la sana aria di hogsmeade

-william barrow

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    «I can't escape this now,unless you show me how.»
    Da quando aveva finito la sua carriera scolastica ad Hogwarts,Reidar non aveva fatto più ritorno ad Hogsmeade. Graziosa cittadina,non cambiava mai. Neanche sotto effetto di alcool o droga. La città era come te la potevi immaginare,alcuni vicoletti che si formavano tra le mura dei locali che vi erano presenti. Quel giorno il sole era alto nel cielo,un leggero venticello muoveva i capelli del giovane mago. Sempre vestito elegante,Reidar vantava la fortuna di non essere fermato. Già,nel corso degli anni tutti lo avevano giudicato male. Certo,andava a letto con la prima persona con cui stava,ma quello non contava. Nessuno si era mai preso la briga di parlargli,di capirlo e soprattutto di capire ciò che faceva per divertirsi e sentirsi accettato o,meglio,apprezzato.
    Il suo trascorso familiare non era tra i migliori,infatti il giovane bacchettaio era stato costretto ad abbandonare il tetto sotto il quale viveva con i genitori. Il padre non aveva mai accettato la bisessualità del figlio e la madre,donna succube di un uomo che,ogni volta che accadeva qualcosa si ubriacava,era costretta a consentire tutto ciò.
    Non sentiva l'affetto,a momenti non sapeva neanche cosa fosse quel sentimento. Aveva più volte cercato di attirare l'attenzione della madre,aveva cercato di far separare i genitori ma,tutto quello che aveva guadagnato furono insulti pesanti da parte di quel maiale ubriacone di suo padre.
    Girava distratto per l'High Street di Hogsmeade. Osservava la gente ridere e scherzare,mentre l'unico amico che avesse mai avuto il giovane (oltre alla sua adoratissima Fand) era un libro. Stropicciato e consumato agli angoli. Rigonfiato verso la metà dello stesso. Quante emozioni gli aveva regalato e nessuno lo capiva. Desiderava urlare al mondo che lui esisteva,che lui era lì. Che non era una foglia che si muoveva a secondo del vento,voleva solo farsi conoscere. Fare amicizia con qualcuno. Senza che questo qualcuno lo prendesse in giro o giocasse con i suoi sentimenti come,molto spesso,lui faceva durante i suoi rapporti. Non voleva un'amicizia passeggera o un amore da una botta e via. Desiderava ricevere gufi con inviti a partecipare qualcosa in compagnia e non agire da solo,come un omega.
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    Edited by brett‚ - 28/8/2014, 01:04
     
