some people are just born with tragedy in their blood

run x tiff

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    Mirror mirror on the wall
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    « if i stay here, trouble will find me »
    20 y.o. ✕ mimesis ✕ the mutation ✕ meant to be ✕ oathbreaker ✕ 9.06.2016
    Tic toc, Run.
    Sempre questione di tempo, in un mondo nel quale il tempo non aveva importanza. Se voi aveste saputo con estrema precisione il giorno della vostra morte, cosa avreste fatto? L’anno prima, il mese prima, la settimana prima, il giorno prima. Come avreste programmato la vostra vita, sapendo che i granelli divenivano sempre più radi nella parte superiore della clessidra? Avreste trattenuto il fiato, mentre la sabbia dorata scivolava sul vetro? Heidrun Ryder Crane, come ogni essere umano, era nata per morire. La differenza era che lei sapeva con esattezza quando sarebbe avvenuto; ed avrebbe dovuto avere paura, avrebbe dovuto provare a combattere. Ma era brava, troppo brava, ad accettare passivamente il percorso scelto da altri per lei. Che poi nel mentre si perdesse, facendo di testa propria, era ormai ovvio a chiunque avesse avuto il piacere di conoscerla. Eppure era incapace, fanciulla senza età, a muovere i primi passi verso una direzione nuova. Non sapeva scegliere, ed anche quella non era una novità; le uniche volte in cui aveva scelto, qualcuno era morto.
    Insomma, ad una certa, cominciava a farsi due domande anche lei. Non era la più coraggiosa, Heidrun, né la più altruista. Era codarda, ed era egoista. Lo era sempre stata.
    Tic toc, Run.
    La leggenda narrava che non bisognasse mai lasciare questioni in sospeso. Finchè c’era tempo, bisognava chiedere perdono, confessare le proprie colpe e peccati; non lasciare nulla a metà, ricordare a qualcuno quanto lo si amasse, ringraziare, e mandare a fanculo il resto del mondo. Magari gridare, correre sotto la pioggia per sentire ogni fredda goccia scivolare sulla pelle. Ma Run, Heidrun Ryder Crane, non era brava in quelle cose. Doveva essere una specie di handicap, qualcosa di sbagliato nella sua programmazione. Semplicemente, non ne era capace. Le piacevano le sue questioni in sospeso, aquiloni lasciati a vagare nel cielo senza una meta. D’altronde lei non avrebbe avuto più tempo per rimpiangerlo, e chi fosse rimasto sarebbe stato molto più felice senza un addio. Cosa avrebbe dovuto dire, poi? Mi dispiace Emerald, non avevo altra scelta. Menzogna. Mi dispiace Aveline, non volevo finisse così. Menzogna. Scusami Shane, non avevo intenzione di farti del male. Menzogna. Cornelia…non ho potuto fare nulla per te. Menzogna. Si sentiva in colpa per non aver fatto niente per evitarlo, ma non per loro; per sé stessa, sempre sé stessa, che non aveva avuto il coraggio di ribellarsi –neanche ci aveva mai pensato. Aveva potuto scegliere? Si era sempre detta di no, ma non era del tutto vero. In qualunque momento avrebbe potuto decidere che no, le stavano chiedendo troppo; che non l’avrebbe fatto. Le avevano fatto credere che fosse giusto, l’avevano plasmata come calda argilla in un vaso. L’avevano cambiata, ma dire che fosse stata impossibilitata a dire no, sarebbe stata una bugia. Non sarebbe stata in grado di scusarsi con nessuno di loro: non avevano bisogno di altre verità fallaci, aveva già fatto abbastanza. Sicuramente non sarebbe stata in grado di dire addio ai Milkobitch, a Lienne, o ai UBitch. Lei era tipo da ciao troiette, al massimo. Senza contare che la Crane era l’apogeo delle promesse mancate, e non sarebbe sembrato assurdo per nessuno di loro se, di punto in bianco, fosse sparita. Potevano immaginarla in viaggio per il mondo, documenti falsi e missioni segrete alla James Bond. Non dovevano necessariamente sapere tutto, cosa sarebbe cambiato? Se preferiva che credessero li avesse abbandonati? Hell yeah.
