An afternoon Meeting

Jer

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    MackenzieTargaryen
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    Sdraiata sulla panchina a guardare le nuvole dalle forme più improbabili, non si stava male affatto. L'estate ormai era vicina, vicinissima. Il sole splendeva, gli uccellini che prima di allora non mi erano mai interessati cinguettavano felici eccetera eccetera, tutte quelle belle cose da giornata perfetta. Una sola picca: me, là, in quel posto, da sola. L'ansia si stava impossessando di me poco a poco, mentre io mi sentivo morire di una morte lenta e molto dolorosa. Per un attimo, desiderai di aver acquisito il potere di velocizzare lo scorrere del tempo, piuttosto che fermarlo. Non pare un po' esagerato comparare l'attesa di una persona alla morte, sopratutto da qualcuno che ne ha passate davvero tante e che alla morte c'è arrivata molto vicino. E infatti lo era. Ma pensare che finalmente, dopo tanto tempo -cioè da quando ci avevano portate di nuovo ad Hogwarts- Jericho aveva trovato un po' di tempo da passare con me mi rendeva elettrizzata ma al contempo terribilmente nervosa. Avevo capito da poco i miei reali sentimenti nei suoi confronti e pensare di vederla faccia a faccia, solo io e lei per un pomeriggio intero era...diciamo non il massimo per il mio stomaco, che si ritrovava tutto sottosopra a gorgogliare sommessamente.Oh cielo. Oh cielo, cielo. sussurrai alzandomi dalla panchina e facendo uno o due giri intorno a questa con una mano nei capelli a scompigliarmeli tutti. Era da tanto che non parlavamo come facevamo una volta e mi mancavano quelle notti passate a sussurrarsi confessioni di ogni genere da una parte all'altra della parete. E chi lo avrebbe pensato, poi, che sarebbe successo quel che è successo. La ragazza che più detestavo in tutta la scuola era diventata quella della quale mi ero innamorata. Mi sedetti ancora una volta, fissandomi le mani. Ne era passata di acqua sotto i ponti da quando io e Jericho ci urlavamo contro cose irripetibili in Sala Comune, Eva che tirava via me e Melanie o come diavolo si chiamava la sua amica che tirava via lei. Provavo un senso di strana malinconia per quei tempi, più legato al fatto che avevo ancora i miei poteri che alle mie litigate con Jer. Una cosa buona, amavo ripetermi per farmi coraggio quando facevo terribili incubi sugli esperimenti, c' era stata in tutto quello:lei. E stavo per averla accanto a me ancora.


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    L’estate era ad un passo dal soffocare tutti con il suo abbraccio umido, e Jericho cominciava già a non sentire più la necessità di cibarsi. In quel periodo, se avesse potuto e se Aveline non glielo avesse gentilmente proibito, si sarebbe sostentata solamente con pop corn al caramello e thè ghiacciato. Ma non era solo il caldo a renderla apatica. Per una volta era felice di quel suo nuovo potere: riempirsi la testa con i pensieri degli altri le rendeva più difficile concentrarsi sui suoi, il che significava non pensare. Ancora non aveva detto a Jack che il suo raggio di sole altri non era che la sua sorellina, e cominciava a pensare che mai l’avrebbe fatto. Prima o poi gli Hades si sarebbero dimenticati deolla piccola Lowell, l’avrebbero ritenuta un’ingrata ed avrebbero finito per voltare pagina. Lei stessa sperava che, prima o poi, quel suo sciocco amare Killian avrebbe semplicemente smesso d’esistere, come un respiro trattenuto troppo a lungo. Si diceva che l’amore rendesse tutti migliori, più felici e spensierati; secondo ciò che le era stato raccontato, avrebbe sempre dovuto sorridere, dimentica di ogni male nella sua intera esistenza. Evidentemente c’era qualcosa di corrotto in Jer, perché lei aveva voglia di tutto tranne che ridere allegra e spensierata. A lei, quell’amore, aveva sempre fatto male. Una scheggia nel petto che talvolta le faceva perdere un battito o due, per poi allargare la sua sfera d’influenza ai polmoni, all’intera cassa toracica. Jericho era sopraffatta da quell’amore, troppo grande per le sue esili e giovani spalle. Schiacciata da un bisogno che aveva timore perfino ad ammettere