rea-lity is a prison

elsaxrea #prequest#05

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +2    
     
    .
    Avatar

    only illusions are real

    Group
    Special Wizard
    Posts
    1,402
    Spolliciometro
    +1,033

    Status
    Offline
    tumblr_nsazs6qqBs1ssva32o2_250tumblr_nsazs6qqBs1ssva32o4_250
    « sheet | 24 | only illusions are rea-l| death eater| pensieve »
    Più spesso di quanto le piacesse ammettere, la vita di Rea Hamilton prendeva pieghe inaspettate. Amava credere di avere sempre il controllo, che il caos non fosse altro che un ordine diverso ai suoi occhi. Amava credere di poter essere tante cose, Rea Hamilton, ma per quanto potesse mostrarsi sotto mille aspetti, non cambiava mai. Era iniziato tutto per gioco, e quel gioco aveva finito per intrappolare anche lei. Assurdo, non è vero? Aveva cinque anni, una famiglia, degli amici, un futuro. Aveva sei anni, ed era un mostro. Aveva undici anni, ed era quella sbagliata. Aveva sedici anni, ed era quella malvagia. Aveva diciannove anni, ed era un’assassina. Aveva ventun anni, ed era troppo ambiziosa. Aveva venticinque anni.
    E le avevano portato via tutto.
    Si era addestrata tutta la vita, per essere la donna che era diventata. Aveva cominciato a pensare di esserlo sempre stata, quando ancora nemmeno sapeva cosa fosse la malizia. Tirando le somme, quel gioco non l’aveva creato lei. Quel gioco l’aveva inglobata prima ancora che sapesse pronunciare la parola gioco, buon Dio. Destino? Fato? Sorte? Mille e più modi per definire la stessa cosa; un qualcosa che amava credere di poter essere tante cose, ma che per quanto potesse mostrarsi sotto mille aspetti, non cambiava mai. “Shh” Intimò portandosi un dito alle labbra, anticipando Tizio –che, quasi sicuramente, aveva anche un nome di battesimo. “Non rovinare tutto” Mugolò, affondando ancor di più fra le bolle di sapone profumate della vasca. Stacey Brighton era la cosa migliore che le fosse mai capitata, e non era un fatto che Rea potesse vantare di dire spesso; conosceva a memoria la forma del suo viso, delle sue mani, delle sue gambe; conosceva i suoi gusti, e sapeva il suo profumo. La storia di Stacey era davvero, davvero poco interessante. Per arrivare alla parte clou, bisognava –chiaramente- giungere al momento nel quale la sua misera ed alquanto patetica vita incrociava, per errore, quella di Rea Hamilton, che fra i tanti difetti non vantava né la pateticità né la miseria. Si stava specializzando in neurologia, futura promessa del Mondo Magico; i suoi genitori, babbani, non vedevano l’ora che indossasse il camice bianco. E, oh, l’aveva indossato.
    Nei Laboratori.
    Con la persona sbagliata.
    Il finale di una storia, si sa, è sempre la parte più seccante della storia stessa. Nessuno vuole davvero sapere come va a finire, altrimenti chiunque salterebbe all’ultima pagina senza preoccuparsi del resto. Non essendo una grande lettrice ed avendo perlopiù udito storie solo da Portavoci, forse la pecca della Hamilton era una carenza d’attenzione: sentir parlare qualcun altro troppo a lungo le dava alquanto noia, e la fine del racconto non giungeva mai realmente alle sue orecchie (o, se lo faceva, non era affatto divertente o interessante). Probabilmente era davvero quello il motivo per il quale i suoi racconti non avevano mai fine. Non era per stimolare l’immaginazione altrui, anche se doveva