But do you feel like a young God?

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    Cosa c'era di tanto interessante in quel soffitto bianco, poi. Ovviamente niente di niente. Ma era lì che aveva deciso di appendere i suoi pensieri, che ora seguiva con lo sguardo come in una sfilata degli orrori. Ricordi, istanti, particolari che dovevano essere dimenticati. Ritrovarsi a pensare di pensare troppo. E sapere che Morfeo non sarebbe mai arrivato a darle una mano. La Serpeverde si rigirò nel letto nel quale dormiva da soli quattro giorni ma che ormai le sembrava il suo giaciglio di sempre, se certo non fosse stato per il profumo di Andrew. Andrew, guai a chiamarlo così, era proprio lui che le impediva di dormire. O meglio, una serie di sue azioni passate. La sua presenza nella vita della Montgomery. Perché in realtà in quel momento, Stiles, fastidio non le stava dando per niente, fisicamente parlando: dormiva sul divano, nel salotto accanto. Se Karma rimaneva immobile, le orecchie ben tese, poteva giurare di sentire il suo respiro, lento e regolare. Sicuramente si era già addormentato, sicuramente lui non si stava torturando chiedendosi perché. Perché Karma si ostinava a tenere alto quel muro? Perché non riuscivano a parlare di ciò che stava succedendo come due persone normali? Perché ormai era chiaro, qualcosa stava succedendo. Ma Stiles e Karma non erano due persone normali, anzi. Erano l'uno l'opposto dell'altra, ognuno la quintessenza di sé stesso, se può avere un senso. E di parlare...non se ne parlava. Eppure la Montgomery ne sentiva la necessità. Forse per metterlo in imbarazzo, forse per assicurarsi che quello che sentiva lo sentisse davvero, come un pizzicotto durante un sogno. E a proposito di sogni. Ogni sera si riprometteva che, da un momento all'altro, si sarebbe alzata dal letto e, lentamente, cercando di pestare il minor numero di fumetti possibile e di non rovinare a terra, sarebbe andata da lui, quantomeno per dirgli che non riusciva a dormire. Una cosa stupida, banale, ma che poteva in un qualche modo, se presa da chi la conosceva, ricordare un qualcosa di malizioso, così da mantenere le apparenze, ma attaccare bottone. E ogni sera, alla fine, preferiva pensare finché non scivolava in un sonno profondo poco prima dell'alba e sognare per un paio d'ore di correre per interminabili corridoi, aprire interminabili porte, scappare da qualcosa che non si vedeva. Ma c'era. Come quella sua sensazione nello stomaco: no, non erano le tanto famose farfalle di cui tutti parlavano, ma una morsa fastidiosa, che rasentava quasi il dolore. Paura. E rendersi conto che ne stesse provando le dava soltanto più certezze su quello che le stava succedendo dentro. Ricordò quella lezione di strategia nella quale tutti avevano potuto conoscere il suo più grande timore: innamorarsi. E ora, incredibile a dirlo, si ritrovava ancora una volta a doverci lottare contro, ma non in una simulazione. Quella era la vita vera, non poteva semplicemente chiedere al professore di turno di fermare tutto e cavarsela con uno Scadente. Quella era la vita vera e non poteva farci niente se la ragazza che vedeva allo specchio non era più quella che poteva vedere soltanto un anno prima. Ci avrebbe fatto l'abitudine. Si sarebbe rassegnata. Oppure avrebbe sotterrato il tutto sotto una buona dose di freddezza e battute acide.Stranamente, non ricordava la reazione di Stilinski alla sua paura, ma poteva figurarsela con tutta facilità: un sopracciglio alzato, un sorriso sbilenco pregno d'ironia ed una battuta sussurrata al vicino, che fosse Brian o Shane o Nicole. Già, Nicole. Nicole che aveva visto in centro solo qualche ora prima. Nicole che, con grande evidenza, le lasciava intendere che lei non sarebbe mai stata la persona indicata per Stiles. Nicole, che Karma nonostante tutti i "E' solo la mia migliore amica", continuava a vedere segretamente come una minaccia. Talmente in segreto che nemmeno Karma stessa se ne rendeva conto, confondendo il suo odio nei confronti della Corvonero per semplice astio irragionevole, cosa che comunque le capitava di provare per diverse persone. Karma si rigirò nel letto ancora una volta, portandosi le lenzuola fin sopra al naso, abbracciando il cuscino e chiudendo gli occhi. Inspirando a pieni polmoni un profumo che non era il suo. Ma era il suo preferito. Poteva immaginarselo, le braccia dietro al collo o penzoloni lungo i fianchi del divano, le palpebre chiuse e la bocca semi aperta, la perfezione del suo viso messa ancora più in rilievo perché illuminato da un solo fascio di luce notturno. La luna sulle guance, la punta del suo naso, le sue labbra. Le sue labbra. Le labbra che Karma aveva già potuto toccare, ma in che modo? Sotto uno stupido incantesimo. Era forse quella l'intenzione iniziale del Tassorosso? Farla cadere fra le sue braccia. Sarebbe stato tanto più semplice chiederlo e basta perché, in una qualche maniera, Karma era già sotto incantesimo. Fu allora, ricordando la frustrazione e confusione provate nello spogliatoio maschile del campo da Quidditch, che decise che quell'immagine, Andrew addormentato, poteva vederla immediatamente e con i propri occhi, per poi svegliarlo e chiedergli perché. Perché non l'aiutava ad abbattere quel muro, perché non potevano parlare come due persone normali. E sì, certo, lo avrebbe fatto a modo suo. Si alzò lentamente posando a terra con cautela prima un piede e poi l'altro. Non pestò alcun fumetto perché Stiles, ore prima, doveva essersi ricordato di metterli sulla scrivania. E lei entrando in stanza non se n'era nemmeno accorta. Una volta giunta alla soglia della camera, poteva già vederlo, sdraiato, le palpebre chiuse, proprio come si era figurata. Misurando i passi raggiunse il divano, sedendosi poi ai suoi piedi, all'altezza del viso del Tassorosso. Ricordava un po' una fiaba all'incontrario, quella situazione. Una fiaba strana ed imbarazzante, che Karma non si sarebbe mai sognata di leggere ad un bambino. Osservò a lungo le sue labbra, prima di avere il coraggio di dire qualsiasi cosa. Non voleva svegliarlo, certo che no, ma ormai aveva preso il coraggio e non poteva semplicemente tornare sui suoi passi e cercare di addormentarsi. Perché aveva la sensazione che se avesse tentato di farlo non si sarebbe riaddormentata mai più. Stiles... sussurrò quindi, forse più per il piacere di pronunciare il suo nome che per svegliare il ragazzo.
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    Scusami se è un po' cortino, il prossimo giuro che lo faccio più lungo <3
     
