Quando il passato torna a galla

Fratellino

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    « sheet - 16 - gryffindor - rebel- pensieve »
    Scostai le tende dalla finestra e un raggio di sole mi colpì in pieno viso,con il risultato che mi allontanai velocemente come se mi avesse scottata.Io odiavo il sole e la pioggia,non mi andava bene che ci fossero le nuvole e con la nebbia non ci vedevo,qualsiasi tempo ci fosse non mi andava bene,che tristezza.Ah,però mi piaceva il cielo costellato di stelle e la luna che splendeva nel cielo,peccato che non potessi vivere di notte.Sarebbe stato impossibile.Scesi velocemente le scale di casa per poi uscire,non avevo nessuna meta in particolare e non avevo nessuna voglia di godermi il sole,era stata mia madre a minacciarmi di uscire.Già,una vera rottura di palle.Peccato che poi le si sarebbe stravaccata sul divano a guardare stupide telenovele.
    E mio padre?Anche lui seguiva quelle telenovele,e forse era la parte più inquietante,me li vedevo girare per casa shippando tizi a random,e se qualcuno lo doveva fare ero io e non loro.Ok,in effetti lo facevo e poi mi rispondevo da sola,come la peggiore delle malate di mente.
    Il fatto era che mi dava fastidio che i miei fossero così avanti (?),alla loro età come minimo dovevano giocare a carte e lavorare a maglia,altro che conoscere tutti questi termini moderni #visionedistorta
    Costeggiando il parco mi accorsi che qualcuno mi stava seguendo,in questi casi si poteva scegliere se a)scappare b)ignorare il tutto c)buttarsi in mezzo alla strada.Certo,se poi si trattava di mangiamorte conveniva scegliere la terza opzione,ma visto che non ne avevo la certezza la seconda mi sembrava la più ragionevole o la più stupida,dipendeva soprattutto dai punti di vista.Che poi magari mi stavo facendo troppe paranoie,insomma potevano benissimo avermi condizionato i film:insomma dove la tizia o il tizio in questione veniva rapito e incominciavano a fare esperimenti su di loro nel migliore dei casi...e OH DIO CORRI NIAMH CORRI.Iniziai a correre agitando le braccia e urlando "moriremo tutti" inutile dire che quei plebei dei passanti mi guardavano male,ma tanto loro guardavano male tutti quindi non me ne poteva fregare di meno. ah, gli uccellini shipper, che meraviglia, li hai scovati! la tua psw speciale è: quanto
    Entrai nei parco,di solito c'erano dei pucciosissimi bambini quindi mi sarei confusa con loro abbassandomi di un po' e parlando con una stupida vocina ma anche no continuai con la fuga ficnhè girandomi non notai nessuno Sei una lanterna, smidollato..Non puoi mettere lo smalto ad un bananone!Ah,e ciucciati il calzino! no,la gente sana di mente non esultava così ma dopotutto chi erano gli altri per dirmi di non farlo e sclerare pubblicamente?Mi accasciai con molta grazia su una panchina in attesa di non sembrare più un'asmatica per tornarmene a casa.
    <span style="font-size: 7px; font-family: times; letter-spacing: 2px; text-align: center; text-transform: uppercase; color: #493f0a; text-shadow: 1px
    Niamh Lynch - My father told me light a fire they can’t put out, carve their name into those shinning stars
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    Edited by etc. - 24/9/2018, 00:03
     
