Questo mondo è metà da buttare e metà da rifare

Deborah Owen/Maeve Winston

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    Deborah Crystal Owen
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    «Questo mondo è metà da buttare e metà da rifare.»

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    Deborah anche detta "La Mattiniera" era già sveglia alle sei e mezza di quella fin troppo fredda giornata estiva. Era già metà agosto eppure l'estate non si era fatta sentire poi così tanto, o almeno non a Londra. Aveva passato due ore a letto a disegnare Hogwarts: le sue torri, i tetti a punta,le piccole finestre e il paesaggio che circondava il castello. Ogni piccolo dettaglio era riprodotto nel foglio giallognolo della ragazza che tracciava con precisione ogni forma. Una volta finito il disegno mordicchiò il bordo della matita insoddisfatta, nonostante avesse riprodotto tutto alla perfezione, secondo lei, quel disegno era da stropicciare o anche strappare. Non rende abbastanza. Pensò delusa, poi prese il lavoro appena terminato e lo stropicciò sino a trasformarlo in una misera palla di carta accartocciata. Sbuffò e scese dal letto a baldacchino, dalle coperte rosse e gialle. Raggiunse a passi lenti lo specchio dall'altra parte della stanza, questi riflesse l'immagine di una sedicenne che poteva portare anche il doppio dei suoi anni, aveva lo sguardo spento, le occhiaie evidenti, la chioma rossa arruffata,il volto segnato e il viso ancora più pallido del solito. Non dormiva da giorni, si sentiva fin troppo debole per uscire di casa eppure doveva farlo sennò rischiava di mimetizzarsi con le coperte e fare radici nel letto , scordandosi di vivere. Questo non doveva accadere. Con un po' di forza di volontà si decise a raggiungere il bagno, farsi una doccia fredda per svegliarsi perchè poi sarebbe uscita. Venti minuti dopo era pronta e pulita con indosso un vestitino bianco, degli stivaletti eleganti anti pioggia e una felpa nera, con la zip che ebbe chiuso una volta uscita di casa visto il freddo che c'era. Il cattivo umore la tormentava da giorni e quella mattina sembrava stare peggio del solito. Le era impossibile nascondere il suo cattivo umore, perfino l'espressione che aveva la faceva sembrare una debole e fragile ragazza, stanca di vivere. Mai nessuno avrebbe pensato che Deborah potesse essere stanca di vivere ma forse, in quel momento, lo era davvero. Troppi cambiamenti, troppe mancanze.Si arriva ad un punto in cui la vita ci spezza, ci fotte e quello era il punto. Le persone affrontano le proprie crisi in vari modi, per esempio drogandosi , facendosi del male o addirittura suicidandosi. La Owen non era quel tipo di persona e, per sua fortuna, viveva quella situazione non vivendo la vita ovvero restandosene chiusa in casa ma quello era il momento di dire basta, stop, e riprendere la sua vita in mano. Era umano essere tristi, passare momenti infelici quindi non doveva disperarsi, anzi, doveva essere forte e saper superare qualsiasi ostacolo, anche questo. Si volse verso la finestra da cui poteva vedere Londra svegliarsi e, amaramente, notò la pioggia cadere sulla città. Si avvicinò alla finestra e sentì il rumore rilassante ed impetuoso della pioggia che, a grandi gocce, raggiungeva la terra e poi continuava a cedere, apparentemente infinita. Il sole era nascosto dalle nubi scure, vi erano poche macchine per la strada e poche persone sotto gli ombrelli. Forse uscire non era l'idea migliore ma a Deborah non importava, aveva voglia di vivere Londra anche sotto la pioggia, anche se era di cattivo umore e anche se era sola. Così prese l'ombrello, la bacchetta, una borsa a tracolla nera ed uscì di casa con le cuffiette alle orecchie e lo sguardo perso. Niente andava come doveva andare e il tempo era tutt'altro che d'aiuto. Come poteva superare quella situazione? Intanto uscire a prendere una boccata d'aria forse l'avrebbe fatta star meglio. Aprì l'ombrello grigio pietra e chiuse il cancello di casa al ritmo di In the End dei Linkin Park.

    It starts with one things
    I don't know why
    It doesn't even matter how hard you try
    Keep that in mind
    I designed this rhyme
    To explain in due time
    All I know


    Camminava veloce sul marciapiede, canticchiando mentalmente la canzone. Più cercava di non pensare a niente e più pensava a qualcosa, come, per esempio al barbone che si trovava dall'altra parte della strada che rovistava furtivo fra la spazzatura. Come si poteva arrivare a tanto? Perdere ogni briciolo di rispetto per se stessi e cercare nei rifiuti altrui qualcosa di cui nutrirsi? Perchè fare una vita del genere? La risposta irruppe subito nella mente della rossa che strinse i pugni pensando a chi, di soldi e benessere ne aveva fin troppo. Perchè le persone non si accontentano mai di ciò che hanno, non apprezzano e vogliono sempre avere di più: più soldi, più potere e più fama. E' un circolo vizioso continuo, che purtroppo non avrà mai fine o meglio finché l'uomo esisterà. Il barbone trovò dei resti di cibo nella spazzatura, forse erano dei fagioli scaduti che lui aprì e mangiò con le mani, sotto la pioggia battente. Deborah lo superò pensierosa e crucciata.

