FAIRYTALE PARTY

-remember who you are-

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    22. 🎁

    (c'era pure ancora un indizio dal d u e m i l a e d i c i a s s e t t e. Ve lo lascio ad eterna memoria sotto spoiler)
    EDIT vi lascio anche questo del 2020 dai . OBLIVION DIVERGENTE!!!!


    caccia di
    natale 2k17


    #026 → [inforandom] il signor Jhon Lemmon (Keanu Larrington) è uno scrittore di libri gialli, appassionato di crimini e criminali e amico da anni del signor Jones. Molto eccentrico, megalomane, egocentrico.

    CODICE
    #026 &#8594; [color=E2C044]<b> [inforandom]</b>[/color]  il signor Jhon Lemmon (Keanu Larrington) è uno scrittore di libri gialli, appassionato di crimini e criminali e amico da anni del signor Jones. Molto eccentrico, megalomane, egocentrico.









    welcome to the fairytale party!

    Preparatevi ad una serata alla fine della quale non sembrerete neanche più voi stessi e non solo per le sorprese che ho in serbo per voi, ma anche perchè è prevista una serata che di così calde non se ne vedevano da decenni. Quindi non fate i timidi e scopritevi il più possibile, altrimenti rischierete di sciogliervi! Ma non è solo questa la sorpresa, a quanto pare questa notte la luna sarà rossa, e ci regalerà quindi un’atmosfera surreale adatta al party.

    orari

    {ON GDR} 6 Giugno 2015, ore 23.30: segnatevi questa data sul calendario perchè, statene certi, non ve la dimenticherete tanto presto! E’ la data del Fairytale Party, è la data in cui la vostra vita cambierà per sempre. Perchè BlackJack quando fa una cosa, la fa con stile. Vi attendo quindi puntuali all’entrata del tendone alle undici e mezza, non tardate o la vostra carrozza si trasformerà in una zucca!

    ambientazione

    Al centro del parco, un tendone rosso spicca tra le attrazioni in maniera inconfondibile, e nonostante le dimensioni ridotte che occupano circa un metro quadro di terreno, l'interno si rivela tutt'altro che ristretto. Sull'entrata del tendone è possibile notare una scritta dorata, con caratteri differenti che dice Drink me, Eat me.
    fOc9FTB
    È il vostro punto di ristoro, in cui è presente un enorme buffet con cibi di ogni tipo e bevante alcoliche e analcoliche per i minorenni, tra cui le più quotate sono
    - Le tartine alla mela di Biancaneve, che una volta mangiate colorano la lingua e le labbra di viola per circa 5 minuti.
    - Muffin a forma di ostrica, nella zona della Sirenetta, con all'interno una perla di diverso colore ciascuno.
    - Pizzette di Alice nel paese delle meraviglie, con gusti vari e forme di cuori, fiori, picche e quadri.
    - Caramelle tutti i gusti + 1 a forma di tridente ed uncino.
    - Il tè della Bella e la Bestia, ma qualcuno dice che si tratti semplicemente di vodka alla pesca.
    - Un giro di 4 shot, di cui ognuno corrisponde ad un seme diverso e ad un gusto diverso.
    - Classiche bevande come Acquaviola, burrobirra e Whisky incediario, servite in bellissimi calici in cristallo e con all'interno pezzi di ghiaccio della forma di una scarpetta di cristallo.
    vTVF48d

    All'interno del tendone è presente anche un enorme pista da ballo a scacchiera sovrastata da una palla stroboscopica mutaforma, per chi desidera ballare sulle note delle canzoni del gruppo musicale Le sorelle stravagarie. Intorno alla pista da ballo sono disposti vari divanetti e poltrone dalle forme varie: conchiglie, barchette, zucche, tazzine, sacchi d'oro, orologi e bruchi e scarpette.

    modalità e tempi di gioco

    La festa andrà da oggi, 5 giugno ore 21.00 al 2 agosto, e i vostri pg saranno liberi di ruolare normalmente, ma dovranno anche affrontare penitenze, prove e sfide on e off gdr!
    Nello specifico, i due mesi di festa verranno così suddivisi:
    5 giugno - 15 giugno: post di entrata e si ruola alla festa
    15 giugno - 2 luglio: prove + penitenze
    2 luglio - 11 luglio: pausa dalle prove, si ruola alla festa
    11 luglio - 28 luglio: sfide + penitenze
    28 luglio 2 agosto: si ruola alla festa, post di chiusura


    le squadre

    Dal 15 giugno, ossia quando inizierà il periodo di prove e penitenze, i vostri pg verranno smistati in una delle squadre sotto elencate. Le prove e le sfide che affronterete avranno come tema la favola in cui siete stati smistati. NB: Il costume che avete indossato per la festa non avrà alcuna rilevanza ai fini dello smistamento nelle varie squadre.
    - BIANCANEVE
    - LA SIRENETTA
    - ROBIN HOOD
    - ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE
    - CENERENTOLA
    - LA BELLA E LA BESTIA
    - PETER PAN

    special - scambi di carattere

    Oltrepassati i cancelli del parco, ogni pg assumerà la personalità di un altro alla festa. Ecco qui gli scambi di personalità, come anticipato nel topic di iscrizione. Per ogni nominativo c'è un collegamento che vi indirizzerà alla scheda pg di colui al quale siete interessati, così da poter consultare il carattere. Volendo potete anche molestare i players per maggiori informazioni (?) avete il permesso! u.u


    che la festa abbia inizio!



    Edited by ‚soft boy - 4/2/2021, 11:53
     
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    « sheet - 26 - #notsomuggle - light manipulation - Neutral - pensieve »
    Il gilet viola era comodamente poggiato sul letto, accanto a dei larghi - molto larghi - pantaloni bianchi e ad un fez rosso, mentre io me ne stavo lì, poggiato allo stipite della porta, a guardare quel costume che era finito nella mia abitazione solo qualche giorno prima. Ancora mi chiedevo come mi fossi lasciato convincere a fare quella cosa, e non ero nemmeno così convinto di farla. Mettermi quel vestito, uscire da quella camera, arrivare fino al Wicked Park... Al solo pensiero di quel posto rabbrividii, rimembrando di quando io e Donnie ci perdemmo al suo interno. Fu terribile. Ma a Charlie promisi che ci sarei andato, e non mi sarei potuto tirare indietro, non lo stesso giorno della festa. Distolsi lo sguardo, aspirando il fumo della sigaretta e trascinandomi in cucina. Mancava ancora un po' prima dell'inizio, e l'appuntamento per coloro che dovevano spostarsi tramite passaporta era fissato di lì a qualche ora. Misi la sigaretta tra le labbra e una volta giunto davanti alla credenza aprii le ante, recuperando da uno scaffale una bottiglia di Jack Daniel's ormai agli sgoccioli. Meglio così: non volevo arrivare al Wicked strisciando ubriaco. Né tanto meno avevo intenzione di uscirvi. Non avevo idea di quello che ci avrebbero servito in quel posto, ma l'ultima volta che avevo bevuto qualcosa datami da un mago ero finito a Nydiaville. Avrei decisamente passato, almeno per quella sera. Versai quel poco di alcol rimasto in un bicchiere e lo poggiai sul tavolo. Sputai fuori il fumo dell'ultimo tiro di sigaretta e la spensi nel posacenere prima di sedermi di fronte al Jack. Solo qualche giorno prima lì, in quella stanza, a farmi compagnia c'era Charlotte Hamilton. Bevvi il whisky ripensando a quando aveva bussato alla mia porta: era tanto entusiasta, quel giorno, che il solo vederla in quello stato rallegrò anche me. Ma c'era da dire anche che, dall'esperienza di Controllo dei Poteri, spesso era riuscita a farmi nascere un sorriso sulle labbra, con quella sua semplicità e dolcezza. Fu per quelle sue peculiari caratteristiche, forse, che mi trovai a condividere con la ragazza più di quanto non avessi mai pensato si potesse condividere con qualcuno. Fu lei, dopo Chris, la prima a sapere cos'era successo al mio potere, cosa mi aveva fatto quell'iniezione. Fu lei ad aiutarmi quando, le prime volte, facevo partire raggi di luce senza nemmeno rendermene conto. Fu per ringraziarla di essermi stata vicino sicuramente che, nonostante un'iniziale esitazione, accettai la sua proposta di andare insieme alla festa in maschera. Non ero quel tipo di persona, quello che va alle feste piene di giovani pronti a perdersi nel tunnel della vodka, e per quel che ne sapevo nemmeno lei era così, ma disse che faceva bene staccare un po' la spina, non pensare a nulla per una sera. Dovetti quasi farmi implorare, ma alla fine accettai. Accettai anche di vestirci abbinati: era una festa a tema, ed il tema erano le favole. Per noi cresciuti nel mondo dei babbani era abbastanza facile trovare qualcosa da mettersi seguendo la traccia, e quando propose di vestirci come Aladdin e Jasmine non opposi resistenza. Mi era sempre piaciuta, da bambino. Amavo l'ambientazione, la storia, tutto, e fui felice di assecondare la ragazza. Non fu nemmeno difficile trovare i costumi adatti, a Londra. Nei panni di Jasmine, lei era fantastica, bellissima. Io, in quelli di Aladdin, non mi ci ritrovavo: non ero molto abituato a girare a petto nudo con indosso un solo gilet, ma ci avrei potuto fare l'abitudine, per quella serata.
    Posai il bicchiere vuoto sul tavolo, guardando l'orologio appeso al muro e notando che mancava solo un'ora e mezza all'inizio del party. Quasi controvoglia, mi costrinsi ad alzarmi, a trascinarmi al bagno e a farmi una doccia. Continuavo a ripetermi che lo stavo facendo per Charlie, ad ogni passo mi dicevo che le avevo promesso di andarci e che non l'avrei delusa, che l'avrei fatta contenta. Una volta fuori dal bagno mancava poco prima dell'appuntamento a Diagon Alley per andare ad Hogsmeade, così mi asciugai abbastanza velocemente e altrettanto velocemente mi vestii - non che dovessi mettermi molto addosso in realtà. Lasciai tutto in un cassetto, compresa la Giratempo, e tenni con me solamente le chiavi di casa e le sigarette. Tirai un sospiro di sollievo quando notai che, quella sera, non faceva eccessivamente freddo. Avevo bussato alla porta di Charlotte, ma lei non aveva risposto: forse si era scordata dell'appuntamento e si era già diretta al punto di incontro. Accesi una sigaretta e mi incamminai, senza incrociare nessuno se non gli sguardi di diversi maghi e streghe che probabilmente non sapevano della festa e per quello mi guardavano storto. Mi limitai a restituire a ciascuno di essi uno sguardo sprezzante, contenendo la voglia di illuminarli di immenso, bruciandogli qualcosa: non volevo altri casini, non ne avevo bisogno, già era tutto troppo una merda, non potevo permettermi guai di quel tipo. Speravo solo di incontrare la Hamilton a metà strada, così almeno non sarei sembrato un'idiota assoluto. Due persone vestite in modo strano sarebbero sembrate meno idiote di una sola. Ma non la incontrai, nemmeno giunto alla passaporta. C'era gente che conoscevo, di sicuro, ma non lei, ed iniziai a dubitare della sua futura presenza al parco. Sì, sapevo che non sarebbe stata colpa sua, che la sua possibile mancanza poteva essere colpa della sua labile memoria, ma dire che la cosa non mi pesava sarebbe stata una bugia bella e buona. Avevo fatto quello per lei, più che per me, e pensare che non ci sarebbe stata... Stavo per tornare indietro, in quel buco di casa a non combinare nulla per il resto della serata. Stavo per farlo, quando la passaporta prese a brillare. Forse lei era già lì, era andata in qualche altro modo, e se non mi fossi presentato non me l'avrebbe mai perdonato. All'ultimo minuto toccai con un dito la fonte di quella luce azzurra accecante e, in pochissimo vidi l'enorme parco degli orrori dei divertimenti stagliarsi davanti a me. Ma sembrava più divertente, meno inquietante: era pieno di gente fuori da un tendone che parlava, aspettava gente... Mi guardai intorno, ma ancora nulla, di Charlie nessuna traccia. Mi accorsi di aver tenuto saldamente la sigaretta tra le dita, tanto da non essermela persa nel viaggio, così aspirai il fumo e la gettai a terra. L'avrei lasciata lì, se lo sguardo paranoico di Donnie non mi fosse tornato alla mente. La calpestai vigorosamente, poi attraversai l'uscio del tendone.
    Lì dentro era tutto così... Fantastico! Gente ovunque, musica di sottofondo, cose da mangiare e da bere. Attraversai tutto il tendone, fino ad arrivare al bancone con tutta la roba alcolica. Sorrisi al ragazzo che si era servito prima di me: mi sembrava di conoscerlo, giuro, ma mi sfuggiva il nome al momento. Mi versai un po' di punch in un bicchiere e mi spostai da lì, girando lungo tutto il perimetro: non vidi nessuna Jasmine, ma evidentemente aveva avuto qualche problema, e una volta finita la festa sarei passato a casa sua a vedere cosa aveva. Proprio quando finii la bevanda, però, la vedi. Era Charlie, ma non era Charlie. Cioè, sì, sembrava diversa. Non lo so, aveva qualcosa, oltre al vestito - che non era quello che avevamo deciso insieme - che era strano. «CHARLIE! EHI CHARLIE!» urlai, gettando il bicchiere vuoto in un cestino e raggiungendo di corsa la ragazza. Una volta di fronte a lei spalancai un sorriso a trentadue denti. «Aaah, sapevo non ti saresti scordata della festa! Il vestito da Jasmine? Si è rovinato?». O forse ci aveva ripensato, non le piaceva più, o le andava stretto. Mah, chissene. L'importante era che fosse lì, no?
    Aloysius Crane - Shake it off (switched with Charles Doyle)

    © psìche, non copiare.


    Edited by Yo‚ Al‚ you're a muggle! - 12/6/2015, 22:21
     
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    « sheet - 28 - Ex Hufflepuff - Rebel - pensieve »
    Ecco, forse una cosa che non avrei mai imparato era quella. Eppure avevo vissuto sempre nel mondo babbano, avevo sempre osservato i loro modi di fare, come si muovevano, cosa facevano. Ma perché era comunque così difficile guidare una parcheggiare una cavolo di automobile? «Dannazione!». Ok, quello era il peggior parcheggio della storia, c'era da dirlo. Che poi, parcheggio... L'auto si era spenta da sola in un vicolo di Hogsmeade, ma la benzina c'era: si era talmente schifata di quel viaggio che aveva deciso di lasciarmi a piedi, evidentemente. Bastarda. Presi le chiavi e scesi, guardando come cavolo si era incastrata in mezzo a quella via. Forse sarei dovuto andare a prendere qualche altra lezione, forse. O forse no. Presi dalla tasca del trench il biglietto che mi era arrivato qualche ora prima e lo studiai ancora una volta. «Vediamoci alla Testa di Porco alle 21. È importante, non mancare». La calligrafia di Keanu era inconfondibile, e per convocarmi con tanta urgenza doveva essere successo sicuramente qualcosa. Certo, specificare che cosa fosse così importante gli avrebbe procurato un dolore insopportabile, quindi lo doveva necessariamente omettere in quel pezzetto di carta fattomi recapitare da un gufo spastico che non riusciva a capire quale delle due finestre fosse aperta e quale fosse chiusa. Sì, certo, massima riservatezza e bla bla bla, ma sarebbe bastata una parola chiave, una cosa qualsiasi che mi poteva far capire. No, ovviamente. Dovevo iniziare a parlare con il leader dei ribelli riguardo ad una specie di linguaggio in codice, era abbastanza urgente. Chiusi a chiave la macchina, promettendole che sarei tornato presto per toglierla di lì, anche se non avevo la benché minima idea di come fare. Ma ci sarei riuscito. Forse. Molto forse. Il villaggio magico era praticamente deserto, poche persone giravano per le strade e ancor di meno affollavano i locali. Era strano che, di sabato sera, così poca gente uscisse, e forse era veramente successo qualcosa di grosso. Iniziai a preoccuparmi seriamente e presi la bacchetta, tenendola ben stretta pronto ad ogni evenienza. Raggiunsi la Testa di Porco in poco tempo, ed erano le 21 in punto. Entrai, aspettandomi di trovare il locale straripante di gente, e invece no, era vuoto. Solo due figure occupavano quello spazio: una era il proprietario, Keanu Larrington, l'altra il vice ministro, Jaime Pratt. Evidentemente non era qualcosa riguardo la Resistenza, dato che Jaime, per quanto ne sapevo, non ne faceva parte. Non ero nemmeno sicuro che sapesse che io e Keanu ne eravamo parte. Ma allora, qual era l'urgenza? «Dobbiamo parlare» disse l'ex grifondoro, incrociando le braccia al petto. Iniziai a sudare freddo. Quella frase non significava mai niente di buono: l'ultima volta che uno dei tre l'aveva pronunciata mi ero ritrovato un pony dentro casa, senza sapere il motivo, mentre i due dormivano uno sul tavolo e uno sulla poltrona. «Cosa ho fatto?» chiesi, pensando che forse, quella volta, era colpa mia. Anche se non avevo fatto nulla, se non lasciare la macchina parcheggiata in quel barbaro modo qualche via più in là. «Niente», confermarono loro. Ridussi gli occhi a due minuscole fessure, andando da un viso all'altro. Quei due avevano combinato qualcosa, o se ancora non l'avevano fatto poco ci mancava. «Voi. Cosa avete fatto?». Ma non dissero nulla, scrollarono semplicemente le spalle; per di più, Keanu se ne andò dietro al bancone, servendo tre birre ed invitandoci a sedere. Io lo feci, temendo il peggio. Jaime mi seguì a ruota, sbattendo un vecchio borsone sul legno sul quale erano stati già posti i boccali. «Non voglio sapere cosa c'è lì dentro, vero?». Dio, sì che volevo. Apri quella cosa Jaime, dai. Dai. Dai.
    Sputai la birra addosso a Jaime quando mi dissero cosa avevano in mente. Una festa, in maschera, a tema. I due avevano fatto la pupù fuori dal vasino. Erano anni che non andavamo ad una festa in maschera. ANNI. E ora, così, dal nulla, volevano andarci. Ed era quella stessa sera. «Avvertirmi prima, no?». «No». Ovvio, che domande. E dentro quel borsone, c'erano anche già pronti i costumi: erano di qualche tempo addietro, ci era già capitato di vestirci a tema, e il fato volle che i vestiti fossero perfetti per quell'occasione. Mi tolsi trench, giacca, camicia, cose a caso, ed infilai un paio di pantaloni marroni, una camicia verde scuro ed un cappello a punta dello stesso colore, e misi un po' di paglia dove capitava: incredibile come quella roba mi stesse ancora bene. Ero il perfetto Spaventapasseri di Oz. Jaime, l'Uomo di Latta, e Keanu, il Leone Codardo, erano pronti a smaterializzarsi, quando gli proposi qualcosa di più... Figo.
    «È tua?» chiesero quando fummo davanti la macchina parcheggiata nel vicolo di Hogsmeade. Non risposi, ma mi limitai a sorridere e ad aprire l'auto volante, entrando al posto di guida. Invitai entrambi a salire e, una volta a bordo, espressero le loro perplessità in merito. È pericoloso, non sai guidarla, bla, bla, bla. Bitch please, sapevo guidarla eccome, erano i parcheggi la cosa che non sapevo fare, ma non erano importanti, in fin dei conti. Misi in moto e, con meno difficoltà di quanto non pensassi, riuscii a toglierla da quel vicolo ed a farla librare in aria in poco tempo. «Potevamo andarci anche a piedi». Oh, sì. Due secondi contati ed arrivammo sopra al Wicked Park. Ma avremmo fatto un'entrata in scena degna di nota: i posteri ci avrebbero ricordato per... «Non scende, deve essersi inceppato qualcosa» ... i posteri ci avrebbero ricordato per le figure di merda. Chissà in quanti stavano osservando quella macchina volante fare degli ipnotici giri sopra al tendone della festa. Forse nessuno, dai. Pensa positivo. Bingo! Trovato! «Ok, apposto, scendiamo» «PHOB IL TENDONE!» Tendone? Quale tendone? Ah, quel tendone. Stavo per dire ai due che non c'era alcun bisogno di urlare a quella maniera, l'avevo visto il tendone. Okay, non era così vicino prima però. Non so di quanto non lo presi in pieno, ma comunque lo schivai. Eravamo salvi, eravamo vivi, nessuno si era fatto male. L'atterraggio lo feci poco distante dal tendone, più o meno a qualche metro da un gruppetto di ragazzi che stava andando alla festa. No, non li avevo quasi acciaccati, figurarsi. «Arrivati» asserì, spegnendo il quadro dell'auto e scendendo dalla macchina. Tutto sommato, era andata benone. Circa. Invitai i due a muoversi, e insieme ci incamminammo verso l'entrata. Solo che, dopo essere entrati... Non so, non mi andava più tanto di stare lì. «Dobbiamo farlo per forza, ragazzi?» chiesi loro, prima di assecondare i loro successivi movimenti.
    Phobos Campbell - And now, I have finally seen the light

