L'invito

Elizabeth Fleed e William Barrow

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  1. ^Lizzy^
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    RIBELLI • 20 ANNI • GENERALE DELL’ESERCITO
    ELIZABETH FLEED
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    « Don't let them in, don't let them see, be the good girl you always have to be!
    Conceal, don't feel , don't let them know...Well now they know!»
    Elizabeth camminava avanti ed indietro per il soggiorno, una lettera in mano. Quello che c’era scritto Lizzy non era più in grado nemmeno di realizzarlo mentalmente. Lasciò cadere la busta, no non era possibile. Era da più di tre mesi che ormai aveva abbandonato la sua casa e la sua famiglia per unirsi alla Resistenza, diventata poi generale dell’esercito si era comprata una piccola casetta appena fuori Londra dove poter passare qualche giorno in tranquillità ma no… la tranquillità non esisteva. Essendo una giovane dal carattere si allegro ma molto riservato, non aveva mai dato confidenza a nessuno dei membri della Resistenza, oggi per la prima volta aveva rivolto un invito al generale William Barrow, non lo conosceva molto, anzi per non dire affatto, non aveva mai nemmeno pensato di instaurare con lui un rapporto d’amicizia o d’odio ,in quei mesi si era concentrata solamente a dimenticare il suo passato che troppo spesso tornava a galla. Finchè il giorno prima elizabeth decise di schiudersi un po’ dal guscio che si era creata e con tutta la cortesia di cui era capace gli aveva scritto un messaggio che poi aveva affidato a Luna la sua civetta.
    <<per il generale dell’esercito della resistenza William Barrow,
    Sarei lieta di godere un po’ della sua compagnia domenica pomeriggio per bere qualcosa e fare quattro chiacchere fuori dalle mura della Resistenza, La attendo a casa mia per le 15.00, il mio gufo la guiderà in caso accetti l’invito.
    Cordiali Saluti
    Elizabeth Fleed>>
    Non era di certo da lei scrivere lettere formali per invitare qualcuno a casa sua ma dato che non sapeva molto su di lui rimase vaga, il problema ora però era un altro, se avesse potuto avrebbe annullato l’invito all’istante, in quel momento aveva bisogno solamente di rimanere sola. Con un rapido gesto della mano Elizabeth accartocciò la lettera e la lanciò sopra il tavolo esclamando:No!No! Non può essere vero… Strinse i pugni battendoli con forza contro il muro bianco della casetta mentre le lacrime le bagnavano il volto, i suoi pensieri furono interrotti da un battito d’ali “deve essere Luna…” pensò tra se ma se ci fosse stato anche il giovane con lei? Lizzy si asciugò le lacrime e tentò di riprendere la sua normale compostezza anche se le gambe le tremavano e gli occhi erano alquanto lucidi. Aspettò dunque qualche secondo per udire se qualcuno bussasse alla porta altrimenti sarebbe tornata a porre la sua attenzione alla lettera.
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    Edited by ^Lizzy^ - 26/7/2014, 22:38
     
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    William Barrow
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    Ef, perché non vai a giocare come i cani normali?” Domandò alla palla di pelo dagli occhi eterocromatici ai suoi piedi. Mischief era un Husky, non più cucciolo da due anni ormai, e poteva solo immaginare quanto quel caldo lo uccidesse. Will indossava una canottiera di almeno una taglia più grande, pantaloni color cachi del tessuto più leggero possibile, e scarpe di tela, eppure sentiva l’afa risucchiarlo in un tunnel senza via d’uscita. Erano coricati nel verde prato del parco giochi dove da bambino passava la maggior parte del suo tempo, l’Avis, a Diagon Alley. D’estate era il suo posto preferito, essendo tutti i bambini impegnati in vacanze dal sapore esotico assieme ai genitori; lui ed Ef avevano i giardinetti tutti per loro, eppure Mischief non si alzava nemmeno per andare a prendere il bastoncino che William gli aveva lanciato qualche metro più avanti. Lui con la schiena appoggiata al tronco di un albero, il cane su un fianco, si godevano quel filo d’aria che di tanto in tanto stuzzicava le fronde, senza sentirlo realmente. Sembrava di essere in un phon, o come si chiamava quel coso di cui Alec gli aveva tanto orgogliosamente parlato. “Dormire tutto il giorno ti farà diventare il cane più ciccione del mondo. Vogliamo vincere questo record, testa di Schiopodo?” Gli disse coricandosi a sua volta con il viso a pochi centimetri dal naso umido dell’animale, che per tutta risposta lasciò uscire l’aria sdegnato in una specie di sbuffo canino. Gli prese il muso fra le mani e poggiò la fronte sulla sua, stringendo il pelo dietro le orecchie. “Un giorno diventerai un saporitissimo hot dog, Mischief, e io sarò lì per condirti con senape e ketchup” Gli disse ad occhi chiusi, prima di stampargli (con molta irritazione da parte del cane) un bacio sull’immenso testone. La meraviglia, quel cane, con il suo occhio verde e quello azzurro. L’unica creatura al mondo che meritasse in modo incondizionato l’affetto di Will, l’unico che amava più di sé stesso: Ef aveva bisogno di lui, e per Barrow quello era molto più di quanto volesse ammettere. Sapere che qualcuno dipendeva da lui lo faceva sentire importante, unico, molto più di quanto non facesse il vuoto titolo di capo dei ribelli che si trascinava dietro. Andiamo, in realtà nessuno gli riconosceva quel titolo, se non in via ufficiale, e se non che nessun altro voleva prendersi quella responsabilità. Barrow era il capro espiatorio, e a lui andava bene. Più o meno.
    Una civetta planò a terra, vicino a loro. Ovviamente Mischief era troppo abituato a quei volatili per curarsene (quand’era piccolo però non la pensava allo stesso modo), quindi fu Barrow fra i due a stupirsene di più. Prese la lettera legata alla sua zampa, le allisciò le piume, ma questa non si smosse di un millimetro. Strano.
    “Per il generale dell’esercito della resistenza William Barrow,
    Sarei lieta di godere un po’ della sua compagnia domenica pomeriggio per bere qualcosa e fare quattro chiacchere fuori dalle mura della Resistenza, La attendo a casa mia per le 15.00, il mio gufo la guiderà in caso accetti l’invito.
    Cordiali Saluti
    Elizabeth Fleed”

    Lesse la lettera due volte per essere certo di ciò che vi era scritto. Chi, al mondo, dava del lei a William? Elizabeth Fleed, a quanto pareva. “Visto, palla di pelo? Al mondo c’è ancora qualcuno che mi fa sentire importante” Disse al cane, dandogli una pacchetta sul fianco. “Non avevo mai ricevuto un invito del genere..” Riflettè ad alta voce, ben conscio di star parlando solo con una civetta e con una sottospecie di cane. La sua misantropia stava raggiungendo livelli al limite dell’intelletto umano.

