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Ash Stymest as William rebel's boss barrow The shadows on my wall don't sleep Vi erano giornate perfette: il sole brillava alto nel cielo, i colori erano più vividi, il caldo accarezzava la pelle come un secondo, confortevole lenzuolo, mentre aprivi gli occhi sul nuovo giorno, ancora ammassato fra materasso e cuscini. Will non sapeva cos’aveva sognato quella notte, ma doveva essere stato qualcosa di tranquillizzante; perlomeno non era stato un incubo, altrimenti non avrebbe faticato a ricordarsene. Per un breve, effimero momento –quegli istanti per cui uno vive una vita- non era nessuno e tutto al tempo stesso. Il mondo avrebbe aspettato, mentre con calma Barrow fingeva di non farne parte ancora per qualche minuto. Si stiracchiò e rotolò con le gambe fuori dal letto, dove un orologio ticchettava i secondi ricordandogli che poteva fingere ancora per poco. A passo baldanzoso, si trascinò in cucina senza guardare nemmeno una volta verso la busta color avorio sulla scrivania, né le spesse pergamene che lo incolpavano e condannavano. William aprì il barattolo del caffè, pronto a sentirne l’aroma sopraffino per preparare la caffettiera. Svitò il tappo, poggiò la parte superiore sul ripiano della cucina, e si affacciò sull’antro buio del contenitore. Vi erano giornate perfette. Poi c’era la vita di William Barrow, dove il caffè finiva e nessuno andava a comprarlo. Poggiò le mani sulla superfice fredda della cucina, chinando il capo. “Andrea” Chiamò con voce minacciosamente misurata. “Dimmi che c’è del caffè” “Sì, nel contenitore dov’è tutti i giorni, Barrow” Divertente. Se c’era qualcosa che il moro non trovava affatto divertente, era non avere il caffè in casa, specialmente quando l’ultima volta che aveva guardato c’era. “Se fosse stato al suo posto, Nemo, non avrei chiesto a te” Lei gli passò a fianco facendo spallucce, e con quel suo passo leggero era già uscita di casa prima ancora che Will potesse intimarle di andarlo a comprare. Da solo, in quella cucina così bianca, scoppiò a ridere: chi voleva prendere in giro? Non c’erano giornate perfette per lui, non le meritava. E non era la mancanza del caffè a rovinarla, quanto la piena consapevolezza da parte dell’ex corvonero che nulla avrebbe mai potuto essere al suo posto. Che fingere non avrebbe cambiato niente, perché volente o nolente faceva parte di quel mondo. Quella busta faceva ancora parte della sua vita, così come la lettera al suo interno, e l’inchiostro che sporcava un biglietto altrimenti immacolato: ‘Fanne buon uso’. Il contro incantesimo dell’oblivion. Non ne aveva parlato con nessuno, e quel segreto lo stava logorando all’interno, consumando; cominciava a chiedersi se tenere quell’informazione per sé non fosse che un atto egoistico: se avesse funzionato, non sarebbe più stato nessuno. William Barrow sarebbe diventato uno dei tanti, e nessuno si sarebbe ricordato del suo nome. Guardò il suo riflesso deformato sul lavandino, dove fra espressione e forma del viso ricordava il Guernica di Picasso. Schiacciato, da tutto: dagli esperimenti sui babbani, dalle ricerche inconcludenti, dai lamenti uditi di notte per Diagon Alley, dalla busta color avorio, della pistola alla tempia, dalla spada di Damocle, dal filo sempre più sottile che lo separava dall’oblio. Una parte inconscia di sé era convinta che fosse quel fardello a renderlo speciale, che condividerne il peso l’avrebbe resto solo uno dei tanti. Vedeva, appoggiato al muro di fronte a sé, il fantasma di suo padre ridere di lui: sei un egoista, William. Aveva ragione: Will stava inseguendo la propria giustizia personale, prima ancora di quella collettiva; ribaltare il Regime era un obiettivo proprio della sua vendetta, non un bisogno del bene comune. Era un egoista. Poggiò la fronte sul mobile sopra il ripiano, dove tenevano i piatti, e respirò. 1. Non l’hai detto a nessuno perché non sai che tipo di persona stai diventando. Forse non vuoi saperne niente; non l’hai detto a nessuno perché non sai di chi fidarti; non l’hai detto a nessuno perché è troppo presto, e una mossa affrettata potrebbe far crollare tutto. 2. Non è colpa tua. Non ne sapevi niente, di questi Laboratori. Non hai fatto niente, Will. 3. Non ti odiano, Will. Ti incolpano, perché hanno bisogno di sentire che qualcuno di concreto ne è responsabile. Sei la loro espiazione 4. Il caffè puoi andarlo a comprare ovunque. Esaurimento nervoso, un insieme di sintomi psicofisici atti a ledere lo status di una persona finchè non ne rimane che polvere e sabbia. Crollo psicotico: quando anche il vetro della clessidra esplode in mille briciole, quando passato e presente futuro non sono più nulla se non granelli al vento. Non poteva permetterselo: William Barrow era più di così. Era più di così.
Con i capelli ancora umidi che gocciolavano sulla canottiera bianca troppo grande per le sue spalle ossute, e gli occhiali da sole dalla montatura rotonda, si smaterializzò ad Hogsmeade. I pantaloni color verde militare erano risvoltati su leggere scarpe di tela da cui continuava a scivolare il piede, essendone i lacci non annodati, con sé sigarette, pochi denari e la bacchetta. Dopo essere rimasto venti minuti sotto il getto fresco della doccia, William riusciva ad essere ciò che gli veniva meglio: una maschera vuota. La tazza di caffè era troppo calda fra le dita, ma per avere quel profumo a pochi centimetri dalle sue narici avrebbe infilato una mano nel Vesuvio; il caffè americano era troppo poco concentrato per i suoi gusti, ma a mali estremi, estremi rimedi. “Ehi, Boss!” Qualcuno urlò dall’altra parte della strada acciottolata. Era talmente abituato a girarsi al Boss, al Quartier Generale, che come un idiota si era voltato verso la voce, la quale apparteneva ad un uomo che stava alzando le braccia cercando di attirare l’attenzione del proprietario dei Tre Manici. Occupato a guardare altrove, non vide l’uomo che camminava davanti a sé nel verso opposto rispetto a dove stava andando a lui; ritrasse la tazza appena in tempo per non inzupparlo da capo a piedi con la sostanza bollente, ma non da evitare le scarpe. “Merlino, mi dispiace tanto, non volevo..” Alzò gli occhi azzurri nella miglior espressione di scuse che riuscì a tirare fuori, e finalmente riconobbe il malcapitato: zigomi pronunciati, mento importante, sguardo intelligente. “Olav, non avevo mai avuto il piacere di incontrarla da queste parti” Gli rivolse un mezzo sorriso gioviale. Probabilmente non si ricordava di lui, ma Will lo ricordava alla perfezione: era appena un ragazzino quando Reidar frequentava l’ultimo anno, e mentre Barrow scrollava le piume puerili lui poteva già spiccare il volo. Will non sapeva ancora come, ma soprattutto chi, essere all’interno del castello: il primo Corvonero in famiglia, pecca e vergogna della stirpe Barrow, cosa si aspettavano facesse? Aveva passato i primi anni ad osservare i suoi compagni di casata, in silenzio, senza farsi notare; non era un maniaco con tendenze allo stalkeraggio, era solo un ragazzino spaventato (non che la situazione fosse mutata di molto in quegli anni). “Se non si ricorda di me non la biasimo” Fece spallucce, controllando che il caffè non osasse nuovamente uscire dal cartone.
winston,©
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