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post quest #05, didi&hope

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    Maeve scosse il capo, cadendo in ginocchio vicino a Jason. Lo schiantesimo l’aveva colpito in pieno petto, sbalzandolo a qualche metro di distanza dove ricadde al suolo privo di sensi. «Ho cambiato idea» Ripetè per la seconda volta, alzando leggermente il tono di voce mentre scrollava Maddox. Non c’era nessuno a vederla, a giudicarla, ad osservarne i movimenti. Maeve poteva lasciarsi prendere dal panico, continuando a scuotere il Serpeverde. «Ti prego, ho cambiato idea, rimani te. Non lasciarmi qua» Si morse con forza il labbro inferiore, chinando il capo per sentire se il ragazzo stesse ancora respirando. Sentì il suo fiato solleticarle i fini capelli dorati dietro l’orecchio.
    Un secondo dopo, anche lui era sparito.
    Rimase seduta con le braccia abbandonate lungo i fianchi, lo sguardo a terra incapace di mettere a fuoco alcunchè. Le era parsa la soluzione migliore: aveva troppa paura per accettare di andarsene, e non voleva che Jason soffrisse, ma… ora che lui non c’era più, Maeve Winston non sapeva cosa fare. Quel silenzio l’assordava, perforando la carne e rimbalzando nelle pareti del suo organismo. Non c’era più niente in quel Labirinto? Cos’avrebbe fatto lì, da sola? Era stata troppo vigliacca, come sempre. Quanto avrebbe voluto essere un briciolo più coraggiosa, più forte, meno… Maeve. Si rimproverava per quel comportamento vittimista, dopotutto hai solo diciannove anni, ma non era mai abbastanza convincente neanche per sé stessa. Una scusa falsa per giustificare un comportamento altrettanto falso. L’ennesimo fallimento. Rise, da sola, lasciandosi scivolare a terra. Rimase qualche secondo coricata lì, dove poco prima era steso Jason, immobile. Pensava che sarebbe finito tutto quanto, se fosse rimasta lì. Semplicemente lì, dov’era, senza muovere un altro muscolo, attendendo qualunque cosa ci fosse alla fine. Avrebbe aspettato, chiudendo le palpebre su un cielo grigio, che quella Voce le dicesse qualcosa. L’aveva odiata, eppure sentiva la mancanza perfino di quel suono stridulo. Dakota. Deimos. Jason. Dakota. Deimos. Jason. Come aveva potuto permetterlo? Che persona era? Incrociò le braccia sopra i propri occhi, celandosi in un’oscurità che non avrebbe nascosto le ombre che la circondavano. Aveva abbandonato tutti, ed alla fine era stata abbandonata anche lei –persino da sé stessa. Era rimasta sola. Continuò a ridere, troppo stanca perfino per avere lo stimolo di dar sfogo a quel dolore, a quell’assenza, con un meritato pianto. Continuò a ridere, finchè anche quella risata non cessò, riempiendole di nuovo le orecchie di silenzio. Rivoleva Jason, perché l’aveva fatto andare via? Non erano amici, ma aveva bisogno di lui. Aveva bisogno di qualcuno, avrebbe accolto con un sorriso perfino James! Maeve Winston voleva fingere di essere indipendente, forte, di non aver necessità di nessuno al suo fianco. Maeve, da sola, non sapeva neanche come respirare. Volse appena il viso, lasciando scivolare il braccio sinistro lungo il fianco, osservando la porta vicino a sé. No, non voleva andare. Voleva rimanere nell’arena, o qualunque cosa fosse quel luogo, finchè qualcuno non fosse andata a prenderla. Non sarebbe andata, non l’avrebbero obbligata.
    O meglio, quello sarebbe stato il ragionamento sensato di una persona razionale. Ma Maeve, quel silenzio, non lo reggeva più. Se si fosse trattato anche solo del grattare dei propri piedi a terra, l’avrebbe accettato. Era troppo chiedere di andare a casa, fingendo che nulla fosse mai accaduto? Rivoleva la sua routine, la sua vita, i suoi amici, la sua famiglia. Voleva sapere come stava sua madre, dov’erano andati tutti quanti. Voleva sapere a cosa si riferissero parlando della Cura, perché li avessero rapiti. Lo voleva intensamente, ma non abbastanza da cancellare l’apatia che l’aveva colta. Intorpidita. Insensibile. Non abbastanza da illuminare gli occhi azzurri di quella scintilla di pura curiosità che credeva, sperava, mai avrebbe abbandonato lo sguardo ceruleo. Tutti però, prima o poi, raggiungevano un punto di rottura. Che ci si volesse credere o meno, arrivava. Si poteva fingere, ingannarsi che il materiale fosse sufficientemente resistente, ma quale lo era? Si alzò, cercando di non tremare. Strinse la bacchetta e la spada come una confortante coperta: non poteva permettere a nessuno, men che meno a Maeve Winston, di farsi uccidere arrivata fin lì, non con tutto quello che aveva sacrificato. Quello era il momento delle risposte, delle rivelazioni, quello in cui le raccontavano di come fossero tutti stati riportati a casa sani e salvi. Se ci fosse stata un’altra prova da superare, avrebbe affrontato anche quella. Dopotutto aveva ben poco altro da perdere: fra quelle mura, Maeve passo dopo passo aveva perso tutto. O forse, e dico forse, l’aveva ritrovato. Ci aveva provato ad essere la persona che Dakota Wayne vedeva in lei, ci aveva provato per così tante cose che il solo elencarle le stringeva il cuore. Voleva essere forte, e coraggiosa, e buona, ed altruista, ed avrebbe voluto più speranza. Più fede. Avrebbe voluto il sorriso di Dak e Deimos. Avrebbe voluto crederci un po’ di più. Ma avevano sempre avuto tutti ragione: Maeve era solo una ragazzina viziata, convinta di poter avere il mondo se solo avesse fatto formale richiesta. Senza sudore, lacrime, o sangue. Era sempre stato facile per lei essere Maeve Winston. Quando era diventato tutto così… estraneo? Come un costume appiccicato alla pelle dal quale non riusciva a liberarsi. Come se il solo pensiero bastasse a renderlo reale, si sfregò le braccia. Era ad un passo, doveva solo spalancare quella dannata porta. Socchiusa, attendeva solo lei.