    Dopo aver portato Ef a casa, a cavallo della scopa ( non esattamente il suo modo preferito per spostarsi) seguì la civetta che si muoveva agile fra i cieli londinesi. Si divertiva a guardare i babbani, diversi metri sotto di loro, del tutto ignari di Barrow sopra le loro teste. Si divertiva ed al contempo si sentiva una nullità. Benvenuti nei complessi di inferiorità di William! La civetta si fermò in una casetta lontana dal centro, semplice e solitaria. Il giardino non era molto curato, ma in effetti Elizabeth si era trasferita da poco, per quanto ne sapesse Will. Si rendeva conto di non conoscere affatto i suoi collaboratori più stretti, e si chiedeva in base a cosa accordava loro la sua fiducia. Poi si ricordava che no, non lo faceva, quindi dov’era il problema? Scrocchiò le nocche nervosamente, poco abituato alla formalità che la Fleed gli aveva riservato. Infine, dandosi del codardo per i secondi persi a guardare il paesaggio quando in realtà cercava il supporto morale dell’universo, decise di bussare.
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  3. ^Lizzy^
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    L’invito di Elizabeth a quanto pare era stato accettato infatti dopo qualche secondo si sentì bussare alla porta, la ragazza si guardò un attimo allo specchio, non era certo in divisa, indossava un semplice abito lungo di seta verde , i capelli erano sciolti e le cadevano sulle spalle, al collo la giratempo che con un rapido gesto della mano nascose sotto il vestito in modo che si potesse vedere solamente la catenina dorata. Lizzy corse ad aprire , si trovò davanti un giovane dagli occhi azzurri, alto e dai capelli neri. <<prego, entra! Scusa il disordine ma non ho ancora finito di sistemare casa!>> esclamò la ragazza facendogli cenno di entrare con un’allegria che al lavoro non lasciava mai trasparire. Dopo di lui svolazzò in casa Luna che si poggiò sulla spalla di Elizabeth e si mise a fissarla con i suoi grandi occhi gialli come a dirle “guarda chi ti ho portato! Me la merito una ricompensina vero?” la giovane le sorrise e dopo averla accarezzata un poco si avvicinò alla finestra del soggiorno, l’aprì e Luna con un colpo d’ali uscì e si librò felice nel cielo <<non tornare tardi!>> fu l’unica raccomandazione che Lizzy le fece prima di rivolgersi al suo ospite con un sorriso che le illuminava il volto <<vuole qualcosa da bere? Non sono abituata ad avere ospiti ma era da tanto che desideravo parlare con qualcuno fuori dalla Resistenza…Posso darle del tu? mentre diceva ciò andò a passo svelto in cucina a prendere un vassoio di biscotti che aveva preparato la mattina , pensieri tutt’altro che felici però continuavano ad insinuarsi nella sua mente “no, non gli permetterò di rovinarmi anche questa giornata…ma ormai lo ha già fatto… che mio padre vada al diavolo! Che parli a William della lettera? No, no.. altrimenti dovrei spiegare da dove ho avuto simili informazioni… passerei per una traditrice… o peggio…. Ma devo provare a fidarmi di qualcuno altrimenti come si farà in futuro? ” . La giovane ritornò in soggiorno con il vassoio in mano e un disastro di dubbi per la testa, fece cenno a William di sedersi su una comoda poltroncina blu mentre lei posava i dolcetti sul tavolino di vetro di fronte a lui, la lettera era ancora li… accartocciata, Lizzy la prese con finta noncuranza e la infilò nel cassetto sotto il tavolo, non avrebbe svelato a nessuno la sua vita se non fosse stato assolutamente necessario. Il sole intanto entrò dalle finestre illuminando la stanza , i cui arredi spaziavano sulla gamma dei blu e dei turchesi, alle pareti oltre che diversi quadri erano appese anche delle foto e anche un acchiappasogni babbano che rifletteva la luce attraverso i suoi cristalli che producevano un piccolo tintinnio ad ogni colpo di vento. Lizzy con la bacchetta fece levitare dalla cucina anche delle tazze di the e dalle scale spuntò prima timidamente , il muso di una gattina siamese che ben presto la raggiunse sul divano, e si accoccolò tra i piedi fissando William con i suoi grandi occhi azzurri.
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    Edited by ^Lizzy^ - 28/7/2014, 17:22
     
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    Quando la porta si aprì, Will riconobbe nei tratti dolci del viso e negli occhi castani della giovane una vecchia compagna di scuola. Aveva una pessima memoria con i nomi, ma difficilmente dimenticava un volto: era un buon osservatore, ed aveva passato la maggior parte del suo tempo al castello a guardare la vita delle altre persone, in attesa che qualcuno lo calciasse in piedi e lo convincesse a vivere la sua, di vita. Non capiva come poteva non essersene accorto prima, ma era abbastanza chiaro che Barrow avesse troppe cose per la testa per potersi concentrare a dovere sulle persone. O almeno, questo continuava a dirsi per perdonarsi simili distrazioni, ma in cuor suo pensava che ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato nella sua continua distrazione: non si era accorto degli Estremisti, e non riconosceva una sua compagna di scuola. Stava invecchiando. “prego, entra! Scusa il disordine ma non ho ancora finito di sistemare casa!” Le rivolse un sorriso di circostanza, ancora scosso dalle sue mancanze. Con le mani ancora ben ficcate dentro le tasche dei pantaloni, entrò in casa di Elizabeth. Era palese che fosse appena arrivata, pochi oggetti personali ed ancora tutto così lindo da ricordargli una rivista patinata. La seguì cercando di farsi contagiare dalla sua allegria: al lavoro non gli era mai sembrata troppo espansiva, ed il formale invito aveva sottolineato quel lato che Will pensava di conoscere del suo carattere.. e invece! “vuole qualcosa da bere? Non sono abituata ad avere ospiti ma era da tanto che desideravo parlare con qualcuno fuori dalla Resistenza…Posso darle del tu?” L’ex corvonero si stava distruggendo le labbra a forza di passarvi l’indice ed il pollice sopra, ma all’ultima domanda sorrise più tranquillo, sentendo un peso sciogliersi sullo stomaco. Non sapeva bene il perché, ma era stato tutto così inaspettato che si era convinto che la Fleed dovesse rivelargli chissà quale verità sconcertante, o altre cose scomode che lui avrebbe preferito non sapere. Era abituato con Alec Winston: ogni volta che il ragazzo si faceva sentire, era per dirgli qualcosa di brutto. Non era più abituato alle chiacchiere di due persone normali. Era tutto così surreale, nella sua testa, che gli veniva da ridere. “Certo, deve per favore! Non sono abituato a sentirmi dare del lei, Elizabeth. Posso chiamarla così?” Domandò aggrottando le sopracciglia. Elizabeth sembrava molto più matura di quanto non fossero gli altri ventenni, e la capiva: portare il peso del generale dell’esercito sulle spalle non era nulla da poco, ti faceva invecchiare prima. Però sembrava proprio provenire da un’altra epoca: era quello che confondeva William Barrow, assieme al fatto che alla cortesia non era davvero più abituato. “E se ha del tè, lo bevo volentieri” Gli sembrava decisamente più tipo da tè, che da whisky o caffè.
    Biscotti. Lo invitò ad accomodarsi e posò un vassoio di quelli che sembravano deliziosi biscotti proprio sotto al suo naso: da bravo ospite, attese che anche la padrona di casa si sedesse, ma non potè resistere oltre al richiamo della pasta frolla. La vide infilare un po’ troppo rigidamente una lettera dentro un cassetto, e se la guardava bene notava una certa tensione agli angoli delle labbra: era sempre stato un buon osservatore, giusto? Ma non disse niente, mentre le tazze si fermavano con delicatezza sul basso tavolino. “Sono lusingato che abbia scelto me per quattro chiacchiere informali” Disse inarcando le sopracciglia divertito. Era talmente abituato a stare per i fatti suoi, che non ricordava quasi più come si facessero quattro chiacchiere in compagnia. Ma era stato educato bene, e sapeva tenere una conversazione: era un Barrow, dopotutto. “Allora, Elizabeth.. cosa mi racconta di interessante? E’ la nuova arrivata, a lei la parola” La invitò con un cenno della mano, mentre prendeva una zolletta di zucchero da mettere nel tè.

