running out of oxygen

will x liz

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    Per i giovani lettori, ci tengo a sottolineare che v'è molto turpiloquio.
    Scusatelo, è giustificato #wat



    22 y.o - ex ravenclaw - (ex rebel boss) - Rebel Without a Cause - likewat
    finally found myself, fighting for a change. i know now this is who i really am
    william yolo barrow
    Non c’era posto per nulla, perché nulla esisteva. Non c’era dolore, non c’era tristezza, non c’era rammarico, o soddisfazione. La morte veniva definita erroneamente una pace eterna, ma poteva esistere un termine come pace quando non c’era alcuna guerra? Senza il proprio opposto, una sensazione –un modo d’essere- cessava di avere un proprio intrinseco significato. Non era apatia, perché l’apatia avrebbe implicato l’assenza di qualcosa. Un qualcosa che non aveva ragione d’esistere, che non poteva essere formulato poiché non esisteva alcun pensiero.
    Non faceva freddo. O forse sì? Non poteva saperlo, Lui, perché neanche Lui esisteva. Nessuna luce in fondo al tunnel, nessuna calma apparente. Non c’erano parole. C’era buio. O forse era luce? Non poteva saperlo, Lui, perché né ombra né luce avevano una definizione.
    Non c’era posto per nulla, perché nulla esisteva.
    Quindi era quella, la fine. Nessuna puttanata metapsichica, nessun incontro con Dio. Se solo avesse avuto voce, Lui avrebbe cominciato ad imprecare, con la solita grezza finezza che troppo spesso gli aveva insanguinato la gola. Ma Lui, non sapeva neanche chi fosse. Era qualcuno? Aveva un nome? Aveva un corpo, dei palmi dove affondare le proprie unghie? Inutile dire che non sentiva dolore, né aveva memoria di cosa il dolore fosse. La cosa, ovviamente, non lo preoccupava: non poteva, perché aveva cessato egli stesso d’esistere. Eppure.
    Qualcosa lo spingeva in superficie –quand’era andato sott’acqua?- obbligandolo a prendere un respiro profondo. I polmoni bruciavano per la mancanza d’ossigeno, malgrado di polmoni, malgrado un corpo, Lui non lo avesse. Quindi era quella, la fine? La fine di chi?
    Il non luogo, divenne improvvisamente un luogo. Non sapeva dove, e non era certo esistesse, ma il freddo gli strisciò nella carne, nelle ossa, ed in tutto ciò che di Lui era rimasto. Era rimasto qualcosa, era rimasto qualcuno? Non c’era speranza, non c’erano rimorsi. Non c’era nessuno che meritasse d’essere salvato, perché era morto. Non era solo una metafora, era la nuda e cruda realtà: qualcuno era morto, ed a quel qualcuno il cuore aveva cessato di battere, spegnendosi, e spegnendolo, per sempre. Ma avrebbe dovuto sapere, Lui, che nel loro mondo un per sempre non resisteva a lungo. Lui, o forse lei? O forse loro, o forse esso.
    Lui.
    Io.
    Lui chi?
    «william yolo barrow, alza quel culo»

    Il primo respiro, fu quello che fece più male. Un’iniezione di acido dritta nelle vene, siringa ficcata nel muscolo cardiaco. Non c’era una parte del corpo che dolesse meno delle altre, era diventato un fottuto circuito di dolore. La schiena si inarcò, strappandogli un grido gutturale più animale che umano, lacerandolo internamente ed esternamente. Il sangue che s’era seccato sulla pelle, venne coperto da uno strato più fresco e caldo, che gratto l’epidermide con una nuova definizione di ferite.
    Marie, Jesus and Jerome.
    Per qualche secondo eterno, Lui continuò a non sapere chi fosse: non riusciva neanche a distinguere il freddo del pavimento dal caldo del proprio sangue, non udiva alcun suono, non sentiva alcun sapore ramato sulle labbra. Per qualche secondo eterno, William si perse negli anfratti del proprio non essere, rendendosi marginalmente conto di essere nel posto sbagliato. Non avrebbe dovuto essere lì, non apparteneva al loro mondo. Ma al mondo di chi? Un colpo di tosse lo fece rotolare di lato, sputando un denso grumo opaco sulla pietra. Prima ancora di aprire gli occhi, sentì qualcosa, qualcuno stringerlo a sé, ed il Corvonero costrinse la bocca a sigillarsi per impedirsi di urlare. Ed accadde, senza un vero preavviso. Improvviso ed imprevisto, un senso di appartenenza che andava al di là del legame di sangue, al di là dell’eredità familiare, al di là di ogni cosa che William Barrow, William non troppo yolo Barrow, non aveva mai provato. La sua ancora. Non ebbe bisogno d’altro che di quel profumo, coperto dalla polvere e dall’odore stantio del sangue, per sapere di essere a casa. Strinse convulsamente gli avambracci di Niamh, spalancando gli occhi azzurri su un mondo che credeva non avrebbe più rivisto. «sei veramente un idiota. la prossima volta che mi chiedi di fare una cosa del genere, ti uccido sul serio» avrebbe voluto riderne, davvero, ma non appena le labbra si dischiusero per liberare quel brandello d’umanità, una scossa di puro dolore lo costrinse a serrare le palpebre ed a digrignare i denti con forza. Se avesse creduto in Dio, in quel momento avrebbe pregato finisse. Solo che finisse. Invece, vaffanculo! Non c’era stato nessuno ad attenderlo, dall’altra parte. Non c’era un cazzo di niente.
    Non aveva mai avuto così paura.
    «vaffanculo» sibilò con ironia feroce, un po’ a Niamh ed un po’ a sé stesso. Non si rese conto di aver trattenuto il respiro finchè riempire i polmoni non divenne una necessità, e di nuovo il malessere lo ripiegò come un fazzoletto di grezzo cotone. Sbattè le palpebre, mettendo finalmente a fuoco il luogo nel quale si era svegliato. La sua mente l’aveva protetto, spegnendo i ricordi. Ci aveva provato, lei, a mantenerlo sano abbastanza da farlo riabituare ad un corpo che sentiva ancora estraneo. Gli aveva lasciato il tempo di riappropriarsi delle sue mani, del respiro di sua sorella sulla pelle, di quell’ancestrale bruciore al fottuto, cazzo, merda!, petto, prima di affollarlo con una pioggia di ricordi non dissimili a meteoriti. Tutto insieme. Quando ad Hogwarts sedeva vicino a Mitchell, bisbigliando piano al suo orecchio, di quanto quel mondo fosse sbagliato. Che potevano cambiarlo, una corruzione dal quale potevano depurarlo. Ricordava quando quei sussurri s’erano fatti più consistenti, scivolando di bocca in bocca; la prima volta che aveva sistemato il quartier generale, invitando quei pochi ragazzi che avevano avuto l’ardire di prenderlo sul serio quando neanche egli stesso si prendeva sul serio. Ricordava la testa stretta fra le ginocchia, i singhiozzi a scuotergli il petto, ed una mano sulla spalla a promettergli un utopistico andrà tutto bene. Ricordava le notti passate sveglie nella sala del consiglio, fra il fumo delle sue sigarette e quello della pipa di Keanu; quando mandava tutto a fanculo, guadagnandosi occhiate significative da parte del biondo: e non c’era bisogno che Larrington parlasse, perché aveva sempre avuto tutto nello sguardo azzurro. Fede, e quella bruciante scintilla di ammonimento che l’aveva sempre tenuto con i piedi per terra, un ma che cazzo che rimaneva incastrato in gola mentre alzava la propria tazza di caffè per brindare con quella di tè di lui. Ricordava le missioni, tutte le missioni; tutti i caduti, tutti gli eroi.
