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isaac

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    Strinse le labbra, infilandosi la penna ormai inutile dietro l’orecchio. “Quindi lei pensa che questo sia un gatto?” Domandò indicando un cestino, realmente interessata, al signor Gibbs. L’ometto, un pelatino sdentato ma dal sorriso sincero, annuì con entusiasmo. Aveva gli occhi lucidi e brillanti, vispi in un volto cadente, e quel ghigno infantile tipico dei bambini e degli anziani. Idem inclinò il capo, socchiudendo gli occhi e mettendosi vicino al paziente, in modo da vedere dal suo stesso punto di vista. Sorpresa, aspirò l’aria fra i denti. “Signor Gibbs ma… ma lei è un genio! Quello è un gatto!” L’ombra della pianta nel vaso accanto, difatti, allungava le sue dita scure al di là del cestino, dando l’idea che quell’oggetto possedesse delle orecchie ed una coda. Il vecchietto rise, premendosi le mani paffute contro le gote e prendendo poi quelle di Idem fra le sue. Non avrebbe dovuto avere contatti con i pazienti, il regolamento lo vietava. Ma conosceva da anni Melbour Gibbs, sapeva che non avrebbe fatto del male ad una mosca. Non era pazzo, era solo un uomo che aveva sofferto troppo. Sua moglie, il suo unico figlio ed i nipoti, erano morti quindici anni prima, in un incendio doloso. Erano dei ribelli. Mel era stato torturato per giorni, senza lasciargli il tempo di superare quel lutto: ma lui era innocente, non sapeva nulla. E quell’uomo che stringeva con forza le dita della Withpotatoes, ringraziandola nell’unico modo che gli era possibile, era ciò che ne era rimasto. Aveva ancora la capacità di sorridere, eppure era diventato un paria al reparto di psicomagia del San Mungo. Ricambiò il suo sorriso, cercando di trasmettergli la sua comprensione, la sua vicinanza. Lo sguardo cristallino di Idem tentava di scaldare un cuore che tutti credevano perso da tempo, ma da cui lei riusciva ad attingere le scintille per quel fuoco sul ciglio della strada. Qualcuno bussò alla porta, e la ragazza strinse con forza quelle mani di nodose, prima di lasciarle frettolosamente. Si alzò rassettandosi la gonna azzurra proprio nel momento in cui la Guardia, senza attendere indicazioni di sorta, spalancò la porta del suo ufficio. Maleducato. Le rivolse un cenno del capo, a cui lei rispose nella medesima maniera; prese Mel per un braccio, in maniera molto poco delicata, e lo trascinò fuori dalla stanza. Idem fece la linguaccia alle spalle dell’uomo, guadagnandosi un altro risolino del signor Gibbs, che aveva notato il suo gesto con la coda dell’occhio. “A presto, signor Gibbs!” Gridò salutando con la mano, facendo un occhiolino al vecchietto. Entrambi sapevano che quel presto avrebbe potuto anche non arrivare mai, ma Idem continuava a sperarci. Sempre. aw, hai trovato whug! la tua psw speciale è: quasi
    Quando la porta si richiuse, lasciò uscire un sospiro tremante. Avrebbe voluto fare di più, ma quello era il massimo che le era concesso; quello, e la morbida fetta di torta al limone che riusciva sempre a passargli sottobanco. Era il suo ultimo paziente per quel giorno, quindi Idem piegò il camice e si diresse al suo armadietto, canticchiando fra sé. Il sole filtrava attraverso le tapparelle abbassate, promettendole una bella giornata; la Primavera era la stagione che preferiva di più in assoluto, quando i colori sembravano più vividi ed i profumi più intensi, quando il caldo era una mano calda sulla fronte e non una poderosa stretta sulla spalla come d’estate. Avrebbe potuto prendere qualche piantina in fiore da piazzarsi sulla scrivania al Quartier Generale… magari un cactus, considerando che con le piante non andava particolarmente d’accordo. Se si trattava di riconoscerle e catalogarle era un conto, ma accudirle? Non lo faceva apposta, ma finiva sempre per dar loro troppa acqua, o al contrario troppa poca. E loro, immancabilmente ed infingardamente, morivano sotto i suoi occhi inermi. Però, c’era un’altra possibilità: prendere una bella creaturina verde piena di fiori freschi, attendere che morisse, sostituirla immediatamente con una uguale per non destare sospetti di sorta. Oh, quello sì che era un piano geniale. La canzone a fior di labbra si interruppe quando una scritta rossa attirò la sua attenzione. Sporse il labbro inferiore all’infuori, alzando le sopracciglia con aria dispiaciuta, quando si rese conto che la scritta era sul suo armadietto. Di nuovo, ancora.
    Roteò gli occhi al cielo, prendendo la bacchetta dalla tasca interna della giacchetta. “Mi dispiace, mi dispiace così tanto” Sussurrò alla stanza vuota, mentre con un fluido movimento della bacchetta cancellava la scritta assassina dalla superficie di metallo. Rimase ancora qualche istante in silenzio a guardare il vuoto, prima di infilare il camice dentro l’armadietto e lasciarsi alle spalle l’edificio del San Mungo. E le dispiaceva realmente, che sua sorella avesse ucciso quei ragazzi. Ma era malata, perché nessuno sembrava capirlo? Non era cattiva Aiden, aveva solo bisogno di aiuto. E lo stava ricevendo, non avrebbe più fatto del male a nessuno.
    Inforcò gli occhiali da vista, si infilò in un vicolo buio di Londra e si smaterializzò ai piedi del Quartier Generale dei ribelli. Alzò lo sguardo, gonfia d’orgoglio per la capacità di ripresa della Resistenza: avevano tentato di piegarli, ma non c’erano riusciti. I documenti che era riuscita a salvare giacevano in scatole disordinate dietro la scrivania, laddove un giorno, prima o poi, li avrebbe finalmente catalogati. Ma i ribelli erano ancora in piedi, pronti per la prossima battaglia. Lei lo era di sicuro, e questa volta avrebbe cercato di rendersi utile in campo, non solo nelle retrovie. Voleva cambiare le cose anche lei, mettere la sua mano in quella stretta di gruppo. Sorrise varcando la porta in legno, felice di far parte di qualcosa di così grande e… puro. In molti sembravano non pensarla così, nemmeno nella resistenza stessa, ma lei credeva che vi fosse un nocciolo d’idealismo di una purezza intatta e chiara, privo della corruzione che sembrava scorrere nel sangue dei maghi. Avrebbero posto fine alle torture al castello, e un giorno, all’interno di Hogwarts, si sarebbero udite solamente le risa dei ragazzi. Niente più urla, lacrime, incubi. Le cose sarebbero migliorate, Idem Withpotatoes ne era certa, Aveva fede, lei, abbastanza per tutti. Salutò i pochi presenti allegramente, mentre quasi saltellando raggiungeva la sua scrivania. Lasciò alcuni fogli, principalmente documenti sui babbani che era riuscita a raccogliere al San Mungo, e prese un piccolo pacchetto azzurro cielo, infiocchettato alla peggio con dello scotch argentato ed un nastro rosso. Era davvero il regalo più brutto che avesse mai visto. Idem aveva capito presto che non era adatta al decoupage. In compenso sapeva fare un sacco di altre cose, tipo… cucinare biscotti. Cucinare biscotti valeva come attività, giusto? E sapeva mangiarli, anche mentre li cucinava. Era multitasking. Non si era nemmeno mai fatta intaccare da Raph, che ogni volta le diceva che avrebbe dovuto farne di più: “Potremmo metterli nella stanza delle armi, sarebbero delle ottimi oggetti contundenti” Gngngngn. Invidioso (però li mangiava comunque: Tassorosso una volta, Tassorosso per sempre).
    Si smaterializzò con un sonoro pop nella via principale di Hogsmeade, High Street. Lanciando un’occhiata all’orologio nel negozio più vicino, potè constatare di essere in perfetto orario: le 16:00 in punto. Soddisfatta, lisciò le pieghe della gonna, sistemandovi all’interno la camicia bianca; si tolse la giacchetta, che già cominciava a farla sudare, che ripose all’interno della borsa. Merlino benedica l’incantesimo estensivo, davvero: lì dentro, Idem Withpotatoes aveva cose che nessun umano avrebbe mai potuto immaginare. Fu con passo allegro e spensierato, che la giovane entrò ai Tre Manici di Scopa. Aveva chiesto ad Isaac di incontrarsi lì per quell’ora, eppure ancora non lo vedeva. Come dargli torto, di solito era lei quella in ritardo. Prese posto in uno dei tavolini centrali, rotondi, dove lasciò cadere la borsa nel posto di fronte al suo in modo da tenere la sedia al giovane Corvonero. “Ehi, bella ragazza” Idem ci mise qualche secondo per capire che la voce cavernosa si stava riferendo a lei. Alzò i grandi occhi azzurri posandoli sull’uomo alle sue spalle: tarchiato, con la barba sfatta ed i vestiti sgualciti. Forse ubriaco. Magari aveva bisogno di una mano. “Buongiorno, bel signore” Rispose con pomposa allegria, ed un sorriso a trentadue denti. “La vuoi una caramella?” Domandò quello, allungando la mano verso di lei. La sua coscienza, che aveva la voce di nonna Seti, le ricordò di non accettare mai caramelli da sconosciuti – quella era la versione censurata, in realtà era: “NON ACCETTARE DOLCI DALLE PERSONE CHE NON CONOSCI, SONO TUTTI CRUCCHI BAST..” “nonna!”-, ma Idem era pur sempre Idem, e non accettare sarebbe parso maleducato. “Oh, che pensiero carino. La ringrazio!” Disse realmente grata all’uomo, accettando il dono offertole. E poi le dicevano che le brave persone non esistevano più: caramelle gratis! Certo che, come caramelle, avevano un aspetto… strano. Erano rotonde e piccole, tutte colorate, con strani simboli disegnati sopra. Più che dolcetti, sembravano le pastiglie che somministrava ai suoi pazienti.