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    william belloribello barrow ( ) - 21- Ravenclaw - rebel's boss - bei tempi
    « HIGHER, DON’T LET ‘EM KNOW WE’RE COMING »
    Avete presente quando c’è una cosa, magari minuscola, che non avete mai notato, e nel momento in cui lo fate non potete fare a meno di chiedervi “com’è possibile che non l’abbia mai visto? E’ palese!” fino a che la piccolezza non diventa l’Atena del Partenone? William si stava guardando l’indice da almeno, ad essere ottimisti, venti minuti. L’ultima falange era storta, ma nemmeno di poco: sembrava che qualcuno di notte gli avesse staccato una parte del dito, e gliel’avesse riattaccata male. Non poteva fare a meno di guardarlo scandalizzato, e di passarci sopra ossessivamente il pollice, quasi che sfiorarlo potesse farlo improvvisamente drizzare. Perché non l’aveva mai notato? Era così il giorno prima? Non se lo ricordava. L’avrebbe notato se fosse stato storto, di certo non era una cosa che passava inosservata. E, decisamente, cominciava a fargli anche senso. Si era mica ammalato? Cosa poteva causare un difetto del genere, l’osteoporosi? Aveva addirittura pensato di averci dormito sopra, ma dubitava che una notte su di un dito messo male potesse modificargli la conformazione fisica. Come faceva a tenere la sigaretta fra l’indice ed il medio, con un dito del genere? E a mangiare? Giocare a morra cinese? Come poteva non avergli mai causato dei disagi? Ne fu talmente traumatizzato, che fermò un ignaro passante londinese per chiedergli se il dito fosse effettivamente storto. Probabilmente pensava che Barrow volesse dell’anfetamina, perché gli lanciò un penny e scappo tenendosi ben stretta al petto la valigetta di pelle. Adorava fare quell’impressione: bastava avere due tatuaggi, e la gente automaticamente lo collocava a reietto della società, come se anziché l’inchiostro gli iniettassero fottuta eroina sotto pelle. E comunque non gli aveva risposto, lasciandolo nel dubbio della sua deformità. Come se non bastasse, sentiva gli occhi pesanti e la testa stretta in una morsa: lo sapeva che non doveva bere quell’ultimo bicchiere di whisky. Razionalmente, William Barrow non era un idiota, si dava ottimi suggerimenti e consigli che perfino a ‘C’è un Gufo per Te’ si sognavano. Nella realtà effettiva, ignorava perfino sé stesso. YOLO, William.
    Si trascinò imbronciato dietro una scala antiincendio, e con il medesimo labbro infuori si smaterializzò a Diagon Alley, sperando di incontrare qualche conoscente a cui porre la medesima domanda. Ormai stava diventando un tarlo, si sentiva consumato dalla necessità di sapere se il suo dito fosse storto in maniera naturale, o se fosse una cosa estranea alla natura umana. Magari era l’unico nel mondo ad avere un dito del genere: se la cosa doveva lusingarlo, non ci riusciva molto bene. Quasi non guardava dove camminava, gli occhi azzurri perennemente attratti da quella nuova ed inquietante scoperta. Distolse lo sguardo giusto per raccattare una sigaretta dal pacchetto ammaccato nel taschino della camicia azzurra, e l’accendino incastrato nel fondo della tasca dei jeans. Gli anfibi lasciavano tracce pesanti dietro di sé, dove le foglie continuavano a sollevarsi di pochi centimetri irritate dal suo passaggio. Quando casualmente alzò gli occhi, vide una ragazzina voltarsi e guardarlo preoccupata; lei accelerò il passo, e continuò a guardarlo di sottecchi. William si guardò attorno, cercando una fonte di tanto disagio, ma ovviamente non c’era nessuno. Quando si volse di nuovo, la giovane donna era scomparsa, lasciando dietro di sé qualcosa di luccicante. Aggrottando le sopracciglia, Will si chinò e prese fra le dita la collana che doveva essere scivolata alla ragazza, ancora stupefatto ed intimamente offeso dalla fuga. Prima veniva preso per un drogato, e poi le innocenti scapavano al suo passaggio; altro che boss dei ribelli, si sentiva uno dei quattro cavalieri dell’Apocalisse. Non sapeva nemmeno come fare a recapitargliela, dato che non l’aveva mai vista in vita sua. Fece spallucce e si infilò la collana in tasca, pensando che magari poteva darla a Ethienne: sicuramente la giovane frequentava Hogwarts, quindi lui da bravo preside poteva recapitarla al destinatario. Non l’aveva nemmeno guardata, ma ne sentiva il freddo metallo attraverso lo strato sottile della camicia, e una parte di sé aveva notato che c’era qualcosa di strano nel gioiello. Non si pose molte domande, anche perché metà dei suoi pensieri erano ancora concentrati sull’indice del male. Possibile che nessuno dei ribelle gliel’avesse mai fatto notare? Non erano suoi amici? Non si preoccupavano per lui? Forse speravano che la deformazione si propagasse al resto del suo corpo, così che morisse e lasciasse a loro lo scettro del potere. Non che fosse un gran scettro, poi, non aveva nemmeno un brillantino. I suoi piedi si erano mossi senza che lui intenzionalmente dicesse loro dove andare, e Will si ritrovò immerso in foglie arancioni che rimanevano appiccicate sotto le suole: Avis. Andò avanti di qualche metro, e seduta alla panchina vide la fuggitiva che cercava di riprendere fiato. La osservò per qualche secondo, corrugando di nuovo le sopracciglia, dopodiché le si avvicinò cautamente, come avrebbe fatto con un gatto randagio. Non che con un gatto l’avesse mai fatto, lui era un tipo da cani. Sempre e indipendentemente dalle circostanze, o dalla metafora cane/essere umano. “Se vuoi ripasso dopo, così hai un po’ più di tempo per riprendere fiato e puoi ricominciare la fuga” Disse lentamente, rimanendo a distanza di sicurezza. Prese la collana della ragazza, facendo scivolare il ciondolo sul proprio palmo “E immagino che questa sia tu..” Si interruppe, fissando la collana: un ovale sottile, al cui interno vi era quello che ad un occhio poco esperto poteva sembrare un 8 o il simbolo dell’infinito, ma che in realtà era una B, attorno al quale si attorcigliava dell’edera. Per Will era sempre stato del filo spinato, ma era la sua visione soggettiva della famiglia Barrow a cambiare le carte in tavola. Ma che cazz..
    the heart is deceitful above all things,


