Memories

Jack e jer

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    ⋆ Killian Jack Hades ⋆
    « Solamente quando le cose ci vengono tolte, scopriamo il loro vero valore »
    Salì di corsa uno dopo l'altro i gradini che portavano alla guferia , una lettera stretta tra le dita mentre nell'altra mano il corvonero stringeva la maglia bianca completamente bagnata di sudore. Aveva corso alla ricerca di Flash ovunque, nella foresta proibita, sulle sponde del lago, perfino nel dormitorio dei grifondoro dove era abituato ad appollaiarsi il volatile, in uno spazio ristretto tra il muro e la finestra dove una volta c'era il letto di Jericho. Niente. Doveva inviare quella benedetta lettera ed invece si ritrovava a correre per Hogwarts a torso nudo come uno di quei modelli babbani che facevano le pubblicità per profumi ed indumenti. Beh effettivamente anche il suo fisico non era male ma non gli piaceva mostrarsi anche perché c'era Chamberlain per i corridoi. La grifondoro da più di due anni gli tormentava l'esistenza, gli scriveva dediche appassionate, lo invitava a uscire, lo abbracciava quando capitava , una cosa incredibile. Lui le aveva ripetuto un centinaio di volte minimo che la loro era una semplice amicizia ma lei sembrava non recepire il messaggio. L'ultima volta che si erano incontrati Cher (così la chiamavano tutti) aveva perfino finto di svenire per riuscire a farsi fare una respirazione bocca a bocca. Fortuna che Jack se la era filata affermando di non essere in grado di fare una cosa simile e di non sapere le basi del pronto soccorso, cosa in realtà non vera, anzi aveva letto molti libri sull'argomento perché non gli sarebbe dispiaciuto un domani diventare medico. Comunque sia tutto questo per spiegare perché Killian Jack Hades, 17 anni prefetto dei corvonero, stesse correndo come un disperato con i capelli bagnati e il torso nudo per le scale della guferia. Doveva inviare quella lettera e se Flash non era lì giurava di spennarlo e farlo ai ferri non appena gli fosse volato sopra la spalla. Svoltò l'angolo della torre pronto già ad afferrare la maniglia, entrare come i peggiori supereroi tra le cacche d'uccello per recuperare Flash che sicuramente era troppo impegnato a flirtare con qualche gufetta per sentire il suo richiamo. Ed invece, quando svoltò l'angolo si impiantò letteralmente con le scarpe e la sua faccia divenne ancora più rossa di prima balbettò ansimando di fronte alla splendida visione che per poco non li fece sbavare " Raggio di sole... cos...ma che...che fai qui con il mio pennuto?"
    Davanti a lui c'era la ragazza che a cui aveva regalato la catenina in realtà destinata a Jer, in tutto il suo splendore con quegli occhi di zaffiro puntati dritti su di lui, sulla spalla di lei c'era appollaiato proprio Flash con il piumaggio tutto arruffato. Jack imbarazzatissimo per lo stato pietoso in cui si trovava e per essere stato colto così alla sprovvista se la cavò egregiamente, si avvicinò alla giovane e porse il braccio al pennuto che ci svolazzò per qualche secondo e poi ci si appollaiò come era di solito fare. "Perdonalo spero che non ti abbia dato fastidio Flash solitamente non è un gufo socievole ma se si è appoggiato sulla tua spalla vuol dire che gli piaci! esclamò ridendo mentre metteva la lettera tra le zampe dell'uccello e lo lasciava volare via. Prese un respiro, almeno era riuscito ad inviare quella benedetta lettera, scosse la testa pensando alla figura che si era fatto davanti a quella ragazza tanto bella quanto speciale. Tra di loro intanto era caduto un silenzio tombale, doveva rompere il ghiaccio Jack e come sempre lo fece a modo suo , con la sua solita stupidità ed innocenza "Ti va di uscire stasera? È il minimo che possa fare per scusarmi. Che ne dici?Ci troviamo qui alle 20.00 ?"
    Andata. Aveva lanciato il sasso. Era da un Po che voleva rintracciare il suo raggio di sole e chiederle di uscire ma non aveva mai avuto il coraggio di bussare alla porta del suo dormitorio perché di quella ragazza sinceramente non sapeva nemmeno il nome. Forse doveva ringraziare Flash infondo, nonostante lo avesse fatto correre per mezza Hogwarts.

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    Si sentiva così stupida, a salire le scale della guferia. Lasciava che le dita scorressero leggere sulla ringhiera, sfiorandola appena con i polpastrelli. A Jericho Karma Lowell le altezze piacevano; quando frequentava il castello come studentessa di Hogwarts, smistata fra la fiera prole di Godric, amava sedersi sul davanzale, la fronte poggiata sul vetro. Quando invece voleva uscire a sgranchirsi le gambe, i suoi piedi la portavano automaticamente sulla Torre di astronomia, dove amava passare le sue serate in compagnia di Elsie. Quand’era piccola praticamente viveva nella casa sull’albero, e vi sarebbe anche morta di fame se non ci fosse stato Jack, che le portava sempre i biscotti. Jack. Represse il pensiero del ragazzo, portando la sua attenzione al lontano bubulare dei gufi e delle civette. Non aveva nessuno a cui scrivere, allora perché stava andando in guferia? E quella riflessione, per quanto scontata fosse, le fece male. Jer non aveva nessuno a cui scrivere, non più: Jericho Karma Lowell aveva cessato d’esistere, lasciando il posto ad una ragazza che portava il suo stesso nome, ma non era più lei. Non era successo quando era uscita dai Laboratori con quel suo nuovo aspetto. Se si fosse fiondata a casa degli Hades, abbracciando Killian ed i suoi genitori, sarebbe stata la stessa Jericho di sempre, solo un po’ più bella. Jericho era cambiata quando aveva deciso di non farlo, di vivere nell’ombra lasciando gli Hades nell’ignoranza sulle sue condizioni. Si sentiva orribile, sporca dentro. Anche solo deglutire era un dolore fisico, quando ci pensava. Loro avevano fatto così tanto per lei, l’avevano amata e accolta fra le loro braccia, e lei li ripagava così. E per cosa? Perché era una bambina infantile e capricciosa che si era innamorata del loro pargolo. Era una scusa così blanda e stupida, che la atterriva. Eppure era la verità. È difficile da spiegare per chi non sia mai stato innamorato, chi non avesse mai provato la travolgente sensazione del perdersi in qualcun altro. È … un vortice, che ti attira ed allontana al tempo stesso, che ti priva della razionalità. Jericho era di per sé una ragazza impulsiva, ma quello era tutto un altro discorso. Per Jack avrebbe sacrificato la sua vita, Merlino. E lo stava facendo. Voleva stargli lontano, ma non poteva fare a meno di ritrovarsi in sua compagnia. Destino o semplice attrazione, come una falena che sente il calore della fiamma, la Lowell non riusciva a stargli lontano. Per lei, lui aveva sempre significato tutto. Casa, famiglia, amicizia, scherzi, litigi. Tutto iniziava e finiva con lui, e non era una cosa sana. Era morboso, malato, e faceva più male che bene. Non avrebbe dovuto essere così, giusto? Avrebbe dovuto essere naturale come respirare, avrebbe dovuto gonfiarle il petto di gioia, farla sorridere. E invece, quando guardava negli occhi di Jack, Jericho non sentiva le farfalle nello stomaco: lei sentiva delle formiche carnivore. Aveva letto di una razza di formica che, se schiacciata, prima di morire morde il suo assalitore secernendo una sostanza la quale attira le altre formiche. Queste, attirate dall’odore, mangiavano l’uomo. Non era per niente romantico, vero? Sembrava fare un male cane. E per Jericho era così: c’erano stati momenti in cui aveva pensato di non riuscire a respirare, e per Morgana, lui non se n’era mai accorto. Le raccontava di tutte le ragazze che ci provavano con lui, ridendo di quei buffi approcci che lo facevano tanto sentire una rock star. Lei sorrideva comprensiva, come se la cosa le fosse mai interessata. E dentro si spegneva, e riaccendeva, come una lucciola che ancora si sforza di non morire.