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    Edited by winston‚ - 2/8/2014, 03:06
     
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    Lizzy osservava attentamente il suo ospite, era strano trovarsi William davanti senza dover per forza parlare di notizie o di decisioni da prendere, annuì alla sua domanda con un altro sorriso <<puoi chiamarmi tranquillamente Lizzy è più corto e sicuramente men solenne di Elizabeth!>>. Alla fine lei ed il ragazzo che aveva di fronte erano ancora dei ragazzi entrambi con troppi pensieri per la testa per riuscire ad svagarsi senza pensare a qualcos’altro, ed infatti nella testa di Elizabeth ben altri pensieri si infiltravano continuamente facendole spegnere a momenti quel suo sorriso che aveva deciso di ritrovare una volta rimasta lontano dal padre. Quel maledetto foglio di carta aveva nuovamente sconvolto la sua vita, una vita che inutilmente aveva tentato di ricostruire, il suo contenuto l’aveva lasciata talmente perplessa e allo stesso tempo furiosa che non sapeva nemmeno se sarebbe riuscita a nascondere una cosa del genere a lungo. Fin da piccola era stata abituata a non rivelare i suoi sentimenti e le sue vere emozioni, non poteva mostrarle a nessuno, non poteva ne gioire ne piangere se non quando era sola e allora dava sfogo ai quello che celava il suo cuore. La voce di William la riportò alla realtà distaccandola dai suoi pensieri “Sono lusingato che abbia scelto me per quattro chiacchiere informali” la giovane prese in mano la tazza di porcellana e bevve un sorso di the, perché aveva chiamato proprio William sinceramente non lo sapeva, forse perché credeva che qualcosa oltre il loro ruolo all’interno dell’esercito li accomunasse, forse perché avevano la stessa età o forse perché aveva bisogno di avere qualcuno vicino dopo vent’anni passati nella solitudine più totale. <<l’intenzione era quella…>> furono le uniche parole che Lizzy pronunciò in risposta mentre un’ombra passò velocemente sul suo volto, poi però si morse le labbra perché aveva detto una cosa simile? Si corresse subito dopo <<si anche io sono felice, era da tempo che non mi capitava di parlare a tu per tu con un mio coetaneo>> se non ricordava male William era stato un corvonero ai tempi di Hogwarts come la sua unica migliore amica che però non aveva avuto scampo ai mangiamorte o meglio al torturatore della scuola. “Allora che mi racconta di interessante? E’ lei la nuova arrivata a lei la parola…” Lizzy in quel momento si rese conto che non sarebbe più riuscita a nascondere quello che realmente stava provando, che era inutile fingere che andasse tutto per il meglio quando in realtà le stava crollando il mondo addosso, la tazza le cadde di mano mentre una lacrima le rigava il volto, solamente il rumore sordo della porcellana che si disintegrava sul pavimento riecheggiò nella stanza. <<…che ho mandato in frantumi la mia vita…>> rispose poi Elizabeth con lo sguardo fisso sui cocci bianchi sotto di lei, mentre le lacrime scorrevano sul suo volto, non aveva pronunciato quelle parole lo in tono disperato anzi era calma ed immobile, seduta davanti a William ormai rassegnata da quella affermazione, in quel momento se fosse stata sola forse l’avrebbe fatta finita, per questo nonostante tutto, era sollevata nel saperlo li di fronte a lei anche se non aveva il coraggio di guardarlo in faccia e vedere la sua reazione.
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    William Barrow
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    William Barrow aveva pochi pregi, frenato sul nascere da almeno il doppio dei difetti. La sorte voleva che l’ex corvonero trovasse anche gli aspetti negativi del suo carattere come costruttivi, ed utili alla formazione della sua persona: quando non pensava alle implicazioni esplicite o meno delle sue azioni, si piaceva abbastanza da essere fiero di sé stesso. C’era una cosa, però, sulla quale avrebbero potuto concordare tutti, sia che lo conoscessero o che avessero sentito il suo nome per le malefatte al castello: non era in grado di consolare una persona. Era il classico ragazzo del ‘lascialo sbollire’, usato come scusa in ogni evenienza per evitare di essere coinvolto in spirali emotive dove non avrebbe avuto alcuna idea sul come comportarsi. Non era cattiveria, era un disagio mentale: gli piaceva sapere con cosa aveva a che fare, ed i sentimenti non erano il suo campo d’azione.
    “che ho mandato in frantumi la mia vita…” Quella frase continuava a risonare per la stanza, eco della ceramica in frantumi sul pavimento. La scena si svolse quasi al rallentatore, come se quella tazza avesse avuto tutto il tempo del mondo per sentire la forza di gravità che esercitava su di essa: il tè si sollevò leggermente, spargendo gocce ambrate nell’aria; la tazza si girò lentamente, accompagnata da un movimento inconscio del viso di Will, che ne seguì la traiettoria. Se avesse allungato il braccio avrebbe potuto prenderla al volo, ma era ancora immobilizzato dalla frase di Elizabeth. Di certo non ciò che chiunque, e in special modo la ragazza, avrebbero detto al primo che capitava. Will esercitava una certa influenza in quanto superiore di grado, teoricamente, sul piano formale: nulla però che potesse giustificare l’entrata in scena della ex Grifondoro, tagliente e fredda quanto il tè che si stava spandendo sotto i suoi piedi. Poggiò la tazza e che sostava a mezz’aria davanti alle sue labbra, leggermente socchiuse per lo stupore, e si affrettò a raccogliere i cocci più grandi con le dita affusolate, facendo attenzione a non tagliarsi. Il motivo per cui lo facesse manualmente e non usasse la magia, era che sentiva il bisogno di avere qualcosa di concreto da fare mentre pensava a cosa dire. Era lo stesso blocco che lo coglieva quando doveva andare a rendere i familiari partecipi di una perdita, una persona cara che aveva smesso di respirare la loro stessa aria mentre era lontana da casa. Le urla mute delle madri, il divano stretto fra la mano cadente del padre, i passi concitati dei fratelli che correvano in camera al piano di sopra. Preferiva di gran lunga quando lo accusavano (“Avevi promesso che l’avresti protetto, è colpa tua! sei un mostro!”) di quando cercavano il suo conforto. Deglutì e alzò gli occhi azzurri verso Lizzy, approfittando del fatto di essere accovacciato ai suoi piedi per incontrare il suo sguardo. “Scommetto che non c’è nulla che non possa essere aggiustato con un Reparo” Disse con un sorriso, puntando la bacchetta verso i cocci che aveva precedentemente posato sul tavolo. Due tocchi sicuri del polso, un incantesimo non verbale, ed i pezzi cominciarono a comporsi da soli, cercandosi e completandosi a vicenda come solo gli oggetti rotti sapevano fare. “Cos’è successo?” Lasciò da parte l’etichetta, che lo vedeva seduto diligentemente sulla poltroncina vicina, e si appoggiò al bracciolo della poltrona dov’era seduta la ragazza.
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  7. ^Lizzy^
         
     
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    Per sempre. Lei aveva rinunciato, al suo nome, alla sua vita, non lo aveva mai detto a nessuno, tutti problemi li aveva sempre affrontati da sola, e tutti i dolori li aveva dovuti soffrire da sola. Lei era sola dal primo giorno in cui era nata. ”Scommetto che non c’è nulla che non possa essere aggiustato con un Reparo” la voce calda di William la fecero destare dai suoi pensieri che per un attimo le avevano fatto perdere il senso dello spazio e del tempo, Lizzy per la prima volta dopo tanto tempo gli rivolse un sorriso vero, non uno di quelli che fai per circostanza, uno di quelli senza valore, non un sorriso che diventa la tua maschera contro tutti e nessuno, un sorriso di quelli che esprimono un singolo atimo di vera felicità o allegria anche se coperto dalle lacrime. Elizabeth si asciugò il volto dicendo <<crederai che sia una stupida, in tre mesi non ti ho quasi mai rivolto la parola ed poi ti invito a bere un the e finisco con il piangere dannazione… si vede che non sono abituata ad avere ospiti vero?>>.