    Tutte le leggende, ora, le ricordava.
    E ricordava Arthea Williams, e con lei Mnemosine; le promesse che s’erano fatti, e che non avevano avuto la possibilità di mantenere. Ogni fottuta volta, Arthea e William si incontravano sul ciglio del burrone: intrecciavano le dita fra loro, si sceglievano, e si lasciavano cadere. Erano meteore destinate a non durare, non durare mai.
    La prima volta che aveva visto Elizabeth, quando nella sua apparente debolezza aveva visto la sua forza.
    Tutti quei sacrifici,
    e quel sangue,
    e quelle vite.
    E quel figlio della merda, che puttana la sua mamma e sua sorella, di William Lancaster. Gli aveva rubato tutto, con quell’incantesimo. Gli aveva strappato l’anima, un furto peggiore della biasimabile vita. Gli aveva tolto tutto ciò che era, lasciandolo un relitto sanguinante dall’acre odore di alcool e sigarette. Non gli era bastato che fallisse, aveva deciso di ucciderlo nel modo peggiore nel quale un uomo avrebbe potuto essere ucciso.
    Aveva cancellato la sua memoria.
    Che baldracca d’uomo, buon Dio.
    «bambine, tappatevi le orecchie» gracchiò, sputando altro sangue sul pavimento. Non seppe mai se Kendall si fosse effettivamente tappata le orecchie, ma: «dio cristo gesù buono ma che cazzo di puttana merda vaffanculo» e non sarebbe mai stato abbastanza.
    Si guardò realmente attorno, sentendo dolorosamente il cuore pompare sangue nell’organismo, frenetico come un uccellino in gabbia. Vide Mitchell, e vide Arthea, e vide Elizabeth. Vide Niamh, e vide Daphne, e vide Patrick, e vide Lilian. Li sentì, come se fossero uniti da una fune invisibile. Percepiva emozioni contrastanti: rabbia, dolore, gioia. Le lacrime gli avevano nuovamente rigato le guance, e le asciugò stupito con la punta delle dita, come se non fossero sue.
    E forse, non lo erano.
    Poi, vide qualcun altro. Una donna, ammantata di bianco come la Salvatrice di anime, che girava loro in circolo come un condor sulle carogne. Chi cazzo era? Se fosse stato più in forze, l’avrebbe domandato. Ma, invero, era già tanto che riuscisse a respirare, poggiato con la schiena su Niamh. Ma non aveva davvero bisogno di chiederlo: lui sapeva chi lei fosse, certo che lo sapeva. Quando si chinò davanti a lui, Will rimase a fissarla impassibile, cercando di racimolare abbastanza forze da non svenire. «ricordi, Barrow?» Doveva essere uno scherzo. Un fottuto scherzo di qualche divinità con un fottuto senso dell’umorismo del cazzo. Se ricordava? Rimembrava la prima vittima di quel regime, come fosse stato ieri; rimembrava ogni scelta, ogni decisione, ogni sacrificio. Rimembrava ogni mano stretta fra le proprie, e lo sguardo accusatorio di chi credeva, e probabilmente a ragione, che avrebbe dovuto fare di più per salvarli –per salvarli tutti. Ricordava di essere stato disposto a morire, non una ma cento volte. Ricordava di esserci andato vicino, non una ma mille volte. Se ricordava? Scosse il capo in una muta risata, abbassando lo sguardo sul pavimento. Quindi, con un colpo improvviso di addominali che quasi lo fece vomitare dal dolore, colpì con quanta più forza possibile la testa di Jeanine Lafayette, l’intento sincero di spaccarle almeno il naso, dato che con il culo (e si parlava metaforicamente) la vedeva difficile in quel momento. Puttana, ricordo! «Je prends ça pour un oui» «prendilo per un vaffanculo, piuttosto. Vaffanculo» sottolineò, in caso non fosse stato chiaro la prima volta. Non era sicuro di averlo detto ad alta voce, considerando la sofferenza eccessiva di ogni respiro; gli vibrava nelle ossa, in ogni maledetta cellula. Ogni miracolo aveva un prezzo, mh? «Come voi, ho scelto una causa più grande, quindi non abbiate timore» Non… abbiate… timore. Sul. cazzo. serio? «sono stata io a scriverti, William Barrow, e l’ho fatto solo per gentilezza. Cerca di non dimenticarlo»
    Ah, da morire dal ridere. Letteralmente. Chi sei, William Barrow? Beh, certo, un ottima cazzo di risposta mandarlo in una missione suicida, letteralmente. Avrebbe potuto sprecarsi un minimo di più, che non un’insulsa domanda di merda. Aveva funzionato? Sì. Ma a quale costo? «grazie» di nulla, rispose con un sarcasmo così solido da poterci camminare sopra. Dio, quanto avrebbe voluto ridere, di sé stesso e di quella situazione. Invece, non riusciva neanche ad essere grato di essere vivo. Shock? Beh, potreste biasimarlo, in caso la risposta fosse stata affermativa?
    «Elizabeth Fleed. Ricordi, ora? Tutti voi che avete partecipato al primo cerchio. Ricordate?»
    Maledetto, maledetto. Si aggrappava alla rabbia, Will, per impedire che le lacrime prendessero il sopravvento. Se avesse cominciato a piangere, si sarebbe sentito più svuotato di quanto già non fosse, e non poteva permetterselo. Non più. «quel figlio di putt-..ana, buon dio, mi ha appena silenciato?» le parole suonarono mute perfino alle sue stesse orecchie.