ad alta voce, per paura di essere considerata… fuori luogo. Aveva smesso da anni di correggere chi chiamava Jack Hades suo fratello, anni a fingere che la cosa non le creasse alcun disagio. Non si sentiva nemmeno in vena di parlarne con Aveline, come mai ne aveva parlato con Elsie, e come di certo non aveva parlato con Mack. Il pensiero dell’ultima ragazza la fece sorridere, mentre portava la cannuccia della bevanda alle labbra. Lowell e Targaryen non erano mai, mai andate d’accordo. Jericho non riusciva proprio a tacere, e se in molti ignoravano i suoi commenti spesso malevoli, Mackenzie non riusciva proprio a mandarli giù. Ogni volta che i loro sguardi si incrociavano, si percepiva nell’aria una delicata musica western #wat: quiete prima della tempesta. Addirittura si lanciavano l’una contro l’altra, neanche si fosse trattato di animali allo sbaraglio. Ovviamente con Jack non ne aveva mai fatto parola, ed ogni volta che il Corvonero, meticolosamente, trovava un nuovo livido sulla sua pelle chiara, lei si limitava a scrollare le spalle ricordandogli quanto fosse sbadata. Non era del tutto una menzogna: porte, scalini, mobili, finestre: state certi che se doveva esserci un oggetto contundente in una stanza, lei l’avrebbe colpito. Era una legge. Forse qualcuno prima o poi ci avrebbe scritto un teorema: il teorema della sfiga di Jericho. Ma le cose erano cambiate: Jer aveva ritrovato Mackenzie nei laboratori, e l’astio fra le due era improvvisamente diventato un legame d’amicizia, di conforto reciproco. Potevano anche essersi mal sopportato nelle sicure (ok, all’incirca sicure) mura di Hogwarts, ma lì dentro era tutta un’altra storia. Mack era una faccia conosciuta, una compagna di casata in mezzo a tutti quegli estranei. Le due Grifondoro avevano finito per sostenersi a vicenda, supportarsi. Ed avevano iniziato a volersi bene. Chi l’avrebbe mai detto? Di certo non le Mack e Jer di un anno prima.
    Sporse il labbro all’infuori quando Aveline le offrì metà del suo tramezzino, declinando l’offerta con un cenno del capo. Però, quando guardò i suoi occhi chiari ed il sorriso sincero, non se la sentì di rifiutare; a settembre sarebbe stata trasferita a New Hovel, insieme a Mack, e Jericho sarebbe rimasta alla Different Lodge da sola. Di nuovo. Quei piccoli gesti sarebbero diventati sempre più rari, e per lei erano preziosi. Lo mangiò di malavoglia, con l’unica soddisfazione di sapere di aver fatto felice la rossa. “Sicura di non voler venire?” Domandò fra un boccone e l’altro, sputacchiando qualche briciola sul tavolo. La Jodene ribadì che non se la sentiva, augurandole di passare un buon pomeriggio con Mack. Che dolce, Aveline, le ricordava Elsie ma… era completamente diversa. Incredibile come finisse sempre per circondarsi di brave persone, lei che non aveva nemmeno fatto sapere alla sua seconda famiglia che era viva e stava bene. Forse era proprio per colmare il marcio che aveva dentro, che si seppelliva sotto i loro fiori. Finì il panino e bevve ciò che rimaneva del suo thè, lanciandosi poi in bagno per lavarsi i denti. Era di nuovo in ritardo, ovviamente. Quanto avrebbe voluto avere il potere della Targaryen in quel momento. La telepatia non serviva a nulla, se non a farsi venire un gran mal di testa ogni giorno.

    I jeans erano così corti che la mettevano quasi a disagio. Arrivavano fin sopra a metà coscia, lasciando scoperta una porzione di gamba che mai, o quasi, un tempo aveva visto la luce del sole; indossava la maglia che le aveva regalato Aveline per natale - bad karma is truly a bitch- ed un paio di comodi sandali neri. Gli occhiali da sole celavano gli occhi azzurri, coprendo gran parte di quel suo nuovo viso sottile, mentre i capelli castano chiaro ricadevano sciolti sulle spalle. Non faceva ancora così caldo, per cui non era nemmeno sudata –yay!- quando arrivò al luogo dell’appuntamento. Mackenzie era comodamente coricata su una panchina quasi fosse stata a casa sua, e quando la vide la Lowell non potè trattenersi dal ridere allegra, inclinando il capo all’indietro. “Comoda, principessa?” Domandò ironica, spostando le lunghe gambe della rossa per sedersi vicino a lei.