    Che buffa coincidenza!

    idem withpotatoes - i may not be perfect, but parts of me are pretty awesome

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    Edited by etc. - 24/9/2018, 00:02
     
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    Passai ripetutamente le mani sul volto, su e giù, come se me lo stessi lavando. Solo che le mani non erano umide, né tanto meno insaponate. E non ero al bagno, ero nel dormitorio maschile della Torre dei Corvonero, che sarebbe stata vuota se non fosse stato per la presenza di Jack, unico essere umano in quella stanza. Umano. Perché, in realtà, non eravamo affatto soli. All'ennesimo miagolio sbuffai facendo cadere le braccia sulle gambe come fossero legate a pesanti macigni. Lo sguardo supplicante di Jack non mi mosse a compassione, e per quanto potesse continuare a tenermi il broncio, sarei rimasto irremovibile. Scossi la testa per quella che doveva essere la quindicesima o sedicesima volta senza distaccare lo sguardo dal mio migliore amico. No. Non so chi da piccolo gli avesse proibito di avere degli animali da compagnia, ma di certo stava sfogando quella mancanza puerile in una maniera un po' esagerata. Non l'avevo mai visto ridicolizzarsi così, ma forse credette di poterlo fare perché c'ero solo io, lì. Sperava che non avrei raccontato a nessuno di come saltellasse come un bambino di 4 anni davanti ai propri genitori, supplicante. Stolto. Dai, ma che ti costa? Chiusi gli occhi, trassi un profondo respiro e mi alzai, calpestando lo spazio che ci separava. Dai, tutti hanno un animale, qui! Poggiai le mani sulle spalle di Hades, guardandolo dritto negli occhi e, lentamente, le feci scorrere lungo le scapole, sul collo, fino a prendere il suo viso tra le dita. Se qualcuno fosse entrato in quel momento, avrebbe pensato il peggio, per questo feci subito quello che dovevo fare. No, non baciarlo. Quello, Jack Feci pressione con i palmi, ruotando lentamente la testa del prefetto e portando il suo sguardo e la sua attenzione su uno dei letti del dormitorio. Quello non è un animale. Sul letto, c'era una cesta. Dalla cesta sbucarono uno, due, cinque testoline pelose, con delle adorabili orecchie a punta. Avevano sentito il richiamo dell'attenzione su di loro e si erano rimessi a miagolare, come se fossero un'orchestrina. Quella, Jack, è una cucciolata. 15 - dico 15! - gattini. Ti rendi conto che non possiamo tenerli, vero? Temevo non l'avrebbe capito: il suo sguardo sembrava stesse mirando la più bella delle dee greche, Afrodite, e pareva ne fosse perdutamente innamorato. Nemmeno si accorse di quanto seriamente lo stessi osservando. Ma non possiamo buttarli via, Isaac! Abbassai la testa, sconsolato. Da quando aveva portato quella cesta, non so nemmeno come considerando tutti i controlli scolastici, nella Sala Comune me l'aveva detto tre volte. Certo, prima mi aveva dovuto raccontare entusiasta come, quella mattina, passeggiando lungo il perimetro del castello - perché poi, non me lo volle dire - aveva sentito i miagolii di un micino a suo dire indifeso e di come, sotto un arbusto, avesse trovato tutta la cucciolata, "lasciata lì a soffrire le pene dell'Inferno". Giuro che ci provai a fargli notare la stranezza nell'aver trovato quindici gattini dentro Hogwarts, cercai di spiegargli che questo non aveva alcun senso e che potevano essere pericolosi. Magari la gatta di quella Serpeverde che sta sempre in giro si è trovata un compagno con il quale sfornare i piccoli, mi rispose. E poi se sono pericolosi, qual è il problema? Sì, aveva toccato il tasto dolente. Pericoloso è bello, sapeva che ero d'accordo, tuttavia uno, due pericoli, al massimo tre erano belli. Quindici erano semplicemente pericolosi. Potevano essere qualsiasi cosa, qualsiasi. Senti, non ti sto dicendo di buttarli via ripresi, lasciando la presa su di lui e muovendomi verso il mio comodino. Guardai l'orologio, che segnava le due del pomeriggio. Ma tenerli qui non è consigliabile e no alzai l'indice, ammutolendo il ragazzo che era già in procinto di protestare non possiamo venderli clandestinamente agli studenti, chiaro? Killian si limitò a sbuffare e ad annuire, triste e con il muso da cane bastonato. Lo stava rifacendo, ecco. E non avrei retto, mi faceva pena. Gli volevo bene, era il mio migliore amico, ma non era una situazione che potevamo gestire. Va bene, facciamo così: puoi tenerne uno, ma gli altri li portiamo via, oppure li diamo alla Lagrange. Il ragazzo scoppiò a ridere, optando infine per la prima idea. Chissà cosa ne avrebbe fatto l'adorabile Edith di quei gattini nella propria Serra. Era una professoressa eccellente, una delle mie preferite in assoluto, ma c'era da ammettere che fosse un po'... Sadica.
    Alle due e mezza eravamo pronti: non gli chiesi se ne avesse infine tenuto uno per sé, avevo paura di sentirmi dire che in realtà ne aveva tenuti cinque. Preferii sperare che non ne avesse preso nessuno quando, con degli zaini stracolmi di gattini che fortunatamente stavano in silenzio ci unimmo al gruppo di studenti che aveva il permesso di uscire dai confini quel pomeriggio. Uscire senza farsi notare non fu una delle cose più facili in assoluto, soprattutto perché fingere una sonora tosse a maggio per coprire i miagolii dei cuccioli appena svegliati richiamò molti sguardi indiscreti. Ma alla fine, fummo liberi. Eravamo soli a vagare per le vie di Hogsmeade quel pomeriggio; o meglio, non c'erano altri studenti con noi. Optammo per una soluzione ben studiata, calcolata nei minimi dettagli.
    Signora, lo vuole un gattino? Quella frase, accompagnata dal sorriso di due ragazzi che portavano in dono un tenero, morbido e all'apparenza innocente gattino, aveva stregato non una, bensì sei donne, dai 20 ai 90 anni, che si erano decise ad acquistare i poveri cuccioli, alla modica cifra di 30 galeoni l'uno. Non era tanto, o forse sì, ma d'altronde nessuno dei due aveva studiato in una università babbana di economia, e non ne capivamo nulla di affari. Venduto il sesto, tornammo sull'High Street. Erano le quattro, e guardando all'interno dello zaino potei constatare che ne erano rimasti solo tre. Idem. Le parole del prefetto Corvonero mi colpirono, come una padellata sulla nuca. Non perché questo mi avrebbe dovuto portare a pensare che, facendomi due calcoli, il mio migliore amico aveva tenuto non uno, ma tre gatti con sé: ero scarso in matematica, avevo bisogno dell'aiuto del pubblico per fare due più due; essere Corvi non significa eccellere nelle materie babbane, dopotutto #dealwithit. No, mi risuonò nella mente quella parola, e l'immagine dell'orologio continuava a passarmi davanti agli occhi. Idem. Quattro del pomeriggio. Idem. Quattro del pomeriggio. Idem Withpotatoes, appuntamento alle quattro del pomeriggio. Il Fato aveva deciso di farmi ricordare che avrei dovuto incontrare mia sorella quel pomeriggio; l'Alzheimer precoce mi portò a scordare dove dovessi incontrarla. Jack? Dimmi un locale di Hoghsmeade a caso. Cosa? Dai è importante! Tre Manici di Scopa... Bingo, era proprio quello! Sei un genio Jack, un genio! Diedi una pacca sulla spalla del mio migliore amico e gli dissi di continuare a spacciare gatti, e che io avevo una cosa importantissima da fare. Fortunatamente il pub non era poi così lontano, così iniziai a correre lasciandomi il ragazzo perplesso e a bocca aperta alle spalle, non curandomi del fatto che la borsa ancora piena di micini mi sbattesse sulla schiena. Sembrava avessi il campanellino che viene attaccato alle biciclette: grazie al loro miagolio frustrato riuscivo ad avvertire la gente della mia presenza. Arrivai finalmente davanti al locale con il fiato corto e con soli cinque minuti di ritardo. Mi sistemai la camicia bianca all'interno dei pantaloni scuri e controllai che la cravatta che riportava i colori della casata fosse a posto, poi entrai, guardandomi intorno. Notai subito Idem che dialogava con un uomo il quale di raccomandabile non aveva nulla e che le aveva dato qualcosa. Ma forse era un suo paziente e le aveva portato uno di quei regali da sociopatico, e lei, naturalmente, non aveva saputo rifiutare. Ma era fatta così, ed era adorabile: di tutta la famiglia, la strana famiglia dei Withpotatoes-Larson-Inserirecognomeacaso, lei era l'individuo più singolare al quale, devo ammetterlo, mi ero legato di più. Lei e Aiden, in realtà, che mi avevano trovato per prime ed accolto nella famiglia, ma preferivamo non trattare l'argomento "gemella pazza assassina" negli incontri casuali familiari. Mi avvicinai al tavolo dove era seduta la ragazza e la salutai, chinandomi a darle un bacio sulla guancia. Scusa per il ritardo sorellina. Mi sedetti infine di fronte a lei, posando lo zaino a terra con poca delicatezza. MEOOOW. Deglutii, ricordandomi che lì dentro c'erano ancora tre gatti. Vivi. Tossii così come avevo fatto nella Sala d'Ingresso di Hogwarts per occultare il rumore molesto. Ehm ehm... Come stai? Così si fa: distrai, porta l'attenzione su qualcos'altro. Non era abbastanza... Mi guardai intorno, alla ricerca di qualcosa di cui discutere che non fossero i miei ostaggi, ed infine la trovai nelle sue mani. Idem, quella è droga?
