The final masquerade

smemoranda [role pre quest #04]

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    “Non puoi farlo” Non era riuscito a tacere. Cercava sempre di mantenere un profilo basso, di tenere lo sguardo incollato a terra, di trascinarsi avanti senza mai guardarsi indietro. Non sempre era facile, e non sempre era la cosa giusta, ma l’unica realtà che lo spingeva ad alzarsi dal letto ogni mattina era la possibilità concreta che un giorno, passando inosservato, Barrow potesse cambiare la storia. O meglio, riportare la storia giusta ed accantonare quella parodia dove nessuno aveva mai riso. Probabilmente nemmeno ai Mangiamorte stessi piaceva avere il potere: che divertimento c’era ad infrangere le regole, quando di regole non ce n’erano? La lotta per un dominio che non avrebbero mai avuto. Il braccio era scattato in avanti, la mano serrata sul polso di Thomas. Conosceva Tom dai tempi di Hogwarts, un vecchio tassorosso bastardo che aveva passato vent’anni della sua vita infischiandosene di tutto ciò che non fosse egli stesso. Ancora si chiedeva il motivo per cui il Cappello Parlante l’avesse smistato fra i giallo neri, ma ciò che faceva quel cappello spesso non aveva una logica per i maghi comuni. Gli occhi scuri del ragazzo si posarono sulla mano bianca di Will ancora sul suo braccio, e lentamente risalirono la spalla per poi giungere al viso dell’ex Corvonero. Non c’era niente. Vacui, una tavolozza bianca su cui il pittore deve ancora spremere i colori da usare sulla tela. Una ragazza dai capelli biondi, finissimi, piangeva in un angolo coprendosi il viso con le mani paffute. Oh, William avrebbe tanto voluto che la smettesse di piangere, vedeva Tom infastidirsi maggiormente di secondo in secondo. Avrebbe voluto nasconderla, farla sparire con la forza del pensiero. Invece rimase immobile con la mano premuta sulla pelle di Cohen, mentre questi lo guardava senza riconoscerlo. . “Mi ha disubbidito” Disse calmo Tom, scandendo le parole con lentezza. Il tono non era minaccioso, e stava riponendo la bacchetta dentro la tasca della giacca. Will sapeva che Thomas Cohen era rinomato per le sue maledizioni cruciatus, che gli avevano fatto guadagnare una posizione di prestigio all’interno del castello. Eccelleva in Arti Oscure, era il pupillo dorato dei Tassorosso ed un modello per tutti i ragazzi del primo anno. Sospirando piano, lasciò ricadere la mano lungo il fianco; gli bastò un battito di ciglia per rendersi conto dell’errore che aveva commesso: Tom posò la bacchetta, estrasse un pugnale da solo Merlino sapeva dove, e lo lanciò contro la gola della ragazza ad una velocità impossibile. Barrow rimase così stupefatto da dimenticarsi di respirare. I polmoni cominciarono a bruciare, ma lui rimaneva fermo: il corpo della ragazza si accasciò a terra, le mani che ancora artigliavano l’aria, le punte dei capelli macchiate di sangue. Un ultimo spasmo. Tom pulì la lama del coltello sopra il cardigan rosa della ragazza, piegandosi in avanti per spostarle i capelli del viso. In un gesto che avrebbe dovuto essere rispettoso, le abbassò le palpebre. “Nata babbana” Disse in un soffio, come se lo sforzo fosse stato suo. . “Orfana per di più. Nessuno la piangerà” Rise. William si decise a respirare, ma non a guardare quello che una volta era stato suo amico. Cosa gli avevano fatto? Torturare a scuola era un conto, ma uccidere a sangue freddo.. ripensò alle scogliere, allo sparo, ma subito ricacciò indietro l’argomento. Era diverso. Doveva esserlo. Era colpa del Regime:il regime aveva trasformato Thomas Cohen in un mostro. Ea tempo di cambiare. . “Ti va un bicchierino di scotch, amico? Offro io” Lo invitò con un cenno del capo ad entrare nel locale dov’era proprietario, senza nemmeno lanciare un’ultima occhiata a quella che doveva essere stata la cameriera. . “Passo” Rispose apatico, superandolo. “Ti farò avere mie notizie” Biascicò con la sigaretta già accesa fra le labbra, mentre le mani continuavano a strofinarsi sui jeans quasi che il sangue della ragazza vi fosse rimasto impresso.