    Jericho Karma Lowell
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    MackenzieTargaryen
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    Non mi importava aspettarla un ora o un secolo, perché tanto la mia cognizione del tempo era già bella che andata da...beh, ecco, tempo. Infatti, quando ero certa che non sarebbe più venuta erano passati soltanto dieci, quindici minuti. Ma lei arrivò. Cavolo, se arrivò. Ero sdraiata, ma l'occhio riuscivo a buttarcelo benissimo. Non potevo farne a meno. Quando la vedevo, dovevo assolutamente rimirarla in tutta la sua bellezza. Non capivo quando effettivamente mi ero accorta che era bella. Forse ero una grandissima superficiale, perché quello non era il volto col quale avevo conosciuto Jericho. E ai tempi del vecchio volto, ci odiavamo. In ogni caso, ne ero davvero stracotta e si stava avvicinando a me con quel suo passo da modella – o almeno, che ai miei occhi sembrava da modella - indossando dei pantaloni cortissimi che mi lasciavano ben poco all'immaginazione, cosa che solitamente prediligevo, ed una maglietta carinissima che le stava davvero bene, come d'altronde tutto ciò che indossava. La sua risata. Quando sentii la sua risata percepii contemporaneamente un brivido sulla schiena fin troppo piacevole. Buoooona, stai buoooooona. mi rimproverai mentalmente come si faceva con un cane, mentre la Lowell mi spostava le gambe con il suo tocco leggero ma deciso #wat per potersi sedere accanto a me. Comoda, principessa? Sì, insomma. Era dannatamente evidente che fosse ironica. Eppure, sentendola chiamare in questo modo, non riuscii a trattenermi dall'illuminarmi. Però liberai la mia testa da ogni pensiero molesto, perché con lei anche i pensieri erano un problema. Lasciai come sempre la mia mente occupata soltanto da una musichetta da ascensore. Effettivamente sì, erro molto comoda prima che arrivassi tu, ti rringrazzio. Le dissi facendo la faccina tipo u.u , mentre il gelo si avvicinava sentivo anche molto freddo e il celo si oscuri le dissi dedicandole una smorfia da finta altezzosa, mentre le stampavo un bacio su entrambe le guance. Era davvero incredibile come le cosse si fossero sviluppate tra di noi, la cosa non smetteva mai di stupirmi. Sembrava solamente il giorno prima quando ci tiravamo i capelli in sala comune, mentre in realtà eravamo lì, circa un anno dopo, sedute a chiacchierare amabilmente come buone amiche su una panchina di un parco. Mi ha sempre colpita molto l'imprevidibilità dei rapporti umani. Un giorno conosci una biondina con le trecce in piscina, pensi che sia carina coi braccioli rosa e il costume arancio e tutto e venti anni dopo la rincontri, te ne innamori perdutamente e la sposi. Ovviamente io e Jer non c'eravamo conosciute in piscina e io non l'avevo mai vista con i braccioli rosa, ma poco importava. Allora, che mi racconti di belo? Accento schifido, accento schifido, accento schifido. Un giorno mi libererò di te. Feci un piccolo sospiro, quasi impercettibile. Sei contenta della fine della scuola? Sai già come passerai le tue vacanze? chiesi sinceramente curiosa. Magari ci saremmo potute vedere per un gelato, una volta o due... io avevo piani ben precisi. Sarei tornata in Russia a trovare il nonno, la nonna e i cuginetti. Avrei sfilato e mi sarei ripresa un po' in mano la mia più grande passione: fare la modella, appunto. Avrei avuto un'estate parecchio piena, ma per lei, mi sarei liberata di ogni impegno in un solo istante. Ovviamente mi vidi bene dal pensarlo direttamente in quel momento. Mi raccolsi i capelli in una cosa di cavallo, non tanto per il caldo, ma per prendere tempo. Io...ero davvero io che dovevo prendere tempo? Risata mentale.