    Cosa era successo? La domanda di William era comprensibile, dopotutto lui non sapeva niente di lei, Lizzy però sapeva di potersi fidare , lavorando con lui aveva potuto notare come fosse anch’egli una persona emotiva ma che spesso e volentieri nascondeva i sentimenti per ragioni politiche, dopotutto era il capo dei ribelli ma aveva sempre vent’anni. Elizabeth non poteva immaginare quanti pesi lui aveva sopportato ma poteva leggerne la gran parte dal suo atteggiamento e dai suoi sguardi, comunque decise di rispondere alla domanda, alzò la testa e con un gesto della mano lo invitò a sedersi accanto a lei <<non ho mai svelato a nessuno il mio passato William , forse perché cè più dolore che allegria da raccontare, ma voglio che tu lo sappia, dato che ti ho in qualche modo coinvolto in questa storia. Io sono figlia di un mangiamorte, Duke Fleed il quale più di qualsiasi altra cosa desiderava un figlio maschio, un erede che potesse diventare un giorno un fedele servitore del signore oscuro e dei suoi sicari, quando nacqui non stravolse i suoi piani, anzi tentò di addestrarmi perché dovevo “rendergli onore” quando ero piccola, ero molto fragile ed ogni volta che mi insultava torturandomi mi struggevo perché non riuscivo ad essere come lui voleva.>> Un ombra passò sul suo sguardo, ricordare era sempre doloroso e Lizzy non lo faceva da un po anche se quelle esperienze oltre avergli lasciato dei segni fisici indelebili, l’avevano sempre turbata nel suo animo. <<fortunatamente poi sono cresciuta.>> continuò <<ad Hogwarts lontano da lui ho capito che la vita che dovevo vivere era la mia, l’amicizia con una corvonero mi ha cambiata per sempre, ho iniziato a vedere una luce nelle persone, un mondo migliore, quando la ho persa ho giurato a me stesa che avrei fatto di tutto perché i nostri sogni su cui ci divertivamo a fantasticare diventassero realtà. Per questo mi sono unita ai ribelli, perché ognuno di noi è più di quello che appare, tutti hanno quella luce tanto speciale, solamente che certi la soffocano con convinzioni errate ed altri invece la lasciano risplendere.>>

    Elizabeth fece una breve pausa , e si versò un po’ di the nella tazza iniziandolo a bere a piccoli sorsi, dopo poco poggiò la tazzina sul tavolino, prese in mano la bacchetta e mormorò facendo un movimento preciso con il polso <<accio lettera>> dal cassetto del mobile uscì il foglio accartocciato da Lizzy che le era arrivato per posta poco prima, la giovane lo prese in mano e lo spiegò <<questa è di mio padre, mi è arrivata poco prima che bussassi alla mia porta, circa una settimana e mezzo fa ho avuto un disguido con un certo Damian Iceprite un mangiamorte che è venuto a casa mia, mio padre aveva preso una ragazza, credeva fosse una ribelle e la voleva consegnare a quel tizio, fortunatamente sono riuscita ad impedirlo, era innocente.>> Lizzy porse il foglio sgualcito a William , sulla pergamena in elegante calligrafia c’era scritto così:
    “Lizzy come stai? Ti sei ripresa completamente? L’altra sera te ne sei andata subito dopo che Damian ci ha lasciato, ma non eri in condizioni di andartene. Sei stata una stupida a lasciarti sfuggire un’occasione simile per dimostrargli quanto tu valga, saresti potuta entrare subito nelle fila dei mangiamorte ed invece hai rovinato tutto, eppure ti avevo insegnato molto bene ad deviare i sectumsepra, sono incanti pericolosi, potevi rimetterci le penne! Fortuna c’era quel ragazzo che ti ha salvato la vita, e ti ha dato prova della tua inferiorità. Ascoltami bene ragazzina, voglio che tu riporti indietro quella ribelle che ti sei lasciata sfuggire, entro due giorni la voglio di nuovo qui nel mio scantinato, altrimenti verrò a casa tua a prenderti. Mi stai nascondendo qualcosa, ti ricordo che i traditori non meritano di vivere, ti assicuro che se scopro che stai facendo qualcosa, ti vengo a giustiziare di persona , sono stato abbastanza chiaro?
    Duke Fleed”