ammettere che nel corso degli anni era stato parecchio divertente sentire voci che narravano sue gesta epiche mai avvenute, ma per non perdere interesse. Non ad occhi esterni – in quale mondo la Hamilton diventava poco interessante? Rea, per la precisione, che ne spuntano di nuovi come funghi-, ma ai suoi. Doveva sempre essere impeccabile ai propri occhi, la mora, altrimenti il telo che copriva la sua vera natura sarebbe volato via in un soffio. Non perché, in fondo, avesse un cuore d’oro. Rea non era buona, né aspirava ad una vita migliore. Rea era una stronza, egocentrica, sadica manipolatrice, megalomane e menefreghista. Rea era vendicativa ed opportunista. Rea era, ironicamente, realista: aveva accettato una vita piena di persone delle quali non le importava, pur di avere la possibilità di raggiungere i suoi obiettivi. Perché sapeva, e l’aveva sempre saputo, che dare importanza ad una persona significava darle potere, e di conseguenza privarsene. Significava che aveva qualcosa da perdere. Non poteva certo permetterselo: si parlava di Rea Hamilton, non di Charlotte. Se non voleva togliere il telo, era solo per non rendersi conto di essere ancora peggio.
    “Miss Brighton” Si massaggiò le palpebre con aria stanca, alzando gli occhi al cielo. “Cosa ti turba, Josè? Vuoi condividere un tuo pensiero con me? Vuoi raccontarmi di quando, da piccolo, lavavi la schiena alla mamma, ?” Si volse improvvisamente, le mani dell’uomo in piedi fuori dalla vasca ancora poggiate sulle spalle, laddove la stava massaggiando. “Vuoi venire a farmi compagnia?” Domandò inarcando le sopracciglia, indicando il posto vacante di fronte a sé. Che sciocca ad indicare, Josè era cieco. Perché se ne ricordava sempre dopo? E dire che forse era stata proprio Rea a privarlo della vista. Puro pragmatismo. “Ha-han-no bussato alla porta. E mi chiamo Diego” Balbettò, chinando il capo ed allontanandosi di un passo. Perché doveva rendere tutto meno divertente? "Sì, come vuoi" Stacey Brighton sbuffò, uscendo dalla vasca ancora piena di bolle. Dopo essersi tamponata corpo e capelli con un asciugamano asciutto, indossò l’intimo ed una vestaglia nera, giusto per fingere un minimo di pudore. Chi stava interrompendo il suo lungo e meritato bagno? Chi bussava alla porta di Stacey, a quell’ora per di più? Sicuramente non un amico di Stacey, lei non piaceva a nessuno( e Rea poteva ben immaginare il perché –scialba, triste, ecc-). Madre Natura non le aveva donato la bellezza, né l’intelligenza, né l’audacia o la furbizia: fortunatamente, o sfortunatamente?, era però davvero benestante. Ed i suoi genitori abitavano oltreoceano.
    … Andiamo, era stato un chiaro invito. Servito su un piatto d’argento.
    Ormai tutti, o meglio quelli che aveva voluto rendere partecipi, sapevano che villa Brighton, con tanto di piscina e dependance, era sua. Ma la domanda non cambiava. “Sìì?” Domandò sbattendo le ciglia, spalancando la porta davanti a sé. L’espressione di Rea si irrigidì, le sopracciglia arcuate sopra due occhi ferini. “Ah.”
    Ah.
    Dopo essersi inumidita le labbra, la Hamilton diede le spalle ad Elsa, tornando dentro casa. Non era propriamente un invito a seguirla, ma non le aveva nemmeno sbattuto la porta in faccia.
    Avrebbe dovuto. Forse stava davvero diventando troppo buona.
    rea hamilton
    «Pray to your god, open your heart Whatever you do, don't be afraid of the dark»