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    Il parco, Avis, le ricordava la sua infanzia. Lei e Jack passavano ore a litigarsi l’altalena, o a fare a gara per decretare chi, fra i due, riuscisse ad andare più in alto. Per quanto le cose fossero cambiate, Jer riusciva ancora a respirare l’aria di familiarità che da sempre aveva accompagnato quel luogo; i colori caldi dell’autunno, quelli freddi dell’inverno, i fiori in primavera. Un luogo incontaminato, perché la Lowell sapeva che Brandon, lì dentro, non avrebbe mai potuto mettere piede: era un magonò, e quello non era mai stato il suo mondo. Guardando le panchine non poteva immaginarsi il fratello seduto tranquillamente a bere un milkshake, e per quanto potesse sembrare assurdo, ne era confortata. Nathaniel dal canto suo non era mai sembrato il genere di ragazzino che avrebbe frequentato Avis, di conseguenza la bionda –perché d’estate, i capelli di Jericho assumevano una rara tonalità dorata- riusciva a percepirlo come un posto speciale, solo suo. Di certo, però, mai avrebbe immaginato un pomeriggio a quel medesimo parco proprio con Mackenzie Targaryen, la Grifondoro tutta pepe con la quale aveva sempre, e dico sempre, litigato. Accomodata al suo fianco, non potè trattenere una risata nel sentire il suo buffo accento: «Effettivamente sì, erro molto comoda prima che arrivassi tu, ti rringrazzio». L’aveva sempre presa in giro per quella sua particolarità, quando ancora entrambe frequentavano il castello. Da quando avevano, incomprensibilmente per entrambe, stretto amicizia, non poteva invece che trovarlo adorabile. … continuando però a prenderla in giro, imitando lo stesso tono impastato e grezzo, calcando sulle consonanti. «Mi disppiacce di averrtti disstturbata» Rispose seria, piegando seriosa gli angoli delle labbra verso il basso mentre portava la mano destra al cuore, sentendosi davvero molto poco in colpa. «Allora, che mi racconti di belo?» Jericho si strinse nelle spalle, incrociando le gambe sulla panchina e poggiando poi i gomiti sulle ginocchia. La schiena, che prima dei Laboratori era sempre stata un po’ gobba disegnando curve non umane, rimase dritta: quella cosa non avrebbe mai, mai smesso di stupirla e di inquietarla allo stesso tempo. «Niente di che, le lezioni al castello continuano a fare schifo, il professore non mi va a genio, e…» Aveva mantenuto un tono tranquillo per tutto il tempo, ingannando perfino sé stessa che quei problemi fossero normali problemi adolescenziali, e non il terrore di una vita. Nessuno sapeva che Nathaniel era suo fratello, probabilmente nessuno ricordava neanche più che un tempo il cognome di lui era Lowell. Quella era una delle cose che più le facevano male, ennesimo punto nella lista dei motivi per il quale Jer non riusciva a perdonarlo; se da una parte poteva comprendere la ragione di quel cambiamento, dall’altra non poteva accettare che si fosse così allontanato dalla famiglia da disconoscere il cognome Lowell. Ma cos’altro ci si poteva aspettare, da qualcuno che era in grado solamente di fuggire? Era solo un modo come un altro per sbatterle la porta in faccia senza neanche sprecarsi a muovere un dito. Vedere Nate ogni dannato giorno al castello, constatare quanto tutti lo adorassero –in primis la sua migliore amica, Aveline- la logorava dall’interno. Loro non sapevano cosa le avesse fatto. A loro non importava, e lei non riusciva… Abbassò lo sguardo sulle proprie mani, torturandosi le dita. Non voleva pensare a Nathaniel. «… e c’è un ragazzo, che mi piace davvero tanto. Ma non credo che fra noi possa mai funzionare» Tacque che quel ragazzo fosse Jack, suo fratello, mentre le guance si colorivano di una delicata tonalità rosea. Un sorriso spontaneo, e spezzato quanto il suo cuore, si dipinse sul volto di Jer. Quanto odiava quella sensazione? Poco. Troppo.
    Assurdo.