    © psìche, non copiare.


    Edited by #Phobos - 13/6/2015, 22:35
     
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    « sheet - 24- ex slytherin (wizard, illusion) - death eater- pensieve »
    Rea, le gambe sottili allungate sul tavolino davanti a sé, si infilava pigramente piccoli confetti fra le labbra. Lo sguardo scuro era fisso sulla sua immagine riflessa nello specchio, l’unica cosa interessante che meritava di essere guardata in quella stanza. Giaceva in solo intimo scuro, con i lunghi capelli color cioccolato ad accarezzarle pigramente le spalle e la schiena. E aspettava. Merlino, Rea Hamilton non era brava ad aspettare, nemmeno quando si trattava di mezz’ora. Non sapeva come il resto del genere umano spendesse il proprio tempo, né la cosa la interessava particolarmente, ma lei aveva di meglio da fare che stare ad aspettare insulse sarte che rimediassero ad errori di misura. Sbuffò, grattandosi il mento con l’unghia ben curata dell’indice. Una donna si schiarì la voce alle sue spalle, cercando, inutilmente, di attirare la sua attenzione. Rea non si mosse di un centimetro, alzando gli occhi al cielo scocciata. Cosa voleva un’altra volta, dirle che era maleducazione mettere le gambe sul tavolo? Che, per il buon costume, doveva mettersi qualcosa addosso? Vi prego, era di Rea Hamilton che si stava parlando. Il pudore ed il senso civico non avevano mai bussato alla sua porta. La invitò alzando le sopracciglia ad avvicinarsi, e la donna –le mani strette fra loro- fece come le era stato richiesto. Rea amava così tanto essere sé stessa, che le bastava il pensiero della copia sbiadita –Charlotte- per sentirsi male fisicamente. Ella portava così male le grazie che Madre Natura aveva loro donato. Non sapeva sfruttare il potere Hamilton, e la cosa, Rea lo immaginava già, le avrebbe recato un grande imbarazzo in futuro. Aveva una reputazione, ci mancava solamente che qualcuno la scambiasse per la gemella che raccoglieva fiori all’Avis facendone coroncine per i fringuelli. “Lei è proprio sicura che la signora Bulstrode abbia detto di addebitare tutto sul suo conto?” La mora sorrise maliziosa, spingendo con la punta del piede calzato sullo specchio in modo da avere la donna davanti ai suoi occhi, e non solo riflessa sullo specchio. Emily Bulstrode, quale vecchia e preziosa conoscenza di Rea Hamilton. Purtroppo per lei, le aveva chiesto un favore: nessuno, sano di mente, avrebbe mai dovuto farlo. Era un debito che Rea non avrebbe mai colmato, creando anzi situazioni che avrebbero ingigantito quella lacuna. O almeno, quella era stata la sua intenzione sin dall’inizio, quando si era sporcata le mani per conto della signora. Era però giunto il momento che quel debito venisse saldato: l’esperimento 173, Rea Hamilton, non esisteva più. Nessuno sapeva che aveva perso i poteri, e tutto grazie al lavoro minuzioso della donna. Se Rea non avesse trovato così comodo creare illusioni, fingersi qualcun altro, avrebbe anche potuto considerare la situazione chiarita. Ma era Rea Hamilton. Ed aveva una gemella, Charlotte, che a causa della sua memoria birichina poteva incolpare per qualunque malefatta. Aveva odiato Charlie per essere apparsa anche nel suo mondo, rovinando e contaminando l’unica cosa che era sua. Creando, per l’ennesima volta, un’altra fastidiosa ombra che la privasse della luce. Era sempre stata la più buona, gentile, simpatica. Quella più amata, sia dai suoi genitori che dal parroco della chiesa, dai chierichetti e probabilmente dal Signore in persona. Aveva sperato di liberarsi di quel fastidioso fardello, di poter essere una stronza egocentrica senza la necessità di venir sempre paragonata al Mosè dei poveri. E invece. Il risvolto positivo? Era un capro espiatorio perfetto. Il giorno prima, la Hamilton era entrata nel negozio d’alta sartoria ad ordinare un abito per la festa indetta dal Black Jack, a cui perfino lei non poteva mancare. Era l’evento dell’anno, il che significava molte cose: tanti occhi su di lei, che facevano sempre piacere; segreti, che davano sempre potere; whisky, buona compagnia, e se era fortunata delle amarene. Non era entrata con il suo aspetto abituale, ma vestita con la Bulstrode –che, come tutto, le stava alla perfezione. Aveva scambiato qualche parola con la proprietaria, ricordato vecchi tempi in cui aveva solamente tirato ad indovinare gli avvenimenti buttando qua e là delle bevute di sherry, ripetuto i suoi titoli almeno quattro volte, e con fare accorato si era spesso portata la mano al petto. “Oh, cara, spero davvero non sia un disturbo” Aveva congedato così la proprietaria, commissionandole un abito e poggiando con fare rassicurante la mano sulla sua. Grazie Bubu, non dovevi. Aveva pensato con un ghigno ironico, lasciandosi alle spalle Emliy per tornare Rea in meno di un battito di ciglia. Oh Le mostrò il broncio, spalancando gli occhi scuri. “Pensa davvero che potrei mentirle? Se preferisce chiamo Emily, potrebbe perfino venire qua…” Aveva notato come la donna si era irrigidita, alle sue parole. La deduzione era un’arte sottile ed affinata nel tempo, sbagliare significava perdere la partita. “…Ma non credo ne sarebbe felice, dopo l’ultima volta Fece spallucce, sopprimendo il sorriso vittorioso alla vista del singulto della sarta. Bingo. Chissà cos’aveva fatto, quella cattivona di una Bulstrode. Non era il tipo da minacce a cielo aperto, probabilmente aveva solamente fatto alludere a qualcosa di molto, molto cattivo. Che birbantella. La sarta borbottò qualche scusa, chinando il capo ed indietreggiando per tornare al suo lavoro. La mora sciolse l’ennesimo zuccherino sulla lingua, spostando l’attenzione sulla vetrina dalla quale era possibile vedere la Londra babbana. A quell’ora il negozio avrebbe dovuto essere chiuso, considerando che erano ormai le undici di sera passate, ma essere Emily Bulstrode aveva i suoi vantaggi. Il loro era un rapporto… particolare. La donna a capo della censura poteva pensare quello che voleva di Rea Hamilton, ma doveva ammettere che portava sempre a termine ogni lavoro che le veniva affidato. E sapeva essere molto riconoscente. Per questo era apprezzata, di certo non per la sua disarmante simpatia. E sempre per quello, a dispetto di quanto pensavano Damian Icesprite ed i suoi adorati colleghi al Ministero, aveva fatto carriera. Lavorare bene, per le persone giuste. Favori che le avevano permesso di cancellare i suoi problemi, di vivere in una lussuosa casa nella periferia di Londra. Se poi di mezzo c’era perfino qualche intrallazzo piacevole, chi era lei per dire loro di no? “Signorina…Il suo abito è pronto” Rea si alzò languidamente, mentre un sorriso soddisfatto inarcava le labbra carnose. Battè le mani fra loro, una volta, complimentandosi per il buon operato. Indossò gli stivali neri con il tacco, alti fin sopra il ginocchio, quindi si mise in posizione sul palchetto sopraelevato di modo che potessero fare gli ultimi aggiustamenti. Un corpetto stretto fasciava le curve sinuose della donna con una scollatura a cuore, metà rosso, metà nero, legato strettamente dietro le spalle con sottili lacci; una gonna a vita alta scendeva da poco sotto il seno fino a chiudersi ad un palmo dall’inguine, continuando poi morbida attorno alle gambe nude, prive sul davanti di alcuna protezione. Alla faccia dello spacco. Anche questa si presentava metà nera e metà rossa, come i semi di un mazzo di carte, invertite però rispetto al corpetto. Sopra il corpetto, una giacchetta corta copriva le spalle fino a metà schiena, con maniche a sbuffo, interamente nera se non per qualche intarsio dorato. Fece una piroetta, osservando con piacere come la gonna la lasciasse libera nei suoi movimenti senza però lasciar vedere più di quanto fosse necessario. Era un abito fine, non volgare. Il colletto bianco circondava il viso di Rea, senza però privarla della vista periferica (il che era un bene per eventuali minacce, ed un male perché le toccava vedere le persone. Non che fosse un problema particolarmente rilevante, avrebbe finto di non vederle come al solito). Una sottile cintura bianca separava la gonna dal corpetto, decorata con piccoli cuori rossi. Annuì compiaciuta. Lavoro meraviglioso. Vi dispiace se uso il vostro specchio?Dovremmo chiud-..” Inclinò il capo ridendo, accarezzando con la guancia il tessuto inamidato del colletto. “Oh, la mia era solo una domanda retorica Così dicendo scese dal piedistallo, posizionandosi di fronte allo specchio più grande del negozio. Con il rossetto rosso si disegnò un cuore sulle labbra, schiarendo invece del medesimo colore della pelle lo spazio in eccesso. L’ombretto scuro faceva risaltare i grandi occhi di Rea, così come il mascara che le inspessiva le ciglia. Grazie Amortentia. Raccolse i capelli, lasciando solamente qualche boccolo cioccolato ad incorniciarle il volto. Il sorriso che rivolse allo specchio, mentre posava una piccola ed elegante corona dorata sopra il capo, aveva un retrogusto amaro. Era vuoto, quel sorriso. The heartless queen of hearts. “Di queen ce ne sono tante” Ammise, stringendo le labbra fra loro e prendendo fra le mani guantate di bianco un sottile bastone nero. Questi presentava all’estremità un fenicottero dorato, che nel becco teneva una carta di cuori. Ovviamente, se si svitava il fenicottero, un adorabile lama avrebbe fatto capolino dal bastone. Solo per necessità, come il pugnale incastrato dentro lo stivale sinistro. Ma di regina ce n’è una sola” Concluse, picchiando il bastone per terra ed ammirando la sua impeccabile figura allo specchio.

    Fu con elegante ritardo che Rea Hamilton mise piede al Wicked Park. Non appena il piede ebbe varcato il confine del parco…non accadde nulla. Notò espressioni confuse, sopracciglia aggrottate. C’era perfino l’inizio di qualche deliziosa rissa mentre lei, ignara di tutto, si dirigeva al tendone dove si sarebbe tenuta la festa. Un ghigno divertito incurvò appena le labbra, quando finalmente vide ciò che Black Jack aveva in serbo ma anche in inglese per loro: il suo sguardo leggero come le ali di una libellula accarezzò la pista da ballo, la zona del buffet –nemmeno un amarena, maledetto-, gli invitati. Se ci fosse stata un’altra regina di cuori, si sarebbe sentita molto offesa. “CHARLIE! EHI CHARLIE!” Doveva essere uno scherzo di pessimo gusto. Doveva essere qualcuno che si rivolgeva a qualcun altro, non a lei. Invece no, perché sarebbe stato troppo bello: un’idiota, vestito coerentemente da idiota, si piazzò sorridente proprio davanti a lei. La Hamilton picchiettò distrattamente il bastone per terra, assottigliando le palpebre verso il nuovo arrivato. “Aaah, sapevo non ti saresti scordata della festa! Il vestito da Jasmine? Si è rovinato?” Gli rivolse un sorriso freddo, a labbra dischiuse. “Innanzitutto, buona sera Iniziò con voce bassa, servendosi con quello che sperava non fosse vero tè. Merlino, solamente Charlotte poteva proporsi per vestirsi come una kebabbara d’alta classe. Che delusione. “Non si è rovinato, l’ho riciclato perché era veramente orribile: guarda, è là la tua Jasmine Gli posò il braccio sulle spalle, spostandolo verso la direzione giusta. Divertiti Lo congedò sarcastica alzando le sopracciglia ed indicandogli una ragazza vestita da Jasmine, per poi portarsi –oh, vodka!- il liquore alle labbra. Forse avrebbe dovuto dirgli che non era Charlotte. Ops.
    rea hamilton - someone's head is going to roll for this

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    Non so descrivere i vestiti, voi fate un misto tra questo e questo in versione meno bagasha ignuda grazie <3
    p.s. ricordo: rea (switch) xav