    Isaac Lovecraft - Sky is the limit

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    Si spinse gli occhiali sul naso, avvicinando le narici al dono che il signore le aveva appena fatto. Non che si potesse annusare più di tanto un paio di caramelle, ma almeno un minimo sentore di frutta, o zucchero, non avrebbero dovuto averlo? Aggrottò le sopracciglia, facendole tintinnare fra loro. Magari erano di quelle che avevano il cuore morbido e gelatinoso, come piacevano a lei. Magari quelle rosse erano al lampone. Idem teneva sempre una ciotola ricolma di dolcetti nel suo ufficio, più per lei che per i pazienti –possibile che tutti i diabetici li mandassero a lei? Non potevano andare da Wynne? Lei magari, non so, non li avrebbe accidentalmente quasi uccisi com’era successo a lei- e non riusciva proprio a gestire il suadente richiamo del saccarosio avvolto in carta colorata. Era davvero carino ed ammirevole il fatto che uno sconosciuto gliene avesse regalate un paio, non capitava da… beh, in realtà non era mai capitato. Al parco aveva sempre sperato di trovare i famosi uomini delle caramelle, quand’era piccola, ma la mamma gliel’aveva sempre impedito. Con il senno di poi, alla veneranda età di ventidue anni, si rendeva conto che v’era una seppur minima probabilità che quelli in realtà fossero pedofili. Ma non avrebbe mai potuto averne la certezza, quindi perché diffidare fin da subito? La Withpotatoes preferiva lasciare a tutti il beneficio del dubbio: se, alla fine, si trattava di vecchietti teneri e coccolosi che volevano solo distribuire amore al mondo? Che brutta figura avrebbe fatto giudicandoli dei pervertiti? E quanto li avrebbe umiliati! Come un circolo vizioso, questi avrebbero smesso di regalare dolci, e di conseguenza ci sarebbero state meno persone gentili al mondo. Era tutto una questione di equilibrio.
    Alzò lo sguardo, incontrando gli occhi scuri di Isaac Lovecraft. Sorrise, lasciando trapelare come sempre un filo d’orgoglio. In linea generale, Idem era fiera di tutte le persone che incontrava sulla sua strada, per motivi a loro sconosciuti ma a lei ben chiari: un gesto di notevole educazione a cui aveva assistito, un sorriso nel vuoto di chi sta ricordando qualcosa di divertente, o anche solo il fatto che fossero vivi –cosa mica da poco, nella loro società; riusciva a vedere il lato buono delle persone anche quando loro si sforzavano di non vederlo. Ma, il sorriso che rivolse a Lovecraft, era quello che Idem si lasciava sfuggire solo per la sua famiglia. Com’era cresciuto, il suo fratellino. Lo ricordava ancora piccolo e spaventato – “Non ero spaventato” Credici, Isaac- , con i grandi occhioni spalancati e feriti. Ricordava la mano di Aiden sulla sua spalla mentre lo spingeva verso di lei premendogli le guanciotte, dicendo quanto era buono e adorabile, domandandole se potevano portarlo a casa. “È da solo, Idem” Le parole magiche. Idem Withpotatoes sentiva di avere uno scopo nella vita: prendersi cura degli altri, perché troppo spesso essi di dimenticavano di farlo per loro stessi. Dimenticavano quanto erano importanti, quante cose – a discapito di tutto – avrebbero potuto fare nella loro vita. Perdevano la speranza. Idem era pronta a ridargliela, o ricostruirla se necessario. Ed aveva visto Isaac Lovecraft crescere, diventare il caposcuola dei Corvonero, litigare con la sua morosa. Era grande ormai, aveva diciott’anni, ma per Idem sarebbe sempre stato il ragazzino un po’ troppo pallido dagli occhi grandi e bui. Si alzò per stringerlo forte in un abbraccio, mentre lui le stampava un bacio sulla guancia. Non che non lo vedesse da una vita, ma con la scuola ed il resto era sempre più difficile che si incontrassero. Per questo gli aveva dato appuntamento ai Tre manici di scopa, non solo perché gli esami si stavano avvicinando un po’ troppo rapidamente. Era in ansia? Era preoccupato? Non si era laureata in psicomagia mica per niente, voleva essere d’aiuto. Nel periodo invernale, casa Withpotatoes – dove Idem tuttora alloggiava- era sempre piuttosto silenziosa… per quanto silenziosa poteva essere quando lei e Nathan erano presenti, ecco. Ma Darden, Isaac e Oliver, loro erano ad Hogwarts, e la loro assenza si percepiva. Idem sentiva la loro mancanza. “Scusa per il ritardo sorellina” Sorellina. Sorrise gongolando, sbattendo le ciglia languidamente, sempre lusingata dal fatto che lui la vedesse parte della famiglia. Insomma, per lei era normale che lui fosse il suo fratellinoinoino, ma non necessariamente doveva essere vero il contrario. Quanto poteva volergli bene? Iullfdsrjit. “Figurati, tanto ero in buona compagnia” Liquidò il discorso facendo spallucce, sistemando la gonna sotto il sedere e riavvicinandosi al tavolo, dove le caramelle facevano ancora bella vista di sé. Quando lo zaino del Corvonero colpì il pavimento, a Idem parve di sentire un… che suono era? Inclinò la testa corrugando le sopracciglia, mentre il ragazzo tossiva. Idem Withpotatoes era l’ingenuità fatta persona, ma quando una persona cara le stava nascondendo qualcosa, non le sfuggiva mai. Assottigliò le palpebre, chinandosi sul tavolo in legno per lanciare un’occhiata scettica al ragazzo. “Ehm ehm... Come stai?” Si portò pollice e l'indice al volto, dove con lentezza si sfiorò le guance, dall’alto vero il basso. Il sorriso di Isaac sembrava un po’ forzato; stava sudando? Lo sguardo saettava verso il basso. Menzogna. “Beeeene” Rispose annuendo, senza lasciar la presa sull’espressione dubbiosa che animava il suo viso. I’m watchin you, Lovecraft. Si ricordo però dei M.A.G.O. , e il sospetto scivolò via lasciando posto a quell’energia repressa di cui non riusciva mai a liberarsi del tutto. Probabilmente era solo preoccupato, forse nervoso perché quel pomeriggio era lì con lei anziché studiare. L’aveva distratto dallo studio? Alzò gli occhi al cielo, pensando.
    …Conoscendo Isaac, probabilmente no. “Te? Sei pronto a entrare nel mondo degli adulti?” Domandò battendo le mani fra loro, per poi poggiare i gomiti sul tavolo ed il mento sul dorso di queste. Ricordava l’emozione quando April si era laureata, solo tre anni dopo di lei. E quello era il momento di Isaac. Il suo bimbo! Sapeva che voleva fare il giornalista, per quello gli aveva portato un regalo. “Idem, quella è droga?” Droga? Corrugò le sopracciglia, seguendo lo sguardo del ragazzo, puntato sulle caramelle che le aveva dato l’uomo. Oh. Oh. Rise, agitando una mano nell'aria. “Ma secondo te? No, sono caramelle! Me le ha regalate quell’uomo laggiù” Lo indicò, salutandolo con un cenno quando questi si volse nella sua direzione, per poi puntare di nuovo gli occhi azzurri sul fratello. Sempre a pensare male, pff. “Ne vuoi una? Domandò, porgendogli la mano. E fu in quel momento che lo udì: un sommesso, ma ben udibile, miagolio. Strinse la mano a pugno, socchiudendo gli occhi ed abbassando il capo per seguire l’origine del rumore. Ma che… “Isaac… perché il tuo zaino miagola?”
