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Pre-Quest #05 - xHeidrun

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    Theodore Sinclair
    (pg fittizio per la quest #05)
    Theodore Sinclair era uno dei politici più in alto del Mondo Magico, nonché rispettato mangiamorte. Era uno dei Giudici del Tribunale Internazionale della Magia, nonché uno dei Parlamentari del il Parlamento della Confederazione Internazionale. Oltre a tutto questo, era proprietario di un parco divertimenti magico in Inghilterra, nonché filosofo, giornalista, scrittore e divulgatore scientifico, di origini statunitensi ma residente in Gran Bretagna da pochi anni, per ordine della filiale americana della Resistenza. Ma, cosa più importante di tutte, Theodore Sinclair voleva essere morto.
    Theo ormai viveva solo per poche cose. Viveva per la Resistenza e viveva per la sua fidanzata. Viveva, appunto. In quell’ultima settimana i suoi unici fini di vita erano andati distrutti.

    Una settimana fa
    Tribunale Internazionale della Magia, Londra
    Scosse la testa. Perché proprio lui? Il Giudice Gerald s’erra ammalato quindi avevano incaricato a Theo di sostituirlo. Per leggere la sentenza finale del processo contro Isabelle Southport. Era una sentenza di morte, condannava quella ragazza alla pena capitale per spionaggio ed alto tradimento. E Isabelle era la fidanzata di Theodore, l’unico motivo per il quale riusciva a vivere, dopo la Resistenza. E sarebbe stato proprio lui a buttarla in pasto ai Dissennatori, senza neanche poterle parlare prima. Né prima, né mai. Non si sarebbero potuti dare l’ultimo saluto.
    La campanella suonò. Il giudice Sinclair, nella sua toga nera, si alzò dalla sedia e oltrepassò la porta. “Entra il Giudice Theodore Sinclair, Ordine di Merlino, Seconda Classe. Tutti in piedi”. Senza guardare nulla e nessuno, stringendo i fogli della sentenza tra le mani, attraversò tutto il corridoio centrale del Tribunale Internazionale e si sedette sulla poltrona. «Tutti seduti, esclusi l’imputata e gli avvocati», esordì. Non appena tutti si furono seduti, Theo alzò lo sguardo sulla folla, evitando di guardare Isabelle. Non poteva farcela. «Il Consiglio Supremo Giudiziario della Confederazione Internazionale ha deciso all’unanimità». Si schiarì la voce. «Visti il decreto legislativo numero…».
    Seguì una lunghissima sfilza di leggi e provvedimenti, di obiezioni e accertamenti, di nomi di testimoni e tutti gli altri implicati nel caso. Finita la lista, era il momento del verdetto finale. Si alzò il piedi, reggendo i fogli tra le mani. «Visti gli atti d’ufficio e le leggi del Mondo Magico», scandì, «il Tribunale Internazionale, che parla a nome dell’intero popolo del Mondo Magico, riconosce colpevole di tutti i reati dei quali è accusata l’imputata Isabelle Southport, nata a Springfield, Illinois, Stati Uniti d’America, sotto la supervisione del Ministero della Magia degli Stati Federati d’America del Nord». Tirò un profondo sospiro. «La suddetta è condannata alla pena capitale», fece finta di non sentire il grido di angoscia di Isabelle, con dannata a morte dal suo stesso fidanzato, «tramite Bacio del Dissennatore. L’esecuzione di pena capitale verrà eseguita nella Sala Grande della Scuola di Magia e Stregoneria delle Streghe di Sales, in Stata Uniti d’America, affinché le nuove generazioni possano comprendere il significato di tradimento, plagio, omicidio e spionaggio, disonorevoli e indegne per una strega. La data verrà decisa dal Magi-Procuratore Generale dello Stato Federal-Ministeriale dell’Illinois. Tutti i beni materiali sono sequestrati, la bacchetta viene spezzata dal Capo del Consiglio del Ministero degli Stati Uniti. Il cadavere verrà consegnato alla famiglia».
    Alzò lo sguardo. Incontrò quello di Isabelle. Lei piangeva, ma non sembrava odiarlo. Capiva hc elui non avrebbe mai voluto e che lui non c’entrava nulla con quella decisione. Ma ciò non migliorò le cose. «Così è stato deciso dal Tribunale Internazionale della Magia, alla presenza del popolo magico e dell’imputata. Il sottoscritto, Theodore Sinclair, Portavoce del Tribunale Internazionale della Confederazione. Dura lex, sed lex». Batté il martelletto. «Il processo è chiuso senza possibilità di appello. Ossequi».


    Gli era rimasta la Resistenza. Era una delle loro spie più importanti, poiché aveva legami con i vertici internazionali dei Mangiamorte. Ma ultimamente non era riuscito a fare quello che volevano fare loro per paura di esporsi troppo. E forse proprio per questo la Resistenza americana l’aveva mandato a Hogwarts, lontano dagli Stati Uniti, facendo finta di assegnargli un compito di spionaggio dentro la famosa scuola britannica.
    Invece si era rivelata una trappola: Theo era appena scampato a un attentato. Aveva visto il volto del suo aggressore, un compagno di Resistenza. L’aveva ucciso con un pugnale avvelenato e poi era fuggito.
    Si portò alle labbra il bicchiere di Whisky Incendiario. Era molto più buono quello che facevano negli Stati Uniti, ma lì non poteva più tornarci. La Resistenza gli stava, inutilmente, dando la caccia. Se l’avessero fatto pure quelli della Resistenza britannica lui sarebbe morto.
    Doveva cambiare identità, fare qualcosa.
    Ma che senso aveva vivere, ormai?
    Guardando la porta dei Tre Manici di Scopa, Theodore Sinclarir stava pensando a come suicidarsi.
    ❝ La vita è terribile. È lei che ci governa, non noi che la governiamo ❞
    Purosangue 45 anni ribelle Durmstrang
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    Edited by shane is howling - 1/9/2015, 23:16
     
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    Heidrun Ryder Crane, un nome una leggenda. Letteralmente. Nessuno aveva mai saputo chi lei fosse, da dove arrivasse, o perché facesse quel che faceva; tendeva ad apparire nell’esatto momento in cui qualcuno ne aveva bisogno, come i venditori di ombrelli alla prima goccia di pioggia. Perfino il suo nome era un mistero: Heidrun. Chi ti ha messo questo nome, i tuoi genitori facevano uso di droga?” Ogni volta che le veniva posta quella domanda, troppo spesso a dire il vero, Run si incupiva. Sulle labbra scivolava un broncio pronunciato, mentre lo sguardo cadeva verso il basso. “A dire il vero… sì” Rispondeva remissiva, giocherellando distrattamente con le mani senza mai alzare gli occhi. “Anche quando mia madre era incinta di me, faceva uso di cocaina. Infatti a volte…” Stringeva le palpebre, scuotendo lievemente il capo. “..Ho dei tic incontrollabili…” Faceva scattare il dito medio verso l’alto in direzione del suo interlocutore, per poi coprirsi l’espressione esterrefatta dipinta in volto stringendosi nel mentre nelle spalle. Oops, i did it again.
    Quella, era Heidrun Ryder Crane, Milkobitch a tempo perso.
    Nel Mondo Magico quasi nessuno era a conoscenza del suo nome, perché nell’attirare cavie nei Laboratori si era sempre presentata sotto pseudonimo: era stata Jane Austen, Geronima Stilton – “Sì, buffo, come il topo! Assssurdo”-, Charlie Baudelarie, Jules Verne, Emily Dickinson, Lynn Dor; era stata un’artista di strada, un’azionista, una famosa pianista, una senza tetto, una coltivatrice di polpi. Mai Heidrun Ryder Crane, Milkobitch a tempo perso. Mai la mutazione cresciuta nel Limbo. Era come se nei tre anni con i quali era stata a contatto con quel mondo parallelo, non fosse esistita. Un po’ il contrario del Limbo: per undici anni lei aveva aspettato che il tempo scorresse, e per tre anni il tempo aveva continuato a scorrere aspettando lei, cristallizzata in una bolla di sapone. All’incirca.