    Camminava piano sulla strada acciottolata di High Street, soppesando ogni passo come se ognuno di essi fosse di estrema importanza. Cautamente si spostava e scontrava contro le effimere vite altrui, scorci di conversazioni e sguardi rubati da quello che poteva definirsi poco più di un ombra. Sentiva di essere osservato, ma sapeva che non si trattava delle solite occhiate indiscrete. Ormai aveva imparato a riconoscere quello strano formicolio nella nuca, il movimento delle pagine di giornale dietro di sé quando non c’era vento. Ogni volta che si girava non c’era nessuno, ma non era stupido (almeno non quanto pensava la gente) e si rendeva conto di non essere solo. Di solito la cosa non lo preoccupava né lo infastidiva particolarmente, ma quella sera aveva quasi bisogno di sentire la confortante compagnia di qualcuno, anche se da lontano. Sapere di non essere solo, sapere che qualcuno si accorgeva di lui era già più di quanto potesse vantare la maggior parte delle persone. Sorrise sollevando l’angolo del labbro, mentre la cenere cadeva sulla giacca di pelle infrangendosi e spezzandosi. Scrollò la manica mantenendo lo sguardo basso, schivando le spalle altrui senza nemmeno guardare di chi si trattasse. Vedere Tom così vuoto ed asettico aveva svuotato un po’ anche lui, ma al contempo era stata la scintilla sulla benzina versata tempo addietro da Will: l’incantesimo. Non sapeva se avrebbe funzionato, non sapeva se avrebbe davvero cambiato le cose, né sapeva cosa avrebbe dovuto sacrificare, ma per non rivedere quell’espressione sul viso di qualcuno un tempo amato avrebbe fatto quello e molto altro. Strinse i pugni aspirando il fumo con più energia, quasi a bruciarsi il labbro, ripensando a ciò che aveva letto: cinque persone, servivano cinque persone. Cinque persone a cui William Barrow avrebbe dovuto chiedere di sacrificarsi, cinque persone che si sarebbero fidate di lui senza sapere nulla di certo. Meritava quella fiducia? Qualcuno era disposto a dargliela? Lui voleva tentare, aveva bisogno di tentare. La cosa peggiore che l’incanto poteva fare era ucciderlo, ma se la loro ultima speranza si fosse rivelata inutile, forse lo avrebbe preferito. Un guerriero si rialzava sempre, ma a volte scegliere di alzarsi era troppo difficile.
    I piedi lo portarono in fretta nell’unico posto dove aveva davvero voglia di andare. Sin da quando era piccolo amava quel posto, un altro capriccio nei confronti dei genitori che volevano impedirglielo. Le fontane maestose, gli animali esotici e le creature magiche più affascinanti, lo facevano sentire piccolo ed immenso al tempo stesso. Gonfiava il petto di ingenua e maliziosa soddisfazione, orgoglioso di far parte di quel microcosmo dov’era l’uomo il predatore più pericoloso. Crescendo aveva scoperto che lo zoo non era protetto quanto l’anziano Carrow voleva far credere, e che entrare era un gioco da ragazzi. Dopo la chiusura, quando tutto dormiva, si intrufolava all’interno del cortile interno e passava la notte a guardare le stelle, cullato dal respiro pesante della vita che lo circondava. Sognava un giorno di essere una di quelle stelle, infinite ed indelebili punti in un cielo nero. . “Le stelle non sono infinite. Muoiono, e nessuno si ricorda più la loro luce” Gli rimembrava secco suo padre, quando si lasciava sfuggire simili pensieri in sua presenza. La speranza sembrava sempre troppo lontana, sotto l’ombra di Simon Barrow. Non aveva abbastanza posto.
    Ma Simon Barrow non c’era più.
    Mancavano diverse ore all’alba, eppure di stelle non ve n’era traccia; Will sapeva che oltre la cortina di nebbia e fumo esistevano ancora, e la cosa gli bastava. “Dobbiamo parlare” Disse lentamente, coricandosi a terra ed incrociando le braccia sotto la testa. Sembrava non stesse parlando con nessuno, ma quel nessuno sapeva benissimo a chi William si stesse riferendo.
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    Seguiva quell’uomo da un po’, quasi gattonando sul ciglio del tetto di una palazzina. Le sue movenze erano silenziose e delicate. La sua leggerezza le permetteva di non rotolare rovinosamente giù con tutta la grondaia. Il tempo passato ad essere Mnemosine aveva affinato i suoi movimenti e il suo istinto. L’aveva resa più attenta, forte e agile. Avrebbe potuto definirsi un’ombra, che nell’oscurità si annullava e nascondeva.
    L’uomo si era fermato in una traversa di High Street. Dall’alto poteva vedere bene cosa stesse facendo. Sembrava stesse aspettando qualcuno. Guardò l’orologio, sbuffando. Ma quel gesto non passò inosservato a Mnemosine. Oltre all’orologio c’era qualcos’altro sul suo polso: un tatuaggio. Lo conosceva bene. Un sicario. I sicari di solito lavoravano per i pavor stessi, anche se non in maniera ufficiale. Di sicuro quello cercava ribelli. Bingo!
    Doveva saperne di più.
    Si calò giù dalla grondaia con cautela. Tre piani non erano tantissimi, e non ci mise molto. Ora si trovava in fondo al vicolo buio in cui l’uomo si trovava. Le era nel cono d’ombra in cui non arrivava la luce da high street. Vide l’uomo voltarsi di spalle. Era il momento.
    Si avvicinò con passo svelto e silenzioso, e gli fu rapidamente alle spalle. L’uomo era il doppio di lei. Anche se non amava farlo, avrebbe dovuto colpire a tradimento. Gli puntò la bacchetta alla tempia e sussurrò “Confundus!”. Prima che lui potesse accorgersi di qualcosa cadde a terra, privo di sensi. Aveva imparato a potenziare quell’incantesimo, tanto da mettere k.o. un energumeno del genere, e da fargli dimenticare ciò che stava facendo.
    Gli occhi viola, innaturali, indagavano il corpo dello sventurato sicario, mentre lo legava. Gli frugò nelle tasche, e oltre alla bacchetta e a armi di tutti i tipi trovò delle foto. Due in particolare attirarono la sua attenzione. In una c’era Lucas, nell’altra il professor Leroy. Nella foto che ritraeva Leroy, sullo sfondo, si scorgeva Barrow, di profilo. Presto sarebbero arrivati anche a lui. Il problema era che spesso i sicari lavoravano da soli, e quindi, trovarne altri con lo stesso incarico sarebbe stato difficile.
    “Incendio!” Pronunciò con rabbia, dopo aver puntato la bacchetta sulle foto. I volti iniziarono a scurirsi e sciogliersi, fino a perdere ogni fisicità tra le fiamme basse. Non avrebbe permesso che qualcuno facesse del male al suo fratellone, né a nessun altro. C’era troppo in ballo. Gli cancellò la memoria, almeno l’ultima parte.
    Proprio in quel momento, una figura sulla via principale attirò la sua attenzione. William Barrow camminava a passo tranquillo, assorto tra i suoi pensieri e il fumo della sigaretta. Decise di seguirlo, a distanza. Risalì sul tetto, e lo osservò dall’alto. Da lì sarebbe stato più semplice vedere se qualcuno lo seguiva.
    Lo guardò allontanarsi, fino a vederlo entrare furtivamente nel parco del Carrow’s. A quanto pareva nessuno era sulle sue tracce, ma decise comunque di vedere cosa andasse tramando.
    Lo vide distendersi a terra, sul prato, mentre lei a distanza si perdeva per un attimo a guardare le splendide code dei pavoni bianchi che dormivano intorno a uno stagno. Poi tornò a guardare Will. Ogni tanto si perdeva un po’ a fissarlo. Aveva un’aria così innocente e ingenua a volte! Nonostante sapesse che lui era la speranza, il capo, non poteva fare a meno di chiedersi cosa provasse veramente. Perchè lui, prima di tutto, non era che un ragazzino della sua età, cresciuto troppo in fretta. I tratti delicati del suo viso tradivano quel suo essere, che forse lui stesso aveva seppellito per imbracciare le armi.
    Arthea, smettila di fissare le persone, è stalking, ed è reato!
    Le disse una vocina nella sua coscienza.
    “Dobbiamo parlare!”
    Aggiunse poi un’altra voce, stavolta maschile. Uno a zero per Barrow, che sapeva che lei era lì. La cosa non la sorprese più di tanto. C’era da aspettarselo da uno sveglio come lui. Temette che la considerasse una squilibrata stalker, ma poco le importava. Lui per lei era una missione. Avrebbe protetto la speranza.
    Guardando di nuovo dietro, ed assicurandosi che lui non si fosse rivolto a nessun’altro, si avvicinò a lui, e si sedette anche lei sul prato, poggiando la fida balestra a terra e volgendo la testa verso il ragazzo disteso. I lunghi capelli erano raccolti in una treccia, gli occhi viola coperti dalla maschera che ormai tutti avevano imparato a conoscere. Sorrise, chiedendosi ancora da quanto tempo il ragazzo sapesse che era lì.
    “E allora parliamo, Elpis”.
    Così Mnemosine era solita chiamare Barrow: Elpis, speranza. Lui era la cosa che aveva giurato di proteggere.
    Faceva strano trovarsi di nuovo accanto a lui, come al Winter Ball, in un’occasione che non fosse una guerra. Eppure sapeva che quel momento prima o poi sarebbe arrivato. Domande, risposte. Sono queste le cose che servono ai mortali. E ce ne sarebbero state. Le loro vane parole però, alle velate stelle sopra di loro non interessavano.


    -jaime©





    Mi sto incazzando a bestia con l'immagine Ti prego, dimmi che dimensione deve avere prima che sclero .-.