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    Edited by idem! #wat - 24/7/2015, 00:05
     
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    Passavano gli anni, il tempo lentamente scorreva, le cose cambiavano, anche le persone mutavano, giorno per giorno. Ma Isaac quei mutamenti stando nella famiglia WithPotatoes non li aveva mai vissuti. Prima sì, anche tanti se vogliamo dirla tutta. A partire dal più grande di tutti, quando era fuggito di casa che era ancora un bambino innocente e indifeso, vagando da solo per Salem fino a quando non incontrò Michael. Lui stesso aveva subito questa trasformazione, cambiando casa, cambiando vita, cambiando famiglia. Eppure, con i WithPotatoes la situazione sembrava essersi stabilizzata... AHAHAHAH. Sì, stabile. Ahaha sì. No, ma stabile dove? Dove? Almeno mentalmente, lì non c'era nessuno di stabile, tant'è che si potrebbe dire forse che Isaac Lovecraft era l'elemento più normale della famiglia. Ed è tutto dire, considerando che si parla di un tizio che smercia illegalmente gattini porta a porta. Ma nella loro stranezza sì, erano costanti. Isaac non avrebbe di certo saputo immaginare una Nonna Seti calma e filotedesca, o un Nathan senza la passione per il "piccolo chimico". Ma la cosa che più aveva accompagnato Isaac lungo tutti quegli anni era il sorriso di Idem, sempre così spontaneo e pieno d'amore verso il mondo, senza il quale non era Idem. Ogni qual volta vedeva quel caloroso sorriso sul suo volto Isaac non poteva che pensare alla gemella. Fu Aiden dopotutto, sette anni prima, a volerlo nella grande famiglia felice e, senza di lei, probabilmente avrebbe passato tutte le vacanze della sua carriera scolastica ad Hogwarts. Sarebbe rimasto da solo se le due sociopatiche amorevoli ragazze non avessero deciso, un bel giorno, di prenderlo sotto la propria ala protettrice. Non che da solo non sarebbe riuscito a vivere: Isaac era convinto che, anche se non avesse avuto una famiglia a coprirgli le spalle, se la sarebbe cavata in ogni caso. Solo che l'opportunità era buona, la famiglia fantastica... Perché dire no? L'unico cambiamento avvenuto tra i WP era stato troppo doloroso, troppo radicale, anche solo per essere riportato alla memoria e forse per quello i membri di quella famiglia evitavano di risultare incostanti con i propri principi. Quindi Seti continuava ad insultare quei crucchi bastardi, Nathan continuava a progettare bombe nucleari abusivamente e Idem continuava a voler bene agli esseri umani, continuava a credere in loro nonostante tutto. Era questa la cosa che Isaac più ammirava nella sorella: riusciva a fidarsi delle persone, come se nulla fosse, come se le conoscesse da sempre. E si chiedeva come facesse, lei, ad essere così. Non che Isaac odiasse tutto il mondo, ma era sulla retta via per iniziare a farlo, dopo le numerose delusioni subite lungo tutto l'arco della sua breve vita. Eppure c'era qualcosa che lo frenava: la sua famiglia, nella sua stranezza, gli permetteva di credere che qualcuno, in quel mondo, fosse un più sano di loro e potesse curarli meritasse un po' di fiducia. Solo che anche quel sorriso vacillava, a volte. Isaac lo sapeva, Idem aveva sentito un rumore di troppo, qualcosa che non doveva sentire, e la finta tosse non bastò a coprire il miagolio dei bagashi nello zaino. Lei l'aveva sentito. Lei sentiva tutto. Ed ecco che ora, come sospettava, lo guardava con un'aria eccessivamente vagamente creepy, la conferma che stava sospettando qualcosa. Ma non alimentò tali dubbi, per fortuna del ragazzo. Era strana, Dio quanto era strana Idem: passava da un argomento all'altro come se nulla fosse ed ecco che BOOM, chiedeva cose a proposito del suo futuro. Pronto io? Dai Idem, lo sai che sono nato pronto! Le rispose animatamente, cercando di nascondersi dietro quelle parole. Isaac non era affatto pronto ad affrontare la vita fuori da Hogwarts, era questa la verità. Non credeva di poter sopportare delle responsabilità troppo grandi, ma questo non l'aveva mai detto a nessuno, nemmeno a Jack o a Sharyn, e uscire da scuola, iniziare a lavorare, rientrava in quella lista di cose alle quali non era affatto pronto. Ma non poteva dire a Idem “Non sono pronto a fare qualsiasi cosa al di fuori della scuola”. Non voleva disperarsi con lei perché a) lo avrebbe psicanalizzato fino a condurlo alla pazzia e b) era troppo orgoglioso per lasciar trapelare un timore del genere. No, lui era pronto, o almeno così dovevano credere gli altri e, forse, ci avrebbe creduto anche lui, alla fine. E poi, si disse, non poteva rivelare certi dubbi ad una ragazza che accettava "caramelle" dagli sconosciuti. Quando ella salutò il gentiluomo che le aveva offerto la droga, Isaac non riuscì a trattenersi dal portare la mano alla fronte, scuotendola sconsolato. Fa vedere, le disse, prendendo la cosiddetta caramella in mano. Ma non fece in tempo ad esaminarla, a capire cosa realmente fosse -le avventure nei sobborghi americani sarebbero finalmente state utili a qualcosa.
    “Isaac… perché il tuo zaino miagola?”
    Il Corvonero si impose di prendere un bel respiro e di fissare negli occhi azzurri la sorella. Se doveva inventarsi una scusa, doveva farla al più presto e doveva essere il più credibile possibile. Sentiva già il sudore imperlargli la fronte, quando gli sovvenne qualcosa da dirle che facesse pensare che no, lo zaino non miagolava. Idem ti sbagli, il mio gatto non zaina zaino non miagola, non è una cosa logica... Così dicendo, le rivolse lo stesso sguardo dubbioso che lei aveva rivolto al giovane poco prima. Sono sicuro che quella sia droga Idem. E sono altrettanto sicuro che tu ne abbia già presa una pastiglia. Gli occhi erano diventati due fessure, nella speranza che così facendo potesse sembrare quantomeno credibile. Sapeva anche però che la Withpotatoes era un'abile investigatrice quando si trattava di certe cose.
    Isaac Lovecraft - Sky is the limit

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    Mentre parlava con Isaac, Idem estrasse il ventaglio che aveva malamente infilato dentro la borsa. Era un ventaglio bianco venato d’azzurro, che aveva rubato nella notte a Nonna Seti (“I TEDESCHI MI HANNO RUBATO IL VENTAGLIO , ORA COME ME LO SVENTOLO IL CULO” –perché sì, Nonna Seti soffriva di sudorazione abbondante alle chiappe. Gli abitanti di casa WP si erano divisi in turni per i quali ciascuno di loro, almeno una volta al mese, gliele sventolava per rinfrescarla. E, vi giuro, non era affatto bello.- Ops, scusa Nonna). Con la bacchetta spianata davanti a sé, la WP era sgattaiolata in camera di Seti camminando pianissimo, applicando le tecniche da samurai imparate al Quartier Generale. Fine della storia, non un granchè interessante in effetti. Ma era il suo bottino da guerra! Con orgoglio, come se quella vicenda fosse narrata nelle pieghe del tessuto logorato, cominciò a sventolarsi come una geisha d’altri tempi. Di tanto in tanto sbagliava mira e si schiaffeggiava il naso –ormai doveva essere tutta graffiata- ma ad ogni colpo contundente Idem fingeva non curanza, come se quella fosse stata da sempre la sua reale intenzione. È rinfrescante colpirsi ripetutamente con un ventaglio, lo sanno tutti.
    “Pronto io? Dai Idem, lo sai che sono nato pronto” a quelle parole Idem smise di sventolarsi, chiudendo lo strumento con un secco gesto del polso. …Forse due o tre secchi gesti del polso, alla prima era sempre difficile riuscirci. Non era mica giapponese, a loro certe cose venivano naturali. Schiuse le labbra aggrottando le sopracciglia, facendo poi schioccare la lingua contro il palato. “Dai Isaac, sai che puoi essere sincero. Narrami i tuoi disagi” Annuì in modo professionale, tornando a sventolarsi il viso accaldato. Doveva assolutamente prendere qualcosa da bere, qualcosa di fresco. Chissà se avevano dello frozen yoghurt , quello sarebbe stato perfetto! Prese il menù sfogliandolo distrattamente, lasciandosi sfuggire mugolii stupiti e d’ammirazione. “Secondo te se chiedo un frullato me lo portano?” Domandò distrattamente ad Isaac, alzando gli occhi azzurri su di lui. Sperò anche, ma questo non lo disse, che nella bevanda potessero mettere ombrellino e cannuccia. Tutto era più buono con ombrellino e cannuccia, era una cosa risaputa. Magari rilasciavano, con quel loro adorabile essere ombrellinoecannuccia delle sostanze speciali, dei feromoni (?), della droga. Idem metteva la cannuccia anche nei bicchieri d’acqua. “Fa vedere” La interruppe però il Corvonero, prendendole le caramelle dalle mani. Non sembrava benintenzionato, ed il suo sguardo scettico non lasciava presagire nulla di buono. Perché doveva sempre pensare male? Ne aveva passate tante, lo capiva, ma perché non riusciva a vedere lo stesso mondo che vedeva lei? Sarebbe stato molto più facile per entrambi, e Idem non sarebbe parsa sempre fuori posto, sciocca in quella sua ingenuità. Perché sì, la WP spesso e volentieri passava per quella sciocca a causa dell’innata fiducia che riponeva nel genere umano. Ma a lei non interessava: se era quello il prezzo da pagare per credere, avrebbe lasciato anche la mancia. Lo guardò con aria corrugata mentre lui si rigirava fra le dita i dolcetti. Quando udì i miagolii provenire dallo zaino del giovane, fece presto a far vertere la conversazione su quello, spostando l’attenzione dalle sue caramelle. Subito Lovecraft si irrigidì, e Idem registrò con uno sguardo penetrante e onnisciente (?) le goccioline di sudore che gli imperlarono la fronte. Marranfido (NdA: wineologismo tratto da marrano e infido), le stava mentendo. Perché? Cosa nascondi, Isaac Bond? (o suona meglio James Lovecraft?) “Idem ti sbagli, il mio zaino non miagola, non è una cosa logica...” La psicomaga inclinò il capo all’indietro ridacchiando sonoramente per qualche secondo, infine si drizzò nuovamente sulla sedia e, serissima, sbattè la mano a palmo aperto sul tavolo. Quello era il momento di fare il poliziotto cattivo. Chiuse la mano a pugno e lasciò solamente il dito indice ad indicare accusativamente il Corvonero, le palpebre così assottigliate da sembrare Brock dei Pokèmon. “Non mentirmi Isaac! Cosa mi stai nascondendo, Moriarty?” Quasi sibilò, facendo ondeggiare la testa alla ghetto style mentre si sporgeva verso di lui. “Io ti osservo. Non mi freghi più” Minacciosa come una falena in tenuta da guerra, Idem incrociò testardamente le braccia sul petto. Aspettava solo il momento propizio per allungarsi sotto il tavolo e rubargli lo zaino, così da svelare il mistero. Scooby Doo sarebbe stato fiero di lei. “Sono sicuro che quella sia droga Idem. E sono altrettanto sicuro che tu ne abbia già presa una pastiglia” Sbuffò, mordendosi il labbro inferiore. “Non è droga, e no, non ho ancora mangiato quelle caramelle Sottolineò arricciando il naso come una bambina, prima di riappropriarsi delle caramelline colorate. Le osservò per qualche secondo, ma non prese mai in considerazione l’idea che Isaac potesse avere ragione. Insomma, certe cose capitavano, non era una sprovveduta, ma il signore era stato così gentile! “E te lo dimostrerò” Aggiunse stringendo le labbra ed annuendo, prima di infilarsi una caramella rossa fra le labbra. Non sapeva di zucchero, non sapeva di niente, ma non lo diede a vedere. La masticò animatamente per qualche secondo -bleah-, e la deglutì senza mai distogliere lo sguardo da Isaac, l’espressione impassibile. “Mh, MMH, che buona” Mugolò nel mentre, mulinando la mano nell’aria come se quella caramella vantasse una prelibatezza sconosciuta al resto del cibo. “Visto? Caramelle, malfidato Concluse sorridendo con soddisfazione, poggiandosi trionfante contro lo schienale della sedia.
