cinnamon challenge

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    Nonostante il dormitorio dei Tassorosso fosse nei sotterranei, faceva così caldo che Frodo aveva tentato di bruciare gli anelli del potere. Non c’era riuscito solamente perché si era sciolto prima di completare l’impresa, mica per altro. Erano gli ultimi giorni di scuola, e mentre la maggior parte dei suoi compagni si dilettava negli sproloqui su cosa avrebbero fatto quell’estate, Stiles giaceva morente sotto il letto, il viso premuto con tenacia contro le pietre, ed i libri ormai abbandonati a qualche metro di distanza (okay, ce li aveva lanciati qualche ora prima). Studiare con quel calore non era legale, specialmente considerando che ad Hogwarts non faceva mai caldo. Sembrava una presa in giro che proprio quell’anno l’equatore avesse deciso di spostarsi, Stilinski non aveva nemmeno mezzo cocco con il quale dissetarsi. E avrebbe ucciso per un’amaca. Le amache sono meravigliose: letti che…pendono. Dondolano. Come dormire nel nulla. Ogni volta che si coricava su una di queste, ed inevitabilmente finiva per rotolarcisi dentro come un salamino per poi cadere miserabilmente a terra, si chiedeva se era quella la sensazione provata dagli astronauti quando dormivano a gravità zero. Sospirò e strisciò fuori dal suo nascondiglio: si sentiva troppo in colpa a non studiare, ma non abbastanza da studiare. I MAGO erano vicini, il suo futuro, tante belle cose. Ma Stiles in realtà non aveva la più pallida idea di cosa avrebbe fatto da grande, nonostante quel da grande fosse sempre più vicino. Perché Peter Pan, bastardo in calzamaglia, andava solamente a fare proposte sconce alle ragazzine bionde e belle? Pervertito di merda! Anche lui voleva andare sull’isola che non c’è, conoscere qualche bella sirenetta, litigare con Uncino, fregare il vino a Spugna… eh sì, sarebbe proprio stata una bella vita. Invece no. Se ci fosse stato Aaron, quello sarebbe stato il momento in cui Stiles, molesto, lo andava a trovare. Ma no, Sales aveva lasciato il castello mesi prima. Il nuovo responsabile dei Tassorosso era Berqualcosa, ed il solo fatto che fosse amico di Lilia Lindberg dimostrava chiaramente a Stilinski che non era un personaggio affidabile. Si mostrava tanto buono ed amichevole, tutti biscotti e draghetti, e poi ZAN! No, lui era escluso. Da chi poteva andare? Icesprite e Queen, manco morto. Campbell lo conosceva poco, e quel trench antracite gli metteva l’angoscia. Mh. La Winston l’avrebbe obbligato a studiare, a costo di dover usare un Imperio.
    E Stiles ebbe l’illuminazione, sentendosi uno sciocco per non averci pensato prima: Edith Lagrange, l’insegnate di Erbologia. Certo, a Natale aveva cercato di ucciderli, ma chi fra i loro professori non ci aveva mai provato? Non capivo l’astio riservato nei suoi confronti; nella sua, ingenua, mente da Tassorosso era ovvio che l’avesse fatto per il loro bene. Era troppo cool per omicidi di massa così mainstream. Senza contare che, per quante brutte figure avesse collezionato quel giorno, aveva ritenuto la lezione davvero interessante. Ah, last but not least, Erbologia era fra le materie d’esame. Sarebbe morto? Forse sì. Ma sarebbe morto provandoci (?). Si infilò sotto la doccia sperando potesse donargli un briciolo di refrigerio, e si infilò la, ugh, divisa. Era così bello vegetare privo di vestiario nel dormitorio, era davvero certo di quella scelta? No Per la Grangie, sì. Sgusciò in cucina, convinto di non potersi presentare a mani vuote dalla donna. Non poteva portargli piante di rosmarino solo perché insegnava Erbologia –“Per il suo prelibatissimo arrosto!”-, sarebbe sembrato razzista. Però poteva cucinare: nessuno diceva di no ai biscotti. “Ehilà!” Salutò allegro, rubando un muffin dal ripiano. “Signor Stilinski, lei non può stare qui!” Lui scosse il capo sputacchiando briciole. “Non lo dirò a nessuno, parola di Tassofesso. Posso fare dei biscotti con voi?” Non risposerò, quindi lo prese come un sì. Si avvicinò a quella che aveva tutta l’aria di essere base di pasta frolla (ma da cosa, Stiles?), e, dopo essersi accuratamente lavato le mani, cominciò ad impastare (anche se era già impastata, tanto noi cosa diciamo alla vita? YOLO). “Qual è il vostro trucco?” Chiese corrucciato, guardando le mani impiastrugnate con aria raccapricciata. Era buona eh, ma faceva senso. Però ci teneva, quindi avrebbe resistito. “Signor Stilinski, lei non dovrebbe stare qui” Gli ripeterono invece. “Un ghiacciolo alla zanzara non potrebbe stare in frigo” Si grattò il naso e si allontanò dalla pasta, sporcandosi il naso di frolla fresca. “Mi state dicendo che sono un ghiacciolo alla zanzara?” Lo guardarono con quei loro grandi occhioni alieni, e lo prese come un sì. Figo. Poteva andargli peggio.