    Time is a valuable thing
    Watch it fly by as the pendulum swings
    Watch it count down to the end of the day
    The clock ticks life away
    It's so unreal


    Erano quasi le dieci del mattino e Londra pareva come intrappolata in una bolla di pioggia e umidità che impediva alle persone di uscire e godersi l'estate. A piedi vi erano poche persone, di cui la maggioranza barboni o turisti sorpresi dalla pioggia privi di ombrello. Deborah li osservava da lontano continuando a camminare verso una meta imprecisa. Vedeva i turisti imbronciati, coprirsi con le giacche, i barboni dormire sotto le panchine per proteggersi dalla pioggia, altri frugare nella spazzatura e altri ancora chiedere soldi ai turisti. I turisti babbani, per Deborah, erano i più maleducati in assoluto. Sopratutto quelli che arrivavano tutti ben attrezzati e che facevano foto a qualsiasi cosa passava loro davanti giusto per dire 'Sì, questo è un piccione. Sì, l'ho fotografato a Londra. Sì, è un piccione inglese. Sì, sono molto rari.' e altre cazzate simili, dette solo per riempire la bocca. Intanto, se vuoi andare in vacanza a Londra devi sapere che tempo c'è, non è che se è estate allora puoi venire in bermuda. Pensò guardando un turista con i pantaloncini corti e gli occhiali da sole che era, con quel tempo, decisamente ridicolo e fuori luogo. Un barbone si avvicinò al turista più vicino e si fermò a chiedere soldi, questi gli sputò vicino e gli diede le spalle indignato. Deborah rimase a bocca aperta e si trattenne dal non lanciarli qualche incantesimo bastardo come il Tarantallegra. Pensò ai suoi genitori, ai loro corpi per terra senza vita per chissà quale misera ragione, pensò al suo vero aspetto e a quello attuale, pensò al fatto che, con la luna piena, si sarebbe trasformata per la prima volta. Pensò al male nel mondo, ai poveri, alle morti, alla solitudine. Le sembrò tutto fin troppo grande e capì che il male nel mondo non era destinato a finire, anzi, era destinato ad espandersi fino a rovinarlo del tutto. Lei era così impotente. C'era sempre qualcuno che avrebbe distrutto i suoi valori, sogni, pensieri. Dire che in quel momento Deborah aveva una visione del mondo misantropica era dire la pura verità. Già si era svegliata di cattivo umore, poi c'era la pioggia che non aiutava ed, in più, quella scena egoista e cattiva del turista maleducato. La Owen in quel momento provava un forte odio nei confronti del genere umano, una profonda rabbia le invadeva il corpo e aveva bisogno che qualcuno la calmasse, che la facesse tornare in se stessa. Questo mondo è metà da buttare e metà da rifare.


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    Cos’hai, Wins?” Maeve stava rovesciando apaticamente i pancake nel piatto, innaffiandoli di sciroppo d’acero che, a dirla tutta, la disgustava. Sapeva che non l’avrebbe mangiato, ma indorare la forchetta la faceva sentire meglio. Alzò gli occhi azzurri verso quelli altrettanto chiari di Edan, che la stavano fissando da sopra il piatto con un intensità maggiore di quella che la Winston poteva reggere. Deglutì a fatica, trattenendosi a stento dallo svuotare il sacco: voleva così tanto parlarne con suo fratello, condividere con lui ciò che provava. In un modo quasi viscerale, perché sapeva che il solo dirlo ad alta voce, vicino a lui, avrebbe alleggerito il fardello sulle spalle. Stava cercando di andare avanti, ma aveva bisogno di tempo. Quella mattina in particolare non era granchè in vena di mentire: si era svegliata nel cuore della notte, le lenzuola appiccicate al corpo magro ed il cuscino umido. Approfittando del bagno privato nella sua stanza, si era buttata sotto la doccia senza nemmeno togliersi il pigiama, una corta vestaglia bianca dai contorni rosati, ed era rimasta sotto il geto caldo fin quando la stanchezza non aveva preso il sopravvento. Ciocche umide le si arricciavano dietro le orecchie, ma Edan parve non farci caso. Si infilò una forchettata della colazione in bocca, e poi allontanò il piatto davanti a sé. “Prova costume” Disse, con un sorriso mascherato dalla bocca piena. Suo fratello era indeciso se crederle o no, lo vedeva nei tratti marcati del suo volto: ultimamente si erano allontanati a causa dei segreti che, invisibili ma pressanti, si stendevano fra loro. Voleva crederle, con ogni fibra di sé stesso, eppure sapeva di non poterlo fare. Per Maeve, l’altro Winston era sempre stato un libro aperto. “E non ho ancora bevuto il caffè” Sottolineò, spingendolo implicitamente verso la direzione che entrambi volevano prendesse: crederle. Parve ammorbidirsi, e le lanciò un fiocco di cereali, che prontamente la Corvonerò evitò piegando il capo. “Oggi ti porto con me a Londra, devo fare due cose” Maeve alzò gli occhi al cielo mugolando. “Edan, non ho più dieci anni. Posso stare a casa da sola, non incendierò nulla. Croce sul cuore” Lui si alzò e le si avvicinò da dietro, poggiando entrambe le mani sulle sue spalle. “Non è per la casa che sono preoccupato” Un bacio delicato sulla testa bionda della Winston, ed era già sparito in cima alle scale che portavano in camera sua. “E comunque, non era una proposta: devi solo accettare l’inevitabile!” Le urlò dall’altro capo della casa, chiudendo la porta.
    Le era mancato il suo fratellone. Sorrise, prese un biscotto dal centro tavola e salì la scala opposta per andare a prepararsi.

    Indossava una maglia felpata beige: era agosto, ma lei stava gelando. Il vento le scompigliava i capelli sciolti, costringendola a farsi piccola piccola per evitare che penetrasse fra le fibre dell’abito. La maglia le arrivava all’altezza del seno, lasciandole scoperta la pancia, protetta solamente dalla stretta canottiera nera e quella più morbida, di vestiario, bianca. I pantaloni lunghi e neri non servivano ad attirare la luce del sole, dato che questo sembrava essersi preso una vacanza ben remunerata in qualche isola caraibica. Rabbrividì nelle ballerine, mentre lei e suo fratello aspettavano (“chi stiamo aspettando, Edan?” “Un amico” Grazie della spiegazione esaustiva). Da lontano scorse un cappuccio, e ciuffi scuri che vi sfuggivano dal tessuto sottile ormai completamente zuppo d’acqua. Avrebbe riconosciuto ovunque quel modo di camminare, quel molleggiare le ginocchia e muovere i piedi lentamente come se il tempo per lui non scorresse. Si volse verso Edan, che stava sorridendo e salutava con la mano. “Un amico? Edan, è..” “I Winston!” Li interruppe una voce allegra dall’accento leggermente scozzese. “Alec Winston, sono almeno venti minuti che aspettiamo” "..Nostro cugino" concluse, a bassa voce.. Guardò interrogativa i due, ma non ebbe molto tempo per fare domande date le braccia sottili ma forti che la strinsero in un abbraccio un po’ troppo.. affettuoso. “Lo sa?” Le domandò Alec all’orecchio, in un sussurro così fine che a malapena lo aveva udito ella stessa, con un chiaro riferimento implicito ai Ribelli ed a suo fratello. Scosse il capo ricambiando l’abbraccio, ma non con lo stesso calore: lui le aveva detto di fidarsi di William Barrow, le aveva mentito. Non riusciva a guardare quegli occhi verde smeraldo, senza ricordare la bambina che, sfiorandole la mano, le aveva assicurato di potersi fidare. Ed era sempre lui quello che spariva di punto in bianco, senza lo straccio di una spiegazione. Lui che non si faceva sentire nemmeno per Natale, e che quando si annoiava rispuntava nelle loro vite e stravolgeva ciò che incontrava. Non avrebbe potuto odiarlo nemmeno se ci avesse provato con tutta sé stessa, eppure guardarlo la rendeva un po’ più triste. “Come siete diventati grandi” Maeve ed Edan si scambiarono un’occhiata dubbiosa. Alec si limitò a sospirare teatralmente, e ad afferrare il biondo per una spalla. “Comunque. Mi dispiace Maeve, devo rubartelo un’oretta.. facciamo due” Il fratello la guardò corrucciato, ma con una malizia divertita: sai com’è fatto, ci vediamo dopo.