    Inarcò le sopracciglia con aria di scuse; Mack si sorbiva sempre tutti i problemi di Jericho, e lei non ricordava una volta nella quale avesse ricambiato il favore. Era sempre stata così egoista? Forse il problema fra lei e Jack non era mai stato Jack, forse era sempre stata lei a non capire. Si sbilanciò sulla panchina, tirandole una spallata amichevole. «Tu invece? Com’è la libertà?» Ironica, ma fino ad un certo punto. Per quanto gli Esperimenti fossero limitati, vivere a New Hovel era comunque un passo avanti rispetto a Different Lodge, dove recludevano i minorenni. Avevano solo una lezione, ed erano comunque obbligati, la maggior parte del tempo, a rimanere fra le mura del castello –o meglio, all’esterno. «Sei contenta della fine della scuola? Sai già come passerai le tue vacanze?» Dondolò sul posto, stringendosi le guance fra loro con un basso gridolino entusiasta. Come una bambina, prese anche a battere le mani, rivolgendo nel contempo un sorriso elettrizzato alla rossa. «Oh, sì, non vedevo l’ora. È così diverso… non essere più una Grifondoro, intendo. Vedere i nostri compagni che continuano a vivere tranquillamente, con quella divisa che a noi non appartiene più… Non so, credo di essere gelosa. Allontanarmi non potrà che farmi bene» Ammise, leggermente costernata. Da Hogwarts, da Nate, da Jack. Sospirò anch’ella, mordendosi il labbro inferiore con aria distratta. «Penso che non farò nulla, hanno detto che ci trasferiranno a New Hovel per le vacanze. Non ho molta voglia di tornare a casa» Concluse abbassando il tono di voce, riportando lo sguardo color zaffiro a terra. Non era esattamente il suo argomento preferito, considerando che gli Hades neanche sapevano fosse ancora viva. Era davvero schifosamente egoista. «Tu torni in Russia? Voddkka tutttte le serrrre?» Un mezzo sorriso ironico, il sopracciglio destro che nuovamente saettava verso l’alto con aria divertita.
    Com’era facile fingere di essere normali, quand’era con Mack.
    Jericho Karma Lowell
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    MackenzieTargaryen
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    La mia infanzia, a differenza della maggior parte delle mie coetanee, l'avevo passata tra un concorso di bellezza ed un set fotografico. Sentivo le mie compagne di scuola raccontarmi dei loro pomeriggi passati a giocare con le bambole, a rincorrersi nei parchi giochi. Le immaginavo ridere, distese sull'erba a ridere e a raccontarsi segreti, a guardare le nuvole cercando di dare nomi alle loro forme bizzarre, guardate a distanza dai loro genitori seduti su delle panchine lì vicino, anche loro presi da un discorso, ma di certo più complicato e noioso. Un discorso da grandi, da adulti, che le mie amiche non potevano capire. Perché erano bambine e quello che dovevano fare era godersi la loro infanzia: per i problemi dell'età adulta c'era tempo. Non rimpiango le scelte fatte dai miei genitori per me quando ero troppo giovane per capire di cosa avevo bisogno per essere felice. Fare la modella mi aveva sempre appagata molto, in ogni circostanza: che il servizio andasse bene o male; che alla passerella mi notasse qualcuno di importante o facessi un capitombolo, sapevo che quella era la mia strada, che stavo facendo la cosa giusta. Jericho, indubbiamente, aveva passato la sua infanzia in modo diverso. Per dire la verità non le avevo mai chiesto come, ma io in primis non amavo parlare del mio passato perciò, per riflesso, pensavo che nemmeno coloro che mi circondavano lo facessero. Magari era una visione sbagliata la mia, ma volta a risparmiare il dolore di rivivere possibili episodi di sofferenza o quantomeno di insoddisfazione o rimpianto. Anche ad Avis i bambini si rincorrevano, giocavano, urlavano e si facevano i dispetti, com'era giusto che fosse. Mi strapparono un sorriso, quelle piccole pesti che nulla avevano per la testa, se non le trame fantastiche dei loro giochi. Tornai a guardare la bella Jericho e i suoi capelli schiariti dal sole, che tanto avrei voluto poter accarezzare. Mi disppiacce di averrtti disstturbata Alzai gli occhi