    © psìche, non copiare.
     
    .
  2. Keep the secret‚ Elsa!
        +2    
     
    .

    User deleted



    Elsa Queen
    I CAN'T FORGET BUT IS THE ONLY CHOICE TO SURVIVE.
    23 - PUROSANGUE - NEUTRALE - WIZARD - CRIOCINESI

    Londra, cosa diavolo stava facendo? Perché era in quella maledetta città invece di starsene tranquilla in Svezia? Tornare lo sapeva bene, era una mossa sbagliata ma ormai si stava abituando alla vita in incognito. Non poteva dire che le piacesse ma l'idea di rimanere lontana dal mondo magico e da quella che aveva sempre ritenuto casa sua le andava ancora meno a genio. Cosa stava facendo? E soprattutto perché? Non riusciva a trovare una spiegazione logica né tanto meno una ragione valida ma Elsa era specializzata nel compiere azioni senza senso apparente. Le mancava? Certo che no. Allora perché? Perché tornare da lei? Perché non andare a salutare Viktor o Phobos oppure Bart? Perché Rea? L'ultima volta si erano lasciate senza nemmeno salutarsi, l'aveva cacciata come se Elsa non fosse stata degna di entrare a far parte della sua vita, come se Elsa fosse un soggetto insignificante come tanti altri con cui si divertiva a giocare. Quella volta non aveva avuto il coraggio di ribattere, di chiedere spiegazioni, si era limitata ad andarsene lasciando una scia di ghiaccio sul pavimento e qualche fiocco di neve vorticare nell'aria. Ne erano successe di cose da allora, la ragazza aveva incontrato persone diverse, persone che l'avevano aiutata ad accettare quello che era diventata senza averne paura, controllare il suo potere le aveva richiesto impegno e pazienza ma ora voleva rimettersi in gioco.
    In quei mesi trascorsi in Svezia da sola, dimenticata dal resto del mondo, aveva avuto tutto il tempo per ragionare sul futuro e archiviare definitivamente quel passato che le faceva ancora male. Ribelle o mangiamorte? Li odiava entrambi. Figlia di estremisti, aveva passato la maggior parte della sua vita a lavorare con loro ma l'amore ceco che nutriva verso i suoi genitori aveva distrutto la vita di sua sorella. Elsa aveva visto entrambe le facce della medaglia , era stato un dottore e un esperimento, poi fecero irruzione i mangiamorte e non diedero segno di essere più tolleranti dei ribelli. Per tutti ormai loro erano soltanto dei mostri. Mostri da eliminare, da cacciare, da tenere sotto controllo e da usare come meglio gli conveniva. Era riuscita a fuggire da tutto questo, chi era ora Elsa? A chi avrebbe potuto rivolgersi? Entrambe le parti l'avrebbero solamente sfruttata e odiata per quello che era stata, per quello che ora era. Non vedeva una luce per lei infondo a quel tunnel. Una reietta ecco cos'era. L'unica a cui poteva rivolgersi, l'unica che come lei era fuggita da quel mondo di pazzi era la Hamilton.
    Svoltó l'ultima via sulla destra intravedendo la casa di quella astuta ed intrigante illusionista, si fidava di lei? Si e no. Le piaceva però considerarla come un'amica, l'unica che aveva mai avuto. Forse era per questo ne stava tornando da lei, per affrontarla, per capire il perché l'avesse trattata in quel modo. Non aveva paura di Rea anche se forse avrebbe dovuto averne. Ma c'era qualcosa in Elsa che la frenava, non poteva dire di riuscire a scorgere il vero carattere della Hamilton ma forse capirla un poco si. O forse no.
    Arrivò davanti alla porta di Villa Brighton , la squadrò e poi ci diede tre colpi decisi con la mano. Toc Toc Toc
    Non si aspettava di ricevere risposta, probabilmente la donna era a fare vita mondana oppure non si sarebbe segnata di aprirle la porta. Ed invece poco dopo sull'uscio apparve la Hamilton, come sempre poco incline ai saluti. Per un secondo Elsa credette che le avrebbe sbattuto la porta sul naso, dopotutto erano passati mesi e non si era più rifatta viva ed ora si ripresentava li, completamente diversa. La criocineta infatti non vestiva più con nessun abito azzurro, con nessun fiocco di neve intrecciato tra le pieghe dei vestiti, niente guanti alle mani, portava una giacca di pelle scura ed un paio di jeans neri attillati, l'unica cosa rimasta invariata nel suo aspetto erano i capelli, raccolti in una lunga treccia bionda sistemata di lato. Non ricevette un vero e proprio invito ad accomodarsi ma seguì Rea all'interno della casa chiudendo la porta, per qualche secondo tra le due cadde il silenzio ma stavolta la ragazza non avrebbe perso il controllo. "Credo che tu possa immaginare perché sono qui Rea." esclamò la donna fermandosi mentre la sua voce rimbombava nella stanza. Era giusto che sapesse perché la Hamilton si era comportata in quel modo a Natale ed sinceramente Elsa era anche curiosa di vedere che fine avesse fatto quella collana che le aveva regalato, se l'illusionista l'aveva tenuta forse sarebbe già stato qualcosa.
    15 settembre 2015
    LONDRA