    E Maeve Winston rimase da sola, sotto la pioggia, a Londra. Odiava Londra. Li guardò esterrefatta allontanarsi nel grigiore di uomini con la valigetta e donne con cagnolini striminziti nella borsa, e valutò la possibilità di inseguirli e –possibilmente- picchiarli. Fece due respiri profondi, alla ricerca di un vicolo buio dove avrebbe potuto smaterializzarsi per tornare a casa: avrebbe potuto dormire, oppure cercare in quell’apparecchio babbano un qualche stupido film strappalacrime da guardare mentre mangiava un gelato. Maledisse la sua famiglia in più lingue di quante pensava di conoscere, mentre veloce passava davanti ai pallidi turisti impavidi i quali, anziché avere un ombrello alla mano, esponevano all’impietosa pioggia macchine fotografiche che, in origine, dovevano essere progettate per le foto subacquee.
    Stava per arrivare all’obiettivo che si era prefissata, una traversa della via principale che si chiudeva sotto scale anti incendio e bidoni della spazzatura, quando assistette ad una scena davvero poco conveniente per il malcapitato, in una giornata del genere. Un senza tetto si era avvicinato ad un turista, e questi anziché ignorarlo come faceva la maggior parte dei suoi colleghi, aveva pensato bene di esternare il proprio pensiero attraverso un tuffo di saliva sull’asfalto, proprio vicino ai piedi del mendicante. Rimase pietrificata dallo sconforto, e dall’umiliazione: una volta anche lei, forse, avrebbe reagito allo stesso modo. Non si sarebbe mai abbassata a tanto, ma sarebbe riuscita a distruggere emotivamente il mendicante di turno in modo magari peggiore. Bastò un secondo perché vedesse ciò che di importante c’era da vedere: rigonfiamento della tasca destra della giacca, l’angolo di un portafoglio, il segno bianco dove l’abbronzatura non aveva potuto sconfiggere la fede nuziale, che al momento però non sostava sul suo anulare. Si avvicinò con un sorriso al turista, tutta miele e fascino irlandese, e svenevole gli indicò le attrazioni che avrebbe potuto visitare dall’altra parte della città (anche se sembrava interessato a ben altro). Dopo aver cortesemente declinato le sue offerte per un tè caldo –sì, i turisti pensavano che tutti i biondi pallidi fossero inglesi: sono irlandese, amico, offrimi una birra- , si allontanò e fece scivolare il portafoglio dell’uomo nel capello del senza tetto, portandosi un dito alle labbra con un occhiolino complice.
    Stava per arrivare ai bidoni, quando il suo cervello elaborò quello che aveva visto poco prima: indietreggiò lentamente, lanciando un’occhiata alla chioma rosso fuoco di.. Lydia? Deborah? Quand’ella alzò il viso, non potè che riconoscere nell’espressione la Owen: le due ragazze potevano anche essere uguali, ma lei l’avrebbe sempre distinta. Era tirata e sciupata, triste ed arrabbiata al tempo stesso: sapeva come ci si sentiva. Le si avvicinò con un sorriso mite, contenta di vederla ma amareggiata dal vedere il suo stato: sapeva ciò che aveva affrontato, o almeno pensava di saperlo, e di certo non era stato facile per lei. Avrebbe voluto fare di più, ma l’unica cosa che poteva offrirle era una socia criminale che l’avrebbe aiutata a sotterrare il corpo in caso di situazioni disperate. “Ehilà, Owen!” Le diede una spallata amichevole, sinceramente felice di incontrarla.
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    Deborah Crystal Owen
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    Quell'espressione così persa e stanca era insolita da vedere sul viso di Deborah che, solitamente, aveva il sorriso stampato in faccia e la risata facile. Ma che dire? Semplicemente quel giorno non le andava di sorridere. E, per essere chiari, nemmeno quello prima e prima ancora. Era un periodo no. Forse anche non solo per lei. C'erano due tipi di persone: quelle che subivano il male e non reagivano e quelle che, dopo averne subito troppo male, reagivano. La Owen era una di queste. Avrebbe reagito e già la sua uscita per le strade bagnate di Londra era una specie di reagire. Un piccolo cambiamento. Un passo avanti verso una Deborah migliore. Ecco il suo obbiettivo: diventare migliore. Nessuno è perfetto, nasciamo e cresciamo in diversi ambienti con al nostro fianco persone più o meno buone che ci trasmettono valori diversi, ci indirizzano verso le priorità della nostra vita. Per qualcuno le priorità più importanti possono essere i soldi, l'apparenza, una buona reputazione; per altri la salute, l'amore e i rapporti umani. Più cresciamo e più riusciamo a pensare con la nostra testa, a spezzare ciò che ci hanno insegnato selezionando ciò che vogliamo mantenere e ciò che vogliamo lasciare, aggiungendovi qualcosa di unicamente nostro. Deborah a sedici anni e mezzo, senza genitori da un anno, ha saputo aggiungere qualcosa di suo nella sua vita: la determinazione nel porsi obbiettivi e raggiungerli. Quindi prima o poi ci sarà una Grifondoro più forte, più felice e più piacevole di prima.