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    Vi erano giornate perfette: il sole brillava alto nel cielo, i colori erano più vividi, il caldo accarezzava la pelle come un secondo, confortevole lenzuolo, mentre aprivi gli occhi sul nuovo giorno, ancora ammassato fra materasso e cuscini. Will non sapeva cos’aveva sognato quella notte, ma doveva essere stato qualcosa di tranquillizzante; perlomeno non era stato un incubo, altrimenti non avrebbe faticato a ricordarsene. Per un breve, effimero momento –quegli istanti per cui uno vive una vita- non era nessuno e tutto al tempo stesso. Il mondo avrebbe aspettato, mentre con calma Barrow fingeva di non farne parte ancora per qualche minuto. Si stiracchiò e rotolò con le gambe fuori dal letto, dove un orologio ticchettava i secondi ricordandogli che poteva fingere ancora per poco. A passo baldanzoso, si trascinò in cucina senza guardare nemmeno una volta verso la busta color avorio sulla scrivania, né le spesse pergamene che lo incolpavano e condannavano. William aprì il barattolo del caffè, pronto a sentirne l’aroma sopraffino per preparare la caffettiera. Svitò il tappo, poggiò la parte superiore sul ripiano della cucina, e si affacciò sull’antro buio del contenitore.
    Vi erano giornate perfette. Poi c’era la vita di William Barrow, dove il caffè finiva e nessuno andava a comprarlo. Poggiò le mani sulla superfice fredda della cucina, chinando il capo. “Andrea” Chiamò con voce minacciosamente misurata. “Dimmi che c’è del caffè”Sì, nel contenitore dov’è tutti i giorni, Barrow” Divertente. Se c’era qualcosa che il moro non trovava affatto divertente, era non avere il caffè in casa, specialmente quando l’ultima volta che aveva guardato c’era. “Se fosse stato al suo posto, Nemo, non avrei chiesto a te” Lei gli passò a fianco facendo spallucce, e con quel suo passo leggero era già uscita di casa prima ancora che Will potesse intimarle di andarlo a comprare. Da solo, in quella cucina così bianca, scoppiò a ridere: chi voleva prendere in giro? Non c’erano giornate perfette per lui, non le meritava. E non era la mancanza del caffè a rovinarla, quanto la piena consapevolezza da parte dell’ex corvonero che nulla avrebbe mai potuto essere al suo posto. Che fingere non avrebbe cambiato niente, perché volente o nolente faceva parte di quel mondo. Quella busta faceva ancora parte della sua vita, così come la lettera al suo interno, e l’inchiostro che sporcava un biglietto altrimenti immacolato: ‘Fanne buon uso’. Il contro incantesimo dell’oblivion. Non ne aveva parlato con nessuno, e quel segreto lo stava logorando all’interno, consumando; cominciava a chiedersi se tenere quell’informazione per sé non fosse che un atto egoistico: se avesse funzionato, non sarebbe più stato nessuno. William Barrow sarebbe diventato uno dei tanti, e nessuno si sarebbe ricordato del suo nome. Guardò il suo riflesso deformato sul lavandino, dove fra espressione e forma del viso ricordava il Guernica di Picasso. Schiacciato, da tutto: dagli esperimenti sui babbani, dalle ricerche inconcludenti, dai lamenti uditi di notte per Diagon Alley, dalla busta color avorio, della pistola alla tempia, dalla spada di Damocle, dal filo sempre più sottile che lo separava dall’oblio. Una parte inconscia di sé era convinta che fosse quel fardello a renderlo speciale, che condividerne il peso l’avrebbe resto solo uno dei tanti. Vedeva, appoggiato al muro di fronte a sé, il fantasma di suo padre ridere di lui: sei un egoista, William. Aveva ragione: Will stava inseguendo la propria giustizia personale, prima ancora di quella collettiva; ribaltare il Regime era un obiettivo proprio della sua vendetta, non un bisogno del bene comune. Era un egoista. Poggiò la fronte sul mobile sopra il ripiano, dove tenevano i piatti, e respirò.
    1. Non l’hai detto a nessuno perché non sai che tipo di persona stai diventando. Forse non vuoi saperne niente; non l’hai detto a nessuno perché non sai di chi fidarti; non l’hai detto a nessuno perché è troppo presto, e una mossa affrettata potrebbe far crollare tutto.
    2. Non è colpa tua. Non ne sapevi niente, di questi Laboratori. Non hai fatto niente, Will.
    3. Non ti odiano, Will. Ti incolpano, perché hanno bisogno di sentire che qualcuno di concreto ne è responsabile. Sei la loro espiazione
    4. Il caffè puoi andarlo a comprare ovunque.

    Esaurimento nervoso, un insieme di sintomi psicofisici atti a ledere lo status di una persona finchè non ne rimane che polvere e sabbia. Crollo psicotico: quando anche il vetro della clessidra esplode in mille briciole, quando passato e presente futuro non sono più nulla se non granelli al vento. Non poteva permetterselo: William Barrow era più di così.
    Era più di così.

