tacchi e cambiare strada. Ovviamente non c'era nessuno con cui valesse la pena fermarsi a parlare, o meglio nessuno con cui dover per forza parlare, quindi si limitò a stare sulle sue, lasciandosi trascinare dalla folla scoordinata e salutando smorfiosamente chi a destra chi a sinistra. Tra quelle onde di persone, si ritrovò chissà come davanti al banchetto, là dove una piramide di cicchetti sfidava la fisica e si manteneva magicamente in piedi. Studiò i liquidi colorati mentre pensava se conveniva prenderne uno e rischiare di far cadere tutto o più semplicemente marciare via. Si guardò attorno in cerca di una risposta, ma non vide altro che gruppetti di studenti e non tutti alle prese con qualche bizzarra danza dettata dalla musica delle Streghe di Mezzanotte -gruppo che tra l'altro odiava con tutta se stessa-. Effettivamente quello scenario era da considerarsi a tutti gli effetti come una risposta: non sarebbe rimasta lì volontariamente per più di mezz'ora senza l'aiuto di qualche superalcolico. Afferrò un cicchetto con del liquido verde, il suo colore preferito, e lo buttò giù tutto d'un sorso inclinando la testa all'indietro. Il bruciore le infiammò la gola prima, e lo stomaco poi. Si sentiva letteralmente in fiamme, anzi probabilmente il suo volto si stava davvero cominciando ad affumicare, partendo dalle guance, arrossate e calde. Cominciò a sbattere convulsamente l'aria davanti alla bocca, ma ovviamente anche l'aria era calda, e non c'era alcun sollievo che potesse trovare se non quello di allontanarsi dalla folla. Proprio in quell'attimo, non appena si fu voltata, si ritrovò inaspettatamente una figura familiare e piacevole davanti agli occhi. Evan Devereux era stato invitato alla festa, pazzesco! Ancora più pazzesco era che fosse venuto, come poteva essere venuto un ragazzo così speciale, così diverso e superiore agli altri? Si sentiva su di giri al solo pensiero. Qualcosa nel suo stomaco si muoveva, tanto che dovette portare una mano sul ventre per far calmare quel moto incontrollato. Doveva parlarci? Per dirgli cosa? "Ciao, Evan, sei bellissimo, ho sempre avuto una cotta per te"? Ma sì, poteva andare. Almeno era sincera. Si avvicinò senza neppure pensarci, perché ormai il controllo del suo corpo era ceduto a qualcuno o a qualcosa che non conosceva. I suoi occhi verde-smeraldo erano ora vivi e sfavillanti, e si sentiva bella in quel vestito, bella come mai prima. Sfoderò un sorriso smagliante, un sorriso che non sapeva neppure di essere in grado di fare. Effettivamente dopo qualche istante dovette allentare la pressione sulle guance perché non era allenata a sorridere così spesso e così ampiamente. Ormai era a un metro da lui. Non sembrava vero che fosse così vicino, se allungava il braccio poteva sfiorarlo. Avvampò pensando al contatto tra i loro due corpi. « Evan... » Le sfuggì dalla bocca carnosa e tinta di rosso. Non era una parola, era piuttosto un sospiro di piacere. Anche solo pronunciare il suo nome le sembrava una follia, una sconsideratezza. Come una parola proibita da sussurrare all'orecchio e da nascondere al mondo intero. Ma suonava così melodioso! Evan, Evan, Evan.
    « Io...io....sono contentissima di vederti. » Si sentì improvvisamente una stupida perché non aveva mai balbettato in vita sua e aveva scelto il momento meno opportuno per cominciare. Ma che importava? Non aveva alcun problema in quell'istante, se non quello di apparire bella agli occhi del suo Evan. Quando era diventato suo? Non lo sapeva, ma in quel momento era certamente così.