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    Quello non era un tornare a casa dalle vacanze, quello era un tornare a casa e basta. Andrew Stilinski, PerfavorechiamatemiStiles, non avrebbe più messo piede ad Hogwarts. Si era diplomato, entrando ufficialmente a far parte del mondo degli adulti. Lui, che neanche aveva i denti del giudizio. Lui, che neanche sapeva ancora quale fosse il suo posto nella vita. Una domanda che non si era neanche mai posto, lasciandosi trascinare dagli altri – gli amici, le situazioni, quella nuova ed assurda famiglia. Non aveva mai avuto bisogno di sapere chi fosse, perché andiamo, a chi interessava?
    Eppure c’erano persone che avevano bisogno di saperlo. E Stiles, Andrew Stilinski, non sapeva come rispondere all’interrogativo nei loro occhi. In effetti, ed era alquanto ironico, non si era mai considerato propriamente come una persona. Obiettivi? Se non si mettevano nel latte a colazione, erano un concetto troppo alieno per il Tassorosso. Ex, Tassorosso. Quando aveva incontrato Jay e Xav, non aveva pensato neanche per una frazione di secondo che non fosse possibile, che cose del genere accadessero solo nei film. Aveva dato per scontato che, in qualche modo, avessero un legame. Era implicito, anche se mai apertamente affermato o smentito da Stilinski Senior (o meglio, lui ci aveva provato, ma Stiles aveva sempre cambiato argomento) che fossero fratelli. Aveva dato per scontato che sarebbero semplicemente entrati a far parte della sua vita, come aveva dato per certa l’amicizia con Jack, o con Dakota, o l’adozione di Sticazzi con Isaac. C’erano e basta; non dico che fossero programmati, sarebbe alquanto superficiale, ma… non era mai stato un dubbio.
    Poi era arrivata Karma Montgomery. Lei rappresentava un’incognita nella vita dei Tassorosso, qualcosa di inaspettato. Lei era tutto ciò che Stiles non si era neanche mai immaginato potesse esistere. La prima volta che le aveva rivolto parola, era stato per errore. Incontri e scontri imbarazzanti, anni di punzecchiate (ossia prese per il culo belle e buone, con Stiles ad incassare silenziosamente ogni frecciatina), e poi… e poi. E poi non lo sapeva. Qualcosa era cambiato. Il modo in cui lui la guardava di sottecchi, rendendosi conto di quanto fosse assurdo averla nella propria vita. In quale universo una ragazza come Karma Montgomery rivolgeva parola ad un ragazzo come Andrew Stilinski? Ed era così… Complicata. Da descrivere, da capire, da vivere sulla propria pelle. Vedeva la serpeverde dagli occhi freddi ed il sorriso sghembo, e gli appariva come un qualcosa di troppo distante, irreale. Come se facessero parte di due mondi completamente diversi, lei e lui; come se il loro ossigeno fosse diverso. Poi vedeva il resto: come la luce si riflettesse sulla pelle candida di lei, dando vita alla ceramica; come lo le ciglia accarezzassero le guance ogni volta che abbassava lo sguardo, o come le labbra si stringessero attorno all’ennesima sigaretta. «che hai da guardare, tassofesso?» «cosa? Io? Non stavo guardando, assolutamente. Proprio niente» ed invece stava guardando, Stiles, qualcosa che aveva sempre avuto sotto gli occhi ma non aveva mai osservato. Si sentiva stupido, e s’intende più del solito; si sentiva solo, incapace di dare voce a quella… cosa, qualunque cosa fosse. Rimaneva lì, a metà fra un sospiro ed un singhiozzo, nascosto nella finzione di uno sbadiglio.
    Era un adulto, ormai. Almeno, secondo le carte lo era; il fatto che fosse più preoccupato a conquistare la Lega Pokèmon che non a trovarsi un lavoro, era un dettaglio irrilevante. Lavoro: dopo i risultati eccellenti, e vi assicuro che fu il primo a rimanerne sbalordito, ottenuti ai Mago, Stiles aveva deciso di seguire il percorso della Psicomagia. Ne aveva parlato con orgoglio a suo padre, con quel sorriso goffo che celava una fiera soddisfazione in ciò che aveva fatto – il suo primo vero risultato – ed aveva ottenuto solamente una smorfia stanca. «mi spiace figliolo, non ne capisco niente» ma andava bene così, giusto? A Stiles andava sempre bene così. Si stringeva nelle spalle, sedeva al tavolo per un’altra cena a base di pizza e coca cola sotto marca, ma sentiva sulla lingua il retrogusto del fallimento. Ci era abituato, sul serio, non era una novità; dopo un po’ smetteva di bruciare, e diveniva solamente un vago prurito sul palato, uno spazio di vuoto in più all’altezza dello stomaco. Non ci dava peso, Andrew Stilinski; non ci aveva mai dato peso. Diciamo che era un fiero sostenitore della teoria vabbè. Come, non sapete di cosa si tratta? Ve lo spiego brevemente. La teoria vabbè, o anche okay, narra le vicende di tutti i ragazzi e le ragazze che decidevano di non porsi problemi, di accettare passivamente qualunque cosa posta sul loro cammino. Se incontravano un ostacolo, i discepoli di questa corrente di pensiero decidevano semplicemente di ignorarlo, continuando a camminare come se non vi fosse nulla sul sentiero; se incontravano persone, non si prodigavano né a farli camminare con loro, né ad allontanarli. Rimanevano in paziente attesa che fossero gli altri a scegliere, accettando ambedue le prospettive. L’unica cosa che differenziava Stiles dai suddetti scolari, era che lui fingeva che tutti accettassero di camminare con lui, anche quando nessuno se lo cagava di pezza. Aveva questa malsana convinzione che, a modo loro, le persone gli volessero bene. Non lo dimostrano, ma andiamo… perché non dovrebbero? Quando la vera domanda, che il Tasso cercava di porsi il meno possibile, era: perché dovrebbero? Non aveva nulla da offrire: era solo un ragazzo uguale a centinaia di migliaia d’altri, se non un poco peggiore. Immaturo, ingenuo. Malgrado le torture al castello, malgrado ciò che aveva visto, sentito, e provato sulla propria pelle, Andrew Stilinski era ancora l’apogeo dell’innocenza.
    Stupido, perlopiù. In ogni senso possibile ed immaginabile. E si sentiva ancora più sciocco, coricato su quel divano - che di certo non era fatto per dormire – con un braccio piegato sotto la testa e l’altro a sfiorare pigramente il pavimento. Non riusciva a dormire, gli occhi spalancati ad osservare il buio rischiarato a malapena dalla luce esterna dei lampioni. Si sentiva strano, e, di nuovo, s’intendeva più del solito. Sapere che a pochi metri di distanza, nella sua camera (quella dove mai aveva immaginato potesse mettere piede qualcuno), Karma Montgomery dormiva nel suo letto, era fonte di disturbo e turbamento. Perché? Se ci fosse stata Arthea, o uno dei fremelli, avrebbe reagito allo stesso modo? Voleva convincersi di sì, che si trattava solamente di violazione della privacy: Karma poteva accedere a quell’angolo di mondo che Stiles aveva sempre tenuto lontano da occhi indiscreti, e di certo il più lontano possibile da maghi e streghe di Hogwarts. Una parte di sé che non aveva condiviso con nessuno, qualcosa che lo teneva ancorato ad un passato nel quale la magia non era che un sogno. Voleva credere fosse quello, solamente fastidio. Voleva credere di essere innervosito dal passare davanti alla sua stanza e vedere, dalla porta socchiusa, i capelli corvini di lei sparsi sul cuscino. Voleva credere che fosse seccante sentire il profumo della Serpeverde infiltrarsi in ogni anfratto di quella cameretta, risvegliando la virilità di Thor e Cap America dalle pagine dei fumetti, i quali mai avevano sperato di poter vedere una ragazza (!!!!) da così vicino (no okay, era Stiles a pensarlo, ma il concetto di fondo era quello). Voleva pensare che varcare quella porta per cacciare Kripto, il quale abitudinario rospo qual era, non aveva ancora capito di non poter dormire lì, non fosse una scusa per osservarla quando non aveva alcuna difesa – nessun sorriso di scherno, nessuna freddura con il quale congedarlo. Voleva non fissarsi, talvolta mentr’ella parlava, sulle sue labbra, ricordando com’era stato al Campo da quidditch.
    E ci rendiamo tutti conto quanto stupido fosse quel suo comportamento. Fino all’anno prima avrebbe ammesso senza problemi di essere attratto da Karma, chi non lo era?, così come si sarebbe pavoneggiato nel saperla addormentata a casa sua. Ma non era solo quello, giusto? Non più. Ed era quella sfumatura in più che gli sfuggiva, che lo confondeva, che lo lasciava d osservare incredulo un soffitto che credeva di sapere a memoria. Non la capiva, non voleva capirla. Che poi, perché? Perché era stupido, e questo l’abbiamo ripetuto allo sfinimento; perché non poteva capacitarsi di quel qualcosa per Karma Maya Montgomery. Era così diversa da lui, così... Stiles l’aveva sempre trovata perfetta, come se qualcosa del genere non potesse neanche essere reale. A volte, a sfregio, le pizzicava il braccio. «…cosa stai facendo?» «…macchina gialla?» anche se si trovavano entrambi in sala grande. Era quel suo modo particolare di essere semplicemente Karma Montgomery. Non capiva come gli altri non potessero vederlo, quando per lui era così ovvio.
    Quindi, sorge spontaneo l’interrogativo: perché Karma Montgomery era amica di uno come Andrew Stilinski? Ma tanto, e lo sappiamo tutti, Stiles ci avrebbe messo poco per farsi odiare anche da lei. Probabilmente lo odiava già, o lo trovava patetico. Ecco, forse gli rivolgeva la parola solo perché lo trovava triste. Dio, nessuno al mondo aveva una risposta a quella domanda. Nessuno tranne Stiles e Karma, ossia gli unici che non avevano il coraggio di ammetterlo neanche a loro stessi.
    Ed ecco di nuovo l’incertezza, l’incognita. Nella teoria dei vabbè, Karma era il passeggero silenzioso di una macchina priva di radio. C’era, e la percepivi nello stretto abitacolo dell’auto, eppure non faceva nulla per far comprendere se fosse una autostoppista, o se quel viaggio facesse piacere anche a lei, l’avesse scelto anche lei.
    Perché di certo ad Andrew Stilinski piaceva. Probabilmente troppo.
    Dai, quel breve soggiorno stava per terminare, e poi ognuno dei due sarebbe tornato alla propria vita, lei a scuola e lui… e lui?
    Sentì un rumore. Fu appena uno sfrigolio, ma nel silenzio della casa era impossibile non udirlo. Voleva credere, il Tassorosso, di non aver atteso quel rumore; di non averlo sentito per quello. Starà solo andando in bagno. E allora perché aveva la gola secca, perché sprofondò un poco di più nel divano? Il cuore cominciò a suonare e ballare a ritmo di Barbra Streisand, sbattendosene delle palpebre testardamente abbassate di Stiles, impegnato a fingere di star sognando il più bel viaggio sul Tappeto Volante di sempre.
    Trattenne il respiro, premendolo con forza all’interno dei polmoni perché non uscisse neanche il minimo spiffero. E la sentì. Si muoveva piano, come un gatto, eppure lui la sentì. Ne percepì il profumo nelle narici, sporcato dal proprio nel quale la ragazza era costretta a vivere ogni giorno. Si morse l’interno della guancia per non sorriderne come un idiota. Perché sorriderne, poi? Gesù, doveva smetterla di rubare le caramelle dall’ufficio di quella che forse sarebbe diventata sua collega: c’era qualcosa di strano, in quegli zuccherini. Di molto strano.
    Non aprire gli occhi, Stiles. Non farlo. Fingi di dormire. O forse è davvero un sogno? Si costrinse a rimanere immobile, le palpebre chiuse. Ma ci sarebbe voluto un autocontrollo migliore del suo, per resistere a Karma Montgomery. «stiles…»
    Non aprire gli occhi, Stiles. Non farlo.
    Ovviamente, lo fece. Attese che le pupille si abituassero nuovamente al buio, girandosi sul fianco per poter osservare la ragazza. Faceva male al cuore. E rimaniamo sul romantico, che ci sono dei bambini. Le rivolse uno dei suoi buffi sorrisi sbilenchi, lasciando che le palpebre, pesanti, adombrassero lo sguardo miele. Con tutte le frasi che gli frullavano per la testa, probabilmente «kripto ha di nuovo cercato di dormire con te?» fu la meno appropriata. Ma andiamo, è di Stiles che si parlava. Se fosse stata giusta, sarebbe stato il fremello sbagliato. (no, anche loro facevano pena e compassione: diciamo la persona sbagliata).
    E ringraziava iddio che il buio celasse quell’improvviso impallidire seguito dalle guance poi infiammate. E ringraziava iddio per quella voce ovattata, che poteva quasi fingere fosse ferma e non uno sbuffato tremolio.
    - rule #1 never be #2 - code by ms. atelophobia