    Non era davvero accettabile, o concepibile, una cosa del genere. Quella giornata stava raggiungendo un livello di troll inaudito. «William Lancaster ha violato la sua giurisdizione, il che significa che ora noi possiamo violare la sua. Henri, brucia la pergamena» Probabilmente non voleva davvero sapere di cosa stesse parlando, aveva già troppi casini per i cazzi suoi, da volersi immischiare in quelli della scuola francese. Il nucleo dei ribelli inglesi era forse finito nel mezzo di una scaramuccia fra Francia e America? Una stupida faida del cazzo fra due capi troppo tronfi per scendere a patti con i pesci piccoli? La testa cominciò presto a martellargli, implorandolo di prendere un antidolorifico. L’afflusso di adrenalina stava cominciando a scemare, rendendo i contorni delle persone meno solidi, le voci più ovattate. Aveva perso così tanto sangue, che si stupiva di essere ancora in piedi. In piedi forse era esagerato, ma abbiamo capito il concetto. Se non si fosse curato, sarebbe morto sul serio – e non sarebbe più tornato: quante altre volte avrebbe potuto prendere per il culo la morte? Avrebbe forse dovuto cambiare nome in William YOLQ Barrow? (ndA: You Only Live Quantocazzotipare).
    «siete tornati dal mondo dei morti, Elementali, e la vita ha sempre un prezzo. Incubi, mal di testa ricorrenti, allucinazioni…paranoia. Le vostre Ancore sono legate a voi: sentiranno il vostro dolore, anche se non moriranno con voi. Teoricamente: in pratica la sofferenza potrebbe comunque causare un fatale attacco di cuore. A vostra volta, l’intero cerchio, Spirito compreso, è legato: se qualcuno di voi sarà in pericolo, lo saprete. Sentirete i loro… sentiments. Siete un tutt’uno, ormai. Lo Spirito vi legherà, dal principio fino alla fine. È stata una mossa azzardata, ma sono felice che l’abbiate fatta. Prima non avevo abbastanza prove, e non potevo muovere guerra contro Lancaster senza un … sauvegarde. Fra noi non possiamo tradirci, altrimenti sarebbe il caos»
    What
    The
    Fuckin
    Fuck.
    Chiuse gli occhi, mordendosi l’interno della guancia. Non riusciva a concentrarsi, non riusciva a cogliere il senso di quanto detto dalla francese. Troppo distratto dal buffo accento? Forse. Cominciò a ridere, in brevi singulti non troppo diversi da singhiozzi veri e propri, il petto straziato da fitte di indicibile sofferenza. Una al petto, una allo stomaco. Gesù, aveva anche un osso rotto? Avrebbe proprio dovuto andare al San Mungo. Un nome davvero buffo, gli aveva sempre ricordato il sugo. Perché? Non lo sapeva. E lo trovò incredibilmente, ed eccessivamente, esilarante. Le orecchie ovattate, dove un fischio la faceva da padrona, e la vista oscurata da centinaia, migliaia di puntini neri. Sentiva quanto Jeanine stesse dicendo, ma non era in grado di percepirlo.
    Non lo capiva.
    Stava svenendo.

    Okay, era svenuto.
    «merda» gracchiò, tossendo altro sangue. Qualcuno era stato così gentile da fasciare le sue ferite, mentr’egli era rimasto privo di sensi come un’adolescente sovreccitata al prom. Che capo di merda, eh? Fortuna che non lo era più, una responsabilità in meno. I francesi se n’erano già andati, lasciando una bolgia confusa di ragazzi confusi. Erano morti, erano tornati. Ricordavano. Legati. Lancaster. Tutto quello, poteva significare una cosa sola.
    Si alzò in piedi, vacillando solo per un breve momento. La vista gli si oscurò nuovamente, ma fu veloce a reggersi al muro, controllandosi abbastanza da impedirsi di svenire un’altra volta. Avrebbe cominciato a diventare imbarazzante. Non guardò nessuno di loro, ancora troppo pregno di rabbia, di un’ira cocente quanto le ferite inferte sulla pelle; di quel senso di colpa impossibile da cancellare, marchiato a fuoco nel cervello. Aveva promesso di proteggerli, e li aveva portati a morire. Aveva promesso loro di cambiare il mondo, ed invece era stato il mondo a cambiare lui. Aveva giurato che sarebbe sempre stato al loro fianco.
    Ed invece, li aveva dimenticati.
    Se gliel’avessero chiesto, l’avrebbe ritenuto impossibile. La resistenza, ed i ribelli, erano sempre stati tutta la sua vita, un’esistenza condensata in ogni respiro. Come… come aveva potuto? Li aveva traditi. Non poteva guardarli, e non voleva farlo. «io…» dire che gli dispiaceva, sarebbe valso a qualcosa? Chiedere perdono, abbracciarli, assicurarsi che stessero bene. Dire a Niamh che l’avrebbe disturbata ancora a lungo, ringraziare Mitchell, chiedere perdono ad Elizabeth. Magari chiedere ad Arthea di uscire, perché la faccenda del morire ogni volta che si trovavano nella stessa stanza, cominciava a diventare snervante. Avrebbe dovuto cercare Keanu, farsi carico di ogni colpa e di ogni responsabilità pregando per un espiazione che probabilmente non sarebbe mai giunta.
    Avrebbe dovuto farne, di cose. Ma l’unica che voleva, e che avrebbe fatto, si chiamava ubriacarsi. I problemi li avrebbe affrontati l’indomani.
    «beh, ci sentiamo»
    Uscite brillanti per maghi brillanti.

    «signore, sta bene?» Will si passò la mano fra i capelli biondo cenere, spettinandoli con dita ancora tremanti. Se stava bene? Era morto, Gesù Cristo. Morto. Non sarebbe mai stato bene. Si era allontanato da Stonehenge per rifugiarsi nella famigliare e caotica Londra; non si era neanche preoccupato di cambiarsi gli abiti, o di curarsi in maniera efficiente: aveva ancora la cazzo di frattura alla clavicola, una lacerazione al ventre, ed un buco nel maledetto petto. Aveva praticato qualche blando incantesimo di guarigione, ma senza davvero avvertire alcun cambiamento. Contava sul fatto che qualcuno, probabilmente un altro fottuto preside di qualche fottuta scuola straniera!, su quel pianeta, non voleva morisse. Volevano usarlo, strapparlo e ricomporlo, ma non ucciderlo.
    Che dolci.
    «sta sanguinando» merda. Will si strinse nelle spalle, abbassando gli occhi cerulei sulla benda al fianco imbrattata di cremisi. Se aveva sporcato la maglia, che aveva pulito rozzamente con una scrollata ed incantesimi di lavaggio wat, significava che doveva essere messa male. Qualcuno forse ne dubitava? «ciclo» «come dice?» «ciclo mestruale» giustificò, sgranocchiando le parole come solo gli scozzesi sapevano fare. In un battito di ciglia, da vittima incompresa divenne nuovamente il giovane ragazzo dal quale stare alla larga Meglio, lo preferiva: più confortante. Si beccò qualche imprecazione sui denti, ma decise di non farci caso. Infilata l’immancabile sigaretta fra le labbra, stringendo quasi con affetto la bottiglia all’interno dello scarno sacchetto marrone del mini market gestito da immigrati, William prese posto sul marciapiede dei grandi magazzini, che di grande avevano ormai solo la desolazione. Si trovava in periferia di Londra, e non vedeva anima viva da prima che Barrow fosse nato. Ovviamente, lui era escluso dalla lista: era uno dei suoi posti speciali, dove spiaggiarsi a fumare fino a non ricordare più il proprio nome; un luogo che aveva mostrato a poche persone nella sua vita (Mitchell, Elizabeth, Milkobitches, Niamh; fine. Si vergognava a mostrarlo a zio Nick, o a Keanu –loro erano gente normale. Perfino con Niamh s’era sentito vagamente in imbarazzo, quando con un cenno l’aveva invitata a sedersi. La sorella l’aveva guardato malissimo, come il peggio barbone vivente nel loro sistema solare, ma alla fine anche lei aveva imparato ad amare l’aspro odore di urina, alcool, e cose che non avrebbero mai dovuto vedere la luce del sole).