    Era seduta al Paiolo Magico, in attesa che qualche anima pia si decidesse ad andare a Diagon Alley, così che lei potesse aggregarsi e cercare suo padre. Cercava di non pensarci, Run, o almeno non seriamente; si era posta un luogo da raggiungere, ma non aveva la più pallida idea di cosa avrebbe fatto una volta lì. Conosceva solo il suo nome, e non era un granchè. Chiedere in giro poteva rivelarsi un’arma a doppio taglio: e se tutti l’avessero odiato? Rimuginare sull’odio riservato ad Al, era decisamente meglio che pensare a quello che lui avrebbe potuto riservare nei suoi confronti. Ryder provava emozioni contrastanti: era elettrizzata, terrorizzata, fiduciosa, triste, arrabbiata. Arrabbiata, forse, più di tutto. Sua madre era sparita. Era morta? L’idea non l’aveva sfiorata nemmeno per un istante, ed in tutta sincerità non voleva pensarci. Sua madre se n’era andata per cercare suo padre. L’aveva abbandonata per seguire un sogno. Un sogno, poi, che sapore aveva? Era buono, almeno? Considerando che non era mai tornata, le opzioni erano due: o era buonissimo, o era davvero una merda. Forse l’aveva trovato davvero il suo Aloysius, ed era scappata alle Bahamas con lui, dimentica di avere una pargola accreditata ai Milkobitch.
    I Milkobitch. Le si strinse il cuore al pensiero di Todd e Jeremy. Le mancavano così tanto. Voleva abbracciarli, voleva dire loro che le dispiaceva non essere tornata; voleva dirgli che era una persona egoista, perché sapeva che se avesse potuto tornare indietro nel tempo, nonostante i pericoli verso cui li aveva mandati incontro, sarebbe tornata a vivere con loro ancora, ancora, e ancora. Aveva scelto di non essere egoista, però, e dopo la fuga dai Laboratori si era diretta a passo spedito verso Diagon Alley alla ricerca di Nemo Aloysius Angus Crane. Non voleva trovare suo padre in modo da riallacciare un rapporto mai esistito (altrimenti l'avrebbe cercato attraverso c'è posta per Te), voleva solo trovarlo per vedere com’era. Se aveva preso da lui il sorriso, gli occhi, il modo di camminare o di alzare gli occhi al cielo. E poi, diciamocelo: Run non voleva rimanere sola. Mai più. E quello, a prescindere da tutto, era il suo mondo. Ne era stata lontana per diciannove anni, ma era alla magia che lei apparteneva. Una magia sbagliata, perversa e corrotta, ma pur sempre magia. Quando vide un mago infilarsi nel corridoio sul fondo del locale, bacchetta alla mano, si svegliò dal suo apatico letargo. Si alzò e lo seguì con naturalezza, come se fosse sempre stata sua intenzione andare al muro e l’uomo l’avesse solo preceduta. “No, prego, prima lei” Lo invitò con un dolce sorriso a fare quella cosa da maghi, per il quale il muro magicamente si apriva collegando i due mondi.
    Il primo passo a Diagon Alley. Trattenne il respiro, Run, mentre tutto le piombava addosso con violenza. Le sembrava di essere tornata a otto anni prima, quando il Limbo aveva cessato di essere il bozzolo di un mondo, e la crisalide si era strappata liberando la farfalla. Percepì con chiarezza ogni potere –telecinesi, telepatia, criocinesi, oddio quanti erano?- con più forza di quanto le fosse mai capitato. Nei Laboratori i poteri erano controllati, e non era mai riuscita a sentirli così… concreti. Ebbe un brivido, mentre un lieve sorriso sghebo le incurvava le labbra carnose. Quindi era quella la sensazione che si provava ad essere a casa? Girovagò per la strada principale, senza una meta fisica. O meglio, sapeva che doveva cercare New Hovel, semplicemente non sapeva dove la struttura fosse situata geograficamente. Immaginava un qualcosa tipo grandi cancelli elettrificati, cartelloni che invitavano a non oltrepassare i limiti. Le solite cose da ghetto. Quello che Heidrun non sapeva, era che il piccolo assortimento di casupole davanti cui era passata almeno una decina di volte era New Hovel. Doveva essere davvero distratta, se non si era resa conto della quantità di poteri che riusciva a percepire da quella direzione. Se ne accorse solamente quando gli occhi verdi incontrarono, per una frazione di secondo, quelli altrettanto verdi di un uomo. Era certa, sicura di averlo già visto da qualche parte. Aveva un’ottima memoria, quando si ricordava di guardare. Forse un amico di Elysian? Una cosa era certa: Laboratori. Lo guardò sfilare lontano, con uno strano senso di… inadeguatezza. C’era qualcosa di familiare, all’infuori di quello, eppure non riusciva a capire cosa. Scosse il capo, introducendosi abusivamente all’interno di New Hovel. Chiese in giro se qualcuno, per caso, avesse visto Aloysius Crane. “È appena uscito” “Oh.. sa dove posso aspettarlo?” Vive laggiù” Prima che potesse raggiungere la porta, un piccolo omuncolo la superò di corsa, frapponendosi fra lei ed il suo obiettivo. Inarcò le sopracciglia, guardandosi attorno in cerca d’aiuto. “Conosci Al?” Se lo conosceva? Divertente. Annuì. “Dagli queste da parte mia” Le fece l’occhiolino, e se ne andò. Solo quando se ne fu andato, Heidrun aprì la busta che le aveva lasciato fra le mani.
    Foto. Foto che ritraevano un uomo addormentato – quello che le era appena passato a fianco-, e l’uomo di poco prima sorridente, e mezzo nudo, vicino al suo letto; foto che vedevano sua mamma un altro ragazzo sempre addormentato, e sempre fra le braccia del piccolo ometto. Non sapeva per cosa essere più scioccata. Perché mai suo padre avrebbe voluto avere delle foto del genere? Era un maniaco? Ecco, avrebbe dovuto saperlo: era un maniaco. Run, run. Era ancora in tempo ad andarsene, effettivamente. Nessuno avrebbe mai saputo che lei era stata lì. Ma ormai la tentazione era troppo forte: doveva entrare, vedere con i suoi occhi, attenderlo se necessario. Magari era stato tutto un equivoco. Nel dubbio, si ricordò di non prendere nulla da mangiare o da bere che non fosse sigillato: non era contraria alle droghe, altrimenti un’amicizia con Elysian sarebbe stata improbabile, ma potendo scegliere preferiva non fossero quelle dello stupro. Inspirò, stringendo con forza le foto fra le mani. Non poteva andare peggio di così, giusto?
    Sbagliato, come si rese conto qualche minuto più tardi, mentre girovagava per l’appartamento. Maledettamente sbagliato. Perché non solo suo padre era l’uomo della foto con il vecchio… Aloysius Crane era stato il compagno di cella di El, e lei non l’aveva mai saputo. L’aveva visto ogni giorno per mesi, anni. L’aveva cercato così a lungo, e lui era sempre stato lì. E lei… non era così che voleva essere conosciuta. Non era quello il ricordo che voleva lui avesse di lei. Com’era potuto succedere? Non c’era un qualcosa, una specie di magico legame padre e figlia, che avvisava di cose del genere?
    Ma che cazzo! Magari non si ricorda di me. Ah, impossibile, sono adorabile. “’Fanculo” Imprecò, lasciando scivolare le foto sul pavimento. Avrebbe potuto aspettarlo per chiarire la situazione. Avrebbe potuto cominciare a farsi qualche domanda, ideare una strategia, buttare giù un discorso; avrebbe potuto fare un sacco di cose utili, Heidrun Ryder Crane.
    Ma preferì l’alcool.