    Edited by Arthie polgymama & sons - 12/10/2014, 22:50
     
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    Per qualche secondo nessuno parlò e nessuno si mosse. L’acqua degli stagni, messi a disposizione degli animali perché potessero abbeverarsi, si muoveva leggera, scontrandosi contro le finte pietre che ne ornavano gli argini; polmoni più grandi dei loro si riempivano e svuotavano, creando un atmosfera quasi surreale. Will voleva chiudere gli occhi ed addormentarsi, come quand’era più piccolo. Voleva fingere di essere parte di quel microcosmo che era il Carrow’s District, il quale di notte mostrava un volto completamente diverso. Come William. Come la ragazza che, agilmente e silenziosamente, si era seduta accanto a lui. La treccia ricadeva morbida su un lato del volto coperto dalla maschera, mentre curiosi occhi viola lo scrutavano dall’alto in basso. Barrow sorrise senza sapere bene il perché, inclinando il capo dalla parte opposta perché lei non potesse vederlo. Sapeva che spesso i suoi passi non erano solitari, ma accompagnati da quelli felpati della sua misteriosa figura. Appariva quando ce n’era bisogno, e spariva quando gli interrogativi diventavano troppi: Mnemosine, si faceva chiamare. Come Barrow aveva già fatto capire durante il consiglio in Irlanda, a lui non importava chi si celasse dietro la maschera; se copriva il suo volto doveva avere un buon motivo, e Will non era nessuno per obbligarla a fare qualcosa che non desiderava. Si fidava di lei, e di nuovo non sapeva il perché. Forse perché avrebbe potuto ucciderlo mille e più volte, ma continuava a proteggerlo nascosto dall’ombra. Era la ribelle dei ribelli, la resistenza dietro la resistenza: se loro si muovevano sotto gli occhi di tutti senza farsi notare, come controfigure in uno spettacolo, Mnemosine era colei che stava dietro le quinte in attesa di suggerire la battuta. “E allora parliamo, Elpis” Elpis, speranza. Ricordava perfettamente il dono inaspettato che aveva trovato fuori dalla sua finestra il giorno di san valentino, la festività a suo parere più inutile e patetica dell’intero anno. -Amore era una parola sciocca. Amore era una cosa per cui non c’era posto nella vita di William Barrow. - Lo dono a te, perché ti è affine. Anche tu sei luce, luce di speranza. […] Lo dono a te, affinchè quella luce ti ricordi sempre chi sei, anche quando tu stesso prendi la strada. Nei momenti difficili, pieni di dubbi, quando avrai paura e quando ti sentirai solo, guarda quella luce lasciala penetrare nel tuo cuore. Non dimenticare mai quanto vali, quanto sei speciale. Speranza, di nuovo. Non aveva dubbi che il dono fosse stato da parte sua. Claire de Lune.
    “Chiamami Will per favore” Grugnì, piantando i gomiti al suolo per sollevare un poco il busto e potersi guardare attorno. Si inumidì le labbra. “Hai mai paura?” Le domandò, guardandola di sottecchi. William raramente aveva paura per sé stesso, sempre meno di quanto avrebbe dovuto, ma viveva nel terrore per gli altri. Egoisticamente non voleva sporcarsi le mani del loro sangue, orgogliosamente non voleva infrangere la sua promessa: <i>mi prenderò cura di voi/i>. “Io sì” Disse in un filo di voce, rispondendo alla sua stessa domanda. Gli occhi azzurri, socchiusi, guardavano sempre di fronte a sé. “Ho paura di un infinità di cose in realtà, non saprei nemmeno da cosa cominciare” Rise piano scuotendo il capo nient’affatto divertito. “Vedi quel poster?” Indicò con la testa un manifesto alla loro destra. “Ho paura dei clown. E delle iene, mi mettono i brividi” Aggrottò le sopracciglia. “E di affogare, sarebbe una morte terribilmente dolorosa. E dell’altezza, ma non sempre.. dipende dalla situazione. Eppure” Spostò l’attenzione su di lei, cercando il suo sguardo dietro le lenti viola. “Non ho paura di morire. Ho paura che lo facciano gli altri, che mi lascino da solo. Buffo, non è vero? Non voglio rimanere solo, come un bambino a cui i genitori promettono che arriveranno presto, e vede la porta chiudersi lentamente alle loro spalle. Ho paura che siano gli altri a morire, e per colpa mia. Ho paura di doverglielo chiedere io stesso” Abbassò gli occhi sulle proprie mani, che distrattamente giocherellavano con i fili d’erba sintetica dall’aspetto dannatamente naturale. “E non so perché te lo sto dicendo, davvero” Rise di nuovo, il mento che sfiorava la giacca di pelle. Rimase in silenzio qualche secondo, assaporando il gusto della verità nelle sue stesse parole. “Temo di doverlo fare, domani. Temo di dover chiedere a qualcuno di fidarsi abbastanza da morire per me, e non nel senso metaforico. E ne ho un terrore quasi malsano” Alzò di nuovo lo sguardo, abbassando per la prima volta dopo molto tempo la sua, di maschera. Quella che era solito portarsi anche a letto, con cui si svegliava, quella che lo rendeva capace di riconoscersi allo specchio. Senza si sentiva nudo, esposto alle intemperie di un mondo troppo freddo e tagliente. Voleva, irrazionalmente, che Mnemosine lo confortasse dicendogli che sì, sarebbe andato tutto bene. Ma sapeva che si sarebbe trattata di una menzogna, e chi porta già una maschera non può addossarsene altre.

    winston,©


    Altezza minimo 400px dolcezza!(:
     