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    Se non fosse stata Idem, bensì chiunque altro membro dei Withpotatoes, Isaac avrebbe potuto benissimo sorvolare il discorso con una scrollata di spalle, dicendo che non v’era alcun disagio e che era sincero quando, accompagnate da quel sorriso troppo tirato, sputava parole a caso come “sono nato pronto”. Tre parole che non sentiva veramente proprie, nonostante cercasse di dimostrarselo giorno dopo giorno, studiando poco duramente, meditando su quello che sarebbe stato il suo futuro nell’immediato e quello più remoto. Con un Nathan, una April, una Darden, un Oliver ci sarebbe riuscito, anche se le loro presse sarebbero comunque state pesanti e ne era perfettamente consapevole. Bastava premere degli appositi bottoni per far scivolare l’attenzione da un’altra parte che non fosse il medesimo Lovecraft e quello che gli spettava affrontare tra non troppo tempo. Ma con Idem la situazione era più complicata, e non solo perché era una fottutissima psicomaga la quale, nonostante le apparenze da ragazza svampita e sempre nel suo mondo fatto di zucchero filato, orsetti di gomma ed innocui unicorni, sapeva fare il proprio mestiere: non che l’avesse mai osservata agire sul posto di lavoro, ma lo capiva che era un ottima strizzacervelli. La situazione, con lei, si faceva più complicata, più delicata, perché ogni volta che si trovava al suo cospetto, che fosse ai Tre Manici di Scopa come quel pomeriggio o ad una normalissima cena nella grande casa di famiglia, il suo sguardo, quei grandi occhi azzurri e dolci, non faceva che riportarlo a tanti anni addietro. Ogni volta che il corvonero incrociava la vista di Idem non poteva che riaffiorare, nella sua memoria, quel freddo inverno del 2009 quando, di nuovo solo e senza nessuno su cui poter contare, senza nessuno che lo potesse far sentire parte di una famiglia, lei lo accolse come un cucciolo sul ciglio della strada più buia e deserta. Senza contare l’affetto che quindi, naturalmente, provava per l’ex tassa, c’era anche quello che provava per la gemella di lei, tralasciando tutto quello che era successo, tralasciando l’incidente. Non poteva scordare che fu Aiden la prima a farlo sentire a casa, la prima ad introdurgli quella scalmanata famiglia, pazza a livelli inauditi, alla quale non poté che affezionarsi dal primo istante. Gli mancava, la Larson, così simile e così diversa dalla Withpotatoes, così come gli mancavano i genitori -nonostante facesse fatica ad ammetterlo-, come gli mancava Drake, ed ogni cosa che potesse, in qualche modo, farle fare capolino nella mente del caposcuola faceva affiorare sul volto di esso un sorriso spontaneo, una parola a fior di labbra pronunciata tante volte ma che, a distanza di tempo, sentiva di non averla mai detta con il necessario entusiasmo e trasporto. Grazie, sei lettere che sarebbero rimaste lì, sulle pieghe che gli angoli della bocca tracciavano sulle guance del ragazzo. Grazie per avermi dato una chance, per avermi voluto bene, per esserti presa cura di me. Grazie di tutto. Un grazie che ovviamente si rifletteva, in quel momento, nelle iridi scure di Isaac, rivolte alla sorella(stra? Adottiva? Boh): “grazie di non credere alle mie cazzate”. Seguì quasi ipnotizzato il movimento del polso di Idem mentre si prendeva brutalmente a ventagliate in faccia si sventolava con il ventaglio della nonna ( era certo si trattasse proprio di quello, l’aveva visto fin troppe volte, ma non osò chiederle perché attualmente fosse in suo possesso ), arricciando poi il naso quando arrivò la richiesta di lei. Se non fosse stata Idem quella sarebbe quasi sembrata una costrizione, della serie: Dimmi che hai o ti sparo. Ma era proprio la sua Idem e il massimo che avrebbe potuto sparare sarebbero stati dei mugugnati “pew pew” mentre con le mani mimava il gesto delle pistole. ”No che non sono pronto, Idem. È tutto così poco nitido, non so nemmeno cosa fare dopo quei maledetti esami, proprio alcuna idea” Ammise abbandonandosi contro lo schienale di legno della sedia e dando, dimentico di avere in ostaggio dei poveri gattini, un piccolo calcio al proprio zaino. Erroneamente, non c’era neanche bisogno di specificarlo, ma le creature al suo interno emisero un leggero rumore che non era un miagolio: sembrava più un soffio crudele, un soffio che si sentiva sul collo e che gli faceva venire voglia di non aprire mai e poi mai quella borsa. L’avrebbero ucciso, se lo sentiva. Quando ella chiese del frullato il ragazzo non seppe rispondere, alzando semplicemente le spalle. ”Provaci. Sai, avevo pensato di fare domanda al Ministero per... qualcosa, ma come vedi non saprei cosa, quindi no. Al San Mungo non ci penso nemmeno, finirei per dare medicine sbagliate a pazienti in stato pietoso solo perché non mi ricordo i loro nomi. Non so, sul serio” concluse, mordendosi le labbra e tornando a guardare la ragazza che, nel frattempo, non aveva potuto ignorare i miagolii provenienti da sotto al tavolo. “Non mentirmi Isaac! Cosa mi stai nascondendo, Moriarty?” Okay, era il momento di inventarsi una scusa e no, stavolta non poteva dire che contrabbandava animali domestici. Sia perché non lo faceva veramente, era stata una fortuita quanto spiacevole e strana occasione, sia perché poteva sembrare quantomeno illegale. ”Va bene Sherlock, va bene. Ho dei gatti, sono un regalo” ammise, sembrando molto più sincero di quando le aveva detto di essere preparato a buttarsi nel mondo del lavoro. Sono un regalo: per chi? Per Morgan. Li sacrificheremo in suo onore #wat ”Doveva essere una sorpresa per quando ci saremmo lasciati, te li avrei dati allora: credo sarebbero ottimi amici per Ethos!” le strizzò l’occhio, sperando questo bastasse. Illuso. Fortuna che aveva preso quelle pillole poco raccomandabili che avevano tutto l’aspetto di essere droga, dalla quale lui l’aveva messa in guardia non conoscendone gli effetti. Aspetta... coooooosa? ”Idem, no. Non mangiar...”
    Troppo tardi. Posò i gomiti sul tavolino, prendendosi la testa fra le mani: era proprio un Idem. “Non Visto? Caramelle, malfidato” alzò lo sguardo, scorgendo il cameriere che si avvicinava. ”Lo spero, lo spero davvero, anche perché sarei costretto a lasciarti qua e tornare a scuola e non voglio avere una drogata occasionale sulla coscien... Per me una Burrobirra, lei un frullato a... Come lo vuoi il frullato? Ce lo avete il frullato?” ”No, spiacenti, l'abbiamo terminato” (?) ”Niente frullato, cosa prendi?” Non dire altre caramelle, Idem, che sennò finisce male, me lo sento.