    ROLE SCHEME © EFFE


    Edited by Keep the secret‚ Elsa! - 8/9/2015, 11:28
     
    .
  3.     +2    
     
    .
    Avatar

    only illusions are real

    Group
    Special Wizard
    Posts
    1,402
    Spolliciometro
    +1,033

    Status
    Offline
    tumblr_nsazs6qqBs1ssva32o2_250tumblr_nsazs6qqBs1ssva32o4_250
    « sheet | 24 | only illusions are rea-l| death eater| pensieve »
    Bisognava chiarire una cosa, prima di procedere con la storia: a Rea Hamilton, le persone, non piacevano. Non meritavano fiducia, attenzione, riguardo, rispetto. A prescindere da ogni cosa, secondo il suo parere, non erano degne. Non perché lei fosse meglio, anche se indubbiamente lo era, ma proprio per la loro insulsa, intrinseca, natura umana: si mostravano sempre per qualcosa che non erano, con il solo fine di ottenere qualcosa; fingevano, sempre, e cambiavano idea come bandiere al vento. La Hamilton rientrava nella categoria, ma la differenza c’era. Perché Rea sapeva riconoscerlo, di essere una cattiva ragazza. Una brutta compagnia, di quella che era meglio evitare e che, davvero, preferiresti non far arrabbiare. E si piaceva così, non aveva alcuna intenzione di cambiare. Non cercava nulla, Rea, aveva smesso anni e anni prima. Sapeva di essere usata, e lei a sua volta usava. Era un rapporto semplice quello che instaurava con gli altri, il fatto che loro lo interpretassero in maniera differente non la riguardava. Tutti sapevano chi era Rea Hamilton, di cosa era capace, e di ciò che avrebbe sacrificato per arrivarci. Non era un segreto. Ma gli altri, loro no. Gli altri preferivano credere di essere quelli perfetti; era il resto del mondo ad essere sbagliato e corrotto. Si impuntavano a non riconoscere la corruzione stessa della loro anima, attribuendola all’influenza esterna. Facile così, non è vero? E le davano dell’egocentrica, narcisista, manipolatrice, come se loro non fossero attratti da quelle stesse qualità che le condannavano. La sua ipocrisia era una carta in bella mostra: tenerla nel mazzo coperta dalle altre, d’altronde, non ne avrebbe migliorato l’essenza.
    Con il tempo la sua opinione poteva migliore – che peggiorasse era davvero un’alternativa improbabile-, oppure rimanere inalterata. Qualcuno aveva il suo rispetto, qualcuno aveva la sua fiducia, qualcuno aveva i suoi riguardi, la sua attenzione. Di rado qualcuno riusciva ad ottenere tutto insieme, ma poteva capitare. Quando la situazione cominciava a peggiorare drasticamente, e qualcuno si avvicinava ad avere troppi punti della lista, se ne andava; semplice, efficace. Non era il genere di persona che guardava oltre le sue spalle dopo aver lasciato il vialetto, e non necessariamente perché non le importava. Le piaceva credere fosse così, e amava chi lo pensava, ma la maggior parte delle volte era semplicemente perché, voltandosi, sapeva esattamente cosa avrebbe visto. Perché, chiunque avesse lasciato dietro di sé, aveva ottenuto un po’ troppi punti: e Rea non dimentica, mai.
    Si sedette sul divano bianco della sala, poggiando i piedi sul bracciolo opposto. C’era una poltrona davanti a lei, o delle confortevoli e comodissime sedie in caso Elsa avesse voluto accomodarsi. Non era un suo problema, per quanto la riguardava poteva perfettamente rimanere sull’uscio ad attendere un invito esplicito. Sentì la porta chiudersi, e capì che la ragazza era entrata. “Josè, vino” Ordinò al tutto fare, comparsi magicamente al suo fianco (non davvero magicamente, era un comunissimo babbano). “Porto due bicchieri?” Che domanda stupida era? Alzò gli occhi scuri nella sua direzione, fulminandolo sul posto. “Il fatto che abbia due mani non significa che debba avere anche due bicchieri. Uno mi basterà” Vide lo sguardo di Carlos scivolare su Elsa, e Rea accennò un infinitesimale sorriso. Chissà se, fra i due, almeno uno era abbastanza sveglio da cogliere l’antifona. “Credo che tu possa immaginare perché sono qui Rea” Con aria annoiata, spostò l’attenzione sulla donna, che nei mesi passati lontana aveva cambiato outfit. Le ricordava qualcuno. Le stava plagiando l’abbigliamento? “Fammi indovinare” Schioccò la lingua, squadrandola dall’alto al basso. “Per rubarmi i vestiti? Fra l’altro, il nero non è il tuo colore. Sei troppo… “ Alzò una mano, indicandola con un gesto ampio. “Pallida, Queen” E le sorrise languidamente, mentre si allungava per afferrare il calice colmo di vino offertole da Juan. Rea Hamilton sapeva perché Elsa aveva bussato alla sua porta, o almeno credeva di saperlo. Qualche mese prima, infatti, la mora aveva allontanato la criocineta, sbattendole – e non solo metaforicamente- la porta in faccia. Non le aveva dato alcuna spiegazione di sorta, perché avrebbe dovuto?, né rimpiangeva di averlo fatto. Le aveva offerto tante possibilità, in passato, fra cui quella che più spesso porgeva con un malizioso sorriso agli esperimenti sul suo cammino: far parte del gioco. Ma no, lei aveva voluto di più: aveva voluto essere sua amica, per Dio, che era una delle cose più assurde che si potessero sentire. Elsa le aveva addirittura fatto un regalo per Natale, che Rea –ovviamente- non aveva ricambiato. “Non credo ci sia più niente da dire. Non credo ci sia mai stato” Scandì lentamente, senza mai distogliere lo sguardo dagli occhi chiari di lei. Non tentennò né diede cenno di provare un emozione, una qualunque, mentre si inumidiva leggermente le labbra. E non le importava se aveva ferito i suoi sentimenti, e se stava continuando a farlo: Rea Hamilton, per Rea Hamilton, veniva sempre prima di chiunque altro. Non aveva bisogno di sentire spiegazioni, né – per quanto fosse divertente- di sentirsi ripetere per l’ennesima volta quanto fosse stronza.
    Se dava loro modo di dirglielo, evidentemente, non lo era abbastanza.