    Edited by lama del barrow. - 22/2/2016, 20:20
     
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    Quel ragazzo da cui ero scappata, pensandoci bene, non aveva la faccia da maniaco che andava in giro a stuprare Hello Kitty. Non dico che sembrasse innocuo ma erano soprattutto i tatuaggi a conferirgli un’aria da teppista (?). Alla fine non significava niente, dello stupido inchiostro non denotava la tua persona, anche io avevo un tatuaggio sul polso ed ero una brava bambina carina e coccolosa. Constatai di aver appena fatto una figura di merda a scappare così, senza motivo.
    Se vuoi ripasso dopo, così hai un po’ più di tempo per riprendere fiato e puoi ricominciare la fuga disse una voce a me sconosciuta Oh porca bombola avvampai all’istante ricordando di come ero scappata prima, era stato sicuramente il karma a farmelo ritrovare davanti –non che la visione mi dispiacesse-. Era inutile negare il fatto che fossi scappata a causa sua visto che era stato abbastanza palese quindi mi limitai a farfugliare parole incomprensibili.
    In quel momento desideravo che la terra si aprisse sotto di me per inghiottirmi, e il fatto che continuasse a guardarmi con quell’aria beffarda non mi aiutava.
    Non capivo neanche il perché mi avesse seguito fino alla panchina, forse era uno stupratore…ma no che mi saltava in mente si vedeva lontano un miglio che era un orsetto coccoloso e poi alla fine anche Jason non si era dimostrato un criminale.
    E immagino che questa sia tu.. vidi un ciondolo nel palmo della sua mano, istintivamente portai la mano a livello del petto per controllare se la mia collana era al suo posto Mh si, è mia…comunque grazie per avermela riportata, mia madre mi avrebbe ucciso se l’avessi persa…ci tiene particolarmente gli spiegai sorridendo imbarazzata e grattandomi il retro della nuca.
    Lo sconosciuto di fronte a me era rimasto bloccato per qualche motivo, forse aveva intravisto in lontananza qualcuno di sgradito Ehi, tutto bene? mi alzai per prendere la collana dalla sua mano, sperando che me la ridasse senza fare storie.
    Niamh Lynch - My father told me light a fire they can’t put out, carve their name into those shinning stars

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    Edited by barrows feat tecte - 7/1/2017, 20:33
     
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    william belloribello barrow ( ) - 21- Ravenclaw - rebel's boss - bei tempi
    « HIGHER, DON’T LET ‘EM KNOW WE’RE COMING »
    Rimase a guardare la ragazza con il mezzo sorriso ironico, mentre cominciava a sentirsi un filo in imbarazzo lui stesso. Sapeva di non essere particolarmente affabile ad una prima occhiata, ma una fuga gli pareva eccessiva. Probabilmente la voce che avesse stuprato Hello Kitty doveva essersi diffusa a macchia d’olio. Come se Kitty fosse il suo tipo, fra le altre cose. “Oh porca bombola”Strabuzzò un poco gli occhi, ma non diede comunque segno di volersene andare. Diamine, lei era scappata, ora voleva godersi (molto sadicamente) anche l’imbarazzo della ragazza, che sembrava non riuscire ad esprimersi. Sì, era abituato anche a quell’effetto. Mai una volta che ispirasse amore e fiducia ad una prima occhiata. “Mh si, è mia…comunque grazie per avermela riportata, mia madre mi avrebbe ucciso se l’avessi persa…ci tiene particolarmente” Inarcò le sopracciglia, continuando a studiare il ciondolo che dondolava dalla mano a palmo aperto. Istintivamente, quando lei si alzò per prenderla, chiuse la mano a pugno avvicinandola al proprio per petto per impedirle di riappropriarsene. Sapeva di non essersi sbagliato, era cresciuto odiando e temendo quello stesso simbolo appresso sull’anello del padre. Più di una volta quello stesso segno era rimasto impresso sulla pelle, e non metaforicamente parlando. Tutto bene? Battè le palpebre e mise a fuoco la ragazza, spostando lo sguardo dal cespuglio che, incomprensibilmente, aveva catturato la sua attenzione mentre, perso nei meandri della propria mente, ripercorreva vecchi e scomodi ricordi. Con il pollice accarezzò la superficie della B dei Barrow, lanciando un’occhiata accusatoria alla fanciulla. Non sembrava una ladra, ed il suo sorriso timido le ricordava … qualcosa. Più che il sorriso, però, fu il suo sguardo chiaro ad avere tutta il suo interesse. Socchiuse gli occhi, per poi mordersi il labbro. “Dove l’ha presa questa collana, tua madre? Lo sai?” Forse la domanda era stata posta in tono un po’ troppo brusco ed insistente, cosa che non faceva che dar ragione alla fuga precedente. Sospirò fra i denti e le indicò la panchina alle sue spalle con un cenno, per poi sedersi ed invitare la ragazza a fare lo stesso. “Io sono William. William Barrow” Specificò, sperando che l’accenno al cognome accendesse qualcosa nell’espressione della fanciulla che gli avrebbe permesso di comprendere. “Mi dispiace se sono stato scortese, ma è importante sapere dove lei abbia preso questo ciondolo” Per cercare di guadagnare un poco di fiducia, le rivolse un sorriso imbarazzato e sciolse il pugno, permettendole di riprendere il gioiello che le apparteneva. Non poteva lamentarsi se le ragazze scappavano, in effetti. Aveva mai accennato alla poca confidenza che aveva con le persone? Finchè si trattava di un gruppo nutrito, poteva cavarsela: parlava con tutti senza mai soffermarsi su nessuno, cercando appigli qua e là per non cadere in fallo, per impedirsi di spingersi entro un territorio sconosciuto. I tête-à-tête non avevano mai fatto per lui, sempre indeciso fra la disarmante sincerità e la bugia velata. Semplicemente, quando si trovava davanti ad un individuo solo, non sapeva chi questi si sarebbe aspettato di trovare. Perché William sapeva che la sua natura reale non poteva essere accettata: doveva trovare la maschera più consona al proprio interlocutore. Ma più guardava la mora, più si convinceva di averla già vista da qualche parte. Anche nei tratti dolci del viso, c’era qualcosa di fastidiosamente familiare, come un prurito in mezzo alle scapole dal quale non ci si riesce a liberare. Abbassò lo sguardo per evitare di sembrare un maledetto maniaco, sentendosi stranamente più a suo agio. Aveva appena trovato il simbolo della sua famiglia al collo di un estranea, la quale era fuggita a gambe levate non appena l’aveva visto.. sentirsi a suo agio non avrebbe dovuto essere un opzione. Doveva rivedere le sue priorità.
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    Edited by lama del barrow. - 22/2/2016, 20:21
     