    Era rimasta incantata ad osservare la scena tra il vagabondo pelle e ossa e il turista, anche conosciuto come campione di sputo e arroganza di tutti i tempi. La Deborah che tanti conoscono sarebbe intervenuta, avrebbe fatto qualcosa per fottere il turista e aiutare il senzatetto, la Owen attuale, invece, voleva solo stare per i fatti suoi ed evitare qualsiasi contatto con individui del genere. Mentre la pioggia batteva regolare sul telo dell'ombrello, con una mano in tasca e l'altra che reggeva il paracqua, la canzone che stava ascoltando terminò, lasciando al posto del silenzio, solamente lo scrosciare della pioggia, sempre meno violento. Stava per smettere di piovere e il pensiero di un po' di sole rincuorò la Owen. Stava quasi per continuare la sua apparentemente infinita ed inutile passeggiata quando una figura bionda, con fare civettuolo, si avvicinò al turista/re degli sputi. Deborah la riconobbe e sul suo volto pallido si formò una specie di sorriso. Era la Winston! Maeve Winston! Quella Corvonero aveva un carattere molto particolare, una volta che la si conosceva o ci si affezionava oppure la si detestava. La rossa l' adorava. La ragazza, con furbizia, aveva dato indicazioni al turista che pareva interessato a tutt'altro in sua presenza e, cogliendo la sua disattenzione, Maeve gli fregò il portafoglio lasciandolo nel cappello del mendicante. Che personaggio! Deborah era indecisa se raggiungerla o meno e si mordicchiava le labbra chiedendosi cosa fare. E se aveva un impegno? E se era di fretta? Non si vedevano da così tanto tempo e sentiva una forte nostalgia dei momenti con lei. Forse Maeve Winston era l'unica persona che in quella grigia giornata avrebbe sopportato. Anzi, sicuramente Deborah avrebbe apprezzato la sua presenza. La Winston che sembrava non averla vista invece indietreggiò puntando lo sguardo su di lei. Si sorrisero a vicenda anche se quello di Crystal era uno di quei sorrisi un po' troppo spenti anche se spontanei. «Ehilà, Owen!» le disse una volta giunta di fronte a lei, dandole un'affettuosa spallata. «Ciao Wins.» Rispose lei portandosi, come al suo solito, una ciocca dietro ai capelli e chiudendo l'ombrello: rmai la pioggia sembrava essersi stancata di cadere. «Sia lodata Maeve Winston che aiuta i senzatetto e rende giustizia! Già ti vedo. Maeve protettrice dei poveri.» Disse lei sorridendo, tentando di non trasmettere il suo malessere all'amica. Odiava quando faceva pesare il suo dolore o tristezza sulle persone che amava, preferiva stare zitta e non dire niente. Inoltre sapeva anche nascondere bene quello che provava ma era difficile farlo con Maeve Winston, una delle persone che la conoscevano meglio in assoluto. Quindi si promise di non nascondere nulla all'amica, cercando sempre di alleggerire l'atmosfera continuò: «E io sarò sempre una tua fedele compagna. Braccio destro. O sinistro. Quello che ti pare.» Le fece l'occhiolino e un mezzo sorriso. Sperava di far ridere o almeno sorridere l'amica, le piaceva rendere felici le persone anche se lei non lo era. «Davvero Wins, sei stata geniale poco fa. L'avrei fatto anche io se fossi di umore migliore.» Concluse con un filo di voce e l'espressione contratta,ammettendo la sua debolezza. «Comunque sono davvero felice di rivederti.» Aggiunse esprimendo con un solo sguardo quanto fosse grata di avere l'amica lì di fronte a lei. Le vacanze spesso portano a non vedere le amicizie per mesi e questo era uno di quei casi. Non vedeva Maeve dall'inizio delle vacanze e si erano sentite di rado, sopratutto perchè la Owen aveva perso la voglia di raccontare tutte le sue sventure. In quel momento, l'amica era lì, di fronte a lei e il peso che Deborah sentiva premere sul suo petto da settimane sembrò alleggerirsi in sua presenza. Stava già meglio. Grazie a Dio esiste Maeve Winston.

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    Ho scritto che durante le vacanze non si sono sentite molto, spero vada bene anche il resto, auauaauau, mi piaceee #Winstonprotettricedeipoveri #hoilposterincameraconWinstoneilpovero #Winstondalgrandecuore
     
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    Redenzione. Sapeva che era un processo lento, e sapeva anche che l’azione di poco prima non sarebbe bastata per buttarsi alle spalle tutto ciò che aveva fatto in passato. Una parte di lei continuava a biasimarsi, continuava a trovare scuse, a dare la colpa al Regime. Era stata cresciuta come una Mangiamorte, ed era quello che avrebbe voluto diventare. Aveva trovato giusto torturare ragazzini ad Hogwarts, abituarsi al sangue sulla divisa, alle urla che le perforavano i timpani. Dopotutto era così che funzionava: pesce grande mangia pesce piccolo, subisci o sopravvivi. Ricordava ancora la volta in cui era stata obbligata a torturare Stiles: lui era al secondo anno, lei al terzo, e lo avevano accusato di aver avvelenato il gatto di un suo compagno di stanza. Maeve sapeva che non poteva essere andata così, Stilinski non avrebbe fatto male nemmeno a una Puffola per quanto le odiasse, eppure non aveva potuto far niente. Aveva visto i suoi occhi color cioccolato spalancati, ma non vi aveva visto l’odio: Stiles aveva capito, ed accettava la situazione. Le aveva anche sorriso, o almeno aveva provato a farlo, mentre graffi color cremisi si aprivano sulle sue braccia. La Winston non era riuscita a trattenere le lacrime, ma le aveva asciugate prima ancora che qualcuno potesse vederle. Era stata egoista, sapeva che se non avesse fatto quello che le avevano ordinato di fare avrebbe preso il suo posto. E lei, lei sapeva che Stiles una cosa del genere non gliel’avrebbe mai fatta. Non sarebbe mai riuscita a perdonarsi per essere stata così codarda, e così tante volte: ma stava cercando il perdono degli altri.
    Ciao Wins. Sia lodata Maeve Winston che aiuta i senzatetto e rende giustizia! Già ti vedo. Maeve protettrice dei poveri” Maeve rispose al suo sorriso con una risata divertita, inclinando il capo all’indietro. Vide il senza tetto di poco prima incredulo, davanti a ciò che la Winston gli aveva appena donato, e dallo spessore del portafoglio comprese che il proprietario non si sarebbe nemmeno accorto del furto. O almeno, lo avrebbe fatto, ma non avrebbe pianto sui beni persi. Si portò un dito alle labbra intimando alla rossa di tacere. “Non dirlo in giro, mi rovini la reputazione. Sono in incognito” Ammiccò, alzando entrambe le sopracciglia e figurandosi dettagliatamente nella testa una versione di sé stessa con un mantello ed una maschera. Come Mnemosine, colei che aveva partecipato alla battaglia di Moher. Nessuno sapeva chi fosse, né per quale motivo combattesse quella battaglia. Aveva senso chiederlo? E perché, se lei tanto teneva a quella maschera, strappargliela dal viso? Tutti ne portano una, anche se alcuni sono meno espliciti di altri. Non fa piacere a nessuno essere privati della propria protezione contro la realtà. “E se lo meritava, dannazione. Che schifo” Fece una smorfia, ripensando allo sputo che l’uomo aveva diretto verso il mendicante. Lei, perlomeno, non aveva mai sputato addosso a nessuno. Gran consolazione.