    Però sapeva di vita, e sapeva di morte, quel parcheggio abbandonato. Era tutto, pur non essendo più niente.
    Che cazzo, era proprio come lui.
    «ho fatto una cazzata» ammise a sé stesso, prima di ridere. «ho fatto proprio una cazzata» ed ancora si bagnò le labbra di quel liquido che bruciava, sulla lingue e nelle vene, quanto un Ardemonio. Vivo, ma per quanto ancora? Vivo, ma quanto lo meritava?
    Perché ricordava, William Barrow.
    Non aveva mai pensato che quel senso di completezza, come un elastico a lungo tirato che finalmente tornava al proprio posto, avrebbe potuto essere così.
    Non aveva mai pensato che essere di nuovo un uomo, avrebbe fatto così male.
    [sheet - earth/faith pensieve]
    - sorry dear, i'm allergic to bullsh*t - code by ms. atelophobia


    Edited by lama del barrow. - 19/1/2017, 23:54
     
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  2. always & f o r e v e r.
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    21 - ex griffindor - (ex rebel's general) - out of the darkness... in to the fire
    There's so many wars we fought, There's so many things w'ere not
    elizabeth liz fleed
    Era finita. Finalmente era finita.
    L’abbraccio di Lilian cercava di trattenerla, di non lasciarla andare ma era troppo tardi, nemmeno lei poteva evitare l’inevitabile, nemmeno lei poteva rifiutarsi di spingere quel pugnale sempre più in profondità. E lo voleva Elizabeth, voleva morire, sacrificarsi per rimediare a tutti gli sbagli, a tutte le promesse infrante, per togliersi definitivamente di mezzo e lasciare il mondo con la speranza che il loro gesto, stavolta, sarebbe servito. Luce, oscurità, ragione, follia, nulla aveva più importanza. Il respiro le morì in gola, le lacrime si solidificarono sulle guance, divennero fredde, gelide come lo stesso corpo esanime che Lilian adagiava sul pavimento. E non esisteva più un battito, uno sguardo, non esisteva più quel sorriso che aveva caratterizzato Elizabeth Fleed, non esisteva più quella realtà dalla quale era stata trascinata via da una forza ignota, da un dolore sordo ed impalpabile. Paura, coraggio, frustrazione, rabbia, felicità, i sentimenti sembrarono diventare immateriali, i pensieri si confusero tra loro, disperdendosi lentamente in un’oscurità impenetrabile. Era questo che significava morire? Cadere in quel limbo dove nulla aveva più un senso? Dove il tuo stesso io sembrava disintegrarsi da un momento all’altro? Le parve di soffocare lentamente, di sprofondare in quella assurda sensazione di paura che poco prima le stringeva l’anima in una morsa e che, ora, sembrava ironicamente mutare in pace, in un equilibrio impossibile d’alterare. E avrebbe voluto parlare, comunicare con un Dio, se esisteva, per cercare di capire, per ritrovare ciò che faceva di lei Liz, la ribelle , la mangiamorte, la ragazzina che si rifletteva nello specchio senza capire chi si trovava davanti. Ma non c’erano suoni, non c’erano presenze, non c’era un luogo o un tempo nel quale era caduta, non c’era più nemmeno lei, i suoi pensieri, le sue angosce. Tutto era scivolato via, come quando veniva a mancare una presa, un qualcosa di saldo al quale aggrapparsi, chi era Elizabeth? Cos’era stata? La morte non l’aveva portata alla libertà e nemmeno alla prigionia, piuttosto in una condizione di stasi dove nulla sembrava mutare.
    Poi, di colpo, accadde.
    Qualcosa la afferrò, la trattenne , la percepì chiaramente quella forza, intenta a riportarla indietro, a farle risalire le strette pareti del burrone nel quale s’era gettata, nel quale aveva scelto lei stessa di finire. «Elizabeth» Elizabeth.
    Il suo nome, la prima cosa che ricordava, l’unica che, nonostante tutto, non era mai cambiata, fece breccia nell’oscurità scuotendola, ridestandola dal sonno eterno nel quale avrebbe dovuto rimanere per il resto del tempo. C’erano delle persone attorno a lei, c’erano dei brandelli di memoria, c’era quella vita complicata e semplice allo stesso tempo che sembrava darle la forza di riemergere dall’abisso. Non voleva, no, lei non voleva vivere, non voleva risentire l’anima andare in pezzi, non voleva incontrare lo sguardo di tutte le persone care alle quali aveva fatto del male. Non voleva tornare a combattere, impossibilitata a cambiare un destino forse già scritto, già programmato da qualcun altro. Troppo, troppo velocemente riacquistò il contatto con il proprio corpo, con il pavimento, con la luce, con quell’involucro di carne dal quale s’era staccata. Troppo, troppo imminente fu la risposta del cuore che ricominciò a pulsare, che iniettò nuovamente il sangue nelle vene. L’aria ricominciò a circolare nei polmoni mentre veniva scossa da un sussulto, mentre apriva le palpebre e subito dopo tornava a serrarle, incapace di trattenere un roco gemito. Si mosse appena, mettendo a fuoco le proprie mani, riconoscendo l’acre, metallico, sapore del sangue sulle labbra. No. Lei non la voleva più quell’aria, non voleva più percepire i muscoli tremare, il liquido rosso bagnarle la pelle e raggiungere il pavimento. Le braccia di Lilian tornarono su di lei, sollevandola da terra, portandole il volto sfigurato a contatto con la spalla, voleva parlare ma non ci riusciva, non sapeva nemmeno cosa dire Liz, se chiedere perdono, se urlare, piangere, se implorare di lasciarla lì, di lasciarla morire … lo meritava. Perché? Perché quel battito? Perché quel colpo? Perché stava nuovamente ansimando, boccheggiando alla ricerca d’ossigeno, gemendo ogni qual volta il gas raggiungeva i polmoni? Perché poteva sentire il taglio trasversale lungo la schiena, la lacerazione dovuta alla lama all’altezza del ventre? Il dolore le dilaniava il corpo, le impediva di rimanere lucida, di sentire ciò che le accadeva intorno, di rompere la bolla sfuocata nella quale era stata rinchiusa. Fu costretta a staccarsi da Lilian, a dare due colpi di tosse che le procurarono un’altra fitta, poggiò i palmi a terra per sorreggersi, per evitare di perdere i sensi e poi, esattamente come il primo, un altro colpo. Il suo sguardo nocciola si perse ad osservare le nocche delle dita, poi si spostò, in direzione di un uomo che ben conosceva. Incrociò gli occhi di William capendo che non l’avrebbe sorretta in quel momento, che nemmeno lui poteva impedire alla realtà di tornare a galla. Il viso, già pallido, perse ogni residuo di colorazione mentre la voce, rotta, spezzata, distorta, bagnata di lacrime scarlatte , trovava la forza per realizzare l’incubo, i ricordi.