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    « sheet - 16 - gryffindor - rebel- pensieve »
    Vivendo da sedici anni con sua madre qualcosa l’aveva imparata su di lei, per prima cosa, quando voleva sapeva essere una persona isterica; assai difficile da sopportare, immaginate suo padre cosa dovesse passare tutti i giorni, e giustamente quando aveva finito di scartavetrare le palle a lui toccava a sua figlia sopportarla. Se adesso si trovava in quella situazione con uno sconosciuto mezzo criminale davanti era colpa sua, come al solito, tanto era lui che doveva sorbirselo. Non era la sua presenza a disturbarla ma il fatto di star perdendo tempo mentre avrebbe potuto essere a casa a fare cose utili, come…non sono affari vostri cosa fa. Anche perché, fidatevi di me, non volete saperlo. Quando si avvicinò per prendere la collana il ragazzo chiuse di scatto il palmo della mano, non aveva intenzione di fare storie, vero? L’aveva già detto che non aveva tempo da perdere? Quella avrebbe dovuto essere una passeggiata di mezz’ora e invece si era trasformata da prima in una fuga e ora in un interrogatorio, non avrebbe potuto andare meglio di così.
    «Dove l’ha presa questa collana, tua madre? Lo sai? » inarcò le sopracciglia, non essendo sicura di aver compreso a pieno la domanda; stava accusando sua madre di averla rubata? La conosceva, quella donna, sapeva che non era una brutta persona e poi che motivo avrebbe avuto per rubarla? Sospirò sedendosi sulla panchina insieme al tipo «Senti, mia madre non è una ladra, da quello che mi ha detto questa collana ce l’ha da parecchi anni, è un dono di qualcuno» scosse la testa mostrandosi dispiaciuta, forse per lui quella domanda era di fondamentale importanza « non mi ha mai voluto rivelare l’identità di questa persona » sin da quando le aveva regalato la collana se l’era chiesto, chi poteva essere? Era così importante per lei, e soprattutto perché non ne voleva palare? Era certa che non le avesse rivelato tutto quello che c’era da sapere a riguardo, era il suo sesto senso a dirglielo; il perché le era sconosciuto, forse non voleva ricordare o magari se l’era scordato. Scosse la testa mentalmente, era troppo importante per permettere ai ricordi di sfumare fino a diventare un qualcosa di confuso, così come il viso del/della sconosciuto/a.
    Faith non era sempre stata una donna così introversa e riservata, lo era diventata quel giorno che nessuno in famiglia osava pronunciare, forse voleva proteggere Niamh da qualcosa, voleva che almeno lei restasse. Certo, la ragazza lo capiva ma ormai era consapevole di non essere più una bambina, e certe cose le poteva affrontare; prima che queste potessero irrompere nella sua vita e sconvolgerla, cambiare tutto, qualcosa che non si sarebbe più potuto ignorare. Segreti taciuti per troppo tempo e ora tornati in superficie, pronti per la resa dei conti.
    Il ragazzo si presentò, il suo nome era William Barrow. Lo conosceva quel cognome, un po’ come tutti i maghi, quella era una famiglia molto potente. Niamh deglutì, ora capiva il motivo del perché il ragazzo era riuscito a metterle soggezione con poche parole, doveva aver preso dal padre. Certo, non lo conosceva di persona ma ne sentiva parlare, sapeva anche che era morto, o scomparso. Chissà cosa doveva aver passato William,nella sua mente lo chiamava così, doveva aver passato giornate terribili. Quello che però la grifa ignorava era che era stato proprio quel ragazzo a togliergli la vita.
    Si schiarì la voce «io sono Niamh Lynch» avrebbe voluto precisare che la pronuncia corretta era “Niv Linch” ma si trattenne, magari non gli interessava neanche ed era sicura che non l’avrebbe rivisto mai più, quindi perché perdere tempo? «Mi dispiace se sono stato scortese, ma è importante sapere dove lei abbia preso questo ciondolo » lei gli sorrise debolmente, era normale tutto sommato, anche lei avrebbe avuto la stessa reazione al posto suo e da come guardava quel ciondolo sembrava conoscerlo, forse ce n’erano altri «beh, a me dispiace di essere scappata come se fossi un appestato, solo che…no niente, è una cosa stupida» non poteva confessargli di essere fuggita perché lo credeva un maniaco «per caso conosci qualcuno che possiede o possedeva una collana simile? Da come la osservi sembri averla giù vista» riprese l’oggetto tra le sue mani, non avrebbe sopportato di perderlo, non avrebbe sopportato la reazione di Faith.
    Spostò lo sguardo oltre le spalle di William, doveva cercare di ricordare qualsiasi dettaglio importante, qualcosa a cui aveva accennato, e poi si ricordò. Le venne in mente quel ritornello che l’era entrato nella testa a furia di sentirlo ripetere, come aveva fatto a non pensarci prima?
    «You can keep me
    Inside the necklace you bought when you were sixteen
    Next to your heartbeat where I should be
    Keep it deep within your soul
    And if you hurt me
    That's okay baby, there'll be worse things»
    canticchiò quelle parole ad alta voce lasciandosi cullare dai ricordi, ogni volta prima di coricarsi la donna che l’aveva messa al mondo gliela cantava come una ninna nanna, non ne aveva mai capito il perchè, però le piaceva.
    «me lo cantava sempre mia madre quando ero piccola, non so se sono parole a caso o hanno un significato, beh, non ne sono sicura ma potrebbe essere un indizio» non ne era così sicura come aveva voluto far credere al giovane, ma doveva provarci. Stavano partendo da zero, qualsiasi cosa sarebbe stata utile per collegare tutti i punti e arrivare alla soluzione finale, chissà cosa si aspettano di trovare una volta arrivati al traguardo; non sono sicura che la verità gli piacerà, ormai quello che è compiuto non si può cancellare, è indelebile per sempre.
    Un errore, una fastidiosa macchia nera su un foglio immacolato.
    Niamh Lynch - My father told me light a fire they can’t put out, carve their name into those shinning stars