    Elizabeth lasciò che Barrow leggesse il contenuto, doveva essere venuto solo per bere una tazza di the infondo…
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    “crederai che sia una stupida, in tre mesi non ti ho quasi mai rivolto la parola ed poi ti invito a bere un the e finisco con il piangere dannazione… si vede che non sono abituata ad avere ospiti vero?”
    Will finse di non aver sentito la prima parte della frase, perché non la conosceva abbastanza da poterla giudicare. O meglio, l’idea che si stava facendo di lei non era delle migliori, ma solo perché Barrow era l’ombra di una persona reale; vedere le persone piangere lo aveva sempre messo a disagio, e quasi si infastidiva con loro perché lo mettevano in quella situazione. Non pensava che fosse stupida, ma che fosse poco tagliata per quel lavoro. Ad alta voce, comunque, non disse niente: non gli sembrava molto carino infierire sul suo dolore, e se quelle lacrime solcavano le sue gote un motivo doveva pur esserci. Accennò ad un sorriso divertito. “Certo che si vede, hai preparato i biscotti.. solo chi non ha mai ospiti fa una cosa del genere. A casa mia è talmente un andirivieni, che è già tanto se si trova l’acqua nel frigo” Sorrise mentre lo diceva. Inclinò il capo all’indietro, tacendo il fatto che invece una bella bottiglia di whisky sul tavolo c’era sempre. Insomma, perché farsi passare per membri dell’APA , Alcolisti Poco Anonimi, perfino da una ragazza che ancora non lo conosceva, ed era ancora in tempo a farsi una bella opinione sul suo conto?
    “non ho mai svelato a nessuno il mio passato William , forse perché cè più dolore che allegria da raccontare, ma voglio che tu lo sappia, dato che ti ho in qualche modo coinvolto in questa storia. Io sono figlia di un mangiamorte, Duke Fleed il quale più di qualsiasi altra cosa desiderava un figlio maschio, un erede che potesse diventare un giorno un fedele servitore del signore oscuro e dei suoi sicari, quando nacqui non stravolse i suoi piani, anzi tentò di addestrarmi perché dovevo “rendergli onore” quando ero piccola, ero molto fragile ed ogni volta che mi insultava torturandomi mi struggevo perché non riuscivo ad essere come lui voleva.”
    Deja vu. Si accomodò di fianco a lei ed abbassò gli occhi, nascondendo un sorriso ironico e triste: storia già sentita. Ripensò a suo padre, Simon Barrow, un Mangiamorte abbastanza potente da essere a conoscenza dell’incantesimo; abbastanza testardo da desiderare una copia di sé stesso, non un figlio; abbastanza sadico da far soffrire l’unica persona che lo avesse mai amato, sua moglie, abbastanza da pregiudicarsi l’amore incondizionato di un figlio. Avrebbero potuto aprire un club, ‘genitori di merda’ sarebbe stato un titolo troppo scontato? Avrebbe voluto imputare la colpa al regime, ma sapeva che le persone erano stronze indipendentemente dall’allineamento. Una scelta di vita non cambia il proprio modo di essere. Nessuno sapeva il passato di William. Alcuni, ridendo, gli chiedevano se ne avesse mai avuto uno; con un sorriso, Barrow rispondeva che la sua cicogna era arrivata tardi di diciassette anni. Che differenza avrebbe fatto per gli altri conoscere la sua storia? L’unica cosa che poteva cambiare era la loro fiducia: come potevano affidare la loro vita ad un ragazzo che aveva ucciso a sangue freddo il proprio padre?
    “fortunatamente poi sono cresciuta. ad Hogwarts lontano da lui ho capito che la vita che dovevo vivere era la mia, l’amicizia con una corvonero mi ha cambiata per sempre, ho iniziato a vedere una luce nelle persone, un mondo migliore, quando la ho persa ho giurato a me stesa che avrei fatto di tutto perché i nostri sogni su cui ci divertivamo a fantasticare diventassero realtà. Per questo mi sono unita ai ribelli, perché ognuno di noi è più di quello che appare, tutti hanno quella luce tanto speciale, solamente che certi la soffocano con convinzioni errate ed altri invece la lasciano risplendere” Soffocò un altro sorriso, poggiando il mento sulle mani giunte. Che motivazione romantica, una luce. Se avesse dovuto descrivere sé stesso, la luce sarebbe stata decisamente in fondo alla lista: aveva cominciato quella strada per vendetta, ed ancora vedeva le orme di sangue che si era lasciato alle spalle. Non desiderava la pace nel mondo, non era –ancora- una Miss, gli bastava la libertà. Non dovevano per forza essere tutti dalla parte giusta, ma era necessario che ci fosse la possibilità di scegliere. Di conoscere l’alternativa.
    “questa è di mio padre, mi è arrivata poco prima che bussassi alla mia porta, circa una settimana e mezzo fa ho avuto un disguido con un certo Damian Icesprite un mangiamorte che è venuto a casa mia, mio padre aveva preso una ragazza, credeva fosse una ribelle e la voleva consegnare a quel tizio, fortunatamente sono riuscita ad impedirlo, era innocente.” Will cessò di essere il ventenne spensierato che prendeva un poco di sole assieme ad Ef, il suo Husky, e si rimise nei panni di capo della Resistenza. Drizzò la schiena e prese in mano la lettera di Elizabeth; si chiese distrattamente chi dei due fosse stato più forte: lei, ad allontanarsi dal padre, o lui, che l’aveva ucciso? Ovviamente era una domanda retorica, perché la risposta era sicuramente la Fleed. Privare la vita di qualcuno è un segno di codardia, così come lo era stato premere il grilletto contro il petto di Callaway. Un modo come un altro per aggirare l’ostacolo. “Conosco Damian” Disse in un sussurro quasi fra sé e sé, mentre gli occhi scorrevano sull’elegante calligrafia della lettera. Si massaggiò la radice del naso, poggiando la schiena al divano e lasciando scivolare la pergamena sul tavolino. “Si può sapere cos’hai fatto?” Domandò Barrow in tono distaccato, serio e forse leggermente minaccioso. Da quando Italie, nel nome dei ribelli, aveva rubato quel libro e messo in pericolo tutti loro, Will era diventato terribilmente paranoico; tutti sapevano che prima di fare qualunque cosa dovevano prima avvisarlo: avrebbero indetto una riunione, ed in comune accordo avrebbero trovato un modo per risolvere le cose. Era così che facevano, giusto? Lavoravano in gruppo. Prendevano decisioni insieme. “Fammi capire” Rilesse alcune righe della lettera. “Sei andata a casa di tuo padre, hai rapito –passami il termine- la sua prigioniera accusata di essere una ribelle..e l’hai aiutata fuggire davanti a Icesprite?” Domandò con lentezza, alzando lo sguardo gelido verso la ragazza seduta vicino a lui. Oh, sperava davvero che avesse una spiegazione più che buona e ragionevole.

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    Mentre parlava della sua vita noto come William tenesse lo sguardo basso, non mutò quasi mai espressione, sembrava che quel racconto gli ricordasse qualcosa... o forse era solamente una sua impressione? Comunque sia una volta finita la lettera si ricompose e sembrava piuttosto teso da quanto aveva appreso tanto quasi da rimproverarla dicendo “Si può sapere cos’hai fatto?Sei andata a casa di tuo padre, hai rapito –passami il termine- la sua prigioniera accusata di essere una ribelle..e l’hai aiutata fuggire davanti a Icesprite?”
    Lizzy posò la tazzina e si alzò di scatto dalla poltrona per andare vicino alla finestra ed aprirla con un colpo secco. Detestava essere rimproverata da qualcuno, anche se in parte aveva ragione non l'avrebbe mai ammesso così rispose in tono glaciale <<si ovviamente, per poi finire giustiziata li sul momento da quel Icesprite. Perdonami William ma ho ancora una intelligenza anche se a volte subisco qualche crollo psicologico so bene quale è il mio ruolo dentro la resistenza. Non vi avrei mai messo a rischio lo sai.>> Quello fu l'unico momento in cui Elizabeth si scompose e lasciò i suoi modi gentili e rispettosi, nessuno l'aveva mai vista arrabbiata sul serio, ma stavolta ci era molto vicina. Fece un respiro profondo lasciando che l'aria fresca che entrava dalla finestra riempisse i suoi polmoni, infondo lui non sapeva veramente come era andata la cosa, così in tono più calmo Lizzy iniziò a spiegare <<fino ad una settimana e mezzo fa io abitavo ancora con i miei, una sera ho sentito delle urla al piano di sotto, sono scesa a vedere e trovai mio padre tutto contento che diceva di aver snidato una ribelle. Ovviamente mi sono preoccupata da morire e ho tirato un sospiro di sollievo quando in cantina, non riconobbi la ragazza. Mio padre mi ha costretto a torturata tutta la notte, ma lei non gli ha detto nulla... non sapeva nulla... era innocente.>> la giovane si spostò dalla finestra ritornando a sedersi sulla poltroncina <<la mattina dopo eri seduta sul prato davanti casa, con un libro davanti mentre pensavo ad un modo per scagionare la ragazza senza che mio padre lo venisse a sapere quando mio trovo davanti questo Icesprite che sembra essere venuto apposta. Dalla chiacchierata che avvenne nello studio di mio padre capii al volo la situazione e ho fatto l'unica cosa che non avevo mai pensato di fare per qualcuno. Ho inscenato una aggressione verso me stessa.>>
    Lizzy lasciò che Barrow riferisse il colpo, poi con un'espressione più dolce continuò <<ho rischiato di morire ma... sono riuscita a giocarli ed a far fuggire la ragazza sotto il loro naso... tu avessi dovuto vedere la faccia di Damian! Ovviamente non appena mio padre Ci ha lasciati soli un minuto sai che ha fatto?Mi ha chiesto di leggermi la mente per vedere cosa era successo.>> Elizabeth riprese un'espressione seria <<in quel momento non potevo far altro che dirgli di si, altrimenti avrei destato sospetti, fortunatamente ho imparato a difendermi dagli attacchi mentali, gli ho mostrato quello che ho voluto, ovvero nulla.>>
    La ragazza quella sera aveva giurato di non far entrare mai più nessun altro nella sua testa, i suoi pensieri non voleva fossero analizzati. Lizzy guardo William, non poteva sapere molto di lui ma quanto basta per dire che forse avrebbe fatto lo stesso se fosse stato al suo posto. <<non appena Icesprite se ne è andato quella sera... me ne sono andata via anche io. Per un momento, l'idea di impugnare la bacchetta e porre fine alla vita di mio padre mi ha sfiorato... non ci sono riuscita. Invece lui tra due giorni lo farà di persona! Verrà qui e mi ucciderà! Sono un'idiota! >> esclamò poi accartocciando nuovamente la lettera e gettandola con forza sopra la scrivania. <<se solo potessi tornare indietro...>> mormorò poi, in quel momento le venne in mente una cosa, se quella era veramente l'ultima volta che avrebbe visto William allora doveva farlo , Elizabeth con una mano spostò i lunghi capelli dal collo rivelando una catenina dorata, la slacciò e la riavvolse nel pugno della sua mano per poi lasciarla delicatamente sul palmo di quella di William. La giratempo dorata al contatto con la luce della finestra brillò come un piccolo tesoro <<sai che cosa è. Voglio che la custodisci se io... dovessi andarmene.>> concluse poi in tono calmo prendendo in mano la tazza e finendo di bere il tè in un sorso, ora si sentiva motivo più sollevata di prima così chiese a barrow sorridendo<<dovrebbe essermi rimasto un po' di wiski nel frigo, vuoi che lo vada a prendere?>>