    Scusami se fa pena, sono in crisi mistica da scrittrice #wat mi faccio perdonare così: (NO DAVVERO MUJER SCUSAMI TI PREGO ANCHE PER IL RITARDO I LOVE YOU SO MUCH VERY MUCHISSIMO)

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    Edited by stilesbreaker' - 16/1/2017, 21:37
     
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    Osservava i suoi lineamenti con lo sguardo al contempo perso e concentrato su ogni minimo particolare del viso del giovane. Come fosse possibile non le era chiaro, ma c'era ben poco di chiaro in tutta quella situazione. L'unica cosa che sapeva per certo era che era contenta che quell'estate non l'avesse dovuta passare al suo solito modo, nonostante cercasse di convincersi, lei per prima, che amava farlo. Forse una volta sì...ma allora non più. Il suo volto era debolmente illuminato, ma lei riusciva comunque a coglierne i dettagli e a studiarli a memoria quasi involontariamente. Stava lì per cosa? Lasciar passare il tempo o sperare che il Tassorosso si svegliasse? Forse entrambe le cose. Forse nessuna delle due. Gli voleva parlare, chiedere risposte ad un sacco di domande che le vorticavano in testa confondendola ancora di più, impedendole di capire quale necessitava di essere ascoltata per prima. In ogni caso, non c'era più tempo per dedicarsi ai pensieri, né per esplicitare paure, angosce e tormenti a bassa voce ad un dormiente, come si fa con un malato quando sei certo che realmente non ti possa sentire. Erroneamente. Stiles aprì gli occhi e Karma fu costretta ad arretrare di qualche centimetro, facendo strisciare le ginocchia nude sul pavimento freddo, strabuzzando gli occhi con il cuore che aveva deciso di fare un bel tuffo per poi risalire, in fretta, verso la gola. Rimase zitta com'era rimasta poco prima, senza distogliere lo sguardo da lui neanche un istante, mentre quello si girava verso di lei per rivolgerle uno dei suoi tipici sorrisi da...tassofesso. Non avrebbe saputo come descriverli altrimenti. Il cuore in ogni caso aveva deciso che la gola era il suo nuovo habitat naturale e lei non poteva farci assolutamente niente, anzi: le andava bene così. Strano, però. Non avrebbe voluto accorgersene, ma certo non poteva ignorare un fatto che mai avrebbe creduto potesse riguardarla. Certo, Stiles era carino. Cioè...bello. Ma non come molti uomini o donne con le quali era stata. Non era affascinante, né maturo, né particolarmente sicuro di sé, se non si contava la faccia tosta che può avere uno che decide di vestirsi, di proposito, da renna. E farsi vedere dalla gente, ecco. Insomma, Stilinski non era esattamente il suo tipo. Eppure, quando lui le sorrideva, la prima cosa che sentiva smuoversi, chiedere di più era nel petto e non...nelle mutandine, insomma. Negava ancora che si potesse trattare di ciò di cui si trattava realmente, con tutte le sue forze. Per paura, una strana, enorme paura che le stringeva lo stomaco, le faceva girare la testa. Però ormai ciò che era fatto era fatto e lei non sarebbe più potuta tornare indietro. Neanche volendolo. Gli restituì il sorriso, anche il suo un po' sbilenco e decisamente strano sul suo viso o, almeno, lei lo sentiva così. Non era solita sorridere in quella maniera, che di sarcastico non aveva proprio nulla. Quando Andrew proferì le sue parole - altro certo non ci si poteva aspettare da lui - anche lui a bassa voce, per non rischiare di svegliare suo padre, Karma scosse la testa, continuando a sorridere ed abbassando lo sguardo. Di Stiles le piaceva il suo essere sé stesso, senza paura del male che il mondo avrebbe potuto fargli per questo. Al contrario di lei, lui ci riusciva. Lui era coraggioso abbastanza. In ogni caso l'essere Stiles era un'arma a doppio taglio dal punto di vista della seroe, perché ancora una volta non l'aveva capita. Aveva ragionato nella sua solita maniera e non c'era arrivato. Il cuore ebbe ancora un altro tuffo, ma questa volta più amaro che dolce: l'ipotesi che fingesse semplicemente di non capire non le aveva toccato l'anticamera del cervello. No, no. Tranquillo. disse quindi, piano. In ogni caso soggetti peggiori ci hanno provato. continuò piatta, con tono ancora più basso, senza riuscire a resistere. Si alzò dunque in piedi, sistemandosi gli abiti coi quali dormiva. Forse...forse è meglio che io vada. proferì senza alcuna inclinazione particolare nelle sue parole, girandosi poi verso sé stessa e facendo due passi verso la camera di Stiles. No. Non avrebbe ritardato ancora quel momento. Non poteva e non voleva farlo. Aveva bisogno di sapere, di mettere chiaro alcune cose, così che finalmente avrebbe potuto dormire e quelle strane sensazioni l'avrebbero lasciata in pace...vero? Si rigirò quindi su sé stessa, cercando il suo sguardo , improvvisamente seria. Dobbiamo parlare.
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    Okay, lo so, faccio schifo. Ti ho fatto aspettare sette secoli. Inventiamoci qualcosa con le penitenze così riusciamo a finire sta cavolo di role(?) AHAHAHA
     