    Era ormai tarda mattinata quando Stiles, un pacchetto di biscotti alla cannella caldi sotto braccio, bussava all’ufficio di Edith Lagrange. Si sentiva un po’ idiota. Quasi quasi mollo i biscotti e fuggo. E se avesse reputato il gesto di cattivo gusto? Insomma, sappiamo tutti che Andrew si crede simpatico anche quando non lo è. Sopravvivailmigliore.
    andrew "stiles" stilinski
    « sometimes i pretend to be normal, but it gets boring. so i go back to being me » © psìche, non copiare.


    800 parole G I U S T I S S I M E, amami u_u
     
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  2. Call me Lady Cinnamon
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    Edith Lagrange
    ❝ A thousand armies couldn't keep me out. ❞


    Teneva le mani giunte, in cerca di Dio, mentre quelle parole si ripetevano uguali inesorabilmente. Il marchio ministeriale, la firma frettolosa del capo dell’esercito e il testo fitto tra questi la informavano dell’ennesima strage. A volte, in giorni come quelli, quando il caldo rendeva più lento il tempo e più difficoltoso il sopravvivere, le mancavano le forze.
    Non era più giovane e lo sapeva.
    Izra, oramai da qualche mese, non era altro che un mucchio di ossa svuotate e, in cuor suo se ne era oramai convinta da tempo, presto sarebbe venuto anche il suo turno. Anche lei si sarebbe ridotta ad essere solo un sacchetto di carne inanimato, in un letto candido impregnato dell’odore dei medicinali. L’Oblivion avrebbe finalmente chiesto anche a lei il suo obolo. A volte, in giorni come quelli, quando le dolevano le ossa e le lacrime le si tingevano di sangue, non aveva più un senso combattere ancora.
    Era anziana e fragile, troppo. Viveva sostentando il suo corpo con Sangue d’Unicorno ed intrugli d’erbe medicamentose che avrebbero potuto dare nuova linfa vitale persino ad un moribondo ma che, a lei, davano solo il sollievo d’un sorso d’acqua fresca. A volte, in giorni come quelli, quando l’ennesima madre perdeva il proprio figlio e lei non poteva farci nulla, la pensione le pareva l’unica alternativa.
    La sua decisione di ricominciare a lavorare, dopo il cancro, accettando non solo la carica d’insegnante ma anche quella ministeriale – lei che per tutta la vita aveva cercato d’evitare i giochi politici –, era stata dettata dal bisogno di non sentirsi inutile. E aveva fatto qualcosa, negli ultimi mesi, ma il suo tormento non era scemato, si era solo tramutato di forma: ora, le sue azioni non erano sufficienti.
    Scioccamente, aveva sperato che la minaccia dei Ribelli sarebbe svanita con un incremento dei controlli e con un inasprimento delle norme. Un’illusione, la sua, che presto si era dovuta scontrare con la tenacia degli Insorgenti, i quali preferivano morire pur di portare avanti quella follia. Non sapevano ancora che, se anche il Regime fosse caduto, non avrebbero avuto nulla. Il mondo non sarebbe affatto cambiato, poiché questo in realtà era rimasto perfettamente identico a se stesso anche durante l’Oblivion. L’incantesimo era servito loro solo a cambiare il nome del Padrone, ma tutti loro, Ribelli e Mangiamorte, erano sempre stati Servi, non lo erano diventati per effetto della magia. Stavano solo sprecando l’occasione di scorrere.
    Perché preferivano sempre l’attrito? Perché volevano le escoriazioni, le bruciature, le ferite purulente e il dolore?
    Chiuse il fascicolo, raccolse la propria borsetta e raggiunse il camino ministeriale. Vi gettò della metropolvere, assistette al cambiamento cromatico delle fiamme e si infilò tra queste. Dannata, purtroppo solo in apparenza. Era ancora viva, si stava ancora logorando per un Bene superiore che le aveva arrecato solo sberle e calci nello stomaco. Solo Male. Serre di Hogwarts.
    Attese di soffocare, nella speranza che, dall’altra parte, sarebbe stata in pace. O almeno di una qualsiasi utilità. Era doloroso scoprire che, in quella mattinata rovente, nonostante la fatica a compiere ogni passo e le fitte al petto, era ancora in vita e non agli Inferi.