    “Flash” Boccheggiò sovrappensiero, quando il barbagianni si posò sulla sua spalla. Abbassò lo sguardo a terra, per nulla preoccupata dall’odore o dallo strato di cacche sul pavimento. Perfino guardare Flash era un dolore fisico, quanto era patetica. Sollevò una mano accarezzando il morbido piumaggio del volatile. “Mi dispiace così…” Interruppe la frase a metà quando udì dei passi sulle scale. Anzi, qualcuno stava correndo. Piegò il capo in direzione della porta, e quando questa si aprì, il suo cuore smise di battere. Jericho ne era sicura: per un secondo, o forse due o tre, il suo cuore aveva semplicemente deciso di smettere di battere. Sentiva un vuoto nel petto, ed una fitta allo stomaco. Voleva piangere, Jericho. Ultimamente succedeva fin troppo spesso, a lei che mai aveva pianto dopo la morte di sua mamma. Sentiva gli occhi bruciare, le palpebre pesanti. Era così fragile la Lowell, che a malapena riusciva a reggersi in piedi. La cosa più triste era che aveva giocato da sola quella partita, e nonostante avesse fatto scacco matto, aveva perso. “Raggio di sole... cos...ma che...che fai qui con il mio pennuto?” Lasciò –involontariamente- vagare il suo sguardo sul giovane. Mezzo nudo e sudato, era giusto che fosse comunque così… meraviglioso? Sembrava un modello, nonostante chiunque sarebbe sembrato un idiota al suo posto. Nonostante fosse oggettivamente un bel ragazzo, e nemmeno il suo fisico era niente male, Jericho non riusciva a stare lontana dagli occhi scuri, sempre così caldi. Ci era cresciuta con quegli occhi, li aveva visti tristi, arrabbiati, felici, maliziosi. Erano anche un po’ suoi, capite cosa intendo? Il sorriso sempre spontaneo sulle labbra, che inconsciamente facevano sorridere anche lei. La gola improvvisamente secca. “Io…” Si schiarì la voce, muovendosi in modo che Flash volasse da Jack. “Non sapevo fosse il tuo uccello” Grande scelta di parole, vai Jer. Assottigliò le palpebre, lanciando un’occhiataccia a Flash. Traditore. “È molto bello il tuo uccello, mlml Incurvò le labbra in un sorriso timido, pronta alla fuga. Non voleva fare altre figuracce, né voleva rimanere ancora con lui.
    … ma quando mai, Jericho viveva per i momenti passati con lui. Letteralmente. Patetico, già. “Perdonalo spero che non ti abbia dato fastidio Flash solitamente non è un gufo socievole ma se si è appoggiato sulla tua spalla vuol dire che gli piaci!” A volte Hades era così ingenuo. Rise divertita, cogliendo un’ironia a quanto pare sconosciuta al corvonero. Gente strana i blu bronzo, e dire che avrebbero dovuto essere i più acuti. Che bello Jack, non vedevo l’ora di piacere al tuo uccello! “No, non mi ha dato alcun fastidio. E, mh, lusingata” Se solo avesse saputo la verità, gli sarebbe stato più chiaro. Lungi da Jericho illuminarlo in proposito. Entrambi rimasero in silenzio. La Lowell sapeva che avrebbe dovuto andarsene, sarebbe stato più giusto nei confronti di entrambi… ma andiamo, l’avete vista la sua occhiata, quando aveva riconosciuto il suo raggio di sole? Uno sguardo che a lei di certo non aveva mai rivolto, e… e quello, quello sì che la faceva sorridere, e sentire le farfalle, e tutte quelle cose lì. Era quello che aveva sempre voluto. Era falso, tutto un illusione; avrebbe rovinato tutto, perso la sua fiducia; gli avrebbe spezzato il cuore. Eppure non poteva fare a meno di sorridere, incapace di percorrere la strada che l’avrebbe riportata dalla different lodge. “Ti va di uscire stasera? È il minimo che possa fare per scusarmi. Che ne dici?Ci troviamo qui alle 20.00 ?”
    ………………………. Un appuntamento. Un appuntamento. Doveva rifiutare, per forza. Non poteva certo…. Ma cos’aveva in testa…. Non è che…. Era la sorella che stava cercando, ed al contempo il raggio di sole senza nome. Sarebbe stato tutto complicato, e imbarazzante, e assurdo, e qualcuno si sarebbe fatto male. “Certo” Annuì con entusiasmo, forse un po’ troppo. “Cioè, volevo dire… devo controllare la mia agenda, ma penso si possa fare. Alle 20. Qui. Ovvio. Vedo. Se vengo ci vediamo” Vai Jer, e dire che volevi diventare una femme fatale in questa tua seconda vita. Seh. Magari la signora degli uccelli, e non quelli , maliziosi. “Ciao” Sgusciò fuori dalla guferia, e quasi di corsa raggiunse la sua camera alla DL. Cos’aveva fatto?

    Dopo una doccia, una lotta con i propri vestiti –cosamimettocosamimettocosamimetto-, ed un’ultima evasiva risposta ad Aveline –“Massì, un ragazzo, carino eh… ma non mi interessa in quel senso” #SEH-, Jer tornò alla Guferia, dove Jack le aveva dato appuntamento. Ad ogni passo, pensò di tornare indietro: poteva ancora cambiare idea, era in tempo. Sarebbe stato tutto molto più facile se avesse fatto la scelta più razionale, ma dopotutto era una Grifondoro: passionale, stupida ed impulsiva. Soprattutto stupida. Indossava una mini gonna di jeans, morbida e stretta in vita, dentro la quale aveva infilato una semplice maglietta bianca con la scritta: always be yourself unless you can be a unicorn then always be a unicorn. Era la storia della sua vita in chiave ironica e divertente. La amava. (e poi, seriamente: era esilarante). Nessuna ragazza l’avrebbe scelta per un appuntamento……ma lei non era un adolescente qualunque. Indossava due spessi bracciali d’argento, una borsetta blu come l’elastico della gonna e la collana che Hades le aveva regalato a Natale. Non avrebbe dovuto metterla, ma non aveva resistito. I capelli sciolti, alcune ciocche rese bionde dal sole, ricadevano morbidi sulle spalle, ad incorniciare un viso pulito senza un filo di trucco. “Ehi” Esordì impacciata quando vide Jack nel posto dove le aveva dato appuntamento, alzando una mano in cenno di saluto. Era troppo tardi per scappare ormai.
    Ma forse se ne sarebbe fregata ed avrebbe comunque optato per la fuga.

    Jericho Karma Lowell
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    Appuntamento... andiamo Jack che cosa è alla fin dei conti un appuntamento? Hai dato buca a metà ragazze della scuola (a una letteralmente visto che la hai fatta scivolare in quella per la sabbia nel campo di quidditch #ops) cosa vuoi che sia lasciar perdere l'ennesimo colpo di fulmine? Non gli sarebbe costato nulla abbandonare la bella ciccina sul punto d'incontro ma stavolta il corvonero non aveva alcuna intenzione di mancare all'appello. Stavolta, a differenza di tutte le altre, era stato lui a scegliere una ragazza e non il contrario, quel piccolo raggio di sole non era stato invadente, non gli aveva rotto le scatole, non l'aveva tormentato duranete le lezioni, era stato silenzioso ed invisibile , dolce ed anche simpatico... cosa volere di più dalla vita? Una cosa chiamata Alcol.
    Si sbottonò la camicia bianca in modo da non sembrare troppo uno di quei pavoni imbellettati e si diede un rapido sguardo allo specchio mentre si sistemava la cintura dei Jeans blu scuro e ripensava a quel pomeriggio.
    Non avrebbe mai pensato di incontrare quella giovane li, assieme a Flash, era rimasto così sorpreso nel rivederla e così inspiegabilmente contento da cadere nella trappola dell'imbarazzo, nella trappola dell'irrazionalità. "Non sapevo fosse il tuo uccello... è molto bello" Sorrise scuotendo la testa , cogliendo al volo il doppio senso che probabilmente, se non si fosse trovato davanti a quella stella , non si sarebbe fatto nessun problema ad evidenziare con qualche battuttaccia dalla moralità discutibile. Ma infondo Jack era un caso discutibile, la sua stessa esistenza poteva essere considerata come uno strambo scherzo della natura che aveva voluto unire la bellezza al cervello ottenendo come risultato un ibrido, una razza strana conosciuta da tutti con l'aggettivo "idiota". Il corvonero comunque, a conti fatti, non si era perso d'animo, le aveva chiesto di uscire e lei , lei d'impulso aveva risposto con una parola "Certo" Ammettiamolo. Era irresistibile. #modestiaportamivia
    Non si aspettava sinceramente un'affermazione così diretta, così sicura e per un attimo si sentì in paradiso, sentì le dita sfiorare la soffice materia delle nuvole per arrivare poi alla luna #comeèromanticojack. Aspettò che il suo raggio di sole se ne andasse e quando fu solo lanciò uno sguardo al suo gufo, rimproverarlo o amarlo per avergli fatto nuovamente incotrare la ragazza? Nel dubbio Jack gli porse il braccio ed aspettò che il pennuto vi ci si posasse sopra per fargli un po' di grattini ed arruffargli le piume.
    Mentre tornava al proprio dormitorio il giovane si diede dello stupido, aveva invitato la ragazza a uscire senza nemmeno calcolare il fatto che stavano ad Hogwarts ed il posto più romantico in cui poteva condurla erano i tre manici di scopa. Fantastico Jack, fantastico. Dopo quasi un ora ne concluse che se veramente voleva fare il figo e portare il suo raggio di sole in un posto degno della sua bellezza... beh avrebbe dovuto dimenticare di essere un prefetto ed avrebbe dovuto dimenticare qualche regola elementare della scuola di magia. ma per sua sorella questo e altro #wat Così, una volta aver deciso la meta, aveva fatto un salto nel ripostiglio delle scope ed aveva recuperato la propria senza farsi notare da nessuno, poi se ne era andato a fare un bel bagno caldo ed infine aveva preso dall'armadio qualcosa di decente da indossare. Non era abituato ormai a portare indumenti casual, si vedeva strano senza la sua divisa e la sua spilla da bravo bimbo appuntata al petto ma dopo tutto era un appuntamento con la A maiuscola e non poteva di certo fare la figura del tipico secchione senza una vita sociale e nemmeno quella del festaiolo partyhardaro *auri passione conia aggettivi #swishselvaggio* che ha per la testa solamente l'acol e le belle bionde. Daddy sei tu? (mai fidarsi dei biondi...ah aspe è jack... lui si fida di chiunque è gia spacciato #porello) Doveva cercare di sembrare serio Killian, serio o almeno, doveva cercare di essere una persona normale, cosa assai difficile visto che, ogni due secondi, gli passava per la testa un'idea più stupida dell'altra ma vabbeh... nessuno è prefettoperfetto!