    rea hamilton
    «Pray to your god, open your heart Whatever you do, don't be afraid of the dark»

    © psìche, non copiare.
     
    .
  4. Keep the secret‚ Elsa!
        +2    
     
    .

    User deleted



    Elsa Queen
    I CAN'T FORGET BUT IS THE ONLY CHOICE TO SURVIVE.
    23 - PUROSANGUE - NEUTRALE - WIZARD - CRIOCINESI

    Elsa non aveva mai cercato di rapportarsi con il genere umano, non ne era capace, trovare il modo di comunicare dopo i laboratori era stata per lei una cosa quasi impossibile. Dava il grosso della colpa al suo potere instabile ma forse la causa principale è che aveva paura. Paura di legarsi nuovamente a qualcuno, aveva sofferto per la perdita di sua sorella più di quanto riuscisse a descrivere a parole, non voleva ripetere un'esperienza simile, non poteva. Così si era allontanata da tutti nella speranza di seppellire le proprie emozioni e riuscire a controllarsi sotto tutti i punti di vista, aveva incontrato Rea, l'aveva ammirata per la sua determinazione e man ferma, per il suo coraggio di trasformarsi all'occorrenza in una stronza senza rivali. Conoscendola meglio però aveva intravisto qualcosa di più oscuro ed intricato in quella giovane dai capelli castano scuro, forse la sua stessa paura di venir schiacciata dal peso delle emozioni, non lo avrebbe mai ammesso ma anche Rea era un essere umano, in qualche modo.
    Entrando in quella casa la giovane fu scossa da un brivido, l’atmosfera era di una glaciale e tagliente cortesia che ben poco la spronava a parlare ma nonostante questo si prese la briga di farlo, forse la donna che le stava di fronte nemmeno l’avrebbe ascoltata, non c’era da meravigliarsi dopo tutto era una Hamilton. Raggiunsero ben presto un salottino elegante e ben sistemato, Rea si sdraiò sul divano ed Elsa prese posto su una poltrona poco distante “Il fatto che abbia due mani non significa che debba avere anche due bicchieri. Uno mi basterà” a quelle parole un sorriso sarcastico si dipinse sul volto della bionda che scosse leggermente la testa “Vedo che non sei cambiata in questi mesi” no a quanto pareva era solo lei ad averne passate di tutti i colori, di aver fatto i conti con quello che era stata e con quello che inevitabilmente era diventata, il potere che ora teneva sotto controllo nelle vene le ribolliva nel sangue, mesi, mesi le ci erano voluti per evitare di congelare qualsiasi cosa toccasse, non era solo un fatto di allenamento fisico ma piuttosto una prova mentale. Rea non sembrava aver mai sofferto di quel disturbo , teneva sempre tutto sotto controllo e piegava il suo potere come voleva , lo sfruttava al massimo tenendo sotto scacco perfino i maghi ancora in grado di produrre incantesimi dalla punta della bacchetta. Elsa cominciava solo ora a capire fin dove poteva spingersi , quali risultati poteva ottenere manipolando l’energia ghiacciata, in qualche occasione aveva perfino classificato il suo potere come “utile” ma erano rare le volte che lo utilizzava con piacere, forse si illudeva ancora di poter tornare indietro e cancellare il passato, riabbracciare sua sorella e fuggire lontano ma non era possibile ed era uscita da quel vicolo ceco, da quella utopia, solo grazie a Viktor e a Phobos che l’avevano aiutata quando nessun altro aveva avuto il coraggio di farsi avanti.