    «C-cosa ho fatto?» Se lo era chiesto molte volte Elizabeth, aveva cercato di comprendere cosa si celava oltre l’oblivion ma i suoi tentavi non riuscirono mai a mostrarle ciò che rimaneva della vera Liz, della giovane generale dei ribelli che desiderava salvare anche chi, di vivere, non ne voleva più sapere.
    Portò le mani alla bocca, bloccando un singhiozzo, premendole contro le labbra cercando, invano, di trattenere i sussulti e le lacrime. Sbottò, lasciando andare la rabbia, scagliando un pugno contro il terreno,sentendo la polvere penetrare nella ferita, accentuandone l’ampiezza «No. Maledizione no.» Gli incubi e la realtà si fusero insieme, tornarono i volti degli amici, tornarono le voci nella sua testa, tornarono una per una le parole di Al, le sue urla, la sua rabbia. Tornò quell’avada kedavra lanciato contro l’unico uomo che l’aveva cresciuta, contro quel padre che, nonostante le torture e le punizioni l’aveva amata, l’aveva protetta, l’aveva resa forte abbastanza da affrontare quel mondo da sola e con la propria testa. Prese un altro respiro, incapace d’alzarsi, d’accettare il fatto d’essere un’assassina e di aver condannato il Crane invece di proteggerlo. Promesse, promesse, promesse, a cosa erano servite tutte quelle promesse? A cosa era servito nascondersi, combattere, morire? Aveva scelto d’essere una ribelle Liz ma si era giurata di non trascinare nessuno sul fondo con lei ed invece l’aveva fatto, ed invece non era stata in grado di proteggere Patrick, Daphne, Kendall, Lilian, Mitch, Arthea, Will. Non era stata in grado di proteggere la sua famiglia da se stessa, l’uomo che amava da se stessa, la sua migliore amica e tutti quelli con cui aveva condiviso battaglie, feste, emozioni. E sentiva di nuovo il suo cuore battere, scandire i secondi, riordinare gli eventi, rivelare ciò che aveva fatto per oltre un anno, a discapito di chiunque avesse incrociato la sua strada. Ripercorse tutto da quel lontano agosto del 2013 quando il Barrow varcava la porta del striminzito appartamento dove s’era trasferita, quando riaggiustava la tazza in porcellana spiegandole che una soluzione c’era sempre. Ricordava il sapore di quelle lacrime, il volto serio di lui mentre si faceva raccontare la bravata commessa davanti a Icesprite e ricordava come aveva cercato di migliorare, di stare più attenta, di non lasciarsi andare. Aveva commesso uno sbaglio ma rimediare non era mai stato il forte di quella ragazzina ancora vent’enne, ancora troppo giovane per capire che l’amore era un’arma pericolosa, ancora troppo ingenua quando, senza alcun preavviso , aveva bussato alla porta di Aloysius Crane. Cosa credeva di fare? Sfidare il destino, la logica, la ragione? Non voleva ferirlo, voleva proteggerlo, forse voleva sentirsi semplicemente Liz, non una donna dalle molteplici responsabilità, non una figlia disonorata, non una ribelle mancata. E con Al era stata bene, e con lui aveva compreso il perché doveva combattere, perché tutto doveva finire. Improvvisazione. Improvvisare, la chiave di tutto, il pezzo mancante del puzzle, per Elizabeth la sua intera vita ruotava attorno a quella parola, su di essa s’incentrava il suo carattere, il suo desiderio di sentirsi finalmente libera ma doveva ancora sperimentare cosa accadeva quando, nonostante tutto, non c’era più via d’uscita. Tornare indietro, ricominciare… Dio se solo avesse potuto farlo, se la giratempo che portava al collo le avesse permesso di rimediare, d’essere migliore, di non coinvolgere nessuno nei suoi maledetti sogni, nelle sue stramaledette aspirazioni di ricostruire una realtà priva di paura. Ricordava Elizabeth Fleed, ricordava i baci, gli abbracci, le strette di mano, ricordava lo sguardo gelido di Anjelika Queen mentre la torturava, ricordava la storia della sua famiglia, di quel fratello mai ritrovato e del perché suo padre non le avesse mai dato tregua. Cosa aveva fatto? Con quale assurda logica aveva agito contro tutti i suoi principi senza rendere conto a nessuno? Com’era riuscita a non sentirsi in colpa , a non voler morire? In quell’istante ambiva solo a quello, a lasciarsi nuovamente trascinare nel buio, a disintegrarsi, ad incastrare l’aria nei polmoni affinchè il dolore cessasse, affinché la moltitudine di frasi pronunciate da chi l’aveva affiancata in quell’ultimo anno, non trovassero un senso. «Uccidimi»
    «So che stamattina il test è andato molto bene e...non è ancora ufficiale, ma come sai, sei dei nostri. Tanti auguri. »
    «Hai ucciso la mia unica fonte di informazioni...sei una donna morta sorellina»
    «Angus, vorrei che le levassi quel sorriso dalla faccia.»
    «Sei mai stata una ribelle, Elizabeth Fleed, o hai sempre mentito? In quel caso, che razza di persona sei?»
    «Mi ero fidato, ma forse avrei dovuto capire da subito con chi avevo a che fare. Che mi avevi detto che avremmo potuto ricominciare, questo te lo ricordi? Sappi che era un errore.»