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    Con i gomiti sul tavolo, Idem Withpotatoes si afferrò il viso, sprimacciandosi le guance pallide. Sentì le labbra incresparsi, come il più Idem dei pesci rossi like wat, e non potè impedirsi di aprire e chiudere la bocca: perfino Dory sapeva il balenese, lei non poteva mica fare eccezione. Un balenese silenzioso, fatti di smorfie e gesti inconsulti –come il lento continuare a masticare l’aria neanche fosse un lama di mare-, ma comunque comprensibile a qualunque balena. Il fatto che di fronte a lei ci fosse solo Isaac Lovecraft non fu certo un deterrente: quand’era bambino gli aveva insegnato quel linguaggio oscuro e oceanico, quindi chissà, magari avrebbe perfino colto il messaggio subliminale delle sue labbra. Shangaaai, ossia l’unica parola che in balenese aveva imparato. Ehi, veniva da Brighton, non è che avesse poi avuto tutte quelle occasioni per metterlo in pratica. Senza contare che un passaggio fino a Shangai poteva sempre far comodo. Silenziosa come solo un adulta di venti e passa anni che parlava il balenese poteva essere, ascoltò ciò che il Corvonero aveva da dirle sulla sua vita –ben poco. Possibile che non ci fosse, ad Hogwarts, un corso d’orientamento per ragazzi speciali come lui? Quelli con un grande potenziale, ma non abbastanza focalizzati da saperlo mettere in pratica. Gliene capitavano tanti di casi del genere al San Mungo, ma aveva come la sensazione che se l’avesse detto ad alta voce, ad Isaac non avrebbe fatto piacere. Anzi. Dopotutto avrebbe dovuto completare il discorso, inserendo qualche aneddoto che il segreto professionale non poteva farle tacere (tipo la passione di quei ragazzini incostanti nell’infilarsi matite nel naso gridando budino, o di sbattere la testa sullo yogurt ancora sigillato per aprirlo senza usare le mani –sì, ci aveva provato anche lei: fatele causa), e non credeva che avrebbe potuto essere di un qualche aiuto per il giovinastro. Ah, dannata fanciullezza. Strinse le mani fra loro, storcendo la bocca in una smorfia pensierosa. «è successo solo una volta» bofonchiò triste, quando Isaac accennò allo sbagliare medicine di un paziente. Lei… insomma… errare umano and balenese est. O una cosa del genere, Idem non aveva mica fatto lettere. Tossì, riportando la sua attenzione sul fratellino. «Sai cosa potresti fare? Il gelataio! Quelli con il camioncino, che hanno sempre quella musichetta… Ice Cream, Ice Cream, strawberry Ice Cream» canticchiò muovendo la testa, già rallegrata dal suono gioioso di quel ritmo ancestrale. Per quanto potesse apparire assurdo (ma considerando che si parlava di Idem Withpotatoes, neanche più di tanto), il suo era un suggerimento sincero: avrebbe fatto felice tanti bambini, Nathan compreso, e loro avrebbero avuto lo sconto famiglia per il resto della loro vita. Isaac sembrava inoltre proprio il genere di persona che aveva bisogno di più gioie nella sua vita, ed investire bambini da sopra il camioncino a forma di cono vedere le corse felici dei bambini in strada messi sul chi va là dalla musica, avrebbe sciolto anche il cuore più freddo (quindi anche quello di un gelataio #seemslegit). «oppure potresti lavorare in un acquario. Anzi, al carrow’s? forse ho qualche conoscenza…» Idem, guarda che le scimmie non valgono. «… o forse no. ma posso cercare qualche aggancio» sorrise con dolcezza, allungando una mano sul tavolo per posarla sopra quella di Isaac. Dietro la facciata ironica con il quale rispondeva alle domande di lei, Idem riusciva a vedere il ragazzino impaurito che era arrivato a casa loro anni prima; di nuovo in bilico fra passato e presente, su un futuro ignoto che, in quanto tale, non poteva che suscitare angoscia. La Withpotatoes avrebbe mentito, se avesse detto che sapeva cosa si provava ad essere così indecisi. Lei aveva sempre avuto in mente cosa fare della sua vita –la Resistenza, la Psicomagia-, ma poteva certamente cercare di vedere il mondo attraverso i suoi occhi: l’empatia non le mancava, e conosceva troppo bene il Lovecraft per non farsi contagiare da quel tumulto giovanile. «al Ministero…» Le labbra si piegarono in un broncio distratto, mentre la ex Tassorosso cercava di valutare oggettivamente la situazione: da una parte avrebbe preferito evitare l’argomento a prescindere, allontanando Isaac da quel mondo –di certo non voleva essere proprio lei a spingerlo verso la politica del Regime!- ma dall’altra un lavoro al Ministero gli avrebbe assicurato un futuro. «ci sono i Legionari» concluse, soddisfatta di sé per aver trovato un compromesso. I legionari erano coloro che si occupavano dei babbani e dei maghi speciali, assicurandosi che avessero quanto avevano bisogno d’avere, controllando i documenti, le garanzie; un lavoro da scrivania, e lei per Isaac non sperava di meglio. Scrivania uguale sicurezza, sicurezza uguale una sorella maggiore più tranquilla. Giocherellò con le labbra socchiuse, cercando un percorso alternativo. Improvvisamente ebbe l’illuminazione, dandone prova sbattendo entrambe le mani sulla superficie sbeccata del tavolo. «Hogwarts? Potresti fare un assistente! O membro della security…» corrugò le sopracciglia, squadrando critica il giovane dal basso verso l’alto. «…oppure no. comunque, Isaac, ci sono tantissime cose che potresti fare. Il mondo è pieno di opportunità, devi solo coglierle» si strinse nelle spalle. «carpa dimare» ripeto: non aveva mai fatto lettere, era giustificata a non conoscere il latino. #wat
    « Va bene Sherlock, va bene. Ho dei gatti, sono un regalo» Inspirò l’aria con così tanta foga, che per un secondo la vista le si riempì di puntini bianchi, obbligandola a reggersi al tavolo con entrambe le mani per non svenire. «CHECOSA?» Sibilò in tono stridulo, gli occhi spalancati che si spostavano da Isaac allo zaino ai suoi piedi. Ignorò quanto aveva da dirle, fulminandolo con lo sguardo, mentre rapida raccoglieva con affetto la borsa. Perché diamine aveva dei gatti in uno zaino? Non erano mica peluche! «ma non ce l’hai un cuore, te?» lo sgridò, ma senza potersi impedire, nella voce, una tenerezza lancinante. Aveva infatti già adocchiato i nuovi membri della famiglia Withpotatoes, e fra lei e loro era già scoccato l’amore: Pie, Roast e BigMac. «awwww ma chi è il micino più bello? Ma chi è il micino più bello del mondo? Aww non c’è, perché siete tutti belli!» miagolò sdolcinata alle tre creature, stringendole tutte al petto con fare possessivo. Aveva un futuro da zitella, ma se significava vivere con Ethos, Pie, Roast e BigMac, deal. Quando li riebbe sistemati nella borsa, assicurandosi che avessero spazio per respirare (fremendo già per andarsene a casa e strapazzarli come solo lei sapeva fare #sorryisaac #catzoned), accadde. Cosa, vi starete chiedendo voi; la risposta era molto semplice.
    wat. wat riassumeva l’esistenza di Idem, il suo essere, pensare e costante divenire. wat era lei, ed al contempo erano gli altri: un wat bello, con tanto di arcobaleni, gatti ciccioni e bradipi che sorridevano, ma pur sempre un wat. Il mondo si fece più colorato del solito, lasciando una risata goduriosa a gorgogliarle in gola mentre la caramella si scioglieva sulla lingua. Non molto diverso da quello che vedeva di solito, la lente Withpotatoes distorceva infatti la realtà di sua natura, ma molto più caldo. Sembrava quasi che ogni oggetto presente nella stanza morisse dalla voglia di raccontarle una barzelletta, e lei non riusciva a resistere neanche fino alla fine del racconto #qualeracconto prima di scoppiare in una risatina nasale e divertita. « Lo spero, lo spero davvero, anche perché sarei costretto a lasciarti qua e tornare a scuola e non voglio avere una drogata occasionale sulla coscien... Per me una Burrobirra, lei un frullato a... Come lo vuoi il frullato? Ce lo avete il frullato? Niente frullato, cosa prendi?» S’impettì tutta, poggiando il busto contro le schienale ed alzando le mani a palmo aperto verso il suo interlocutore. «ehi» esordì con voce baritonale. «ehi, cowboy» rettificò mentre le labbra, malgrado ella non volesse, si piegavano verso l’alto nell’accenno di un sorriso. «con calma. Innanzitutto, boom» boom cosa? «boom» ripetè, stringendo con forza le palpebre. «questa non è droga. È magggia. In caso non l’avessi ancora notato, COW» perché si sapeva che i cowboy, in amicizia, erano solo cow. E poi in fondo al suo cuore era un Withpotatoes, e cow withpotatoes spaccava di bbrutto. «sei un magoo» allungò l’ultima vocale, disegnando un arcobaleno nell’aria –ma che bello era? non ricordava di saper disegnare nell’aria! Stava forse usando degli ariarelli? Eh sì, per forza, gli acquarelli funzionavano con l’acqua, e lì l’acqua scarseggiava. Erano gli ariarelli più belli del mondo, e dell’universo – che ci insegue, ma noi siamo irraggiungibili. «e lei, poi? Lei? ma dico io» cosa dici, te? «dico» sottolineò con caparbietà, apparendo perfino più seria e determinata di quanto mai fosse stata. Ad un occhio esterno, poteva perfino sembrare normale (di certo più del solito). «non potete finire i frullati. Latte. Frutta. Frullare. Ora vada di là e mi porti un frullato. Frullato, non mi frega con lo shaker» lo ammonì con un indice puntato minacciosamente contro il petto. «no scherzavo. Cioè lo voglio davvero il frullato, per favore. Ci tengo tanto» sporse il labbro all’infuori, spalancando i grandi occhi azzurri: nessuno poteva resistere allo sguardo, figurarsi quando aveva le pupille dilatate come un cucciolo d’alpaca che aveva leccato la farina del proprietario –perché si sapeva che i boss della droga, in Colombia, tenevano sempre un alpaca in giardino… erano animali da guardia mica da poco. «al lampone. Anzi no, alla vaniglia. Anzi no, al lampone. Vaniglia. Entrambi? Contemporaneamente, non in due…. Bicchieri… diversi» scandì, mimando il gesto dell’unione fra i due frullati con le mani. Diamine, perché la guardava così confuso? Pff, che cameriere incompetente. No scherzo, non è vero, credo che tu sia bravissimo e bellissimo e che la tua mamma ti voglia tanto bene.