    “Fammi indovinare , per rubarmi i vestiti? Fra l’altro, il nero non è il tuo colore. Sei troppo… Pallida Queen” Abbassò leggermente lo sguardo prima di rispondere, quasi divertita da quella nuova frecciatina “No il nero non è certamente il mio colore ma l’azzurro ultimamente da troppo nell’occhio, vorrei evitare spiacevoli inconvenienti , sono appena tornata dopotutto.” Alludè al fatto che non doveva aver passato un bel periodo rincorsa dai mangiamorte e lo lasciò benissimo intendere alla donna che le stava di fronte, non aveva nulla da nasconderle se non il fatto che vacillava su che parte schierarsi in una possibile guerra, Phobos le aveva mostrato un’altra possibilità, altri ideali che andavano in netta contrapposizione con i pensieri e le intenzioni di Rea ma non era certo andata fin lì per parlarle dei suoi dubbi esistenziali.
    “Non credo ci sia più niente da dire. Non credo ci sia mai stato.” Eccola lì, di nuovo, come a Natale, lo stesso sguardo vuoto, la stessa voce fredda come se tutto quello che la riguardasse non la toccasse minimamente, era così brava la Hamilton a proteggersi dal mondo esterno che Elsa quasi la invidiava, non gliene fregava niente di nessuno o almeno questo voleva far credere a tutti ma i laboratori posso toglierti la voglia di vivere, la sensibilità, i poteri, ma non erano ancora in grado di renderti un automa. Ci sarebbe stato molto di cui parlare ma ogni discorso sull’argomento sarebbe diventato inutile, Rea mai avrebbe ammesso di tenere a qualcuno , mai avrebbe ammesso che per lei le persone erano qualcosa di più che dei giocattoli da manipolare. La criocineta aveva aperto finalmente gli occhi quando a Natale era stata cacciata da quella donna, cominciava a capirne pian piano il motivo ed a agire di conseguenza perciò per il momento non aggiunse altro, si limitò a guardarla negli occhi e a rimanere in silenzio, c’era sempre stato qualcosa di più peccato che forse non si sarebbe mai realizzato. “Vuoi due statue di ghiaccio ad altezza umana da mettere da qualche parte? Le ho nel soggiorno di casa mia ma non saprei proprio dove mettere quei due idioti. Penso che tu li conosca erano parte attiva dell’organizzazione che gestiva New Howel” esclamò poi cambiando espressione e poggiando la schiena sul cuscino bianco della poltrona, nella sua casa li a Londra non era cambiato niente e tutto era rimasto come quando Phobos l’aveva portata via, i due mangiamorte che avevano tentato per l’ennesima volta di farla fuori erano ancora sul suo divano, trasformati in ghiaccio cristallino impregnato di magia, dopotutto non erano così male ma Elsa rivoleva il suo soggiorno libero e se li toglieva da li di certo non poteva metterli in giardino al posto della fontana.
    15 settembre 2015
    LONDRA