    E io sarò sempre una tua fedele compagna. Braccio destro. O sinistro. Quello che ti pare” Tirò su le braccia dell’amica, squadrandole dalla punta dell’indice alla spalla. “Destra, mi piace di più” Concluse soddisfatta e seria, annuendo lentamente. “Davvero Wins, sei stata geniale poco fa. L'avrei fatto anche io se fossi di umore migliore.” La guardò meglio, notando nuovamente la brutta cera della ragazza. Non che non fosse comunque una meraviglia, con quei capelli ramati e gli occhi verdi, però.. Era diversa, e non solo perché aveva cambiato aspetto –Winston, sei troppo perspicace. Le mie congratulazioni-Che succede, Deb?” Le domandò preoccupata, spostandole la ciocca di capelli che le era nuovamente finita davanti agli occhi. Raramente Maeve chiamava le persone per nome, specialmente se erano amici. Si divertiva a fingersi formale, appellandoli con il loro cognome. Ma quando la situazione lo richiedeva, quando c’era necessità dell’intimità e del richiamo all’amicizia che li legava, ricorreva al loro nome. Le persone pensavano che il nome legasse un identità, e chi era Maeve per stravolgere le usanze nate insieme all’uomo stesso? “E comunque, non lo metto in dubbio. Probabilmente però ti saresti fatta scoprire, e avresti concluso picchiando l’uomo” Indicò il derubato che si allontanava verso la direzione indicata da Maeve. “Sei una Grifondoro, cosa ci si può aspettare?” Le ripetè con sarcasmo, probabilmente per la millesima volta da quando si erano conosciute. La Winston aveva un serio problema con i Grifondoro, tendeva ad odiarli per il solo colore delle sciarpe; probabilmente era colpa di Italie, il Caposcuola. Non riusciva nemmeno a guardarlo, senza provare l’impulso di lanciargli un calamaio sulla testa. Comunque Deborah sapeva del suo astio malcelato nei loro confronti, quindi non smetteva mai di sottolinearlo. “Comunque sono davvero felice di rivederti” Il suo sguardo era così sincero, che Maeve resistette alla tentazione di abbracciarla. Non lo fece, si conosceva abbastanza da sapere che, nel momento in cui le avesse lanciato le braccia al collo, si sarebbe odiata per un tale slancio. Lei e Edan erano stati cresciuti amorevolmente, su quello non pioveva, ma non erano mai stati abituati alle manifestazioni pubbliche d’affetto. A casa loro bastava uno sguardo, un mezzo sorriso, per comunicare all’altro familiare tutto ciò che passava per la testa. Era dalla fine della scuola, del suo ultimo anno ad Hogwarts, che non vedeva la Owen. Le lettere che erano solite mandarsi avevano finito a diventare sempre più scarne, piene di convenevoli e senza nulla di fatto. Nessuna lettera avrebbe mai potuto dire a Maeve ciò che invece vedeva scritto sul viso di Deborah. Le strinse affettuosamente il braccio. “Anche io. A proposito, perché sei qui da sola?” Domandò, lanciando un’occhiata alle nuvole temporalesche che si muovevano veloci sopra di loro.
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    Straordinariamente riservata fin da quando aveva imparato a parlare, la Deborah quasi diciassettenne si era ormai chiusa in se stessa se si trattava di parlare di sè, aprendosi solamente con poche e fidate persone. A socializzare era brava, sapeva conquistare le persone dopo poche parole e spesso le affascinava, senza mai parlare di se stessa. Difficilmente raccontava i suoi fatti privati o ciò che provava. Non perchè non si fidasse delle persone, lei era una di quelle ragazze propense a fidarsi della maggior parte degli individui, perfino quelli meno raccomandabili; il fatto era che detestava mettersi -metaforicamente- sotto i riflettori parlando di sè, preferiva stare sotto ai riflettori parlando di altro, come, per esempio, della musica o delle ciambelle con la crema che le piacevano tanto e che avrebbe mangiato tutta la vita. Viveva come in una bolla di sapone, osservava il mondo che la circondava talvolta ammaliata e talvolta amareggiata, permetteva al mondo di vederla e sceglieva lei come farlo. La scelta di Deborah era quella di mostrarsi come una persona piacevole, solare che, però, sapeva ben delimitare i rapporti con le persone, non raccontando a tutti la sua vita privata. Amava essere riservata, potersi trovare con le poche persone a cui era davvero affezionata e raccontare a loro, con entusiasmo, della propria vita. Se si fosse confidata con tutti avrebbe perso l'entusiasmo di raccontare qualsiasi cosa. Pensava sempre che, aprirsi con poche persone le avrebbe rese più speciali. Significava "Io non dico queste cose a tutti. Le dico a te. Mi fido di te, direi tutto, ma proprio tutto a te.", la fiducia rende le persone felici e si sentono anche, in qualche strano modo, importanti. E per questo, in quella fin troppo fresca mattinata inglese, si sarebbe confidata con Maeve. «Che succede, Deb?»Le domandò la bionda, forse quel posto non era adatto per parlarne ma sicuramente lo avrebbe fatto di fronte ad una birra o una ciambella. Deborah pensava che tutto il mondo girasse attorno alle ciambelle, non c'era niente di più buono di una ciambella appena sfornata, dalla consistenza morbida e ancora leggermente calda. Comunque essere chiamata "Deb" dalla Winston era piuttosto raro ma piacevole, se non piacevolissimo dato che lei ben poche persone per nome. «Potremmo parlarne in qualche pub. Fingeremo di essere delle babbane che vogliono bersi una birra e mangiarsi una ciambella. Sai che io amo le ciambelle. E so che tu ami la birra.» Propose mentre gli occhi verdi le brillarono e la sua mente vagava già nel mondo delle ciambelle. Quella non era l'atmosfera giusta per affrontare il tema: licantropia. Da dove iniziare? Di certo non avrebbe iniziato lì, in quella scolorita e banale strada frequentata da turisti. «E comunque, non lo metto in dubbio. Probabilmente però ti saresti fatta scoprire, e avresti concluso picchiando l’uomo. Sei una Grifondoro, cosa ci si può aspettare?» Continuò la Corvonero riferendosi al turista re degli sputi. Il sorriso sarcastico di lei contagiò la Owen che ricambiò, apprezzando l'umorismo immancabile dell'amica. Era fortunata ad essere una delle