from burundi with love

stiles x BELLOSUOBIMBOSTICA ♥

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    andrew "stiles" stilinski
    « i am not totally useless, i can be used as a bad example »
    19 y.o. ✕ ex hufflemuffin ✕ psychowat? ✕ the fremell più bell ✕ proud daddy
    Non avrebbe dovuto essere così difficile, nei film appariva un gioco da ragazzi. Un piede lì, una mano lì, ed il cancello era scalato; ma nella vita reale, lettori, era tutta un’altra storia. «dannazione!» provò un’ultima volta, aggrappandosi alle sbarre del cancello di villa Hamilton, le mani strette attorno al metallo ed i piedi che cercavano appigli inesistenti. Aveva già perso decine di anni di vita scivolando al suolo, recandosi varie contusioni nel delicato e pallido corpo, ma era un Tassorosso: e si sapeva, che i Tassi non si arrendevano mai. «tua mamma… ah, no» digrignò i denti, cercando di incastrare la testa nel ferro per avere un ulteriore sostegno. Qualcuno si schiarì la voce, strappandolo dalle sue fantasie di ninja mancato e facendolo capitolare, ancora una volta, per terra. Si massaggiò la base della schiena, respirando affannosamente, quindi strizzò le palpebre con una smorfia alzando gli occhi sul ragazzo. «potevi suonare» beh, detta così, lo faceva sembrare molto stupido. Perché non ci aveva pensato?
    Ah sì, perché voleva passare inosservato, dato che quell’ambiente gli suscitava un misto non indifferente di confusione e terrore puro. Quindi sì, aveva ritenuto opportuno darsi al parkour. «mi piacciono le sfide» deglutì, passandosi il dorso della mano sul mento per asciugare i poco romantici fili di bavetta dovuto al respiro troppo ansimante. Soffriva d’asma? Oddio, soffriva d’asma? Non lo sapeva. Come si faceva a sapere? Oddio, sarebbe morto perché non sapeva di soffrire d’asma. Che modo di merda per lasciare quella terra. «vuoi entrare o dovevi solo approcciarti con il nostro cancello?» NOSTRO? Non era il giardiniere? Oddio, chi era. Sapeva che avrebbe dovuto saperlo, ma non lo sapeva comunque. Davvero, da bravo fremello, un giorno, aveva fatto sedere Jay e Xav in circolo e si era fatto scrivere i nomi di ogni abitante della casa, con annessa una piccola descrizione (aka : psycho, evitalo, sociopatico, non parlarci, anormale, ti piacerà un sacco), dato che ormai passava più tempo a bussare al loro capezzale (wat) che a casa propria. Che c’è? Aveva bisogno della sua famiglia, era un momento tragico e topico della sua esistenza. «tu sei brodino! Che bella fanciulla» il ragazzo corrugò le sopracciglia, sempre dall’altra parte del cancello, senza accennare una conferma o una negazione. Stiles lo prese come un sì –lui prendeva tutto come un sì. Brodino si strinse nelle spalle. «tu sei l’Altro?» dai, l’avevano chiamato in modi peggiori. Annuì, alzando le mani. «sì, beh, three is the magic number» chissà se Brodino stesse tastando il territorio per scoprire il modo più malvagio ed efficace per ucciderlo. Che poi, si chiamava davvero Brodino? Ma che nome era? Tipo… Brotheeno? Brutheeno? Bruttino? No dai, era carino. Quasi il suo tipo, se solo non avesse avuto una ragazza.
    Ma aveva una ragazza?
    E quello era proprio il motivo per il quale stava attentando alla propria vita, cercando di entrare a villa Hamilton.