    Edited by stilesbreaker' - 5/6/2015, 23:25
     
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  5. sheridan's
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    JAOdWul tumblr_nw6r86Eows1udoogzo2_250
    « sheet - 15 - ex-slytherin - wizard: moltiplicazione - pensieve »
    Sheridan non era un amante del silenzio, perchè quella sensazione di vuoto piatto aveva sempre troppo da dire, era sempre troppo pesante e densa per le sue orecchie e la sua mente. Amava la musica, per questo teneva la radio accesa perennemente su Radio Strega Network, amava cantare, senza preoccuparsi che qualcuno potesse udirla, perchè le importava solo sentire la propria voce riempire il vuoto. Giugno era solo agli inizi, la scuola era finita e questo significava che lei, che da un po' di tempo ormai non aveva più una casa, avrebbe dovuto chiedere asilo a Damian, suo cugino. Era conscia del fatto che villa Icesprite - Howe non fosse il massimo del divertimento, per una quindicenne in particolar modo, ma probabilmente restare a scuola, tra i fantasmi ed i quadri odiosi, sarebbe stato anche peggio. E poi, chi era lo sfigato che, d'estate rimaneva in Scozia? Lei voleva viaggiare, vedere il mondo, passare l'estate in Sardegna e divertirsi. Sua madre non la voleva in casa, ma non le negava il denaro per vivere, dopotutto le spettava. E poi lei aveva un potere speciale, che le permetteva di non sentirsi mai sola. E no, non era la moltiplicazione - per quanto fosse sicura che passare il tempo con sè stessa fosse molto piacevole. Lei poteva dar vita ai personaggi dei libri, tramite quel potere chiamato realtà artistica, ed allora si ritrovava a fare conversazioni interessanti con Alice, o ammirare la bellezza di Aurora, la bella addormentata, oppure quando voleva una compagnia maschile, portava sul Lago nero il libro di Robin Hood e dava vita al ragazzo, per tirare con il suo arco o anche solo per allenarsi insieme a lui. E avevano così tante cose da dire, che era impossibile per lei sentirsi sola. Fortuntatamente, nonostante tutto potesse sembrare strano, non aveva perso il contatto con la realtà, mantenendo le proprie amicizie o quelle che poteva definire tali.
    Quel giorno in particolare, parlare con Biancaneve le aveva aperto un mondo, perchè a quanto pareva, qualcuno con il suo stesso potere, aveva dato vita ad uno dei sette nani, Mammolo. Il motivo le era sconosciuto - e forse non voleva nemmeno saperlo - ma probabilmente, secondo Biancaneve, quel qualcuno voleva un consiglio di moda dal nano, perchè doveva partecipare ad una festa con tema le fiabe, che si sarebbe tenuta quella sera al Wicked Park.
    Perchè proprio Mammolo? Io avrei chiesto consiglio ad una principessa. Aveva provato a dire a Biancaneve, ma quella, risentita, le aveva risposto subito con tono seccato.
    Nessuno ha più stile di Mammolo nel nostro mondo. È un vero maestro. E lei l'aveva fatta sparire con uno schiocco di dita, perchè le stava già antipatica. Ma sarebbe andata a quella festa, e ironia della sorte, aveva intenzione di vestirsi proprio da Biancaneve. Forse perchè la sua condizione e quella della principessa erano così simili attualmente... entrambe avevano una madre (ed una matrigna) che le rifiutava. Certo, sua madre non era ancora arrivata a volere il suo cuore che lei sapesse, ma il passo tra il rifiuto e l'omicidio era molto breve, almeno per Sheridan.
    Sdraiata sul proprio letto nell'alloggio ad Hogwarts, sul Lago nero, aveva sfogliato le pagine di quel libro ingiallito dal tempo, trovando quella perfetta che racchiudeva, in un'immagine, l'essenza di ciò che stava cercando. Il vestito di Biancaneve, sul quale passò il polpastrello, desiderando di vederlo realizzare nella stanza, ed accadde, il vestito adesso stava posato sul baule di legno ai piedi del suo letto. Un urlo di gioia. Balzò giù dalle coperte con un'agilità ed un eleganza degne di un essere dei boschi e leggera si mosse fino all'abito, prendendolo e stringendolo tra le braccia. Aveva il suo vestito, senza quell'insulsa di Biancaneve tra i piedi. La festa era quella sera, lei doveva prepararsi e capire come arrivare la Parco. Si infilò sotto la doccia, alzando la musica di RSN a tutto volume. - SPAZIO PUBBLICITARIO PER GIOVANI MAGHI! - Black Jack, il famoso mago senza nome che da anni si infiltra alle feste, rendendole... particolari (ricorderete tutti il winter party) ha deciso quest'anno di organizzare una festa in grande stile, tutta di sua mano. [...] si sporse fuori dalla doccia per sentire meglio, lasciando che numerose goccioline scivolassero dai suoi capelli per infrangersi sul pavimento. Voleva ascoltare meglio. [...] Una passaporta porterà i babbani ed i maghi speciali da Hogwarts al Wicked, ed un'altra, in partenza alle 23:20, da New Hovel al parco.
    I maghi speciali?! Si rinfilò dentro la doccia, infastidita da quella voce fin troppo squillante per le sue fragili orecchie.
    Aveva poco tempo per prepararsi, ma era sicura che non sarebbe stata la solita festa monotona a cui sua madre la costringeva a partecipare, ma in cui puntualmente riusciva a trovare un'.....ottima compagnia a fine serata, mandando la donna su tutte le furie. Aveva mandato un Gufo a Megan, Karma ed Arabells, per chiedere se avessero partecipato e la risposta non era tardata ad arrivare, da parte di Megan e Karma, che le avevano dato una risposta affermativa. Arabells invece non le aveva risposto, tsk. Niente la tratteneva più in quel castello, così ad una certa ora, aveva voluto osare di più, aveva deciso di dar vita non solo a Mammolo, ma a tutti i sette nani! Dopotutto una Biancaneve senza uomini intorno non era credibile, e lei voleva che quegli ometti le stessero intorno e la venerassero come nella fiaba. Peccato che Brontolo, all'entrata del castello, mentre sostava poggiata pigramente sulla porta d'entrata, non era stato della sua stessa opinione, e aveva sollevato una rivolta da cui Sheridan si era salvata per un pelo. A quanto pareva, non avevano intenzione di rimanere con lei perchè non era la loro Biancaneve. Simpatici. E poi erano fuggiti, correndo sulle loro gambine corte, e poi sparendo nel nulla, dandole della disgraziata.
    Ma non importava, non aveva bisogno di loro per sentirsi completa. Era perfetta comunque. La gonna gialla del vestito le ricadeva morbida sulle gambe perfettamente dritte, il corsetto azzurro del vestito le fasciava la vita, stringendole il poco seno che aveva e sollevandolo un po'. Un nastrino rosso fasciava come un cerchietto i suoi capelli scuri, lasciati liberi e mossi oltre le spalle. Il mantello rosso sfiorava il terreno senza mai toccarlo. Si sentiva davvero una principessa con quell'abito. Non che senza non si sentisse ugualmente all'altezza di quella squallida di Biancaneve, comunque.
    Attese l'arrivo delle sue compagne, finchè poi non vide arrivare Megan, vestita da Cappuccetto Rosso. Le labbra rosse si allargarono in un sorriso sincero, mentre pensava a quanto fosse bella - ma non più di lei - quella sera. Oh, sarà pieno di cacciatori stasera Lynn, stai attenta. Inarcò un sopracciglio, maliziosa come amava essere, e poco dopo arrivò anche Karma, Prefetta Serpeverde, anche lei molto bella, anche se Sheridan non capì da cosa fosse vestita, ma il vestito era....stupendo. Da cosa sei vestita? Dopo una sventolata di capelli, uscì insieme alle compagne per avviarsi alla Passaporta.
    Arrivate ai cancelli del Wicked Park, l'unico pensiero di Sheridan era quello di trovare di trovare quante più facce conosciute possibili. Ma non appena oltrepassato il cancello principale, vedere tutte quelle persone, che sembravano osservarla, la inquietò in un modo spaventoso e soprattutto mai avvenuto in passato. Solitamente, le feste la mettevano di buon umore, e non che adesso non lo fosse, lo era, ma...qualcosa la frenava. Oh, accidenti, gli ci sarebbe voluto un po' per ambientarsi in mezzo a tutti quegli estranei. Doveva bere, subito. Era l'unico modo per sciogliersi. Ma aveva quindici anni, non le avrebbero mai dato da bere alcolici...Forse avrebbe dovuto provare a corrompere, gentilmente, qualche adulto tra i presenti. Dopotutto aveva buone intenzioni e non voleva sicuramente cacciarsi nei guai. Si fece incuriosire dai presenti alla festa, dai loro abiti in particolare e la sua attenzione ricadde su una ragazza vestita da Regina di cuori. Bella senza dubbio, ma quell'abito...era stupendo. Scusate, ragazze. Quando mai lei si scusava per abbandonare le sue compagne? Fece quale passo verso il tendone rosso, non sapendo bene come approcciarsi alla ragazza. Bellissimo abito. Disse infine, osservandola. Sembrava molto sicura di sè, almeno in apparenza ed aveva un'aria terribilmente familiare, ma Sheridan non conosceva niente di lei...che l'avesse vista forse in una foto di Icesprite? No, impossibile.
    Sheridan Lestrange as snow white; carattere di Christopher Fraser
    « YOU MADE A REALLY DEEP CUT, AND BABY NOW WE GOT BAD BLOOD »

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    Parla con Rea


    Edited by shane is howling - 1/2/2016, 19:11
     
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  6. chri(stop)her
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    iJA8ctU
    « WIP - 15 - ravenclaw - rebel - pensieve »
    Non conosceva le mani che gli sfioravano i capelli, non conosceva l’odore acre e forte che aleggiava nello scantinato, non conosceva la ruvidezza del tessuto del cuscino del divano contro il quale gli tenevano schiacciato il volto ancora paffuto di bambino. Un bambino che stava per crescere in fretta. Un bambino a cui stavano strappando via nel peggiore dei modi il suo essere un infante. Non conosceva il tono di voce rude e graffiato del suo aguzzino, non conosceva la luce al neon che entrava dalla piccola finestra, illuminando le due figure ad intermittenza. Non conosceva nulla di tutto ciò, ma avrebbe imparato a conoscerlo come niente prima d’ora.
    Christopher Fraser si svegliò di soprassalto, urlando talmente forte da sentire male ai polmoni. La maglietta dei rolling stone che aveva fregato a Blaze, bucata in più punti, gli aderiva al torace magro come una seconda pelle, le lenzuola erano aggrovigliate attorno a suoi piedi, i capelli arruffati dal muoversi nel sonno, il cuore che batteva ad un ritmo irriconoscibile. Respirando profondamente Chris mise un piede scalzo sul pavimento, beandosi momentaneamente della freschezza delle assi di legno poi, cercando di abituare gli occhi stanchi al buio, guardò verso il letto di Blaze notando con sollievo il gemello dormire ancora profondamente. Si alzò in piedi, avvicinandosi leggermente a lui, rimanendo fermo qualche secondo davanti al letto. Osservò la figura apparentemente minuta, così raccolta nella posizione fetale, osservò il volto famigliare disteso nella pace del sonno. Quanto gli era mancato, sentirlo vicino ogni notte, abituare il proprio respiro al leggero russare di Oscar che oramai da una vita lo introduceva al mondo dei sogni. Allungò una mano, lentamente, con riluttanza, e sfiorò una ciocca di capelli castani del fratello, scostandogliela dalla fronte. Aveva bisogno di quei piccoli gesti, aveva bisogno di sentire che era vero, che non era un sogno. Aveva bisogno di toccarlo, di sentirlo parlare, di sentirlo vicino, altrimenti avrebbe perso nuovamente il contatto con la realtà. Altrimenti si sarebbe nuovamente convinto di essere in un sogno, come quando l’avevano portato farneticante al San Mungo qualche giorno prima. Si allontanò di qualche passo dal letto del fratello, osservandosi le mani nell’oscurità. Erano mani che non riconosceva, così pulite, così estranee. Erano mani che in molti avevano stretto, dopo il suo ritorno, senza sapere cosa erano state costrette a fare, a subire. Si tastò ogni dito, rassicurandosi nel riuscire ancora a sentire in ognuno il punto esatto in cui era stato rotto. Come un antistress, passò ritmicamente i polpastrelli su ogni dito. Non sentiva più nulla, oramai. Non sentiva più il dolore.
    Uscii dalla stanza in punta di piedi, chiudendosi la porta alle spalle senza fare rumore e si inoltrò nel corridoio affidandosi solo alla memoria e al tatto. Una mano contro il muro, nella mente il ricordo del lungo corridoio che terminava con una rampa di 16 scalini tutti uguali, tutti perfettamente simmetrici. Si lasciò scappare un sorriso, voltandosi verso la camera dei genitori. Era sempre stata una fissa di sua madre, tutto doveva essere perfettamente simmetrico, altrimenti non andava bene. Oh, se solo si fosse resa conto di quanto era diventato marcio il suo bambino perfetto! Iniziò a scendere gli scalini, passo per passo, la mano sempre contro il muro, altrimenti sarebbe stato risucchiato dall’oscurità che sicuramente l’avrebbe fatto tornare prigioniero. Si fermò quando le sue dita vennero a contatto con una cornice fin troppo conosciuta, e senza che riuscisse ad impedirlo unalacrima gli corse lungo la guancia ancora perfettamente levigata, ancora così infantile. Il volto era l’unica parte del corpo che il suo aguzzino non aveva mai marchiato, per questo era la parte che Christopher proprio non riusciva a guardare quando per caso incappava in uno specchio. Tastò con le dita il profilo sorridente di Blaze, ricordando perfettamente il suono della sua risata quel pomeriggio, poi passò ai capelli di Bells, e le lacrime tornarono a scendere copiose, inumidendogli le labbra, il collo. Sfiorò lievemente gli occhi della sua amica, rabbrividendo. Si sforzava di non pensare alla maledizione. Si sforzava di non pensare al fatto che da qualche giorno aveva iniziato a macchiare il caffè con il rum e non con il latte, anche solo per riuscire a salutare sua madre al mattino.
    Continuò a camminare, scendendo i sedici scalini, oltrepassando l’ingresso e scendendo ancora, fino ad arrivare nello scantinato. Quando, dopo il suo ritorno, tutti si erano messi all’opera per svuotarlo Chris aveva dato di matto. Con mani tremanti accese la luce, e subito la stanza si illuminò. Al centro, un grande divano marrone così simile al suo, che era l’unica cosa capace di farlo sentire a casa. Avanzò, adesso non più sicuro, fino al divano e vi si lasciò cadere sopra, chiudendo gli occhi incurante delle lacrime che continuavano ad affollarli e, nel giro di pochi minuti, con la famigliare sensazione del ruvido contro la guancia, si lasciò nuovamente prendere dal sonno.

    Filtrava la luce naturale del tardo pomeriggio dalle finestre, quando Christopher aprì per la seconda volta gli occhi mettendo a fuoco due figure ben note. Arabells e Oscar erano accovacciati a pochi centimetri dal suo volto e lo fissavano entrambi con lo stesso sorriso. Un sorriso al quale il vecchio Chris avrebbe risposto con un’alzata di spalle, il sorriso che il nuovo Chris pregava ogni notte di rivedere. Si sforzò di schiudere le labbra in un sorriso, stroppicciandosi gli occhi arrossati dal pianto. Se c’era una cosa che non voleva, si era detto fin da subito, era che i suoi due migliori amici soffrissero ancora a causa sua. Avevano già tanto a cui pensare, fra la maledizione e l’inizio del nuovo anno che li avrebbe visti entrambi capitani di quidditch, che Chris non voleva si sobbarcassero anche i suoi mali. Si mise seduto, soffocando uno sbadiglio contro un pugno chiuso, ed interrogò gli amici con lo sguardo, non potendo ancora spiccicare parola. Prontamente, Bells tirò fuori dalla tasca dei pantaloni una fiaschetta e gliela porse. Chris se la rigirò fra le dita per qualche secondo, poi sollevò lo sguardo ancora interrogativo sull’amica. «Si, è veritaserum» disse lei, soffocando un sorriso. Allora Chris svitò la bottiglietta e ingoiò in pochi sorsi tutto il suo contenuto. Non era mai piacevole bere alcool di prima mattina, ma giorno dopo giorno ci stava facendo l’abitudine. Non che fosse prima mattina, poi, vista la luce arancione che rendeva la stanza ancora più inquietante. «Che ore sono?» biascicò, «Cosa ci fate qui?» Si alzò, andando con sicurezza verso il bagno. Nonostante ogni notte provasse a dormire nel suo letto, non riusciva a domare gli incubi e l’unico posto dove riusciva a dormire era lo scantinato. Quindi era diventato normale, per lui, lavarsi nel bagno dove solitamente facevano il bucato. «La festa, Chris! Te ne sei già dimenticato?» gli domandò Oscar, scompigliandogli i capelli biondi con una mano. La festa, ma certo. Certo che non se ne era dimenticato, anzi. Solo che non voleva pensarci. E se a quella festa ci fosse stato anche lui? Chi gli garantiva che non l’avrebbe preso di nuovo? Erano domande a cui non riusciva a dare una risposta, ma quando Bells aveva insistito perchè ci andassero, tutti e tre, come ai vecchi tempi, lui non se l’era sentita di tirarsi indietro.
    Per quel motivo si era lasciato convincere a mascherarsi come il grillo della fiaba di Pinocchio. Per quel motivo, alle undici del sei Giugno, seguiva i suoi due migliori amici fino a King’s Cross. Arabells, in testa, vestita come il più bello dei pinocchi, subito seguita da Oscar, così sempre Oscar anche nei panni del gatto con gli stivali. Chiudeva il terzetto lui, infagottato nella versione moderna dell’abito del grillo parlante. Un paio di pantaloni beige, lunghi, gli fasciavano le gambe fin troppo magre e sopra portava una maglietta rossa, coperta in parte da un’elegante giacca nera. In testa un cilindro nero, con una fascia gialla che si abbinava al colletto della maglietta. Un vero damerino, insomma. Peccato che di parlante, ora che l’alcool in corpo si era esaurito e che non avevano portato dietro nulla, aveva ben poco. Attesero il nottetempo chiacchierando o, meglio, provandoci. Con Chris che poteva parlare solo a gesti, Bells che poteva solo mentire e Blaze che poteva solo dire il vero, le loro conversazioni ultimamente erano diventate davvero spettacolari. Il nottetempo passò puntale, e loro si affrettarono a salire. Il viaggio fu infernale proprio come se lo ricordava, e Chris lo passò attaccato a Blaze e Bells come una cozza. Si fermarono con uno scossone davanti al Wicked, e tutti e tre finirono con il volto ben schiacciato contro il vetro nella copia più simile ai tre porcellini che ad imitazioni di Pinocchio.
    Entrarono per mano, come se restare fisicamente uniti potesse risanare anche le crepe che si erano create nel loro rapporto, ma non appena passarono i cancelli Chris fece scivolare via la mano da quella di Bells, osservando il paesaggio attorno. Un tendone rosso, non troppo grande ma neanche così piccolo da passare inosservato, spiccava fra le varie attrazioni ed attirò subito la sua attenzione. Improvvisamente, lui che non aveva per niente voglia di partecipare alla festa, venne sopraffatto dalla curiosità, e dalla voglia di conoscere persone. In fondo, era stato via troppo tempo, e probabilmente tutti si erano scordati di lui. Adeguò il passo a quello dei suoi migliori amici, rivolgendo loro un sorriso aperto, poi si voltò cercando con lo sguardo volti conosciuti. La festa stava per iniziare, e non vedeva l’ora di scoprire quali incanti celava il tendone rosso. Blaze gli aveva raccontato della spettacolare festa invernale che il tale Black Jack aveva organizzato, e Chris improvvisamente non vedeva l’ora di scoprire quali sorprese Black Jack avrebbe riservato loro quella notte. Sperava, solo, che ci fosse gente degna con cui condividere la serata. Si voltò di nuovo verso i compagni e, prendendoli nuovamente per mano, li trascinò entrambi verso il tendone: aveva bisogno di alcool o la festa, almeno per lui, non sarebbe mai decollata.
    Christopher Fraser- «He was trying to tell me something.»