    Senza farsi notare e con abilità, il corvonero lasciò la sala comune della propria casa e, aspettando il momento proprizio, riuscì a raggiungere la guferia indisturbato. Poggiò la scopa sul davanzale e poi lanciò un pezzo di muffin recuperato dalla sala grande a Flash, il suo wedding planner, (si perchè i gufi ovviamente nel tempo libero organizzano incontri al buio negli strip club e matrimoni di vario genere) doveva ringraziare l'uccello #mlmlmlml il pennuto se ora si trovava li, ad aspettare il suo raggio di sole che, puntuale come un orologio svizzero, si annunciò con un rumore di passi affrettati. Ed eccola lì, con una minigonna che metteva in risalto le gambe slanciando il suo fisico da urlo, con una maglia dallo slogan magnifico che Jack sicuramente avrebbe usato in qualche verifica di erbologia quando non avrebbe saputo rispondere a qualche assurda domanda della lagrange, eccola li la sua stella che gli si avvicinava con un timido "Ehi". Jack sorrise posando il muffin sul marmo e lasciando che Flash se lo mangiasse senza tanti complimenti, era la sua ricompensa infondo e poi lui in quel momento aveva sicuramente altro a cui pensare. "Ma buonasera" rispose il giovane in modo cordiale afferrando la mano di lei e portandosela alle labbra, le sfiorò appena, abbassando per qualche istante lo sguardo che poi torno a posarsi divertito sugli occhi di zaffiro della ragazza "Spero che non soffra di vertigini mademoiselle e che si fidi abbastanza da lasciarmi l'onore di condurla su una stella" continuò poi allungando il braccio e mettendosi a cavallo della scopa. Solamente quando la ragazza acconsentì a seguirlo la fece sedere davanti a lui, gli era talmente vicina che poteva sentire i suoi capelli biondi solleticargli il volto, poteva sentire quel profumo, quel profumo così familiare inondare l'aria e poteva sentire il contatto con il suo corpo esile così vicino da riuscire a stringerla senza nemmeno accorgersene. "Tieniti forte, uscire dalla scuola non sarà facile ma sicuramente non è impossibile" concluse ridendo il corvonero accendendo i motori (?) tre... due... uno... il vuoto. Sotto di loro la guferia, la torre di astronomia, Hogwarts in tutta la sua bellezza mentre gli ultime luci del crepuscolo illuminavano quelle mura di un rosso aranciato dalle diverse sfumature. Sapeva dove andare e poi avevano un'ottima guida, Flash, che volava davanti a loro indicando la strada da percorrere per un luogo incantevole da vedere dall'alto, per un luogo incantevole da vedere volando di sera, Londra era un turbinio di luci e colori, un gioiello sfavillante nel cuore della notte e poi... poi c'era l'oceano, quella era la loro meta finale ma per il momento, Jack si godeva l'aria fresca tra i capelli mentre le sue braccia, stringevano quel piccolo raggio di sole accanto a se. Erano sospesi nel vuoto e non c'erano bisogno di parole, erano sospesi nel vuoto e Jack non poteva nemmeno urlare che gli sembrava di volare ...perchè effetivamente lo stavano già facendo. *Jack sto volando* #titanic #wind #elyenne #quest05 #beitempi
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    Jericho abbassò lo sguardo, indietreggiando di un passo. Avrebbe dovuto essere abituata a quella sensazione alla bocca dello stomaco, il vuoto prima della discesa nelle montagne russe; avrebbe dovuto esser ormai avvezza, non farsi cogliere impreparata, a quel sorriso e quegli occhi scuri. Non avrebbe dovuto, la Lowell, rimanere imbambolata a fissare il ragazzo con il quale era cresciuta, non in quel modo. Si malediceva ogni notte, si auto convinceva di essersi sbagliata: è solo affetto fraterno, Jer. Solo quello. Ma che senso aveva continuare a mentire, quando il cuore sembrava volerle scoppiare nel petto? Non era universalmente giusto, che Killian Hades, in tutta la sua imperfezione, fosse così perfetto; uno stupido, sciocco ragazzo, che riusciva sempre a riservare un sorriso anche a chi, come Jericho, non lo meritava. Nonostante fosse un Corvonero, raramente Jack dava peso al proprio raziocinio, facendosi guidare dal cuore –e di cuore, ne aveva tanto. Non abbastanza per Jericho Karma Lowell, ma tanto. In tutto quello lei, proprio lei, come poteva rientrare nell’equazione? Semplice, non lo faceva: non era mai stata abbastanza intelligente, abbastanza brillante, astuta, buona, divertente, o anche solo bella. Aveva vissuto per quindici anni nell’ombra di sé stessa e di chiunque si sporgesse abbastanza per metterla in oscurità, incapace di fare quel passo che l’avrebbe finalmente messa in luce. Rimaneva nelle retrovie, Jer, a ridere di quell’umanità che si trascinava a rilento nello spazio e nel tempo, schernendo i loro tentativi di sembrare normali quando era abbastanza chiaro che la normalità aveva cessato d’esistere non appena ne avevano coniato il termine. Aveva così poca fiducia nell’umanità, che spegnere la fiducia altrui altro non era che un meraviglioso passatempo per lei, che rispondeva con adorabili sorrisi all’adombrarsi dello sguardo altrui. Il tutto in maniera molto infantile, reputata dai più una parvenza di simpatia: stai scherzando, vero? E lei rispondeva che sì, certo che stava scherzando. Ma non era vero, neanche un po’. Che motivo aveva però di confessarlo? Neanche Jack l’aveva mai saputo, come tante erano le cose che ancora, e sempre, aveva ignorato di lei. Pensava di conoscerla meglio di quanto conoscesse sé stesso, ma la realtà era che non conosceva nessuno dei due, che mai aveva interpretato in maniera corretta i silenzi della Lowell. Nessuno l’aveva mai compresa, perché lei non aveva mai avuto intenzione di farsi comprendere, beandosi di quella sensazione di essere speciale, unica consapevole di ciò che era o pensava. Nell’ultimo anno era cambiata, aveva conosciuto persone come lei, aveva finalmente aperto gli occhi. Quel lato di sé era rimasto, certamente, ma aveva anche scoperto di poter esistere senza Jack, di avere una luce tutta sua. Di essere, in fondo, una combattente. Schiacciata dal passato, e da quel futuro che pareva sempre troppo vicino, ma viva. Ma Hades non la smetteva di farle quell’effetto, qualcosa che le persone da sempre avevano ricercato negli occhi di un amico, di un estraneo per le strade. Non poteva semplicemente smettere di amarlo, come si potrebbe spegnere un interruttore. Era quello a farle più male, la consapevolezza di non poterci fare niente. Così da sempre, e così sarebbe rimasto: Jericho amava Killian, detto Jack, Hades. E quell’amore la stava uccidendo, spingendola nella direzione sbagliata, una strada che avrebbe finito per sotterrarli entrambi. Tacere la sua identità, aveva una nota di perversa vendetta che intenzionalmente non avrebbe mai inflitto a Jack; ma era la sua unica possibilità. Senza contare che se lui l’avesse odiata, odiata davvero, forse avrebbe potuto farsene una ragione e voltare pagina.
    Una volta per tutte.