    Codarda.
    Fu proprio per quello, che spinse.
    Si ritrovò in un’altra stanza, ed istintivamente –percependo appena il suono di altri passi- Maeve puntò la bacchetta contro… non era possibile. Indietreggiò, aggrottando le sopracciglia senza neanche preoccuparsi di celare la confusione. Non era possibile, lui era morto. «…Alex?» Sussurrò appena, probabilmente senza neanche essere udita da Italie, mentre qualcun altro entrava nella stanza. La bionda continuò a lanciare occhiate all’uomo di fianco a sé, il quale dal canto suo sembrava parecchio sconvolto –e solo per quello giustificò il fatto che non l’avesse riconosciuta-, ma la sua attenzione era ormai focalizzata sulla donna che, senza troppi complimenti, le strappò la bacchetta di mano. Guardò le proprie dita ormai vuote, e socchiudendo le labbra come a voler dire qualcosa «Fottiti bagasha» indietreggiò di un altro passo. L’applauso della Dottoressa, Maeve riusciva a sentirlo sulla pelle. Uno schiaffo, un altro, un altro ancora. Bruciava come una collisione vera e propria, eppure lei era rimasta lì. Non si erano neanche sfiorate. Studiò il suo viso, cercando di memorizzarlo nei dettagli, mentre un uomo entrava nel suo campo visivo. Chi erano? Ostacoli, o spiegazioni? Strinse i denti, senza mai abbassare lo sguardo. Uno sguardo che ormai, minuto dopo minuto, si faceva più freddo e distaccato, più razionale.
    Quello era il suo campo, i suoi perché. Donna da scrivania, ricordate? Il suo primo pensiero la ricondusse agli Estremisti, ma , per i motivi già citati, non avrebbe avuto alcun senso. C’era anche da dire che non avrebbe avuto alcun senso neanche se fossero stati Mangiamorte. Tacque, attendendo che fosse la donna a parlare per prima, mentre lentamente si portava più lontano da Italie. Quella famiglia, non era certo un segreto, non le era mai piaciuta. Ancora oggi odiava Lucas, in maniera viscerale e profonda, e lo zio aveva messo la Resistenza, se mi permettete il francesismo, nella merda. Era colpa di Alexander Italie, se quel dannato giorno si erano ritrovati sulle scogliere di Moher. Era stata colpa sua, se Maeve aveva dovuto scegliere. Strinse i pugni, non riuscendo più a comprendere chi fosse il nemico. Dio, non si era mai sentita così sola in vita sua. Un’altra occhiata di sottecchi, le palpebre strette per permetterle di guardare nel dettaglio. Era lui? Lo sembrava, ma…
    «Complimenti, siete i soggetti idonei per la Cura»
    La Winston rise, inclinando il capo verso l’alto. Rise di gusto, sinceramente divertita e per ovvi motivi portata all’isteria. Mancanza di caffeina, di cibo, di caffeina, e oh, vi ho detto che le avevano portato via tutti i suoi amici? Senza contare che quella situazione sarebbe stata incredibilmente divertente anche senza cause esterne. Soggetti idonei. Lei, Maeve Winston? Non era idonea neanche ad assaggiare la pasta per vedere se fosse cotta o meno, figurarsi per una Cura. A meno che la Cura non fosse un modo per dire: mangiare biscotti sorseggiando cioccolata calda, avvolta sotto le coperte e davanti ad un camino, con un buon libro stretto fra le mani. In quel caso, era la ragazza che faceva al caso loro. Nessuno si aggiunse alla risata, how rude, e Maeve dovette mordersi le labbra per non continuare a dar sfogo a quell’ilarità in solitudine. La cura. Dovevano essere proprio disperati.
    «Bisogna collaborare, altrimenti sarà la Fine per il mondo così come lo conosciamo.» Collaborare con… chi, di grazia? Uno di noi, uno di loro: cosa, Egregissima Signora? Guardò Italie con occhi curiosi e critici, ma subito riportò l’attenzione sulla donna che, intrepida, continuava un monologo priva di senso. «Non posso dirvi molto di più, ordini dall'Alto.»