    Non lo sapeva. Cioè, come si faceva a sapere? Non è che ne avessero propriamente parlato, era successo. Cosa? Non lo sapeva. Che poi, perché stava cercando supporto nei fremelli? Perché in loro aveva fiducia, malgrado invero ne sapessero meno di lui (o paccassero la ragazza sbagliata, justsayin). Avrebbe voluto chiedere a Jack, ma andiamo! Era il consulente scolastico, psicomago per eccellenza (quale eccellenza?) doveva mostrarsi forbito e conoscente (si, proprio conoscente). Isaac? Ma no, avevano un figlio insieme. Non poteva andare a chiedergli consiglio sulla sua (forse???) ragazza, sarebbe stato rozzo e rude. Dakota? Dakota era Dakota, certe cose non le capiva. Così casto e puro (credici Stiles). Arthea? No, che imbarazzo, non potevano affrontare un discorso del genere. NICK? Nick era nella sua stessa situazione, probabilmente si sarebbero ridotti a cercare prima su google i dieci segni per capire se lei è la tua ragazza, e poi si sarebbero persi su youtube a guardare video di lama che andavano in bicicletta. SHANE? Shane aveva perso la memoria, quindi… beh, insomma, non sapeva quanto sapesse sulla vita di coppia.
    Insomma, aveva bisogno di quei bastardi infingardi dei fremelli, e loro facevano i preziosi poggiando le loro chiappe su wc dorati (in realtà sapeva che i wc non erano dorati, dato che era stato nei loro bagni… ma lui li immaginava comunque così). «no vabbè, vorrei entrare, se possibile. se non disturbo» L’occhiata che il ragazzo gli lanciò, lasciò intendere che se quella era la sua versione del non disturbare, non voleva sapere quale fosse l’alternativa. Però fece spallucce, toccando un mistico tasto (probabilmente roba alla 007 che riconosceva l’impronta digitale, o che spillava un po’ di sangue e apriva solo agli Hamilton) che fece aprire il cancello, dove Stiles entrò di soppiatto come Indiana Jones.
    Indiana Stiles.
    Ma adesso, adesso inizia la vera storia. Un documentario che, un giorno, sarà di vitale importanza per comprendere la fauna del luogo. Fauna Hamilton.
    «e comunque mi chiamo amos» Stiles annuì, come se l’avesse sempre saputo. Era quasi certo che nessuno dei fremelli l’avesse mai chiamato così, ma essendo in casa del nemico, non poteva permettersi passi falsi. Doveva sopravvivere, per l’onore e la gloria. «cerchi xav e jay?» di nuovo annuì, decidendo che fosse la mossa migliore. Era abbastanza sicuro che se avesse cominciato a parlare, la voce sarebbe uscita in squittii acuti alla 4 non blondes. Lo seguì all’interno della casa, e cominciò l’incubo. «santa madre del signore dei rastrelli, che fa rima con fremelli (!!!!!!), questo è…» «benvenuto a villa hamilton» con un tono palesemente ironico, Amos gli indicò con un cenno l’atrio, del quale Stiles era già stato ospite a Capodanno. Ma aveva pensato, erroneamente evidentemente, che fosse sovraffollato solamente durante le feste. E invece no. Così lui, sporco di terra, sangue e disonore, si ritrovò a sfilare fra sguardi truci e sorrisi melensi. Quando Amos fece per andarsene, Stiles si aggrappò con forza al sua braccio. «plis don’t leave me» tanto, si sapeva sin dall’inizio, Andrew non aveva una reputazione da difendere. Eppure, in extremis, cercò di salvarsi. Lo lasciò, rassettandosi la camicia, e si schiarì la voce con quanto più tono signorile riuscì a darsi. «no, cioè, intendo. Non so dove andare» che in realtà era vero.