    «Ma buonasera» Hades, non mi stai aiutando. Arrossì quando lui posò delicatamente le labbra sulla sua mano, ringraziando Morgan di non tremare. Esternamente, almeno; dentro di sé, il cuore batteva così forte da farle vibrare ogni maledetto osso, muscolo, e qualsiasi altra cosa vi fosse all’interno dell’organismo umano. Si sentiva rivoltata come un calzino, letteralmente, mentre una stretta al ventre le ricordava di sorridere. Sorridi sempre Jer, è sempre stata la tua tattica. Sorridi quando sei cattiva, sorridi quando fai humour nero, sorridi quando non capisci, e sorridi quando non sai come rispondere. «Spero che non soffra di vertigini mademoiselle e che si fidi abbastanza da lasciarmi l'onore di condurla su una stella» Oh buon Dio, Jack. Se fosse stata la normale, vecchia Jericho, gli avrebbe tirato un pugno sulla spalla ridendo di quella melensa ed alquanto scontata romanticheria, prendendolo per il culo almeno fino all’anno dopo; al contempo l’avrebbe odiato, perché simili parole non sarebbero mai state indirizzate a lei. Eppure, in quel momento, era proprio a Jericho che erano riservate quelle attenzioni. Per quanto continuasse a reputare la frase del ragazzo terribilmente diabetica, non potè che apprezzarla e vomitare arcobaleni, ridendo mentre abbassava lo sguardo. Ma cosa le faceva Hades? Lo odiava. Lo amava. Entrambe, in egual misura. La cambiava, rendendola più sé stessa di quanto non fosse da tempo. Era la sua famiglia, il suo migliore amico, e molto di più. Era Jack. Annuì, alzando gli occhi blu al cielo. «Le stelle bruciano, lo sai vero?» Eh beh, non poteva trattenersi troppo a lungo dal sottolineare l’ovvio, rovinando così il momento. Era pur sempre la Lowell, e proprio non ce la faceva a godersi un bell’istante senza dire una puttanata. Oddio, ma sulla scopa con lui? Okay, non era la prima volta che saliva su una scopa con Jack, ma… mai così. Era sempre stato suo fratello, e ciò che aveva provato per lui l’aveva reputato così sbagliato da trattenersi sempre, sempre e comunque; e lui, d’altrocanto, l’aveva sempre trattata come una sorella. Ma il suo Raggio di Sole non era Jericho, quindi era tutto diverso. C’era un’alta probabilità che morisse nel tragitto anche se Jack non li avesse fatti schiantare –cosa di per sé già improbabile. Insomma, c’era un buon 70% di probabilità che non vedesse mai l’alba del giorno dopo, ma per Jack –forse- ne valeva la pena. «Tieniti forte, uscire dalla scuola non sarà facile ma sicuramente non è impossibile» Strinse il manico della scopa con le mani sudate, voltandosi appena per lanciargli un’occhiataccia. Ed il suo cuore, vi giuro, smise di battere per almeno un secondo, nel trovarsi Hades così maledettamente vicino. Quella che doveva essere un’occhiata omicida si tradusse nella venerante, sciocca ed ebete espressione di Jericho Karma Lowell. Distolse immediatamente lo sguardo, riportandolo imbarazzata sulle proprie dita. Sentiva il battito di lui contro la propria schiena, il suo profumo sulla pelle. No basta Maria, io me ne vado. E stava quasi per farlo davvero, scendere e salutarlo con un’alzata di spalle congedandolo con un “Non sono interessata” (ahah, la barzelletta dell’anno), quando si alzarono in volo. Che poi, dove la stava portando? Si fidava di lui, senza ombra di dubbio.
    Però.
    «Jack…» Deglutì, strizzando le palpebre per non guardare. «Dove stiamo andando? Forse soffro davvero di vertigini» Forse avrebbe dovuto dirglielo prima, quando gliel'aveva chiesto. O forse non erano le vertigini, era solo, e sempre, quel maledetto Hades. «Siamo quasi arrivati?» Inspirò profondamente, non avrebbe certo desiderato un bel romanticissimo vomiticcio mentre erano in volo su… mare? Oceano? Oddio DOVE SIAMO.

    Jericho Karma Lowell
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    Non sapeva nemmeno il suo nome, eppure era la cosa più facile del mondo fare delle presentazioni, insomma non poteva essere così complicato chiedere a una ragazza "Hei come ti chiami?" era una cosa elementare, ovvia, scontata, dannatamente facile... non per Jack. Il motivo sfuggiva anche a lui ma quando era al cospetto della ragazzina occhi di zaffiro purtroppo il suo nome non sembrava essere poi così rilevante, no, al giovane bastava tempo, tempo per rimanere con lei, tempo per provare a farla ridere, tempo per sentire il suono della sua voce e rimanerne come incantato. Si, si doveva essere infatuato di quella piccola telepatica che probabilmente sentiva ogni suo pensiero, ogni sua dannata fervida immaginazione ma sinceramente a Jack non importava nulla se era una strega o se era una babbana, se aveva qualche potere anomalo o veniva considerata speciale, gli faceva battere il cuore più velocemente del normale, come quando faceva i 100 m piani sperando di non morire d'infarto. *Terra chiama Jack, terra chiama Jack, rispondi Killian* Non era mai stato bravo a rapportarsi con il genere femminile, tutte le ragazze gli cadevano ai piedi semplicemente perchè aveva la reputazione di essere un bel diciassettene, scapolo e senza alcun tipo di regola a cui badare ma in lui non vedevano niente di più se non questo. Quel raggio di sole invece sembrava capirlo, sembrava comprenderlo, sembrava conoscerlo meglio di chiunque altro nonostante avessero scambiato poche parole in un'intera serata. Alzò lo sguardo mentre lasciava la mano della giovane e lei gli smontava la frase romantica con un'esclamazione del tipo "Le stelle bruciano, lo sai vero?" Rise scuotendo la testa , ovvio che lo sapeva ma tesoro mai visto il titanic? Insomma era per fare la persona dolce e romantica anche se non era sicuramente il suo forte «Bruciano? Davvero? Ero convinto che fossero semplicemente dei puntini colorati... mmh forse questo spiega perchè la prof mi ha buttato fuori dal corso di astronomia!» continuò scherzando e facendo come sempre la figura dello stupido. Quello che la gente non capiva di Killian è che lui non era semplicemente un povero idiota, lui l'idiota lo faceva di professione, se la gente non si aspetta da te un discorso serio non lo pretende, Jack non voleva soddisfare ed eseguire gli ordini di nessuno, non gli piaceva sottostare alle regole e l'unico modo che aveva trovato per sfuggire alla noia ed ai problemi della vita era ridere, riderci sopra, in qualsiasi caso,in qualsiasi situazione. Lasciò che la bionda si sedesse accanto a lui sulla scopa e quando incrociò nuovamente il suo sguardo erano così dannatamente vicini che il ragazzo giurò di riuscire a vedere le sfumature argentate delle iridi, era così bella ed allo stesso tempo c'era qualcosa in quegli occhi che gli ricordava Jericho, che gli ricordava sua sorella in tutto e per tutto. Fece scivolare il pensiero a quella che ormai riteneva una battaglia persa, non era riuscito a ritrovarla e man mano che i mesi passavano lui giungeva alla conclusione che non volesse essere trovata ed allora, allora arrivavano i sensi di colpa, allora lo raggiungeva quello strano desiderio di mollare scuola, di mollare la sua vita per scoprire cosa diavolo fosse successo a Jer, la sua Jer.
    "...Jack" La voce di lei lo portò indietro mentre la scopa si staccava da terra ed i loro piedi incontravano il vuoto, "Dove stiamo andando? Forse soffro davvero di vertigini" sorrise, le donne erano tutte uguali ma infondo l'altezza non era poi così male ci si poteva fare l'abitudine. Jack avvicinò la testa ai capelli di lei aspirando quel profumo intenso che gli ricordava un po' casa e le sussurrò all'orecchio «Sai, anche mia sorella non piaceva volare ma nonostante tutto ha sempre avuto il coraggio di venire con me, il segreto non sta nell'altezza, sta nel fidarsi della persona che ti porta a toccare il cielo. » Si fermò incredulo di averle appena detto una cosa simile con tanta spontaneità, con tanta semplicità ma infondo il suo raggio di sole già sapeva che lui era alla ricerca di Jer, la collana che portava al collo doveva andare a lei ma a quanto pareva la Lowell non voleva avere più niente a che fare con Killian e lui...lui non riusciva ad accettarlo. «Perciò non ti chiederò di non guardare giù, ti chiederò : ti fidi di me?» un'altra pausa e poi un'ultimo consiglio esclamato ridendo come a sdrammatizzare una conversazione troppo seria prima del silenzio «...E goditi il panorama!»
    La loro destinazione era una spiaggia, si una spiaggia alle porte di Londra e dell'oceano, ci andava spesso Hades quand'era bambino, camminava per ore con i piedi immersi nell'acqua cercando conchiglie colorate dalle forme bizzarre da regalare alla sorellina, gli era sempre piaciuto il mare, gli piaceva la brezza e le luci che si riflettevano sulle onde, gli piaceva guardare il sole fare il bagno e la luna specchiarvicisi dentro a quel blu profondo che gli dava un'incredibile sensazione di pace e tranquillità. Jack planò con dolcezza direttamente sulla spiaggia smontando quando ancora la scopa si muoveva e aiutando il suo raggio di sole a raggiungere sana e salva il terreno, non faceva troppo freddo per il momento e davanti a loro c'era la stessa costa che Killian aveva percorso tante altre volte correndo, sfidando Jer a chi raggiungeva prima il gruppo di scogli. «Beh eccoci qua, non è stato poi così terribile non trovi?» chiese mentre iniziavano a camminare distanziati di qualche centimetro gli uni dagli altri. «Ci venivo spesso qui, appena la luna si fa alta nel cielo illumina a giorno tutta la spiaggia!» Era un posto speciale, era magico e sicuramente faceva trapelare l'animo dolce di Jack che ritrivava in quel luogo una parte di se che aveva perduto con gli anni, tornare indietro... magari fosse stato possibile. Magari tutto tornasse facile come quando lui e Jer erano solo dei ragazzini intenti a vivere una vita normale, magari ritornassero i tempi in cui la sua più grande preoccupazione era se lei fosse stata felice, felice di quella famiglia che non avrebbe mai potuto rimpiazzare quella originale. Perchè alla fine cos'era Jack? Cos'era stato per lei? Solo un rimpiazzo. Solo qualcuno che l'aveva aiutata a dimenticare quel trauma vissuto da bambina, l'aveva lasciato senza nemmeno una parola, senza una spiegazione e quello, quello continuava a fare male, non voleva sapere cosa diavolo stesse combinando ma solo se stava bene, se era ancora viva, se aveva raggiunto quella felicità che lui non era mai riuscito a darle ed allora si sarebbe messo il cuore in pace , allora avrebbe smesso di sentirsi in colpa. Ma gli era stata negata anche quella informazione e lui, da idiota, continuava a sperare che Jericho comparisse dal nulla, in qualsiasi luogo, in qualsiasi momento. Non si rese conto che tra lui ed il suo raggio di sole era caduto il silenzio, non sapeva se lei avesse percepito le sue riflessioni ma non voleva di certo rovinare la serata, il ragazzo adocchiò lo scoglio dov'era solito arrampicarsi con Jer ed esclamò d'improvviso fermandosi e togliendosi le scarpe «Quando ero piccolo facevo un gioco, una sfida, io e mia sorella giravamo su noi stessi dieci volte e poi ci lanciavamo a correre per vedere chi raggiungeva prima quello scoglio laggiù, è un secolo che non lo faccio!»