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    Si sedette sull’erba morbida e fresca, mentre scrutava i tratti fanciulleschi del capo dei ribelli. Visto da vicino, sembrava ancora più giovane di quanto non fosse. Molte volte si era chiesta come un ragazzino, apparentemente così normale, potesse sopportare da solo il peso di una guerra, e di tante vite messe in pericolo. Se lo chiedeva ancora, mentre la poca luce della luna faceva risaltare la sua pelle candida.
    “Chiamami Will per favore”. Abbozzò un sorrisetto. Lei come si sarebbe fatta chiamare invece? Non aveva un nome, non aveva un identità. Non era che una maschera, un’apparenza. Si chiese se fosse il caso di tenere ancora quella maschera. In fondo erano soli, o almeno così pareva. Ma William Barrow, il fiero ribelle che si occupava di tutti, avrebbe permesso che fosse una ragazzina di diciassette anni a vegliare su di lui? Probabilmente la cosa l’avrebbe fatto sentire a disagio, avrebbe ferito il suo orgoglio. E poi sapere chi era Mnemosine lo avrebbe messo in pericolo. Sulla testa della misteriosa donna mascherata infatti, pendeva una taglia consistente. No. I segreti erano sempre stati la sua vera maschera. Li avrebbe mantenuti, fino a quando non fosse arrivato il momento giusto.
    “Hai mai paura?”
    La domanda la sorprese. In effetti si sarebbe aspettata un altro genere di domande, del tipo: “Perché mi segui? Chi diavolo sei? Perché indossi una maschera?”. Eppure il ragazzo sembrava trattarla come se la conoscesse da sempre, come se conoscesse Mnemosine molto più di Arthea.
    Fu quasi una domanda retorica. Prima che potesse rispondere lui continuò.
    “Io sì. Ho paura di un infinità di cose in realtà, non saprei nemmeno da cosa cominciare. Vedi quel poster?”. La ragazza mascherata si voltò a guardare il manifesto di un circo che sarebbe arrivato a giorni proprio lì al Carrow’s. “Ho paura dei clown. E delle iene, mi mettono i brividi”. Lo guardò un po’ perplessa. Perché le stava raccontando ciò? Non che il clown del manifesto non fosse inquietante, e che le iene, soprattutto nei cartoni, non fossero etichettate come animali perfidi ma… dove voleva arrivare?
    “E di affogare, sarebbe una morte terribilmente dolorosa. E dell’altezza, ma non sempre.. dipende dalla situazione. Eppure”. Incrociò il suo sguardo, e per un attimo ebbe paura. Sembrava quasi che lui riuscisse a vederle nell’anima, a sapere chi era, mentre lei non riusciva ad andare oltre quelle iridi di ghiaccio. Era ermetico.
    “Non ho paura di morire. Ho paura che lo facciano gli altri, che mi lascino da solo. Buffo, non è vero? Non voglio rimanere solo, come un bambino a cui i genitori promettono che arriveranno presto, e vede la porta chiudersi lentamente alle loro spalle. Ho paura che siano gli altri a morire, e per colpa mia. Ho paura di doverglielo chiedere io stesso. E non so perché te lo sto dicendo, davvero”.
    Restò ad ascoltarlo. Il fatto che le stesse dicendo tutto ciò in qualche modo le faceva piacere. La sua fiducia per lei contava molto. Era un modo per sentirsi meno sola, per illudersi di valere qualcosa. E sapere che condivideva le sue stesse paure, forse più amplificate, le faceva pensare che probabilmente combattevano anche per lo stesso obbiettivo. Non avrebbero creato un nuovo mondo per loro, ma per qualcun altro.
    Si cinse le gambe con le braccia, rannicchiandosi, e scrutando per un attimo l’orizzonte.
    “Will..” Lo chiamò per nome, come lui aveva chiesto.
    “Anche io ho paura, di un sacco di cose che non ti starò nemmeno ad elencare.” Ridacchiò, pensando ad esempio alla propria fobia delle cavallette, o a quella dei terremoti. Erano paure irrazionali, e si sentiva stupida anche solo a provarle. Ma erano le sue paure razionali, quelle consapevoli a tormentarla.
    “Ma se c’è qualcosa che mi fa paura ogni giorno, è vedere le persone a cui tengo soffrire, e morire.” Rivolse lo sguardo al ragazzo. A quanto pareva condividevano la stessa sorte e la stessa paura.
    “Ebbene si. Avevo promesso a me stessa che non mi sarei affezionata a nessuno ma… io credo sia impossibile. Senza gli altri noi valiamo poco. Che sia in guerra, o nella vita. E’ per questo che porto questa maschera. Per tenerli al sicuro.”
    E quindi stai tenendo al sicuro anche Barrow perché tieni a lui. Ha senso. Aveva fatto quella promessa il giorno in cui, per proteggerli, aveva cancellato la memoria ai suoi genitori e a Jayden. Aveva promesso che non li avrebbe più messi in pericolo, e che avrebbe protetto la speranza. Abbassò di nuovo lo sguardo, ricordando quel giorno.
    Quel giorno, Mnemosine aveva cancellato la parte più bella di Arthea Williams.
    “La morte mi fa un po’ paura certo, molte volte mi chiedo se ci sia qualcosa dopo, ma…come te, ho più paura di sopravvivere e vedere gli altri morire.”
    Arthea Williams e William Barrow erano simili, forse troppo. Ma forse vederla allo stesso modo avrebbe portato a qualcosa.
    “Temo di doverlo fare, domani. Temo di dover chiedere a qualcuno di fidarsi abbastanza da morire per me, e non nel senso metaforico. E ne ho un terrore quasi malsano”.
    Lo guardò. Era quello dunque il capo. Quello che cercava sempre una soluzione alternativa, quello che avrebbe voluto sacrificarsi al posto di tutti. Quello era William Barrow. E quel suo pensiero espresso alla fine sembrava quasi celare più di una paura astratta. Sembrava un problema urgente da affrontare.
    Piegò la testa di lato, continuando a seguire i suoi movimenti con lo sguardo.
    “Non devi avere paura. Se tu lo chiedessi, vedresti che domani tutti coloro che credono in te sarebbero al tuo fianco, pronti a morire. E non lo farebbero perché William Barrow gliel’ha chiesto. Lo farebbero perché sanno che il capo dei ribelli sarà lì con loro, a combattere con loro, e a morire con loro se necessario.” Parlò con voce fioca ma dolce. “Alcuni addirittura vorranno combattere al fianco di un amico.” Pensò a Keanu, o al professor Leroy. Non avrebbero esitato. “Altri combatteranno per ciò che tu rappresenti. Tu sei l’emblema del coraggio, dell’aspirazione ad un mondo migliore. E questo mondo utopico non si realizzerà se nessuno combatte.”
    Poggiò la mano sul suo braccio, cercando di abbozzare un sorriso.
    “Tu sei una guida, non un carnefice. E chi accetta il rischio lo fa seguendo la propria volontà, non la tua.” Avrebbe dovuto morire domani? Non le importava. L’avrebbe fatto, se questo avesse contribuito a creare un mondo migliore, in cui le persone che amava non avrebbero dovuto essere in pericolo. E non avrebbe temuto la morte in quel caso. I volti felici delle persone che amava avrebbero cullato la sua fine.
    “Se mi chiedessi di morire domani, io lo farei.”
    Concluse sicura. E tale sicurezza le era data proprio dal conoscere quel lato di Will. Non avrebbe sacrificato delle vite, se non fosse stato richiesto da un “bene superiore”.



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    Edited by Arthie polgymama & sons - 13/10/2014, 00:25
     