    «ancora lui?» Stiles si irrigidì quando Rea puntò gli occhi scuri su di lui, e quando guardò Amos in cerca di sostegno, si rese conto che si era allontanato di un passo, come se non lo conoscesse. Really man? Really? Tradimento. Aggrottò le sopracciglia e scosse il capo, mentre l’altro si limitò a fare spallucce. Che castaioli. «chi è?» «l’Altro» Amos rispose all’altro Hamilton della scala (aveva un nome?? Jay glielo aveva detto, ma Stiles era stato troppo concentrato a udire dinkleberg al posto del vero nome, dato il tono utilizzato dal telecineta). Ah-ha. AH-HA, no. Smettila di sorridere, non guardarmi. Smettila, sul serio. Stiles alzò la mano e salutò, come la regina elisabetta in tempo di carestia, guadagnandosi un altro sorriso poco amichevole. «adorabile» ew, ma poteva accettarlo. «smettetela di spaventarlo, è solo un ragazzino» Stiles rabbrividì, letteralmente. Qualcuno, una donna, gli aveva posato una mano sulla spalla, facendo penetrare attraverso il sottile strato della camicia, della fottuta brina. Oddio, era una trappola.
    Fremelli, giuro su Morgan che avrò la mia vendetta.
    «stavo solo, io beh, ma posso passare un’altra volta» Fece per volgere le spalle all’allegra compagnia dell’anello, così da uscire dal luogo di perdizione, quando un braccio gli si poggiò sulle spalle, trascinandolo nuovamente al centro della pista. «noo, ci vuoi già lasciare? Avevamo appena cominciato a divertirci» Riuscì a vedere a malapena la bocca sotto lo spesso strato di peluria (detta anche barba), ma la risata che brillava negli occhi chiari non gli piaceva. Davvero, plis, lasciatemi andare. È stato un errore. POI LO VIDE. Xav? Jay? A chi importava, era uno dei due. Scivolò fra la folla, che lo seguiva con sguardo famelico, per lanciarsi fra le braccia del fremello di turno, annaspando alla ricerca di ossigeno. Gli strinse gli avambracci con forza, forse un po’ troppa, ma non ebbe il tempo di specchiarsi negli occhi caramello, che questi cambiarono sfumatura, divenendo più scuri. Le braccia si ispessirono, ed il sorriso non era più quello dei Fremelli. «ops» Lo lasciò improvvisamente, quasi si fosse ustionato al contatto, ed indietreggiò di un passo. Ma cos’era, il fottuto circo degli orrori? «plagio. Plagio!» lo ammonì, alzando l’indice verso il petto di quello che divenne Mistica, dato che cambiava aspetto come lei (nome sconosciuto, aspetto non familiare, ma chi sei?!). «Sali le scale, la terza e la quarta porta a destra» Se la situazione non fosse stata incredibilmente critica, forse l’avrebbe baciato. Ah, era quello che era andato al campo hamish con Jay! Gli sorrise sollevato, dandogli una pacca sulla spalla quando superò tutti per raggiungere le scale. «io beh, grazie» di nulla, stronzetti spocchiosi. Buuuhhh. Ovviamente, quando alzò lo sguardo sulle scale, si accorse che Xav era poggiato alla balaustra con i gomiti, e si era goduto tutta la scena. All’occhiataccia di Stiles, rispose alzando un sopracciglio. «volevo vedere quanto ci avresti messo a metterti in imbarazzo, ma sono arrivato tardi di diciannove anni» ah ah ah how about no. «sei una bagasha» «lo prendo come un complimento» «ho bisogno di un consiglio» Prima o poi il sopracciglio del pirofremell, si sarebbe staccato a furia di inarcarsi. Anche Stiles sapeva inarcare le sopracciglia, ma nessuno era bravo quanto Xavier Stevens: lui riusciva a metterci uno sdegno ed un’ironia così pungente, che Andrew riusciva a sentirsi sempre molto stupido. Fortuna