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    andrew "stiles" stilinski
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    Continuò a guardarla di sottecchi, la guancia premuta sul cuscino del divano. Si era convinto che se si fosse mosso il meno possibile, nulla sarebbe cambiato, ed entrambi avrebbero potuto ignorare quanto assurda fosse quella situazione. Di giorno raramente entrambi sembravano farci caso, abbracciati dalla luce del sole che rendeva quasi concrete le barriere dei due, fatte ambedue di sarcasmo ed ironia identici – seppur in forme differenti. In quei sorrisi sghembi e nelle frecciatine che volavano in diurna, non c’era nulla di strano da Stiles e Karma, niente che non fosse prevedibile dalla loro particolare amicizia. Ma di notte? Di notte cambiava tutto. Quando il sole tramontava ed appiattiva i colori rendendo ogni tono più opaco ed ogni angolo meno affilato, le cupole dorate nelle quali vivevano parevano creparsi, quasi fosse il sole stesso a dar loro concretezza. Nel momento in cui il buio la faceva da padrona cancellando ogni ombra come se non fosse mai esistita, i respiri sembravano farsi più pesanti, quasi quanto i pensieri che andavano sedimentandosi dietro le palpebre abbassate. I profumi, quelli lasciati da Karma al suo passaggio in una casa che non vedeva donne da anni, divenivano più intensi, se possibile ancor più gradevoli e necessari, come un battito a reclamare attenzione contro le costole. A Stiles sembrava di scorgerla in ogni anfratto di quel piccolo appartamento che prima d’allora era stato solo suo, un luogo sicuro dove poteva dimenticare le torture subite nel mondo magico, dove poteva momentaneamente scordarsi di quanto quella realtà, rispetto alla propria, fosse ribaltata. Perfino spingere, perché di quello s’era trattato, i fremelli oltre la soglia era stato un passo enorme per Stilinski, un ineluttabile concatenarsi di eventi che avrebbe, infine e fino alla fine, legato due esistenze che non aveva mai creduto di poter conciliare. D’altronde, era stato inevitabile: volenti o nolenti, e sappiamo tutti che erano nolenti, facevano parte della sua famiglia. Karma era l’incognita. Non aveva mai portato nessun amico a casa propria, non Dakota, non Isaac, non Jack; in parte, e non abbiamo remore nel confidarlo, se ne vergognava. E allora perché, perché invitare Karma nella propria dimora, darle il proprio letto, lasciarle intravedere cosa si celasse dietro la spilla dorata del Prefetto dei Tassorosso? Perché voleva così tanto che lo vedesse? Voleva essere una certezza, per la Montgomery. Voleva essere una di quelle persone che sapevi per certo di poter contattare in caso di emergenza, di quelle verso cui allungavi la mano ciecamente certo di avere dita da stringere. Se si fosse fermato a quello, non sarebbe stato affatto diverso dal desiderare di essere un buon amico.
    La verità, era che lo faceva per sé stesso. Non per darle una casa dove passare l’estate, non per essere il polso da stringere in un oceano di confusione: semplicemente, Stiles la voleva nella sua vita. Era così strano? Probabilmente no, ma per Andrew lo era abbastanza da non riuscire ad ammetterlo a sé stesso. Voleva guardarla quando pensava che nessuno potesse vederla, e non come metà Hogwarts che sognava di spiarla mentre si cambiava la divisa (anche se, ovviamente, non gli sarebbe dispiaciuto); voleva guardarla quando faceva qualcosa che le piaceva davvero, o quando mangiando la pizza dal cartone Stilinski Senior le raccontava aneddoti imbarazzanti, e per i quali desiderava solo morire, della sua infanzia. Distratto dai suoi pensieri, quasi non si accorse della fievole voce di lei rispondere alla sua domanda. Quasi, perché era impossibile per Stiles dimenticarsi della sua presenza - per chiunque, a dire il vero. La percepiva così dolorosamente, che talvolta era costretto a chiudere gli occhi ed a deglutire febbrilmente per poter nuovamente cominciare a parlare, il palato asciutto e la lingua incollata ai denti. Quello, ad esempio, era uno di quei casi. «No, no. Tranquillo.» ed un po’ lo odiò, quel rospo fetente ed ingrato, per non aver avanzato le stesse pretese che avanzava quand’era lui coricato nel letto, ossia dormire sul suo cuscino – o, nello specifico, sulla sua faccia. Non poteva fare il suo dovere, e dargli così una scusa perché potesse entrare in camera ed osservare un’irritata e sonnacchiosa Karma che, in piedi al centro della stanza, gli indicava con stizza la Bestia sul letto? Magari con indosso una maglia troppo grande, i capelli disordinati a scivolare sulle spalle magre, e le palpebre pesanti ad oscurare gli occhi blu. «sei sempre così sfacciatamente fortunata, monty» sbuffò in un sussurro, le labbra strette con disappunto e le sopracciglia corrugate. Che rospo di merda, lui e la sua indole naturale a rompere i coglioni solamente a Stiles. «In ogni caso soggetti peggiori ci hanno provato» Se fino a quel momento lo stato di rincoglionimento l’aveva fatta da padrona, ovattando quella conversazione in nulla più che sospiri, bastò l’affermazione della Serpeverde per farlo irrigidire, gli occhi cioccolato ora posati privi di discrezione su di lei. COSA INTENDEVA DIRE. Cioè, voglio dire. Nulla che Stiles non sapesse già, però insomma, un conto era saperlo, un altro sentirselo dire dalla diretta interessata. La soppesò per una manciata di secondi sforzandosi di non palesare la propria irritazione con un broncio, arrendendosi poi ad una sonora sbuffata in pieno stile Stilinski. «sì beh, non lo metto in dubbio» COSA INTENDEVA DIRE. «cioè intendo, sai come funziona. Non dico che sei bellissima ed irresistibile e ogni essere, umano o non, vorrebbe dormire con te» COSA STAVA DICENDO. «no davvero, non era quello che intendevo dire. SMETTILA DI GUARDARMI COSì MONTY ok forse un po’ l’ho pensato FAMMI CAUSA» oddio, stava andando in iperventilazione, lo sentiva. Il cuore parve voler sgusciare fuori ad ogni sua parola, mentre la mente già valutava tutte le possibile armi contundenti che avrebbe potuto reperire nelle vicinanze ed usare per porre fine alle proprie sofferenze – ah, se solo fosse accaduto un anno dopo! Dopo la cultura che s’era fatto avendo Carrie in terapia, avrebbe sicuramente trovato qualcosa a portata di mano che rispondesse alle sue esigenze. Stiles aveva, e non l’aveva notato nessuno eh!, la pessima abitudine di parlare a sproposito.
    Sempre.
    Davvero sempre.
    Eppure, il fantastico dono di non dire mai la cosa giusta – mistiko, sul serio. «insomma montgomery, non siamo qui per parlare di quante tartarughe ninja abbiano cercato di rimorchiarti» si grattò la nuca così nervosamente, che per poco nel movimento non si diede un pugno in faccia da solo. «…ma sono tante?» non riuscì proprio a tenere per sé quella domanda, in pieno stile suicida. «non che mi interessi. Cioè, perché dovrebbe interessarmi? Infatti non lo fa» dai Andrew, continua così. SEI GRANDE, STILES.
    Ecco, per l’appunto. Quando la vide alzarsi frettolosamente in piedi, il cuore gli piombò nei piedi, la bocca dischiusa in segno di sorpresa. Ma perché non stava semplicemente zitto? Cosa non andava in lui? «Forse...forse è meglio che io vada.» No, perché avrebbe dovuto essere meglio?? Alzò una mano per stringere le dita attorno al lembo della maglia e tirarla nuovamente a sé, ma invece non fece nulla. La osservò battendo le ciglia rapidamente, le guance arrossite per quel gesto istintivo e poco razionale. «non… non devi andare via per me» nel momento in cui lo disse, si rese conto che era una cazzata. Ma quando mai una cosa del genere fermava uno Stilinski? «posso andarmene io. Anzi guarda, me ne stavo giusto andando» ma che cazzo dici?. Si alzò anch’egli in piedi, e proprio per quello parve se possibile ancor più patetico. Non c’era mezza ragione sensata al mondo che potesse giustificare quel comportamento, se non… è Stiles. Abbassò lo sguardo guardando la punta dei propri piedi, nudi sul freddo pavimento della sala, quindi risalì sui corti pantaloncini sdruciti usati solo per amor proprio (ma quale, se c’era sopra scritto i got it from my papa?) per poi arrivare alla sottile maglia arancione a maniche corte. Non andare, per favore. Ora che si trovava in piedi senza alcun motivo specifico se non l’essere un emerito coglione, non sapeva più cosa farsene delle braccia – della vita, a dire il vero. La guardò allontanarsi immobile, ancora nel bel mezzo di un salotto addobbato alla bell’è meglio come camera da letto ma con ancora i contenitori della cena sul tavolo.