    Tese la mano alla bionda sperando che accettasse quell'invito alquanto insolito, non era normale fare una gara al primo appuntamento ma alla fin fine era questione di pochi metri e poi su quello scoglio c'era qualcosa che Jack voleva mostrare alla giovane. Già a quella giovane di cui non sapeva ancora il nome ma ci sarebbe stato tempo per le presentazioni, ci sarebbe stato tempo per tutto, una cosa alla volta Killian, una cosa alla volta.
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    Pensò quasi di persuaderlo, grazie al suo potere, a farla scendere da quell’affare. Sentiva il cuore pulsare con violenza contro le costole, e temeva che se fossero rimasti in volo anche solo altri cinque minuti, il muscolo avrebbe finito per farsi perforare dalle ossa. Sì, era un talento naturale quello di rendere una situazione, o metafora, romantica, il più cinico possibile. Doveva pur aver affinato qualcosa in quei sedici anni, o no? E sapeva, era quella la cosa che più la irritava, sapeva che il battito accelerato poco dipendeva dall’altezza -nonostante Jericho realmente la temesse. Era sentire Jack così… vivo, le braccia calde attorno ai suoi fianchi, il fiato a solleticarle la pelle. Riusciva a percepire il profumo di lui sulla propria pelle; per resistere alla tentazione di stringersi le braccia al petto, poggiando le mani su quelle di Hades, dovette stringere il manico della scopa con così tanta energia da sbiancare le nocche. Non capiva come le persone potessero raccontare con malinconia e dolce trasporto del loro primo amore, quand’ella non riusciva neanche a respirarlo; razionalmente non vedeva l’ora che finisse, si rendeva conto di quanto sciocco e superficiale fosse stato da parte sua innamorarsi del migliore amico, ma dall’altro… l’avete mai visto, voi, qualcuno come Jack Killian Hades? L’avete mai visto un sorriso come il suo? Avete mai sentito il calore del suo sguardo sondare il vostro, e spogliarvi di tutto ciò che chiamavate innocentemente certezza? Non era facile, essere così prossimi al Corvonero. Era un adorabile testa calda, sì, apparentemente stupido e buffone. Ci volevano anni per superarne gli strati, ed arrivare al cuore dell’oro più puro. Così… buono, immacolato. Dolce come raramente un essere umano si permetteva d’essere; diverso, profondamente, da Jericho. Un tempo aveva creduto di essere buona, e talvolta fingeva di crederci. Ma andiamo, a lei non era mai importato essere quella buona ed amata da tutti: sentiva, in cuor suo, la chiamata a cedere al lato nascosto della luna. Se resisteva, era solo per Jack, Aveline, Mack; per non diventare ciò che ha sempre temuto d’essere.
    Una Lowell.
    Era stato inevitabile per lei, che condivideva con Jack quasi ogni momento della sua giornata, innamorarsi di lui. Paradossalmente non l’aveva mai detto ad alta voce, scettica a quel termine che suonava sbagliato sulle labbra di chiunque. Ancorata a quella concezione infantile dell’amore narrato nelle favole, non poteva che alzare gli occhi al cielo nel solo relazionarvisi. Eppure, come altro poteva classificare quello che provava per Jack? Trascendeva ogni ragionevolezza, ogni pensiero. Era stupido, dannatamente stupido. E non era forse l’amore il sentimento più stupido di tutti? In effetti, la sua, poteva essere una favola: il c’era una volta aveva il suo principe nel corvonero, il problema era che lei mai era stata la principessa. Al massimo il.. cespuglio? Ed un principe mai si era innamorato di un cespuglio, da che si rimembri. Bella favola di merda. «Sai, anche mia sorella non piaceva volare ma nonostante tutto ha sempre avuto il coraggio di venire con me, il segreto non sta nell'altezza, sta nel fidarsi della persona che ti porta a toccare il cielo» perché doveva sempre essere così spigolosamente perfetto? Diceva la cosa giusta alla persona sbagliata, era quello il problema di Jack: se da una parte non poteva che sciogliersi per quella frase, agognata da qualunque eroina di ogni opera, dall’altra non poteva che trovarlo snervante. Era pur sempre, seppur sotto mentite spoglie, Jericho. Senza contare che il pensiero che lui potesse aver detto una cosa del genere a qualcun altro, era oltremodo… scomodo. E straziante. Un piccolo sorriso le increspava le labbra, mentre spontaneamente indietreggiava per posare la schiena sul petto di lui. Le venne così naturale, che si sentì una completa idiota quando realizzò quanto aveva fatto; peccato che tornare sui suoi passi sarebbe stato anche più imbarazzante. Si morse il labbro, maledicendosi per essere così… Jer, anche quando Jer era l’ultima ragazza che voleva essere. «Perciò non ti chiederò di non guardare giù, ti chiederò : ti fidi di me?» Inspirò profondamente, lanciando un’occhiata sotto di sé. Attese qualche secondo, prima di volgere gli occhi blu su Jack, così vicina che se solo avesse parlato, le proprie labbra avrebbero sfiorato la sua pelle. «Più di quanto tu non sappia, Jack» Gli inviò telepaticamente, così che non potesse sentire il tono quasi disperato nella sua voce. Quella parte di sé che, malgrado tutto, voleva semplicemente smetterla di mentire alla persona cui teneva di più su quella terra. Voleva solo dirgli la verità.
    Ma non abbastanza. Mi dispiace.

    «Beh eccoci qua, non è stato poi così terribile non trovi?» Jericho non guardava Jack, ma la spiaggia nella quale l’aveva portata. Ricordava perfettamente quel posto, così come sapeva che dopo pochi passi in acqua si apriva un buco che bisognava saltare per arrivare dalla parte opposta. Quand’era bambina credeva che, se solo avesse messo il piede in fallo, il buio l’avrebbe trascinata al suo interno in un vortice. Si chinò, prendendo una manciata di sabbia che fece scivolare con lentezza fra le dita. «no… non così terribile» rispose inebetita, le guance ancora rosee per il piacevole viaggetto in scopa. Cominciarono a passeggiare, e la Lowell guardava ovunque tranne che nella direzione di Hades. Si era tolta le scarpe, che ciondolavano inermi al suo fianco ad ogni passo, mentre i piedi affondavano nei granelli di sabbia. «Ci venivo spesso qui, appena la luna si fa alta nel cielo illumina a giorno tutta la spiaggia!» annuì, mentre un sorriso le incurvava le labbra. Avrebbe rimembrato quel momento anche senza scorgerne un frammento nella mente di Jack, così intenso in ogni suo pensiero che pareva un maledetto proiettore. Se solo lui avesse potuto vedere il mondo come lo vedeva lei! Non si accorse di aver lasciato cadere il discorso, finchè il ragazzo non si bloccò dinanzi a lei, obbligandola a fermarsi. «Quando ero piccolo facevo un gioco, una sfida, io e mia sorella giravamo su noi stessi dieci volte e poi ci lanciavamo a correre per vedere chi raggiungeva prima quello scoglio laggiù, è un secolo che non lo faccio!» Si lasciò scappare una risata. Ah, al Raggio di Sole non diceva che veniva sempre tristemente stracciato da Jericho, eh? Quand’era piccola correva come un fulmine; crescendo ha finalmente trovato la retta via, scoprendo nella corsa un hobby troppo faticoso: alla veneranda età di sedici anni, il massimo di maratona che faceva si chiamava netflix. Intrecciò le dita a quelle di Jack, annuendo felice, incapace di cancellare il sorriso dalle proprie labbra. Cominciò a saltellare riscaldando i muscoli, stupendosi della dinamicità di quel nuovo corpo. Alla vecchia Jericho, il solo saltare due centimetri avrebbe fatto venire almeno tre crampi al polpaccio ed uno all’alluce (cosa? Non si poteva avere crampi all’alluce? Tzè). «sei pronto a mangiare la polvere, Hades?» domandò sorniona, scandendo il via con le dita alzate verso l’altro: «3…2…1…VIA» Cominciò a girare su sé stessa, tenendo conto di ogni giravolta; sul finire della decima si lanciò in avanti, le gambe tese nella corsa, mentre il mondo si distorceva attorno a lei facendola correre a zig zag. Inciampò e quasi soffocò nelle risate, ma riuscì a resistere fino alla fine: quando arrivò allo scoglio, poco prima di Jack, si lasciò scivolare a terra trascinando con sé il ragazzo. Mise le mani avanti, osservandole immobili mentre tutto attorno a loro sembrava ripiegarsi su sé stesso, segno dei folli giri prima della corsa. «si muove tutto» sottolineò l’ovvio, sempre ridendo, dimentica per un istante di tutto ciò che gravava sulle sue spalle: non il potere, non la nuova sé stessa, non Nathaniel, non le bugie. Erano solo Jer e Jack. Si accorse di stringere ancora la sua mano, e di essere rimasta a guardarlo in silenzio per oltre un minuto. Eppure, non aveva la benchè minima intenzione di lasciarlo. Distolse gli occhi chinando il capo, sussurrando un orgoglioso, da brava ex Grifondoro: «ho vinto. C’è un premio speciale?»