    Ma. Era una specie di comica? Un trucco, per forza. Non poteva essere nient’altro, dato che non aveva detto loro nulla. Erano passati quanto, quattro giorni? Li avevano rapiti, abbandonati; li avevano fatti combattere, spingendoli al limite, e li avevano obbligati ad oltrepassarli; li avevano studiati, non dando loro neanche del cibo!, catalogati, numerati. Ed alla fine, nulla. Sentì le guance imporporarsi, mentre premeva con più forza le unghie nei palmi. Potevano obbligarla a combattere, prendersi gioco di lei dandole due Maeve II consecutive, ma non potevano privarla di risposte. Non a Maeve Winston. «Cosa dovrebbe significare?» Non domandò chi fossero, o cosa volessero da loro, dato che sembrava non avere importanza ai loro occhi. Voleva solamente sapere cosa, quel teatrino, dovesse rappresentare. Cosa, quelle parole, dovessero lasciare. Bagasha, sono bionda ma sono anche Corvonero: vedi di non prendermi per il culo. Ovviamente la ignorò, come se non avesse parlato. «Grazie per la collaborazione, avrete Nostre notizie al più presto. »
    Collaborazione. Mio Dio, Loro si che avevano senso dell’umorismo da vendere. Era l’unica a trovare esilarante quella situazione? Ah, Italie, dammela una soddisfazione. «Chi siamo? Noi siamo i Plagiatori. La vostra mente è la Nostra mente. O forse neanche esistiamo. Dentro quei fili, vi siete legati da soli; quei polsi, li avete stretti voi, chiedendoci solamente di prendere il comando. Siete deboli. Ma rimedieremo. Non siete eroi, non siete vincitori, siete solamente mezzi per raggiungere uno scopo. Salveremo il mondo, costi quel che costi, indipendentemente dal Sacrificio.» Ma come… diavolo… si… permetteva. Inspirò a fondo, gli occhi ridotti a due fessure, e non appena fu fuori dal controllo della Doc Maeve si diresse verso il luogo doveva aveva visto cadere la sua bacchetta, pronta all’offensiva.
    Peccato che della Dottoressa non ci fosse più traccia, così come del suo amico cinese. Il petto si alzava ed abbassava rapidamente, e con le gote rosse e gli occhi infiammati da quell’assenza di spiegazioni la Winston poteva realmente passare per una ragazzina capricciosa. «Dannazione» Sibilò, premendo la lama della spada contro il pavimento –inutilmente, non lo intaccò neanche. «Cosa ci fai tu qui?» Si voltò improvvisamente, carica di nuovi interrogativi, verso Alex. Ma c’era qualcosa, in quegli occhi… qualcosa di diverso, Maeve lo capiva, eppure non riusciva a comprendere. Erano entrambi distrutti, stanchi, spossati. Erano entrambi svuotati, e la Corvonero avrebbe dovuto avere forse un minimo di misericordia nei confronti dell’uomo. Ma si trattava pur sempre di Maeve Winston, ed il tatto non rientrava nelle sue qualità. C’era un’accusa, nel suo sguardo, ed al contempo una richiesta di perdono. Perché alla fine dei conti, non l’aveva salvato. Non aveva mosso un dito, neanche chiuso gli occhi, quando era morto. Non che sembrasse particolarmente morto in quel momento, ma era il pensiero che contava #wat. Sentì una voce, dapprima lontana e poi sempre più vicina, seguita da dei passi in corsa. Nuovamente impugnò la bacchetta verso quella che credeva una nuova minaccia. «Strade dipinte di scarlatto... I peccati dei genitori... Condanna vincitori trappole vuote CURA MALATTIA. La Fine non è vicina, è già qui. » I suoi pensieri corsero proprio al giorno in cui Alex era morto, alle parole di Karen Davis: il sangue degli innocenti vi guiderà lungo la via. La morte vi ha resi liberi, ma non sarà la sola. La verità verrà svelata: la guerra è solo l'inizio. Si lasciò sfuggire un mezzo singhiozzo, mentre per istinto allungava una mano verso quel ragazzino, ormai caduto a terra. Avvicinò le dita al suo volto, ma era troppo tardi. Era già morto. Era solo un bambino, per l’amor del cielo! Si portò i polpastrelli alle labbra, indietreggiando di un passo, e di un altro ancora. «Oh mio Dio» Sussurrò, incredula, mentre il battito del proprio cuore scandiva i secondi ritmicamente. «Succederà, di nuovo. Io… Credo che sia una profezia. Non è la prima volta che sento qualcosa del genere, ma era diverso» La voce si affievolì sul concludersi della frase, diventando poco più di un sussurro. Perché cose del genere dovevano sempre succedere quando c’era un Italie nei paraggi? Puntò i grandi occhi azzurri su Alexander, senza però guardarlo realmente. Stava pensando, stava cercando di capire, ma i tasselli continuavano a sfuggirle. Sentì la nuca pizzicare, ed automaticamente portò la mano a sfiorare la pelle delicata del collo. Sotto i polpastrelli sentì qualcosa che prima non c’era, ma non riusciva…
    Buio.

    Si alzò a sedere si scatto, poggiando i palmi contro il pavimento. Dov’era? Solo un attimo prima si trovava nella stanza scura insieme ad Alexander Italie, e… la profezia, la donna con il camice, il Labirinto. Dakota Deimos Jason. Si guardò attorno, rendendosi conto che non era da sola. Erano tutti lì? Non aveva tempo di accertarsene, doveva solo trovare… Perse un battito. Incespicò verso la chioma scarlatta, mentre un sorriso a cui non aveva voluto dar una possibilità, le incurvava le labbra. Si sentiva stanca in più di un senso, ma andava meglio. «Grifolagna» Disse semplicemente, prendendo il capo di lui per poggiarlo sulle proprie ginocchia. Gli accarezzò i capelli con aria distratta, osservando il luogo in cui si trovavano, mentre attendeva che si svegliasse. sapete mantenere un segreto?. Gli stronzi si prendevano anche gioco di loro. Sentì diverse voci, riconobbe nonostante la scarsa luminosità le foto che componevano la scritta, e capì. Vi ammonirei riguardo al parlare di noi e del Labirinto all'infuori di queste mura... Ma credo siate abbastanza intelligenti da arrivarci da soli. Non lasciamo tracce. Brillanti. Inspirò impaziente, scrollando delicatamente Dakota. Doveva andare, subito. Doveva approfittare di quel momento di lucidità in cui cercava di razionalizzare l’intera situazione, smontandola finchè non ne avesse compreso il meccanismo. Aveva bisogno di risposte, e le esigeva nell’immediato. «Dakota… mi dispiace tanto. Dillo anche a Jaz» Sussurrò quando vide le sue palpebre tremare nell’atto dello svegliarsi, prima di posare le labbra sulla sua fronte. Il suo bambino stava bene.