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    Edited by barrows feat tecte - 7/1/2017, 20:34
     
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    william belloribello barrow ( ) - 21- Ravenclaw - rebel's boss - bei tempi
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    La ragazza si sedette vicino a lui, e non sembrava nemmeno intenzionata a fuggire di nuovo. Detto in poche parole, William stava migliorando. O almeno, così aveva pensato per un fugace momento, prima che il tono sulla difensiva della giovane raggiungesse le sue orecchie. Come al solito, il tatto non era fra le qualità del corvonero: troppo rude nell’arrivare al punto, troppo evasivo nell’evitarlo. “Senti, mia madre non è una ladra, da quello che mi ha detto questa collana ce l’ha da parecchi anni, è un dono di qualcuno” Un dono di qualcuno? Inarcò le sopracciglia, attento ad ogni parola. I Barrow non erano molti, in giro per il mondo, e di certo non tutti avevano lo stesso simbolo: suo padre gli aveva raccontato fin troppe volte l’origine di quella B troppo pomposa per i gusti di Will, e sapeva, riconosceva in quelle forme il troppo familiare marchio dei Barrow. Suo nonno era morto quando Simon, il padre di Will, era ancora piccolo; suo zio era poco interessato alla discendenza della famiglia, e tirava fuori il suo cognome solo quand’era interessato a far colpo su qualcuno; suo padre, d’altro canto, era troppo legato al suo sangue per liberarsi di un tale cimelio. Regalarlo a qualcuno sembrava maledettamente fuori luogo perfino per lui. Eppure… qualcosa non quadrava. “Non mi ha mai voluto rivelare l’identità di questa persona” Strano, di solito è sempre un piacere rivelare il mittente di un regalo. Specialmente se si trattava di un Barrow: in un mondo del genere, far sapere di avere buoni rapporti con una famiglia come la sua era quasi necessario, un fiore all’occhiello. Quindi perché nasconderlo? Impossibile che se ne vergognasse. Possibile che qualcuno le avesse detto di mantenere il segreto, specialmente se avesse rovinato il buon nome dei Barrow. Panni sporchi, paparino? Cosa non volevi sapessimo? “io sono Niamh Lynch” Si morse l’interno della guancia, alzando gli occhi al cielo. Quel nome gli rimbalzava nella testa, cercando di aggrapparsi ai ricordi sparsi di un infanzia sotterrata sotto troppe menzogne. Lynch. Rivolse un sorriso alla ragazza, ma il suo sguardo era distante. Lynch. “È un piacere conoscerti, Niv” Sottolineò divertito il particolare nome di Niamh, perché dal tono di lei sembrava una cosa di fondamentale importanza. Una particolare inclinazione che ricollegava sempre ad Italie, più Senior che Junior: la prima volta che si era presentato, quasi con orgoglio aveva posto l’accento sulla penultima vocale, omettendo la “e” finale. Italy. William, così abituato a leggere il suo nome nei vari documenti, l’aveva sempre pronunciati Italie, con accento sulla a. E così era rimasto, a costo di prendere per esasperazione Lucas e fargli ammettere che quella era la pronuncia giusta. Lynch.
    Ricordava una litigata, come sempre a casa Barrow a senso unico: ubriaco, inveiva contro la moglie. Elizabeth, il volto rigato di lacrime, aspettava immobile che Simon finisse, senza reagire. Lynch. Quel cognome era venuto fuori spesso, Will aveva dato per scontato che fosse un collega del padre, anche se non era riuscito a cogliere il motivo per il quale se la prendesse tanto con la moglie. Perché tu non sei abbastanza, non lo sei mai stata! E William, in cima alle scale, pensava che per lui era abbastanza. Per lui era sempre stata abbastanza, Elizabeth, ma lui non le era mai stato per lei. Non lo era mai. Era piccolo, uno dei primi ricordi che aveva. I bambini non ricordano quasi nulla della loro infanzia, eppure c’erano episodi, quelli che più si sarebbe preferito dimenticare, che tornavano a galla con ferocia, esigendo di essere visti, mettendo sale sulla ferita finchè non ricominciava a sanguinare. L’espressione di Elizabeth non mostrava niente, impassibile. Lynch. Quanti anni erano passati? William avrà avuto quattro, massimo cinque anni. Sedici anni?
    Sedici an-.. non scherziamo. Lynch. Niamh Lynch, giovane ed immensi occhi azzurri, così familiari.
    Dai, non scherziamo.
    “Per caso conosci qualcuno che possiede o possedeva una collana simile? Da come la osservi sembri averla giù vista” Rise, perché non gli rimaneva molto altro da fare. Era una teoria troppo assurda, troppo inverosimile, troppo… sarebbe stato uno scherzo davvero crudele. Se l’aveva già vista? Annuì, lasciando che il sorriso ironico incurvasse ancora le labbra sottili. “Quello, Niv, è il marchio dei Barrow. O simbolo, come lo si voglia chiamare. Si tramanda nella mia famiglia da anni..” Si grattò distrattamente il dito, laddove avrebbe dovuto esseri l’anello di Simon. “E non è così facile liberarcene. Per quello mi sembrava strano lo avessi tu” Fece spallucce, pensando che probabilmente si era sbagliato. Magari…magari ricordava male. Era possibile, così piccolo ed ancora così ingenuo.
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    That's okay baby, there'll be worse things.
    Me lo cantava sempre mia madre quando ero piccola, non so se sono parole a caso o hanno un significato, beh, non ne sono sicura ma potrebbe essere un indizio”