    Jericho Karma Lowell
    « You won't ever be alone Wait for me to come home »

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  7. Jack‚ beautiful IDIOT.
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    ⋆ Killian Jack Hades ⋆
    « Solamente quando le cose ci vengono tolte, scopriamo il loro vero valore »
    Aveva sempre trovato nel volo qualcosa di magico, forse perchè dall'alto vedeva il mondo da un'altra prospettiva, forse perchè l'aria che gli entrava nei polmoni lo faceva sentire vivo, non sapeva dare una spiegazione completa ma amava ritrovarsi sospeso nel vuoto, tra terra e cielo, dove la sua vista poteva spaziare attraverso l'infinito. Sua sorella invece aveva sempre sofferto di vertigini, convincerla a sedersi su quella scopa era sempre stato quasi impossibile, nelle rare occasioni in cui ciò accadeva Jack cercava di non compiere chissà quale tipo d'evoluzione ma, dopo tre minuti di volo, ben si capiva che era un'appassionato di Quidditch e che fremeva dalla voglia di provare nuove, stravaganti, acrobazie su quel manico di legno. Quella sera però si dimostrò piuttosto responsabile, il viaggio fu tranquillo, si sentiva troppo in soggezione Hades per commettere qualche imprudenza, non aveva un ego così grande da mettersi in mostra rischiando di far venire un infarto alla ragazza che gli stava davanti. Già perchè quello non poteva definirsi il solito appuntamento ottenuto grazie alla sua fama, al suo sorriso, al suo fisico, alla sua intelligenza. No, stava a pochi centimetri da quel raggio di sole e, anche se non sapeva praticamente nulla di lei, avrebbe solamente voluto stringerla a se più forte, farla sentire bene, farla sorridere. Quella ragazza riusciva ad attirarlo come una calamita, i suoi occhi, di un azzurro intenso, lo rapivano non lasciandogli altra scelta se non quella di cercare ancora quel contatto visivo, era la prima volta che provava una cosa simile, la prima volta che rideva di se stesso e di quel suo assurdo comportamento da inguaribile romantico. Molte giovani prima della bionda avevano tentato di catturare il suo cuore, il primo bacio lo aveva ricevuto a quattordici anni ma non aveva provato nulla se non una punta di divertimento, non era mai stato male per nessuna di loro, l'unica a cui prestava attenzione, l'unica che si impegnava a proteggere, ad ascoltare, a far ridere, era Jericho. La sua Jericho. Ancora ricordava quando, quella fredda sera di gennaio, aveva varcato la soglia di casa Hades, una bimba piccola, indifesa, dallo sguardo dolce e perso. Sembrava così triste, sembrava così disperata, con le lacrime ancora calde che rigavano quegli occhioni di cristallo. "Jack che ne dici se rimane qui con noi?" quelle parole gli erano rimaste impresse a fuoco nella mente, la voce di sua madre che per la prima volta introduceva la bimba all'interno della famiglia, il suo piccolo raggio di sole che avrebbe invaso le giornate di lui per oltre dieci anni, Jer.
    Sentì l'esile corpo della ragazza poggiarsi sul suo petto e d'istinto Hades non potè far a meno di stringere più forte quella giovane tra le braccia, accorciando la distanza tra le loro mani, entrambe posate sul manico della scopa. Percepiva i muscoli del corpo fremere appena mentre lei si voltava, bastavano pochi millimetri perchè le loro labbra potessero sfiorarsi, la tentazione era talmente forte che Killian dovette distogliere l'attenzione dal volto della bionda per portarla a concentrarsi in un punto indefinito del cielo, non poteva resistere a quegli occhi, a quello sguardo che sembrava volergli spogliare l'anima, che sembrava già conoscere ogni cosa di lui, del suo modo d'agire e di fare. Prevedibile, quello lo era sempre stato, fin da bambino, fin dal primo istante in cui aveva condiviso la cameretta con quella bimba sconosciuta divenuta poi sua sorella. S'era chiesto molte volte cosa poteva averla fatta allontanare, dove aveva sbagliato, perchè lo aveva lasciato solo, così, senza dire una parola. Doveva saperlo Jer che lui era un maledetto incapace, che lui aveva bisogno di lei, di non essere abbandonato, non sopportava la solitudine... non sopportava non sapere cosa le fosse accaduto. Passavano i mesi e più che i sensi di colpa, era la preoccupazione che lo divorava, aveva bisogno di tenerla sotto controllo, di sentire la sua voce e capire che stava bene anche senza di lui, che aveva compiuto una scelta, consapevole di ciò a cui stava andando in contro. «Ti fidi di me?» «Più di quanto tu non sappia, Jack.» quel pensiero lo raggiunse con immediatezza, con sicurezza, gli lasciò curvare le labbra in un lieve sorriso, a cosa alludeva quell'affermazione? Come poteva riporre in lui così tante speranze se si conoscevano appena? Troppe cose sfuggivano a Killian in quel momento, mentre planava dolcemente lungo la spiaggia e scendeva dalla scopa. Guardava quel raggio di sole e riusciva quasi a rivedere Jericho, in alcuni atteggiamenti, in quei sorrisi accennati, in quello sguardo profondo, al contempo però gli sembrava d'avere davanti una ragazza completamente diversa dalla sorella, un suo perfetto opposto. Era forse quel comportamento misterioso ad attirarlo ancora di più, a fargli accorciare le distanze, a spiegarle quel gioco infantile che non aveva mai condiviso con nessuno. «sei pronto a mangiare la polvere, Hades?» Rise divertito mentre abbandonava le scarpe a terra e si toglieva la maglia, rivelando quello che, molte sue fans, chiamavano "fisico da urlo." «Si sono pronto a mangiare la sabbia e anche a finire in acqua se tu cadessi accidentalmente dallo scoglio» insinuò prendendosi gioco di lei ed ammiccandole appena, non gli piaceva correre, trovava che fosse molto più divertente volare anche perchè nelle maratone non vinceva mai, veniva sempre stracciato. Effettivamente però non gli importava arrivare primo in quel momento. «3...2...1...» «VIA» Cominciò a ruotare su se stesso come una trottola, tenendo il conto dei giri e forse facendone anche uno in più, non era mai stato ferrato per la matematica. Iniziò a correre mentre tutto intorno a lui veniva sfalsato dalla vista e dai sensi intorpiditi, era lo stesso effetto che provava dopo i primi bicchieri di sambuca, affinco a lui c'era la bionda, anche lei in difficoltà, ridevano entrambi e per poco Jack non vinse, arrivando qualche secondo dopo del raggio di sole. Ansimando, scivolò a terra assieme a lei, stordito la osservava ridere non trovando nulla di più bello che quel volto luminoso, che quegli occhi limpidi. Le sue mani entrarono in contatto con la sabbia che ancora conservava il calore dei raggi solari, stava per spuntare la luna tra le acque del mare, il chiarore cominciava già ad illuminare il cielo ed a sfumare il viola del tramonto. Si voltò verso Jer con un mezzo sorriso stampato in faccia, silenzio. «ho vinto. C’è un premio speciale?»