    Il suo ufficio, per magia, era fresco. Edith quasi si pentì di non essersi portata uno scialle, poiché temeva che qualche spiffero le bloccasse la cervicale, ma alla fine, al riparo dello schienale della sua poltrona, si sentì abbastanza al sicuro da correre questo rischio. Gli elfi domestici, quando avevano scoperto che si trovava in quella stanza, si erano affrettati a recapitarle, come da lei richiesto, una brocca di tè freddo al rooibos con cardamomo e petali di rosa. Era una bevanda dal sapore molto peculiare, energizzante e dissetante, pur non avendo caffeina. Se ne era riempita una tazza, ricolma di ghiaccio e si era concessa qualche minuto di tregua, senza pensare.
    Poi, qualcuno bussò. Sistematasi l’abito con cura, si alzò per aprire. Avrebbe potuto semplicemente scandire un ordine d’entrare, ma essendo estate e ritenendo che a farle visita fosse uno dei suoi colleghi, preferì scegliere quella seconda opzione.
    Al di là della soglia, invece, trovò Andrew Stilinski, tassorosso prossimo a dover fare i Mago. Suppose che avesse qualche domanda da farle sul suo programma.
    «Stiles» constatò ad alta voce, osservandolo tutto impettito nella sua divisa scolastica, nonostante la calura «Entra. Chiudi la porta».
    Con pochi passi, tornò a sedersi. Lo invitò ad imitarla con un gesto della mano.
    «Cosa ti porta qui?»

    64 - Teacher - Unfathomable - scheda ()