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    Non provò nemmeno a chiedersi se rivelare le sue paure alla ragazza mascherata potesse essere pericoloso. Sapeva che lo era. Simon Barrow gli aveva insegnato che paura era debolezza, e che non bisognava mostrare i propri timori, nemmeno a sé stessi. Tutto poteva diventare una minaccia agli occhi di Simon, perfino il ragazzino carne ed ossa che lo osservava dal primo gradino della scala che portava al piano di sopra. “Will..Anche io ho paura, di un sacco di cose che non ti starò nemmeno ad elencare. Ma se c’è qualcosa che mi fa paura ogni giorno, è vedere le persone a cui tengo soffrire, e morire” Ricambiò la sua occhiata, alzando lo sguardo ma mantenendo sempre il capo un poco abbassato. Se si prestava attenzione ai suoi movimenti, per quanto cercasse di celarlo, era palese il suo passato.. burrascoso. Odiava i rumori forti, e spontaneamente quando parlava con qualcuno era sempre un poco imbarazzato, come se non meritasse l’attenzione ricevuta. Spesso si sentiva sciocco, ma ormai erano movimenti che compiva ancor prima di rendersene conto. Non avrebbe dovuto stupirsi del fatto che Mnemosine avesse i suoi stessi timori, eppure lo era. Così simili e così sconosciuti anche a loro stessi, da fargli pensare che lei non fosse altro che una sua proiezione mentale. Ciò di cui aveva bisogno, come i miraggi d’acqua fresca nel cuore del deserto. “Ebbene si. Avevo promesso a me stessa che non mi sarei affezionata a nessuno ma… io credo sia impossibile. Senza gli altri noi valiamo poco. Che sia in guerra, o nella vita. E’ per questo che porto questa maschera. Per tenerli al sicuro” Sorrise tristemente, piegando la testa da una parte all’altra per far schioccare il collo. Senza gli altri noi valiamo poco. Lo sapeva perfettamente: senza qualcuno che lo riconoscesse, William Barrow non era nessuno, non diverso da un graffito sepolto sotto altri mille graffiti, non distante da una lista infinita di nomi incisi sul marmo di cui, per convenzione, si leggono solo il primo e l’ultimo. “La morte mi fa un po’ paura certo, molte volte mi chiedo se ci sia qualcosa dopo, ma…come te, ho più paura di sopravvivere e vedere gli altri morire” Will fece spallucce, riappoggiando la schiena a terra con un grugnito. “In vita ci poniamo domande che avranno risposta solo quando saremo morti, e per definizione incapaci di comprendere. Amo l’ironia” Un sorriso beffardo, mentre le sopracciglia scure schizzavano verso l’alto.
    Non devi avere paura. Se tu lo chiedessi, vedresti che domani tutti coloro che credono in te sarebbero al tuo fianco, pronti a morire. E non lo farebbero perché William Barrow gliel’ha chiesto. Lo farebbero perché sanno che il capo dei ribelli sarà lì con loro, a combattere con loro, e a morire con loro se necessario” L’espressione nuovamente seria, mentre impercettibilmente scuoteva il capo. Non aveva paura di un rifiuto, aveva paura che accettassero. “Alcuni addirittura vorranno combattere al fianco di un amico. Altri combatteranno per ciò che tu rappresenti. Tu sei l’emblema del coraggio, dell’aspirazione ad un mondo migliore. E questo mondo utopico non si realizzerà se nessuno combatte” Ne era consapevole. Era l’unica cosa che lo spingeva a fare ciò che faceva anche quando non gli piaceva. Con cui si lavava la coscienza. Non si ritrasse come avrebbe fatto in circostanze normali, quando Mnemosine posò la mano sul suo braccio. La osservò curioso. Non era curioso del perché portasse una maschera, perché lo seguisse e proteggesse: gli sembrava piuttosto palese, e se non lo fosse stato l’aveva chiarito con quanto detto prima. A stupirlo e ad incuriosirlo fu il tono della sua voce, e quel piccolo gesto.. gli ricordava qualcuno, una persona che esigeva la sua attenzione ai margini della memoria.
    “Tu sei una guida, non un carnefice. E chi accetta il rischio lo fa seguendo la propria volontà, non la tua.”
    Non sarebbe stata colpa sua, ma non sarebbe bastato a cancellare gli incubi. “Hai ragione.. Ma loro si fidano di me, voi vi fidate di me” Sottolineò, includendo anche lei. “Ed io non sono certo di meritarlo. Sono pur sempre un essere umano, commetto degli errori. Se mi sbagliassi non sarei l’unico a rimetterci. Se perdessi questa partita..” Sbuffò frustrato. “Questo gioco è ingiusto. Voi mi date le vostre carte, e io devo decidere come giocarle. Voi credete che io possa vincere” Rise. “Ed io credo che le vostre siano le carte migliori. Ma a volte non basta. Non fraintendere ciò che dico, so che ognuno di voi può decidere liberamente –Merlino ce ne scampi- ma.. se fossi stato io ad illudervi troppo? Se la speranza fosse stato un boccone troppo grosso?” Gli occhi chiedevano al cielo una risposta che non sarebbe arrivata.
    “Se mi chiedessi di morire domani, io lo farei.”
    La guardò di nuovo, mordendosi il labbro inferiore. Si accorse che, sovrappensiero, la mano si era già allungata per sfiorare la treccia di Mnemosine. Se la fece scivolare fra le dita come acqua, soffermandosi un poco sulle punte. La parte razionale del suo cervello sperò che lei prendesse l’atto come un esperimento: i suoi capelli erano veri, o finti? All’altra parte non importava un granchè. Mnemosine lo seguiva, diamine, e lui non poteva toccarle i capelli? “Lo so, è questo che mi fa paura” Sussurrò distrattamente, esternando ciò che aveva pensato precedentemente alle parole della ragazza.


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    “In vita ci poniamo domande che avranno risposta solo quando saremo morti, e per definizione incapaci di comprendere. Amo l’ironia”.
    Abbozzò un sorriso a quelle parole, volgendosi per un attimo a guardarsi le ginocchia. In effetti, la cosa era talmente vera e ironica da non poter suscitare altro che un sorriso. Era un ridere di sé stessi, dell’umana condizione. Era un po’ come tentare di pensare al nulla. Se il nulla comprende il non pensare, allora non si può pensarlo.
    Due ragazzini cresciuti troppo in fretta se ne stavano distesi su un prato, di notte. Uno era costretto a portare sulle spalle il peso delle scelte e delle sorti del mondo. L’altra nascondeva sé stessa al mondo, per aiutare quel ragazzino a non portare quel peso da solo. Entrambi aspiravano ad un mondo migliore, per coloro che avrebbero potuto vederlo. Due perfetti estranei si trovavano a scoprirsi affini su quel prato, cullati dall’aria umida e dallo scroscio silenzioso dell’acqua in lontananza.
    L’espressione di lui si fece di nuovo seria, mentre ascoltava le sue parole. Forse Arthea, o meglio Mnemosine, non stava facendo altro che metterlo ancora di fronte a quella sua grande paura. Una paura che era anche la sua.
    “Hai ragione.. Ma loro si fidano di me, voi vi fidate di me. Ed io non sono certo di meritarlo. Sono pur sempre un essere umano, commetto degli errori. Se mi sbagliassi non sarei l’unico a rimetterci. Se perdessi questa partita…Questo gioco è ingiusto. Voi mi date le vostre carte, e io devo decidere come giocarle. Voi credete che io possa vincere. Ed io credo che le vostre siano le carte migliori. Ma a volte non basta. Non fraintendere ciò che dico, so che ognuno di voi può decidere liberamente –Merlino ce ne scampi- ma.. se fossi stato io ad illudervi troppo? Se la speranza fosse stato un boccone troppo grosso?”.
    Lo guardò, piegando di nuovo la testa di lato, con espressione leggermente preoccupata. Il capo dei ribelli si stava arrendendo? Aveva perso la speranza? Forse, tutto ciò era davvero troppo per lui. Lo sarebbe stato per chiunque. Reggere il peso della responsabilità di tante vite sarebbe facile solo per qualcuno senza cuore. E William Barrow un cuore evidentemente ce l’aveva. Lo dimostrava quella sua paura, che era anche, in consapevolmente, la sua forza.
    “Will.” Pronunciò di nuovo il suo nome. Faceva strano chiamarlo così. “Tu hai avuto il coraggio di arrivare dove nessuno era mai arrivato, di tentare ciò che tutti avevano avuto paura di tentare prima d’ora. Sei riuscito a smuovere gli animi, a risvegliare coloro che erano diventati ciò che non erano! Credi davvero che sia cosa da poco restituire la propria identità a qualcuno? Sei stato d’esempio, e ora altri vogliono unirsi a te, e dare a qualcun altro ciò che tu hai donato a loro. La libertà d’essere.” Sorrise. “ E ci fidiamo di te”-parlò al plurale- “perché hai coraggio. E le paure di cui mi parli ora… sono queste che ti rendono saggio. E saggezza e coraggio, almeno a parer mio, sono le doti essenziali per un leader. Tu sei quello che aspettavamo da sempre…”.
    Forse non riusciva ad esprimere a parole il perché Will fosse l’unico in grado di fare il capo. Sapeva solo che seguire lui le veniva naturale. Lo stesso non sarebbe accaduto per qualcun altro. Lui riusciva a ispirare fiducia, e a portare speranza. A proposito di speranza! Pensò alle sue ultime parole.
    “Illuderci? Credi davvero che sia possibile? Tutti sappiamo bene che combattere questa guerra forse non ci porterà da nessuna parte, l’abbiamo messo in conto ma… che altra alternativa abbiamo? Possiamo sottometterci, ed accettare di vivere come animali in gabbia, oppure abbracciare la speranza di poter vedere un alba migliore, anche se questo dovesse richiederci la vita. Non so tu, ma io ho scelto la seconda…e tornando indietro sceglierei questa strada altre mille volte.”
    Speranza. Era forse la sua ragione di vita. Era ciò che le impediva di esplodere ogni volta che vedeva qualcuno che veniva torturato, o che veniva zittita perché mezzosangue. Ogni giorno l’ingiustizia di quel mondo accresceva la sua speranza per uno migliore.
    Vide Barrow tendere la mano verso di lei, e toccarle i capelli. Rabbrividì a quel tocco.
    Ma che cazz..?
    Ok, era seriamente in imbarazzo. Riuscì a mascherarlo, e a non muoversi di scatto come normalmente avrebbe fatto in simili circostanze. Forse la maschera sarebbe riuscita a nascondere la sua espressione leggermente sorpresa.
    “Lo so, è questo che mi fa paura”.
    Sussurrò lui, intento a contarle le doppie punte(?). Non la guardava negli occhi, quasi si sentisse a disagio nel pronunciare quelle parole. Non reagì, ma in cuor suo fu piacevole pensare che Will tenesse a lei, anche minimamente.
    “Sarebbe comunque una mia scelta.” Ribadì con tono dolce, riprendendo il discorso di poco prima. “Ho scelto di combattere. Ho scelto la speranza. Ho scelto te.”
    Inspirò a pieni polmoni l’aria umida e fresca della notte, rivolgendo il viso al cielo e chiudendo per un attimo gli occhi, svuotando la mente dalle paure. Erano attimi di vita quelli, che forse non sarebbero tornati. Era la quiete prima della tempesta.
    Se la guerra fosse arrivata l’indomani, Mnemosine non si sarebbe tirata indietro. Avrebbe protetto la speranza, l’avrebbe tenuta viva, come la fiamma di Vesta a cui le pie donne dedicavano l’intera esistenza.
    “Non avere paura.”
    Disse infine, abbozzando un sorriso e tornando con lo sguardo su di lui. Lui era la speranza. E se lui vacillava, la fortezza crollava.