    Jack rimase immobile un istante e poi, senza alcun preavviso, azzerò la distanza tra i loro volti andando a sfiorare le labbra di lei, il tempo sembrò fermarsi mentre lui le lasciava quel bacio, in silenzio, con naturalezza, come se non volesse altro, come se non chiedesse altro che quel contatto. Sentiva dentro di se qualcosa che mai prima di allora aveva provato. Un nodo, all'altezza dello stomaco, che gli impediva di comportarsi con fare idiota, che lo spingeva ad essere più serio di quanto mai lo era stato. «Si che c'è.» gli sussurrò appena staccandosi a fatica dalla bocca di lei «chiudi gli occhi... e non aprirli.» Si alzò in piedi, l'effetto della corsa era svanito, il suo respiro era tornato regolare, tenendola per mano, fece alzare anche il suo raggio di sole, si assicurò che tenesse le palpebre abbassate e andò con una mano a sistemarle i capelli che le coprivano il viso. Non sapeva quantificare quanto stupida fosse quell'idea da uno a dieci ma in quel momento Killian non ragionava più, era troppo concentrato su quella ragazza per porsi domande esistenziali. Sorridendo la sollevò da terra, portando un braccio sotto le ginocchia e l'altro a cingerle le spalle, «tieni gli occhi chiusi non sbirciare» esclamò lui ridendo mentre cominciava a camminare ed arrivava, senza troppe difficoltà, sul punto più alto dello scoglio. La poggiò nuvamente lì, tenendola ben stretta intorno alla vita per evitare che scivolasse e finisse in acqua, la luna intanto stava facendo capolino tra le onde, riflettendosi nel blu dell'oceano. Jack portò le dita a sfiorare il volto della ragazza, non fu capace di resistere al richiamo di quel viso perfetto, di quelle palpebre chiuse, di quelle labbra dal sapore amaro ed allo stesso tempo dolce. Tornò a baciarla, tornò a sentire il suo respiro sulla pelle ed il battito irregolare del suo cuore «Ora puoi aprirli» le disse aspettando che tornasse a squadrarlo con gli occhi blu zaffiro. E sorrideva appena Hades, dimenticandosi per un attimo di Jer, silenziando quel dolore, concentrandosi sul viso di quel raggio di sole ed indicandogli la luna che si specchiava nell'acqua andando ad illuminare l'intera spiaggia «te lo avevo detto... basta aspettare il momento giusto» concluse non riuscendo più a dire nient'altro e limitandosi a guardarla, con una mano posata sul suo viso e l'altra stretta tra le sue dita.
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    Con il senno di poi, la sua fu una domanda stupida. Le era uscita involontaria dalle labbra, che raramente prima di formulare qualsivoglia parola si collegavano al cervello. Jericho Karma Lowell era fatta così: prima parlava, poi si rendeva conto di aver detto una stupidaggine, e dopo si rifiutava di sentirsi in imbarazzo o di chiedere scusa.
    Poi ci chiedevamo perché non avesse mai avuto amici.
    Provò l’impellente impulso di ritrarsi, di chiudersi a riccio contro lo scoglio, escludendo chiunque – compresa sé stessa. Avrebbe voluto sottrarsi agli occhi di Jack, al suo profumo, troppo vicino. Eppure, come una mosca intrappolata in una ragnatela della quale si era resa conto troppo tardi, Jer rimase con il fiato in gola, il cuore a schiantarsi contro le costole, immobile. Era paura? Sì, anche. Decisamente sì, dannazione. Ma non solo. Fu colpa di un solo istante, un battito di ciglia nel momento sbagliato. Un solo istante, dove il tempo parve fermarsi, cristallizzato in quel respiro trattenuto fra i denti. E poi, lui era lì. Quante volte aveva sognato quel momento, nascosta sotto le coltri del proprio letto? Quante, serrando le palpebre, aveva voluto che quel desiderio non le appartenesse, poiché irrealizzabile? I sogni nel cassetto, le ambizioni, erano sempre stati argomenti troppo astratti per la Lowell, incapace di natura ad affidarsi a simili concezioni. Le piaceva pensare di essere pragmatica: se voleva qualcosa, se lo prendeva. Non c’era spazio per desideri sopiti, lasciati a prendere la muffa in angoli che non si sprecava neanche più a guardare. Le piaceva crederlo, ma in realtà si era sempre trattato di richieste terrene: un hamburger al mc donald’s, un gelato nella yogurteria sotto casa, una maglia con qualche scritta stupida. Le persone non avevano mai fatto parte di quella sfera altamente personale e privata; al contrario di Jack, non aveva mai desiderato farsi piacere dalla gente, trovare degli amici. L’unica sua eccezione era sempre stata, e tutt’ora lo era, Jack. Ma era un tasto dolente, un eccezione fra le eccezioni. Era il suo segreto, la sua vergogna. Era colui per il quale arrossiva senza motivo, piombata in pensieri poco consoni nei confronti del fratello. Quante volte aveva lasciato vagare la fantasia, facendosi trascinare da quelle illusioni dai bordi sfumati e rosei, le quali al solo pensiero la facevano vergognare di essere così… infantile? Non l’avrebbe, né mai l’aveva fatto, ammesso con nessuno, ma in fondo a quel tunnel di cinico scetticismo, e di ironia tagliente e cattiva, c’era ancora il cuore di un’adolescente che piangeva ascoltando i Coldplay o guardando qualche stupida serie su Netflix. Ricordava con chiarezza le fantasie più fervide, quelle nascoste negli anfratti più bui; ricordava di essersi immaginata seduta sul divano con Jack, a casa degli Hades, e di aver preso finalmente il coraggio per mostrargli quanto poco lei lo vedesse come un fratello, allacciando le gambe alla sua vita per affondare il viso nel suo collo. OVVIAMENTE non l’aveva mai fatto, Grifondoro dove?, e mai avrebbe immaginato che sarebbe accaduto realmente.
    Cioè, ma sul serio. Sul serio. Non riuscì neanche a pensare al fatto che lui, effettivamente, non sapesse chi si trovasse di fronte. Non aveva chiesto di uscire a Jericho, ma al suo Raggio di Sole. In quel momento, semplicemente, non le importava. Quando lui dissolse lo spazio che divideva i loro visi, Jericho rimase ferma. Non riuscì neanche a mascherare il desiderio che pareva logorarla, trattenuto da troppi anni, mentre gli occhi azzurri scivolavano morbidi sulle labbra di lui. E poi accadde. Non dite a nessuno, ve lo sto dicendo in confidenza, ma… Arcobaleni ed unicorni. Unicorni che cavalcavano arcobaleni ed arcobaleni che cavalcavano unicorni (?), in un misto di fragranze dolci come zucchero filato, bollenti come cioccolata calda, e… Jack. Sentì le sue labbra sulle proprie, un tocco rovente ed elettrico, e si lasciò sfuggire un sospiro sulla sua bocca. Le mani, come se fosse stata la cosa più naturale del mondo, sfuggirono al suo controllo e si allacciarono dietro la nuca di Hades, trattenendolo contro di sé ancora per poco. Non per rovinare il momento, davvero, ma era abbastanza sicura che le sarebbe venuto un ictus. Di quelli che non avevi il tempo di dire ciao treno, e già ci avevi lasciato la ghirba. Il cuore doveva ormai, in quel suo incessante ed irrequieto battere, essersi fatto un giro di tutto il suo organismo: nei piedi, nelle ginocchia, al ventre, nello stomaco, nelle braccia. Lo sentiva perfino sulla lingua, come una creatura intrappolata fra la pelle ed i muscoli. Aveva aspettato così a lungo.
    Ed aveva mentito, per arrivare a quel momento. Aveva finto di essere sparita, spacciandosi per una Special a caso, senza neanche dare mezzo nominativo. L’avrebbe perso, se ne rendeva conto. E forse fu proprio per quello, la pesante consapevolezza che tutto sarebbe finito, che lo strinse a sé ancora un poco, affondando i polpastrelli nei capelli scuri di lui. Caldo, vivo. Per quanto avesse sognato ed immaginato quel bacio, nulla avrebbe potuto eguagliare la realtà: il sole sulla pelle, la salsedine nell’aria e la sabbia sotto i piedi. Il respiro schiacciato fra i loro corpi, in quel sussurro che non aveva bisogno di parole. Fosse stato per lei, avrebbero potuto rimanere in quella posizione per sempre. Magari per un tempo abbastanza lungo da far scordare a Jack che stava cercando sua sorella, ecco. Jericho Karma Lowell, da qualche parte (sotterrato da una quantità ingente di ormoni) si rendeva conto di quanto fosse sbagliato. Non è reale, Jer. Quel bacio non era per lei, era per qualcun altro. Era per una ragazza dalla pelle di porcellana ed il sorriso perfetto, per le sue curve dolci ed i biondi capelli dorati. Non per Jericho.
    Eppure, non riusciva ad importarle.
    «Si che c'è. chiudi gli occhi... e non aprirli.»
    Dio, ma perché doveva sempre fare il Killian Hades? Ecco perché nelle sue fantasie proibite lui non parlava, riusciva sempre a rovinare tutto. La sua voce la trascinò, nolente, alla realtà – quella che non le piaceva, ma proprio per niente. Non potevano rimanere lì, intrecciati come due ragazzini (che poi, erano due ragazzini) ancora un po’, a paccare come Morgan comandava? Ma non riusciva a reagire, non riusciva neanche a respirare. Il suo cuore pulsava, ricordandole che era viva, ma la sua mente riusciva solo a elaborare un unico pensiero, martellante quasi quanto il battito: ilmioprimobaciosuunaspiaggiaconjackohmiodiononvedol’oradidirloaavelineaspettamalovogliodireaaveline?certochevoglioohmiodiolosoèsbagliatosonounmostromaomgmaèunadroga. Vorrei qua aprire una parentesi su come Jericho fosse rimasta paralizzata.
    Sul serio, paralizzata.