al cielo, mentre lei si fingeva dispiaciuta, seria come mai l'avevo vista, perché non lo era davvero. Le rivolsi una smorfia divertita. C'ero abituata alle sue prese in giro, non mi offendevo, affatto. Forse perché era lei. Se fosse stato chiunque altro gli avrei dato del razzista e un bel pugno sul naso. Non nascondo il mio essere irascibile... Alla mia domanda, poi, cambiò posizione. La osservai posizionare i gomiti sulle sue ginocchia, registrando ogni suo movimento come se fosse stata l'ultima volta che avrei potuto vederla. Da quando ero entrata nei laboratori, in presenza di coloro che amavo, facevo sempre così: tentavo di annotarmi mentalmente ogni loro dettaglio, ogni loro movimento inusuale; registrare ogni singolo dialogo. Perché ormai ero conscia del fatto che un'intera esistenza poteva essere ribaltata, cambiata radicalmente nell'arco di un istante. La serenità diventava terrore. L'odio diventava amore. I problemi che prima ci sembravano ostacoli insormontabili risultavano poi stupidaggini infantili. Il dolore cambia le persone, è proprio vero.Niente di che, le lezioni al castello continuano a fare schifo, il professore non mi va a genio, e… buttai la testa di lato. Il castello, le lezioni...sembrava tutto così lontano, come se quella routine avesse fatto parte di una mia vita precedente. Rabbrividii al pensiero che pochi anni prima era il mio quotidiano.… e c’è un ragazzo, che mi piace davvero tanto. Ma non credo che fra noi possa mai funzionare. Alzai entrambe le sopracciglia, spalancando gli occhi, come se fossi stata distratta per tutto quel tempo, come se fino ad allora avessi tenuto gli occhi chiusi. Il mio cuore era sceso per tutto il mio corpo, fino a toccare terra per poi risalire in su ed arrivare alla testa, che girava vorticosamente; percorrendo il suo tragitto in meno di un secondo. Ahia. Sorridevo, annuendo piano. Ahia, cazzo. Fa male. Arrossì, lei, diventando ancora più adorabile ai miei occhi. Ero distrutta. Ero consapevole che con lei non avrei mai avuto una possibilità, ma un conto era ripetermelo da sola nel bel mezzo della notte nel mio caldo lettuccio, un conto era sentirmelo dire da lei. Sì, non direttamente, ma lo aveva comunque detto. Ma dai? Ma non mi dirre!Ssonno sicura che tra voi funzzionerrà, chiunque vvorrebbe al proprio fianco una rraggazza come te. dissi abbassando lo sguardo sulle mie mani, che erano diventate improvvisamente molto interessanti. In un qualche modo mi rigirò la domanda, dandomi l'opportunità di pensare ad altro. Cosa pressoché impossibile, ma almeno ci si poteva provare. Tu invece? Com’è la libertà? Alzai le spalle e abbassai gli angoli della bocca, abbassando la testa sulla spalla sinistra ed alzando le soprcciglia. Ti dirò risposi,non tanto diversa dalla prigionia. Alla mia ennesima domanda, Jericho si illuminò, facendo illuminare per riflesso anche a me. Vederla felice mi riempiva di gioia. L'estate doveva proprio metterla di buon umore!Oh, sì, non vedevo l’ora. È così diverso… non essere più una Grifondoro, intendo. Vedere i nostri compagni che continuano a vivere tranquillamente, con quella divisa che a noi non appartiene più… Non so, credo di essere gelosa. Allontanarmi non potrà che farmi bene.Penso che non farò nulla, hanno detto che ci trasferiranno a New Hovel per le vacanze. Non ho molta voglia di tornare a casa e la mia bella amica si incupì di nuovo. La guardai, indecisa se posarle una mano sulla spalla e chiedere cosa c'era che non andava o rispettare i suoi spazi. Non ebbi bisogno di scegliere, perché lei mi rigirò la domanda. Tu torni in Russia? Voddkka tutttte le serrrre? Risi. Non tanto perché la trovavo una battuta divertente, -stereotipi sulla Russia? Nel repertorio di Jer, tutto nella norma - quanto perché c'era bisogno di riscaldare l'atmosfera.Verrammente non lo so. ssiccurramente torrnerò per qualche settimanna, ma non starrò per tutta l'estate come gli scorsi anni. alzai le spalle, per poi riabbassarle in fretta.Non ne ho voglia. Le rivolsi un sorriso tirato. Ti va di farre due passi?
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