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    Poteva benissimo non dimostrarlo, Isaac Lovecraft. Indossare quella maschera di sorrisi e sfacciataggine che lo distingueva da tanti altri suoi coetanei ed affrontare costantemente la propria vita con noncuranza, spontaneità ed apparente tranquillità, ma lui, nel profondo, sapeva di essere composto dal settanta percento d’ansia. La gente normale aveva l’acqua per i tre quarti del corpo, lui aveva l’ansia. Sarebbe inutile enumerare i vari motivi per i quali al giovane corvonero capitava di provare una sensazione del genere, considerandone lo spropositato quantitativo, ma in ogni caso ogni qualvolta capitava che egli si trovasse in difficoltà per tale motivo, era possibile rendersene conto facilmente –sempre che non si impegnasse a celare il proprio sé interiore, quello fragile e delicato, ad occhi indiscreti. Sguardo che vagava da un punto all’altro senza mai soffermarsi troppo da nessuna parte, eccessiva e molesta sudorazione, risatine nevrotiche e fastidiose, tutte sistematiche ed evidenti prove dell’angoscia percepita dal moro. Ai Tre Manici di Scopa, tuttavia, l’inconfutabile dimostrazione di ansietà del ragazzo non era poi così evidente: era entrato in gioco, stupidamente, l’imbarazzo. Idem sembrava così naturalmente disinvolta nell’elencare i vari sbocchi lavorativi ai quali poteva ambire il Withpotatoes-non-veramente-Withpotatoes (?). Così esuberante, entusiasta, altruista, così... Idem. E lui cosa stava facendo, per ricompensare la sua famiglia di tutti gli sforzi fatti per sette anni? Si stava arrendendo. Stava gettando la spugna davanti a degli stupidi esami, autoconvincendosi che mai li avrebbe superati, che avrebbe dovuto ripetere l’anno per fare la stessa fine. Morgan, sapeva di avere le capacità, dopotutto era un fucking Corvonero, sebbene sembrasse costantemente un Isaac, aveva più volte dato sfoggio della sua caparbietà, intelligenza, nonostante fosse il primo ad occultarle per non passare sempre come lo sfigato di turno. Era certo di potersi presentare ai M.A.G.O. e sbrigare la faccenda in quattro e quattr’otto, uscendone vittorioso e magari con lode, modestamente, eppure... Eppure allo stesso tempo sapeva si sarebbe bloccato. Ai G.U.F.O. non era successo, ma si diceva che era stata fortuna, e che comunque non erano poi così importanti. Quelli del settimo anno, d’altro canto, lo erano eccome. E nonostante non la guardasse negli occhi, il capo chino intento a cercare le dita sotto al tavolo che si contorcevano e attanagliavano, sudavano nervose, la sentiva. Benché la sua attenzione sembrasse completamente rapita dallo spettacolo riprodotto dalle sue nevrotiche mani, ascoltava ogni singolo suggerimento della sorella, lasciandosi anche coinvolgere da divertite e sporadiche risate cristalline alle proposte più insensate, come quelle del camioncino dei gelati o dell’acquario. Solo quando udì «carpa dimare» si premurò di portare gli occhi scuri ad incontrare le grandi iridi celesti di lei, per correggerla. «Carpe diem, Idem» L’ho detto, è pur sempre un corvonero: puntiglioso, saccente e cagacazzi all’occorrenza. «Oppure» prese, infine, la parola, deglutendo per schiarirsi la voce, per rinfrescare la gola fin troppo secca. Cielo, sapeva di non dover mai parlare con la ragazza di certe cose: mai fidarsi di uno psicomago in incognito. «Oppure potrei aprire un negozio, o qualcosa del genere. No?» chiese, chinando nuovamente il capo. Era una domanda più a sé stesso che all’ex Tassa: sapeva che non serviva alcun diploma per aprire un’attività, e sembrava un buon compromesso dopotutto. E magari nessuno nella sua famiglia di svitati sapeva che non c’era la necessità di un foglio di carta straccia con le firme di professori e presidi e commissari vari per quel mestiere. Certo, cosa vendere restava una mistica incognita, nonché un progetto ancora lontano. Forse sarebbe morto prima degli esami e ciao treno, niente più problemi: di certo, in quel caso, sarebbe tornato come fantasma per tormentare la sua ex fintanto che sarebbe rimasta al castello. Vendetta vera, non finirò all’Inferno.
    Aveva sempre invidiato la capacità dei Withpotatoes di passare magicamente da un argomento all’altro, dialetticamente opposto, senza il minimo sforzo, come se nulla fosse. Si poteva star parlando di argomenti filosofici e ben argomentati agli unicorni senza che nessuno avesse memoria dell’angoscia che aveva preceduto quel repentino cambiamento. Potevano –sebbene non lo facessero- parlare di Aiden e di tutto quello che era accaduto per poi, subito in seguito, organizzare una caccia al tesoro (ed il tesoro, per intenderci, potevano benissimo essere le mutande perdute di nonna Seti per poi scoprire che non erano perdute ma nascoste nell’armadio di Nathan #trolllevelSeti) e nessuno avrebbe opposto resistenza. Isaac tentò più volte di imparare da quelle esperienze senza mai riuscire pienamente ad apprendere il metodo. A volte però, soprattutto in pubblico, era imbarazzante. Imbarazzante e spaventoso, come la reazione della ragazza in quel frangente, dopo aver scoperto dei gatti: e lui che voleva vederli e specularci sopra! Ora si sarebbe ritrovato con tre palle di pelo in giro per la casa. Ad ogni miagolio –di Idem, non dei gatti- il Lovecraft sprofondava un po’ di più nella sedia, cercando di nascondersi dagli sguardi degli avvenenti e paganti clienti del pub che inevitabilmente li osservavano guardinghi. «Idem, ti prego...» sussurrò appena, sorridendo ad un vecchietto che, guardando i due fratelli, scuoteva la testa sconsolato. Minchia gguaddi? Fortunatamente, tuttavia, decise di lasciare i gatti a marcire nella sacca in cui erano fino a poco prima.
    Fortunatamente? Rettifico: s f o r t u n a t a m e n t e. Tutto staccato, perché è più drammatico e d’effetto. Più ella diceva che quelle caramelle non erano droga, più egli voleva nascondersi nello zaino con Pie, Roast e BigMac. Ma no, non poteva andarsene e lasciare la sorella in quello stato in balia degli eventi. Quale uomo senza cuore ed onore l’avrebbe abbandonata lì e così? Chiunque. Giustamente. Aspettò che finisse di spiegare al cameriere quel che voleva, con gesti e simil-frasi sbiascicate tra un sorriso ebete ed uno idiota, prima di chiedere al garzone di avvicinarsi a lui, abbastanza che potesse udirlo solo lui. «Portale una Lemon Soda. Ce l’avete, vero? Grande. Tanto nemmeno se ne accorgerà, è in uno dei suoi momenti, sa’...» disse, portandosi l’indice alla tempia e tamburellando contro di essa, drammatico come il migliore degli attori. «E a me porti due burrobirre, credo ne avrò bisogno. Scusi il disagio, davvero, ma è mia sorella» Quell’interpretazione meritava l’Oscar, manco Leonardo Di Caprio. Ah, no, infatti. Forse era Hollywood la sua strada #wat. Apprensivo ed accondiscendente, il cameriere se ne andò verso il bancone per adempiere al proprio mestiere, cosicché Isaac potesse rinteressarsi allo stato della sorella. Incrociò le braccia contro il petto, cercando il suo sguardo che... che diavolo stava guardando? «Idem, dimmi. Cos’è che provi?» chiese, lento come solo ad uno strafatto di caramelle si parla. «Cosa vedi? Così capisco che tipo di caramelle hai mangiato» Sembrava dolce, premuroso, ma dietro a quel sorriso il Lovecraft non voleva che gettarsi a terra a ridere. O a piangere, a seconda. Idem era già troppo Idem di suo. Con la droga, poi. Forse doveva chiamare Nath... No, forse nonna S... O forse... No. Nessuno. Era davvero l’unico normale in quella famiglia, Isaac?
    Isaac Lovecraft - Sky is the limit

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    « sheet - 22 - ex-hufflepuff- rebel's secretary - pensieve »
    Avete presente quella confortante sensazione di avere tutto sotto controllo? Di poter vedere il mondo attraverso una lente in grado di mettere tutto in alta qualità, consapevoli che ogni spigolo, ogni venatura, vi appartiene? Quando tutto, finalmente, acquisisce un senso più profondo.
    Idem no.