che era qualcosa al quale era abituato, sopracciglia o non sopracciglia. Comunque, era un’arte, quella di Xav, Io ve lo dico. «vi odio» esordì, entrando nella stanza dove Jay spiaggiava sul letto, lo sguardo che un attimo prima puntava al soffitto, diretto ora verso di lui. «stiles, cosa ci fai qua?» «intendi oltre a farmi vergognare di condividere il suo stesso lignaggio?» «SE CONTROLLASTE WAZZAPP, LO SAPRESTE» mise a tacere Xavier, alzando il tono di voce e tirando fuori il telefono, sventolando la conversazione davanti ai loro occhi. Li aveva obbligati ad una chat di gruppo, proprio per quel genere di emergenze. Inutile dire che non lo cagavano di pezza, neanche se ne fosse andata della sua vita. «ah» «eh già» «qual è l’emergenza?» Stiles sospirò, lanciandosi a sedere sul letto ed evitando, solo per un pelo, il braccio di Jay, che comprendendo le intenzioni del Tassorosso, si era alzato a sedere. Xavier rimase appoggiato allo stipite, con la solita occhiata da judgin you che Stiles sapeva nascondeva tanto amore. «karma» «la tua ragazza?» invece di fulminare con lo sguardo Xav, Stiles mulinò le braccia nell’aria e poi lo indicò melodrammaticamente, guardando allusivamente Jay. «appunto. Non lo so. Cosa significa ragazza?» Solo in quel momento Xavier si avvicinò, attirando l’attenzione del Tasso schioccando le dita davanti alla sua faccia. «vedi, di solito…» chiuse il pollice e l’indice della mano sinistra, ed infilò l’indice della mano destra nel buco. È INUTILE CHE FAI L’ESPERTO XAVIER TANTO LO SAPPIAMO CHE NON SAI NEANCHE COME SIA FATTA UNA VAGINA. «grazie tanto, fremell. Grazie tante. Utile come sempre» Xav ammiccò, tirandogli una pacca sulla spalla. «lo so» «ti odio» «mettiti in fila» «no non è vero ti amo» «ew ho sentito abbastanza, ciaone» e, giuro, se ne andò! Paralizzato dal terrore, guardo Jayson. Davvero, lui aveva bisogno di una mano. Purtroppo per lui, Jayson Matthews non era la persona più adatta a quel compito. Forse Freddie Hamilton, ma probabilmente no, e non perché ne sapesse quanto Jay: semplicemente, sarebbe stato troppo impegnato a decidere quanto stupida fosse la domanda.
    UNA VERA FORTUNA CHE JAY L’AVESSE CONOSCIUTO PRIMA, ALMENO POTEVA AMARLO SEMPRE, ANCHE IN VERSIONE FREDDIE.
    Ma questa è un’altra storia, perché tanto nessuno sa ancora di Jay (figurarsi Jay), quindi andiamo avanti.
    «no davvero fremell, non chiedere a me» «e a chi chiedo, Esteban?» Jay non ci provava neanche più a capire (e neanche Stiles: chi era Esteban? Non lo sapeva, ma suonava bene). «boh, chiedi a karma» Stiles si portò una mano alla bocca, sgranando gli occhi. Stava scherzando? Non poteva chiederlo a Karma! Tipo ehi ciao abbiamo paccato ma quindi cosa siamo? Cioè, tu mi piaci, ma vabbè si sa ciao? «grazie di nulla anche a te, grazie di nulla. E morgan, jasyon, guarda quel maledetto telefono, altrimenti non so con chi allenare il mio fine senso dell’umorismo» questo è un chiaro esempio del senso dell’umorismo di Stiles. Avendo preso il telefono per mostrarlo a Jay in modo da sottolineare la suo esortazione, l’occhio non potè che cadergli sull’ora.
    Ah, ah, ah.
    Allora, lui era in anticipo. Ci avrebbe giurato, anticipo. Si che si era perso cercando di scavalcare il cancello, e sì che aveva amabilmente chiacchierato con i padroni di casa, ma non poteva essere così tardi. Cronocineti bastardi! (no, era solo stupido), «oddiohoilmioprimoappuntamentoalsanmungocosafacciononsoneanchechisia» ansia, ansia, ansia.