    Con i capelli ancora umidi che gocciolavano sulla canottiera bianca troppo grande per le sue spalle ossute, e gli occhiali da sole dalla montatura rotonda, si smaterializzò ad Hogsmeade. I pantaloni color verde militare erano risvoltati su leggere scarpe di tela da cui continuava a scivolare il piede, essendone i lacci non annodati, con sé sigarette, pochi denari e la bacchetta. Dopo essere rimasto venti minuti sotto il getto fresco della doccia, William riusciva ad essere ciò che gli veniva meglio: una maschera vuota. La tazza di caffè era troppo calda fra le dita, ma per avere quel profumo a pochi centimetri dalle sue narici avrebbe infilato una mano nel Vesuvio; il caffè americano era troppo poco concentrato per i suoi gusti, ma a mali estremi, estremi rimedi. “Ehi, Boss!” Qualcuno urlò dall’altra parte della strada acciottolata. Era talmente abituato a girarsi al Boss, al Quartier Generale, che come un idiota si era voltato verso la voce, la quale apparteneva ad un uomo che stava alzando le braccia cercando di attirare l’attenzione del proprietario dei Tre Manici. Occupato a guardare altrove, non vide l’uomo che camminava davanti a sé nel verso opposto rispetto a dove stava andando a lui; ritrasse la tazza appena in tempo per non inzupparlo da capo a piedi con la sostanza bollente, ma non da evitare le scarpe. “Merlino, mi dispiace tanto, non volevo..” Alzò gli occhi azzurri nella miglior espressione di scuse che riuscì a tirare fuori, e finalmente riconobbe il malcapitato: zigomi pronunciati, mento importante, sguardo intelligente. “Olav, non avevo mai avuto il piacere di incontrarla da queste parti” Gli rivolse un mezzo sorriso gioviale. Probabilmente non si ricordava di lui, ma Will lo ricordava alla perfezione: era appena un ragazzino quando Reidar frequentava l’ultimo anno, e mentre Barrow scrollava le piume puerili lui poteva già spiccare il volo. Will non sapeva ancora come, ma soprattutto chi, essere all’interno del castello: il primo Corvonero in famiglia, pecca e vergogna della stirpe Barrow, cosa si aspettavano facesse? Aveva passato i primi anni ad osservare i suoi compagni di casata, in silenzio, senza farsi notare; non era un maniaco con tendenze allo stalkeraggio, era solo un ragazzino spaventato (non che la situazione fosse mutata di molto in quegli anni). “Se non si ricorda di me non la biasimo” Fece spallucce, controllando che il caffè non osasse nuovamente uscire dal cartone.

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    «I can't escape this now,unless you show me how.»
    Stava leggendo per l'ennesima volta quelle pagine. Ogni tanto alzava lo sguardo dalle pagine. Gli parve di sentire il suo cognome,sicuramente era frutto della sua fervida immaginazione.
    A primo impatto ignorò quel fatto. Alzò nuovamente gli occhi. Un ragazzo gli stava rivolgendo la parola e questa volta Reidar non aveva dovuto prendere qualche bevanda alcolica.
    «Non è una delle mie mete preferite,non so neanche perché sia venuto qui.» disse chiudendo il tascabile. Lo ripose nella tasca della giacca.
    «Spero che non si offenda ma,francamente,non mi ricordo chi lei sia.»
    Evidentemente mi conosceva e io,molto probabilmente, non avevo prestato attenzione a quella persona.
    Sembrava più piccolo di lui e non c'era da stupirsi. Tutti sembravano più giovani di lui,anche i più grandi. E ciò era dovuto da quelle rughe che caratterizavano il suo viso.
    Forse era anche per quello che tutti lo ignoravano. Nessuno si era degnato realmente di offrirgli la minima attenzione.
    «Probabilmente siamo stati ad Hogwarts nello stesso periodo...E ancora più probabile è che non abbiamo mai parlato,almeno credo.» gli disse.
    Si guardò intorno,la luce del sole illuminava le vie della vecchia e antica cittadina. Ricordò a quando ancora aveva qualche amico e di come li aveva persi.
    Non sapeva come,ma riusciva sempre a perdere qualcuno a cui voleva bene. Prima i parenti,poi i genitori e,per finire,gli amici. Era come se qualcuno gli avesse lanciato una maledizione.
    Ma non era così. Tutte quelle perdite avevano fatto in modo da renderlo chiuso. Ermetico nei suoi pensieri e nelle sue paure.
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