    Tic toc, Run.
    Ed era per quello che si era buttata in ogni missione anima e corpo, senza davvero preoccuparsi delle conseguenze. Era per quello che aveva sfidato il proprio fegato, notte dopo notte, con la benzina di Spaco. Era per quello che non aveva mai preso sul serio la morte, un concetto inalienabile dall’esistenza di ogni uomo. D’altronde, sarebbe arrivata per tutti: che differenza faceva, se per lei arrivava un po’ prima? Era pronta? Probabilmente no. In realtà, non si era mai posta la domanda. Procrastinare era uno stile di vita. Però era certa di una cosa: se doveva morire, voleva farlo secondo le sue regole. Per questo si era ritrovata più volte a sfidare la sorte, sorridendo ad Emerald quando ne incontrava gli occhi chiari in giro per Hogsmeade. Per questo, se Cornelia ci avesse provato, non l’avrebbe fermata. Per questo spesso aveva riflettuto sulla possibilità di dire a Gemes Hamilton che era stata lei a portarlo nei Laboratori. Preferiva fossero loro a prendersi una meritata vendetta, piuttosto che dare un’altra, l’ennesima, soddisfazione ai suoi adorabili nonni. Perché non l’avesse mai fatto? Che domanda stupida.
    Run non voleva morire.
    Ma era anche stanca di fuggire.
    Tic toc, Run.
    Non era mai stata una ragazza dentro gli schemi, Heidrun Ryder Crane. Sempre fuori dal quadrato, ad osservare l’ordine altrui chiedendosi come potessero quattro linee contenere tutti quei mondi; soprattutto, come potesse lei non avere nessun confine. Significava forse che non aveva un mondo suo? D’altronde si soleva dire che quando si aveva tutto, in realtà, non si aveva niente. Pensieri distratti per una mente distratta, strategie di fuga per una vita troppo stretta nella sua larghezza. Aveva provato, inizialmente, a lasciare più spazio fra sé ed i suoi fratelli, ma non era abbastanza coraggiosa. Erano gli unici che avesse mai cercato di tutelare, ma le sue spalle erano troppo esili per reggere quel peso da sé. Con gli altri, non ci aveva neanche provato. Erano entrati nella sua vita senza neanche farlo apposta, inciampando fra stupidi balletti e stupidi trichechi. Capite? Ormai erano lì, e non c’era un modo semplice per andarsene –ma neanche uno difficile, era semplicemente così. E poi c’era Al (-cit.). Il Labirinto, i Laboratori, ed ancora non sapeva niente di lui. Il Labirinto, i Laboratori, ed ancora non sapeva niente di lei. Meglio così, sicuramente. Se avesse visto solo una parte, quella contenuta nella collana, suo padre avrebbe sofferto di più –per Jo, non per Run; era sempre così-, e sicuramente si sarebbe sentito in colpa malgrado non c’entrasse assolutamente niente. Era finito nel bel mezzo di una guerra nel quale non era stato altro che uno strumento: erano problemi degli Harvelle, non suoi. Ma come avrebbe fatto a spiegarglielo? Ed ecco perché odiava Jo. Come aveva osato morire, lasciandola da sola in tutta quella merda? Lei, che certe cose proprio non le sapeva fare. Non capiva di cosa le persone avessero bisogno, non lo sapeva. Adattava il proprio metodo di misura anche agli altri, e personalmente lei non avrebbe voluto sapere un cazzo, di una figlia spuntata da chissà dove. A che pro, poi? Tanto era già morta. Forse avrebbe dovuto saltare i convenevoli della bambina che sorrideva radiosa sull’altalena, saltando direttamente a quella nel quale la stessa bambina, ormai ragazza, rapiva altri bambini per portarli nei Laboratori. Magari avrebbe dovuto mostrargli Aveline, con quei troppo grandi occhi verdi e quella supplica a fior di labbra. O forse Emerald? Sembravano essere così amici. Peccato non fosse così coraggiosa. Preferiva che non sapesse nulla. Potete biasimarla? .
    Ma non aveva più importanza, forse non l’aveva neanche mai avuta. Era destino che finisse così, senza mai finire realmente. Era un errore di calcolo, neanche avrebbe dovuto essere lì.