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    Edited by chri(stop)her - 11/6/2015, 13:37
     
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    Uscii dalla doccia senza preoccuparmi di trovare qualcosa con la quale coprirmi, almeno per il momento. La scuola era, ancora una volta, finita ed io ero ancora una volta senza un posto dove andare per l’estate. Di tornare a casa non se ne parlava nemmeno. Erano più di tre estati che non vedevo mio padre e non lo avrei rivisto di certo allora. Mi era arrivata la sua lettera l’ultimo giorno di scuola come ogni anno. Come d’abitudine la aprii, diedi una lettura veloce e la stracciai per buttarla nel cestino magico che la inghiottì con gusto. Tesoro mi manchibla bla Sono il tuo papà e devo sapere come stai bla bla. E bla, bla, bla. Le solite balle: non gli fregava nulla di me e mai nulla gli sarebbe importato. E a me andava benissimo così. Mi andava meno bene però, quell’anno, passare la mia estate come l’avevo passata gli anni precedenti: ogni sera ad una festa, ogni notte con una persona nuova in casa sua dove poi usufruivo del suo bagno per una doccia e la sua cucina per mangiare. I giorni in cui non avevo proprio voglia, che non erano nemmeno troppi, andavo da quei pochi amici che avevano voglia di ospitarmi per un po’. Vivevo a scrocco di sconosciuti, passavo con loro la notte e poi depredavo la loro cucina e scomparivo nel nulla. Era divertente ed eccitante, mi era sempre piaciuto molto. Ma non ne avevo voglia. Per quell’estate desideravo qualcosa di nuovo, di eccitante in modo diverso. Ma non avevo idee per il momento e la cosa non era un problema da niente. Decisi però infine che alla festa che ci sarebbe stata quella sera al Wicked Park avrei chiesto a qualcuno di ospitarmi per un po’, fino a che non avrei capito quello che volevo fare nei tre mesi seguenti. Tirai fuori dall’armadio il vestito che avevo comprato per l’occasione. Era una festa a tema favole ed io avevo poca esperienza sull’argomento. Eppure ricordavo che, quand’ero piccola, a scuola ci avevano letto la storia di una sirena o qualcosa del genere, alla quale una strega aveva rubato la voce, per poi prendere sembianze di una donna bellissima e conquistare l’amato della povera sirenetta. Mi ricordo di aver pensato:Ma questa è una stronza! Inutile dire che era il mio personaggio preferito. Avevo comprato un vestito nero e avevo aggiunto a questo una cintura, mi sembrava potesse andare bene nonostante non ricordassi minimamente qual era il vestiario della strega marina, esattamente come non ricordavo il suo nome. Mi era rimasto impresso invece un altro dettaglio: la terribile creatura marina, infatti, aveva intrappolato la voce della sirenetta in una collana a forma di conchiglia, che io mi ero procurata tramite amici di amici e un paio di… favorini. Mi infilai in fretta e furia della biancheria intima semitrasparente di colore bianco –incredibile pensare che solo sei mesi prima ero andata ad un’altra festa ma non mi ero preoccupata minimamente di questo “dettaglio” -per poi mettermi il vestito, incredibilmente morbido sulla mia pelle. Mi sembrava di indossare solo un velo. Feci una piccola piroetta che fece roteare con me l’ampia gonna nera del vestito, mentre tiravo fuori da una scatola bianca un paio di tacchi neri-che ovviamente non potevano mancare- e me li infilavo facendo attenzione ad allacciare bene tutti i piccoli laccetti. Il mio personaggio quella sera non sarebbe stato di certo cenerentola. Mi spruzzai un po’ di profumo su polsi, collo e caviglie. Non avevo mai capito perché ci si spruzzava il profumo pure sulle caviglie, ma lo facevo lo stesso. Infine, tirai fuori dal cassetto l’astuccio della collana. Quasi non osavo aprirlo. Mi morsi il labbro inferiore, indecisa sul da farsi. Che cosa sciocca! Aprirlo lo avrei dovuto aprire, dopo quello che avevo fatto per averla, non potevo di certo non indossarla. Ma era proprio ciò che avevo fatto per renderla mia che mi impediva di metterla con tranquillità. Decisi così di truccarmi per prim csa e mentre mi mettevo la matita, guardavo nello specchio con la coda dell’occhio l’astuccetto sul letto. Una volta finito, mi girai di scatto ed in una sola mossa aprii la scatol e mi infilai la collana al collo, per poi lanciare un’occhiata al mio riflesso. Era impossibile non far cadere lo sguardo sulla bellissima conchiglia argentata che avevo al collo. Quasi arrabbiata presi una bottiglia di vodka dal cassetto dove prima stava la collana una bottiglia di vodka che riservavo per le occasioni speciali e ne buttai giù metà tutto d’un fiato. Non vole o più essere…quella.

    Avevo raggiunto il Wicked Park in compagnia di megan e Sheridan, con le quali mi ero data appuntamento all’entrata del castello. Erano stupende, nel loro abito che io ovviamente non riconobbi a quale personaggio appartenesse. Tentai un sorriso tirato quando le vidi, cosa che per me era una novità. Ehi dissi con tono piatto continuando ad ammirare i loro abiti. Per bene, non lo neanche io. Hai letto la sirenetta? beh...la cattiva. Ridposi a Sher con un ghigno.Una volta arrivate al luna park, rimasi stupita da quanti personaggi delle favole fossero presenti. Streghe, fate, principesse, ma anche leoni e robot, riconobbi i personaggi del mago di Oz e un paio di principesse che comunque nel mondo babbano conoscevano un po’ tutti senza sapere bene la storia. Erano quasi tutti fuori a chiacchierare, ma alcuni stavano già entrando nel tendone dentro il quale si sarebbe svolta la festa. Vidi Shane, Nicole Cooper e Russel Cooper, Dakota e Niamh. E poi Stiles, nei suoi vestiti blu. Sembrava più spaventapassere del solito vestito in quella maniera…ma fu ancora peggio quando lo vidi in rosso. E poi in verde. Ricordai la bottiglia di vodka scolata poco prima e il Winter Party, quando avevo visto i tre Stiles e decretai che quando ero ubriaca moltiplicavo il prefetto Tassorosso per due.Sorrisi.Quanto mi piace bere. fu allora che ebbi il colpo di genio: perché non farsi ospitare da Stilinski quell’estate? Glielo avrei chiesto dopo, magari, una volta entrati e un poco più brilli, così da farlo imbarazzare ancora di più e convincerlo la mattina dopo che avevamo fatto cose tremende dopo la mia richiesta e che lui non se ne ricordava per via dell’alcool. Storsi le labbra però ricordando l’episoio negli spogliatoi di quidditch. Da allora non ne avevamo più parlato, io fingevo di non ricordarmene e a lui credevo andasse bene così. Eppure morivo dalla voglia che lui mi chiedesse qualcosa..e morivo dalla voglia di vendicarmi. E di avere spiegazioni. Se mi avesse ospitato quell’estate, avrei potuto avere tutte e tre le cose. Mi avviai verso il tendone, congedandomi dalleragazze. Entrai senza pensarci. Insomma, chi pensa a niente mentre varca una soglia? Eppure, sentii come un brivido sulla schiena. Ma poi più nulla. All’interno del tendone già molti ragazzi si stavano divertendo.



    ehi. La musica è orecchiabile. Mi ritrovai a pensare mentre muovevo la testa ritmicamente, i fianchi a tempo con la musica. Mi versai un po' di...qualcosa nel bicchiere e iniziai a muovermi tra la folla, ballando senza alcuna inibizione, sorridendo a chi chiedevo di farmi passare e, di tanto in tanto, scambiando con questi sconosciuti due parole.<b>Ehi!Bella festa vero? Prendi quello eh, te lo consiglio.<b>

    sheet sixteen mudblood slytherin neutralpensieve
    ©#epicwin








    Sono dal cell perdonatemi ma dovevo aggiungere il vestito! www.polyvore.com/fairytale_party/set?id=162764688


    Edited by Psychopath. - 5/6/2015, 23:02
     
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    Una folata di vento le fece ricadere sugli occhi un ciuffo ribelle, a Clarisse scappò una parolaccia. No, in realtà non le scappò affatto. Ci aveva messo una buona mezz'ora a sistemarsi trucco e capelli, e non aveva intenzione che il suo lavoro venisse vanificato da uno stupido sbalzo climatico. Maylis, la gemella, l'aveva aiutata a prepararsi approfittando di quel momento insieme per raccontare della propria giornata. Era una ragazza adorabile e sempre disponibile, probabilmente ella era l'unica persona su quella Terra a cui teneva e che amava per davvero. Maylis augurò buona fortuna baciandole la fronte e lasciando che Clarisse finisse si sistemarsi. La giovane si truccava sempre davanti allo specchio che era un tempo appartenuto alla nonna; questo era di forma ovale e aveva con una bella cornice intarsiata placcata di colore chiaro, un bianco sporco tendente al rosa. Era come una piccola tradizione personale. L'ombretto scuro le valorizzava gli occhi cerulei e il mascara allungava e volumizzava le ciglia rendendo lo sguardo ancora più penetrante di quanto era di solito. Aveva raccolto i mossi capelli castani sotto un copricapo di forma particolare, che aveva ordinato e aggiustato appositamente per la festa a cui doveva andare. Formato da un turbante nero con applicate due corna questo era tenuto fermo ed in perfetto equilibrio da un incanto e molte, ma davvero molte, forcine. L'abito, stretto sul corpetto, scendeva poi morbido sui fianchi grazie ad un ampia gonna. Un mantello con un colletto originale le copriva le spalle. In quelle nere vesti Clarisse impersonava, in tutto il suo splendore, Malefica della fiaba de La Bella Addormentata nel Bosco.
    Naturalmente il vestito non era stata una scelta casuale. La ragazza doveva andare ad una festa in maschera in tema favole. Aveva fin da piccolina adorato Malefica e questa era l'occasione perfetta per darle gloria. Sistemò il ciuffo, il quale formava un boccolo proprio davanti al suo naso, sotto il turbante nero e controllò con uno specchietto che null'altro si fosse guastato. A Lione l'estate si sentiva, l'aria era carica di umidità, di quella che ti entra nelle ossa, ma sebbene facesse caldo la temperatura era mitizzata dal vento che soffiava tra le vie. Ripassato il rossetto vermiglio sulle labbra e riposta accuratamente la bacchetta nella larga tasca del vestito, Clarisse si smaterializzò.
    Il rosso brillante di un tendone con la sua insegna accecate fu ciò che i suoi occhi captarono per primo. Le dimensioni erano modeste ma Clarisse immaginava che al suo interno lo spazio non sarebbe sicuramente mancato. Erano i classici trucchetti delle feste, ingegnosi e molto intelligenti. La francese non adorava con tutta se stessa le feste ma era solita parteciparvi per soddisfare i propri bisogni fisici. Alcol e bei ragazzi infatti non scarseggiavano mai. Magari lì alla festa avrebbe trovato qualche sua vecchia conoscenza, anzi, lo sperava in realtà. Non sarebbe stato affatto male rifinire a letto con qualcuno con cui era già stata, sicuramente sarebbe stato più semplice e meno faticoso che conquistare qualcuno da capo. La giovane ci sperava parecchio, sapeva le feste di Black Jack erano sempre molto partecipate, quindi la percentuale di possibilità che ciò accadesse saliva a dismisura. Tanta era la voglia da parte sua e altrettanta la curiosità di scoprire cosa la aspettava quella notte.

    Attraversò il cancello del giardino dirigendosi verso il tendone. Varcando la soglia di questo le si presentò un ricco buffet a tema, colmo di qualsiasi leccornia si potesse desiderare. Clarisse prese una tartina di Biancaneve ritrovandosi allegramente sorpresa dal colore viola che aveva preso la sua lingua. Sorrise tra sé mentre anche le labbra si tinsero della stessa tonalità. In altri casi si sarebbe scocciata di quella reazione non prevista ma stranamente la francese non diede peso alla cosa e, anzi, continuò a sorridere finché la bocca tornò alla normalità.
    Le persone cominciavano ad arrivare sempre di più andando così ad allargare il numero, già cospicuo, che si trovava sotto quella tenda colorata. Alcuni si guardavano intorno spaesati, altri sapevano benissimo chi o cosa puntare. C'erano persone molto diverse tra loro; di differente fascia di età, grado e status sociale. Notò vicino a lei delle persone che parlavano e una ragazza che ballava al ritmo della musica sulla pista a scacchiera. Alle feste che organizzava il misterioso Black Jack c'era davvero chiunque.
    Assetata Clarisse si diresse verso il tavolo delle bibite e prese un bicchiere di succo di mele frizzante che cominciò a sorseggiare lentamente. La voglia di alcol le era passata, chissà come mai. Ma aveva tutto il tempo per ubriacarsi per bene, non c'era di che preoccuparsi.
    SWICHED WITH ARWEN UNDOMIEL
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    Stiles incespicò negli abiti eleganti che teneva sotto braccio, ma non si arrese: impavido, giunse alle porte del Different Lodge. Non appena riuscì, seppur a fatica, a liberare la mano destra, cominciò a picchiarla contro il legno duro della porta. “Fremelli” Bussò tre volte. “Fremelli” Bussò tre volte. “Fremelli” Bussò due volte, ed alla terza il colpo andò a vuoto. Sorrise sornione al ragazzino che gli aprì, anche se questo sembrava voler tutto dalla vita tranne che un sorriso. Lo guardò masticando la cicca con aria annoiata, squadrandolo dalla punta delle scarpe alla cravatta da Tassorosso che giaceva snodata ai lati del collo. “Matthews, Stevens, quello strano vi sta cercando” Quello strano. Stiles arricciò il naso, scrollando le spalle divertito. L’avevano chiamato in maniera molto più offensiva, quello strano era quasi un complimento. Quella sera si sarebbe tenuta la festa al Wicked Park, di cui perfino Polgy Girl aveva parlato (certo, leggeva la sua rubrica: problemi?). Organizzata dal misterioso Black Jack, che nessuna sapeva chi fosse, perché lo facesse o dove prendesse i soldi. Per quanto la cosa titillasse il naturale istinto di Stilinski a svelare un mistero, traviato da un infanzia di Scooby Doo, non aveva mai indagato, felice che al mondo esistesse ancora qualcosa di…magico. Quella era la sua estate, dove sarebbe diventato grande: avrebbe dato i MAGO, e non si sarebbe più seduto dietro i banchi di scuola (se Superman voleva). L’idea lo terrorizzava, ma cercava di non pensarci. Come sempre, Stilinski viveva giorno per giorno. Aveva sudato fino alla fine, come i bravi asini pesa chiappe, un Accettabile in Erbologia, l’unica materia che il Tasso aveva insufficiente. Per la rubrica mainagioia, era proprio in quella che avrebbe dovuto sostenere l’esame per diventare Psicomago. Ogni volta che qualcuno gli chiedeva perché avesse scelto quel futuro, si limitava a stringersi nelle spalle con un sorriso ironico: “Qualcuno dovrà pur impedire ad altri ragazzini di diventare come me” rispondeva sincero, alzando le sopracciglia allusivamente. Ed era vero: nessuno preparava i ragazzi a quello che avrebbero trovato al castello, o, come aveva avuto modo di notare durante il tirocinio, fuori. Lui voleva essere quella persona, quella che per lui non c’era stata. Era un Tassorosso dopotutto, cosa vi aspettavate? Il biondino lo invitò ad entrare con un teatrale gesto della mano, al quale Stilinski rispose con un cenno del capo. Non voleva pensare a ciò che lo avrebbe atteso in quelle settimane di fuoco, voleva solamente divertirsi. Qual modo migliore, se non con la fremellanza? Spuntarono quasi contemporaneamente da dietro l’angolo, e per l’ennesima volta Stiles si stupì di quanto fossero uguali ed al contempo differenti. Riusciva a riconoscere Xavier dalla camminata sciolta ed il ghigno quasi impercettibile, Jay dal suo apparente desiderio di morire e portare chiunque fosse in quella stanza all’inferno con lui. Li amava. “Indovinate chi andrà a festeggiare, stasera?” Il suo viso fece capolino da sopra i vestiti coperti dal cellophane, più ingombranti di quanto mai avrebbe immaginato. Salutò, quasi lanciando fra le loro mani gli abiti che aveva preparato per loro. Si era molto ingegnato per il costume, ed alla fine aveva avuto l’illuminazione: le tre fate madrine della Bella Addormentata, Flora Fauna e Serena. Era così geniale, che avrebbe voluto battersi il cinque da solo… battere il cinque a Xav o Jay sarebbe stata la stessa cosa? Dubbi da fremello. Vedere due sé stessi continuava ad essere inquietante, ma lui riusciva a vedere tutti i risvolti positivi, e divertenti. Non si era nemmeno più interrogato, se non dopo la prima volta in cui aveva visto Jayson, sul come fosse successo. Per Stiles ormai erano parte della famiglia, in egual modo. Volenti, o –sempre troppo spesso- nolenti. Placò con dolci parole i loro dubbi riguardo il vestiario che aveva loro affibbiato, quando l’ebbero tirato fuori dalla custodia trasparente ed ammirato in tutta la sua bellezza: aveva portato con sé tre identici smoking di tre colori differenti –verde per sé, blu per Jay, rosso per il piromane-, completi di scarpe del medesimo colore; le tre bacchette sottili, sormontate da una stellina dorata, attendevano nella tasca interna della giacca di essere scoperte. Il clou, chiaramente, erano le tre coroncine in metallo: i goti t, from, my mama, quelle le scritte che sormontavano con orgoglio il sottile diadema. “Non fate così” Aveva detto con un amichevole gomitata, facendo loro il suo miglior sguardo da cucciolo maltrattato. “I maghi si vestono sempre così. Sembreremmo stupidi se non ci adeguassimo” E si era stretto nelle spalle, fiero di quella piccola menzogna. In quale altro modo avrebbe potuto convincerli? Loro non vedevano lo schema, il quadro generale, come invece era chiaro a Stilinski. Quello era il loro destino. I belli fremelli nel bosco. “Fidatevi di me” Ed aveva concluso con un sorriso a trentadue denti, socchiudendo maliziosamente le palpebre. Chiunque avesse fatto la sua –approfondita- conoscenza, sapeva che fidarsi di lui era probabilmente il peggior errore di sempre. I fremelli ancora mancavano di quel tassello, nella loro consapevolezza, a quanto pareva. Meglio per Andrew!
    Quasi si trovasse a casa sua, si fiondò nella camera di uno dei due, denudandosi pudicamente in un angolo della stanza. Razionalmente sapeva che erano identici, che avevano già visto tutto quanto c’era da vedere (era imbarazzante sapere che loro facevano pipì con il suo piccolo Stiles), però… era pur sempre il suo corpo quello, Andrew Stilinski. E soprattutto, quel corpo celava una mente assai contorta, che gli impediva di vedere i fremelli come uguali a sé. Lui riusciva a vedere le differenze fra loro. Chi li confondeva non aveva giocato abbastanza alla settimana enigmistica, la quale –com’era risaputo-, teneva allenato il cervello. Per un attimo ebbe la tentazione di confidarsi, come se trovarsi mezzo ignudo nella loro stanza fosse un incentivo ad un pigiama fremel party. Non aveva molti amici uomini a cui chiedere consiglio, considerando che Dakota era Dakota, Brian –purtroppo- era Brian, e Jack le reputava tutte amiche. Xav e Jay sembravano molto più esperti. Forse era solo il taglio di capelli (?). L’argomento Karma però era troppo spinoso per Stilinski, l’imbarazzo sarebbe stato tale che con la bacchetta avrebbe dovuto scavarsi una fossa delle Marianne personale. Preferiva fingere che nulla fosse successo, che quel pomeriggio non fosse mai esistito, che non fosse stato tutto così…. “Stiles?”C’è, STILES C’è” Rispose urlando, drizzandosi improvvisamente colto alla sprovvista. Strinse il nodo del papillon, guardando compiaciuto i due ragazzi già vestiti. Quanta bellezza in una sola stanza. “Anche le… coroncine?” La voce di Jay lasciava intendere che avrebbe preferito di gran lunga rotolarsi nelle codette zuccherate che gli elfi mettevano sopra i dolcetti, ma Stiles non si fece abbattere, ed annuì con convinzione. “Quelle sono il punto forte” Lanciò un’occhiata alle sue spalle, dove riusciva a vedere le ali iridescenti attaccate alla schiena, identiche a quelle dei suoi compari. Prese le coroncine a caso, piazzandone una sulla testa di ognuno di loro. Strinse il braccio attorno ai loro muscolosi -#credicistiles- fianchi, indicando poi lo specchio: lui, al centro, di un bel verde lime; alla sua destra il rosso fragola di Xav, ed alla sua sinistra un blu puffo Jay. Era l’unico a sorridere, vai a sapere il perché.