    Il giorno prima, Gustav Rogers (il capo del reparto Psicomagia) l’aveva chiamato nel suo ufficio, e Stiles si era sentito un po’ morire. Andrew era stato assegnato ad Hogwarts, dove passava la maggior parte delle sue ore in qualità di consulente scolastico (che culo studenti, eh?) e dove aveva clienti abituali oltre a quelli iscritti allo sportello, come Carrie Krueger; malgrado quell’impiego, però, era ancora uno Psicomago del San Mungo, e Gustav glielo fece notare senza troppi complimenti. Nessuno gli aveva mai assegnato un vero e proprio incarico professionale, nonostante fosse uscito da scuola con il massimo dei voti, e lui non poteva biasimarli: non appariva propriamente come la persona più affidabile sulla faccia della terra, ecco. Eppure, Rogers aveva dovuto affidargli all’ultimo momento un lavoro ad occhi bendati, citando testualmente: un ragazzo relativamente nuovo, e di lui non sapevano ancora nulla. Insomma, niente cartella clinica, e sarebbe stato compito di Stiles compilarla. Troppa responsabilità per un ragazzo così stupido, ma era stato ben lungi dal dirlo: per quanto fosse terrorizzato alla sola idea di quell’incontro, ne era anche lusingato ed emozionato. Il suo primo vero lavoro! E voleva dimostrare,. Stiles, che valeva la pena. Il Tassorosso era un po’ strano, ma andiamo. Non poi più strano di Idem Withpotatoes, eppure lei aveva sempre l’agenda piena.
    Stupide tette.
    «buona…fortuna?» Annuì verso Jay, alzandosi in piedi per rassettarsi gli abiti. «credo di sì» rispostone intelligenti per fremelli delinquenti (wat).

    Caramelle? C’erano. Scrivania? Oddio, che strano avere una scrivania tutta sua. Ad Hogwarts condivideva l’ufficio con Shane (una vera magia: si riusciva a cogliere il tocco disordinato ed ancestrale di Stiles, con carte di caramelle e filtri –colpa di Jeremy- da quello più minuzioso, preciso, e professionale di Shane, con carta e penna sempre a portata di mano). Taccuino? C’era. Il calamaio aveva inchiostro? Ma fuck the system, tanto Stiles usava la bic. Okay, il camice lo aveva? Si guardò, constatando che i jeans e la leggera camicia a scacchi rossi e bianchi erano coperti da un camice azzurro: sembrava un livido, Enzo Miccio non sarebbe stato fiero di lui. Fece una smorfia. Non aveva abiti di ricambio, quindi gli toccava fare la figura del daltonico con il suo primo, ed ufficiale ufficialissimo, cliente. Che bella la vita! Si passò rapidamente le mani fra i capelli cercando, inutilmente, di pettinarsi. Infine si arrese, lasciandosi cadere sulla poltrona marrone che dava le spalle alla grande finestra alle sue spalle. Vera? Nah, era ovviamente finta. In troppi pazienti avevano cercato di lanciarsi giù, perché potessero permettersi finestre reali. Era solo un illusione, ma almeno bastava a rendere l’ambiente meno claustrofobico. Di fronte alla scrivania v’erano due sedie, e poco più avanti una bassa poltroncina marrone, con vicino un tavolino (ancorato al suolo, e di plastica) ed un’altra sedia; una pianta cercava di ravvivare l’ambiente, rendendolo invece, agli occhi di Stiles, ancora più asettico e vuoto. Ma vabbè, punti di vista. Dalla parte opposta vi era invece una grande libreria ricolma di volumi colorati, la maggior parte del quale, a dire di Stiles, erano finti. Sì, se non si fosse capito, aveva poca fiducia nelle apparenze. Fuori dalla porta dell’ufficio v’era il nome Winston, poiché quello era l’ufficio di Wynne. Quel giorno non c’era, per quello era stata sostituita da Stiles. Fortuna che la mamma di Maeve era troppo brava per prendersela con lui, se avesse fatto qualche casino. E se si fosse infuriata, Stiles avrebbe sempre potuto fare gli occhi dolci a Maeve perché mettesse una buona parola per lui.