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    Ascoltava Mnemosine con un sorriso di circostanza, provando a convincersi che stesse parlando di lui. Era bastato aprire loro gli occhi perché i ribelli idealizzassero William in qualcosa che non era, mettendogli parole in bocca che mai aveva detto. Speranza, lo chiamavano, senza sapere che quella speranza nasceva dalla vendetta. Senza sapere che per essere ciò che era aveva rinunciato a parte della sua anima. Cosa se ne facevano di un paladino a metà, strappato e ricucito alla bell’è meglio? Ma no, loro lo vedevano integro, eretto con orgoglio sul ciglio del precipizio con una fiaccola in mano. Voleva la libertà, per i ribelli e per coloro che ancora non comprendevano cosa fosse il Regime; voleva dimostrare che l’eredità dei Barrow non era solo corruzione e sangue versato sulla moquette di una villa troppo costosa; voleva giustificare l’omicidio di un padre che dalla sua famiglia aveva sempre voluto più di quanto potesse avere. Voleva credere che sua madre sarebbe stata orgogliosa di lui, ma sapeva che non gliene sarebbe importato nulla: William le aveva portato via ciò che aveva di più caro, il marito, e l’aveva costretta a togliersi la vita per sopportare quel dolore.
    “Tu hai avuto il coraggio di arrivare dove nessuno era mai arrivato, di tentare ciò che tutti avevano avuto paura di tentare prima d’ora. Sei riuscito a smuovere gli animi, a risvegliare coloro che erano diventati ciò che non erano! Credi davvero che sia cosa da poco restituire la propria identità a qualcuno? Sei stato d’esempio, e ora altri vogliono unirsi a te, e dare a qualcun altro ciò che tu hai donato a loro. La libertà d’essere. E ci fidiamo di te perché hai coraggio. E le paure di cui mi parli ora… sono queste che ti rendono saggio. E saggezza e coraggio, almeno a parer mio, sono le doti essenziali per un leader. Tu sei quello che aspettavamo da sempre…”
    Rimase qualche secondo muto, elaborando ciò che tanto innocentemente la ragazza mascherata aveva buttato in piazza. William Barrow ciò che aspettavano da sempre? Non era di Will che avevano bisogno. Lui non aveva fatto niente, se non mettere la pulce nell’orecchio. Era merito loro, e Barrow non voleva che qualcuno lo elogiasse per un lavoro che non aveva fatto. Pensavano fosse stato grazie a lui, ma i ribelli erano sempre stati ribelli. Meritavano un leader più sicuro di quanto non fosse lui, che non li avrebbe messi in pericolo per un foglio di carta di sconosciuta provenienza. Non avrebbe augurato sé stesso ai suoi peggior nemici, figuriamoci alle persone che voleva proteggere. Rise fra sé, mordendosi di nuovo il labbro perché Mnemosine non lo vedesse ridere al nulla. Will era ciò che al momento il convento passava, e lui ne era lusingato: le paure, però, non gliele toglieva nessuno. Coraggio, saggezza, non sentiva di avere nessuna delle due cose. Il fatto che loro lo credessero lo rendeva solo più.. fragile. Aveva paura che un giorno si sarebbero resi conto che lui non era nulla di tutto ciò, non era saggio o coraggioso, ma solo qualcuno che si era trovato nel posto giusto al momento giusto. Non era speciale, non ancora: lo sarebbe diventato, ma forse non seguendo la strada che speravano i ribelli. Come già ribadito, Will aveva uno scopo: non tutto ciò che doveva fare gli piaceva, ma lo faceva comunque. Non sapeva se loro l’avrebbero perdonato.
    anche se questo dovesse richiederci la vita. Non so tu, ma io ho scelto la seconda…e tornando indietro sceglierei questa strada altre mille volte.” Si infiammò, assottigliando le palpebre. “Capisci la differenza? Anche io ho scelto la seconda. Sono disposto a metterci la mia di vita, dannazione, ma non voglio chiedere a qualcuno di farlo per me. Se ti lascio fare l’eroina mascherata, è solo perché so sempre dove trovarti. Perché in caso di pericolo ti verrei in soccorso, Mnemosine, ma se il pensiero di proteggermi ti fa stare meglio, mi fa piacere lasciartelo credere. Anche a me il pensiero di proteggere i ribelli conforta..mi fa sentire la persona che vorrei essere. Ma ci sono momenti, come stasera, in cui guardo le stelle e mi accorgo che no” Si inumidì le labbra, abbassando il tono di voce. “Non posso proteggere tutti. E non solo non posso proteggerli, ma devo anche vederli mentre, tolta l’armatura, si buttano nell’arena con il leone. So che nessuno lo fa per William Barrow” Scosse la testa con un mezzo sorriso. “ So che come me e te anche loro preferiscono mettere in gioco la loro vita, piuttosto che quella dei loro cari. In una battaglia normale lo accetto, e gliene sono grato. Ma io non sto parlando di una guerra. Sto parlando di sacrificio, del salto nel vuoto ad occhi bendati
    Qundo Will, quasi inconsciamente, le aveva sfiorato i capelli, Mnemosine –l’austera eroina- si era apparentemente immobilizzata, come un predatore quando si sente minacciato. Sospirò piano, aggrottando le sopracciglia, mentre le mani correvano al conforto migliore che un uomo potesse chiedere: alcol e nicotina. Prese una sigaretta e con un fiammifero ne bruciò l’estremità, minuscolo barlume di luce rossa nel buio dello zoo. Una stella senza cielo. “Sarebbe comunque una mia scelta. Ho scelto di combattere. Ho scelto la speranza. Ho scelto te” Sorrise sornione mentre la sigaretta pendeva pigra dalle labbra, alzando maliziosamente le sopracciglia. “Attenzione, un uomo potrebbe montarsi la testa” Soffiò il fumo in una nuvola di vapore storcendo la bocca verso sinistra, in modo da non soffocare Mnemosine. Uccidere un aspirante eroe non era nei suoi piani.
    O meglio, non era sua intenzione, e di certo non con il fumo passivo. “Non avere paura” Fece galleggiare il fumo sulla punta della lingua, per poi lasciarlo fuoriuscire denso ed aspirarlo dalle narici. “Quando non ho paura, la gente muore” Disse semplicemente, guardandola con serietà. Fece cadere la cenere vicina sé, prima di quanto fosse necessario. “Ho bisogno di te, ragazza mia. Domani. Scegli me ancora una volta
    Divertito e melanconico, mentre un sorriso triste si disegnava sulle labbra sottili.