    Sapeva che non poteva prendere la passaporta, la quale era riservata ai soli wizard e babbani… ma se non si fossero presentati come un fronte unito, nessuno avrebbe colto il travestimento. Preso da solo, Stiles poteva anche essere vestito da fagiolo magico, per quanto le persone ne sapevano. Contava sul fatto che nessuno ad Hogwarts si sarebbe accorto che c’erano tre Stiles (o tre Jay, o tre Xav, prendetela come preferite). Avrebbero confuso gli abiti, vedendo prima l’uno e prima l’altro. Non avrebbero fatto caso all’intruso, pensando di aver solo immaginato un colore. Dai, a volte persino lui si dimenticava di avere tre sosia al castello. La cosa gli veniva ricordata solamente dalle pie voci che gli giungevano alle orecchie: “Sì Stiles, hai confessato la tua omosessualità l’altro giorno. Forse ci sono anche delle foto”. Grazie piromane, ti voglio bene anche io. Qualcuno sibilò nella sua direzione, aggrottando le sopracciglia. “Tu…” Stilinski si portò un dito alle labbra, rivolgendo al ragazzo un occhiolino giusto prima di toccare la passaporta. E poi, tutti insieme, sparirono.
    Ogni volta si dimenticava di quanto le passaporte fossero il male. Si chinò in avanti, trattenendo con una mano la coroncina che minacciava di cadere. Avrebbe dovuto esserci abituato, dopotutto era un mago, invece era sempre tragico. Si trovavano all’entrata di wicked park, ma ancora dovevano oltrepassarne i cancelli. Si sistemò il cravattino, gonfiando il petto con orgoglio. “Chi siamo? I fremelli! E cosa siamo? Belli!” Si portò le mani a coppa attorno alle labbra, mimando grida di giubilo e fischi d’approvazione. Fu il suo il primo piede a varcare quella linea invisibile che li separava dalla festa. Fu come se qualcuno avesse spento le luci. Il sorriso aperto divenne appena percettibile agli angoli delle labbra, mentre gli occhi si facevano più attenti ed al contempo distaccati. Mentre camminavano in direzione del tendone, lanciò qualche occhiata lasciva alle principesse, tirando fuori la bacchetta –quella con la stella. Non quella di Polgy, dai, quella magica!- con fare allusivo. Le risate gli ricordarono la stupida coroncina che aveva in testa, della quale non sapeva nemmeno più cosa ci fosse scritto. Non gli interessava nemmeno, tanto senza coroncina –e smoking verde lime- era decisamente meglio. Entrati sotto il tendone rosso, Stilinski si fermò giusto il tempo di far scivolare il proprio sguardo sulla location. “Impressionante” Si limitò a commentare, alzando un sopracciglio.
    Andrew stilinski - *sniffles happily in tears* Oh, I just love happy endings.

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    Chiudendo gli occhi riusciva ancora a sentire l'aria fredda di Parigi sbattergli contro il volto. Là sopra, a centinaia di metri dal suolo, per la prima volta dopo mesi aveva risentito quella bellissima sensazione di libertà che non gli appesantiva lo stomaco. Forse perchè era stato solo, senza Damian a controllarlo, nè allo stesso tempo doveva preoccuparsi di qualsiasi passo facesse, perchè la Francia, a differenza dell'Inghilterra, aveva un Governo più neutrale. Severo senza dubbio, ma più aperto di quanto l'Inghilterra non fosse. Si era sentito leggero, perchè nonostante la lite con Megan avesse minacciato di rompere per sempre il loro rapporto, lei gli aveva fatto quel bellissimo regalo: un viaggio a Parigi. Sarebbe stato tutto molto più bello se ci fosse stata anche lei al suo fianco, ma era solo. Piacevolmente solo, e dopotutto non gli dispiaceva affatto. Dopo quel fantastico regalo di compleanno si era persino convinto che la ragazza potesse provare qualcosa di importante per lui. Qualcosa che, forse, non aveva mai provato per nessuno. Ne aveva anche parlato con Hope, perché tenersi tutto dentro lo avrebbe fatto esplodere. Hope lo aveva ascoltato, gli aveva fatto domande ed era rimasta quasi scioccata da quella rivelazione. Perché non si sarebbe mai aspettata che Shane Howe, ma anche solamente Shane il suo migliore amico, potesse ammettere di provare sentimenti profondi. Non era in dubbio che li potesse provare, ma ammetterlo era qualcosa di davvero troppo avanzato per uno come lui. Significava essere all'ultimo stadio, in quella zona pericolosa di non ritorno in cui una volta entrati o si rimaneva per sempre, o se ne veniva fuori mutilati. Shane era lì, in quel limbo mai visto prima e sconosciuto, quel luogo capace persino di condizionarti, di portarti a compirete gesti che non avresti mai pensato di poter fare spontaneamente, come partecipare ad una stupida festa con tema le fiabe. Solitamente, era proprio Hope a provare a convincerlo ad andare ad eventi del genere, e sempre di solito, lui era quello che negava, negava e ancora negava fino alla fine perché "doveva studiare", perché "aveva di meglio da fare che fare il fesso in pista", ma che poi puntualmente non sapeva dirle davvero di no, e si faceva convincere dalla ragazza, che se aveva un pregio sopra tanti altri era proprio la tenacia. Ma adesso era tutto diverso, era stato proprio lui a proporle per primo di partecipare alla festa, per curiosita, aveva detto, ma era chiaro ad entrambi che in mezzo a tante probabilità che giustificassero il perché volesse andare ad una festa in maschera, Megan lynn era la più plausibile. Ed eccolo adesso, chiuso nella penombra del dormitorio maschile dei Serpeverde, a frugare in quel baule troppo disordinato per appartenere ad un membro della famiglia Icesprite, quel baule che troppe volte aveva visto il caos e che lo aveva accompagnato in sette lunghi anni ad Hogwarts, adesso, vedeva il suo volto contrariato forse per l'ultima volta. Gli abiti volarono fuori dalla cassa per posarsi in modo dimesso e senza una forma sul suo lenzuolo, un pezzo alla volta finché nel baule non rimase che il fondo vuoto. Constatò con amarezza che non aveva poi tanti vestiti presentabili, perché in fondo non gli era mai importato niente di vestire bene: aveva le sue divise ed usciva poco dal castello per scopo ricreativi. Due jeans, uno dei quali aveva una toppa nella natica più grande di lui, ed un altro con uno strappo, sicuramente non ricercato, sul ginocchio. "Shane perché vai in giro vestito come un poveraccio?" La voce di sua madre sembrò quasi reale, tanto che gli fece venire i brividi lungo la schiena. Sua madre aveva sempre tenuto alle apparenze e se avesse visto quanto trasandato fosse diventato nell'ultimo anno, lo avrebbe ripudiato. Storse la bocca in una smorfia, mentre lo sguardo chiaro e di disappunto passava a rassegna il jeans. Era chiaro che, non sarebbe stato in grado di mettere su un vestito che fosse in tema con le fiabe. Non aveva il materiale adatto e pur essendo un mago, non poteva fare miracoli. Poteva vestirsi da spaventapasseri magari, tanto più o meno andava in giro così durante il giorno. Ma poi, ebbe un idea geniale, troppo geniale per essere stata partorita da lui in così poco tempo - e riguardo ad un vestito da festa. Era un lupo, o meglio, la sua forma animagus era un lupo, allora perché non interpretare il lupo cattivo? Non occcorreva neanche tanta inventiva alla fine. I jeans andavano bene, dopotutto non poteva andar in giro nudo, (per quanto i peli da lupo ci fossero tutti). Aveva anche tre camicie, una blu scura e due nere, ma non andavano bene per il tipo di vestito che aveva in mente. Cosi, prese la sua
    bacchetta e trasfigurò una delle due camicie nere in una camicia a scacchi rossa e nera. Perché quella fantasia poteva andare bene? Non ne aveva idea, forse aveva intravisto un immagine in un libro di fiabe, o qualcosa del genere. Indossò sia i jeans, sia la camicia, aggiustandosela e tentando di eliminare le pieghe causate dal subbuglio nel baule in cui era stata immersa per giorni. Ma almeno era pulita. Indossò anche il suo beanie nero preferito, come una cuffia che lasciava sfuggire un ciuffo rosso di capelli. Del Lupo aveva poco, ma era il valore simbolico a contare (?) Inviò un messaggio ad Hope, per avvertirla della scelta del vestito su cui era pienamente convinto e per mettersi d'accordo sull'orario. Si diede un'occhiata allo specchio e si rese conto che il leggero accenno di barba rossa, fin troppo evidente persino ad uno sguardo veloce, era perfettamente in tema con il personaggio da lui interpretato, persino i capelli mossi ed incolti, che serpeggiavano sulla sua testa, andavano bene e per una volta aveva una scusa che giustificasse la sua allergia al pettine. Era in anticipo, come sempre, così si prese qualche minuto per lavarsi i denti e darsi un ultimo sguardo, prima di lasciare il dormitorio. Attese Hope - alla quale aveva dato appuntamento almeno un'ora prima rispetto al l'orario dell'inizio della festa - all'entrata del castello, guardandosi intorno nervoso, ogni qualvolta una studentessa mascherata o meno, passasse sotto i suoi occhi. La vedeva ovunque, ed era una cosa davvero sconfortante. Il peso che aveva sullo stomaco minacciava di rivoltarsi ogni volta che una ragazza in maschera voltava l'angolo del castello per avviarsi all'uscita. Ed il suo cuore mancava di qualche battito, prima di iniziare una corsa di qualche secondo e poi sedarsi, per l'amara constatazione che non era lei. Nessuna di loro era lei, e Shane non era nemmeno sicuro che lei avrebbe partecipato. Poi arrivò Hope, e Shane sobbalzò un'altra volta. Si tirò su con la schiena, dalle mura del castello sul quale era stato pigramente poggiato per tutto il tempo, a braccia conserte e poi, infilando le mani nelle tasche dei jeans osservò l'amica avvicinarsi. Era bellissima, nel suo completino di Alice. Dolce, graziosa, piccola. Sorrise, ma prima che potesse fare commenti, lei iniziò a squadrarlo dalla testa ai piedi, e Shane si preparò al peggio. "Dove sono le orecchie?! E la coda?!" Shane ma che lupo sei?!" Shane assottigliò lo sguardo e rispose dopo un po', riportando le braccia conserte sul petto. Non le avevo. Le mie orecchie da umano andranno benissimo, per la coda non penso di poter far molto. Si voltò dandole le spalle. Andiamo, la mia macchina non attende. Ma era tutto troppo semplice. "Fermo, ho qualcosa che fa per te...levati quella cuffia" Shane accelerò il passo verso il cortile, meditando la fuga, ma Hope, che aveva previsto una fine simile, aveva portato con se delle orecchie da lupo, prese chissà dove, ed ora insisteva perché lui le indossasse.

    Poco dopo, Shane con tanto di orecchie, provvedeva ad accendere la macchina e ad impostare la modalità invisibile per i babbani. Mettiti la cintura borbottò verso la ragazza quella che voleva essere una gentile richiesta ma che risuonava come un ordine, nemmeno tanto gentile. Quando si fu assicurato della sicurezza (?) di Hope sfrecciò con la macchina verso il cielo. "Non sapevo avessi una macchina" disse lei per rompere il silenzio che dopo vari minuti di viaggio si era venuto a creare.
    Non lo sapevo nemmeno io fino a pochi giorni fa...è un regalo anonimo di non so chi, ma mi piace ridacchiò tra se.
    "Un regalo anonimo di non so chi? E poi i lamenti che io non sono prudente per i Ribelli"
    Shane guardò oltre il vetro del finestrino, con espressione cupa che aveva ben poco di divertito. Non parliamone adesso, sto guidando... Ma puoi accendere la musica se ti fa piacere. Hope con un colpo di bacchetta accese la radio, ed una strana melodia proveniente direttamente dal demonio, Shane ne era certo, invase la sua macchina, e si pentì subito delle sue ultime parole.

    L'arrivo al Wicked Park fu tranquillo: planarono direttamente nei parcheggi del parco, e chiunque avesse visto Shane planare alla perfezione tra due macchine non avrebbe avuto dubbi riguardo alla sua parentela con Icesprite. Hope, che aveva ballato sulle note di una strana canzone che Shane non aveva nemmeno capito se fosse in lingua inglese o altro, finalmente spense la radio e scese dalla macchina, seguita a ruota dal ragazzo. Si guardò intorno, intravedendo oltre i cancelli tante persone vestite in tema, e domandandosi se fosse stata davvero una buona idea partecipare a quella festa. La musica proveniente dal tendone al parco, dopotutto non era nemmeno male e neanche l'odore dolciastro che aleggiava nell'aria, mischiandosi alla perfezione con quello de l'erba e della notte londinese. La ruota panoramica spiccava maestosa innalzandosi oltre le altre attrazioni, ma Shane non l'aveva nemmeno notata, preso com'era a far viaggiare lo sguardo sui presenti alla festa. Si sistemò la camicia, ancora una volta .
    "Stai bene..." Hope, poggiata con le mani sul tettuccio bianco della sua macchina lo ossevava, probabilmente essendosi resa conto del suo stato d'animo.
    Ah si? Domandò lui, che in realtà non sentiva di stare bene per niente, convinto che il suo stomaco non avrebbe retto ancora a lungo. Insieme si avviarono all'entrata del parco e superati i cancelli sentì quasi il peso sullo stomaco volare via, disperdersi nell'aria. I suoi desideri rimasero immutati ma si ammassarono ad altri desideri, come quelli del cibo o delle bevande e la curiosità di osservare e scoprire cosa ci fosse dentro quel tendone rosso rese il suo guardo un po' più vivo. Ho un fame da lupi. Rise per la battuta che, considerate le cose, ci stava a pennello. - come ogni sua battuta, alla fine - Oh c'è anche mia cugina! Aspetta Hope, vado a salutarla, mi raccomando non perderti. Rise, e si avvicinò a Sheridan qualche passo più in là, senza notare che poco distante c'era anche Megan. Non si rese nemmeno conto che Sher aveva iniziato una conversazione con una ragazza davvero carina, già vista al castello, che l'abbracciò da dietro in modo veloce e non troppo ostentato. Buonasera Sher e...piacere, Shane. Allungò la mano adesso presentandosi a Rea e l'afferrò per scuoterla in modo non troppo vigoroso. Volevo solo salutarti, ti lascio ai tuoi discorsi. Spari, così come era arrivato, per tornare da Hope.
    Shane Icesprite Howe as the big bad wolf; carattere di Arabells 'Lie' Dallaire
    « the heart is deceitful above all things »

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    Edited by shane is howling - 6/6/2015, 14:02
     