    Annaspò cercando di non crollare, di bloccare le lacrime che continuavano a scorrere lungo il proprio viso, annaspò, incapace di muoversi, continuando a fissare il vuoto, rendendosi conto che Al aveva ragione… era stato un errore. Abbassò la testa, incapace di posare lo sguardo su chi la circondava, su quelle persone che, per loro, erano state disposte a sacrificare ogni cosa. «dio cristo gesù buono ma che cazzo di puttana merda vaffanculo» In quel momento, mentre la voce di William Barrow rimbalzava da una parete all’altra, mentre quelle imprecazioni sembravano voler attirare l’attenzione di un Dio che, ancora una volta, aveva dato prova di non esserci, Liz rimise insieme i pezzi di quell’esistenza, rimise insieme gli eventi, i nomi, le promesse, rendendosi conto che lei era soltanto un fantasma, che lei era morta ancor prima di sentire la lama attraversarle il cuore. Il pianto rinacque, le mani tornarono a serrarsi sbattendo una, due, dieci volte contro il pavimento, la voce si bloccò all’altezza della trachea, spezzando l’urlo di rabbia e d’impotenza , trasformandolo in un altro gemito, in un altro rantolio. Era giunta una fine e con essa, un nuovo inizio dove l’unica certezza era la colpa che gravava su ognuno di loro, che li stringeva in una morsa non lasciando via di scampo a nessuno di quei quattro obliviati, a nessuno di quei quattro esseri umani convinti di avere le carte in regola per fare la differenza. Perdono? No, per lei non sarebbe esistito un perdono, non dopo quel che aveva fatto, non dopo quegli errori, non dopo aver tradito chiunque avesse riposto la fiducia in lei, nella donna, nella ribelle, nella mangiamorte, nella ragazza che, nonostante tutto, aveva ancora il coraggio di sorridere, di controbattere, d’agire.
    «Mi chiamo Jeanine Lafayette, sono la preside di Beauxbatons. Come voi, ho scelto una causa più grande, quindi non abbiate timore» Elizabeth si appoggiò al muro cercando d’asciugarsi il volto catturando le lacrime con le dita, solo allora mise a fuoco la figura bianca che, soddisfatta, rimaneva lì, in piedi, lasciandosi colpire dalla rabbia di Will, dalle sue parole di ringraziamento scontrose, gelide, impotenti. Tu volevi tornare William? Volevi vivere o preferivi morire? Nemmeno Liz sapeva rispondere a quella domanda che poneva anche se stessa, era stata data loro una possibilità che non meritavano ma perché? Chi autorizzava i grandi del mondo a manipolarli, usarli, decidere il destino senza alcun riguardo, alcuno scrupolo? «Elizabeth Fleed. Ricordi, ora? Tutti voi che avete partecipato al primo cerchio. Ricordate?» La risposta della mora fu un leggero cenno col capo, ancora scettica, ancora troppo frastornata per rivolgere alla donna parole delle quali ,forse, si sarebbe pentita. Non aveva certamente perso il coraggio la Fleed anche se non sapeva più riconoscersi, anche se non sapeva più come andare avanti, come rimparare a convivere con i ricordi ed il dolore. Chi poteva mai incolpare oltre a se stessa? «quel figlio di put-» Il capo dei ribelli venne prontamente silenziato ma non servì a molto, le diede la risposta che stava cercando, producendo quella luce che, negli occhi di Liz , era morta da tempo. «Quel figlio di puttana» esclamò la giovane di rimando, completando l’imprecazione, trovando la forza di reagire e far uscire dalla gola la rabbia che bruciava ogni fibra del suo corpo. S’erano lasciati giocare come degli stupidi, la lettera, la pagina, l’incantesimo, ora tutto tornava, ora apparivano chiare le intenzioni dell’americano quando era giunto in loro soccorso, liquidandoli con la scusa della sbronza di gruppo tra sconosciuti. «Lancaster? Mi confermate che è stato William Lancaster?» «Maledizione» soltanto questo ripeté Liz mentre sentiva il sangue pulsare, mentre lasciava che la mano sorreggesse la testa, andando a premere contro le tempie. Non riusciva a capacitarsi, a realizzare ciò che Jeannine andava spiegando, del fatto che il preside di Salem avesse rotto gli accordi, della pergamena che andava bruciata «Non ci posso credere» concluse esausta, permettendo ad un’ultima lacrima di scivolarle lungo il viso. Nella sua mente ringraziò tutti loro per non aver commesso lo sbaglio di sacrificare Kendall, per non averla condannata inutilmente a morte certa anche se ora sarebbe stato comunque difficile per lei riprendere una vita normale, quelle che tutte le ragazzine avrebbero dovuto fare. «siete tornati dal mondo dei morti, Elementali, e la vita ha sempre un prezzo. Incubi, mal di testa ricorrenti, allucinazioni…paranoia. Le vostre Ancore sono legate a voi: sentiranno il vostro dolore, anche se non moriranno con voi. Teoricamente: in pratica la sofferenza potrebbe comunque causare un fatale attacco di cuore. A vostra volta, l’intero cerchio, Spirito compreso, è legato: se qualcuno di voi sarà in pericolo, lo saprete. Sentirete i loro… sentiments. Siete un tutt’uno, ormai. Lo Spirito vi legherà, dal principio fino alla fine. È stata una mossa azzardata, ma sono felice che l’abbiate fatta. Prima non avevo abbastanza prove, e non potevo muovere guerra contro Lancaster senza un … sauvegarde. Fra noi non possiamo tradirci, altrimenti sarebbe il caos»
    Cercò di continuare a respirare , di non muoversi per ridurre al minimo le costanti fitte di dolore che le attraversavano il corpo, se c’era una cosa che Elizabeth aveva sempre cercato di fare in quella vita era nascondere le sue emozioni, i sentimenti, la paure, alle persone che la circondavano. Quella donna ora le stava dicendo che s’era trasformata in un libro aperto, che tutti i presenti in quella stanza avrebbero percepito ogni sua sensazione, che avrebbero capito quando si trovava nei casini e non lo voleva Liz, non voleva coinvolgere più nessuno nelle proprie battaglie personali con i sensi di colpa, con l’ingiustizia, l’inquietudine. Potevano sentirla? Cosa stavano scorgendo di Elizabeth Fleed? Cosa avrebbero visto quando il dolore sarebbe scomparso, lasciando spazio soltanto alla voglia di puntarsi una pistola alla tempia per completare ciò che il fato non aveva il coraggio di portare a termine? Rimase immobile mentre William perdeva conoscenza e Jeannine continuava il proprio discorso, parlò di una cosa in possesso di Lancaster, di tenere la bocca chiusa invitandoli a continuare , a combattere, a tornare a casa… Già a casa, come se fosse la cosa più facile del mondo rialzarsi in piedi e affrontare ciò che c’era la fuori, ciò che chiamavano realtà. Elizabeth si lasciò fasciare le ferite gemendo mentre la preside se ne andava seguita dal suo assistente, non sapeva che dire, cosa fare, come comportarsi, in quel momento voleva soltanto sbattere la testa contro il muro, urlare fino a usurare le corde vocali, piangere fino a non avere più lacrime. Lasciò cadere lo sguardo su Mitchell senza incontrare i suoi occhi, anche lui ora era finito dentro a quella storia e non riusciva a perdonarselo Liz, non riusciva più a perdonarsi nulla, non riusciva più a scorgere una via d’uscita, una speranza. «io…» Era di nuovo in piedi il capo dei ribelli, era di nuovo lì il suo migliore amico, a sopportare un peso troppo grande per un singolo essere umano «beh, ci sentiamo.» Serrò le palpebre, facendo propria quell’esitazione, accettando il fatto che niente sarebbe più potuto essere come prima, che le colpe erano troppe ed il perdono difficile da concedere. Ma nonostante questo Elizabeth aveva fatto una promessa, a Will, a Idem, a Al, ai ribelli… ci sarebbe stata sempre, si sarebbe rialzata sempre, avrebbe reagito in qualche modo, combattuto fino all’ultimo respiro, continuato a credere ed a sperare… dio quant’era difficile vedere una speranza in quel momento, quant’era difficile scorgere quella luce che ,anni prima ,aveva fatto sorridere il Barrow mentre sorseggiava thè bollente nell’appartamento della Fleed. Promesse. Era giunto il momento di mantenerle. Appoggiandosi al muro , facendo perno sul palmo della mano sinistra , anche Liz s’alzò da terra gemendo, scostando i lunghi capelli castani dal volto. Rischiò di cadere a terra quando mosse i primi passi , i muscoli tremavano, la vista s’annebbiava, il senso di vertigini era più forte del dolore provocato dalle ferite. «Dovreste recarvi al San Mungo» sussurrò togliendosi il sangue dalle labbra, rimanendo ancora un istante a osservare quei ragazzi, a chiedersi perché, e come avrebbe fatto a incrociare i loro sguardi… con quale coraggio. Non disse nient’altro , se ne andò, incapace di trattenere oltre i singhiozzi bloccati all’altezza della trachea, incapace d’essere quella donna forte e determinata che si era promessa di diventare , a cosa sarebbe servito chiedere loro perdono? A cosa sarebbe servito scusarsi, abbracciarli, piangere? Non si poteva tornare indietro, non si poteva annullare la condanna.