    Qualcuno bussò. Oddio. Stiles si schiarì la voce, cercando di suonare maturo e competente. «avanti» gridò con voce baritonale, strozzandosi con la sua stessa saliva.
    Certo che era proprio un pirla, Andrew Stilinski.
    - rule #1 never be #2 - code by ms. atelophobia
     
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  2. You Know #Sticazzi?
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    18 y.o. | belloribello | #thiefmaster |
    we're all mad here
    STICAZZI LOVINSKI
    «Mi sembrava di essere stato chiaro. Io dallo strizza cervelli non ho alcuno intenzione di andarci.» Era in quell'ufficio ormai da una buona mezz'ora ed era irremovibile. Sticazzi si era messo a gambe incrociate su quella poltroncina scomoda di finta pelle che aveva visto più sederi di lui... per sua fortuna alcune volte. Era un bambino, il bambino che non ricordava di essere stato veniva fuori proprio in quel momento. Braccia conserte e viso imbronciato. Il mago davanti a lui continuava a guardarlo sbuffando. Non aveva alcuna intenzione di mollare ma quello era l'osso più duro che gli avessero mai dato da masticare. Quando glielo avevano esposto l'aveva trovato interessante, un giovane esperimento che aveva perso la memoria e soffriva di attacchi d'ira incontrollata che gli facevano perdere il controllo... l'aveva trovato subito elettrizzante ma da quando l'aveva visto entrare si era come spento. Avrebbe voluto legarlo e trascinarlo dallo specializzando a cui lo avevano affidato ma sapeva che non poteva farlo. Che poi, perché uno specializzando? Cosa ne sapeva di come trattare un caso come quello? Probabilmente avrebbe fatto più danno che altro ma quello era stato deciso e chi era lui per discutere le decisioni che non erano del suo campo? Si schiarì la voce con aria assorta ed alzò lo sguardo verso il ragazzo. Sticazzi mi sembrava di avertelo già spiegato... Nulla da fare, il ragazzo davanti a lui gonfiò le guance per protesta. Non avrebbe potuto fare altrimenti. Rimasero così, a guardarsi nelle orbite senza dire nulla. Furono minuti interminabili durante i quali nessuno dei due voleva mollare. Il ragazzino voleva tornare dai suoi compagni e fare quello che facevano i wizard della sua età, tuttavia era l'unico che non aveva ancora sostenuto la visita dallo psicologo, obbligatoria per tutti. Ma non era colpa sua in fin dei conti, lui molto semplicemente non si fidava dei dottori ed andava fuori di testa alla vista dei camici bianchi. In fin dei conti si erano presentati così quando l'avevano prelevato, continuavano ad usare quei nomi mentre lo torturavano, li avevano chiamati così quando ormai erano spariti. Dottori, di loro non ci si poteva fidare. «E io le ripeto per l'ennesima volta che non ho alcuna intenzione di farmi neanche guardare da uno di quei bugiardi sfruttatori. E se mi usassero per altri esperimenti?.» Esasperato fino al midollo, l'uomo davanti a lui fece cadere le braccia. Ormai non ne poteva più di quel ragazzo, non poteva più ascoltare la sua voce e nemmeno voleva più guardarlo. Senti, fai come ti pare allora. Detto ciò si alzò ed uscì dalla porta bianca alle sue spalle. Strano, in un anno di discorsi tra i due non era mai successo che quello adulto cedesse contro quello giovane. Con un sorriso di conquista Sticazzi si alzò dalla poltroncina avviandosi verso l'uscita ma quando toccò il pomello una scossa gli percorse il braccio e tutto il corpo fino al cervello. Inizialmente non sentì più le gambe che erano diventate di cemento, poi le braccia che si erano fatte incredibilmente pesanti e rigide. Alla fine sentì una risatina e si voltò, per quel che poteva, a guardare il viso compiaciuto di quel bastardo. Scusa ma l'hanno fatto tutti, ora tocca a te. Il giovane Lovinski ci rimase di sasso. L'avevano ingannato, avevano incantato la maniglia così che non gli permettesse più di muoversi o attaccarli. Provò a divincolarsi ma era cementato li, senza possibilità di movimento. Il suo sguardo si accese ma non era unadelle sue crisi, quella era la rabbia innocente di Sticazzi, un ragazzino ferito che urlava contro alla madre. Stava urlandoin effetti, cose su l'uomo che l'aveva ingannato e su sua madre che è meglio non ripetere. Almeno non in questa sede.