    Padre perdoname por mi vida loca.

    Invece di concentrarsi su come la questione influisse su di lei personalmente, Run si concentrò su quello che aveva imparato con quella breve gita a New Hovel. Non voleva pensare al futuro, voleva valutare la questione oggettivamente. Un puzzle, era solo un puzzle. Non era suo padre, non era fuggita dai Laboratori perché volevano ucciderla, non si domandava che fine avesse fatto sua madre, non si chiedeva cosa stessero facendo i Milkobitch, nè voleva comprendere cosa tutto quello significasse per lei. Aloysius Crane era un uomo –okay- dai gusti particolari –poteva accettarlo- ; era stato un compagno di cella di Elysian, per tutto quel tempo. Il che, alla fine dei conti, riportava alla domanda che meno si voleva fare in assoluto: allora dov’è mamma?
    Un uomo che non conosceva (perché andiamo, nella sua vita non era nemmeno tacciabile come pericolo accettare passaggi dagli sconosciuti) l’aveva scarrozzata a Hogsmeade. Heidrun era ormai ferma da qualche minuto davanti all’insegna dei Tre Manici di Scopa, chiedendosi se servissero alcolici. Quanto avrebbe voluto la compagnia di Charlie ed Elysian, in quel momento. Erano davvero le persone di cui aveva bisogno. Non si erano mai fatte confidenze intime di quel genere, né –conoscendo Run- mai l’avrebbero fatto. Ed era proprio per quello che le avrebbe volute lì: per non pensare. A niente. Entrò con un sospiro plateale, agganciando immediatamente lo sguardo triste di un uomo sulla quarantina. Voglio morire, qui, ora. Questo le stava trasmettendo, con gli occhi vacui puntati sulla porta, distanti anni luce. ”Beh, se vuole morire, non se la prenderà più di tanto se gli frego il bicchiere” pensò Run, inclinando il capo da un lato. Lasciò che i capelli scuri scivolassero oltre le spalle, coprendo la camicia a quadri a maniche corte che indossava. Non poteva già cominciare a rubare alcolici, doveva aspettare almeno qualche mese. Doveva accontentarsi delle vecchie maniere.“Buonasera” Esordì, avvicinandosi al tavolo dov’era seduto. “Sono orfana, mi offre da bere per favore?” Domandò con un sorriso innocente, lasciandosi poi scivolare sulla sedia di fronte alla sua.
    Heidrun Ryder Crane
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    Theodore Sinclair
    (pg fittizio per la quest #05)
    “Buonasera”. Gamma.
    C’era una cosa su Theodore Sinclair che in pochi sapevano.
    Ora voi vi chiedete quale e io vi dico BARBATRUCCO e non ve lo dico, ciao.
    Theodore Sinclair, una volta nominato membro della Magistratura Internazionale e del Parlamento, si trasferì a Londra per svolgere i suoi quattro lavori: parlamentare, giudice, scrittore e spia ribelle. A questi quattro lavori se ne aggiunse un quinto. Theodore Sinclair venne contattato da un gruppo di Ribelli della filiale americana a Londra che lo inclusero in un progetto il cui nome in codice era Scintilla. Si parlava della scintilla della magia. E il gruppo che v’era dentro portava il nome di Resistenza. Resistenza, però, Estremista. E Theodore Sinclair, affascinato da una possibile unione tra maghi e babbani, voltò gabbana sia alla Resistenza sia ai Mangiamorte e iniziò a curarsi degli Esperimenti che gli venivano affidati.
    Più che nella parte pratica, Theodore dava un contributo importante nella parte teorica e chimica. Preparava lui le pozioni che causavano la scissione delle cellule sanguigne, in modo da trovare la cellula corrispondente alla fantomatica “Cellula M”, la cellula che dava il potere della magia. Ma forse non era una cellulare, forse era una componente aggiuntiva del sangue, come il plasma. O forse qualcos’altro ancora. È un interrogativo che assillava Theo ancora, nonostante la dismissione dei Laboratori Estremisti.
    Poi arrivò un giorno in cui Theo vide uomini morti, trucidati, vivisezionati. Maghi, suoi fratelli, che venivano fatti uccidere (“abbattuti”, come i cavalli), babbani che piangevano, la pelle viva esposta, senza pelle. Gente che portava uomini svenuti dentro le celle. E Theo capì che quel che stava facendo era sbagliato, per unire due mondi non si doveva far soffrire. E allora collaborò con la Resistenza non Estremista e il Governo: confessò alla Resistenza di averli traditi, disse ai Mangiamorte di avere importanti informazioni su un nuovo nucleo ribelle. La filiale americana ne fu sconcertata, ma quella inglese lo perdonò perché rivelò loro l’esatta ubicazione dei Laboratori. E la Resistenza gli giurò di proteggerlo dal Governo, cosa che fece in seguito allo smantellamento dei Laboratori: Sinclair non risultò in nessuna lista di Dottori Estremisti. Il Governo cascò nella bugia di Sinclair, gli credette, e non pensò mai che Theodore fosse un Dottore Estremista, ma solo una spia ben informata. Addirittura lo premiarono, per questo.
    Prima che la Resistenza potesse abbattere i Laboratori lo fecero i Mangiamorte. I Laboratori vennero scovati, Theodore stesso presenziò a molti processi contro i Dottori Estremisti. Alcuni condannati a morte, altri finiti ad Azkaban, altri ancora invece si convertirono e lavorarono per i Mangiamorte, in cerca di un antidoto. Altri ancora, infine, non furono trovati. Dispersi, alcuni, morti, altri, non si sapeva, la maggior parte.
    A Theo non piaceva pensare a quel periodo. Ma non appena sentì un femminile “Buonasera”, tutti questi ricordi gli affiorarono in mente. Gamma, reclutatrice di prigionieri. Quando alzò lo sguardo, la riconobbe. La totale perdita di contatti umani fece vacillare la sua sicurezza, cercò un appiglio, cercò di ricordarsi come si salutava la gente. E, sentendo la voce di Gamma, capì che non voleva più morire. Voleva continuare a sentire voci umane. Avrebbe lottato. Non per la Resistenza, non per il Governo, ma per sé stesso. Magari si sarebbe rifatto una nuova vita. Decise di non pensarci in quel momento. “Sono orfana, mi offre da bere per favore?”. E si sedette accanto a lui.
    L’aveva riconosciuto? Aveva riconosciuto Theodore Sinclair? Tutti i Dottori catturati dal Governo erano stati segretamente obliviati dalla Resistenza, per proteggere Sinclair. La Resistenza inglese l’aveva protetto, era quella americana a volerlo morto. Ah sì, avrebbe combattuto per i ribelli inglesi, ma stavolta senza farsi pressare come prima. Forse. Doveva pensarci bene. Gamma evidentemente non era stata catturata, quindi si sarebbe dovuta ricordare di lui. O forse faceva solo finta di non conoscerlo.
    Theo decise di scoprirlo. «Buonasera, Gamma», la salutò, attento alla reazione che avrebbe provato alla ragazza. Gamma lo conosceva solo di vista, Theodore nei Laboratori veniva chiamato Omicron, ma poco ci voleva a scoprire che quella faccia apparteneva a Sinclair, scrittore, politico, giudice internazionalmente conosciuto. Ma Gamma non poteva rivelare ai Mangiamorte che Theodore era un ribelle: Theodore aveva l’appoggio del Governo e avrebbe vinto lui, mentre Gamma sarebbe stata processata per falsa tesimonianza. Era più in alto tra i vertici dei Mangiamorte e aveva la cieca fiducia dai capi del Governo. «Una BombardAlcolica per la ragazza qui», ordinò con fare indulgente, senza guardare la cameriera che s’era avvicinata al loro tavolo, per poi mandarla via con un cenno della mano. Passò due dita sul mento, osservando Gamma. E per la prima volta si chiese quale fosse il suo vero nome, e per la prima la osservò davvero.