    Aveva sbagliato tutto, e c’era solo un modo per rimediare.
    Tic toc, Run.

    «heidrun» ah, solamente Jade Beech poteva emettere quel basso ringhio adirato e disperato al contempo, concentrando un mare di parole in sole due sillabe. La camera della Crane, dov’ella si trovava e dal quale aveva sentito giungere l’asciutto ed ancestrale heidrun, era un magnifico guazzabuglio di cose (e spesso di persone) sparse a caso sul pavimento, sulla scrivania, nell’armadio, sul letto. Specialmente sul letto, considerando che occupava gran parte della stanza: c’erano più cuscini di quanto fosse umanamente possibile, e più coperte di quanto non fosse necessario ad inizio giugno. Forse. «penso sia arrabbiata» ammise, ruotando gli occhi dalla porta bianca ad Eugene Jackson, lasciando che un sorriso brillasse nelle iridi verdi. Aveva cercato di trascinare entrambi a dormire con lei, ma la Corvonero, come al solito, faceva la sostenuta.
    Mai iniziare una guerra del genere con Heidrun Ryder Crane. Vendetta vera, Beech.
    La porta si spalancò sbattendo con forza contro il muro, mentre una contenuta Beech la guardava in cagnesco dall’uscio, tremando negli abiti leggeri che quell’estate avrebbe richiesto. «freddino, beech?» domandò con innocenza, prendendo la grande ciotola di caramelle dal centro del letto. Erano tipo le gelatine tutti i gusti + 1, però versione alcolica: era un regalo di Jeremy e Todd, ma era quasi certa che Todd non sapesse della ricetta speciale, che avrebbe dovuto tenere per la festa che avevano organizzato per il giorno dopo. Considerando che non sapeva se sarebbe sopravvissuta abbastanza da mangiarle, aveva deciso di correre il rischio di farli arrabbiare. Ne lanciò in aria una per sé ed una per Euge, mentre Jade faceva la signora e cercava, con scarso successo, di non imprecare in trichechese. «tu hai freddo?» domandò al Pavor, girandosi abbastanza da guardarlo. Erano entrambi spiaggiati sotto al piumone, e Run era rannicchiata contro il suo fianco. «naah» «neanche io» fece schioccare la lingua in direzione di Jade, il cui delicato sopracciglio pareva avere un tic nervoso. «cos’hai fatto?» La Crane si portò una mano al petto, spalancando la bocca con sorpresa. «perché credi che abbia fatto qualcosa?» «perché siamo a cinque maledetti gradi, ed è giugno» ops, i did it again. Si morse il labbro inferiore, sbattendo languidamente le ciglia. «io sto bene» Scrollò le spalle, prendendo un’altra caramella. Alzò ritmicamente le sopracciglia ammiccando alla bionda Corvonero, picchiettando sul letto di fianco a sé. «il letto è grande» «ti odio» «non è vero» Era un sorriso quello? «se togli i vestiti ti scaldi prima» all’occhiataccia rispose alzando le mani in segno di resa. «è scienza» insomma, tentar non nuoceva. Probabilmente se fosse stata una notte come le altre, Jade non avrebbe smosso il suo culo neanche se fossero andati sotto zero; anzi, piuttosto di darla vinta a Run, avrebbe dormito abbracciata a T Jade. Ma la Crane aveva rotto così tanto i coglioni, che perfino la Beech aveva dovuto capire che qualcosa non andava. Necessitava solo di una spintarella, l’algida e frigida piccola J senza T. E poi, se quella doveva essere l’ultima notte di Run, non poteva perdersi l’opportunità di rompere le palle ai suoi coinquilini preferiti. Proprio non poteva. Li amava con troppa sincera devozione, per poterne fare a meno. Si alzò sui gomiti mentre Jade si infilava sotto le coperte, sussurrando all’orecchio di Euge un veloce: «visto, malfidato? è arrivata entro l'ora, ho vinto io; il prossimo giro da Spaco lo offri te» «Jade, non potevi aspettare ancora mezz’ora? Che delusione, mi aspettavo grandi cose da te» «cosa?» «NIENTE» Infilò una