    Con il tempo, sarebbe stata bene anche lei.
    «Deimos… Oh, Hope» Era uscita dal padiglione, ed aveva incontrato i due ragazzi. Li aveva stretti, seppur brevemente, grata che stessero entrambi bene. «Ho bisogno di voi, dopo potremo parlare. Ora…» Si interruppe, gli occhi chiari fissi su un punto alle loro spalle. «Mamma?» Prima ancora di completare la parola, si era già diretta nella sua direzione. Si fiondò fra le sua braccia, assaporando il suo profumo ed affondando il viso nei suoi capelli rosso fragola. «Mamma, stai bene? Io devo andare, però dopo… Pensavo di averti persa. Di nuovo» Ammise, mordendosi il labbro inferiore per non scoppiare a piangere. Non aveva tempo per le lacrime: risposte. Risposte, o sarebbe impazzita. Sorrise, per quanto riuscisse ancora a permettersi, ed indietreggiò tornando da Hope e Deimos. «Entrata del Quartier Generale. Tenetevi forte» Porse loro un braccio, e con l’altro strinse la bacchetta.
    Risposte.
    20.09.2015
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    Edited by #epicWin - 31/10/2015, 02:09
     
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  2. #deimos
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    e4w10Wz
    « sheet - 18 - ex-ravenclaw ribelle - proprietario fiendfyre »
    Tutte le difese lanciate da Deimos funzionarono. E con tutte intendo quelle rivolte a se stesso e a Maeve. A quelle per gli altri ci fece poco caso, gl’importava di più di Maeve e di se stesso. Se poi anche gli altri erano stati ben difesi, allora mille volte meglio. Tutti gli attacchi che furono lanciati contro la donna le furono fatali. La granata di Deimos scoppiò e, esplodendo, mise completamente fine alla vita della donna. Ed essa era sparita in una nube di polvere.
    Deimos riusciva ormai a percepire solo in suo respiro e quello di Maeve e degli altri.
    Silenzio.
    Ma la voce stridula interruppe di nuovo quel silenzio innaturale. Non poteva esserci silenzio dentro il Labirinto. E quella Voce non era venuta ad annunciare la fine dei giochi.
    “ I seguenti soggetti non sono stati ritenuti idonei per la Cura”. Scosse la testa. Se lo aspettava. Quella che avevano fatto era stata solo la prima parte. “Gli elementi difettosi dovranno essere eliminati”. Iniziò a tremare. Stavolta aveva sinceramente paura di venire eliminato. Chissà cosa gli sarebbe successo. “Prova Alfa: Deimos Campbell, numero identificativo: 05”. Le paure divennero realtà. Rivolse subito lo sguardo a Maeve. Non fu uno sguardo terrorizzato, ma deciso. Tuttavia, la voce gli uscì tremante. «A te non eliminano», le disse convinto. E intanto la conta continuava: “Arwen Undòmiel, numero identificativo: 02”. La Undòmiel non lo meritava. Maeve meno di lei. Maeve non sarebbe stata eliminata. “James Larrington, numero identificativo: 16”, continuò freddamente la voce. «Spacca culi. Vinci. Tanto io ci sono. Pensa che ti aiuto anche se sembrerà che non ci sono». “Ray Kingsley, numero identificativo: 08”.
    Dopodiché sentì un forte mal di testa e non riuscì a vedere nulla. Perse i sensi, nel senso che non sentiva nemmeno se era in piedi.
    E infine il buio.

    Non appena si risvegliò, si sentiva intorpidito. Come se avesse dormito troppo poco quando invece avrebbe dovuto dormire molto più a lungo. Non vi capita mai? Tipo andate a dormire alle 4 dicendo che vi sveglierete alle 12, ma in realtà vi svegliate alle sei perché dovete andare in bagno a fare la pipì? Mai successo? Meglio per voi. Deimos, insomma, si sentiva così.
    Iddio ragazzi. M’è venuto un dubbio. Cavolo. Ma i nostri pg… durante le notti al fiume si lavano e curavano e parlavano… ma in bagno non andavano. Ma che esseri siamo. Si sono tenuti per sé la pipì? Ma poveri. Boh, io nel dubbio non ce lo mando neanche adesso.
    Si mise a sedere guardandosi attorno. Gli ci volle qualche secondo per capire che si trovava insieme ad altre persone, molte delle quali le conosceva. Li aveva visti anche nel Labirinto, su quella specie di schermi nel primo giorno. Ma certo. Erano tutti sopravvissuti. Eliminati, e quindi usciti dal Labirinto.