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    Le parole di Mnemosine, più che rassicurarlo, sembravano averlo fatto aggrappare alla sua convinzione ancora di più. Non erano riuscite a smuoverlo, o a dargli fiducia. L’espressione poco convinta del ribelle tradiva ogni secondo di più il suo scetticismo. Non riusciva a capire quanto fosse importante, e quanto lui fosse un ancora per tutti. Non lo considerava un messia, o un dono caduto dal cielo come lo scudo che Giove diede a Numa Pompilio(cit. da Ovidio, Fasti). Lui era semplicemente colui che aveva avuto il coraggio di assumersi le responsabilità che tutti avevano aggirato. Non era un prescelto dal fato o da un assemblea. Lui era colui che aveva scelto. Un temerario che aveva deciso di dedicare la propria vita a una causa, accettandone i pro e i contro. Forse Will non si rendeva conto di come tanto coraggio fosse raro per qualcuno della sua età. Eppure il suo coraggio era stato d’esempio, aveva smosso animi e abbattuto barriere. E quel suo coraggio aveva portato speranza. Se avesse dovuto paragonarlo a un eroe, avrebbe scelto Elenore, il giovane ancora senza gloria, che nonostante l’inesperienza aveva scelto di gettarsi nella battaglia mortale, piuttosto che tentare la fuga come il fratello Lico.
    Ma Will, in preda ai propri fantasmi e ai propri sensi di colpa, continuava a ignorare la propria importanza nella faccenda. Le sue paure, quella sera, sembravano essere diventate più forti dell’aspirazione alla vittoria. Il peso delle responsabilità aveva iniziato a gravare su di lui, che fino ad allora, si era mostrato un capo sicuro e irreprensibile.
    “Capisci la differenza? Anche io ho scelto la seconda. Sono disposto a metterci la mia di vita, dannazione, ma non voglio chiedere a qualcuno di farlo per me. Se ti lascio fare l’eroina mascherata, è solo perché so sempre dove trovarti. Perché in caso di pericolo ti verrei in soccorso, Mnemosine, ma se il pensiero di proteggermi ti fa stare meglio, mi fa piacere lasciartelo credere.”
    Socchiuse leggermente gli occhi, con espressione scettica, cercando di capire bene cosa il ragazzo, infervorato, stesse sottintendendo. Cioè, praticamente per lui Mnemosine era solo il capriccio di una ragazzina che non sapeva che fare della propria vita? Secondo lui, Arthea fuggiva tutte le sere dal castello, solo perché credere di fare del bene a lui la faceva stare in pace con la coscienza? O perché credere di proteggere qualcuno la faceva sentire un eroina?#Barrowzoned
    Che stronzo imbecille! La prossima volta che avrai bisogno allora chiama Batman, e vedi se ti risponde!
    Pensò, corrugando leggermente le sopracciglia. Avrebbe voluto mollargli un ceffone, ma tutto ciò che fece fu ingoiare quello che lei prese per un insulto e drizzarsi a sedere con la schiena dritta, riassumendo l’espressione neutra di chi non ha dato peso a quelle parole. In realtà dentro stava bruciando.
    Ti ammazzo nel sonno.
    “Anche a me il pensiero di proteggere i ribelli conforta...mi fa sentire la persona che vorrei essere. Ma ci sono momenti, come stasera, in cui guardo le stelle e mi accorgo che no. Non posso proteggere tutti. E non solo non posso proteggerli, ma devo anche vederli mentre, tolta l’armatura, si buttano nell’arena con il leone. So che nessuno lo fa per William Barrow. So che come me e te anche loro preferiscono mettere in gioco la loro vita, piuttosto che quella dei loro cari. In una battaglia normale lo accetto, e gliene sono grato. Ma io non sto parlando di una guerra. Sto parlando di sacrificio, del salto nel vuoto ad occhi bendati”.
    Avrebbe voluto sbattergli in faccia la sua frustrazione per le sue parole precedenti, perché davvero, essere considerata inutile e quasi un peso dalla persona che più stimi al mondo è una cosa che fa male, molto più di una maledizione cruciatus. Eppure, proprio perché lo stimava si contenne. Aveva già abbastanza problemi per doverne affrontare altri. Troppi, a quanto pareva. Stavolta, differentemente, era lei che portava speranza.
    “So che non è facile. Posso solo immaginare quanto siano pesanti tali responsabilità ma… Ormai è tardi per tornare indietro! Tu sei il capo, volente o nolente, e ad un capo è affidato il compito di prendere decisioni, anche scomode. Ognuno abbraccia il proprio destino Will. Forse chi ha scelto te ha avuto modo di credere che tu avessi la forza per sopportarne il peso.”
    Fece spallucce. Non sapeva davvero più che dirgli. Oltre a dirgli che lo avrebbero seguito, che non lo avrebbero biasimato, che credevano in lui… Non sapeva che altro aggiungere.
    “Che intendi? Cos’è questo salto nel vuoto che hai tanto paura di chiedere? Il domani di cui parli… Qual è il piano?”
    Chiese poi, tranquilla ma allo stesso tempo inquieta. Forse il tempo della battaglia fatale sarebbe arrivato più presto del previsto.
    “Attenzione, un uomo potrebbe montarsi la testa”. Sorrise, mentre il suo cervellino, ancora alterato dall’irritazione di prima, pensava in altre direzioni.
    Impossibile, non puoi montarti più di quanto già non lo sei.
    Ovviamente scherzava anche con se stessa. Le sue insicurezze di quella sera le avevano dato la conferma che l’aria spavalda che assumeva in pubblico non era che la maschera di William Barrow. Entrambi portavano una maschera in fondo.
    “Quando non ho paura, la gente muore”
    Abbassò lo sguardo, pensosa. Di solito, la paura riusciva ad accendere campanelli d’allarme, che facevano leva sull’istinto di autoconservazione. Evidentemente, non tutte le persone funzionano allo stesso modo.
    E William Barrow, al momento aveva paura, e stando alla sua frase, non era un buon segno.
    “Ho bisogno di te, ragazza mia. Domani. Scegli me ancora una volta”.
    -Ah, domani si e prima no eh??
    -Coraggio Arthea, come sei permalosa.
    -Deve arrivarmi il ciclo. E poi sai come siamo noi donne. Ce le leghiamo tutte al dito!
    Sospirò, allontanando quello sclero del suo subconscio e tornando a volgere lo sguardo a lui, occhi negli occhi. Ovvio che ci sarebbe stata, ovvio che lo avrebbe scelto di nuovo. Forse lei non contava nulla per lui, ma lui, con tutto ciò che si portava dietro, contava tanto per lei.
    “Domani. Sempre.”
    Abbozzò un sorrisetto. Lei ci sarebbe stata. Quel salto nel vuoto ad occhi bendati non la spaventava. Anche se si fosse trovata sul ciglio del precipizio realmente, non avrebbe temuto di cadere, perché di lui si fidava veramente. Lui era la sua luce. Luce di speranza. E Mnemosine era già con un piede nel vuoto.