    C’era il sole, fra le sue mani. Sul serio, non per finta: riusciva a vedere una brillante luce dorata scivolare fuori dai polpastrelli per posarsi sopra ogni cosa –ogni tavolo, ogni fazzoletto, ogni baffo dell’uomo seduto al tavolo in fondo alla sala. Era proprio sole! Quello estivo, che scalda fino alle ossa ed oltre. «Idem, dimmi. Cos’è che provi?» Era così difficile da spiegare. Cosa provava? Si sentiva leggera, sull’orlo di una nuvola in procinto di salire sui tronchi a Gardaland. Si sentiva pesante, ancorata al suolo come una torre di scatolette di tonno. Si sentiva impalpabile, come i fuck che il mondo non givava. E si sentiva concreta, come una conchiglia che al proprio interno custodiva un lapislazzolo. Lapuslazzilo. Lapdancezolo. Lapistola. Lapischella. «lapislazzulo» asserì ad alta voce, trasognante, mentre un pigro sorriso le piegava le labbra, dimentica della domanda di Isaac. Isaac?! C’era anche lui? Ma… com’era cresciuto! Aveva sempre avuto due teste? Ed era normale che… la fronte si fosse assottigliata sulla punta, stringendosi come un ananas dalle foglie chiuse? Ed era.. verde. «bottiglia» corrugò le sopracciglia, reclinando il capo verso destra per studiare con fascino crescente quella nuova protuberanza. «AAAA» Non seppe mai da dove fosse arrivato quel suono (dalla sua testa), poiché accadde una cosa terribile, devastante, di inimmaginario orrore. Allungò un braccio, ma tardi, sempre troppo tardi. E lo vide, al rallentatore, impotente: la testa di Isaac cadde, come Fragolino morto cade. Si schiantò al suolo, aprendosi in decine di pezzi, macchiandole le calze bianche di liquido color arcobaleno. Aveva anche i glitter! Lo sfiorò con le dita, sentendolo caldo al tatto, mentre questi si raccoglieva in un cratere al suolo. «noooo» si portò le mani al volto, gli occhi spalancati, sporcando la pelle di quei mille colori. . «Idem, dimmi. Cos’è che provi?» Riportò lo sguardo, non più azzurro ma di una lieve tonalità antracite (sì, lo sentiva che avevano cambiato sfumatura – Idem, ma cos’è l’antracite? Il colore dell’aranciata, no? Sì, proprio lui) sul Lovecraft, che non sembrava minimamente turbato dalla scena alla quale entrambi avevano appena assistito. Si sentiva come Cracco in un contest up contro Gordon Ramsey, una coperta senza per (una cota), una pera senza rum, un rum senza latte, un tavolo senza albero e canzoncina annessa, un mese non inserito nella filastrocca dei mesi. Si sentiva come Viola; e poi c’era Al. «pepeperapepeperapepera PAAAMPAAAMPARAPAAMPAAAMPARAAA pepeperapeperapepepera PAAAMPAAMPARAPAAAMPAAPARAPAAA pepeperapepeperapepera» con gli indici cominciò a tenere il ritmo sul tavolo, muovendo il capo per seguire il flusso. Il flusso, che sembrava un po’ un fosso, ma anche un fungo. Un fungo in un fosso era un flusso –d’acqua, di potere, di arcobaleni ed unicorni. Che belli che erano gli unicorni, ne aveva sempre voluto uno. Avrebbe volentieri scambiato nonna Seti per un unicorno, ma non ditelo a nonna –era suscettibile. A proposito di nonna Seti, che fine ha fatto Roger Rabbit? Avrebbe dovuto chiamare Nathan per chiederglielo, anche se non era certa, non proprio ecco, di sapere chi fosse Roger Rabbit. Ma era un coniglio? Ma con le zampe da coniglio si poteva fare la Cup Song? Coniglio. Senzaiglio. Senza aglio. Conaglio. Con raglio.
    Che bella fanciulla.
    «Idem, dimmi. Cos’è che provi?» Chissà. Chi sa. Chi salta. Chi zucchera. Quattro confetti in padella? Cavolo, come mai non aveva mai pensato di far abbrustolire i confetti in padella? La mandorla all’interno si sarebbe sciolta, e lo zucchero all’esterno… Beh, era Nathan quello bravo in chimica. Lei aveva fatto Psicomagia, mica Funebre agenzia. Ew, ma Isaac voleva aprire un’agenzia funebre? Le sembrava di aver capito così. Il solo pensiero, anzi ricordo della conversazione appena avvenuta in quale vita? solo Idem lo sa., le fece storcere lievemente il naso.

    «idem, voglio aprire un’agenzia funebre» «perché?» «così posso sempre vestirmi di nero» «tranne il mercoledì, vestiamo sempre di rosa il mercoledì» «okay» «forse agenzia funebre potrà essere il nostro nuovo per sempre?» «perché dovrebbe?» «papaya»

    «perché vuoi lavorare con la gente morta? Cioè, è un lavoro di tutto rispetto. Io lavoro rispetto, tutto, è un cioè di. Però…» strinse le palpebre, scuotendo il capo alla ricerca del modo migliore per definire quel miscuglio di sensazioni all’interno del suo cuore, della sua mente, e dei suoi avocadi. Ah, non sapevate che aveva degli avocadi? Mango io. «non preferiresti una tartaruga? No, non insistere» con un tono autorevole e sicuro del quale nessuno l’avrebbe mai ritenuta capace, Idem si impose nella conversazione, alzando la mano per mettere a tacere Isaac. «non possiamo prendere un paguro. È troppo dispendioso» Dispendevole. Pieghevole. Sdraio. Ah, ci sarebbe proprio stata una vacanza al mare!
    «Idem, dimmi. Cos’è che provi?»
    Ed all’improvviso si fece seria, gli occhi oscurati da una tenda che d’azzurro non aveva neanche il triceratopo. Bello, eh, quando una sentenza non si concludeva nel modo con il quale si pensava si sarebbe lampadario. Comunque, si fece seria. Il sorriso scivolò dalle labbra rosee, lo sguardo di un intenso blu notte. Forse era pensierosa. Forse era svenuta ad occhi aperti. Chi lo sa. «pavone» no, non era quello che voleva dire. Cosa stava succedendo? Aggrottò le sopracciglia, sottili increspature d’ebano su una pelle d’avorio. Come rondini in un cielo invernale, se solo ci fossero state rondini nel cielo invernale. Ma si sa, la migrazione. Barche con le ali, cielo nostrum, insomma quella roba lì. «pastrano» che strano, pa. «parole» parole, soltanto parole. Parole d’amore. «Idem, dimmi. Cos’è che provi?»
    «paura» come una pianta esorcizzata da padre polgy, come t jade quando ha scoperto che Tri e Checo erano morti during the Titanic (NdA: nelle notti di luna piena, se ascoltate con attenzione fuori dalla casa di Ru Eu Beech –ma anche con poca attenzione- potrete sentire T Jade innalzarsi sulle pinne per dedicare alla luna la sua ninna nanna trichecosa: «ewkivfoijorry niiiiiiiiight in myy dreelwklrdlmss»).
    «Cosa vedi? Così capisco che tipo di caramelle hai mangiato»
    Idemolas , cosa vedi con i tuoi occhi da elfo?
    Incrociò le braccia sul tavolo, socchiudendo le palpebre per riflettere sulla domanda di Isaac. Si inumidì le labbra. Ma era diventato idiota sciocchino? Cosa voleva che vedesse? Quello che vedeva lui, ovviamente: un unicorno rosa seduto al bancone, un elfo che faceva la lap dance sulla gamba del tavolo. Insomma, solita routine. «per rispondere a questa domanda, vorrei davvero essere più bionda, avere le orecchie a punta, e saper usare un arco. Quindi, immaginami così» si allungò sul tavolo per posargli una mano davanti agli occhi, così che non potesse vederla, quindi annuì. «io ti vedo» sussurrò vagamente creepy, schiaffeggiandolo con la propria coda. Il fatto che non avesse una coda, la limitò particolarmente in quell’azione.
    Diciamo che fu come uno splash di Magikarp.
    Senza Magikarp.
    Si scrive Magikarp? Vabbè, tanto lo stava pensando, non doveva scriverlo. Non ancora. Quando avesse dovuto fargli un biglietto da visita, d’altronde era proprio il genere di lavori che rientravano nelle sue mansioni di segretaria, ci avrebbe pensato. Perché Magikarp avrebbe dovuto desiderare un biglietto da visita fatto da Idem?
    Beh, perché nessuno disegnava i cuoricini bene quanto lei.
    Figurarsi i pesci, una vera maestra.
    «vedo il mondo, vedo le sue connessioni. Forse quello che vedo non c’è, o forse sì; non cambia niente né a loro, né a me. Vedo un ragazzino che diventerà un uomo meraviglioso, e che rende ogni giorno fiera sua sorella» sorrise. «è seduto al tavolo dietro di te, si chiama Mine. Come Mainagioia, Main. Ihihihi» quanto era simpatica? Troppo, lo sappiamo. «ma fatti abbracciare, piccolo essere umano. Puoi cambiare il mondo, Isaac Damnitdovrestiproprioavereunsecondonomealtrimentil’affermazioneperdefascino Lovecraft; prima però potresti cambiare canale? Non mi piacciono le vacche mannare, mi mettono i brividi» Doveva vomitare? Svenire? Dormire? Non lo sapeva. Nel dubbio si accasciò sul tavolo, letteralmente. Da in ginocchio sulla sedia, come s’era messa per abbracciare Isaac, era semplicemente morta, quasi qualcuno avesse improvvisamente tagliato i fili.
    « LIBERTÉ, ÉGALITÉ, FRATERNITÉ » alzò il braccio in segno di vittoria, senza muovere nessun altro muscolo.
    E poi chissà, forse morì davvero, anche se per poco. Lei di certo non lo sapeva.
    Figurarsi io.


    idem withpotatoes - i may not be perfect, but parts of me are pretty awesome

    © psìche, non copiare.
     
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8 replies since 9/5/2015, 01:44   456 views
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