manciata di caramelle in bocca al Jackson, sorridendo sorniona a Jade la quale, come al solito, esprimeva solamente voglia di morire. Quanto la amava quando fingeva di odiarli. Quando furono tutti e tre sotto le coperte, Heidrun si rannicchiò maggiormente fra i loro corpi, sospirando felice, quindi battè le mani per spegnere la luce. «ma che roba trash, la luce funziona battendo le mani?» «sì» «davvero?» «toh» Run battè le mani, illuminando nuovamente la stanza a giorno, mentre quando il Pavor ci provò, non accadde nulla. Era necessario dirgli che in realtà aveva preso in prestito il potere dell’elettrocinesi? Nah.«eh no jackson, la prima volta deve riconoscerti, quindi devi battere le mani a ritmo di wannabe così registra il suono» Ci provò davvero, e per quello lo amò un po’ di più. «non funziona» «prova con toxic» ci provò. «mi stai prendendo per il culo vero?» chi, lei? Alzò lo sguardo verso gli occhi azzurri di Eugene sporgendo il labbro inferiore all’infuori. «mi credi così bitch?» «no, sei troppo poco bionda per essere una beech» BOOOOOOM. Gli battè il cinque ridendo, soffocando così il sospiro da lord take me now, but better if take loro due di Jade. «bambini, se avete finito…» e dire che non avevano ancora iniziato. Spegnendo le luci, sorrise fra sé, ed alzò gli occhi sul soffitto. Centinaia di stelle brillavano sullo sfondo scuro, dando la distorta impressione che non fossero in una camera al chiuso. Sapeva che a nessuno dei due importava particolarmente di quel finto cielo, e che ne avrebbero fatto volentieri a meno. Magari lo ritenevano stupido, di sicuro superfluo, ma l’avevano aiutata comunque perché sapevano quanto lei ci tenesse. Era stato in quell’esatto momento, istante fra altri istanti, che aveva capito quando a fondo si fosse lasciata trascinare. Non c’era stata propriamente la fila, nella sua vita, di persone che per lei avrebbero fatto una cosa del genere. Ed era una cosa sciocca, infantile, ma per lei era valsa i mille grazie che non si erano, né mai si sarebbero, detti; quei vi amo detto scherzosamente con il sorriso di chi però un po’ ci credeva. Il silenzio si fece spesso e serio, mentre Run scivolava nell’abisso scuro di quello che non aveva mai detto. Si mise su un fianco, trascinando il braccio di una Jade arresa all’evidenza sul proprio fianco, e poggiando poi la testa sulla spalla di Euge. Quello era il momento in cui avrebbe dovuto dire loro qualcosa, lo sentiva premere sul palato. Ma non lo sapeva fare, nessuno glielo aveva mai insegnato. Jo pensava di avere più tempo, e Bradley pensava fosse tardi. Gli Harvelle le avevano insegnato ad uccidere, come i Milkobitch le avevano insegnato a proteggere; Shot le aveva insegnato a sopravvivere, ma nessuno si era mai sprecato di dirle come vivere. L’aveva fatto? L’aveva mai realmente fatto? Pensò a Jeremy e Todd, alla conversazione riguardo la festa di compleanno organizzata per il giorno dopo che si trascinavano appresso da mesi. Ripensò al sorriso di Ian, quando le aveva domandato se poteva portare i palloncini, ed a quello ironico di Jeremy quando aveva chiesto, rimembrando le priorità, se poteva portare la droga. Run aveva riso, trovando in quella familiarità tutto ciò che le era mancato, e tutto ciò che aveva sempre avuto. Le persone non se ne andavano mai, rimanevano sempre appena poco sotto la pelle. Indipendentemente da quello che aveva fatto, da chi era stata, loro erano rimasti con lei in ogni cosa. Sentì il respiro regolare dei coinquilini, caldi contro la sua pelle, e ripensò a tutte le persone che aveva conosciuto. Al, Lienne, Gemes. Ma chi, quando lei non ci fosse più stata, gli avrebbe ricordato di non dormire? Doveva lasciare un appunto a Shia.