poche Grife amiche della Winston, sapeva bene quanto detestasse i Grifondoro e per la Corvonero era impossibile da nascondere il suo sentimento. «Probabilmente lo avrei privato di tutti i suoi averi, poi preso a calci nel posteriore fino a farlo volare in cima al Big Ben.» Rispose sincera, arricciandosi con l'indice una ciocca di capelli rossi. «La mia mossa sarebbe stata più efficace visto che dopo quell'individuo, bloccato sul Big Ben, non avrebbe potuto più compiere atti osceni. Ti aspettavi che una Grifondoro come me non calcolasse tutto?» Domandò divertita, amava scherzare con la Winston e creare un'atmosfera di rivalità inesistente fra lei e la Corvonero. Deborah, secondo le sue numerose qualità poteva anche essere una perfetta blu-argento, sopratutto dopo l'impatto con la musica, il suo carattere era mutato e l'incredibile impulsività che la caratterizzava era diminuita, rendendo di lei una ragazza più ragionevole che, dopo aver pensato, seguiva l'istinto ma sempre dopo aver messo in moto il pensiero. Evidentemente non era abbastanza ragionevole visto che il Cappello Parlante, la smistò in Grifondoro in seguito ad una sua lunga riflessione riguardante il cuore della ragazza e la sua mente, forse anche lui era indeciso: Grifondoro o Corvonero? Grifondoro parve la scelta più adatta. In risposta al: «Comunque sono davvero felice di rivederti.», la Winston riconobbe in Deborah la fragilità del momento che stava passando e le strinse affettuosamente il braccio. Conosceva così bene la bionda che sapeva quanto fosse difficile per lei manifestare affetto attraverso il contatto fisico, in tutta la sua vita si erano scambiate così pochi abbracci da contare sulle dita delle mani ma, infondo, era così importante? Deborah voleva bene a Maeve così com'era, con il suo animo apparentemente di ghiaccio e privo di sentimenti che in realtà era composto da mille sfaccettature di Meve, quella testarda, quella coraggiosa, quella determinata che porta a termine ogni suo compito e quella che stringe il braccio all'amica, non conoscendo bene altro modo fisico di dare conforto. Era questa amicizia, apprezzare anche i lati bui, difficili, trascurati della persona e vederli come qualcosa di bello, particolare e unico. Il buio è luce in amicizia. «Anche io. A proposito, perché sei qui da sola?» Le domandò Maeve. «Avevo bisogno di prendere un po' d'aria. A casa talvolta si soffoca, anche senza genitori.» Forse era la solitudine, o proprio l'assenza dei genitori o il cambiamento che stava affrontando, ma tutto questo, insieme, le trasmetteva un forte sentimento di soffocamento. L'aria Londinese -per quanto inquinata fosse- le faceva prender fiato e le portava fortuna, visto il piacevole incontro appena fatto. «E tu invece, cosa ci fa l'Irlandese Maeve Winston da queste parti?» Domandò inarcando un sopracciglio e guardandosi intorno alla ricerca di un pub: la voglia di ciambelle era tornata. Scorse un piccolo locale in lontananza, lo riconobbe, si chiamava "Hand in hand" ed era frequentato dai babbani della zona che si recavano lì quotidianamente. «A proposito, ho trovato dove berci un birra e mangiarci una ciambella.» Indicò il locale in fondo alla via, stava di fianco ad un parco su cui stava uno strato erboso di un verde smeraldo meraviglioso. Offrì il braccetto all'amica, sfoggiando uno dei più bei sorrisi che riusciva a fare mentre il sole faceva capolino dalle nubi scure che si stavano allontanando.

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    Maeve Winston non era in grado di confortare le persone. Non ricordava molte cose di quand’era piccola, ma c’era un pomeriggio particolare che le era rimasto impresso.
    Faceva caldo, e il sole brillava alto nel cielo facendo sembrare le foglie smeraldo ed il cielo puro zaffiro; una di quelle giornate in cui era impossibile non sorridere, perché era la vita ad imporlo. Quei giorni in cui tutto assumeva una sfumatura nuova, perfetta, e contemplarne i colori bastava ad alleggerire lo spirito. I suoi genitori erano a casa da lavoro, per cui avevano portato lei ed Edan al parco. Una delle primissime volte in cui veva interagito con altri bambini, babbani per di più. Wynne ed Aaron non avevano mai dato particolare importanza al sangue, perché il merito a parere loro andava guadagnato; non si facevano problemi a vedere Maeve ed Edan che spingevano babbani sull’altalena, né disegnavano la compagnia dei genitori che, ignari di tutto, commentavano i loro pargoli. Una bambina, dai capelli color ebano e occhi nocciola, sedeva in disparte da tutto e tutti, mentre svogliatamente leccava il suo gelato alla fragola. La molesta, e saltellante Winston, espansiva di natura e curiosa come solo i delfini dovrebbero essere, le si era seduta vicino. “Ciao, io sono Maeve” “Ciao” Senza badare al fatto che lei non avesse risposto con il suo nome, iniziò le domande. “Perché sei qui da sola?” “Non mi va di stare con gli altri bambini” Leggermente offesa, aggrottò le sopracciglia. “E perché no?” “Mi prendono in giro” “Perché?” “Non lo so” “Chiediglielo” Una risata adulta uscì dalle labbra giovani, lasciando interdetta la bionda. “Non vogliono giocare con me, sono stupidi” Maeve fece spallucce. “Il fatto che non vogliano giocare con te, non significa che siano stupidi” “Allora cosa significa?” “Che non sei simpatica” Rispose con semplicità, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Cosa che, fra l’altro, per lei era. La ragazzina strinse così forte il gelato, che una crepa si fece spazio da metà cono alla cima, minacciando si strapparsi a metà. “I miei genitori sono morti” Per Maeve la morte era una cosa scontata: ogni volta che i suoi genitori uscivano per una missione, avrebbe potuto essere l’ultima volta che varcavano quella porta. Non riusciva a comprendere il dolore negli occhi della ragazza, aveva solo sei anni per Merlino! “Non credo che conti. Secondo me il problema sei tu. Dovresti giocare con noi, così fai vedere che sei simpatica” La ragazzina aveva buttato il gelato nel bidone più vicino, e se n’era andata con le lacrime agli occhi.