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    ARTEMIDE MEGARA
    ❝LET'S GO AND #FUCK YEAH PARTY❞
    Giornate difficili, quelle degli ultimi giorni. Periodo difficile, quello degli ultimi tempi. Non c'era una cosa che sembrasse andar bene, non una cosa che tendenzialmente sarebbe potuta andar a posto. Quel giorno, aveva litigato con Stoyan. Non che fosse una cosa differente da ciò che accadeva ormai spessissimo, ma quel giorno era stato tremendamente peggio. Cominciava ad avere dei dubbi. Cominciava a capire che forse, tra quelle mura domestiche, aveva più spie che nella stessa strada. Il fatto che molti degli avvenimenti che pianificava con i suoi degni compari si avverassero aveva fatto sorgere in lui il dubbio che fosse spiato, che qualcuno lo tenesse d'occhio. Immediatamente aveva pensato ai suoi nemici giurati, un gruppo estremista che lo aveva seguito l'ultima volta fin in Russia per ottenere informazioni. Poi, però, aveva calcolato l'impossibilità di quei collegamenti, così il vivido ricordo del suo soggiorno e delle chiacchiere con i suoi amici davanti ad un bicchiere di brandy erano riaffiorate. Artemide, quei giorni, aveva fatto finta di non essere in casa. Eppure, lo sguardo di suo marito, quella cupa mattinata, l'avevano gelata. Il pensiero che potesse aver scoperto qualcosa era una costante preoccupazione, non solo per il suo lavoro, ma addirittura per la sua stessa persona. Non era un bene trovarsi in casa con il nemico, soprattutto quando quest'ultimo aveva scoperto il trucco e deciso di osteggiare la sua rivale in ogni modo. Dopo una cruenta litigata, avvenuta in soggiorno davanti ai loro elfi domestici che ripulivano i cocci caduti in terra, Artemide era andata a far rapporto ai suoi superiori. Bisognava arginare il problema, e l'avrebbero fatto, certo. Erano esperti in questo, non si poteva affatto negare. Il pomeriggio era trascorso a lungo. Era stata impegnata parecchio in quei giorni, Helga aveva deciso di allontanarsi un po' dalla sua scuola e di tornare a casa da suo padre. Era la cosa giusta, in fondo sapeva benissimo quanta voglia avesse di vederlo, e quanta meno voglia avesse di veder lei. E questo non era affatto giusto, era contro la normalità, ma ogni cosa in quella casa lo era o era sempre stato nella sua vita, dunque il problema non si poneva, effettivamente. Partita il giorno prima, aveva distolto l'attenzione da se, e suo marito era tornato a darle fastidio, a pianificare come renderle la vita impossibile. D'altronde, non faceva altro dal giorno del famoso "sì lo voglio", e avrebbe continuato imperterrito fino al "finché morte non ci separi". Di sicuro, la suddetta morte non sarebbe stata quella della Ribelle. Si era ripromessa di seppellirlo lei, per prima, e nonostante non fosse un pensiero propriamente da lei, aveva deciso di assecondare quella sete di vendetta.
    Rimettendo in ordine la stanza di sua figlia, qualcosa era scivolato giù dal letto, quel pomeriggio. Un biglietto. Un biglietto alquanto strano, che sembrava piuttosto un invito. Facile anche capire quale fosse il riferimento. Non aveva mai sentito parlare di una festa del genere, o meglio... aveva preso parte ad una simile quando era ancora a scuola, ma allora era una ragazzina, molto più stupida e meno consapevole di se stessa. Wicked Park, il luogo. Ci rifletté appena, sollevando gli occhi al cielo come spesso le capitava quando formulava un pensiero importante. Uno sguardo da imbecille, lo sapeva benissimo, ma non aveva fatto poi molto per mutarlo. Ricordava un posto simile, ne aveva già sentito parlare e probabilmente ci era anche passata davanti in qualche occasione. Certo, la sua mente era così. Ricordava nomi improponibili , lunghi e massicci di gente che aveva visto sì e no due volte nella vita, e poi non ricordava l'ubicazione di un luogo che, di sicuro, tutti avevano almeno una volta conosciuto e sapevano persino indicare dove fosse. Una cosa la colpì particolarmente : era una festa in maschera (obrobrio più nero dato che odiava travestirsi) ed era aperta a giovani e adulti. Poco male, era certa che qualcuno che conosceva ci sarebbe andato. Odiava i party, non amava prenderci parte, soprattutto dopo che i suoi genitori da piccola l'avevano obbligata a vestire con orrendi fronzoli e a presenziare alle più noiose feste d'alto borgo. Di sicuro, per l'abito avrebbe avuto bisogno di qualcuno, e sapeva benissimo a chi rivolgersi. Uscì di casa, intrisa di una strana verve. Era come se quella festa spuntasse fuori al momento più opportuno, le avrebbe permesso di pensare ad altro e di godersi un po' di sana compagnia a fronte dell'orrendo volto di suo marito che invece l'avrebbe aspettata a casa, a letto, a russare come un trattore al lavoro. Giunse sino a Diagon Alley, dove, in una viuzza, vi era un negozietto di abiti che spesso frequentava quando ne aveva il tempo. Non era interessata alla moda, né agli abiti più chic, ma aveva una misurata attenzione per l'eleganza. Gilbert Kalisse le corse incontro, stringendola in un caldo abbraccio. Erano mesi probabilmente che non metteva piede in quel negozio, e rivedere la donna che le aveva venduto l'abito più bello che possedeva le fece un certo effetto. "Cosa ti serve, tesoro?" fu la sua domanda. Graziosa come sempre. Artemide andò subito al dunque, diede le direttive, ne spiegò l'utilità e in breve tempo lei si mise alla ricerca di qualcosa che potesse andar bene. Da piccola aveva ascoltato poche fiabe, a dirla tutta. La maggior parte di esse erano di valorosi guerrieri con armi e cavalli che distruggevano il nemico per accaparrarsi la bella principessa. Una la ricordava in particolare : Hercules, dove il protagonista era un dio e la sua amata nient'altro che una mortale. Poi si sposavano, lui capiva quale fosse il suo posto e bla bla bla. Aveva scelto quel personaggio, la furba Megara, per la bellezza dell'abito in stile greco, che aveva sempre ammirato. Gilbert soddisfò subito le sue aspettative, e quando si guardò allo specchio, le sembrò di essere in un'altra epoca. L'abito le calzava a pennello, scendendo lungo i fianchi e modellandoli, in perfetto stile. Il colore era un rosa, tra l'acceso e lo sbiadito, tanto per rimanere in tema con il personaggio. Decise di prenderlo, e dopo aver legato i capelli in una coda alta e sistemato un po' il trucco, si era decisa ad andarci. Era ormai sera, diciamo anche inoltrata anche se non proprio notte. Fortunatamente, Gilbert le aveva spiegato dove fosse il posto, e dopo aver finalmente capito dove si trovasse lo aveva raggiunto in breve tempo. L'enorme tendone segnalava la presenza della festa, preceduto da un lungo viale per raggiungerlo e un cancello, posto all'entrata, da dove la festa sarebbe di sicuro cominciata. Non aveva pensato di prender su un cappotto, e l'aria non era propriamente calda. Di sicuro non sarebbe congelata, ma una lieve pelle d'oca aveva cominciato ad apparire visibilmente lungo le sue braccia, mostrando il freddo che provava. Si guardò intorno, ma come si aspettava, all'ingresso non c'era nessuno che conosceva. Probabilmente era stato uno sbaglio prender parte alla vicenda, aveva superato gli "enta" e non era una festa proprio alla sua portata. Ormai era lì, ed era bene entrare se non voleva fare una figuraccia davanti a tutti. Strinse le braccia al petto e avanzò brevemente verso il cancello, poi qualcosa attirò la sua attenzione. Anzi, qualcuno, la voce di qualcuno nello specifico. Lanciò un'occhiata all'ingresso, e oltre la cancellata vide tre persone, probabilmente tre uomini. Non erano ragazzini, e le loro voci lo dimostravano, tuttavia quella che spiccava di più e che Artemide aveva riconosciuto era quella di Phobos Campbell. Era quasi sollevata all'idea di trovar lui, lì dentro. Di sicuro, avrebbe acceso il divertimento. Era un tipo decisamente festaiolo, o per lo meno simpatico... le avrebbe fatto passare una serata all'insegna della risata, ne era convinta. Stava per salutarlo, ma si decise prima ad entrare anziché far una figuraccia davanti a tutti urlando il suo nome come una ragazzina del liceo. Mise un piede oltre l'ingresso, attraversando il cancello, e tutta la gioia e la felicità che l'avevano riempita all'idea di rivedere un suo amico, improvvisamente scomparvero. Si sentì il cuore colmo d'angoscia, come se qualcuno l'avesse sostituito con un altro a sua insaputa. La sua voglia di partecipare a quella festa , in mezzo a tutta quella gente, per poco non la soffocarono. Abbassò lo sguardo e trasse un forte respiro, e mentre avanzava verso il tendone sfiorò con il braccio quello di Phobos, passandogli accanto. Quel contatto la fece voltare, e una mano si sollevò brevemente lungo il braccio a strofinarci le dita contro. Era accompagnato da altri due uomini, apparentemente normali, ma dei quali faticava a fidarsi per chissà quale motivo.
    «Ciao Phobos. Non sapevo ci fossi anche tu.»
    Il suo volto era gelido, nel pronunciare quelle parole. Non vi era alcun tono amicale, nell'aria. Nonostante fossero stati molto legati, all'epoca, e la loro "amicizia" fosse tendenzialmente forte, in quel momento lei si sentiva poco incline a conversare, sentiva quasi la distanza tra lei e quell'uomo dallo sguardo ceruleo che aveva salutato. Non un sorriso aveva attraversato il suo volto, da quando l'aveva salutato. Era come se un Dissennatore le fosse piombato addosso, raggelando tutto e soffiandole via tutta la felicità e la gioia di vivere dal corpo.


    #hatelife 38 ANNI WITCH PUREBLOOD REBEL pensieve
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    «Scheda - 18 ANNI - Serpeverde - Mangiamorte- Pensieve »



    Ci divertiremo Jaz dai...mi farebbe piacere averti. Potremmo anche andare insieme aveva detto Dakota, dopo centinaia di baci tra lui e il serpeverde. In realtà non era la prima volta che ci provava a farlo andare a quella festa. Non che Jason non fosse il tipo di feste, anzi esattamente il contrario, ma l'idea di vestirsi da qualcun altro, non era molto convinto. Preferiva qualcosa di diverso, come un rave party. Ma Dakota non gli dava tregua, tanto che alla fine lo convinse, o lo ricattò non importava il modo in cui lo fece ma aveva deciso di andare alla festa. Mi vestirò da cappellaio matto che ne dici? aveva esortato dopo qualche minuto di silenzio. Non che fosse un fanatico di favole, le aveva sempre odiate ma doveva ammettere che il cappellaio di Alice in the wonderland non era male, pazzo e imprevedibile, e sicuramente drogato se fosse stato nella vita reale. Ma Dakota non sembrava aver ben capito di cosa si trattasse. Ovviamente, i racconti erano per lo più babbani, così glielo mostrò e acconsentì felice. Uh si Jaz, mi piace e io da cosa potrei vestirmi? chiese dolce, era tremendamente tenero quando viveva di entusiasmo per quello che doveva fare, sembrava quasi saltellante sul posto per la felicità. vediamo...da lui! indicò un lupo, anche se non aveva niente di quell'animale il rosso, ma era una festa e sembrava davvero al settimo al cielo per dirgli qualcosa.
    Così quella sera aveva indossato una camicia bianca con un grande foulard, che con l'aiuto di Dakota era diventato un fiocco, era quasi ridicolo, ma in fondo si era fatto vedere in condizioni peggiori. Rubò un bacio al rosso, ormai era quasi come se fossero una coppia, segreta persino a loro due, ma lo erano e nessuno dei due voleva dire niente al riguardo. Jason preferiva senza alcun dubbio evitare ogni minimo problema e responsabilità. Abbinò i pantaloni, rigorosamente corti, sembravano una taglia più piccola da quanto erano corti e in più si vedevano i calzini diversi. Alla fine un paio di mocassini e il cappello uguale a quello del personaggio di Alice nel paese delle meraviglie, ma niente trucco e parucco, tutto aveva un limite. Anche se Se sono davvero figo anche vestito da imbeccille affermò sistemandosi ancora una volta mentre si guardava allo specchio. Quando voleva era davvero vanesio il ragazzo. Ma una vocina alle sue spalle, piena di impazienza e voglia di festeggiare lo interruppe dai suoi pensier. Andiamo Jazi, dai faremo tardi... disse Dakota, dopo che Jason si era preso la libertà di baciarlo per diversi minuti, a Londra. Avevano deciso di partire dalla parte babbana, per stare insieme e da soli prima di andare alla festa. Non appena si erano visti si erano reciprocamente saltati addosso, baciandosi come se non ci fosse altro di meglio nella vita. In realtà erano anche strani a vedersi, Jason vestito da cappellaio matto, che si pomiciava con un lupo (?). La strana coppia. Rise divertito dall'impazienza del rosso e si staccò dalla presa, lasciandogli qualche centimetro di spazio per respirare ok ok andiamo rosso... Gli prese la mano per qualche istante e si avviarono insieme alla passa-porta. Era stranamente tranquillo, probabilmente era la droga in circolo che lo faceva stare bene, quasi sicuramente era la presenza del rosso, ma non lo avrebbe mai ammesso. Era Jason Maddox. Gli scoccò un bacio, prima di doverlo definitivamente lasciare, perchè una volta alla festa sarebbero stati solo dei conoscenti, neanche amici, visto che tra un serpe e un grifo era difficile, e soprattutto tra Jason e Dakota, non era normale che un bullo potesse essere amico di un ragazzino come Wayne. Se avessero saputo come lo aveva legato a sé, probabilmente non avrebbero più pensato che era un angelo. Sospirò e lo lasciò andare. Ok rosso, ci vediamo al parco disse dopo un secondo di ammirazione, poi entrambi toccarono la passa-porta e in un secondo, un capogiro e una quasi caduta di sedere arrivarono a pochi passi dal parco.
    Dannazione, era meglio la smaterializzazione!! Odio questo metodo disse sistemandosi il fiocco che aveva davanti e il cappello. Fece l'occhiolino al rosso e si avviarono verso il parco. La prima cosa che fu evidente, che spiccava per la sua grandezza era un tendone rosso con una scritta dorata,dovette avvicinarsi per vedere cosa diceva, varcò così la soglia di quel parco. Drink me, Eat me. ecco cosa voleva dire?! Era una di quelle feste dove i drink facevano effetti strani?! Cosa sarebbe diventato?! Sospirò e continuò quel cammino verso l'entrata e qualsiasi cosa gli riservava. Era una festa no?! Lasciò alle spalle Dakota, dimenticandosi per un momento che fosse lì con lui, era così felice, come un bambino. Non voleva mostarlo così apertamente, ma si sentiva davvero euforico, come se la droga non fosse quello che lo mandava avanti ma la gioia della vita?! Assurdo, ma era così. Fece per entare nel tendone ma venne fermato, quasi ostacolato da qualcuno, da una ragazzina, bionda e un vestitino azzurro, stile Alice nel paese delle meraviglie. Amico, spostati! Disse e con uno spintone lo spostò, come se invece di una docile ragazza si nascondesse un uomo e pure scontroso. Ma che?! La guardò male, e si aggiustò gli occh... I miei occhiali?! si guardò intorno, non trovandoli, eppure quando usciva e si ritrovava tra la folla, voleva sempre averli, come fare di protezione e di mistero. Dannazione! Fece una smorfia, e seguì la ragazza con lo sguardo, quasi gli venne la voglia di farle del male, di torturarla, di farla urlare dal dolore Oh si, mi piacerebbe Lo spensierato ragazzo che era entrato sembrava momentaneamente scomparso. Ma un'altra visione lo distrasse dalla vendetta,Dakota. Anche se erano arrivati insieme,lo aveva lasciato solo.così come un ritorno di fiamma tornò dal rosso Ehi...



    Jason Maddox - « you're my bitch. I rule this fucking kingdom. »