    Ricordava quando aveva avuto il suo ragazzo da copertura, Dakota!, da sbandierare ai quattro venti (ma quali?) ogni volta che Jack se ne usciva con una fanciulla nuova di zecca. In un raro momento nel quale la Lowell non si era sentita in dovere di odiare l’umanità, si era azzardata a fargli una domanda alquanto imbarazzante, ma davvero necessaria. Non aveva amiche donne all’epoca, scusatela. Comunque, gli aveva chiesto come… sì, insomma. Come funzionasse il bacio. Dove avrebbe dovuto mettere le mani? Ma la lingua? («è come nei film?» «no, è molto meglio» «wayne, non mi stai aiutando» «ehi, non puoi chiedere al tuo ragazzo cosa si prova a baciare, sapendo che bacerai altri ragazzi» «non sei divertente» «non lo so jer… credo di sì?» Beh, erano due Grifondoro mica per niente.) L’aveva odiato per quella risposta non risposta, eppure solo in quel momento capì cosa avesse inteso. Non era che ci fosse un modo collaudato dalla NASA per limonare, c’era solo… insomma, non c’erano semplicemente altre opzioni. Più che essere un gesto naturale era obbligato, con costrizioni date dall’evitare imbarazzo, figuracce, e compagnia cantante. Il dopo fu molto peggio del durante: mentre Jericho ricambiava il bacio di Killian, non aveva propriamente avuto modo di pensare, lasciandosi invece guidare dalle sensazioni a lungo agognate. Il suo sapore, che ancora le permeava le labbra, le impediva di riflettere in maniera lucida; si ritrovò a sbattere le ciglia ripetutamente, ingoiando quantità eccessive di aria, senza sapere con esattezza cosa fare. Niente, lei avrebbe optato per il niente, rimanendo a crogiolarsi in quel caldo languore, perdurare di un maledetto secondo che aveva aspettato per anni. Non si sprecò neanche a pensare alla richiesta, limitandosi ad ubbidire agli ordini. Chiuse gli occhi, e quando sentì Jack che di fianco a lei si alzava, pensò di aver perso. COME MINIMO sapeva che lei in realtà era Jericho, quindi aveva deciso di trollarla e poi abbandonarla su una fuckin spiaggia sperduta nel nulla più assoluto. In effetti se lo sarebbe meritato. Il solo pensiero le strinse il cuore in una morsa ferrea e dolorosa, obbligandola a stringere con forza le palpebre. Ma lui non se n’era andato. Strinse la mano di lui, che pareva creata apposta per contenere la mano di lei, e si alzò in piedi. Dovette poggiarsi brevemente agli scogli, le gambe ancora molli a causa della corsa (ma chi voleva prendere in giro? Era solo in un eccessivo brodo di giuggiole, l’adrenalina ancora in circolo a scolpire perfettamente quel momento nella sua memoria; un istante che sembrava già essere svanito, sbiadito, ed al quale ella cercò di aggrapparsi con le unghie e co i denti), ma alla fine riuscì a compiere qualche passo in direzione di Jack. «tieni gli occhi chiusi non sbirciare» Un gridolino, molto stupido e molto femminile, le grattò la gola quando sentì il suolo mancarle sotto i piedi. Oddio. Perché Jack doveva sempre essere così Jack? SMETTILA. Una parte di lei avrebbe voluto sotterrarsi e non rivedere mai più la pallida luce del giorno, mentre l’altra stava ancora cercando di riprendersi dallo shock delle braccia di Killian strette sul suo corpo, il petto di lui contro la sua pelle quasi febbricitante. Ora muoio. Sul serio. Un infarto, e sono così giovane! Percepiva il battito di Jack come parte del proprio, e non sapeva dove mettersi quel secondo cuore. Non aveva spazio neanche per il suo, dove avrebbe trovato una sistemazione adeguata per quello del Corvonero? Tenne gli occhi chiusi, obbligandosi a non iperventilare. Non era mica una delle sue pollastrelle, lei. Aveva una reputazione da mantenere (quale?). Di nuovo la sua mente si scisse: da una parte c’era un mollami jack, o cadiamo entrambi e moriamo, dall’altra tienimi così per sempre e portami dove solo tu sai, a vedere qualche stella, qualche arcobaleno, i don’t really give a damn. Optò per una via di mezzo, ossia affondare il proprio viso sulla sua spalla. Aspirò il suo profumo, inebriante come la più tortuosa delle droghe, e nel mentre pregò Dio di non farla morire. Quando la rimise con i piedi per terra, le parve che le avessero strappato un pezzo di sé, rapido ed indolore come un cerotto. Rimase con gli occhi chiusi, incapace in quel momento di pensare con la propria testa (da brava ragazza, attendeva ordini dall’alto). Non ebbe di nuovo il tempo di elaborare (era una Grifontonta, aveva bisogno dei suoi tempi di ripresa) che Jack premette le labbra sulle sue, sciogliendola nuovamente come gelatina al sole. Le braccia di Jericho si aggrapparono alle sue spalle, le dita affondate nella morbida pelle della schiena. Ora cado in acqua e affogo.
    Almeno muoio felice.
    Ciao Aveline è stato bello.

    Socchiuse la bocca, facendo guizzare la lingua in quella di lui. Se Jack non l’avesse sorretta, probabilmente sarebbe davvero caduta da… ovunque fossero, morendo di una morte davvero triste e poco dignitosa. Non fu esattamente come se l’era immaginato. Era caldo ed umido, ed era combattuta fra il desiderio di pulirsi la bocca per asciugare la saliva, e quello di sentire ancora quel caldo, e quell’umido, dentro di sé. Era una sensazione quasi surreale la necessità di desiderarne sempre di più, ed al contempo di non essere certi che ci fosse un limite.
    Jericho, la smettiamo o non la smettiamo?
    La smettiamo. Sul serio.
    «Ora puoi aprirli»
    E invece no. Per ripicca verso quel suo sentirsi inetta e stupida, perché di certo un adolescente normale si sarebbe limitata godersi il bacio anziché a sezionarlo come una rana in laboratorio, rimase con gli occhi chiusi ancora una manciata di secondi, le guance lievemente imporporate. Quando si decise ad aprirli, non comprese cosa Jack volesse mostrarle. Lei, Jericho Karma Lowell, riusciva a vedere solo lui. Era sempre stato così. Sin da quando erano bambini, ed il sentimento nei suoi confronti non era ancora quel genere d’amore, Jericho si era sempre trattenuta a guardare suo fratello, anziché quello ch’egli gli indicava con gioia infantile. Guardava il suo sorriso, l’eccitazione repressa in un corpo così fragile che aveva timore si sarebbe spezzato da un momento all’altro. Ed era ancora così, anche se entrambi erano cresciuti. Jericho non voleva guardare il panorama, per lei non aveva importanza.
    Non era del panorama che Jericho Karma Lowell era innamorata.
    «te lo avevo detto... basta aspettare il momento giusto»
    Un gelo improvviso, che nulla aveva a che fare con quella spiaggia, la obbligò a stringersi le braccia al petto, dimentica del sorriso che fino a poco tempo prima aveva brillato sulla propria bocca. La mano di lui sul suo viso era ancora calda, troppo calda, e Jericho ritenne opportuno allontanarvisi. Come Icaro, si era resa conto troppo tardi che le sue ali avevano cominciato a bruciare, lasciandola cadere nell’abisso. Te l’ha servito su un piatto d’argento, Jer. Diglielo. Ma Jericho non poteva, capite? Sentiva ancora il suo sapore sulle labbra, il suo profumo sulla pelle, il suo respiro nel proprio. Deglutì, limitandosi ad annuire. Che poi, quand’era tramontato il sole? Ma lei dov’era stata? «Jack…» disse semplicemente, abbassando gli occhi sui propri piedi.
    Sii coraggiosa, Jericho. Diglielo.
    «io…» e sbagliò, Jericho, perché alzò nuovamente lo sguardo sul suo viso. La luna faceva apparire la sua pelle ancora più chiara, gli occhi scuri più foschi e brillanti. Anziché confessargli la verità, la Lowell non resistette all’avanzare nuovamente di un altro passo, trovandosi vicino, troppo vicino, a lui. Sapere che Jack, Killian Hades era lì davanti a lei, e lei poteva… toccarlo, senza sembrare sbagliata, era soverchiante. Una battaglia che non voleva neanche cominciare a combattere. Poggiò la mano a palmo aperto sul suo petto, e chiudendo gli occhi si concentrò sul battito. Inspirò, e sempre ad occhi chiusi allacciò di nuovo le dita dietro la sua nuca, sollevandosi di poco per poter respirare la sua stessa aria. Così vicini, che quando Jericho sussurrò un «mi dispiace» le loro labbra si sfiorarono, facendo partire stilettate di pura elettricità in tutto il corpo della Lowell.
    «si è fatto tardi, dobbiamo tornare ad hogwarts» senza ulteriori spiegazioni, con un tono di voce privo di inflessione e senza approfondire, seppur l’avesse desiderato!, quel così casto bacio, Jericho gli diede le spalle avviandosi nel punto dove avevano lasciato la scopa. Gli diede le spalle, mentre gli occhi cominciavano a riempirsi di fastidiose lacrime che, per Dio, non avrebbe versato.
    Aveva rovinato tutto.
    Ne era valsa la pena?
    Sì.
    No.
    Mi dispiace, Jack.
    Jericho Karma Lowell
    « You won't ever be alone Wait for me to come home »

    © psìche, non copiare.



    come distruggere un momento romantico livello jericho
    pragmatismo contro romanticismo


    Edited by .ipseity - 3/5/2016, 03:39
     
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7 replies since 12/7/2015, 19:32   382 views
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