    Da diciottenne, il solo pensare a quel pomeriggio la faceva sentire una persona orribile. Non era cambiata molto nel corso degli anni, e non facevano che farglielo notare: la verità era idolatrata e mai apprezzata. Pensarci era bello e rassicurante, come un fuoco in una notte invernale, ma toccarla bruciava. Deborah Owen però, una delle sue migliori amiche, aveva bisogno di lei. Se non poteva confortarla, di certo poteva ascoltarla. “Potremmo parlarne in qualche pub. Fingeremo di essere delle babbane che vogliono bersi una birra e mangiarsi una ciambella. Sai che io amo le ciambelle. E so che tu ami la birra” Sorrise arricciando le labbra. “Lo sai che non bevo birra quando sono in giro, non è da Maeve darsi alla bevanda ambrata! E così.. rozza” Finse un tono esasperato e disgustato, ma purtroppo era la verità: le piaceva dare agli altri una versione di sé stessa perfezionata, come una di quelle barbie da collezione che non si possono nemmeno togliere dalla scatola. “Però a un aperitivo non dico mai di no” Fece alzando le sopracciglia con fare ammiccante. “Probabilmente lo avrei privato di tutti i suoi averi, poi preso a calci nel posteriore fino a farlo volare in cima al Big Ben. La mia mossa sarebbe stata più efficace visto che dopo quell'individuo, bloccato sul Big Ben, non avrebbe potuto più compiere atti osceni. Ti aspettavi che una Grifondoro come me non calcolasse tutto?” Rispose la Owen alla provocazione, suscitando uno sbuffo divertito della bionda. “Era esattamente quello che mi aspettavo da una Grifondoro: spettacolo da fuochi d’artificio, e disagio per chiunque data la quantità di lavoro per tirare giù il malcapitato dal Big Ben” Disse seria in tono saccente, alzando impercettibilmente le sopracciglia. Quando le chiese perché si trovasse in giro da sola, Deborah rispose semplicemente che aveva bisogno di un po’ d’aria; Maeve non lo mise in dubbio, e non rispose al suo sotto tono triste se con un sorriso che cercava di essere di conforto. “E poi sono arrivata io a romperti le pluffe nel paniere. Non ti lascerò da sola, Deborah Crystal Owen” Affermò con convinzione in tono scherzoso, ma seria nelle sue intenzioni. Maeve non voleva lasciare più nessuno da solo, ci sarebbe stata. Sempre, era una promessa. Non tutte le promesse si possono mantenere.
    La scogliera, la caduta, la promessa, il sangue.
    La sua espressione si fece distante e pensierosa, mentre il cuore lentamente sprofondava nel petto. “E tu invece, cosa ci fa l'Irlandese Maeve Winston da queste parti?” Si riscosse battendo le palpebre, sorridendo tranquilla come se nulla fosse successo. “L’irlandese Maeve Winston era in giro con suo fratello, finchè non è arrivato suo cugino a rapirlo, lasciandola sola” Sospirò melodrammaticamente, assottigliando le labbra. “Ma adesso sono in buona compagnia. Poteva andarmi peggio, sono una ragazza affascinante ed è pieno di malintenzionati .. sei forse una di loro?” Domandò sospettosa, l’ombra di una risata negli occhi azzurri. “A proposito, ho trovato dove berci un birra e mangiarci una ciambella” “Allettante, Owen. Come potrei rifiutare?” rispose abbassando il tono di voce, alzandosi e prendendo il braccetto che la rossa le offriva.
    Il locale era molto carino per gli standard di Londra, dove tutto sembrava essere pensato per i turisti, così ricchi di clichè inglesi da risultare imbarazzanti. Era piccolo ma confortevole, con pareti color pastello e musica a basso volume, che cullava chiunque si accomodasse sui divanetti color panna. Fece cenno all’amica di sedersi di fronte a lei, mentre con destrezza afferrava il menù prima che potesse appropriarsene la Grifondoro. Alla prima pagina, aveva già l’acquolina alla bocca. “Hanno i frappè con panna, serviti con un invitante ciliegina sopra. Potrei perfino declinare il richiamo dell’alcool per una cosa del genere” Si morse il labbro, combattuta.
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    Deborah Crystal Owen
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    «Questo mondo è metà da buttare e metà da rifare.»

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    «E poi sono arrivata io a romperti le pluffe nel paniere. Non ti lascerò da sola, Deborah Crystal Owen»
    Era la cosa più bella che Maeve Winston le potesse dire, niente parole pesanti, niente esagerazioni, niente sdolcinatezze. Solo una promessa, altre parole non servivano. L'amica le aveva affermato la propria presenza ed è sempre bello quando qualcuno lo faceva, non ci si sente più così tanto soli. Le sfuggì un sorriso e gli occhi verdi dalle mille sfaccettature le brillarono, Maeve non l'avrebbe lasciata sola ma neanche Deborah avrebbe lasciato sola l'ex Corvonero, erano successe fin troppe cose ad entrambe e, ora, dovevano farsi forza insieme. «Maeve Winston, neanche io ti lascerò da sola. Croce sul cuore.» Si fece una croce sul cuore, gesto che per lei significava una promessa solenne, indistruttibile. «L’irlandese Maeve Winston era in giro con suo fratello, finchè non è arrivato suo cugino a rapirlo, lasciandola sola. Ma adesso sono in buona compagnia. Poteva andarmi peggio, sono una ragazza affascinante ed è pieno di malintenzionati .. sei forse una di loro?» Domandò sospettosa a bionda nascondendo una risata. «Esattamente, mi hai beccata. La nostra amicizia è una copertura e in realtà sono un uomo che vuole farti di tutto e di più. Per questo ci infiltreremo in quel locale lì, lontano da occhi indiscreti.» Mostrò l'altro braccio e tese il piccolo muscolo che aveva.L'espressione orgogliosa nel mostrare all'amica quel muscolo che stava diventando più forte (grazie agli esercizi che si era ripromessa di fare per restare in forma) e lanciò un'occhiata vanitosa -forzata- all'amica.«Ho perfino il muscolo. Vedi? Andiamo.» Così la Winston (che non rifiutò) e la Owen raggiunsero il locale che aveva ,quest'ultima, individuato poco prima. L'ambiente era confortevole, pulito e profumava di dolciumi. Siamo capitate nel posto adatto per ingrassare come ippocorni obesi golosi di ciambelle. Maeve si accomodò velocemente in un comodo divanetto dal color panna e fiondò avidamente le mani, gli occhi e l'attenzione nel menù, anticipando Deborah.«Hanno i frappè con panna, serviti con un invitante ciliegina sopra. Potrei perfino declinare il richiamo dell’alcool per una cosa del genere.» Le disse indecisa l'amica. Deborah la osservò corrucciata mentre l'altra si stava ancora chiedendo cosa ordinare. «Prenderò un frappè e una ciambella. Voglio diventare così grassa da non riuscire neanche ad entrare nella Sala Grande ad Hog. C'è un film babbano che s'intitola "Grasso è bello" dove uno bellissimo si innamora di una grassissima. Quindi più sono grassa e più sono bella.» Sorrise divertita, ripensando al film babbano che le era piaciuto tanto qualche anno prima. Poi funzionava così la sua vita: era triste, mangiava dolciumi, stava meglio, ma poi era più triste perchè si vedeva grassa, mangiava dolciumi, stava meglio. Repeat. Un circolo vizioso che non finiva più. Ma solo immaginare di avere davanti una ciambella e un frappè con panna la rendeva felice di vivere. Poi ripensò che non era lì solo per quello perchè doveva parlare all'amica. «Ti vedo sciupata Wins. Quindi o bevi troppo alcool e ti sciupa o mangi troppi pochi dolciumi e questo non va bene, rimedieremo subito oppure c'è qualcosa che non va. » Le disse seriamente, con sguardo severo. Nonostante fosse più piccola di un anno sapeva anche lei comportarsi da persona matura e seria, senza problemi e, talvolta, lo era fin troppo. Ci teneva davvero tanto a quella biondina, senza averlo mai manifestato a parole perchè non serviva. «Siamo qui per: a) ingozzarci di dolciumi fino a stare male b) parlare e dirci tutto quello che non sappiamo l'una dell'altra e c) darci conforto. So che tu pensi di non riuscirci, ma davvero Wins, già la tua presenza mi da conforto.» Le sorrise amichevolmente sapendo bene che, quella che avrebbero avuto non sarebbe stata una chiacchierata semplice, anzi, entrambe avrebbero avuto difficoltà nel raccontare cosa avevano passato, cosa provavano e cosa volevano fare. Insieme, forse, sarebbero state in grado di alleggerire i loro cuori dalle proprie mancanze, dai propri rimorsi, dalla proprie preoccupazioni. Forse grazie anche ai frappè con la panna e la ciliegina sopra.