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    L’alcool era stato un compagno di vita assai frequente, per Heidrun. Finchè aveva vissuto con i Milkobitch si era trattato di un uso sporadico ed assai controllato, doveva pur sempre dare il buon esempio ai più giovani ed innocenti Todd e Jeremy, ma durante i Laboratori era diventato un vero e proprio lavoro. La maggior parte delle Cavie, difatti, le raccoglieva nei bar, nei pub, nei locali di spogliarelli ed altri posti poco raccomandabili per una quasi maggiorenne. E farsi offrire, o offrire a seconda dei casi, da bere, era la prima cosa da fare per attirare qualcuno. Una cosa tira l’alta, era maleducazione non assaggiare nemmeno i drink, e Run in breve tempo era diventata un affidabile membro effettivo degli alcolisti poco anonimi. Si ubriacava raramente, doveva avere una mente lucida per svolgere il suo compito, ma dire che non accadeva mai sarebbe stata una menzogna. Ed aveva imparato che sì, a discapito di quanto dicessero, l’alcool aiutava realmente. Affievoliva ogni cosa, sfumando i bordi delle situazioni finchè non divenivano più abbordabili e semplici, meno taglienti e spinosi. Quello il motivo per il quale si era spinta fino ad Hogsmeade alla ricerca di un pub dove finalmente dedicarsi ad una cosa che la appassionava realmente: il whisky. Chissà se anche a suo padre piaceva il whisky, se gliel’avrebbe offerto o se si sarebbe fatto prendere la mano da quella sua nuova –importante- carica di padre e gliel’avrebbe proibito. Mh, improbabile. Proibire qualcosa a Run era come negare alla pioggia di cadere: puoi provarci, ballare per lei, ma se non piove non puoi realmente attribuirti il merito.
    Allargò il sorriso in direzione dell’uomo, poggiando i gomiti sul tavolo ed intrecciando le dita fra loro, dove poi lasciò ricadere il mento sottile. Vide qualcosa nei suoi occhi che le piacque poco, ma l’espressione allegra non tentennò nemmeno per un secondo. Nel mentre lo squadrò a lungo, chiedendosi perché diamine continuasse a guardarla come se la conoscesse. Era piuttosto sicura che no, non potesse averla riconosciuta. Era improbabile che fosse un Esperimento, non percepiva in lui alcun potere… ma poteva comunque essere stato nei Laboratori, e per mano sua. Che situazione assurda. Non aveva portato così tante persone dai Dottori, quante probabilità c’erano che ne avesse appena incontrata una? Certo, Run ancora non sapeva quanto mainagioia fossero i Crane, e quanta sfiga portasse Aloysius. Beata ingenuità.
    “Buonasera, Gamma”
    Soggetto Gamma, rispondente al nome di Heidrun Ryder Harvelle.

    Gamma era il nome con il quale l’avevano chiamata nei Laboratori, un modo come un altro per spersonalizzarla, non dissimile al numero che marchiava ogni esperimento. Era semplicemente Gamma, e non aveva alcun senso per lei rispondere al nome di Heidrun, che aveva usato raramente e con ritrosia. Heidrun era per la famiglia e gli amici, nei laboratori nessun altro, fatta eccezione per i nonni, lo conosceva. Il fatto che l’uomo di fronte a sé lo conoscesse, significava solo una cosa: Dottore. Gli Esperimenti la conoscevano nei modi più vari, ma nessuno di loro avrebbe ricollegato il suo viso a Gamma. I Dottori invece, dal canto loro, dovevano tutti bene o male conoscere quelli che lavoravano per loro, in modo da assicurarsi che non giocassero qualche brutto scherzetto. La prima cosa a cui pensò, fu: Merda, mi hanno trovata. Ma era stata lei ad attaccare bottone, non il contrario. Inclinò leggermente il capo, adombrando il sorriso che ancora, seppur tenue, le incurvava le labbra carnose. Perché sì, Heidrun avrebbe potuto reagire in tanti modi: fuggendo, mentendo, fingendo di non riconoscere quello pseudonimo. Ma che senso avrebbe avuto? Era la sua nuova vita, non poteva iniziarla con una menzogna. Aveva bisogno della loro fiducia per poter denunciare gli Harvelle, quelli che cattivi lo erano per davvero. Lei, al contrario, era dalla loro parte. L’avrebbero capito. Ma il Tipo? Poteva rivelarsi una minaccia seria, oppure poteva essere lei una minaccia per lui (ne dubitava, considerando che, altrimenti, non l'avrebbe chiamata Gamma sapendo che si sarebbe fatto scoprire). Poi, andiamo: aveva l'espressione tipica di chi non vorrebbe solo tagliarsi le vene, ma estirparle dal proprio corpo. Se voleva morire, bastava fare un fischio, eh. Conosceva gente che non si sarebbe fatta alcun problema a porre fine alle sue sofferenze. (.. Lei compresa) “Ci sono tre cose che mi dimentico sempre: nomi, facce, la terza non la ricordo” Citò, numerando l’elenco sulla punta delle dita. “Ci conosciamo? E devo dirglielo, signor…” Aggrottò le sopracciglia, invitandolo con la mano a completare la frase. Perché no, lei non aveva la più pallida idea di chi fosse (e, sinceramente, who gives a fuck?). “Il fatto che lei sappia chi sono, aggiunto alla mia giovane e alla sua non più tanto giovane età, rende il tutto vagamente inquietante. È per caso uno stalker? Nel caso” Drizzò la schiena sulla sedia, lanciando un’occhiata al cameriere che segnava la sua nuova ordinazione. “I drink diventano due.” Gli rivolse nuovamente un sorriso gioviale, assottigliando le palpebre maliziosa. Carpe diem tonno idem si diceva, giusto?

    Heidrun Ryder Crane
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    Theodore Sinclair
    (pg fittizio per la quest #05)
    “Ci sono tre cose che mi dimentico sempre: nomi, facce, la terza non la ricordo”. L’espressione di Theodore divenne più allegra. Si permise un sorriso non troppo espansivo, ma comunque abbandonò la compostezza, la serietà e l’austerità di poco prima. Bugiarda.. Theodore era un giudice e, come tale, aveva imparato a riconoscere il sottile filo che divideva la verità dalla bugia. Un filo che spesso veniva dissimulato, spesso fin troppo sottile, quasi inesistenze. Eppure la differenza c’era, per quanto la bugia potesse suonare così simile alla verità. Una persona che davvero non lo conosceva si sarebbe scioccata, assumendo un’espressione stupita. Lei invece sorrise. Non provò indignazione, stupore o cose così. O si aspettava quella frase oppure voleva far finta di niente. Forse davvero non lo ricordava, c’erano così tanti dottori estremisti, ma solo i Dottori potevano riconoscerla come Gamma. Quindi doveva aver capito.
    “Ci conosciamo? E devo dirglielo, signor…”. Agitò la mano, come a invitarlo a dire il proprio nome. Theodore inarcò un sopracciglio. Allora davvero non si ricordava di lui. «Omicron. Settore chimica e analisi». Sorrise. Bastava quello e non avrebbe detto il proprio nome reale non l’avesse fatto elei per prima. Che poi, cosa gliene fregava? Non che a lui interessasse qualcosa di quella ragazza, e non solo perché non sapeva quale fosse la sua vera identità.
    Era cresciuta fuori dal mondo? Non aveva mai lanciato sguardi ai giornali? O era un’ignorante o era cresciuta nei laboratori. Theodore credeva di più nella seconda ipotesi. Del resto, quale ragazza avrebbe mai optato per una vita fatta di inganni, tradimenti, sotterfugi? Di rapimenti. Gamma. Colei che portava i prigionieri dentro i Laboratori, colei che li adescava. Una delle tante, una dei più bravi. Chissà quante persone erano molte per causa di un suo raggiro. Per causa dei laboratori. Per causa dei dottori. Per causa di Theodore stesso.