    “Cosa vuole fare, signor Stilinski, una volta uscito da Hogwarts?”
    “Mah non so… un paio di figure di merda, il disagio umano, un errore di madre natura… il solito”

    Quando Karma si fermò, anche il cuore di Stiles fece lo stesso. Quando Karma parlò, anche Stiles lo fece. «rimani un altro po’» appena un sussurro indolore, accompagnato da un mezzo sorriso atto a crepare la tensione creatasi fino a quel momento. Non voleva suonare una supplica, davvero; non voleva suonare per ciò che realmente era. E se la Prefetta non fosse stata così seria in quell’occhiata lanciata nella sua direzione, avrebbe continuato con un “Possiamo fare una partita a Halo, o a Twister, o a Scopa… sai giocare a scopa? Anzi no, non rispondermi. Meglio Bridge”. Invece le parole di lei si sovrapposero alle sue, facendo scemare l’espressione timida e goffa di Stilinski in qualcosa che raramente mostrava in pubblico.
    Rassegnazione.
    «oh» BEH, sapeva che quel momento sarebbe giunto prima o poi. In effetti, meglio prima che poi, no? Ma era già troppo tardi. Distolse lo sguardo corrugando le sopracciglia, la mano destra a grattare nervosamente la spalla sinistra. «oh beh, sicuro. Perché no. certo. Fammi… dammi solo…ti va se usciamo?» senza realmente attendere una risposta, Andrew la superò e si avvicinò alla porta d’entrata. L’aprì lentamente, e riuscì perfino a non fare nessun rumore – quanto si sentì un ninja? Troppo. Abbastanza da fargli mimare con le labbra un «YES» convinto con tanto di braccio piegato verso di sé in segno di vittoria. Non tenne l’uscio aperto per la Montgomery, né guardò se l’avesse seguito. Semplicemente uscì, l’aria fresca della notte a pungergli una pelle madida di sudore. Si sedette sul primo gradino del portico, un respiro profondo a gonfiargli il petto. Nessuna buona conversazione iniziava con dobbiamo parlare, lo sapevano tutti. Dobbiamo parlare, sono incinta? Dobbiamo parlare, mi sono presa una sbandata per Xav? Dobbiamo parlare, voglio adottare un coccodrillo? Dobbiamo parlare, mi trasferisco in Missouri?
    Dobbiamo parlare, non possiamo più essere amici?

    - rule #1 never be #2 - code by ms. atelophobia


    Edited by stilesbreaker' - 16/1/2017, 21:36
     
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    Era troppo tempo che non aveva una certezza nella sua vita. Non aveva una casa, non un lavoro, nessuno sul quale potesse veramente contare. Tutto ciò con il quale aveva a che fare era effimero, come un fuoco fatuo che una volta sfiorato scompare dalla vista, dai rapporti umani ai luoghi nei quali si fermava. Semplicemente non era capace di costruire nulla di duraturo, o almeno si era convinta che fosse così: era spaventata, d'altronde, dal durevole, dal concreto. Meglio scherzare su tutto, non prendere nulla sul serio, scivolare come acqua quando qualcuno tentava di stringerla. Così era più facile per tutti. Lei avrebbe mantenuto la propria libertà, avrebbe continuato ad avere modo di respirare e il suo prossimo certo non si sarebbe dovuto preoccupare di vederla scappare a gambe levate da un momento all'altro. Perché non era una totale deficiente, sapeva che andandosene non faceva altro che ferire le persone. Ma la cosa non l'aveva mai toccata più di tanto, non le era mai realmente importante. Con Stiles, pure da questo versante, era diverso. In primis, non voleva ferirlo, sebbene trovasse ridicolo e patetico il solo pensiero di questo suo sentimento. E poi...poi non è che avesse tutta sta voglia di scappare. Lui in un qualche modo la capiva. La sua stretta non era soffocante, riusciva ancora a vedere il tramonto che tanto facilmente avrebbe potuto raggiungere in una corsa. Ma era tanto più bello vederlo da lontano fra le sue braccia che da vicino e graffiata dal vento. Non riusciva ancora esattamente ad elaborare tutto questo in questi termini, ma certo se ne rendeva conto che era così e che ormai era troppo tardi per fare qualcosa a proposito. Sempre così sfacciatamente fortunata, aveva detto lui. Nel buio, Karma aveva scosso la testa una sola volta e a metà, fermando il capo di lato. Un sorriso sghembo tanto familiare che pareva dire tutta una cosa ma alla fine ne intendeva tutta un'altra le apparve sulle labbra leggermente screpolate, prima che le potesse schiudere con un debole schiocco. No, non sempre, tasso cretino. e sì, il tono necessitava di qualcuno che la conoscesse davvero bene per capire che non lo stava insultando. L'espressione poi che comparì sul volto dello Stilinski alle sue parole palesemente volte a stuzzicarlo non la deluse affatto: ne aveva un arsenale, quel tasso cretino, di facce cretine ma esilaranti. Ancora non riusciva a capire se davvero fosse imbarazzato o se quella fosse tutta scena, ma in ogni caso la divertiva, e lei aveva la terribile necessità di divertimento, in un modo o nell'altro. Quando iniziò a blaterare lei si limitò a continuare a guardarlo, seria e concentrata, annuendo appena, come se il suo interlocutore stesse realmente dicendo qualcosa di senso compiuto. Alla fine, forse non avevano tutto questo bisogno di parlare. Ma visto che entrambi negavano l'evidenza...Tartarughe ninja dici? fece scivolare la mano sulla propria guancia, per sostenere il peso della testa, mentre il gomito veniva posato sul divano così che i loro due visi potessero essere terribilmente vicini. Tante, ma non così tante. In ogni caso, ho sempre avuto un debole per Michelangelo. a caso. Aveva sparato totalmente a caso. Non era neanche sicura fosse davvero una tartaruga ninja, non aveva mai visto quel cartone animato, in generale in vita sua aveva visto ben pochi cartoni animati o momenti di spensieratezza infantile. Ma metterlo in imbarazzo le piaceva troppo per smettere di parlare.

    Alle volte le veniva impossibile mantenere la facciata impassibile che tanto le si addiceva e che tanto le piaceva portare. Soprattutto in momenti come quelli, che oscillavano dall'esilarante e vicino alla parodia (Me ne stavo per andare? Seriamente?) ad un tipo di serietà ed apertura di sé stessi totalmente differenti a quelli ai quali era abituata. Inizialmente, non era sicura di volere uscire. Probabilmente faceva freddo, lei era quasi completamente nuda - non che la cosa le avesse mai dato particolarmente fastidio, ma in quel momento, ancora una volta stranamente, sì - e chissà ancora cos'altro. Ma non appena sentì l'aria fresca della sera sul proprio viso si rese conto che forse era il cambiamento d'aria che le serviva ad intraprendere il discorso. Non che ne fosse spaventata o che la rendesse nervosa, eh. No, no, affatto. Lei nervosa? Mai. Però...più di una volta si era ritrovata a pensare in quella manciata di secondi quali sarebbero potuti essere i differenti scenari se avesse cambiato idea e fosse tornata a letto. Alla fine, si ritrovò semplicemente seduta accanto a lui sui freddi scalini del portico, a fissare un punto indistinto davanti a sé in un clima di tensione che entrambi si ostinavano a far credere all'altro, attraverso gesti ed espressioni, che fosse invece la serata più tranquilla e banale della propria vita. Voglio sapere perché mi hai fatto mangiare quel dolcetto, negli spogliatoi. diretta, no regrets, facciamo finta che queste siano le prime parole che le siano passate per la mente da dire, l'unico modo per iniziare il discorso da lei contemplato. So che è passato tanto tempo, che probabilmente volevo solo divertirti, ma ora mi trovo in periodo non scolastico a dormire nel tuo letto e nemmeno scopiamo, mentre tu mesi fa mi hai dato un pasticcino che ci avrebbe tranquillamente portati a farlo se tu lo avessi voluto. Okay, forse così era stata un po' troppo diretta. tentò allora di riprendersi in extremis, sperando che il tassorosso non le morisse davanti per arresto cardiaco. Cioè, non che penso che tu me lo abbia dato per divertirti con me. E non sto dicendo che non mi sarebbe piaciuto...maneanchechemisarebbepiaciuto,ecco. Cioè. definire il suono che le uscì dalla bocca in quel momento come un grosso "sgrunt" frustrato è l'unico modo possibile per farlo.