    «Anche lei problemi con il ciclo?» Rimase allibita di fronte alla domanda postale dal negoziante, fece fatica a trattenere lo stupore e soprattutto, a soffocare il dolore prodotto da una risata a denti stretti, non aveva seguito William ma egli stesso le aveva illustrato il parcheggio dei grandi magazzini dove si rifugiava quando voleva rimanere solo, Londra era grande ma se c’era un posto in cui poteva essersi recato il Barrow… beh era quello. Non rispose Elizabeth, si limitò a pagare e recuperare la bottiglia di Whiskey, direzionandosi verso l’uscita sperando che il tipo alla cassa non si facesse troppe domande a riguardo. Forse avrebbe dovuto passare per casa, rimanerci, ma per il resto del mondo lei era morta, soffocata dalle corde con le quali Al l’aveva stretta. Tornare nella villa dei Fleed per le vie principali non era fattibile, aveva ancora gli abiti insanguinati, il volto pallido, lo sguardo assente, sarebbe stata fermata dopo pochi secondi e portata al ministero o eliminata sul momento. No, non poteva morire, se ne era resa conto mentre, lentamente, camminava sul marciapiede del parcheggio, in qualche modo doveva ricominciare, cercare di convivere con ciò che aveva fatto, con tutte le colpe e con la certezza d’aver perso , ormai per sempre, una parte di se.
    E poi, come se fosse passato soltanto un giorno da quando William le aveva mostrato quel luogo, ritrovò il ragazzo seduto sul solito gradino , con la bottiglia di liquido ambrato tra le mani, lo sguardo perso nel vuoto. Avrebbe voluto abbracciarlo Elizabeth, dargli quella forza che lui le aveva trasmesso quasi due anni prima , sostenerlo, ricordargli cos’erano ma non poteva , non aveva il coraggio di parlare , la forza di reagire. «ho fatto proprio una cazzata» Una lacrima le scivolò lungo il viso ma Liz s’affrettò a cancellarla «Abbiamo» lo corresse prendendo posto vicino a lui, cercando d’ignorare il dolore che pulsava all’altezza del cuore e da una parte all’altra della schiena. Aprì la bottiglia di Whiskey passandola da una mano all’altra, portandola alla bocca e sperando che quel liquido cancellasse gli errori, rendesse più facile vivere o morire. «…Will» lo chiamò tentando d’incontrare i suoi occhi, portando lentamente le dita a sfiorare la sua mano, a stringerla «non potevi saperlo» sussurrò sentendosi di nuovo soffocare.
    Aveva promesso d’esserci Elizabeth, di sostenere quel ragazzo poco più grande di lei, ancora troppo giovane per morire, ancora troppo giovane per assumersi colpe che non gli spettavano, e se voleva farla finita lo avrebbe capito, lo avrebbe seguito, e se voleva rialzarsi lo avrebbe sorretto, lo avrebbe difeso. Aveva promesso d’esserci Elizabeth, anche se le risultava impossibile giustificare cosa avevano fatto, anche se non avrebbe mai perdonato se stessa . Aveva promesso d’esserci Elizabeth e quella ormai, era l’unica cosa che la faceva sentire viva.

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    william yolo barrow
    Tamburellò con le dita sul marciapiede grigio di una Londra dimenticata, lo sguardo fisso in un punto imprecisato di fronte a sé. Non aveva mai creduto che il sentirsi di nuovo completo potesse lasciarlo così vuoto, come se in ogni voluta di fumo soffiata fra le labbra dischiuse stesse sputando un pezzo di sé stesso, qualcosa di William Yolo Barrow che voleva lasciarsi alle spalle.
    Ma c’era troppo, ma c’era tutto, da lasciarsi indietro.
    Non voleva qualcuno che lo capisse, e men che meno desiderava di essere compatito. Will amava ritagliarsi sottili spazi di autocommiserazione, dove a fargli compagnia erano solamente un buon bourbon, un pacchetto di sigarette, e spesso (ma non sempre, come in quel caso) Mischief, il suo cane. Odiava che gli esseri umani, fossero stati anche i suoi migliori amici, si sforzassero di tirargli su il morale. Odiava che loro, come lui, si sentissero troppo vuoti e distanti per essere definiti parte del mondo, per sentire di meritare l’ossigeno che pungeva i polmoni.
    Voleva solo rimanere solo, affogare nei respiri al sapor ramato di sangue e sudore i propri fallimenti. Poi, quasi avesse avuto un interruttore, la sua vita riprendeva dal punto antecedente, una cortina opaca ad oscurare le lacune buie di ferite mai rimarginate, un sorriso sghembo a spezzare l’impassibilità di un viso troppo pallido come il primo fulmine ad illuminare il cielo plumbeo. Era fatto così, William Barrow.
    Male.
    Chiuse gli occhi, un gusto amaro a pungere la lingua come acido. Le spalle ingobbite, appesantite da una vita che non ricordava di aver vissuto e che ora non poteva fare a meno di esigere la sua attenzione, imponendosi su di lui come un padre troppo severo. Si sentiva caldo e freddo, vuoto e pieno, pesante e leggero. Si sentiva William, e si sentiva anche un po’ Liz, Mitch, Arthea; e si sentiva anche un po’ Niamh, Lil, Daphne, Patrick.
    E si sentiva un po’ tutto, ed un tutto un po’ niente.