    Will battè più volte le palpebre, cercando di riassettare i pensieri. Se voleva arrivare ad una soluzione, doveva dimenticare di far parte di quel grande piano, e osservare tutto dall’esterno. Allontanarsi dai singoli pezzi per osservare il progetto completo. “Una piccola curiosità… quanti anni hai?” Domandò innocentemente, guardandola di sottecchi. Una domanda come un’altra, quasi fondamentale in una conversazione con uno sconosciuto, giusto? Parte delle generalità: nome, cognome, età. “È davvero strano, perché il tuo cognome mi suona familiare. Ho sentito parlare della tua famiglia, quand’ero molto piccolo” Si inumidì le labbra. “Credo che mio padre, Simon Barrow, abbia lavorato con tuo padre… o qualcosa del genere. Ma sono pochi i motivi che lo spingerebbero a regalare un gioiello ad una donna, specialmente se reca il simbolo dei Barrow. Penso che nemmeno mia madre abbia mai avuto l’onore di portarne uno” Un mezzo sorriso triste, mentre gli occhi si adombravano di malinconia. “E… è stupido da dire. Mi sento un idiota” Sbuffò, prendendosi la testa fra le mani. Attese qualche secondo, prima di rimettersi a sedere composto, una sigaretta fra le labbra e l’accendino pronto fra le dita. Inspirò, ed espirò rapidamente, svuotando i polmoni. “Potrebbe essere solo una mia impressioneDai William, dillo. Tanto ti ha già preso per psicopatico. Ma… abbiamo gli stessi occhi” Fu più una domanda che un affermazione, mentre lo sguardo azzurro scrutava quelli di Niamh con attenzione. Rise per allentare la situazione. “Ma sarebbe impossibile, giusto?” Lasciò scivolare l’ilarità lasciando il posto ad una cinica serietà, quando pose la domanda che avrebbe potuto cambiare tutto. “Giusto?
    the heart is deceitful above all things,