    “Il fatto che lei sappia chi sono, aggiunto alla mia giovane e alla sua non più tanto giovane età, rende il tutto vagamente inquietante. È per caso uno stalker? Nel caso... I drink diventano due”. Theodore non aveva né voglia di scherzare né voglia di bere. Aveva solo voglia di starsene seduto a fissare un punto non meglio precisato senza guardare realmente niente. Voleva solo pensare. Sorrise cordialmente, senza guardare la cameriera (o il cameriere, non l'aveva nemmeno guardato in faccia) allontanarsi. «Ci conosciamo, circa. Ormai avrai scartato l'ipotesi che io ti stia dando la caccia, giustamente». Gli unici motivi per cui qualcuno poteva conoscerà Gamma erano: o quel qualcuno era un Dottore, o era una spia intenzionato a trovarla. Ma... «Mi hai trovato tu, non io». Quindi poteva valere l'opposto. Magari Gamma si era alleata con il Governo e aveva promesso di ritrovare tutti i Dottori e consegnarli alla giustizia. Ci credeva poco, Sinclair. Si sarebbe dovuta prima informare su chi fosse il Dottor Omicron, quale fosse la sua reale identità. E si vedeva che non l'aveva fatto. E in ogni caso, Sinclair aveva il culo parato.
    Almeno in questo era stato fortunato. Solo che ora la Resistenza americana voleva ucciderlo. #mainagioia
    Tutta la sua vita poteva essere considerata un completo fallimento. Si era sposato tempo addietro con una donna molto bella che ben presto gli aveva dato un figlio. Il padre e la madre di lei erano purosangue sordomuti, di origini americane, ma la moglie di Theodore era una persona... normale, insomma. Senza alcun problema di udito. Il loro primogenito, invece, nacque come i suoi nonni. Sordomuto sin dalla nascita. Anche il secondogenito nacque sordomuto. Theodore le ripeteva, a sua moglie, che potevano sempre riprovarci. E poi i loro bambini erano belli, non era un problema così grave.
    Invece per la moglie di Theodore era un problema fin troppo grave. Cadde in depressione. Un giorno Theodore, ritornando da un meeting svolto in Australia, trovò la casa tutta in ordine. Sua moglie però non rispondeva ai suoi richiami. I loro due figli erano a scuola. Quando entrò nella stanza da letto vide sua moglie che dormiva tranquillamente, un sorriso mesto in volto. Un biglietto sul comodino. Un biglietto di scuse e “ti amo”. Theodore, spaventato a morte, portò le dita sul polso di lei. Morta. La sua mano, gelida come il marmo, stringeva un pacco di medicine, vuoto. Overdose.
    Theodore non pianse. Sua moglie era morta da tempo immemore, da quando era entrata in depressione a causa del sordomutismo dei due figli. Ovviamente non fu solo la moglie a lasciarlo. Furono pure i suoi figli ad abbandonarlo, ad accusarlo silenziosamente della morte della madre. I suoi sguardi accusatori dicevano ”Non le sei stato vicino”, “L'hai fatta cadere tu stesso in depressione con la tua trascuratezza". E, col passare degli anni, sottoposto a quelle occhiate accusatrici, dal sangue del suo sangue, Theodore credeva sempre più di essere stato lui a uccidere indirettamente la moglie.
    Avendo paura di farlo anche con i suoi figli, passando un periodo di profonda crisi economica (lo Stato dell'Illinois non l'aveva riassunto come Giudice, la casa editrice aveva rotto i contratti con lui) ed emotiva, decise di affidare i suoi figli in adozione. Non riuscì mai a dire se li abbandonò o se li consegnò a miglior vita. Solo che tutto, da quel momento, peggiorò.
    Il filo dei pensieri di Theodore si fermò. Era appena arrivata la cameriera, che aveva poggiato sul tavolo un vassoio con due bicchieri di BombardAlcolica. “Una falce e un galeone”, disse la cameriera. Theodore uscì il portafoglio dalla tasca ed estrasse subito una moneta d'argento e una d'oro, porgendole alla cameriera. Guardò Gamma. «Ebbene, ora che tutto è smantellato, cosa fai?», chiese. Voleva sapere cosa aveva intenzione di fare. Di certo gli importava ben poco che lavoro facesse adesso. Voleva solo sapere se intendeva costituirsi o nascondersi e fuggire.
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    Heidrun era brava con le persone. Non che fosse mai stata una dote naturale, anzi, o che la cosa le aggradasse: Heidrun era brava con le persone, perché così le avevano insegnato. Se non fosse piaciuta abbastanza, non avrebbe potuto svolgere quel suo delicatissimo compito. Fuori dal lavoro, se così si poteva definire, aveva scoperto di non essere poi così brava però. Diciamo che avrebbe potuto mascherare il fastidio se avesse voluto, fingere che la compagnia le piacesse; ma diciamo anche che, nella sua vera forma, a Heidrun mentire non piaceva particolarmente, e tendeva ad infiammarsi per poco. Come avevano detto i Dottori quel primo giorno nei Laboratori leggendo il resoconto di un Osservatore, Run aveva passione. Aveva un fuoco, la Crane, che anziché consumarla la alimentava, accendendola completamente. Poteva risultare un tratto affascinante sotto alcuni punti di vista, ma non era così semplice. Non era mai così semplice.
    L’uomo con il quale aveva scelto di condividere quel triste pomeriggio, scelta che continuava a pentirsi di aver fatto, non le piaceva. Era un dato di fatto, qualcosa a pelle: ad Heidrun, quell’uomo, proprio non andava giù. L’unica cosa che l’aveva trattenuta dall’andarsene, era stata quella sensazione di tristezza che egli trasmetteva, come se ci fosse qualcosa di spezzato da aggiustare e se chiunque vi avesse prestato anche un minimo d’attenzione avrebbe potuto aggiustarlo. Aveva ancora conservato un briciolo di empatia genuina, la Crane, ma cominciava a rimpiangerlo. Avrebbe voluto cancellargli quel sorriso sornione dalla faccia sbattendola ripetutamente contro il tavolo di legno che li separava; eppure ricambiò il sorriso a labbra strette, sbattendo le ciglia con aria languida. “Omicron. Settore chimica e analisi” Continuava a sorridere, lui, come se la cosa fosse incredibilmente divertente. Oppure, al contrario, davvero patetica. Non poteva immaginare a cosa stesse pensando, non che la cosa titillasse particolarmente la sua attenzione, ma quella smorfia delle labbra la irritava alquanto. Omicron, settore chimica e analisi. Quindi, alla fine dei fatti, era un Dottore. Non c’era nessuno di quelli come lei nel settore chimica e analisi, loro facevano il lavoro sporco. Glielo stava dicendo con una leggerezza davvero … equivoca, e Run non comprendeva. Le aveva dato modo di capire che sapeva chi lei fosse, identificandosi poi con il nome che lui stesso usava nei Laboratori. Ma quel sorriso, raccontava un’altra storia. Ryder sinceramente non trovava quel discorso meritevole di un sorriso, considerando soprattutto ciò che loro le avevano fatto. Il suo odio era sì incentrato sugli Harvelle, i Dottori in sé passavano in secondo piano, ma Omicron non poteva saperlo. Perché glielo stava dicendo? E perché con quel tono? Le sembrava quasi una sfida, ma non una sfida intesa come giudicami, se hai il coraggio. Pareva più un eccoci qui, a bere insieme. Stessa barca, ma io ho ragione e tu no. Quello vi leggeva, la ragazza. Omicron non le piaceva proprio per un cazzo. La situazione non migliorò nemmeno in seguito, con l’infelice uscita dell’uomo. “Ci conosciamo, circa. Ormai avrai scartato l'ipotesi che io ti stia dando la caccia, giustamente”
    Perché Omicron, analisi di Laboratorio, non avrebbe avuto alcun motivo per darle la caccia. Non era quello il suo compito, né mai lo sarebbe stato. Come poteva sapere che Run era in fuga? Lo squadrò attentamente, il sorriso ormai ricordo lontano sulle labbra carnose. Si ritirò, poggiando la schiena sulla sedia ed incrociando le braccia sul petto con fare scettico. L’ipotesi di sbattergli la testa contro il tavolo, pareva sempre la più allettante. “Mi hai trovato tu, non io” Accennò un ghigno, rispondendo con il medesimo tono pacato dell’uomo. “Sono un Esperimento, non una ritardata. Ma grazie per aver sottolineato l’ovvio, OmicronPronunciò il suo nome inarcando entrambe le sopracciglia, lanciandogli nel mentre uno sguardo di sottecchi. Certo, avrebbe potuto trattenersi da quella risposta infantile… Peccato che avesse solo otto anni. #ops
    Non le piaceva essere trattata con condiscendenza, cosa che l’uomo stava ampiamente facendo. C’era uno sguardo furbo dietro gli occhi chiari di Omicron, lo sguardo freddo tipico degli imprenditori o di chi sa qualcosa che non vuole rivelare ma solo far intendere. Il classico da lo saprai quando sarai più grande, che ogni persona sulla faccia della terra odia. E ancora, Run, si chiese cosa volesse dalla sua vita. Sì, era stata lei a cercarlo, ma perché farle presente quel Gamma? Lei dei Laboratori non voleva più saperne niente, dimenticare ciò che era stata per iniziare una nuova vita. Era forse chiedere troppo? Voleva aver trovato suo padre in un modo normale, senza foto di vecchi nudi che ammiccavano alla macchina fotografica; voleva aver trovato suo padre senza aver scoperto che in realtà l’aveva sempre conosciuto. Voleva vendicare sua madre, nonostante quello che le aveva fatto. Voleva una seconda possibilità. Forse era davvero chiedere troppo.