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    La reazione indispettita di lei avrebbe dovuto forse farlo sentire in colpa, dopotutto era senz’altro mancata fiducia, ma Will non riusciva a pentirsi di quello che aveva detto o del tono che aveva usato. La resistenza, per lui, veniva prima dei legami che avrebbe potuto creare con loro singolarmente. Prima di uno sguardo ferito, di una postura offesa, di spalle che come al solito venivano voltate nella sua direzione. Se fosse bastato quello, a farlo vacillare, non sarebbe stato il ragazzo che invece era: solo, ma determinato.
    si ovviamente, per poi finire giustiziata li sul momento da quel Icesprite. Perdonami William ma ho ancora una intelligenza anche se a volte subisco qualche crollo psicologico so bene quale è il mio ruolo dentro la resistenza. Non vi avrei mai messo a rischio lo sai” Si morse le labbra per non ridere, socchiudendo gli occhi. Crollo psicologico? Pensava che loro potessero permettersi un lusso del genere? Pensava che Will non passasse metà del suo tempo a tormentarsi con tutti gli ‘E se’ dell’universo, che in un modo e nell’altro portavano le sue scelte ad essere differenti? Pensava che la cosa non lo stesse facendo impazzire? Ma non lo dava a vedere, perché non poteva farlo. Non che biasimasse la ragazza per le sue lacrime: preferiva piangesse di fronte a lui, piuttosto che al resto dell’unità. Ma soprattutto, preferiva piangesse piuttosto che diventasse come egli stesso. Ma era normale, se non scontata, la sua reazione. Non era diventato il capo dei ribelli perché aveva raccolto i punti con le merendine, e non era solo un vent’enne interessato alle feste e all’apparenza disoccupato: Will era, al contempo, molto di più e molto meno. “No, Elizabeth, la verità è che non lo so. A volte non riusciamo a ragionare razionalmente, quando è in ballo qualcosa di più grande di noi: la grande pecca dell’essere umano è la sua umanità” Disse semplicemente, senza abbassare lo sguardo, a costo di passare per l’insensibile della situazione. E forse, un poco, lo era. Non riusciva ad essere empatico con gli altri, non riusciva ad assorbire il loro dolore. Non riusciva, quando i genitori dei soldati che morivano in battaglia infierivano su di lui, ad essere dispiaciuto per loro tanto quanto lo era per sé stesso. Non riusciva ma soprattutto non voleva, per mantenere intatto quel briciolo di sanità mentale che ancora gli impediva di andare in pezzi. “ho rischiato di morire ma... sono riuscita a giocarli ed a far fuggire la ragazza sotto il loro naso... tu avessi dovuto vedere la faccia di Damian! Ovviamente non appena mio padre Ci ha lasciati soli un minuto sai che ha fatto?Mi ha chiesto di leggermi la mente per vedere cosa era successo”
    Merda. Sospirò chiudendo le mani a pugno attorno alla bocca, per poi rialzare lo sguardo velato da un sottile strato di rassegnazione. Immaginava che Damian non vi avesse trovato nulla, non avrebbe scelto un Generale incapace di proteggersi dai Legilimens, ma il solo trovare il nulla era un indizio. Un sospetto, almeno, che avrebbe finito per ingigantirsi di giorno in giorno, fino a consumare tutto ciò che non obiettava, fino a contaminarlo con un’idea distorta. “non appena Icesprite se ne è andato quella sera... me ne sono andata via anche io. Per un momento, l'idea di impugnare la bacchetta e porre fine alla vita di mio padre mi ha sfiorato... non ci sono riuscita. Invece lui tra due giorni lo farà di persona! Verrà qui e mi ucciderà! Sono un'idiota!” Rimase in silenzio, forse per troppo tempo. La sua mente ripercorreva in un nastro a ripetizione l’immagine di un William poco più giovane che scavalcava il corpo senza vita del padre, la bacchetta ancora calda alla mano. In quel momento si era reso conto di non essere un ragazzo normale: Barrow non aveva sentito niente, a spezzare l’esistenza dell’uomo che l’aveva messo al mondo. niente, se non il sollievo di sapere che non avrebbe più camminato su quella terra, e non avrebbe più arrecato dolore né a lui né a sua madre. “Hai fatto bene. Uccidere qualcuno che pensavi di amare ti cambia, e non si può fuggire da sé stessi” Rispose semplicemente, senza alzare lo sguardo, come se stessero parlando del tempo. Non un inflessione nel tono di voce poteva lasciarle intendere la verità nascosta dietro quelle parole, non una particolare mimica facciale. Come quattro anni prima, William Barrow non sentiva niente. Scosse il capo quando lei gli porse la giratempo, poggiando la mano sulla sua per richiuderla attorno al ciondolo. “Non dire sciocchezze. Siamo ribelli, ricordi? Troviamo sempre una soluzione” Le rivolse un sorriso sghembo, lasciando la presa ed annuendo alla sua offerta di whisky. “Puoi trasferirti al quartier generale, per il momento. Ma dobbiamo trovare una soluzione permanente. Al momento posso farti solo due proposte, e nessuna delle due ti piacerà” allargò le ginocchia e vi poggiò sopra i gomiti, chinando la schiena.
    Sospirò, cercando di ignorare il fardello che pesava già sulla lingua. Come poteva anche solo pensare di proporre scenari del genere, e non sentire niente? Per sicurezza, portò una mano al petto. Tu tum. Tu tum. Peccato non bastasse il battito per ricordargli di avere un cuore.