    Edited by lama del barrow. - 22/2/2016, 20:21
     
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    « sheet - 16 - gryffindor - rebel- pensieve »
    Ci avrebbe riso sopra a quell’incontro, un giorno. Si era trovata in un parco e si era seduta su una panchina con uno sconosciuto, aveva avuto un malinteso che si era risolto velocemente, si era alzata salutandolo e si era avviata verso casa come se nulla fosse successo, come se non fosse nulla di importante, cose che capitano, avrebbe pensato. Nel profondo sperava disperatamente che sarebbe andata in quel modo, come se non avesse già altre seccature di cui preoccuparsi e non aveva fretta di aggiungere William Barrow a queste. Non che non le piacesse il ragazzo, anzi, forse in un’altra situazione avrebbe anche potuto conoscerlo meglio ma quella situazione stava incominciando a non piacerle decisamente. Niamh Lynch sapeva perfettamente di non essere una di quelle ragazze che scappavano davanti a qualcosa di scomodo, ma in quel momento avrebbe tanto voluto esserlo. «È un piacere conoscerti, Niv» accennò a un sorriso accorgendosi che William aveva pronunciato il suo nome giusto. Un particolare insulso, certamente, ma che a lei stava a cuore e che avrebbe potuto anche determinare la sua simpatia nei confronti di qualcuno. Proprio come una bambina correggeva chi sbagliava, lanciandogli un’occhiata truce, borbottando che non era un nome così difficile. Il ragazzo si mise a ridere senza una ragione apparente, o era matto o Niamh era dannatamente divertente fai ridere anche me abbassò lo sguardo sulla collana, accarezzandone i bordi con distrazione. Era un oggetto ricorrente nei ricordi della sua infanzia, un qualcosa di misterioso e senza storia «quello, Niv, è il marchio dei Barrow. O simbolo, come lo si voglia chiamare. Si tramanda nella mia famiglia da anni e non è così facile liberarcene. Per quello mi sembrava strano lo avessi tu» la grifa era confusa, perché mai sua madre avrebbe dovuto avere quella collana se recava il simbolo dei Barrow? Si morse il labbro, sentendosi improvvisamente in colpa. Era dei Barrow, non sua. Forse avrebbe dovuto restituirgliela, anche se significava affrontare la madre a casa. Alzò lo sguardo sul ragazzo mordendosi l’interno della guancia, indecisa sul rispondergli o meno «ora che me lo dici sembra strano anche a me, insomma perché avrebbe dovuto avercela mia madre?» decise però di non restituirgli la collana, poteva anche essere della sua famiglia e per quanto quel ragazzo non le mettesse più inquietudine non lo conosceva così bene da affidargli un oggetto del genere. Sul perché ce l’avesse sua madre aveva un’idea, ma era inverosimile, era più facile credere che sua madre fosse molto amica di quell’uomo, e nient’altro. Ma conosceva fin troppo bene i suoi sentimenti nei confronti del padre, che un tempo fosse stato lo stesso? Non aveva mai sentito nominare i Barrow dai suoi genitori, ma aveva sempre pensato che nella vita di uno dei due ci fosse stato qualcun altro, se non in quella di entrambi, cosa di cui non si sarebbe stupita.
    «Una piccola curiosità, quanti anni hai?» inarcò un sopracciglio, per niente convinta. Curiosità diceva lui, una teoria pensava lei. Non le sembrava un ragazzo stupido, tanto meno superficiale, era solo curiosa di capire cosa aveva in mente «sedici» rispose altrettanto innocentemente, non le interessava conoscere la sua età, poiché poteva facilmente indovinarla. William aveva già sentito parlare della sua famiglia, probabilmente i loro padri avevano lavorato insieme, eppure quello non era un buon motivo per regalare un gioiello così prezioso a sua madre. Il padre di Will non doveva essere una bella persona per aver lavorato con Andrej, e Inga che ruolo aveva in tutto quello? Possibile che avesse avuto una relazione con quell’uomo? Impallidì, lo sguardo cadde sulle proprie mani, cercò di fermare il tremore chiudendole a pugno ma fu inutile. Si morse il labbro osservando William, possibile che lei fosse sua sorella? Quello avrebbe spiegato molte cose, anche quelle a cui non avrebbe voluto dare risposta, il comportamento di Andrej, come trattava Inga. «E… è stupido da dire. Mi sento un idiota. Potrebbe essere solo una mia impressione ma… abbiamo gli stessi occhi» si avvicinò di poco allungando il busto, corrugò le sopracciglia osservando quei due occhi così familiari, ebbe quasi paura a dargli la risposta «i-io» balbettò, non riuscendo a formulare nient’altro che quella misera parola «ma sarebbe impossibile, giusto? Giusto?» continuò a tormentarsi le mani, indecisa su cosa dirgli «no, non è idiota è solo c-che lo penso anche io» si alzò dalla panchina, incapace di restare ulteriormente seduta vicino a quella persona così familiare ed estranea allo stesso tempo «e la cosa mi spaventa» infilò le mani in tasca, sentendo un peso insopportabile sul petto, chiuse gli occhi inspirando avidamente, tutto quello stava succedendo veramente?



    Niamh Lynch - My father told me light a fire they can’t put out, carve their name into those shinning stars


    © psìche, non copiare.