    La prima cosa che fece fu cercare Maeve, ma non la trovò. Nonostanbte il senso di angoscia che lo attanagliò – dov’era finita?, non era stata eliminata, quindi cosa le avevano fatto? – continuò a cercare i suoi conoscenti. Non trovò Shane, e nemmeno Hope. Decise allora di cercare Sharyn, Dakota e Clarisse, ma si scoraggiò nel non trovare Dakota. Come diamine era possibile? L’angoscia stava salendo sempre di più. Forse già era uscito da quel… si guardò attorno, magazzino? E forse pure gli altri. Però voltandosi vide Clarisse. Si lanciò subito verso di lei, prendendola per le spalle. «Clarisse, Clarisse?», la chiamò. La abbracciò non appena lei riuscì ad aprire gli occhi. Da dietro le spalle di Clarisse vide Sharyn. «Arrivo subito. Sono contento che stai bene, io… arrivo subito, va bene?». Si avvicinò frettolosamente alla Howl e le toccò delicatamente una spalla, scuotendola. Non si svegliò. S’impose di restare calmo, e quindi la prese per entrmabe le spalle, sollevandola a sedere. «Sharyn? Sharyn? Mi senti? Shar!». Lei mugolò qualcosa, al che Deimos sorrise di gioia. Non era morta. Merlino, ma come aveva potuto solo pensarlo. La abbracciò subito con forza, stringendola. «Shar, mi hai fatto spaventare!», le disse. Si era apopena svegliata, quindi decise di non allarmarla subito e di confortarla: «Siamo fuori dal Labirinto. Stiamo bene, ok? Ora dobbiamo solo pensare di uscire, va bene?». Lei annuì. Didi sorrise, affettuoso, dandole un bacio sulla guancia, senza provare nessun tipo di vergogna, non come quella che aveva provato con Sheridan quando la baciò. Sharyn mormorò che doveva andare a cercare qualcuno, quindi Deimos la lasciò andare, decidendo di uscire da quel magazzino, dopo aver visto che anche Clarisse era andata via.
    Ma prima di uscire notò uquelle foto. Si avvicinò, riconoscendo i suoi amic i in luoghi impensabili e se stesso in un posto a fare volontariato. L’insieme della foto formava una frase ammonitoria. Sapete mantenere un segreto? Dannazione. Per il resto del mondo loro non erano mai stati nel Labirinto. Il Labirinto, quindi, non potyeva essere esistito. Dannazione. Decise di uscire.
    Non appena uscì dall’edificio, vide Maeve. Viva. La strinse tra le sue braccia per un fugace momento, rivolgendo solo un cenno di saluto a Wynne, madre di Maeve, per poi rivolgere un sorriso a Hope e stringerle le braccia. «Ho avuto paura per te e Shane…». Dicendo quell’ultimo nome si rabbuiò. «No, ma…», fu però interrotto da Maeve che si avvicinò dicendo “Entrata del Quartier Generale. Tenetevi forte” e porgendo loro un braccio. Deimos, senza esitare, stringe il suo braccio, e altrettanto fece Hope.
    Quello che seguì fu solo qualcosa simile a un qualcosa che striscia dentro lo stomaco, un secondo – ma anche meno – di buio e una sensazione di vuoto. E all’improvviso si ritrovarono di fronte a una costruzione anonima in mattoni a più piani. Il Quartier Generale della Resistenza. Entrarono subito e superarono la Segreteria, poi salirono le scale che conducevano ai piani più alti. Giunsero all’ultimo piano, dove si trovava l’anmpia sala circolare, la Sala del Consiglio. Si fermarono. Didi si torturò le mani, incapace di tenere per sé quel dubbio: «Neanche voi due avete visto Shane? O Dakota?», chiese, deglutendo.
    Deimos Campbell
    In un’anima piena entra tutto e in un’anima vuota non entra nulla

    psìche, non copiare.
     
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    Hope Mills
    I couldn't get you out of my head if I wanted to.
    17 anni -Purosangue - TASSOROSSO - Caposcuola - RIBELLE


    Erano loro due, da soli, nell'arena, abbracciati con Hope decisa a sacrificarsi per lui, mai e poi mai avrebbe puntato la bacchetta contro il ragazzo. Neanche il suo tentativo di farsi del male era andata a buon fine, ovviamente, come poteva davvero credere che la sua bacchetta potesse mai andargli contro. In alcuni casi era successo, ma sapeva che con Shane il discorso era diverso. Lo aveva abbracciato e pianto, per poi chiudere gli occhi e perdere completamente i sensi. Era morta? Sperava di no, visto che dove si trovava in quel momento era davvero scomodo, e aveva una puzza insopportabile, sperava che almeno l'aldilà fosse migliore del mondo reale. Non aveva il coraggio di aprire gli occhi, se fosse stata ancora nel labirinto cosa avrebbe fatto?Rischiava di uscirne matta. Udì delle voci, erano in molti in quel posto, forse erano fuori dal labirinto. Dovette quindi cedere e aprì gli occhi, notando immediatamente Shane, erano ancora mano nella mano. Gli sorrise e lo abbracciò di nuovo Shane... quasi pianse, ma lui la rassicurò, dicendo che era finito tutto; lo sperava davvero era stanca e distrutta, non solo fisicamente, ma anche mentalmente. Intorno vide gli altri partecipanti di quel folle gioco, come Maeve, Deimos ma anche James, Erin. Insomma la coppia era tornata insieme. Per fortuna non erano così vicini, forse non si era reso conto di lei, magari anche nel vederla non l'avrebbe considerata, lo sperava davvero, anche non aveva voglia di farsi offendere gratuitamente.