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    Era troppo difficile avere a che fare con Karma Montgomery. Ma chi gliel’aveva fatto fare? Non poteva, non so, essere dell’altra sponda e avere una cotta per il suo migliore amico come ogni adolescente che si rispettasse? Rimanere tutto il giorno attaccato al computer a guardare porno e giocare a flashgame? Cercare qualche ragazza ubriaca, e possibilmente sotto effetto di stupefacenti, che fra alcool e droghe non riuscisse a distinguere la realtà e, scambiandolo per il più caliente fremello, gliela desse? assecondasse placidamente le sue goffe avances?
    Eh no, sarebbe stato troppo facile. In un giorno non meglio precisato della sua vita, Andrew Stilinski –tassorosso di capello, e tassofesso di indole- aveva non si sa come fatto scivolare nelle contorte pieghe della propria vita, Karma Montgomery. I due non facevano parte di due universi a sé stanti, affatto. Di più. Karma era il suo upside down di Stranger Things, per intenderci: quando venivano in contatto, succedevano cose che non avrebbero dovuto succedere.
    Tipo che la loro amicizia, nata probabilmente per errore della Serpeverde, sarebbe diventata qualcos’altro. Perché, andiamo, non si poteva semplicemente esistere nella stessa stanza della Monty, e riuscire a… riuscire a respirare, o far sì che il proprio cuore la smettesse di credersi un messicano alle prese con le maracas. Non si poteva proprio. O forse sì?
    Forse era solo Stiles, il problema. Qualcosa smetteva di funzionare correttamente quando la ragazza era nei paraggi, qualcosa che nulla (o almeno, non tutto) aveva a che fare con la mancanza di sangue al cervello. Era più… Non sapeva spiegarlo, e ci aveva davvero provato in tutti i modi. Una volta aveva perfino cercato di placcare (placcare, con la l) Sharyn, la ragazza di Isaac, per avere un supporto psicologico femminile. Neanche dovrei dirvelo che la conversazione era finita per ricadere sulle Kardashian, con la Winston che gli mostrava le foto delle loro immense chiappe, e Stiles che si stupiva di come un abito potesse contenerle – o di dove comprassero mutande che poi non dondolassero come proboscidi di elefanti sul loro davanti, essendo la vita troppo larga rispetto alla loro… beh, insomma. A quello, però, la bionda era stata in grado di rispondere: «perché, secondo te usano mutande?» così legit che Stiles aveva smesso di indagare.
    Ma andiamo oltre.
    Inspirò profondamente, sentendo la fresca aria notturna riempirgli i polmoni. Con le dita, giocava distrattamente con alcuni fili sgualciti della maglietta a maniche corte che indossava, rimpiangendo che quell’anticristo del suo rospo, Kritpo, non fosse uscito con loro. Quand’era nervoso, trovava incredibilmente confortante carezzare il corpicino viscido ed umido dell’animale, guadagnandosi quell’adorabile verso che più di una volta aveva svegliato suo padre facendogli credere che qualcuno (stiles) stesse morendo. Immaginava che non fosse la situazione più adatta dove strizzare Kritpo estorcendogli il sottile ed acuto grido umano, ma non credeva di averne mai avuto più bisogno in vita sua.
    Era agitato.
    Era… Stiles. Si umettò le labbra e tenne il capo chino, aspettando – e sperando – ch’ella lo seguisse. Di una cosa era certa: nessuno dei due voleva davvero affrontare quella conversazione, così come entrambi ne avevano un viscerale bisogno. Quando Karma si sedette al suo fianco, fu certo di riuscirne a sentire il profumo ed il calore sin da dove era seduto; ed ebbe la tentazione, Andrew, di strisciare sullo scalino fino a trovarsi più vicino, il caldo di lei a lambirgli la pelle come fiamme. Strinse i pugni, una rapida occhiata nella sua direzione accompagnata da un sorriso storto, prima di tornare a guardare la punta dei propri piedi. Parevano così tranquilli, visti dall’esterno; invece, se Karma non si fosse decisa a spezzare la tensione dicendogli quanto aveva da dirgli, lo Stilinski era abbastanza certo che si sarebbe alzato in piedi improvvisando un remake di cantando sotto la pioggia, pur di allentare la morsa allo stomaco che gli impediva di deglutire normalmente.
    « Voglio sapere perché mi hai fatto mangiare quel dolcetto, negli spogliatoi.»
    Okay, avrebbe preferito rimanesse in silenzio, permettendogli il suo assolo da musical. Sperò che la chiara luce della luna celasse quanto fosse impallidito a quell’interrogativo, le spalle irrigidite sotto il peso di quella domanda. Era … un… trabocchetto? Cosa doveva rispondere? Cosa si aspettava rispondesse? Non aveva una reale… cioè, insomma. Voglio dire, avete capito. Fu tentato di domandare, ritratto dell’ingenua innocenza, un: quale dolcetto? ma sembrava abbastanza stupido di suo senza che cercasse di scavarsi la fossa da sé. Si grattò la nuca storpiando le labbra verso il basso, un sospiro incastrato sul palato. Prontissimo, in ogni caso, a dire una cazzata, fu interrotto in zona cesarini dallo sproloquio della Monty; ciascuna delle parole pronunciate tanto frettolosamente da Karma, come se sputarle il più rapidamente possibile avrebbe potuto renderle più gestibili, minacciò di intasare una coronaria di Stiles, portandolo direttamente all’infarto.
    Mio dio mon dieu oh my god ho finito le lingue.
    «So che è passato tanto tempo, che probabilmente volevo solo divertirti, ma ora mi trovo in periodo non scolastico a dormire nel tuo letto e nemmeno scopiamo, mentre tu mesi fa mi hai dato un pasticcino che ci avrebbe tranquillamente portati a farlo se tu lo avessi voluto.»
    L’aveva detto davvero. La parola con la S. Le guance del Tasso passarono da una pacata tonalità carta pergamena per un elogio funebre ad un pervinca signore ha per caso qualche allergia?, ad una velocità tale che il cuore non riuscì a reggere lo sforzo di pompare così rapidamente. Lo sentì cadere nei piedi, dove rimase a battere ferocemente e con intensità. Si sentiva imbarazzato, e frustrato, e desolato; ondeggiava fra il sentirsi in dovere di chiederle scusa, quello di suicidarsi, e quello di… di dirle semplicemente le cose come stavano. Sarebbe stato semplice, giusto? Erano già in argomento. Il fatto era che, chiaramente, Andrew non aveva la più pallida idea di cosa avrebbe dovuto dirle. Si schiarì la voce, le dita a grattare questa volta il sopracciglio sinistro. « Cioè, non che penso che tu me lo abbia dato per divertirti con me. E non sto dicendo che non mi sarebbe piaciuto...maneanchechemisarebbepiaciuto,ecco. Cioè.»
    Stava succedendo davvero? Si sentiva leggero e pesante, concreto ed astratto, mentre lentamente ruotava le iridi ambrate verso di lei. Nessuno dei due stava cercando lo sguardo dell’altro; Stiles, certamente, cercava di guardare ovunque tranne che gli occhi di lei, preferendo lasciar vagare l’attenzione sulla curva delle labbra, quella del mento, delle spalle. Deglutì, il braccio sinistro a reggere il peso della testa, e quello destro sotto il gomito opposto. «cioè» ribattè sovrappensiero, sentendo la voce roca ed al contempo troppo acuta per appartenere ad un diciottenne. Un altro colpo di tosse, gli occhi a rifugiarsi ancora in un terreno vergine (#ihihi ce n’era lì di roba da guardare) e sicuro, aka i propri piedi. Quando inspirò, gli parve che l’aria fosse infetta, da tanto che bruciava nei polmoni.
    «va bene» cosa? Non lo sapeva. Riusciva solamente a sentirsi sollevato, Stiles.
    Non stava andando via.
    Perfino euforico, a dire il vero.
    «mi stai dicendo che» Stiles, sei sicuro di volerlo dire? Beh, aspettava quel momento da anni.
    Da sempre, senza neanche saperlo. «mi stai dicendo che tu, karma Montgomery, davvero avresti un rapporto sessuale, CONSENZIENTE E REALE, con il sottoscritto? non dico che, cioè, che dobbiamo farlo – perché dovremmo poi? Siamo amici, AHAHAH » dio, quanto voleva spararsi nei coglioni. Neanche lo potete immaginare. Quasi sperò che da quelle parti passasse, boh, Xav, finalmente deciso a dargli fuoco. Giusto perché non voleva già suicidarsi, decise di allungare un braccio per tirare un pugno sulla spalla di lei, così da rafforzare il concetto. «MIGLIORI AMICI 4EVER» si morse il labbro inferiore soffocando l’ennesima risatina nervosa, alzando l’indice ed il pollice di entrambe le mani nella sua direzione.