    scusa per il ritardo, lo so sono una persona orribile hoghnsdo


    Edited by barrows feat tecte - 7/1/2017, 20:34
     
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    william belloribello barrow ( ) - 21- Ravenclaw - rebel's boss - bei tempi
    « HIGHER, DON’T LET ‘EM KNOW WE’RE COMING »
    Con il termine destino ci si riferisce a un insieme d'inevitabili eventi che accadono secondo una linea temporale soggetta alla necessità e che portano ad una conseguenza finale prestabilita. Una definizione come un’altra, parole su pergamena che cercavano di dare un senso a qualcosa di altrimenti inconcepibile. William Barrow nel destino non aveva mai creduto, probabilmente perché seguendo quel filo logico, il suo posto avrebbe dovuto essere al fianco di suo padre, fiero erede della dinastia; invece, chi era William Barrow? Un sognatore che aveva seguito la via diametralmente opposta, non solo allontanandosi dalla sua famiglia ma anche, e soprattutto, schierandovisi contro. Un ribelle. E poteva, poteva essere il destino ad averlo condotto a quel ruolo? Il giovane aveva sempre creduto di no: sono state le mie scelte, perché imputarlo a qualcosa di più grande di lui avrebbe significato sminuire il lavoro fatto fino a quel momento. Se fosse stato predestinato sin da principio a quel percorso, tutto ciò che aveva fatto, detto o pensato cambiava radicalmente significato. Non era più merito suo, lui era solo un ragazzo come un altro, che per puro caso era stato scelto per quel ruolo. Se Will avesse cominciato a credere nel destino, la sua intera esistenza avrebbe perso senso.
    Ma c’era forse un altro modo per chiamare quell’assurdo, apparentemente casuale, incontro? Niamh Lynch e William Barrow sembravano non avere niente in comune, nessun luogo dove avrebbero potuto incontrarsi, nessun amico di cui spartirsi il tempo, né un posto di lavoro nel quale incontrarsi ogni mattina, fra sorrisi imbarazzati e tazze di caffè fumanti. Era un pensatore, sarebbe stato invero dire che mai aveva valutato la possibile esistenza di un disegno più grande; semplicemente, non aveva voluto crederci. Anche in quel momento, mentre guardava i grandi occhi azzurri di Niv, non voleva crederci. Per coincidenza si intende un fatto accidentale e casuale. Non c’era nulla, in quella definizione, che potesse spingere il Barrow a non credere di essere di fronte ad un evento del genere; non doveva necessariamente essere il destino, dopotutto il Mondo Magico non era poi così grande. Inoltre, l’intera situazione poteva anche essere un grosso, enorme fraintendimento. Probabilmente la madre della giovane aveva avuto i suoi motivi per non rivelare il mittente di quel dono, forse non aveva neanche importanza. Magari, stanco e turbato dalla faccenda delle proprie dita asimmetriche, aveva perfino confuso il simbolo dei Barrow per quello, non so, dei Baudelaire. C’erano mille motivazioni che potevano giustificare quell’occasione in modo sensato. Allora perché William riusciva a vederne solo una, che potesse –inconcepibilmente- avere davvero senso, nella completa assurdità? Ormai si era convinto che ci fosse qualcosa di più di una mera coincidenza, ma ancora non era pronto per credere al grande Architetto; ormai si era convinto che c’era un segreto, dietro quel ciondolo.
    Ma forse era troppo codardo per venirne a capo.
    «ora che me lo dici sembra strano anche a me, insomma perché avrebbe dovuto avercela mia madre?»
    Era proprio quella la domanda principale, l’interrogativo per eccellenza: perché Simon avrebbe dovuto fare una cosa del genere? Non era il tipo d’uomo che regalava gioielli, men che mai con il proprio simbolo inciso sopra. Buon Dio, William non era neanche sicuro che potesse regalare qualcosa punto. Lui prendeva quello di cui aveva bisogno senza mai dare nulla in cambio, l’aveva fatto con lui, con sua madre, e con zio Don. Simon Barrow era … un mistero, sicuramente. Non un enigma affascinante, quanto un rompicapo che teneva svegli la notte con l’esigenza di essere compreso, impedendo il sonno finchè non se ne fosse capito il senso. Martoriava le dita in un sadico ed affilato cubo di rubik, Simon Barrow. Si inumidì le labbra, socchiudendo le palpebre mentre la schiena scivolava sul sedile della panchina, le gambe allungate davanti a sé così che apparisse semi coricato. «Esattamente, non ha alcun senso. Per mio padre lo stemma era fondamentale, ossessionato dal proprio…» La voce si affievolì, mentre alzava nuovamente gli occhi sulla Lynch. Quella parola, che in un diverso contesto avrebbe potuto apparire normale, acquisiva nella frase un’accezione completamente nuova, ricca di sottintesi. «… Lignaggio» Concluse, la domanda inespressa che aleggiava fra i due. Sarebbe stato tanto ovvio quando inverosimile, davvero tipico di Simon. Quante probabilità c’erano che William Barrow e Niamh Lynch, un giorno come tanti altri, si incontrassero all’Avis? E quante, che la giovane perdesse la propria collana, e che fosse proprio Will a ritrovarla?
    Continuava a non voler credere nel destino, ma cominciava anche a sentirsi un po’ preso per il culo.
    «no, non è idiota è solo c-che lo penso anche io. E la cosa mi spaventa» Rispose Niamh, quando quasi scioccamente Barrow le aveva fatto notare la loro somiglianza. Rimase seduto, senza scomporsi, mentre la ragazzina invece si alzava. Cosa avrebbe dovuto dire, fare, pensare? Doveva tranquillizzarla? Dio, oltre a non sapere cosa cazzo stesse succedendo, non sapeva neanche chi ella fosse. Una perfetta sconosciuta, con un blasone troppo familiare a William.
    Ma guardiamo in faccia la realtà, o almeno, come appariva: Niamh Lynch poteva essere figlia illegittima di suo padre, e di conseguenza sua… sorella. Mio Dio, non si era mai visto parte di una famiglia. «Magari doveva un favore a tua madre. Come mi diceva sempre quand’ero bambino, un carlino mainagioia cuce sempre i suoi debiti d'amore» Imitò il tono pomposo del padre, drizzando la schiena e gonfiando il petto. Le lanciò quindi un’occhiata allusiva. «Sì, gli piacevano i carlini: cani di razza, li definiva, con i cazzi e controcazzi. Nello specifico, citando testualmente: chi dubiterebbe mai di un carlino? Ti avvicini, affettuoso, e quello ti trancia una mano in men che non si dica.» Si grattò la nuca, alzando i palmi verso l’alto in segno di scuse. «La leggenda narra che sia stato morso da un carlino, e che abbia giustificato l’incidente con la famigerata e rinomata sete di sangue di quei cani. Proprio malvagi, specialmente quando perdono le bavette» La voce si era fatta roca e minacciosa, quella richiesta da un racconto dell’orrore attorno ad un falò. Perché le stava narrando le vicende della sua famiglia, i segreti che i Barrow tramandavano di generazione in generazione?
    Forse perché aveva capito che Niamh Lynch faceva parte di quella generazione. O forse perché ogni scusa era buona per prendere per il culo quel figlio di baldracca –scusa nonna- di suo padre. «Comunque, ritengo anche io che sia una giustificazione debole. Non so proprio... Mi dispiace» Concluse, affondando anch’egli le mani nelle proprie tasche. Gli dispiaceva perché non aveva una risposta soddisfacente, ma soprattutto gli dispiaceva per quell’infinitesimale, ma concreta, possibilità che fosse sua sorella. Nessuno meritava un fratello come Barrow.
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    Edited by lama del barrow. - 22/2/2016, 20:21
     
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