    Si staccò da Shane, voleva andarsene da lì, immediatamente, come il ragazzo, ma fu distratta dal muro, notò alcune foto, erano alibi?Avevano pensato davvero a tutto. Cosa c'era dietro a tutto ciò? Odiava non sapere, avrebbe indagato, ma non sapeva neanche da dove iniziare, non era arrivata alla fine,e sopratutto chi era giunto al termine di quel gioco? Erano tutti lì o quasi. Shane guar... disse cercando di indicargli appunto il muro ma il ragazzo non sembrava averne voglia, tanto che quando si voltò questo le parlò sopra Ho bisogno di prendere aria. Non riesco a stare qua dentro e poi...non voglio parlarci. seguì lo sguardo, vide Dakota. Era ancora ferito, chissà se avrebbe mai imparato a capire gli altri, specialmente i sentimenti che spingevano le persone ad agire in modi diversi dai suoi, Molte volte si era lamentato con lei, sul fatto che la bionda facesse quello che faceva. “A volte Hope proprio non ti capisco” diceva. Sospirò e lo lasciò andare. Ti aspetto fuori..
    La bionda annuì, se solo avesse saputo che era l'ultima volta, non lo avrebbe mai permesso. Tornò a fissare il muro, guardando tutte quelle finte coperture; dovevano mantenere il segreto. Avevano pensato davvero a tutto. Chissà chi erano e cosa volevano da loro. Doveva assolutamente tornare al quartier generale, e magari provare ad indagare con Maeve , ma anche Arwen e Deimos, insomma erano tutti ribelli e avevano avuto la stessa esperienza, abili o meno tra di loro potevano parlare senza passare per pazzi e avrebbe cercato di capirne di più. Ma prima doveva prendere Shane e uscire da quell'incubo, fece per uscire e incontrò Maeve, era preoccupata ma sicura allo stesso tempo, lei sapeva qualcosa e sembrava voler approfondire.
    «Deimos… Oh, Hope» l'abbracciò, per poi vedere anche Deimos, non aveva notato di averlo alle spalle. . «Ho bisogno di voi, dopo potremo parlare. Ora…» ok la ragazza aveva qualcosa da dire, che fosse arrivata a capire chi ci fosse dietro a tutto quello? Vide una luce in fondo al tunnel, magari avrebbero iniziato una qualche ricerca e trovato finalmente chi e cosa volevano quegli esseri, che li avevano messi li a morire quasi. Poi la vide fermarsi e perdersi a parlare con la madre? Ohh che carine. Sorrise per la scena, poi guardò fuori, alla ricerca di Shane. Ma dove era finito? Se ne era andato? Senza di lei! Lo avrebbe rimproverato non appena lo avesse beccato. Sapeva che stare lì era quasi impossibile, anche a lei le mancava l'aria ma poteva aspettarla davvero. Sbuffò. Poi tornò a guardare la bionda che lasciò la madre per dirigersi con lei e Deimos verso il quartier generale. Durante il viaggio non era tranquilla, non aver visto Shane poco prima di andare via le aveva messo ansia. Aveva molti difetti, il ragazzo, ma non quello di abbandonarla senza motivo. Ok forse in passato era andato in missione col rischio di non tornare senza dirle niente; ma dai, l'aveva aspettata sempre e lei era sempre in ritardo.
    «Entrata del Quartier Generale. Tenetevi forte» esortì Winston e porse il braccio, così da farli entrare. Sospirò, aveva davvero molta ansia, non era tranquilla, per niente e si sarebbe calmata solo dopo aver rivisto Shane. Ma non sembrava la sola a pensarci, tanto che Deimos , preoccupato «Neanche voi due avete visto Shane? O Dakota?» ci mancava lui a farle crescere l'agitazione. Ho visto Shane prima di uscire da quel posto e penso di aver intravisto Dakota con Jason disse, anche se non era sicura, insomma aveva altro per la testa. Ma alla fine dovette concentrarsi su Maeve, sembrava dover dire qualcosa di molto importante. Ok, Maeve cosa devi dirci? chiese mettendosi seduta, qualcosa le diceva che era meglio .

    16 Settembre (?)
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    Scusate il post fa schifo ed è corto, ma devo ancora riprendermi dalla quest...sono vuota.
     
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    It's time to forget about the past To wash away what happened
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    Il familiare strappo della smaterializzazione, in quei giorni che al solo pensiero riuscivano a dilatarsi e comprimersi al tempo stesso (un anno o un’ora?), le era mancato. Quando riaprì gli occhi con un vago sorriso stanco sulle labbra sottili, davanti ai suoi occhi si ergeva il Quartier Generale della Resistenza 2.0. Da quando l’anno prima i Mangiamorte li avevano scoperti, avevano dovuto riadattarsi, spostando il salvabile e cercando di ricostruire, lentamente, ciò che avevano perso. Sospirò lasciando sia Deimos che Hope, passandosi nervosamente le mani fra i fini capelli chiari. Entrò, percependo ancora quel fastidioso senso di impotenza avvertito nella stanza insieme ad Alexander Italie. Aveva le idee troppo confuse, ed i pensieri si incastravano ed annodavano fra loro impedendole di giungere al quadro completo. Sperava che lì, luogo a cui aveva scelto di dedicare la sua vita, ci fossero le risposte. Non sapeva neanche con esattezza cosa cercare, ma … aveva bisogno di fare qualcosa, fosse anche solo sfogliare pergamene finchè gli occhi non avessero cominciato ad incrociarsi. Doveva poter credere di aver provato ogni strada, prima di arrendersi all’evidenza: nessuno aveva le risposte. Eppure, Maeve Winston si sentiva in obbligo di provarci, e se necessario a costruirsele, quelle soluzioni. Qualcuno avrebbe pur dovuto cominciare a mettere un punto a quegli interrogativi, e perché non avrebbe dovuto essere proprio lei? Dopotutto, era la Cura.
    Qualunque cosa significasse.