    Prese il bicchiere posato sul tavolo dal cameriere, sorridendo grata nella sua direzione, quindi si portò la cannuccia alle labbra. Non ringraziò però il suo nuovo e gentile amico. Che brutta persona, acciderbolina. “Ebbene, ora che tutto è smantellato, cosa fai?” Allora… andrò a vivere a New Hovel, vicino a mio padre, così da scoprire quanto sia mainalele, alcolizzato, e portatore di malattie virali a causa dell’amore proibito con il Vecchio; quindi mi cercherò una madre surrogato, che troverò nel finto cugino di mio padre, che amerò come se mi avesse realmente partorito. Dopodichè cercherò di entrare in un clan mafioso, oppure nella ca$ta Hamilton. Forse entrambi. Circuirò qualche giovane mente per farmi offrire alcool e droga. Cerco Charlie e Elysian. Ah, denuncio i miei nonni alle autorità, e grazie all’aiuto di alcuni pezzi grossi al Ministero spiattello tutta la storia dei Laboratori, nascondendo però il mio ruolo all’interno di questi. Sempre che io non muoia nel Labirinto dove stanno per lanciarci come carne al macello.
    Ah, già, ma non sono cazzi tuoi Omicron.

    Scosse il capo. “Quello che facevo prima, la mantenuta. Magari mi prendo un cane, ne ho sempre voluto uno. Mi creo nuove amicizie, scopro nuove droghe, e faccio sesso nei bar degli autogrill – li hanno gli autogrill, nel mondo magico?- come ogni brava adolescente ribelle che si rispetti” Sorrise angelicamente, continuando a sorseggiare la BombardAlcolica stretta fra le sue mani. Sapeva che no, non era quello che le aveva chiesto l’uomo. Non poteva interessargliene di meno della sua vita, a meno che non fosse realmente un creepy stalker, ma da lei non avrebbe avuto altra risposta. Dio, nemmeno lo conosceva. Si aspettava davvero che gli rivelasse i suoi piani di conquista del mondo? A un Dottore, per di più. “E lei? Gioca ancora a fare il piccolo chimico con le vite degli altri, oppure ha denunciato quelli che erano i suoi amici per poter degustare quella BombardAlcolica? Salute, fra l’altro” Concluse in tono allegro, alzando il suo bicchiere in direzione di Omicron e sorridendo innocentemente.
    Heidrun Ryder Crane
    « Don’t throw stones at me Don’t tell anybody Trouble finds me»

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    Theodore Sinclair
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    “Sono un Esperimento, non una ritardata. Ma grazie per aver sottolineato l’ovvio, Omicron”. Inarcò il sopracciglio. Si sentiva… scomodo, in quella situazione. Non gli piaceva parlare di quelle cose e la ragazza sembrava averlo preso in antipatia. Anzi, l’aveva preso in antipatia. E Theodore che voleva simpatizzarsela, mai ’na gioia. Certo, forse erano i modi di Theodore a non piacerle e a rovinare tutto. Theodore voleva solo capire se quella ragazza era una spia o solo una povera anima vagante incontrata per caso.
    Una cosa lo colpì. Esperimento. Magari era stato proprio lui, con uno dei suoi sieri, a farla diventare un Esperimento. Era macchiano di mille colpe, e doveva aggiungerci anche quella. Perché, ache se non era stato lui a creare il siero che l’aveva trasformata o a somministrarglielo, aiutava tutti i Dottori dei Laboratori. Li aiutava a compiere un mezzo genocidio.
    Si passò una mano sulla fronte, sospirando. Era una ragazza così… così infantile. E aveva ragione a pensarlo: quella ragazza era solo una bambina cresciuta troppo in fretta. Non è un insulto, è una cosa vera. Letteralmente. Ma Theo mica lo sapeva.
    Suo figlio, quello maggiore, era quasi come lei. Peggio. Arrogante, soprattutto con il padre, irrispettoso e volgare. Suo figlio Daniel lo odiava da morire ma, nonostante questo, Theodore gli voleva bene. Lo amava, un amore che lo faceva soffrire perché non era ricambiato. Un amore che un padre dà a un figlio e che non viene ricambiato è peggio di una pugnalata al cuore che lacera dal profondo. Una delle peggiori cose che si possano provare.
    Il figlio più piccolo, invece, semplicemente era passivo. Non dimostrava niente. Sembrava un vegetale. Non fus cosso dalla morte della madre. Non ricambiava i sorrisi del padre. Non piangeva, non sorrideva. Non era. Forse fu per quello che alla fine si uccise, prima tagliandosi i polsi e poi buttandosi da un balcone. O forse voleva bene al padre ma non sapeva dimostrarlo e la sua lontananza lo fece soffrire. Theo diede Jack e Ray in adozione dopo la morte della moglie sperando di far loro bene. Del resto, non gli volevano bene loro due, come avrebbe dovuto aiutarli e accudirli?
    Ma forse facendoli adottare peggiorò le cose: Ray si suicidò mentre Jack divenne un criminale. Adesso era in attesa nel Braccio della Morte in un penitenziario del Texas. In attesa della sedia elettrica. Aveva pure ripudiato il mondo magico. La famiglia che l’aveva adottato l’aveva abbandonato. Perché aveva ucciso la nuova madre, quella adottiva. Forse perché era troppo legato alla madre defunta e non sopportava vedere una… un’usrpatrice?
    I suoi due figli non erano sani. Oltre che sordomuti erano pure psicopatici. Questo il respondo dello psichiatra. L’infermità mentale non fu d’aiuto a Jack: non gli fecere alcun sconto di pena. Pena di morte, morte e basta. La pena capitale. La vita di Theo era andata a rotoli e in quel giorno, davanti a quella ragazza, si chiese nuovamente se la colpa fosse sua. Forse non sapeva come comportarsi, forse fraintendevano ogni suo gesto. Era un uomo fallito. O no? Forse poteva dimostrare a sé stesso di valere qualcosa, uccidendo il suo vecchio se stesso e costruendosi una nuova vita?