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    Mi scuso anche con te per l'imbarazzantissimo ritardo ç____________ç PERDONAMI TI PREGO
     
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    La giovane non staccò lo sguardo da quel ragazzo nemmeno per un secondo mentre si pentiva di quel che aveva fatto, come le era saltato in mente di piangere davanti a lui? Cosa mai avrebbe potuto pensare ora di lei? Maledizione… perché? Perché lo aveva invitato in casa sua? I problemi avrebbe potuto affrontarli da sola come aveva sempre fatto , invece era crollata, crollata come una bambina di 5 anni quando non è più in grado di nascondere un segreto. “No, Elizabeth, la verità è che non lo so. A volte non riusciamo a ragionare razionalmente, quando è in ballo qualcosa di più grande di noi: la grande pecca dell’essere umano è la sua umanità.” Aveva ragione, man mano che il tempo passava lei se ne rendeva conto , quel giorno avrebbe dovuto pensarci, preparare un piano migliore o forse semplicemente stare a guardare e lasciar quella ragazza senza nome al suo destino ma sacrificare gli innocenti non era il forte di Lizzy. Non riusciva a spiegarsi perché quando vedeva qualcuno in pericolo qualcosa dentro di lei scattasse come una molla e la spingesse ad reagire, a salvare quante più vite possibile anche se significava rischiare tutto. Rischiare… forse non conosceva nemmeno il significato di quella parola, aveva sempre reagito d’impulso senza riflettere abbastanza su quel che faceva ma ora che era una ribelle non poteva permettersi più simili leggerezze, doveva smetterla con gli atti di eroismo senza senso perché non c’era più soltanto lei e la sua misera vita in gioco, c’era qualcosa di più grande. “E’ vero.” Esclamò la giovane riprendendo finalmente il controllo di se, ciò che aveva fatto non era cosa da poco e imprecò al pensiero di essersene resa conto solo in quel momento , mentre incontrava lo sguardo preoccupato di Barrow. Poteva capirlo, se lei si fosse trovata al suo posto probabilmente avrebbe sbattuto fuori dei ribelli chiunque avesse esposto la Resistenza ad un rischio simile, la sua unica fortuna è che Damian e suo padre erano stati degli idioti e ci erano cascati ma la sua copertura stava crollando , pezzo per pezzo, giorno dopo giorno e lei stava impazzendo del tutto.
    “L’umanità mi porterà alla follia” sussurrò tornando a sedersi sulla poltroncina blu incrociando le dita delle mani in una strana posizione innaturale, stava pensando, rimuginando su tutto quello che aveva fatto, su quante cose fossero giuste e quante altrettanto fossero sbagliate. Forse avrebbe dovuto uccidere suo padre quella sera prima di andarsene, lo avrebbe colto di sorpresa e nessuno avrebbe sospettato nulla, invece si era limitata ad uscire di casa in punta di piedi perché non riusciva ad odiarlo così tanto da volerlo morto, non aveva trovato il coraggio di affrontarlo faccia a faccia, era scappata come una codarda lasciando una misera lettera dai pensieri confusi e dalla calligrafia tremante. Si rese ben presto conto che fino a quel momento era riuscita a combinare forse più casini di quanti ne avesse mai fatti in vita sua e si sentiva in colpa per aver commesso tante sciocchezze una dietro l’altra senza dare il peso appropriato alle proprie azioni, senza valutare le conseguenze… era suo dovere farlo eppure non le era neppure passato per la mente di riflettere prima di agire. “Hai fatto bene. Uccidere qualcuno che pensavi di amare ti cambia, e non si può fuggire da sé stessi” Liz fece scivolare i suoi occhi nocciola sul giovane Will che sembrava essersi perso nei suoi pensieri ed disse quella frase in maniera tale da far nascere in lei il sospetto che lui avesse già avuto a che fare con quel sentimento strano e complicato che lei provava nei confronti del padre “Mi chiedo tante volte il perché non lo ho ucciso in tutti questi anni… Mio padre ci è andato molto vicino più di una volta ma… “ accennò un sorriso incomprensibile, sarcasmo misto a malinconia, “io non ne ho mai avuto il coraggio.” Questa era la verità.
    “Non dire sciocchezze. Siamo ribelli, ricordi? Troviamo sempre una soluzione” la mano di Barrow si richiuse sopra la sua che custodiva la piccola catenina dorata , quella giratempo era una delle poche rimaste fuori dalle grinfie dei mangiamorte e così Liz voleva che rimanesse, al sicuro, lontano da quelli che ne potevano fare un uso scorretto. Se la rigirò tra le dita ricordando la sera in cui l’aveva rubata dall’ufficio di suo padre, lui se ne era accorto quasi subito ma la ragazza l’aveva nascosta così bene che l’uomo non riuscì più a trovarla e si rassegnò ad averla perduta. “Si allora troveremo un modo, a me basta che non cada di nuovo tra le mani di quegli idioti” Concluse poi alzandosi nuovamente in piedi e recandosi in cucina, aprì la credenza e ne tirò fuori un vassoio di vetro con due bicchieri ed una bottiglia di Wisky , lei solitamente non beveva ma stavolta un bicchiere non le avrebbe sicuramente fatto male, ne a lei ne a Will. Tornò a passo spedito nel salottino e versò da bere al suo ospite, soltanto quando ebbero entrambi nuovamente i bicchieri in mano ripresero il discorso e sta volta fu Will a coglierla di sorpresa con queste parole “Puoi trasferirti al quartier generale, per il momento. Ma dobbiamo trovare una soluzione permanente. Al momento posso farti solo due proposte, e nessuna delle due ti piacerà” lei lo fissò con uno sguardo serio e al contempo distaccato, basta giocare, da quel momento si faceva sul serio e doveva essere pronta a cambiare, cambiare se stessa e la sua vita per la resistenza. Prima che il giovane continuasse il discorso, Elizabeth lasciò che il liquido del bicchiere le arrivasse alla gola infiammandogliela, socchiuse gli occhi qualche istante “Prima di dire qualsiasi altra cosa devi accettare le mie scuse, ho riflettuto molto su quel che ho fatto nelle ultime settimane ed il mio comportamento ha più volte messo a rischio tutti voi.” sospirò, convinta di quel che stava per dire “fin ora non mi ero mai posta il problema delle possibili conseguenze, sono sempre stata da sola ma ora è diverso. Ed io me ne sono resa conto soltanto ora.” Scosse la testa e con un colpo di polso svuotò il contenuto del bicchiere per poi poggiarlo sul tavolo, doveva cambiare, tutto doveva cambiare, il suo comportamento, le sue emozioni, tutto. Ed ora era pronta a farlo, a lasciarsi la sua vita alle spalle , a lasciare suo padre al suo destino, a diventare una donna dalla doppia faccia, una donna matura nonostante la giovane età , poteva riuscirci e sapeva che avrebbe potuto contare sull’aiuto di Will e su tutti quelli che come lei facevano parte della resistenza, si quella sarebbe diventata la sua nuova famiglia.