    Salirono al piano superiore, e la bionda trattenne il respiro finchè tutti e tre non si trovarono alla Sala del consiglio. Lasciò vagare lo sguardo su quel panorama d’indicibile tristezza: si respiravano decisioni, lì dentro; si respiravano tutti i sussurri ed i sorrisi tirati di chi sapeva star per cambiare il mondo, e non sempre nel modo migliore. Lasciò uscire il fiato lentamente, cercando di ricomporsi. Li aveva trascinati lì in fretta e furia, senza l’accenno di una spiegazione, ed ora non sapeva da che parte cominciare. Guardò Hope mentre prendeva posto su una delle numerose sedie vuote attorno al tavolo circolare, mentre lei continuava a camminare avanti e indietro, incapace di fermarsi. «Neanche voi due avete visto Shane? O Dakota?» Alzò gli occhi su Deimos, e non ebbe bisogno di incrociare il suo sguardo per rendersi conto di quanto, quella domanda, gli fosse costata. Forse temeva la risposta? Posò le mani sulle sue, separandole in modo che smettesse di torturarle fra loro, rivolgendogli un cenno affermativo mentre anche la voce della Mills si faceva strada chiarendo il suo dubbio. «Dakota sta bene, Shane non l’ho visto ma… è Shane» Si limitò a rispondere, stringendosi nelle spalle. Shane doveva stare bene, non poteva essere altrimenti. Era un ragazzo brillante, se la cavava sempre. Probabilmente era solo andato a prendere la colazione per Hope, e Maeve gli aveva portata via la Tassorosso da sotto il naso. Ops, te la riporto presto. «Ok, Maeve cosa devi dirci?» Congiunse le mani sopra il proprio naso, continuando a camminare avanti e indietro. Non aveva una meta, un obiettivo specifico; doveva solo fare in modo che quello snervante senso di inettitudine la lasciasse quietare, permettendole di capire. Si inumidì le labbra, fermandosi al centro della stanza con le braccia incrociate. «Dobbiamo cercare delle risposte. Siete due ricercatori, quindi sapete dove mettere le mani in tutti questi fogli, e…» Alzò infine gli occhi azzurri su di loro, squadrando prima Deimos e poi Hope Mills. Si fidava di loro, davvero, eppure non riusciva a dirlo. Era così surreale anche solo pensare che lei, proprio lei, fosse utile a qualcosa, che non poteva prenderne piena consapevolezza. Ne era terrorizzata, Maeve, abbastanza da tacere il dettaglio riguardo alla sua idoneità. Hope non poteva sapere che lei era rimasta, e Deimos dubitava avesse parlato con Jason scoprendo la verità. Così volse loro un’altra domanda, che continuava a tormentarla in cerca dell’ennesima risposta che sapeva non sarebbe arrivata. «Alexander Italie… Dobbiamo cercare informazioni su di lui. Vi ricordate l’esecuzione?» Un brivido la scosse da capo a piedi, ma cercò di nasconderlo cominciando a frugare sugli scaffali in cerca di qualche scatola contenente dati riguardo quel lontano giorno ad High Street. La segretaria, Idem, aveva cercato di salvare quanta più roba possibile dall’esplosione… ma gran parte dei fascicoli erano andati perduti. Maeve però era stata presente, aveva visto Alex morire. Com’era possibile? «Io credo di averlo visto, nel Labirinto. So che sembra impossibile, ma se è davvero lui… Il libro. Potremmo sistemare le cose, aggiustare Ethienne, Will, Elizabeth» Le voce si affievolì, mentre dava le spalle ai due ragazzi con le mani immerse fra il materiale raccolto dalla Resistenza. Era così sottile, che nemmeno lei che aveva tirato fuori l’argomento riusciva ad aggrapparsi a quella speranza. Troppo sottile, per mani come le loro che continuavano a tremare. Scosse il capo, cercando di riordinare i pensieri. Sarebbe stata utile una lavagnetta, o una bacheca. Forse avrebbe potuto recuperarne una, ma come avrebbe spiegato tutte quelle informazioni ai due? Doveva dirglielo, semplicemente. Era l’unica alternativa se voleva venire a capo di quell’enigma, sempre che fosse possibile. «Per quanto riguarda il Labirinto, dobbiamo scoprire chi c'è dietro, e cosa vogliono. Si fanno chiamare Plagiatori, lavorano con gli Esperimenti» Si massaggiò la fronte, lasciando ricadere i fogli e voltandosi, le mani sui fianchi, verso i due ribelli. «Non so molto altro. Magari nel corso degli anni sono già comparsi, anche se con nomi diversi... o forse no, in quel caso dobbiamo essere noi a documentare. Siete con me?» Domandò, incredibilmente seria.
    Non che gli avesse lasciato molta scelta, trascinandoli con lei: Maeve more like Hitler.
    20.09.2015
    rebel's library

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  5. #deimos
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    e4w10Wz
    « sheet - 18 - ex-ravenclaw ribelle - proprietario fiendfyre »
    “Ho visto Shane prima di uscire da quel posto e penso di aver intravisto Dakota con Jason”. Deimos alzò gli occhi al cielo e ringraziò Merlino e tutti gli altri maghi di tutti secoli. Se Hope ne era anche un poco sicura, allora Deimos si sentiva rassicurato. L'agitazione diminuì. Maeve annuì alle parole di Hope e poggiò le proprie mani su quelle del migliore amico, separandole fra loro e impedendo loro di tormentarsi. “Dakota sta bene, Shane non l’ho visto ma... è Shane”, confermò.