    ROLE SCHEME © EFFE
     
    .
  5.     +2    
     
    .
    Avatar

    only illusions are real

    Group
    Special Wizard
    Posts
    1,402
    Spolliciometro
    +1,033

    Status
    Offline
    tumblr_nsazs6qqBs1ssva32o2_250tumblr_nsazs6qqBs1ssva32o4_250
    « sheet | 24 | only illusions are rea-l| death eater| pensieve »
    Troppo buona, per una come Rea Hamilton. Inizialmente aveva pensato che il suo potere potesse essere utile alla causa, che la sete di vendetta potesse essere abbastanza per azionare il meccanismo. Ma lei, Elsa, si tratteneva fin troppo. Quel potere la spaventava, più di quanto spaventasse gli altri. Non ci era voluto molto perché entrambe si rendessero conto di essere troppo diverse: Rea voleva far paura. Il suo potere era un’arma puntata sul mondo, non contro sé stessa. Non cercava di controllarlo per non far del male, cercava di controllarlo per imparare a fare più male. Troppo diverse, quasi agli antipodi: Elsa aveva paura di essere un mostro, Rea cercava di esserlo. Ed era lì, in quella breve affermazione, che stava il motivo per il quale aveva deciso di allontanarla. Non aveva alcun bisogno di diventare come lei, la criocineta; non aveva una natura oscura sopita che attendeva solamente uno spiraglio per prendere le redini. Non negava, Rea, che premendo i giusti tasti avrebbe potuto cambiarla. Poteva apparire come un gesto altruista. Poteva sembrare che Rea cominciasse a tenerci un po’ troppo alla donna, e non volesse vederla nelle sue stesse condizioni. Forse voleva una vita migliore per Elsa, priva di quella rabbia che consumava, levigava, e lasciava solo cenere. Forse voleva preservare l’animo buono della bionda: se l’avesse tirata con sé nel baratro, non sarebbe riuscita a risalire. Nessuno ci era mai riuscito.
    O forse Rea non aveva abbastanza bisogno di lei. La manipolazione del ghiaccio è un potere interessante, ma non necessariamente utile. Sostituibile, e c’era chi meritava quel posto vacante più di Elsa Queen. Un posto che avrebbe permesso di far crescere il proprio potere senza timore di venirne schiacciati, e che avrebbe placato la sete di vendetta nei confronti dei dottori. Al fianco di Rea Hamilton, era l’oscurità a brillare.
    Mai il contrario. E non l’aveva mai nascosto.
    “Vedo che non sei cambiata in questi mesi” Sorrise maliziosa, inarcando leggermente le sopracciglia. Rea rientrava in quella percentuale di popolazione la quale crede che nessuno possa cambiare, nemmeno volendo. Si può fingere di essere migliori, credere di avere un qualcosa che prima mancava, ma nessuno cambia realmente. Lei, fra le altre cose, neanche l’aveva mai desiderato. Era già così incredibilmente…Rea Hamilton. “Avrei dovuto?” Domandò candidamente, attorcigliando una ciocca ancora umida attorno all’indice. Si piaceva troppo, Rea, per voler cambiare. E piaceva anche agli altri, in un modo così sottilmente contorto da non essere chiaro nemmeno a loro. Nessuno sapeva dove risedeva con esattezza il fascino della Hamilton, ma nessuno poteva negare la sua esistenza. Lei, Rea, credeva di saperlo: le persone vedevano in lei tutto ciò che mai avrebbero osato essere, ed al contempo ciò che avrebbero voluto diventare. E se la odiavano, era solo perché troppo l’avevano amata, fosse stato anche solo per un secondo. Dopotutto l’amore non si misurava con il tempo, non era una scienza esatta: come il gatto di Schrödinger, poteva non esistere ed esistere, per una vita o per un battito di ciglia. Era così facile amarla, quasi quanto era semplice detestarla. #ops