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    Mnemosine si era irrigidita, e non fu difficile immaginarne il perché. Si alzò a sedere completamente, afferrandosi le ginocchia con entrambe le braccia per mantenere l’equilibrio. Non sapeva chi si celasse sotto la maschera, ma sapeva che lo seguiva già da un po’ di tempo. Era bastato vederla in azione in Irlanda, e sentirla parlare quella sera, per rendersi conto quanto lei tenesse alla causa. Vedeva in William qualcosa che lui non riusciva a vedere, e lui.. la apprezzava per quello. Quando sapeva di averla intorno, si sentiva più tranquillo, ma non per il motivo che avrebbe voluto Mnemosine. Apprezzava il fatto che lo ritenesse abbastanza importante da rischiare tutto per parargli il culo, ma lei faceva molto di più: salvava quella parte di Will che a volte lo spingeva ad affacciarsi sull’abisso, negli occhi una muta domanda. ‘A qualcuno importa?’ Lui era William Barrow, il capo della Resistenza, la speranza, colui che aveva sfregato il fiammifero. Nulla più, di certo non una persona. O almeno era quello che vedeva nella maggior parte degli sguardi che incrociava, non contando ovviamente chi non lo conosceva per quel ruolo e quindi semplicemente lo ignorava a prescindere. A volte pensava di non esistere come persona, ma solo come funzione. Poi si ricordava che per qualcuno contava, qualcuno che lo seguiva proteggendolo da qualcosa di cui probabilmente non era nemmeno a conoscenza: la solitudine. Ma come poteva dirglielo? Aveva già lasciato un pezzo della sua anima nella dichiarazione precedente, non poteva smontare pezzo per pezzo l’idea che lei si era fatta di lui. O meglio, poteva ma non voleva. Aveva vissuto per diciassette anni sperando di essere notato, apprezzato, sperando di rendere orgoglioso qualcuno. A ventun anni le cose non era cambiate più di tanto, e Will si sentiva ancora il bambino insicuro che porgeva il disegno completato alla madre. Preferiva pensasse che fosse uno stronzo ingrato, piuttosto che farle conoscere la verità. William Barrow era solo una facciata. William Barrow aveva smesso di esistere molto tempo prima.
    “So che non è facile. Posso solo immaginare quanto siano pesanti tali responsabilità ma… Ormai è tardi per tornare indietro! Tu sei il capo, volente o nolente, e ad un capo è affidato il compito di prendere decisioni, anche scomode. Ognuno abbraccia il proprio destino Will. Forse chi ha scelto te ha avuto modo di credere che tu avessi la forza per sopportarne il peso.” Una smorfia. Di nuovo, Mnemosine aveva ragione. Che la cosa gli piacesse o meno, era il capo, ed era ora che la smettesse di piangersi addosso ed organizzasse un maledettissimo piano che funzionasse, possibilmente con annessi piani B, C e D.
    “Che intendi? Cos’è questo salto nel vuoto che hai tanto paura di chiedere? Il domani di cui parli… Qual è il piano?”
    Il piano? Ho mentito troppo a lungo. Ho una soluzione, ma la mia codardia mi ha impedito di tirarla fuori prima. Non ero pronto io, e a mio parere non lo era nessuno: forse ho sbagliato, forse no, ma guardare indietro non ha importanza. Ho la grazia o la condanna.
    “Domani. Sempre.”
    Ricambiò il sorriso, imbarazzato e lusingato, mentre gli occhi si posavano per l’ennesima volta sul prato. Mnemosine credeva in lui, l’avrebbe scelto. Era ora che William scegliesse sé stesso. Si alzò in piedi in un unico agile movimento, la sigaretta ancora a penzoloni fra le labbra. Porse la mano a Mnemosine per aiutarla ad alzarsi, ma si sentiva un po’ sciocco: lei aveva una balestra, e non sembrava aver paura di usarla. La accompagnò vicino alla gabbia degli orsi, dove una cascata divideva in due la cella. Sembrava non avesse un senso, ma per chi conosceva la verità un senso lo aveva eccome. “Attenta allo scalino” Disse in un sussurro alzando le sopracciglia, porgendole di nuovo la mano. “Arcana imperii” Disse davanti alla cascata, per poi semplicemente sparirvi attraverso. Al di là della cascata, infatti, vi era una piccola stanza circolare, un tavolo e diverse scartoffie, due poltroncine. Mugugnò “Ogni volta” a bassa voce, guardando con tristezza il moncherino della sigaretta ormai –ovviamente- spenta fra le sue dita. Si sedette su una poltroncina, invitando Mnemosine a fare lo stesso. “Immagino che ricordi la breve avventura in Irlanda di questa Primavera. C’è una cosa che non ho mai detto a nessuno.. mi è arrivata una lettera. Non aveva una firma, ma solo una sigla. W.L. , ti dice niente?” La guardò di sottecchi, anche se non si aspettava una risposta affermativa. “Conteneva un incantesimo.” Si inumidì le labbra. “L’incantesimo” Precisò con più sicurezza, guardandola quasi con sfida. Temeva che potesse giudicarlo perché non l’aveva detto prima, e quasi voleva che lo facesse. Aveva cercato in tutti i modi di stare lontano dalle persone, fallendo miseramente. Una parte di sé si convinceva di dover trovare un modo per farsi odiare, perlomeno sarebbero state loro ad allontanarsi da lui; l’altra parte semplicemente preferiva attaccare che essere attaccato.

    winston,©


    Fa schifo, amami comunque *ò* <3
     
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