    Ora capite perché Stiles e Karma non era possibile. Mai. Perché una come lei, così… dannatamente Karma Montgomery, avrebbe dovuto… «comunque non era per quello. Cioè, non volevo… insomma, non che non vorrei eh, ma dico… METTIAMOLA COSì» Svuotò i polmoni e chiuse gli occhi, le mani a palmo aperto sulle proprie ginocchia.
    «ipoteticamente parlando, non volevo… volevo solo che…» il sorriso scivolò dalle labbra, lasciando posto ad un espressione seria ed assai rara. Perché Andrew Stilinski, ex prefetto dei Tassorosso, voleva solo che lei lo volesse. Non come Karma poteva desiderare un ragazzo qualunque, bramava che lo volesse in modo diverso: non era mai stata una questione di sesso, per Stiles – anche perché, sesso, a malapena sapeva cosa significasse. «che ti sentissi libera» grattò con le unghie sulle ginocchia, mordendosi l’interno della guancia. «con me» inarcò le sopracciglia, ma non alzò lo sguardo su di lei.
    «per me?» un sussurro interrogativo a perdersi nella notte, ingoiato dal buio nel portico.
    L’aveva detto davvero. Quanto poteva essere patetico. Si passò la lingua sulle labbra secche, socchiudendo gli occhi mentre un sorriso, storto e distorto, piegava il lato sinistro della bocca. «sei così…karma. e io sono così… stiles» lo disse come se quella semplice constatazione potesse spiegare tutto, stringendosi nelle spalle. «lo sai come sono» e lo sapeva perfettamente, Karma Montgomery, mentre Stiles rifuggiva ancora al suo sguardo. «non ti ho invitata qui per scopare, monty» Scosse il capo, lasciando che il sorriso divenisse maschera con cui difendersi dalla verità intrinseca di quelle parole.
    L’ho fatto perché ti voglio nella mia vita, perché mi piace quando parli di quei libri che, signore, leggi e trovi interessanti solo te; perché amo il modo in cui guardi il cielo quando nessuno ti osserva, e come i tratti del viso si rilassano quando ridi – quando lo fai sul serio. Perché voglio portarti al teatro, o al cinema, o ovunque ti piaccia andare. Perché, gesù cristo, qualcosa non va in me, quando si parla di te. «ci tengo a te» espose quindi, come un semplice dato di fatto.
    Perché era sua amica.
    Perché era Karma. «e… mi importa, capisci» ancora passò le dita sulla nuca, sbattendo rapidamente le ciglia senza realmente credere di star dicendo quanto stava dicendo. «non tutto gira intorno al…sesso» corrugò le sopracciglia, bofonchiando come i vecchi che, di lì a poco, sarebbero spuntati dalle finestre intimando loro di abbassare il tono di voce. «e poi, diciamocelo: la vera domanda non è perché io ti abbia invitata qua» ed il cuore tornò a martellargli nel petto, assordandolo. D’altronde, era palese perché Stiles fosse amico, o quel che erano, di Karma.
    Era il contrario a confondere le masse. A confondere Stiles.
    Lasciando che le parole fluttuassero nella confortevole oscurità attorno a loro, voce che di giorno non avrebbe mai avuto forma, Stilinski alzò gli occhi per cercare quelli chiari, inverosimilmente chiari, di lei. «la vera domanda è: perché hai accettato?»
    Dillo, Monty. Dillo anche per me.
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    L'aria fresca e frizzantina che andava a scompigliarle i capelli, a solleticarle il petto seminudo aveva un non so che di erotico, per lei. Saranno stati i ricordi di tutte le volte, impossibili da contare, nelle quali si era alzata dopo una notte di passione per aprire la finestra, investita poi da quello stesso venticello quando vi si affacciava per fumare una sigaretta; o forse il semplice fatto che per lei c'era ben poco di non erotico a quel mondo. Poi, nella sua mente, la corrente mattutina e quella delle serate estive non erano poi così differenti. Questo non avrebbe saputo dire perché, forse risaliva a qualcosa di troppo lontano perché lei potesse ricordarlo. L'inizio e la fine delle sue giornate avevano lo stesso sapore, poche differenze: si poteva immaginare il suo alternarsi di luce e tenebre come un serpente che si mangiava la cosa. Eppure, sebbene si differenziassero per pochi dettagli, lei aveva sempre preferito la notte. Amava il fatto che al buio tante cose non si potessero vedere, che al buio si rinnovasse di un'energia ed una sicurezza nuova. Non aveva la più pallida idea se fosse così per tutti o solamente per lei e, in ogni caso, non le importava. Non in quel momento, soprattutto. Talmente era presa dal discorso, dalla presenza quasi pesante - per via degli argomenti che stavano andando a toccare, probabilmente - del ragazzo accanto a lei; si sarebbe persino potuta dimenticare del mondo che la circondava, del sole che se n'era andato di un pezzo, del vento che l'investiva ritmicamente, dando come l'illusione di fermarsi e placare il suo soffio per poi tornare, violento, un attimo dopo. va bene. Karma alzò lo sguardo davanti a sé, il volto che andava a contrarsi in una smorfia confusa. Va bene? Va bene cosa? Non andava bene proprio nulla, in quel momento. Sarebbe voluta essere in un posto qualsiasi,qualsiasi diverso da dove si trovava e al tempo stesso non sarebbe voluta essere da nessun altra parte. Per una volta in vita sua si sentiva a disagio eppure pareva di non aver perso la voglia di mettere a disagio il suo interlocutore. Non le piaceva non capirsi, non le piaceva non avere il controllo su ciò che provava e sulle sue sensazioni. Non le piaceva affatto. Quando fu il turno di Stiles di straparlare, la Montgomery ritrovò la sicurezza che poco prima si era andata a nascondere chissà dove, riuscendo a girarsi verso di lui e osservandolo disorientata e leggermente stizzita. Per essere sinceri, che avrebbe scopato con lui glielo aveva detto il giorno stesso in cui si erano conosciuti, ma quella era roba di poca importanza. (".Ti trovo uno dei ragazzi più belli di Hogwarts, con i quali andrei volentieri a letto.Certo,se tu non fossi gay.", citazione integrale. Sono dovuta andare a rileggermi quei post schifosi dove ancora non sapevo scirvere come se adesso sapessi farlo) Lei stava cercando di dirgli qualcosa di più...perché quel deficiente non voleva capire prima di lei cose che la serpeverde non voleva accettare, mh? Sarebbe stato tutto molto più semplice. Amici. Quella parola, che sì li avrebbe dovuti descrivere, non ebbe un gran bell'effetto sul prefetto verde argento, a giudicare da come piegò le labbra rendendole ben più sottili di quanto non fossero e riducendo gli occhi ad una fessura. Amici, amici, amici, amici, amici, amici, amici. Avrebbe avuto molto da dire in proposito, ma non sapeva esattamente cosa. L'unica cosa che sapeva e che non era una parola di suo gradimento, accostata ai loro due nomi. Non ci stava, era fuori posto. E sebbene fosse terrorizzata dal fatto che potesse esserlo, la verità era che lo era. Quando ricevette la spiegazione che tanto a lungo aveva atteso, non era meno confusa che prima di riceverla. Non riusciva a pensare a niente. Non riusciva a mettere un pensiero dopo l'altro, a collegare le parole che il tasso aveva pronunciato a qualcosa di sensato, che potesse seguire un filo logico. Sentirsi...libera? Sì, si poteva dire di essersi sentita vicina a quello che lo Stilinski aveva cercato per lei. Ma...perché? e...mi importa, capisci? Gli importava. Ecco perché. Karma iniziò a tremare, non visibilmente ma abbastanza da rendersene conto. E no, la colpa non era del vento. Nessuno, nessuno gli aveva detto mai esplicitamente che ci teneva a lei. Ed era una cosa terrificante. Terrificante e...meravigliosa. Sentì improvvisamente caldo in mezzo al petto, storcendo il naso per quanto le risultasse strana la nuova sensazione. E non tutto girava intorno al sesso? Quante cose nuove stava scoprendo in quella serata. Sebbene fosse già parecchio in crisi, fu l'ultima domanda di Andrew a mandarla totalmente fuori di senno. Perché era lì? Perché? Non lo avrebbe saputo dire, eppure la risposta era così semplice. Avrebbe potuto dire perché finalmente ho un posto dove stare senza stancarmi ogni notte o perché pensavo lo avremmo fatto, ma semplicemente non era vero. Perché... disse quindi, con la voce spezzata, lasciando per un po' in aria quel suo tentativo di frase, per schiarirsi la voce con un colpo di tosse. Silenzio. Perché sei così Stiles. riuscì a dire, lo sguardo di nuovo davanti a sé, lontano dagli occhi color cioccolato di lui, che comunque andò coraggiosamente a ricercare qualche istante dopo. E Stiles, merlino salvami, Stiles...Non mi dispiaci, Stilinski. Ecco perché.