    “Quello che facevo prima, la mantenuta. Magari mi prendo un cane, ne ho sempre voluto uno. Mi creo nuove amicizie, scopro nuove droghe, e faccio sesso nei bar degli autogrill – li hanno gli autogrill, nel mondo magico?- come ogni brava adolescente ribelle che si rispetti”. Pure Jack avrebbe risposto così. Ma Theo sapeva che Gamma era diversa da Jack. Lei non avrebbe ucciso sua madre. E neanche suo padre. Theo non conosce Aloysius, il padre di Run, e si vede. Si vedeva. Aveva sofferto e sapeva cosa significava morire, cosa significava sofferenza. Non l’avrebbe fatto. Oppure Theo si stava sbagliando pure su questo. Magari nulla era così come gli appariva. Fallito, era un fallito. “E lei? Gioca ancora a fare il piccolo chimico con le vite degli altri, oppure ha denunciato quelli che erano i suoi amici per poter degustare quella BombardAlcolica? Salute, fra l’altro”.
    Inarcò un sopracciglio. «A te», rispose, senza nemmeno toccare il suo bicchiere. «Mi sono pentito e non voglio più aver a che fare con i Laboratori», rispose sinceramente, abbandonando il sorriso di prima. Capì cosa aveva sbagliato. Non doveva sorridere, era un segno provocatorio che non poteva piacere a nessuno. «Non sono mai stati miei amici, inoltre. Ho collaborato con la giustizia e la mia coscienza». Alzò le spalle facendo una smorfia. Non era cambiato niente, anche se si era pentito. Non sapeva cos’altro dire. Avrebbe voluto dire di non essere un mostro, ma ormai nemmeno lui era sicuro di ciò. <b>«Sono macchiato di sangue. Secondo te potrei rimediare? No». Fece strisciare l’indice sull’orlo del bicchiere, con espressione triste. La sua vita era piena di fallimenti, e lui non riusciva a capire se la colpa era del destino, degli eventi, delle persone o semplicemente sua.
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    Pentimento. Esisteva davvero? O era solo un modo più gentile con cui definire il senso di colpa che, la sera, impediva di dormire sonni tranquilli? Pentimento, Heidrun continuava a ripetersi quella parola fra sé e sè. Suonava bene, colmo di buone intenzioni. Il pentimento portava alla redenzione, alla pulizia dai propri peccati. Era una via di fuga quando ci si trovava con le spalle al muro. Ma non bastava pentirsi, perché il passato non cessava d’esistere, né poteva essere dimenticato. “Mi sono pentito” Un po’ tardino, non trova Dottore? Ma, essendo un mago forse rinomato, l’avrebbe passata liscia. Bastava così poco al Mondo Magico per scordare: una buona parola, una promessa, uno sguardo contrito. Così poco. Perché loro, chi perdonava, non era mai stato dall’altra parte del bisturi. Non sapeva cosa si provava. E Run non poteva giudicare, perché nemmeno lei poteva saperlo: era nata speciale, non lo era diventata. Non per questo se la sentiva di biasimare Omega, o di compatirlo: aveva fatto le sue scelte, avrebbe dovuto pagare. E invece! La vita di Run non era mai stata una sua scelta: il Limbo le era stato imposto, i Milkobitch imposti –mai nessun obbligo fu più piacevole, bisognava ammetterlo-, la Mimesi imposta, l’eredità della madre imposta. Aveva sempre amato la libertà, la Crane, senza averla nemmeno assaggiata. Ora che era libera veramente, forse non l’avrebbe neppure apprezzata. Forse non avrebbe saputo cosa farsene della sua vita senza qualcuno che le dicesse cosa fare, o come comportarsi. O magari quella libertà le avrebbe dato alla testa. Oppure ancora, le cose finalmente sarebbero andate per il meglio: era tornata alle origini, scoperto un mondo che era sempre stato casa senza ch’ella l’avesse neanche mai visto; sapeva dove trovare suo padre, ed era molto più vicina a Todd e Jeremy di quanto non potesse esserlo a casa loro. Avrebbe conosciuto altri come lei. E, soprattutto, sapeva contro cosa combattere, e sapeva per chi farlo, un vanto di cui prima d’allora non aveva mai potuto godere. “E non voglio più aver a che fare con i Laboratori” Run alzò le sopracciglia, mordendosi la lingua per non commentare. Non nascose però la stizza, ben riassunta nella piega delle labbra e gli occhi socchiusi. Avrebbe voluto ricordargli che pentirsi non aveva alcun senso, che quella era una colpa che l’avrebbe seguito per sempre, volente o nolente. Avrebbe voluto accusarlo, vederlo sanguinare: capro espiatorio perfetto per i peccati degli Harvelle. Omega però avrebbe potuto dire lo stesso di lei, se non peggio. Perché Run, Esperimento, si era presa gioco di altri come lei; perché li aveva conosciuti, aveva visto i loro occhi, e li aveva comunque resi delle cavie. Poco importava cosa vi fosse all’origine di quel comportamento, dato che non cambiava i fatti. Ryder non era affatto meglio dell’uomo seduto davanti a lei, e lo sapevano entrambi.
    Omega aveva finalmente smesso di sorridere, e della cosa Run non potè che essere grata: ora aveva meno voglia di spiattellargli il volto delicato contro il bicchiere della BombardAlcolica, il che era un progresso non da sottovalutare. “Non sono mai stati miei amici, inoltre. Ho collaborato con la giustizia e la mia coscienza” Inspirò dal naso, Heidrun Ryder Crane, alzando le sopracciglia mentre ingollava l’ultimo goccio della bevanda, finita troppo in fretta per i suoi gusti (quello era esattamente il motivo per il quale preferiva le bottiglie ad i cocktail, ci mettevano più tempo per arrivare al fondo). “Stronzate, Omega. Non si lavora per anni in uno stesso posto senza stringere alcuna amicizia. Chi di loro ha denunciato? Quali altre vite hai sulle spalle?” Punzecchiò con un sorriso lascivo, per il puro intento di infastidirlo. Heidrun era incredibilmente brava ad irritare le persone, quasi quanto lo era nel farsi amare. Però, non c’erano dubbi, preferiva la prima scelta. “Con la coscienza puoi al massimo scendere a patti, ma nessun accordo sarà mai soddisfacente per nessuna delle due parti” Si strinse nelle spalle, passandosi una mano fra i sottili capelli castani. “Non abbiamo più una coscienza, dobbiamo accettarlo e andare avanti” Concluse semplicemente, con un sorriso amaro ad incurvarle le labbra carnose. Ed era seria, cosa assai rara per la Crane. Lo pensava davvero: lei, personalmente, sapeva di non avere più una bussola, di essere solo un ago smagnetizzato che si era di recente liberato dal vetro. Non si era neanche mai basata sulla coscienza, non ne aveva mai avuto né il bisogno né l’opportunità. Si basava sul cuore, sempre. Sull’istinto. Nient’altro le diceva cosa fosse giusto o sbagliato, nemmeno la ragione –se mai l’aveva avuta. “Sono macchiato di sangue. Secondo te potrei rimediare? No” Quello sguardo triste, lo stesso che l’aveva tenuta inchiodata a quella sedia impedendole di alzare i tacchi e tornare sulla sua strada. Espirò lentamente, volgendo lo sguardo sulle proprie mani giunte sul tavolo. Quando cominciò a parlare, lo fece con una sincerità che stupì Run per prima. Si era dimenticata di cosa fosse la verità, e sentire quanto ancora poteva appartenerle la fece sorridere con spontaneità, come quando Todd beveva il latte e si sporcava tutto il labbro superiore. “Certo che non puoi rimediare. Nessuno di noi può farlo, quel che è stato fatto ormai è storia. Delle persone sono morte, altre è come se lo fossero. Siamo dei mostri, Omega. Lo so io, lo sai tu, lo sanno gli Esperimenti. Non esistono redenzione o pentimento, per quelli come noi” Fece una pausa, inumidendosi le labbra. “Ma ci sono le seconde possibilità, se solo ci diamo modo di coglierle. Dobbiamo solo…” Non seppe come finire la frase, quindi la lasciò in sospeso. Dovevano conviverci, ma non solo. Era complicato, ed era passato troppo poco tempo dalla fuga perché Run potesse pensare a mente lucida. “Lo spettacolo va avanti, con o senza di noi” Fece schioccare la lingua, assottigliando le palpebre. Omega continuava a non piacerle, ma meritava un briciolo di umanità.