    Quando arrivarono al San Mungo, Lovinski stava ancora gridando come se gli avessero rotto una gamba, invocava i santi del paradiso, Merlino e tutto ciò che poteva nuocere a quelli che erano diventati i suoi aguzzini. Appena vide il primo camice bianco iniziò ad urlare ancora più forte e a supplicare piagnucolante che lo portassero fuori da quell'inferno. Inutile dire che dovette continuare ad andare avanti senza essere minimamente considerato. Più volte fece la figura della donna mestruata con perle del tipo "Perché voi non mi capite" oppure "Mi fa male la testa, andiamo via vi prego." Arrivò pure ad offrire il suo corpo pur di uscire da li ma i tre che lo scortavano non avevano alcuna intenzione di demordere. Quando arrivarono davanti all'ufficio del dottore che avrebbe dovuto incontrare faccia a faccia lo sbloccarono e lui corse subito verso la prima uscita che trovò ma era chiusa. Tutto il corridoio era stato sigillato così che lui non potesse evadere. «Sappiate che vi odio e che me la pagherete.» Disse il giovane ormai rassegnato. Dovette prendere un bel respiro per riuscire ad allungare la mano per bussare ma rimase li, immobile. Non ci riusciva, non poteva bussare. Sicuramente quella porta l'avrebbe portato in una nuova cella dove avrebbero usato il suo corpo come giocattolo, sarebbe stato di nuovo una marionetta nelle mani di persone che dicevano di volere il suo bene ma in realtà non sapevano nemmeno cosa stavano facendo. Una vocina nella sua testa gli sussurrò qualcosa. Ciao caro, sono Scott. Non ti ricordi di me? Beh, se vuoi un consiglio io direi che dovresti entrare, potrebbe essere divertente Ghghghghghghghgh Lo odiava. Non aveva ancora capito chi era che gli faceva quella cosa, che gli sussurrava all'orecchio cosa fare, cosa avrebbe fatto lui al suo posto ma non gli interessava. Voleva solo andarsene da li. Fu qualcun'altro a bussare per lui e dall'altra parte qualcuno rispose. Stica sussultò al sentire quella voce così giovane ma, rassegnato e leggermente più tranquillo, girò il pomello entrando nell'ufficio. Era molto essenziale, le classiche cose come una scrivania, dei fogli, una libreria piena di libri sulla medicina probabilmente e molto altro ancora. Il dottore davanti a lui sarà stato della sua età, forse un anno in più. Era un ragazzo semplice dall'aria quasi simpatica ma aveva provato sulla sua pelle che non bisognava fidarsi delle apparenze. "Carino e coccoloso" era una delle qualità basilari se si voleva essere un medico per gli estremisti. Aveva il camice blu e anche questo era inusuale, sotto no nera elegante anzi, era sporco di terra a livello delle caviglie e quella camicia... beh, Sticazzi non amava per nulla lo scozzese. Mosse qualche passo poi si fermò con la schiena dritta ma senza guardare il medico davanti a lui. «Salve sono Sticazzi Lovinski e, senza offesa, ma preferirei essere ad un appuntamento con un drago piuttosto che essere qui quindi facciamo in fretta.» Disse tremando appena. Era terrorizzato ma doveva stare calmo, studiare tutti i punti dai quali poteva fuggire e quali oggetti poteva usare come arma in casi estremi. Poteva mettersi male seriamente ed avrebbe dovuto essere pronto.
    - sorry dear, i'm allergic to bullsh*t - code yb ms. atelophobia
     
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