    “No il nero non è certamente il mio colore ma l’azzurro ultimamente da troppo nell’occhio, vorrei evitare spiacevoli inconvenienti , sono appena tornata dopotutto” Ma di cosa stava parlando? Rea corrugò le sopracciglia, sorseggiando il vino che Diego le aveva portato poco prima. Non capiva quale motivo spingesse Elsa a doversi nascondere, ma non l’avrebbe chiesto apertamente. Rea non domandava mai esplicitamente, lasciava che fossero gli altri a rivelarle i dettagli. Sembrava sempre che sapesse già come la storia andava a finire, nonostante non ne conoscesse nemmeno il titolo. Quante cose si imparavano, semplicemente tacendo. “Prova con il blu. E quell’abito è sempre stato troppo appariscente. Comprendo che non tutti possano attirare l’attenzione semplicemente respirando…” Accennò un sorriso ironico, alludendo alla sua sempre modesta persona. “Ma quello era eccessivo. E gli inconvenienti, come li hai definiti, sono ciò che rende la vita divertente” Alzò il calice nella sua direzione in un silenzioso brindisi, nonostante ella non avesse nulla con cui brindare. Doppio ops.
    Il cambio di argomento giunse repentino, e fu particolarmente gradito alla mora. Parlare di sentimenti non era mai stato il suo forte, principalmente perché, nella maggior parte dei casi, data la loro assenza doveva inventare di sana pianta. Inoltre era un argomento spinoso, ed addentrarcisi sarebbe stato come entrare in un Labirinto. Sai che ci sei dentro, ma non sai se esiste una via di fuga. Brava Rea, pensa già ai Labirinti, te la tiri proprio dietro. “Vuoi due statue di ghiaccio ad altezza umana da mettere da qualche parte? Le ho nel soggiorno di casa mia ma non saprei proprio dove mettere quei due idioti. Penso che tu li conosca erano parte attiva dell’organizzazione che gestiva New Howel”
    Wat.
    La principessa era davvero cambiata così tanto? O, dopo aver finalmente imparato a padroneggiare il suo potere, aveva semplicemente cominciato a prenderci gusto? Rea aveva cercato di allontanarla, ed in parte sapeva che l’aveva fatto davvero per il bene di Elsa –anche se mai l’avrebbe ammesso, non scherziamo-, ma forse l’aveva giudicata troppo frettolosamente. O forse era Elsa a voler pensare di essere cambiata. In ogni caso le stava dando ogni materiale possibile per convincerla a farla rimanere nel Team Hamilton (dai, glielo stava praticamente chiedendo! seh). Aveva attirato finalmente il suo interesse, di fatti si sedette più comodamente sul divano, concentrando la sua attenzione sulla donna. “Le statue di ghiaccio sono kitsch, e vagamente inquietanti, senza contare che non saprei dove metterle; passo il testimone. Potresti provare a rivenderle. Potresti addirittura farci un business!” Esclamò ridendo, battendo le mani fra loro una volta. Scosse il capo. “Cosa ti avevano fatto quei cattivoni?” Domandò, sporgendo il labbro all’infuori. Sembrava aver preso così alla leggera la notizia, ma Rea stava riflettendo. Su Elsa, sulla sua possibile utilità, ma soprattutto sulla linea sottile che divideva i nemici dagli amici. La Queen sembrava ancora non aver capito chi apparteneva ad una o all’altra categoria.
    rea hamilton
    «Pray to your god, open your heart Whatever you do, don't be afraid of the dark»

    © psìche, non copiare.
     
    .
4 replies since 1/9/2015, 03:06   230 views
  Share  
.
Top