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    Bells si guardò attorno, sfiorando piano ogni oggetto nella sua stanza. Una stanza ancora spoglia, che poco si addiceva ad una ragazzina della sua età. Per tredici anni non aveva avuto bisogno di alcun suppellettile, di nessuna foto, nessun quadro. Solamente il pianoforte vicino alla finestra, in una camera altrimenti vuota. Ingoiò il groppo che sentiva in gola, mentre cercava di afferrare quanti più dettagli possibili: i colori resi più tenui dalla luce del crepuscolo, le forme nascoste nell’ambra, i riflessi del sole sul parquet. Da quando il Mago era tornato, ed aveva maledetto i tre ragazzi, non era l’impossibilità di dire la verità a turbarla: Arabells viveva con il terrore di perdere nuovamente la vista. Non l’aveva detto né a Chris né a Blaze, gli unici a conoscenza di quel segreto, ma ne aveva l’incubo. Sapere che da un momento all’altro avrebbe potuto tornare cieca, dopo tutto quello che era finalmente riuscita a vedere, era straziante. Se semplicemente non l’avesse curata, e lei mai avesse visto l’alba, alla Dallaire non sarebbe cambiato niente. Ma dopo aver avuto quel banchetto, nessuno poteva aspettarsi che potesse accontentarsi di rimanere a digiuno per il resto della sua vita. Si avvicinò al letto dove strinse con forza il copriletto blu, infilandosi sotto le coperte e schiacciando la testa sotto il cuscino per non sentire le urla della madre provenienti dalla stanza accanto. Sapeva che la malattia, lentamente, la stava trascinando alla deriva. E lo sapeva anche suo padre, di fatti da quand’era tornata dalla Francia non le aveva rivolto nemmeno mezza parola. Sorrise amareggiata, conscia che nessuno avrebbe visto quel sorriso. Con le braccia allacciate al petto, Arabells pregò che Elijah tornasse a casa; non sapeva dove fosse, non aveva più risposto alle sue lettere, ma aveva bisogno di lui lì. Da sola era semplicemente troppo. La Corvonero aveva distinto la sua vita in tre grandi aree, tre segreti che condivideva con poche e selezionate persone: con Elijah, la madre; con Chris e Blaze, la maledizione; con sé stessa, e Clàrisse Beaumont, la Francia. Loro conoscevano solo una minima parte di Arabells, e lei non era pronta a farsi accettare nella sua interezza. Si mostrava spigliata e piccata, combattiva e spensierata, perché era quello che voleva vedessero in lei. La tenace Corvonero che voleva sempre vincere, la ragazzina maliziosa ed al contempo ingenua che sorrideva da dietro l’occhiello della porta. Non aveva bisogno d’altro, Bells, se non di essere creduta quella persona. Non voleva dover arrivare al punto di porsi l’interrogativo del mi accetterebbero comunque?, perché non sarebbe stata in grado di ricevere un no come risposta. Si rendeva conto che, spesso, quelle bugie e quelle mezze verità creavano dei muri apparentemente insormontabili. Si rendeva conto che sarebbe bastata una parola per porvi fine. Non riusciva ad avvicinarsi alle persone, ma odiava –egoisticamente- rimanere sola, obbligando quindi chiunque la circondasse a sobbarcarsi una bugiarda. Sospirò, gli occhi eterocromatici dopo la Cura spalancati nell’oscurità. Aveva sempre timore di chiudere gli occhi, paura che quando li avrebbe riaperti non avrebbe più visto nulla. Al contempo non riusciva a rimanere sveglia, sentiva la necessità di riposarsi, di riordinare le idee, di trovare un modo razionale per condurre quell’effimera esistenza che di razionale non aveva nulla. Tornare in Scozia era stata una scelta rapida come lo strappo di un cerotto, ma non altrettanto indolore. Chris era già tornato, fortunatamente: era stato al San Mungo qualche giorno, finchè non avevano deciso che avrebbe potuto tornare a casa. Bells non aveva chiesto nulla all’amico, cercando di rimanergli accanto in silenzio, come avevano sempre fatto. Gli stringeva la mano, sentendo il corpo del ragazzino irrigidirsi e rilassarsi lentamente sotto la sua stretta. C’era qualcosa di spezzato nei suoi occhi, qualcosa che faceva venire voglia a Bells di abbracciarlo forte, di promettergli che non gli sarebbe più successo nulla, che non l’avrebbe più lasciato andare. Che gli dispiaceva. Ma non lo fece mai, cercando per quanto le era possibile di mostrarsi sempre la solita Bells, cercando di reintegrarlo alla normalità. L’avevano sempre trattata normalmente quando era cieca, i gemelli Fraser, e lei voleva ripagare con la stessa moneta. Non voleva farlo sentire sbagliato, danneggiato: era stato piegato, ma non era caduto. Era ancora lì, lo stesso ed allo stesso tempo completamente diverso. Voleva essere la sua àncora, ma sapeva che, come sempre, sarebbe stato Christopher ad essere la sua. E poi c’era Blaze. Oh, quanto le era mancato. Quando aveva bussato alla loro porta e se l’era trovato davanti, non aveva saputo come reagire. Era stata lontana un anno, un anno nel quale lei, e presumibilmente lui, erano cambiati. Un anno in cui non si era fatta sentire, nemmeno per gli auguri di Natale. Un anno in cui lui aveva avuto bisogno di lei e lei non c’era stata, lasciandolo ad affrontare la scomparsa di Chris da solo. Non era stata sua intenzione, eppure non era qualcosa per cui sarebbero bastate delle semplice scuse. I suoi occhi azzurri erano stati la prima cosa che aveva visto, quando il Mago l’aveva curata; vedere la loro espressione quando aveva aperto la porta, e l’aveva riconosciuta, le aveva spezzato il cuore. Avrebbe voluto dirgli un’infinità di cose, invece era rimasta in silenzio mordendosi la lingua, cercando di farsi più piccola di quanto già non fosse. Poi lui l’aveva abbracciata, e lei l’aveva ricambiato affondando il viso nel suo collo, rimpiangendo ogni minuto che aveva passato lontana da casa. Quando Oscar aveva fatto per allontanarsi, lei l’aveva stretto un po’ più forte, cercando di prolungare quell’abbraccio per paura di quello che avrebbe potuto leggere sul suo volto una volta che fosse finito. E lei, a discapito di quanto lui potesse dire, vi aveva visto tante cose. Era arrabbiato, e come avrebbe potuto dargli torto? Era ferito, e deluso, e probabilmente un’altra miriade di cose che non le avrebbe mai detto, che avrebbe lasciato marcire in un angolo perché, come lei, si rendeva conto di quanto Chris avesse bisogno di loro. Non sapeva se avrebbero potuto tornare gli stessi, ma non c’era nulla che desiderasse di più al mondo. Da quando Elijah era sparito, ad Arabells erano rimasti solo loro.
    Era andata a dormire così presto, che all’alba era già sveglia. Aveva lasciato la finestra aperta, ed una lettera campeggiava in bella vista sul davanzale. Una lettera? Con il cuore in gola, Bells si fiondò sulla pergamena, la bocca improvvisamente asciutta. Elijah? Ma no, non era sua: ormai aveva letto talmente spesso le sue lettere che la grafia disordinata del fratello le era impressa nella mente, e quella era troppo ordinata per appartenergli. Con un singulto si lasciò scivolare sul pavimento, senza alcun desiderio di rompere il sigillo. Probabilmente era solo il nuovo listino prezzi di Amortentia, e a lei era venuta una mezza sincope per niente. Elijah, dove sei? Quando infine si decise a leggerla, un sorriso incurvò le sue labbra: non avrebbe potuto riconoscere la calligrafia, perché da quando aveva riacquistato la vista non aveva più sentito Sheridan Lestrange. Non sapeva nemmeno che faccia avesse, anche se solo sfiorandone il volto aveva intuito che doveva essere bellissima. Le aveva sempre detto di avere gli occhi azzurro acqua, e Bells ne aveva riso per non piangerne, incapace perfino di immaginare uno stupido colore. Le chiedeva se sarebbe andata alla festa –Wicked Park, Black Jack. Non sapeva nemmeno di quale festa stesse parlando, ma se c’era dell’alcool, a lei andava bene. Arabells Dallaire amava le feste, conoscere persone nuove, sfoggiare la sua innocente malizia ed i suoi sottili sorrisi con gli sconosciuti. Da come ne aveva parlato sembrava essere l’evento dell’anno, ci sarebbero stati tutti. Persone che Bells aveva sempre solo immaginato, senza essere in grado di dare un vero e proprio volto alle loro voci. Sarebbe stato stupido da parte sua negare che voleva andare alla festa, però … era davvero il momento adatto di proporre ai gemelli un evento del genere? In un’altra situazione sarebbero stati i primi ad insistere, ma era successo tutto così in fretta. Si morse l’interno della guancia, poggiando la testa al muro. Poteva essere il loro modo di ricominciare, di ricostruire quello che in un anno avevano perso? Un’opportunità per rimettere insieme i pezzi, per aggiustarsi a vicenda come le parti scomposte di un castello di sabbia. Si alzò per sistemarsi sullo sgabello del pianoforte, e chiudendo gli occhi cominciò a premere le dita sui tasti, lasciandosi trasportare da Yann Tiersen, Comptine d’un autre été. Quando suonava, Bells riusciva ad estraniarsi da tutto, a pensare in modo chiaro e cristallino. I problemi non la toccavano più, i suoi demoni non cercavano di affogarla: esistevano solamente il lento alzarsi ed abbassarsi del petto, il battito del suo cuore, le dita che veloci sfioravano appena lo strumento. Fu lì, fra una nota e l’altra, che la Dallaire decise che sarebbero andati a quella festa. Non si preoccupò nemmeno di vestirsi, uscendo con solamente la maglia del pigiama di diverse taglie più grandi a coprire le sue grazie: tanto era mattino presto, nessuno avrebbe fatto caso a lei. Troppo presto per bussare alla porta dei suoi vicini di casa, rischiando di svegliare l’intera famiglia… ma quando mai una cosa del genere l’aveva fermata? Fece il giro della casa, raggiungendo in linea d’aria la camera dei gemelli. Si arrampicò sull’albero, tentando qualche appoggio perfino sulla grondaia, finchè non riuscì a balzare sul balcone della stanza. La finestra era socchiusa, e la piccoletta riuscì ad entrare senza problemi. Si guardò attorno, e subito il suo sguardo venne attratto dal letto vuoto. Oh, Chris. Accarezzò il cuscino che ancora, testardo, manteneva la forma della testa del suo migliore amico. Sapeva del seminterrato. Merlino, quanto avrebbe voluto conoscere un modo per aiutarlo, per farlo sentire anche solo un briciolo meglio. Rimase qualche istante immobile, lasciando vagare lo sguardo su un Oscar profondamente addormentato. Quant’era adorabile quando dormiva, con i tratti del volto rilassati ed i capelli incollati alla fronte. Un sorriso le increspò le labbra, mentre rimuginava su quanto fosse un peccato che da sveglio la situazione fosse altresì differente. … Non era vero, Bells adorava Fraser moro, nonostante litigassero –amorevolmente, eh- la metà del tempo. Ma, ehi, non era colpa sua se era un Grifondoro. Se fossero stati gli stessi ragazzini di un anno prima, la Dallaire l’avrebbe svegliato improvvisando una ice bucket challenge, con un sorriso adorabile che avrebbe impedito ad Oscar di odiarla. Ma non erano più gli stessi, e Bells stava cercando di farsi perdonare. Si sedette sul letto vicino a lui, facendo affondare –di poco, marrani- il materasso. Quando Oscar aprì gli occhi gli sorrise, stampandogli un bacio sulla guancia stropicciata dal cuscino. “Buongiorno principessa” Bisbigliò, stringendosi nelle spalle. Lo sguardo del giovane corse sul letto vuoto di Chris, così come quello della ragazza pochi minuti prima. Vide il suo dolore, e sapeva che per quanto anche a lei facesse male, per lui era diverso. E, di nuovo, Arabells si sentiva impotente. Reagì nell’unico modo che conosceva: cambiando argomento. “Festa in maschera. Black Jack. Io, te e Chris” Frasi brevi e coincise, che le avrebbero permesso di esprimersi senza dover dire la verità. Dio, quant’era snervante. Gli rivolse l’occhiata più tenera di cui era capace, spalancando i grandi occhi chiari e sporgendo all’infuori il labbro inferiore. “Per favore? Lo dici te a Chris? Grazie. A domani” Concluse muovendo il dito nell’aria, indicando che sarebbe ripassata più tardi. Fece per uscire dalla porta, ma poi si rese conto che la sua presenza avrebbe potuto essere fraintesa. Fece dietro front, sorridendo ad Oscar e cercando di trasmettere anche a lui quell’infantile gioia che aveva cominciato a pervaderla con l’idea di andare alla festa. Sperava capisse. Arabells rivoleva ciò che loro tre erano stati, voleva vedere per la prima volta i suoi compagni, voleva passare una serata cercando di dimenticare gli occhi spenti di sua madre. Ignorare il vuoto lasciato da Elijah sarebbe stato impossibile, ma avrebbe fatto il possibile per ignorarlo. Doveva ignorarlo, se non voleva che quel buco cominciasse ad inghiottirla dall’interno.
    Lies non aveva avuto dubbi sul costume da indossare alla festa, un’ironia talmente sottile che sarebbero riuscita ad afferrarla solo in tre. Un vero peccato che nessun altro potesse cogliere l’ilarità di una Dallaire incapace di dire la verità vestita da Pinocchio, il burattino che non poteva mentire. Aveva pregato Chris di vestirsi da Grillo Parlante. “Sei o no la mia coscienza?” Gli aveva domandato, alzando le sopracciglia con un mezzo sorriso sulle labbra sottili. Indossava una gonna a palloncino rossa, un corto top giallo opaco che lasciava scoperta una striscia di pelle sopra l’ombelico, un paio di sottili bretelle marroni ed un fiocco azzurro, legato al collo, più grande di lei. Sembrava una bambina, con quelle calzette bianche che le arrivavano alle ginocchia e le ballerine nere, il cappello che schiacciava i corti capelli scuri. …Forse con quella gonna pareva più una Lolita che una bambina vera e propria, ma ehi, era pur sempre Bells. Non aveva mai fatto caso al suo abbigliamento anni prima, guardarsi allo specchio era particolarmente difficile per una ragazzina affetta da cecità, doveva recuperare gli anni passati. Se chiudeva gli occhi, mentre camminavano verso la fermata dove i tre avrebbero preso assieme il Nottetempo, poteva perfino fingere che non fosse cambiato nulla. Saltellava allegramente a capo del trio, voltandosi solamente per sorridere ai suoi compari, o per rubare il cappello a Chris e sostituirlo al suo. “Blaaze, mi porti in braccio? Sono stanca” Aveva domandato facendo il broncio, saltando in spalle all’amico quando aveva annuito. Non era stanca, ed il solo fatto che l’avesse detto dimostrava che stava mentendo, ma come si poteva dire di no a Bells? Stavano andando davvero alla festa di Black Jack, e la Corvonero non riusciva a non essere elettrizzata. Dopotutto se non si contava la maledizione, il fatto che sua madre stesse morendo, che suo fratello era sparito, che Chris era stato rapito, che Oscar non riusciva a guardarla in faccia per più di cinque secondi, e che avrebbe potuto perdere la vista da un momento all’altro, la vita di Arabells Dallaire andava proprio a gonfie vele.
    Viaggiare con il Nottetempo era stato traumatico, come ogni volta. Non sapeva nemmeno lei se ridere o piangere per la moltitudine di vecchietti che avevano letteralmente attraversato, mentre il bus sfrecciava rapido fra le macchine babbane. Quando questo si fermò ad Hogsmeade, inchiodando alla fermata davanti ai cancelli, i tre si ritrovarono schiacciati contro il finestrino, incastrati fra loro come i blocchi di un Tetris. Bells si sistemò il cappello e lisciò la gonna, saltando giù dal bus e cominciando a guardarsi attorno. Erano andati spesso al wicked park, ma lei non l’aveva mai visto. Sorrise estasiata guardando le luci della ruota panoramica, i ragazzi vestiti da personaggi delle favole che le sfrecciavano vicino, il tendono rosso verso il quale tutti si stavano dirigendo. Strinse la mano di Chris e poggiò la testa sulla sua spalla ridendo, fingendo per l’ennesima volta che tutto andasse bene. Dopotutto erano ancora loro tre contro il mondo. Arabells stava giusto allungando l’occhio verso un principe azzurro che era appena passato vicino a loro, sbattendo languidamente le ciglia nel suo costume da Pinocchio, quando oltrepassarono i cancelli del Wicked. Il sorriso scemò lentamente dalle sue labbra, mentre la mano sfuggiva a quella di Chris. Si guardò attorno irrigidendo i muscoli e stringendo la mascella, improvvisamente priva di voglia di partecipare ad una stupida festa in maschera. Si ricordò che l’aveva fatto per i gemelli, non per sé stessa. Quando alcuni fischi d’apprezzamento raggiunsero le sue orecchie, Bells fulminò tutti con lo sguardo, drizzando la schiena con orgoglio. Non doveva vergognarsi per come si era vestita, perché era stata una sua scelta… eppure non voleva essere al centro dell’attenzione, sotto quegli occhi affamati. Si infilò fra Oscar e Chris, senza però sfiorare nessuno dei due. Sorrise loro con fare rassicurante anche se lei non era affatto sicura di un bel niente, grata che almeno Chris fosse stato contagiato dallo spirito della festa. Rise quando lui le afferrò la mano per trascinarli sotto il tendone, lasciandosi trasportare dal suo entusiasmo ma rimanendone distaccata. Non appena furono sotto la tenda lasciò la presa, guardandosi attorno incuriosita. Chi fra loro era un suo amico? Chi la conosceva? C’erano così tante persone che non riusciva a tranquillizzarsi, rimpiangendo il patio dove i tre passavano le loro serate ad Inverness. O una bella e confortante biblioteca, magari. Come un mantra si ricordò che dovevano reimparare a conoscersi, che dovevano supportarsi, che erano lì per aiutarsi. Non che le piacesse l’idea di aver bisogno di qualcuno, o almeno… Non che le piacesse ammetterlo. Si avvicinò al buffet, annusando le bevande esposte. Oh, indubbiamente alcool. Prese tre shottini: uno lo tenne per sé, uno lo porse a Oscar e uno a Chris, indirizzando a quest’ultimo un sorriso ironico, inarcando le sopracciglia. “Bevi dell’acqua, figliolo” Un breve inchino, quindi si raddrizzò con ancora le labbra piegate in una smorfia divertita. Troppe persone. Sperava con tutto il suo cuore che Oscar non partisse come al solito portandoli a salutare persone che conosceva solo lui. “Penso che mi siederò qui” Fece Bells, indicando il posto accanto a quello in cui si sarebbe seduta, incrociando poi le gambe su una scarpetta di Cenerentola. E giù il primo shottino, che cominciava a pensare sarebbe stato il primo di una lunga lista.
    arabells 'lies' dallaire - Lies, my dear boy, can easily be recognized.

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    erin silver sicla as anastasia romanova
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    exclusive for #fairytaleparty | dress | paired with james larrington

    Non era insolito per una stanza angusta come quella della toilette dei tre manici, esser riempita da sommessi gemiti di piacere accompagnati dalle dovute specifiche direttive del caso. « oh, si, un pò più a destra.. ah! » Ancor meno insolito era trovar in questi momenti a pronunciar l'uno e l'altro, la virtuosissima bionda purosangue Erin Sicla. « devo continuare? » « tu che dici? » Meno di quanto si definirebbe insolito era, infine, l'identità sconosciuta del gentiluomo - uno nuovo ogni giorno, è chiaro, ma anche, talvolta, ogni orario. Sicla è un portento nel scovar tanti gentleman in una sola giornata e dire che ci son donne che ne cercano uno per tutta la vita senza mai trovarlo. Questione di appetitiistinto - con la quale ella amava accoppiaaccompagnarsi. « come hai detto che ti chiami? » « non l'ho detto, miss.. il mio nome è pet.. » « nono, il cognome. E non fermarti, per l'amor del cielo. » « Sanders, il mio cognome è Sanders. » « Mai sentito. Sei purosangue? » « Bhè, mio padre lo è, mia madre è una nata b-b- ah! ..babbana. » Erin, sino ad allora premuta contro una delle pareti di ruvido e lercio legno marcio - cui sembrava esser costituita, ai suoi occhi, l'intera Hogsmeade - si divincolò in quell'istante dalla presa del giovane spingendolo via da sé e una volta in piedi, abbassò la gonna stretta del suo tubino mentre con aria oltraggiosamente disgustata sfregò le proprie mani per pulire da uno sporco invisibile ad occhio nudo. « Ripugnante! Perchè mai respiri ancora? Imperio. » Il ragazzo, in un baleno, con le braghe ancora calate, dall'espressione sorpresa e sbigottita passò ad una assente e vitrea; estrasse la propria bacchetta dalla tasca interna della giacca che aveva ancora indosso e con un gesto deciso se la portò alla tempia. « bhè? che aspetti? ucciditi. » Erin diede quell'ordine facendo spallucce, con un tono quasi innocente, come se il fatto da compiere fosse ovvio e imprescindibile e il suo fosse solo un consiglio che evidenziava l'ineluttabilità. Quando il corpo privo di vita del ragazzo cadde ai suoi piedi, la giovane sorrise roteando gli occhi al cielo, dopodiché badò bene al non toccarlo nemmen con la punta delle proprie scarpe mentre lo scavalcava per uscire. Alla sua comparsa nella sala piena di commensali e vacanzieri i più prossimi alla sua figura cessarono il loro chiacchiericcio per guardarla con un misto di terrore e disappunto, ma Erin non degnò loro neanche della benché minima attenzione; sistemando i propri capelli rinvigorendo il loro volume passando una mano tra di essi, giunse sin dinanzi al barista, ordinò un whiskey incendiario e poi gli fece segno di avvicinarsi di più, per parlar accostata al suo volto più per provocazione, che non per esigenza. « c'è un cadavere nel suo bagno, un suicida, poveretto. Le consiglio di seppellirlo nel suo orto, se ne ha uno, si ricavano dei funghi prelibatissimi dal terreno fertilizzato da spoglie umane. Oppure può.. mangiarlo tutto intero, non so, faccia come più la aggrada. Oh e inoltre non c'è bisogno di chiamare i Pavor, era un mezzosangue. » Dalle labbra di Erin trapelò una risatina sommessa e fanciullesca, accompagnata dalla mano che guizzò sul proprio volto per coprir le labbra rosee con un tocco delicato delle dita. Il suo tono era piatto e privo di qualsiasi identificabile nota d'umanità. « il drink lo metta sul conto di Sanders. » Un'altra risatina, poi la giovane si alzò portando con sé il proprio bicchiereed uscì dal locale. Passeggiò per le vie di Hogsmeade sorseggiando il suo Whiskey con aria inquietantestranamente quieta e una volta che il tumbler fu svuotato lo gettò con noncuranza alle sue spalle, dirigendosi così poi al castello. Il luogo dove ancora ostinatamente soggiornava durante le sue vuote giornate estive era desolato men che per qualche studente dell'ultimo anno ancora in procinto di dar questo o quell'esame ed Erin sapeva che tra di loro vi era James; una delle cause principali per cui anche lei - seppur non lo avrebbe mai ammesso - era ancora lì. Evitò di incrociare qualsiasi elemento noto o meno mentre raggiungeva il suo studio e una volta varcata quella soglia, si chiuse al suo interno e con un incanto preparò un pacco che consegnò a una civetta in attesa sul davanzale della sua finestra. « portalo a James Larrington e non fare casini. O ti spenno. » L'animale emise un verso grottesco e disperato, come se avesse inteso la minaccia della giovane e ne fosse stato spaventato, dopodiché si alzò in volo, faticando a mantener alta la quota per via del pacco che teneva saldamente con i propri artigli affilati. Erin cercò di ricordarsi il perché avesse una civetta e non gufo, poi ricordò la Lewis - faceva fatica a riconoscerle non avevendo dato mai loro grande importanza, ma sapeva per certo fosse quella Grifondoro - e di come questa, durante gli anni ad Hogwarts, le aveva fatto recapitare il cadavere del suo gufo con un biglietto di scuse. Fu forse una delle volte in cui Erin ebbe riso più sinceramente in tutta la sua vita ma, ovviamente, avrebbe voluto uccidere quella ragazza se solo qualche tempo dopo ella non fu così stupida da uccidersi da sola. Destino nefasto; le prede diventavano sempre più stupide con il passar del tempo. Comunque sia, spedito l'abito da far indossare a James quella sera, per la festa cui aveva intenzione di partecipare - l'opportunità di mietere carne fresca era per lei quello che era un invito a nozze con abbondante banchetto allegato per un miserabile affamato - andò a preparare il suo.