    Deimos lanciò uno sguardo furtivo a Hope, vergognandosi poi di averlo solo pensato. E vi giuro, anche per me è imbarazzante dirlo, tuttavia devo dirlo. Deimos avrebbe voluto abbracciare Maeve. Sapeva che avrebbe aiutato lei, abbracciandola. Ma sapeva anche che avrebbe aiutato se stesso quell'abbraccio. Perché con Maeve tutto sembrava più semplice. Senza di lei, il mondo perdeva un bel po' di colore. Tuttavia si vergognava. Non voleva farlo davanti a Hope. Era un gesto da bambini delle elementari, suvvia! E poi lui era un dannato maggiorenne, diplomato e vaccinato. Non poteva abbracciarla, nonostante la situazione lo richiedesse.
    “Ok, Maeve cosa devi dirci?”. Giusto. Hope si sedette, prospettando il peggio. Maeve lasciò andare le mani di Deimos. Deimos ricongiunse le mani dietro la schiena, appoggiandosi sul muro della Sala del Consiglio. Se li aveva trascinati fin lì un motivo ci doveva essere. E anche un motivo piuttosto importante, data la fretta. Non aveva neppure potuto trattenersi quanto voleva con sua madre Wynne, anche lei vittima del Labirinto.
    Maeve congiunse le mani sopra il naso, raccogliendo le idee. Camminò avanti e indietro. Deimos capì che non doveva dire loro qualcosa. Doveva chiedere qualcosa. Solo che non sapeva cosa. Aveva bisogno di capire qualcosa, tuttavia non sapeva come capire quella cosa. Si fermò in quello snervante andirivieni. “Dobbiamo cercare delle risposte. Siete due ricercatori, quindi sapete dove mettere le mani in tutti questi fogli, e...”. Ecco, capito tutto. Lei chiedeva, loro capivano. Ammesso ci fosse qualcosa da capire.
    “Alexander Italie... Dobbiamo cercare informazioni su di lui. Vi ricordate l’esecuzione?”. Deimos inarcò un sopracciglio, annuendo. Ricordandosi di come sua sorella Ilary l'avesse barbaramente torturato e di come ancor più barbaramente l'avesse ucciso la sia futura sposa di cui non ricordava il nome. Un nome strano, forse Alida. Una Firefly, se non ricordava male. Un mostro, per come aveva ucciso il suo compagno di vita e suo futuro marito. Ma cosa c'entrava Alexander Italie, il martire della Resistenza, con tutto ciò? “Io credo di averlo visto, nel Labirinto. So che sembra impossibile, ma se è davvero lui... Il libro. Potremmo sistemare le cose, aggiustare Ethienne, Will, Elizabeth”. Deimos sorrise amaramente, perché già sapeva l'amara verità.
    “Per quanto riguarda il Labirinto, dobbiamo scoprire chi c'è dietro, e cosa vogliono. Si fanno chiamare Plagiatori, lavorano con gli Esperimenti”. Deimos incrociò le braccia al petto, fissando Maeve. Ecco. Di questa domanda non sapeva la risposta. Lo irritava non sapere da dove iniziare. “Non so molto altro. Magari nel corso degli anni sono già comparsi, anche se con nomi diversi... o forse no, in quel caso dobbiamo essere noi a documentare”. A Deimos e Hope serviva almeno un dato certo, su quei Plagiatori. Un dato che non fosse camuffato come lo era stato il loro essere stati nel Labirinto.
    “Siete con me?”.
    Deimos abbassò lo sguardo. «All'ultima domanda mi sembra inutile, rispondere, corvetta». La guardò. Nonostante l'avesse chiamata con quell'epiteto affettuoso, tuttavia non le sorrise. La sua espressione era seria come lo era quella di Maeve. «Alla prima domanda ti rispondo subito. Alexander non è risorto. Quello che hai visto era un Fotocineta. Aloysius Crane. L'ho conosciuto nel bosco dell'Aetas. Niente Alexander, niente libro, niente cura per Will, Eth, Liz. Tuttavia un giorno li cureremo o si cureranno da soli. Altrimenti nulla avrebbe senso. Fidati». Parlava in tono pragmatico, come se stesse sbrigando degli affari come lo faceva un avvocato, ma in realtà ci credeva in quello che diceva. Era solo assorto nei suoi pensieri, ma sapeva benissimo quanto quelle parole l'avrebbero ferita, distruggendo le sue speranze di rivedere i leader della Resistenza di una volta. La seconda risposta tardò ad arrivare. Perché lui non sapeva da dove cominciare. Non sapeva nulla, riguardo i Plagiatori. «Dobbiamo sapere almeno qual era il loro obiettivo. Dobbiamo sapere almeno a cosa servivamo noi a loro. Dobbiamo sapere almeno una, una sola cosa certa. Anche una cosa esile. Da lì partiremo per fare ricerche». Fece una pausa.
    Alzò lo sguardo. Neanche si era accorto di averlo abbassato, non si era accorto di aver camminato avanti e indietro, come prima aveva fatto Maeve. Ritornò ad appoggiarsi sul muro, grattandosi sotto il mento, dove si vedeva un po' di barba incolta, barba che lui era solito radere ancora prima che crescesse. Guardò Hope. «E tu che ne pensi?», le chiese, come collega Ricercatore. Poi chiese ad entrambe: «E siete sicura di non sapere cosa i Plagiatori volessero, esattamente?».
    Deimos Campbell
    In un’anima piena entra tutto e in un’anima vuota non entra nulla

    psìche, non copiare.


    Scusate il ritardo e il post, entrambi schifosissimi çwç
     
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4 replies since 31/10/2015, 01:53   313 views
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