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    Abbracciò i biscotti come se loro, da soli, potessero fargli da scudo. Stiles non era esattamente rinomato per il suo coraggio, o per la sua intraprendenza. Presentarsi con un pacco di cibaria alla porta di Edith Lagrange sforava in entrambi gli ambiti, ed il Tassorosso era poco avvezzo a comportamenti del genere. Decise, in un battito di ciglia, che se la situazione si fosse volta al peggio, si sarebbe spacciato per uno dei fremelli. Tanto si sapeva che Xav e Jay avevano un particolare fetish per la divisa da Tasso, non sarebbe stato così poco credibile. Sentiva il sudore appiccicargli la camicia al petto magro, sia per il caldo che per l’ansia. Lui venerava l’insegnante di Erbologia, davvero, ma per ovvi motivi ne era anche terrorizzato. Dai, l’avete vista? Avete mai incrociato i suoi saggi occhi scuri della donna? Se sì, comprenderete il motivo di tanto affanno: ansia da prestazione (prestazione di cosa? Come di cosa? Di vita, ragazzi miei, di vita) mista a soggezione. No basta, Maria io me ne vado, svendo i biscotti a Brian sperando che apprezzi l’ironia e non mi schianti alle spalle, e…. Non ebbe tempo di tornare sui suoi passi, e si costrinse in un ampio sorriso nervoso, quando la professoressa aprì la porta della serra. Indossava un abito floreale che solamente una donna del genere avrebbe potuto indossare senza sembrare una comare di High Street, quelle con tanto di ventaglio e sguardo indagatore rivolto ad una gioventù che non meritava neanche uno sputo sui risvoltini.
    «Stiles»
    OhmiodiomihachiamatoStilesohmiodiomihachiamatoStilesohmiodiomuoio. Non Andrew, non Stilinski: Stiles. L’espressione del Tasso si addolcì, mentre gli occhi color caramello, impenetrabili quanto una trasparente bolla per pesci, riversavano alla donna tutto il suo platonico amore. «Egregissima professoressa Lagrange» Chinò il capo rispettosamente, porgendo i biscotti alla donna come uno dei Re Magi al cospetto del neonato Gesù. Ma che cazzo ho detto? Si morse la lingua strizzando le palpebre, chiedendosi perché dovesse sempre essere così… beh, così Stiles. «Entra. Chiudi la porta». Annuì più volte, come quelle orribili bamboline da attaccare sul cruscotto della macchina, e rapido si infilò all’interno della Serra per impedire al calore dell’Ade di infiltrarsi in quel piccolo paradiso terrestre. Chissà, magari aveva una pianta refrigerante, si vedeva che faceva schifo in Erbologia?, che manteneva la temperatura accettabile. Sospirò di sollievo, sentendo già la pelle rinfrescarsi ed il sudore asciugarsi sulla fronte. Impacciato poggiò i biscotti sul tavolo, stringendosi le mani in grembo mentre prendeva posto sulla sedia che Edith gli aveva indicato. «Le ho portato dei biscotti, dovrebbero essere ancora caldi. Cioè, sicuramente: anche se non fossero stati ben cotti, si sarebbero cotti con la temperatura esterna. Non che non siano ben cotti, lo sono. Croccanti» C’era da dire, a suo favore, che quel ragionamento non faceva una piega. Ma manco mezza, eh. Però, se il buon Gerlino gli avesse tappato la bocca in tempo, sarebbe stato meglio per tutti. Deglutì, intrecciando le dita fra loro e socchiudendo nel mentre le palpebre rivolgendo un’occhiata di scuse alla donna. «Sono alla cannella, così se dovesse incappare in una Regina selvatica sarebbe salva. Doppia funzione: se non le piacessero, potrebbe comunque usarli come proiettili…» Si accorse della propria mano a mezz’aria, intenta a mimare un lancio da home run, troppo tardi. Stringendo le labbra fra loro con non curanza –«io avrei fatto cosa? Noo, dev’essere stato un effetto ottico»-, riportò le braccia ad una posizione di stasi sopra le proprie gambe, costringendole a placarsi. Inspirò profondamente, domandando per la centesima volta a Superman o chi per esso, perché. Voleva essere una persona normale, Stiles, solo quello. Magari non sempre, ma dov’era quella diplomatica capacità insita in ogni essere umano di sapersi controllare nelle situazioni che richiedevano un minimo di serietà? Perché lui ne era sprovvisto? Quando lasciò fuoriuscire il fiato, lo fece con la rassegnazione di chi ormai sa già cosa le persone pensano di lui, e non ha più alcuna intenzione di cambiare le carte in tavola. Era così, Stiles, il buffo prefetto dei gialloneri: prendere o lasciare.
    Tutti lasciavano. E poi osava anche domandarsi il perché.
    «Non volevo disturbarla, scusi se sono piombato qui senza avvisare. Non è…» Si mosse agitato sulla sedia, abbassando lo sguardo sui propri piedi. Aveva diciott’anni e già una crisi d’identità: e dire che lo accusavano di essere immaturo. «Non sono certo di…» Daje Stilinski, vuoi l’aiuto del pubblico? Dillo e basta, tanto per coglione ci sei già passato. «Non sono sicuro di cosa fare del mio futuro» Non so cosa fare, non so dove andare, e non so chi essere. Perché se non sono il buffo prefetto dei gialloneri, mi rimane poco d’altro.
    Perché quella domanda proprio ad Edith Lagrange? La triste verità, era che non sapeva a chi altro rivolgersi. E, come sempre, aveva bisogno d’aiuto.
    andrew "stiles" stilinski
    « sometimes i pretend to be normal, but it gets boring. so i go back to being me » © psìche, non copiare.
     
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