    E sì, aveva vissuto.
    «esprimete un desiderio» sussurrò, guardando il soffitto. «è una cosa stupida» «lo so» si odiò per quel tono appena bisbigliato, lo sguardo fisso sulle false stelle che cominciarono, sotto i suoi occhi, a divenire più luminose. La prima stella cadde, facendo sorridere Run. Realtà artistica. «sono solo sferoidi luminosi di plasma che generano energia nel proprio nucleo attraverso processi di fusione nucleare, non possono esaudire desideri» la smorfia si fece un po’ più vecchia, dal sapore antico; quel sorriso che i genitori rivolgevano ai figli quando dicevano qualcosa di adorabile ed ingenuo, triste perché sapevano che, prima o dopo, avrebbero perduto quell’innocenza. «lo so» «e allor-» Run la mise a tacere stampandole un bacio sulle labbra, ricevendo in risposta l’ennesimo grugnito felice «non ha importanza» ed invece un po’ di importanza ce l’aveva sempre. Mancava solo T Jade, e poi il quadretto era perfetto: quando lo fece notare, però, la risposta fu unanime da entrambe le parti. «NO» «okay, scusate» Si accoccolò contro di loro, volgendo un fugace pensiero al suo tricheco preferito. Se aveva abbassato la temperatura, non era solo per convincere Jade a dormire con loro, ma anche per far sentire a proprio agio the danish walrus. Schioccò un bacio anche sulla spalla di Euge, prima di dar loro la buonanotte. «ciao troiette»
    Se quello era un addio, a Run andava bene così.

    Se n’era andata alle prime luci dell’alba, senza mai guardare indietro. L’ultima volta che l’aveva fatto, con quel tornerò a prenderti appena sussurrato dal davanzale di una finestra, non era andata a finire bene. Se n’era andata, perché se fosse rimasta magari avrebbe preferito fingere che non fosse così inevitabile, che poteva ancora evitarlo. Ma non era vero, non era vero, non era vero. Il suo sangue aveva qualcosa di sbagliato, di corrotto, ed era appena diventata una fottuta insegna con su scritto prendetemi a calci, visibile ai Dottori ovunque avesse cercato di nascondersi. Uno dei motivi per i quali aveva ritenuto sciocco fuggire, senza contare che era stanca. Troppo stanca. Se n’era andata alle prime luci dell’alba, rifugiandosi da Spaco per l’intera giornata, immaginando i Milkobitch che finivano i preparativi per la festa di quella sera. Solamente loro sapevano che era per il suo compleanno, un dettaglio che aveva ritenuto superfluo ai fini della storia: una festa era sempre giustificata, no? Damn it, era una festa! L’evento del secolo, l’aveva definito parlandone con i due ragazzi. L’unica cosa che non aveva menzionato, era che lei non ci sarebbe stata. Aveva svuotato la benza di Spaco, riuscendo perfino a beccarsi un affettuoso «troietta, era l’ultima bottiglia» e brancolante era uscita dalla bettola, senza sapere con esattezza cosa fare di quella giornata. La sua adolescenza era ufficialmente finita, lasciandole l’amaro sapore in bocca di qualcosa che non era mai iniziato. Come li chiamavano? Roaring twenties. C’era una concreta possibilità che fosse il suo ultimo compleanno, e Run aveva ritenuto opportuno passarlo da sola, spegnendo le candeline su un Tequila Boom Boom ed una sigaretta lasciata a bruciare da sé.
    Masochismo level Spaccagioia: qualcosa da Al doveva averlo preso. Era la sua merda, e non poteva lasciare che altri vi affogassero insieme a lei. Una fottuta questione di principio. Erano le sue cazzo di regole, cazzo. Così nessuno, men che meno Run, seppe come fosse riuscita a giungere nel tardo pomeriggio a Londra, davanti alla villa degli Hamilton. Nel pugno una collana, stretta così forte che la catenina aveva cominciato a scavarle solchi nella carne. Per quanto rimase, fuori da quel cancello? Abbastanza da attirare l’attenzione di qualcuno. «devo morderti?» wat. La cosa più strana, fu che non rimase particolarmente colpita da un affermazione del genere, non nei dintorni della Buckingham Palace degli esperimenti. «devo morderti?» ripetè, più insistente.