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    dopo questo ritardo mio siamo pari hahahahah
     
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    “E’ vero.” Aveva detto Elizabeth, quando William aveva espresso il suo criptico parere riguardo l’umanità. Un ragazzo particolare, con una visione particolare di ciò che lo circondava: vedeva le stesse cose degli altri, eppure sotto i suoi occhi acquistavano forme diversi, contorni meno definiti, colori più vivaci. Barrow, che si era impuntato di rappresentare la Resistenza, aveva chiaro quanto il mondo non fosse nettamente diviso fra bianco e nero, vedeva chiaramente le sfumature di grigio. Le sentiva, le aveva vissute. Non poteva affermare in tutta sincerità di essere uno dei buoni, Will, non con quello che aveva fatto. Non aveva mai cercato di essere un eroe: non faceva mai la scelta giusta, ma la più facile. Quella che avrebbe fatto bene ai più, anche sapendo che, se solo avesse voluto, avrebbe potuto trovare un altro modo. Era un soldato, ed uno stratega. Non era uno dei buoni, ma combatteva per chi lo era. Elizabeth, ad esempio, con quel sussurro a fior di labbra. “L’umanità mi porterà alla follia”. Ed aveva ragione, perché lei era buona in un modo che a Barrow era stato sempre precluso, più da sé stesso che dalle circostanze. Sapeva, lo vedeva chiaramente, che esistevano persone che avevano resistito, aggrappandosi alla loro umanità. Come Liz, che non aveva ucciso il padre. Ma l’ex corvonero era stato piegato troppe volte, si era incrinato minacciando di spezzarsi… ma quando si era rialzato, l’aveva fatto con una forza prepotente ed assorbita, schiaffeggiando l’aria esigendo di avere i propri spazi. Era cambiato, non necessariamente era diventato un uomo migliore. “Mi chiedo tante volte il perché non lo ho ucciso in tutti questi anni… Mio padre ci è andato molto vicino più di una volta ma… io non ne ho mai avuto il coraggio” Will rise, inclinando il capo all’indietro. Una risata amara, forgiata da un altrettanto amara verità. Avrebbe voluto un briciolo della forza della donna, ma doveva accontentarsi di quel relitto d’uomo che era diventato, che si sforzava d’essere per una causa più grande di lui. “Non si tratta di coraggio, Elizabeth. Il tuo non è stato un atto di codardia, ma di forza. Hai scelto la strada più difficile, sapendo che ti avrebbe fatto più male che bene, perché sei… buona” Concluse, con un mozzicone di sorriso. “E non è un difetto, è un pregio. Ma Liz” Scosse il capo, inumidendosi le labbra. “Questa è la tua vita privata, e la scelta spetta a te. Non sarò io a dirti quello che è meglio, mi pare che tu stia facendo un gran bel lavoro anche senza il consiglio di uno come me. Però, per quanto riguarda il tuo lavoro” Come poteva dirlo, senza suonare un mostro? Si schiarì la voce, alzando gli occhi, venendo a patti con la realtà: era un mostro, ma aveva venduto la sua anima per salvarne molte di più. “Dobbiamo fare scelte difficili, a volte, per quanto non ci piacciano. Altre persone dipendono da noi. So che mettere in ballo la propria vita è più facile rispetto a quella degli altri, credimi” Nuovamente, il sorriso incurvò le sue labbra sottili, senza però divertirlo per davvero. Sapeva di tante cose non dette, quel sorriso, cose che probabilmente mai avrebbero visto la luce. “Ma abbiamo scelto noi questa vita. Ci siamo fatti carico di questa responsabilità” Serio, forse troppo per un ragazzo di poco più che vent’anni. Ma William, nonostante tutti i suoi difetti, credeva realmente in quelle parole. Quelle parole erano sue, gli appartenevano in un modo che difficilmente qualcuno avrebbe potuto comprendere. Ma Elizabeth Fleed era Generale dell’esercito: se c’era qualcuno in grado di capire il suo stato d’animo, era lei.
    Fu con sincero sollievo, che accolse il loro nuovo compagno: whisky. Oh, il whisky era buono, e sicuramente rendeva più facile e meno drammatica una situazione drastica. Il potere dell’alcool: se una persona fosse stato in grado di incanalarlo, avrebbe conquistato il mondo a mani basse. “Prima di dire qualsiasi altra cosa devi accettare le mie scuse, ho riflettuto molto su quel che ho fatto nelle ultime settimane ed il mio comportamento ha più volte messo a rischio tutti voi” Il ragazzo arricciò le labbra, ammirando la facilità con la quale la donna aveva buttato giù il liquido ambrato. Al contrario, lui si mise ad osservare il contenuto del suo bicchiere, perdendosi in quel colore caldo. Quante volte l’aveva sorseggiato, sia in solitudine che in compagnia: le sbronze migliori con Dildo e Nathaniel, quelle per affogare il dolore con Keanu, i bicchieri svuotato con l’unico intento di dimenticare, seppur per poco. Si inumidì le labbra con la bevanda, accogliendo il familiare bruciare. “Scuse accettate” Rispose gentile, ma con mano ferma. Era rigido, Will, chiuso nei suoi schemi. “fin ora non mi ero mai posta il problema delle possibili conseguenze, sono sempre stata da sola ma ora è diverso. Ed io me ne sono resa conto soltanto ora” Rimase in silenzio qualche secondo, elaborando le parole della giovane. ‘Fanculo, si disse, scolando il bicchiere di whisky in un’unica bruciante golata. Le conseguenze, erano sempre loro a fottere: né lui né Elizabeth, così come tutti i ribelli, potevano permettersi di pensare solamente per sé stessi. Ogni loro mossa, ogni loro azione doveva essere ben calibrata, doveva avere un obiettivo più alto, non doveva né poteva preoccuparsi di ciò che accadeva nel mentre.
    Non era bello, Will lo sapeva. Ma erano in guerra, e quelle erano le regole. “Meglio tardi che mai” Rispose ironico, poggiando il bicchiere ormai vuoto sul tavolo di legno. Guardò l’ora, rendendosi conto di quanto fosse tardi. Si alzò, rassettandosi i vestiti sgualciti. “Liz, io devo andare… ma mi ha fatto piacere parlare con te. Sono felice che ti sia resa conto della situazione, e mi spiace che anche tu debba portare questo fardello. Ma dobbiamo ricordarci chi siamo, ed il motivo per cui lo facciamo. È l’unica cosa che ci rimane” Un sussurro, nell’ultima parola, mentre lo sguardo vagava assente sulla stanza. Rimise a fuoco la donna, rivolgendole un sorriso sghembo. “Porta la tue cose al Quartier Generale quando vuoi, magari dai un minimo di preavviso ad Idem così che possa prepararti la stanza” Nel mentre, si era già avviato verso la porta, dove si fermò. Le strinse la mano fra le proprie, improvvisamente serio. “E grazie” Senza ulteriori spiegazioni, per quel grazie apparentemente nato dal nulla, Will infilò le mani in tasca, sparendo in una giravolta per tornare a casa.
    Quel grazie era sincero, ed era per diversi motivi. Principalmente, l’aveva ringraziata per avergli mostrato quel lato umano che troppo spesso si scordava di avere, per averlo illuminato un’altra volta sul perché avesse scelto quella vita: per le persone come Elizabeth, che meritavano di più. Nella Resistenza pensavano che fosse Will il faro, la luce che li guidava. Ma lui non era altro che uno specchio, rifletteva la loro fiamma.
    Will, in fondo, era vuoto.
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