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    Qualche anno prima, data imprecisata. Luogo: Personale sleepover club Stisaac.

    La testa pulsava come un secondo cuore, poggiata distrattamente sul muro del castello. Un occhio era troppo gonfio per rimanere aperto, e l’altro troppo stanco per osservare lo sfacelo di fronte a sé. Stava lì, Andrew Stilinski, a leccarsi il sangue dal labbro inferiore, la schiena leggermente curvata per non sentire pressioni laddove le fruste di Dolohov avevano lasciato segni di bruciature. Era talmente abituato al dolore, che neanche ci faceva più caso: si stringeva nelle spalle, Stiles, la cieca consapevolezza che, come sempre, sarebbe sopravvissuto.
    Ed il circolo vizioso sarebbe ricominciato.
    V’era perfino un che di confortante, nella sala delle torture. Non si trattava solo del fatto che fosse il luogo più visitato dal Tassorosso nei suoi anni scolastici, probabilmente perfino più spesso della sua stessa sala comune; era… era una certezza, laddove tutto era in continuo movimento. Il dolore che gli strappavano in quelle quattro mura, era ciò che lo identificava: non sapeva chi altro essere, se non il mezzosangue che si cacciava sempre in situazioni con la merda fino al collo.
    E poi c’era Isaac. Il destino non lottava forse perché due anime gemelle si ritrovassero sempre? A Stiles, ancora scioccato da quando aveva scoperto che il Lovecraft era nato il suo stesso giorno, piaceva crederlo. O forse influiva maggiormente che la maggior parte dei casini li combinassero insieme, o venivano incolpati ingiustificatamente insieme, o Isaac provava a difenderlo e si faceva inculare quanto lui, o Stiles agguantava Isaac per scappare e finivano dritti fra le braccia dell’insegnante psicotico di turno.
    Insomma. Continuava a preferire la teoria delle anime gemelle. La sala delle torture, per Stiles ed Isaac, era il Monet’s di Alex, Jess ed Hannah. FML FOREVER. «stiles» «isaac» ma fu più un brontolio, la bocca a protestare nell’essere costretta a formulare parole. La gola bruciava, la lingua bruciava, la vita bruciava. Stiles si schiarì la voce e si trascinò a sedere più comodamente, le gambe allungate di fronte a sé ed un occhio, uno soltanto, a scivolare sul Corvonero. «ti ho già detto di quando shary-» «sì, isaac. , almeno duecento volte» «non so, amico. Penso sia quella giusta» Ma che discorso era – da fare con Stiles, poi! Forse l’aveva confuso con Dakota, o con chiunque altro potesse effettivamente essere utile alla causa. Un cinico appassionato di videogiochi e fumetti non era propriamente l’amico perfetto per quel genere di conversazioni: l’unico amore che Stiles conosceva, era quello dei suoi pokèmon quando il signore dei pokèmon confermava che fossero effettivamente felici – e gli regalava una bacca #neverforget. «per fare che.» domande lecite, per tassofessi veri. «boh non so, dicono tutti così.» «ma quando. Che film guardi, isaac» «dai, stiles. Hai capito» No, Stiles non aveva capito. Cercò di piegare un ginocchio, ma un improvviso dolore alla (sciatica?) lo costrinse ad arrendersi, un sibilo sofferente a sgusciare dalle labbra spaccate. Quanto ancora ci sarebbe voluto prima che qualcuno li recuperasse e li portasse in infermeria? In momenti come quello, rimpiangeva di non avere la (bro)patia con il quale comunicare a Dakota di andarli a salvare – come sempre. «devi essere un po’ più –AHIA- dire–MH santa madre-tto» Com’era difficile la vita quando si nasceva sangue sporco. Portò la mano al sopracciglio, le dita a sfiorare il taglio poco sopra l’occhio. «massì dai. Sai quando ti piace una ragazza, e…» «ragazze, EW» come i bambini di dodici anni, Stiles. «come fai a saperlo, poi. Cosa dici. Ti hanno colpito troppo forte, a questo giro, né?» «un po’. Ma so quello che dico. Capirai quando sarai più grande» ke simpatiko. «gngngngng capirai quando sarai più grande gngngngn» gli lanciò un sassolino trovato opportunamente al proprio fianco, un sorriso sghembo e macchiato di sangue a curvargli la bocca sottile. «impossibile.»

    In quel momento. Luogo: paradiso portico Stilinski.

    Impossibile.
    «perché sei così stiles» ne avrebbe potuto dire cento, ma che dico, mille di cose, eppure nessuna sarebbe stata giusta quanto quella – ciò che Stiles, in fondo, aveva bisogno di sentirsi dire. Perché era così Stiles: in tutta la sua infantile idiozia, il suo disagio sociale, la sua inettitudine alla vita. Lei, Karma Montgomery, aveva accettato l’invito perché Stiles era Stiles, pacchetto completo. Un sorriso imbarazzato prese forma sulle labbra sottili del Tassorosso, gli occhi ancora abbassati sui propri piedi mentre le dita, nervose, s’intrecciavano e districavano distrattamente. Era raro trovare qualcuno a cui piacevi perché tu eri tu, e non quello che avrebbero voluto fossi. Così raro da scaldare parti di Stiles che neanche credeva di possedere, sciogliendo una tensione che, fino a quel momento, si era accumulata sulle spalle – la schiena, le braccia. Grazie, Monty pensò, ma non lo disse. Si limitò a sorridere al buio, Stiles. Per una volta, un sorriso rivolto a sé stesso, e non di sé stesso. « E Stiles, merlino salvami, Stiles...Non mi dispiaci, Stilinski. Ecco perché.» Aveva inavvertitamente alzato lo sguardo, cercando gli occhi cobalto di Karma come un naufrago che vedesse infine un lembo di terra – e dire che era tutto il contrario, per Stiles, che in quell’azzurro ci affondava. Sentiva i polmoni riempirsi d’acqua, eppure respirare non era mai stato così facile. Esitante, osservò un poco Karma prima di premere con la mano destra sullo scalino, dandosi la spinta necessaria a scivolare ancora di poco verso di lei. «beh,» che strana, la percezione che s’aveva del proprio cuore. Fin quando non cominciava a battere febbrilmente contro le costole, neanche ci si rendeva conto di possederlo. Si schiarì la gola con un irrequieto colpo di tosse, gli occhi ridotti ad una fessura ed ambedue le sopracciglia inarcate. Sollevò la mano sinistra con una lentezza titubante ed allusiva, le dita a tremare leggermente. Chinò il capo per evitare lo sguardo di lei, ma cercò, con le dita, di sfiorare appena il braccio di lei, scivolando poi verso il suo palmo. Dovette chiudere gli occhi, perché bastò quell’accenno di contatto per fargli venire la pelle d’oca, la carne stessa ad anelare di averne un po’ di più: ed avrebbe voluto, Stiles, assecondarsi. Ma si accontentò, se così si poteva definire, di stringere impacciatamente la mano di lei nella propria. Solo quello, nel denso silenzio di una notte che neanche li guardava. «lo prendo come un complimento.» sapevano entrambi, che lo era. Sollevò ironico gli angoli delle labbra, un’occhiata di sottecchi alla Serpeverde.
    Avrebbe potuto annullare le distanze fra loro, riempire lo spazio che li separava e raggiungere le sue labbra – dopotutto, non le dispiace, giusto? Ma mai si sarebbe spinto così in là, terrorizzato quanto lei di… qualunque cosa, a dire il vero. Davvero qualunque cosa. Sarebbe stato il momento opportuno per tutte le cose non dette, per tutte le cose che non c’era bisogno di dire, ma Stiles preferì contemplare in silenzio la strada immobile di fronte a loro, la propria attenzione focalizzata sul mero respirare. Soffocò malamente uno sbadiglio, le palpebre ispessite dai quieti rumori di Londra. «dobbiamo andare a dormire.» non poteva parlare per Karma Montgomery, ma di certo lui non lo voleva. Si sarebbe costretto a rimanere sveglio fino all’alba, se avesse significato averla al proprio fianco.
    Che idiota, era diventato.
    Probabilmente, l’avrebbe anche fatto, se solo. Se solo, istintivamente, non avesse preso la mano di Karma e non l’avesse portata alla propria bocca, le labbra ancora ad indugiare sul dorso di lei.
    Ma
    Quand’era successo.
    Non aveva mai dato quel comando al proprio corpo, ne era certo. Rimase immobile come un cerbiatto di fronte ai fari di un automobile, gli occhi spalancati e le spalle irrigidite mentre il cioccolato delle proprie iridi si schiantava sul mai pacato oceano di quelle di lei. Madonnaemanuele, Stiles. Deglutì, ed un soffio di fiato planò dolcemente sulla pelle chiara di Karma. «ecco…» cauto, la lentezza che avrebbe riserbato ad una bestia feroce, senza mai distogliere lo sguardo dalla Monty – temendo forti, violente ripercussioni- poggiò la mano di lei dove l’aveva trovata. Avrebbe voluto dire che non era come sembrava, ma era esattamente così - si sentiva il maniaco delle Charlie’s Angels, quello che annusava i capelli.
    Schizzò in piedi, improvvisamente sveglio ed agile quanto mai ricordava di essere stato in vita sua. «lastradalasai BUONANOTTEMONTY»
    Quando Karma Montgomery rientrò in casa, Andrew Stilinski era ancora sveglio. Ascoltò i passi di lei, delicati come ali di farfalla, indugiare sull’entrata ed infine salire le scale verso la camera – ed ancora cercò di sentirla, malgrado i muri a distanziarli.
    Quella notte, Stiles non dormì – eppure sognò.
    E forse, un sogno, lo era stato tutto.
    Non mi dispiaci, Stilinski.
    Anche tu mi piaci, Monty. Maledettamente troppo.
    - rule #1 never be #2 - code by ms. atelophobia
     
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