    Ore 22:50 pm
    « il fatto che indossi anche la croce d'argento mi delude. Ho sempre pensato che in realtà tu fossi un vampiro e sarebbe stato quantomeno allettante scoprire che fossi finalmente riuscita a farti del male in qualche modo. » Erin arrivò fuori i cancelli del castello fasciata dal suo pomposo abito novecentesco; portava gioielli preziosi al collo, lobi e polsi e l'aria regale che si confà a una nobildonna del suo rango, se solo non fossero stati nel ventunesimo secolo. James la stava aspettando impettito nel suo abito scuro dall'alto colletto merlettato di bianco, con il sorriso sarcodico e divertito di chi, il peggio, da quello serata, se lo augurava. « li hai diciassette anni, vero James? » Portandosi elegantemente sotto braccio del Grifondoro, la giovane Sicla non attese neanche una risposta alla sua provocazione e con un Puff, i due, sparirono nell'oscurità della notte.
    Il tendone, una volta al Wicked park, non fu difficile da individuare; rosso come il sangue e contornato da tante povere anime in pena che aspettavano il loro turno per varcare la soglia di ingresso, anche un cieco sarebbe stato in grado di individuarlo. La musica che proveniva dall'interno poi era assordante, fragorosa e fastidiosa tanto quanto il chiacchiericcio eccitato dei più giovani. Oh, Erin ne era enormemente infastidita, credetemi, ma allo stesso tempo l'idea che quella sera avrebbe potuto fa crollare a picco il numero di invitati la eccitava come non mai, lasciando addirittura che le gote di arrossassero per l'emozione al solo pensiero. « perdonami padre, stasera peccherò. » Rivolse a James un sorriso stringendosi ancor di più al suo braccio mentre con una mano gli sistemava il tessuto pieno di grinze del davanti della sua tunica. Il contatto diretto con il corpo di James, Erin, non lo aveva mai provato. Anni ed anni di conoscenza con il giovane Larrington e mai si era azzardata a sfiornarne la carne nuda, mai neanche una mano. C'era un motivo, ovviamente, ma a capirlo probabilmente c'era da impazzire o, più plausibilmente, da restarne uccisi. I segreti di Erin Sicla, si sa, non è mai buona cosa indagarli o stanarli. « andiamo? » Impeccabili nei loro travestimenti a tema con la festa - in tema, è in realtà azzardato: Erin non conosce fiabe, ma le stragi sono per lei quanto più si avvicini ad esse e la storica tragedia dei Romanov era quella che sin da piccola l'aveva sempre più allettata - s'incamminarono a passo lento verso l'entrata. Giunti accanto alla coda di persone in procinto di entrar nel tendone adibito alcuni, vedendoli, si scansarono senza dir una parola e chinando il capo per non incrociar il loro sguardo mentre li lasciavano passare ed altri, invece, si scansarono ugualmente a spianar loro il cammino, ma tenendo alto il mento come a millantar orgoglio mentre nel frattempo venivano bellamente calpestati. Poveracci, erano sempre i primi a morire, quelli.
    L'ingresso fu.. strano. Varcato il tendone, difatti, l'ex Serpeverde si sentì d'un tratto - com'è che si dice? ah, sì - emozionata all'idea di esser finalmente partecipe di quell'evento e non per gli stessi motivi che ricordava d'aver rimuginato sino a qualche momento prima. Non vedeva l'ora di danzare, incontrare gente nuova.. socializzare. La cosa ancor più bizzarra era che, seppur cosciente di tale stravagante desiderio ella non ne pareva affatto turbata. « meraviglioso! è bellissimo qui, guarda James ci sono anche i bambini! » Affatto, anzi. Indicò quelli che dovevano essere degli undicenni con il loro primo anno di Hogwarts fresco fresco ormai alle spalle e, portandosi l'altra mano al petto inclinò il capo d'un lato continuando a guardarli con aria sognante. Quanto avrebbe desiderato ucciderliabbracciarli. Trovava a dir poco meraviglioso che vi fossero anche loro; era così bello veder le giovani promesse del mondo magico integrarsi tra adulti e i compagni più grandi in un evento maestoso come quello. Avrebbero potuto imparare così tanto, gli uni dagli altri e l'idea era.. elettrizzante. diovipregolaodiouccidetela. « ma.. » Di colpo, Erin si pietrificò. Iniziò a tastarsi da sopra il vestito all'altezza dell'inguine e alla fine realizzò ciò che aveva in un fugace momento pensato solo d'aver immaginato. Non portava le mutande. Si sentì imbarazzata ed in difficoltà; nonostante i diversi strati di stoffa sentiva che tutta quella libertà la spogliava - letteralmente - della sua dignità. « devo andare al bagno, torno subito! » Fece per allontanarsi da James a capo chino e con il volto paonazzo, ma prima che potesse compiere il terzo passo, ancora una volta, venne fulminata da un pensiero. « .. quasi dimenticavo.. » Tornò indietro, si parò dinanzi il Grifondoro e, tenendogli il volto con entrambe le mani, gli stampò un bacio sulle labbra. « va' pure a divertirti, ti raggiungo dopo! » La voce di Erin era entusiasta ed allegra, la sua espressione felice e spensierata. lasuaplayerfrustrata. Avrebbe ricavato un intimo di fortuna e alla fine si sarebbe divertita come non mai, ne era certa. Forse sarebbe riuscita anche a far amicizia con uno dei primini! Oh cielo, la sola idea la rendeva unacretina così di buon umore.
    E dire che la parola "buono", narrandovi di Erin Sicla, avrei giurato che non mi sarei mai ritrovato a pronunciarla.
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    Edited by nymphomaniac - 7/6/2015, 01:07
     
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  15. bruja;
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    name + surnameolive lewis
    ex house and schoolgryffindor, hogwarts
    age + nationality21 y.o, england



    « i'm a queen and you are fottuto »
    Mi piace fare fiesta, mettiamola così. Me gusta muy la vida loca. Non ho la più pallida idea di come si scriva in realtà, ma io scrivo come mi pare. E comunque l'importante è capire, io credo di essere stata abbastanza chiara. Appena c'è una festa state pur certi che Olive arriva in un battibaleno. Io le fiuto. Come un cane da fiuto. Ora, non sono sicura che i cani da fiuto fiutino le feste, non so quanto potrebbe essergli utile. Io però ho questo dono. Me ne vanto come se fosse un super potere, onestamente io lo sento tale. SuperFiesta, così dovrebbero chiamarmi. Certo a quel punto sembrerebbe il nome di una merendina più che di un super eroina, ma vabè, amen, pazienza. Anche avere il nome di una merendina non è così terribile. Hanno tutte nomi così esotici. Bueno, Paradiso, Nastrina. Mi sembra di essere in Colombia, tanto sono esotici. Me li immagino, nomi di bellissime e calientissime chicas colombiane che ballano Hips Don't Lie tutto il giorno. Senza fermarsi un attimo. Non un attimo. Che bella vita. Comunque io non sono ne colombiana ne ho il nome di una merendina. Ho sempre un nome di cibo, questo è vero, ma non credo sia altrettanto sensuale. Non sono mai stata attratta da un oliva quanto da un bel Merendero. Arrrrrrrrrrgh. Mamma che bello. Comunque (pt.2) si parlava di feste. Per essere precisi del supermondanissimissimo ed esclusivo evento altresì noto come Fatytale Party. Devo essere onesta, il nome mi aveva confuso. Ci avrò messo un paio di giorni per capire che non si parlava di un evento letterario. Che ci volete fare, lo sappiamo ormai che sono rincoglionita, tarda, lenta, bla bla che noia. L'importante comunque è che alla fine ho capito. E ho capito. Tanto piacere. Immaginate la mia gioia nel sapere di una festa così quotata. So che è difficile da immaginare, ma nel Lussemburgo non ho fatto poi tanta baldoria. Essere dei reali comporta delle serie responsabilità, non è come ti fanno vedere in TV. Mi sentivo un po' come Maria Antonietta, a dirla tutta. La sera a letto presto, perchè il giorno dopo la sveglia era all'alba (11.30) perchè ci voleva tanto a vestirsi per poi andare a pranzo. Pausa cacca. Cavalcatina, partita di caccia o quello che è, cena, cacca (di nuovo? Si.) e letto. Come potete constatare personalmente non c'è spazio per svaghi. Che vita di merda. Nè feste, nè ubriachezza folle, nè droghe. niente. Poco ci mancava che mi levassero pure una sana scopata ogni tanto. Per fortuna che è poi è arrivato Jamie. Eh eh. Ok basta. Quindi ricapitolando niente fiesta su in Lussemburgo. Ma a Londra, che già fa schifo di suo, non me le possono togliere. Oltre ad essere la regina dell'interspazio io sono la regina delle feste, se per caso non lo sapevate. No Olive, no party. Ma per davvero. Ricordo i bei tempi, prima di fare la folle e partire, quando io Jamie e i suoi deliziosi amici-scimmiette ci facevamo tutte le fieste della capitale. Ne ricordavo tante di quelle serate. In realtà non ne ricordavo praticamente nessuna, perchè stavo sempre bene accorta ad ubriacarmi come una zucchina. Mucho importante. Fondamentale, oserei dire.
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    No zucchina, no party. Peccato avere dei ricordi così confusi di quel periodo, ci scommetto che ci siamo divertiti da morire tutti quanti. E ora no. Perchè quello stronzo testaccia di cazzo di Jamie aveva deciso di fidanzarsi. Ma io dico come si può. COME? Non me lo spiego, lo giuro. E' una cosa disumana, contro natura. E voi direte ma Olive anche ti sei fidanzata e pure sposata. Si, ma io mi sono sposata un dvca. Lui no. Anche perchè non credo sia su quella sponda. O forse si! E allora si spigherebbe tutto! Non è che non mi vuole perchè non gli piaccio più, perchè me ne sono andata nel Lussemburgo e l'ho lasciato come un pescelesso, ma perchè gli piace la mazza! Certo, non capisco come ho fatto a non capirlo prima. "Olive basta, stai degenerando, frena la fantasia, la mazza non gli piace." Peccato. Comunque (pt.3) dovevo assolutamente fre la mia bella comparsa alla festa, tra l'altro a tema (MUY CALIENTE SI SI) e doveva essere anche una bella comparsa. Col botto. Come sempre. Ora come fare? Prima di tutto era necessario un costume. Ne avevo fatte parecchie di feste a tema, ma una mi era rimasta nel cuore: quella famosissima del Mago di Oz. Come, non conoscete la festa del Mago di Oz? Dio solo sa come sono sopravvissuta a quella bolgia. Non credo di essere finita mai così lercia. Sempre con JamiePhobosKeanu. Ovviamente. Da brave scimmiette si erano vestiti da Uomo di Latta, Leone e Spaventapassere (chi era chi non lo so, è troppa scienza) e io? Da Dorothy, direte. NO. Banale. Banane. Io ero niente poco di meno del Grande e Potente Oz. Ma che costume ha Oz? Non lo so, giuro non lo so. Non ricordo nemmeno come avevo aggirato il problema, onestamente. Quindi mi si sarebbe riposto questa volta. Come al solito la mia intelligenza senza confini mi aiuta a risolvere quesiti ignoti anche agli scienziati più brillanti. Oz è un mago. Come si vestono i maghi? Come Topolino in Fantasia. Ecco fatto. Problema risolto. Questo spiega perchè quella sera mi presentai alla festa con in testa un cappello con le stelline. I cappelli mi donano, facevo la mia porca figura. Ma partiamo dal principio.
    Era una splendida sera di giugno. Il giorno preciso non lo so, che me ne frega. Io me ne stavo nella mia camera alla Testa di Porco ad attendere chi sa cosa. In realtà dovevo vestirmi, ma è sempre un problema. Alla fine dopo un paio d'ore a ripetermi che dovevo prepararmi, mi preparai. Capelli spettinati, cappello da Fantasia in testa, una toga con un cravattino addosso ed ero pronta. Ta dan. Che magia. E era magico anche il fatto che improvvisamente si era fato magicamente tardi. Strano, sono sempre così puntuale (eeeh). Dovevo darmi una mossa. Ma prima, come ho già detto, dovevo provvedere al mio umore. Devo dire che da dopo l'incontro con Jamie non brillavo di allegria, mi ci voleva una botta per riprendermi. Tirai prontamente fuori da sotto al letto una bottiglia che aveva il colore (eforse anche l'odore) del piscio. Meno male che era vino bianco, misto a vodka. Vi chiederete perchè mai io abbia fatto una cosa del genere e non lo so. Sinceramente nemmeno me ne fregava molto al momento, non poteva fregarmene. L'unica cosa importante era stare concentrati e bersene almeno metà. Mi fermai con la bottiglia in mano, seduta sul letto, vestita di tutto punto. La scena era di una tristezza inenarrabile, ma era proprio questo il punto. Non potevo arrivare alla festa triste, dovevo riprendermi. Armandomi di TANTO MA TANTO coraggio mandai giù a gagganella il piscio nella bottiglia. Giuro che avrei voluto vomitare tutto fino all'ultimo goccio, ma non potevo. Ci crederete o no, ma dopo mezza bottiglia ero ubriaca come una zucchina. Cominciai a ridacchiare da sola, fiera di me. Provai a battermi il cinque da sola, ma vi assicuro che non è cosa facile. Mi sa che finii col darmi una pizza in faccia, ma poco importava. Continuai a ridere e armata ancora di TANTO MA TANTO coraggio mi smaterializzai alla festa. Come è ovvio sbagliai posto alla prima botta. Non so manco dove mi ero portata, ma prontamente rimediai. Incredibile, ma solo dopo quattro tentativi avevo fatto centro.
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    Con grande euforia vedevo un tendone rosso rosso come el sangue davanti a me. Sorrisi come un idiota e, ovviamente ridacchiando, cominciai a camminare instabilmente verso la meta.Mi sentivo un po' strana. Era come se qualcosa dentro di me stesse cambiando. Sentivo un bollore interiore tipo strano, boh. Non capivo, ma immaginai che forse ero solo pi ubriaca lercia di quanto pensassi. Poco male. Ero felice come una zucchina e l'essere felice mi rendeva ancora più felice. Ma quello che mi rese ancora più felice fu vedere le scimmiette. Mi sembrava un miracolo, ma eccole lì.Tutte e tre insieme. Gridai qualcosa di indefinito e mi lanciai, in una corsa a rallenty. Credo finì male perchè mi ritrovai col culo per terra, a ridere. «Non ci credo, anche voi qui! Cioè ma non è incredibile? ODDIO CHE BELLO!» Mi alzai come una molla e mi gettai ad abbracciare uno dei tre. Forse Keanu, o forse no. Comunque ero felice. «No giuro non ci credo, sono così felice! Voi non siete felci? IO TROPPO.» Non si sa perchè ma finivo tutte le mie frasi urlando. La voce andava in un crescendo, esplodendo un un boato di gioia, frastornante. Strillavo talmente tanto che rimasi perplessa e stordita dalla mia stessa voce. Mi girai intorno cercando concentrata il volto di Jamie. Oddio che bello che era. Era possibilmente anche più bello di quello che vedevo da sobria. Sospirai tristemente, pensando a quale testa di cazzo era, purtroppo. Poi scossi la testa e gli puntai un dito in faccia. O forse nell'occhio. Non lo so. «Sai, sono felice che anche tu sia qui, anche se non sono felice di te. Per te. In te. Cioè qualcosa. » Ero parecchio confusa ma felice. Sospirai ancora un pochetto e dissi ancora altre cose che non ricordo. Non le capivo mentre le dicevo, quindi è impossibile che me le ricordi, effettivamente. Non ho idea del tempo che passò, ma a un cero punto presi tutte e tre per mano (come feci non lo so, va oltre le leggi della fisica) «Io dico d entrare. Tutti insieme. Come una volta. CHE ROMANTICA CHE SONO, AHAHAHHAAHHAH»
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    Edited by bruja; - 8/6/2015, 07:34
     
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