    Fu allora che lo vide.
    «ehi, bello» si chinò, sfiorando con le ginocchia il suolo, chiamando a sé … la cosa. Non era un cane, malgrado ne avesse le sembianze. Forse aveva davvero esagerato, con il rum sottobanco di quel panzone biondo di Spaco. «devo morderti?» «come ti chiami?» «devo morderti?» avrebbe dovuto immaginare che un cane con un corno da unicorno non potesse brillare di intelligenza. «perché dovresti mordermi?» «la domanda giusta è: perché non dovrebbe?» Ruotò gli occhi su qualcuno, mettendolo a fuoco con una lentezza esasperante. C’erano poche certezze nella vita, ma di una Run sarebbe sempre stata sicura: Rea Hamilton, e la sua naturale inclinazione ad apparire quando meno c’era bisogno di lei (ossia sempre). Rispose all’occhiata ironica stringendosi nelle spalle, mentre Rea distoglieva l’attenzione per riportarla, con disgusto, sulla creatura. «carlos, torna a prendere a testate Brandon per favore» «ma ha un corno» Il sopracciglio della Hamilton schizzò verso l’alto, ma Rea non commentò quello che ritenne ovvio non dover specificare. Con il senno di poi, era stata una domanda stupida. «sai cos’è questo?» «un campanello» «e lo sai a cosa serve?» il tono della mora, quello che si usava con i bambini autistici, non le piacque per un cazzo, motivo per il quale si meritò un middle finger in the air ‘cause she don't really care. «se vuoi entrare, basta suonare» «chi ha detto che voglio entrare?» «dolcezza, non peggiorare la già non troppo alta considerazione che ho di te» «ti voglio bene anche io» Silenzio. «devo riferire che sei passata?» da quando Rea Hamilton si offriva di fare da segretario a qualcuno? La osservò, notando il vago sorriso enigmatico sulle labbra sottili. Ah già, non lo faceva. «non ha importanza»
    Ed invece un po’ di importanza ce l’aveva sempre.

    Inspirò, spegnendo il telefono che aveva cominciato a squillare. Inspirò, zucchero filato sulla lingua ed un altro profumo, più dolce e nauseabondo, sulla pelle. Gli avventori se n’era già andati, lasciandosi alle spalle le cartacce della giornata, le risate, i gorgoglii felici dei bambini nei passeggini. Non era rimasto nulla, se non il vago sentore di abbandono che caratterizzava sempre i suoli pubblici quando non vi risuonava più alcun passo. Le giostre avevano smesso di funzionare, ma le luci erano ancora accese: rosse, verdi, e gialle, danzavano in maniera alquanto drammatica sulla pelle di Run, lasciandola esposta e nuda. Malgrado facesse caldo, aveva freddo. Malgrado fosse lì, non sapeva come ci fosse giunta. Daje che magari muoio prima di coma etilico. Purtroppo non era così fortunata, e la sbronza stava perfino scemando, lasciandola… vuota. Quando non c’era nessuno a riempire quel languore, Run era sempre vuota.
    E non aveva detto che le dispiaceva
    E non aveva mantenuto le promesse
    E non aveva salutato
    E Ian aveva portato i palloncini. Alzò gli occhi al cielo, di quell’azzurro sporco e prepotente che antecede il tramonto. Era ancora in tempo a tornare indietro, prima che fosse troppo tardi.
    Ma era già tardi, sempre troppo tardi.
    Il primo brivido, non più dovuto al freddo, le fece socchiudere le palpebre. Non ci voleva un genio a capire che non era più sola.
    Ma, vaffanculo!, cominciava ad avere paura. Non era così che voleva morire.
    Anzi, che cazzo, potendo scegliere preferiva non morire affatto. Non era più tempo per le scelte, sempre che mai lo fosse stato. Ironico che fosse colpa sua, ed allo stesso tempo non lo fosse affatto.
    Tic toc, Run.


    - rule #1 never be #2 - code by ms. atelophobia


    Edited by m e p h o b i a - 5/1/2017, 00:54
     
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