    OPHELIA LENA ROBINSON
    17anni -- serpeverde, caposcuola
    © maledimielë



    Edited by maledimielë - 25/7/2014, 00:05
     
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    Il tempo passava e ogni giorno sembrava sempre più pesante dell'altro. Hope era diventata l'ombra di sè stessa. Lei, che era sempre stata solare e col sorriso facile, tanto che a volte Shane si irritava a vederla così solare e le diceva Hope sei fastidiosamente gioiosa per poi sciogliersi quando lei gli sorrideva e accennava ad abbracciarlo. I suoi abbracci le mancavano, quegli abbracci di cui solo lei avrebbe sentito il calore. Cosa erano diventati ora? Due miseri conoscenti, che a malapena si salutavano. Non si guardavano neanche più negli occhi, mentre si scambiavano parole di circostanza che non gli appartenevano. In quei momenti tutto sembrava catturare lo sguardo di Shane tranne che Hope che stava davanti a lui.
    Col tempo aveva smesso anche lei di cercarlo, di parlarci, erano diventati l'ombra di quello che erano.
    Sospirò alla finestra, guardando in direzione del Lago Nero, dove si sarebbe tenuta la festa da lì a qualche ora, probabilmente se fossero stati uniti come ai vecchi tempi, lei e Shane sarebbero andati insieme alla festa. Lo avrebbe trascinato a forza, come era solita fare, ma alla fine si sarebbero divertiti. Invece era sola, e gli mancava Shane, da morire. Aveva ancora il ricordo del bacio e del suo successivo abbandono a Natale. In un primo periodo lo aveva odiato, troppo, per molte settimane, ma alla fine era passato tutto, come sempre e sperava solo di rivederlo vivo, visto che sapeva che aveva accettato la missione di Callaway ed era uno dei pochi studenti che aveva detto "Sì" senza fare una piega. Shane, era coraggioso, Shane sarebbe morto per un'idea. Il suo Shane, testardo. Suo, non era più suo da un po', forse non lo era mai stato. Tornato dalla missione, non cambiò niente, non si erano rivolti mezza parola, lui non le aveva dato spiegazioni. Voleva solo parlargli, e magari tornare a sorridergli e invece lui seembrava voleva evitare, come se avesse la peste; anche quella volta, durante la lezione di corpo a corpo, quando Megan Lynn l'aveva stesa, lui se ne era fregato. La odiava?! Eppure lei gli voleva bene più di chiunque altro sul pianeta terra. In tutto l'universo.
    Scosse la testa al ricordo del rosso, lo aveva incontrato alla Sala grande quella mattina e gli aveva chiesto se di andare al Summer party, anche se a lui non piacevano le feste. Non aveva aspettato la sua risposta, lo aveva lasciato lì perchè il suo rifiuto avrebbe significato un'ennesima sconfitta. Chissà, se avesse accettato, forse avrebbero potuto parlare e perchè no, magari avrebbero anche ballato insieme.
    Si vestì con una abito estivo, non eccessivamente corto e celeste per poi dirigersi alla festa. All'entrata notò alcune persone dai volti familiari, compreso Shane. Sorrise, era lì, aveva accettato. Ci teneva. Lo aveva fatto per lei. Non si era resa conto di Lucas, perchè gli dava le spalle e come lui era vicina anche lei al tavolo con la bevande. Ne prese uno a caso, arancione come il miele, e lo bevve velocemente, sentendo il liquido scivolarle in gola, facendola sentire strana, mandandola a fuoco. Che fosse alcolico?! Guardò il bicchiere vuoto e l'odorò, aveva qualcosa di strano ma non capì bene cosa, era troppo dolciastro forse. Storse il naso e si guardò intorno, pensando si andare a salutare Shane, ma fu interrotta da un abbraccio caldo e pieno d'amore da parte di qualcuno, precisamente un ragazzo «Hope». S'irrigidì inizialmente, ma ben presto riconobbe Lucas. Il favoloso Caposcuola dei Grifondoro le stava parlando all'orecchio e uno strano brivido le percorse la pelle, e il cuore perse anche qualche battito, ma come era possibile? Non che Lucas le fosse indifferente, si erano avvicinati molto negli ultimi mesi, ma erano sempre rimasti solo amici e non si erano mai spinti oltre. Adesso, a quella festa, sapeva che qualcosa era cambiato, quel biondo aveva un splendido profumo, anche se il solito. Chiuse gli occhi, godendosi quell'intimità e posò la mano sul braccio, per accarezzarglielo Aloe, sai di Aloe...mi piace disse per poi ascoltare la sua dolcissima richiesta.
    «Vuole lei concedermi l'onore di questo ballo?» Sciolse l'abbraccio e si voltò verso di lui, per poi fissarlo negli occhi, perdendosi in lui. Il suo universo, non c'era più altro ad affollarle la mente, solo Lucas Italie.
    Lo amava come non aveva mai fatto, non perchè non ne fosse capace ma non aveva mai incontrato qualcuno come Lucas, no decisamente no. In quel momento ne era sicura, nessuno era come il grifondoro. Perfetto e con un sorriso da farla sciogliere anche solo con un accenno della sua incredibile bellezza. Gli prese la mano Si fammi danzare mio bellissimo amore... Disse intrecciando la mano alla sua. Aveva finalmente trovato l'amore. Ma si bloccò alle sue stesse parole...Perchè posso chiamarti amore? Domandò incerta, lei sentiva di amarlo, ma forse lui non lo pensava allo stesso modo. Cosa avrebbe fatto se fosse stato un amore a senso unico?! Niente, lei lo avrebbe amato comunque, per sempre.
    ETA' 16• iLCLdFF • ALLINEAMENTO_ Resistenza.
    winston,©
     
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