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    Sfogliò distrattamente il listino prezzi, soffermandosi su ogni portata con gli occhi a cuoricino. Le sembrava un misto fra il Red Velvet e Madama Piediburro, solamente che lì, in mezzo ai babbani, poteva fingere che le loro vite fossero normali. Maeve e Deborah potevano passare per due ragazze che, in un uggioso pomeriggio londinese, si incontravano per bere un frappè e spettegolare dei ragazzi più carini della scuola: cosa che, ovviamente, avrebbero fatto. Se la Owen non avesse cambiato aspetto da un giorno all’altro a causa degli esperimenti dei Dottori, e Maeve non avesse contribuito a privare un suo caro amico della sua vita, erano davvero due ragazze normalissime. Una parte di sé pensava con nostalgia alla ragazza che non era più, quella cui la maggior preoccupazione era prendere il massimo dei voti a scuola e non passare inosservata davanti agli occhi di qualche giovanotto fascinoso. Ma finalmente, per la prima volta nella sua vita –forse-, stava facendo qualcosa per gli altri e non solo per sé stessa. La vanesia, egocentrica e presuntuosa Maeve Winston, cercava di mettere le sue qualità al servizio del bene comune. Voleva ridere senza motivo, il che la diceva lunga sulla sua sanità mentale.
    “Prenderò un frappè e una ciambella. Voglio diventare così grassa da non riuscire neanche ad entrare nella Sala Grande ad Hog. C'è un film babbano che s'intitola "Grasso è bello" dove uno bellissimo si innamora di una grassissima. Quindi più sono grassa e più sono bella” Maeve sbuffò sonoramente, porgendo il menù alla rossa. “Magari la vita fosse così semplice. Ma in effetti, mettiamoci nei loro panni: anche io preferirei un bel paio di addominali scolpiti, ad un paio di addominali da birra” Disse mimando con le mani la grandezza approssimativa di quest’ultima, inarcando le sopracciglia verso l’alto con fare malizioso. Le venivano in mente almeno due o tre persone che corrispondevano a quella descrizione, e le guance le si colorarono di un delicato color porpora. Poggiò la testa sul pugno e socchiuse le palpebre, schioccando le dita in direzione di Deborah. “A bruciapelo: il più carino della scuola” Domandò con enfasi. Era un gioco che facevano ogni tanto: domande di ogni genere a cui bisognava rispondere con la prima cosa che veniva in mente, senza sforzarsi di nascondere qualcosa. Con quel gioco, apparentemente infantile, Maeve aveva imparato un sacco di cose da sé stessa. “Io prenderò un frappè ed un muffin alla nutella. La nutella è quella crema marrone alla nocciola, vero?” Confondeva sempre i nomi delle marche babbane, maledetta la sua pessima memoria. Quella in particolare le era rimasta abbastanza impressa perché, diamine, era l’orgasmo delle papille gustative. “Frappè alla vaniglia” Con adorazione si strinse il viso fra le mani, già sognando l’esplosione di zuccheri nel suo organismo.
    “Ti vedo sciupata Wins. Quindi o bevi troppo alcool e ti sciupa o mangi troppi pochi dolciumi e questo non va bene, rimedieremo subito oppure c'è qualcosa che non va.” Si rabbuiò e si morse il labbro, indecisa. Cosa poteva dirle? Era una delle sue migliori amiche, ma non poteva rivelarle il demone che la consumava: Deb non sapeva che Win era una ribelle, e se fosse dipeso da lei non l’avrebbe mai scoperto. Già troppe persone erano in pericolo, la maggior parte dei suoi amici erano ribelli, non voleva avere anche Deborah da quel lato della barricata. Sorrise ironica. “Dovreste davvero smetterla di prendermi per un alcolizzata, è quasi offensivo. Comunque, forse un po’ la seconda e la terza. Ma appunto, per quanto riguarda i dolci possiamo rimediare a breve, ed al resto.. ci penserà il tempo” Fece spallucce, sperando con tutto il suo cuore che ciò che aveva detto fosse vero almeno in parte.
    Siamo qui per: a) ingozzarci di dolciumi fino a stare male b) parlare e dirci tutto quello che non sappiamo l'una dell'altra e c) darci conforto. So che tu pensi di non riuscirci, ma davvero Wins, già la tua presenza mi da conforto” Le labbra si sollevarono in un misto di sorpresa e soddisfazione, mentre gli occhi le si illuminavano per quel complimento inaspettato. Non pensava che la sua compagnia potesse realmente essere di conforto a qualcuno, ma gli occhi verdi della Owen non mentivano. Battè le mani l’una contro l’altra e le sfregò come se avesse avuto freddo. “Perfetto, comincia tu. La mia vita non è così interessante” Una smorfia annoiata le fece storcere il naso, mentre il cameriere si avvicinava per prendere le ordinazioni. Quando si allontanò dopo aver annotato ciò che prendevano, Maeve riportò l’attenzione sull’amica. “Raccontami quello che mi sono persa, anche tu ragazza mia non hai una bella cera” Chiese sinceramente interessata a rimanere aggiornata sulla vita della Grifondoro, inarcando schiettamente un sopracciglio. Non si sapeva come né perché, ma aveva finito per essere sempre l’ultima a sapere le cose. Un vero fastidio per una che proprio i fatti suoi non riesce a farseli, come la Winston.
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