    Forse.
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    Theodore Sinclair
    (pg fittizio per la quest #05)
    “Stronzate, Omega. Non si lavora per anni in uno stesso posto senza stringere alcuna amicizia. Chi di loro ha denunciato? Quali altre vite hai sulle spalle?”. Quella frase lo colpì. Non tanto per il suo significato e il suo contenuto, anche perché era una cosa che già lui sapeva, ma per il semplice fatto che lei l’avesse detto. Non si sarebbe aspettato quel richiamo alla coscienza e all’amicizia da parte di quella ragazza che prima le era sembrata più…. infantile, più bambina. E infatti in realtà è una bambina, letteralmente. Ma non lo sai, ops. #trololol Non si prese nemmeno il disturbo di correggerla sul nome: lui era Omicron, non Omega. Dettaglio insignificante. Quello che era stato il dottor Omega probabilmente era morto, ucciso o dai Resistenti o dai Pavor. Non si sarebbe offeso a sentire che il suo nome era stato dato a un’altra persona.
    Forza, rispondi, Theo. Aggrottò la fronte. Non aveva avuto amici, lì dentro. O no? Nessuno s’è mai preso la briga di chiedermi come stavo, solo rapporti professionali. Gli chiedevano, al massimo, solo “Finita la formula?”, “A che punto è il siero XY-YTRL?” o “Puoi venire ad aiutarmi a rimettere i valori nella norma?”. No. Mai avuti amici. Quel luogo era un luogo che respingeva l’umanità. Theodore l’aveva capito solo dopo, quando era troppo tardi per pentirsi oe cambiare bandiera. Poteva solo denunciarli. Avrebbe arrecato altro dolore, altre sofferenze. Ma sempre meglio del dolore che arrecavano gli Estremisti. Era stato posto davanti a un bivio, all’inizio, e lui aveva scelto gli Estremisti. Aveva camminato per quella strada, poi una frana aveva bloccato la strada, dietro, impedendogli di tornare indietro. Poi aveva deciso di aver fatto la scelta sbagliata, quindi si creò da solo un sentiero per arrivare all’altra strada, quella che aveva scartato a favore degli Estremisti. Solo che e aveva intrapreso un altro tipo di sentiero, non era tornato indietro.
    “Con la coscienza puoi al massimo scendere a patti, ma nessun accordo sarà mai soddisfacente per nessuna delle due parti. Non abbiamo più una coscienza, dobbiamo accettarlo e andare avanti”. Sorrise anche lui amaramente, come aveva fatto quella ragazza dai capelli castani e dal giovane volto, ancora non segnato dal tempo e nemmeno scalfito dalle sofferenze. Quello di Theo ce li aveva, i segni del tempo e delle sofferenze, del dolore patito e dei secondi persi.«Siamo persi, in balia delle onde. Dove andremo, non ha più importanza ormai. Qualsiasi scelta o cosa faremo, non avrà pèiù importanza ormai». Non poteva nemmeno tornare indietro. Nemmeno quello gli era concesso. E allora cosa gli era concesso di fare nella sua vita? Morire sarebbe stato come arrendersi, e Theo non voleva arrendersi. Non gli piaceva nemmeno la parola “arrendersi”, suonava male, era brutta.
    Si accorse che quella ragazza stava cominciando a piacergli. Stava succedendo da quando lui aveva abbandonato quel sorriso. Quante cose potevano cambiare con un sorriso o con una lacrima. L’anima umana era davvero così sensibile a questi segnali, così facilmente manovrabile e vulnerabile. Theo se n’era accorto con Gamma, sì, ma anche con sua moglie e i suoi figli.
    Figli… aveva vivo solo il maggiore, in attesa della sedia elettrica. E non poteva nemmeno vederlo o salutarlo per un’ultima volta. Suo figlio era diventato aggressivo addirittura con il suo stesso specchio. Era diventato una belva, un mostro. Anche lui era finito nei Laboratori Estremisti. Nei Laboratori in cui c’era suo padre. Era stato anche lui a ridurlo in quello stato. Voleva tantissimo bene a sua moglie e ai suoi figli, eppure li aveva distrutti con le sue mani. Senza volerlo. Senza poter capire quale fosse la scelta giusta o meno. E adesso aveva pure condannato a morte quella che era stata la sua fidanzata. E non aveva avuto possibilità di scelta. La vita o non gli riservava scelte, o ngli camuffava i veri esiti delle sue scelte.
    “Certo che non puoi rimediare. Nessuno di noi può farlo, quel che è stato fatto ormai è storia. Delle persone sono morte, altre è come se lo fossero. Siamo dei mostri, Omega. Lo so io, lo sai tu, lo sanno gli Esperimenti. Non esistono redenzione o pentimento, per quelli come noi”. Annuì, interessato da quello che stava dicendo. Le sue parole risuonarono sincere, detto dal cuore, veritiere. “Ma ci sono le seconde possibilità, se solo ci diamo modo di coglierle. Dobbiamo solo…”. Attese qualche secondo, paziente, aspettando che la ragazza terminasse la frase, pur sapendo cosa voleva dire. Non riuscì a completarla, ma Theo l’aveva capita comunque. “Lo spettacolo va avanti, con o senza di noi”. Sorrise. Non lo stesso sorriso di prima, non un sorriso di scherno. Un sorriso sincero, di approvazione. «Sono d’accordo», disse semplicemente.
    Poi abbassò lo sguardo sul bicchiere di liquore, la BombardAlcolica che non aveva toccato. In compenso aveva svuotato tre quarti del bicchiere di Whisky Incendiario. Lo prese e ne bevve il resto del contenuto. Poi abbassò la manica della giacca nera che indossava, scoprendo il suo orologio di colore argentato. «Ho un appuntamento», disse, con espressione leggermente infastidita. Doveva andare al Parlamento per votare le solite proposte di legge. Alzò lo sguardo su Gamma. «Stare con te è stato illuminante, davvero», disse, alzandosi. Le porse la mano. «Se hai bisogno di aiuto per qualsiasi cosa, chiedi di Sinclair. Puoi chiedere al barista dei Tre Manici, lui mi conosce», disse sincero, riferendosi di Gendry, l’alto, calvo e smilzo barista del pub. Non sapeva se ella si sarebbe mai fidata di lui, ma le sue parole avevano fatto capire qualcosa a Theo. Poteva aiutare quelli che erano usciti più deboli dai Laboratori. Non avrebbe risanato nulla, ma almeno avrebbe dato l’illusione a Theo di essere più a posto. Di avere un minimo di coscienza. Solo l’illusione, certo. Tutto nella vita è un’illusione, anche la vita stessa. Tutto è morte camuffata da vita. «Auguri per la tua vita, Gamma».
    Poi si sarebbe voltato e se ne sarebbe andato, con lo stesso peso che aveva prima nel corpo che però era un po’ meno pressante. Pesante come prima, ma meno presente e pressante, perché non era il solo. Avrebbe tirato la maniglia della porta del pub e sarebbe uscito inoltrandosi tra la folla di Hogsmeade, facendo finta di essere come tutti gli altri.
    Ma ovviamente il destino non la fai mai facile.
    Infatti ora va nei Labirinti a crepare. #mainagioia
    ❝ La vita è terribile. È lei che ci governa, non noi che la governiamo ❞
    Purosangue 45 anni ribelle Durmstrang
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