    Aveva davvero fatto una cazzata – più di una, più di cento.
    «Abbiamo» No. No. Era ingiusto ed insensato che Elizabeth Fleed si facesse carico dei suoi errori, specialmente quando Will aveva un bisogno viscerale e necessario di sentirsi unico colpevole. La scelta era stata individuale, ma era stato lui a mostrare la strada.
    Sbagliata.
    Strinse i dento scuotendo il capo, senza girarsi verso la sua interlocutrice. Cosa avrebbe dovuto dirle, poi? Dovevano forse consolarsi a vicenda come due bambini che avessero rotto il vaso preferito della madre? William Yolo Barrow non era tipo da cercare supporto negli altri, né era in grado di consolare – non lo era mai stato. Lui trovava il problema e lo risolveva, o in mancanza di alternative affogava i suoi dispiaceri nell’alcool e nelle droghe, ma da solo. Quando piangeva, lo faceva da solo. Quando si arrabbiava, lo faceva da solo.
    Ne aveva bisogno, di quell’amara solitudine. Ciascuno, d’altronde, aveva i propri modi di affrontare il dolore. Rimase in silenzio con la testa china, il labbro morso a sangue fra i denti ed un sapore nauseabondo sulla lingua. Le costole, dove il pugnale l’avevano trafitto, pulsavano ancora come se l’arma vi fosse ancora incuneata. Sotto dita esitanti, Will poteva ancora sentire il taglio d’entrata della lama, il dolore secco e rapido del proprio cuore che veniva spaccato dalla punta acuminata.
    Gesù Cristo, era morto. Il solo fatto che fosse seduto su quel marciapiede, con una sigaretta ed una bottiglia di whisky fra le mani, era sbagliato. Qual era stato il prezzo? E cosa avevano ottenuto?
    Niente. Di nuovo, niente. Era un continuo girare su sé stessi mordendosi la coda, rincorrendo e cercando di modificare un tempo che loro, suo, non era mai stato. Erano le stupide pedine di un gioco perverso e malato dove non c’era alcun vincitore.
    Nessun
    Cazzo
    Di vincitore.
    «…Will» No, cazzo, no. Ancora William Barrow si intestardì a mantenere gli occhi chiusi, il respiro ingoiato e maciullato nei polmoni senza via d’uscita. Lo teneva lì, dove nessuno avrebbe più potuto rubarglielo. Rimase immobile mentre Liz poggiava la mano sulla sua, senza neanche azzardarsi a rilasciare il fiato. Non si preoccupò neanche di irrigidirsi, rimanendo passivo sotto la stretta di quella che era stata la sua migliore amica, di quella che poteva ancora esserlo. Ma non lì, non in quel momento.
    Non in quel fottuto momento.
    «non potevi saperlo» Una risata arida a spaccargli la gola, le spalle a scuotersi febbrilmente nell’unica risposta degna di quell’affermazione: «sta minchia»
    Sta minchia, non poteva saperlo. Era prevedibile, anzi, peggio per una mente come la sua che s’era sempre incentrata sulla logica strategia: era prevedibile. Aveva deciso di correre un rischio stupido, e non era ciò che un leader avrebbe dovuto fare – non se così facendo trascinava a fondo qualcun altro. Era un dato di fatto, una verità che non sarebbe riuscito a cancellare neanche il fottuto rum più buono dei bar di caracas. «non vuol dire nulla, liz» fulmineo si alzò in piedi, la testa sempre bassa e la sigaretta ormai consumata fino al filtro a pendere pigra da un angolo delle labbra. Trascinò le dita fra i fini capelli biondo cenere, tirando leggermente nel vano tentativo di percepirsi, tornare presente a sé stesso. Non era abituato ad avere qualcuno intorno quando aveva i momenti bui; perfino Mitch, malgrado all’inizio avesse cercato di rimanere con lui, aveva capito che non era quello di cui Will aveva bisogno.
    Doveva macerare, studiare, e se doveva piangere e gridare e rompere fottutamente tutto, perché era così che funzionava per lui. Aveva funzionato per più di vent’anni, e probabilmente l’avrebbe fatto per altri venti – sempre che ai quaranta ci fosse arrivato. «non voglio giustificazioni, ho fatto una cazzata» perché era uno di quegli amici di merda, Will, che se ne sbatteva abbastanza il cazzo delle sofferenze altrui quando lui era in quello stato. In altri frangenti, avrebbe dato a Liz una spalla su cui piangere – o più probabilmente, un bicchiere di vino corretto con qualche acido. Era stato lui il primo a dire alla Fleed che piangere non serviva a niente, ed era comunque il primo a farlo: si conosceva abbastanza da sapere che sarebbe durato poco, e che finito il momento di primordiale follia tutto sarebbe tornato alla normalità.
    Ossia, per quanto lo riguardava, una merda.
    Ma una merda che, solitamente, gli piaceva – gusti strani, William Yolo Barrow.
    Prese un sacchetto abbandonato da qualcuno che aveva fatto visita a quel parcheggio prima di lui, stringendo con forza il pugno attorno ai manici di plastica. Si portò le nocche alla fronte, inspirando profondamente malgrado fosse il primo ad essere cosciente di quanto a poco servisse a calmarsi, e più ad aprire le ferite della missione appena vissuta. Una stilettata di puro dolore bruciante gli attraversò la gamba mentre il cuore, infido, batteva con più tenacia pompando veloce, troppo veloce, sangue nelle vene.
    «cazzate» sibilò in un tono di voce così basso che a malapena lo udì egli stesso, le palpebre serrate. «dio santo, che mondo di cazzate» continuò greve, con la risata a graffiare il palato. «viviamo in un mondo di carta e neanche ci rendiamo conto di essere dei fottuti disegni» infilò la mano nel sacchetto, vibrante di rabbia, e strinse le dita attorno a qualcosa.
    Una zucchina.
    La prima di tante, a dire il vero. La scagliò con rabbia verso Liz, cieco alle sue azioni; guidato da quell’istanto malato che l’aveva spinto, ed aveva spinto tutti loro, nella fossa dei leoni. «ci siamo fatti il culo, abbiamo rischiato di rovinare tutto» un altro zucchino disegnò una parabola verso Elizabeth. «siamo, santiddio!, morti. E per cosa, Liz?» Le dita serrate così forzatamente da sbrindellare una parte dell’ortaggio, mentre anche quello veniva lanciato contro la ribelle. «sai una cosa? Vaffanculo. Vaffanculo a te» la indicò con lo zucchino, prima di tirarglielo contro. «vaffanculo a jeanine di sta minchia» un altro verde ortaggio a disegnare nuvole nel cielo. «vaffanculo a quel bastardo di lancaster» respiri sempre più rapidi che minacciavano di mandarlo in iperventilazione. «vaffanculo a ogni fottuto ribelle» e daje Will, la lista è lunghina eh. «vaffanculo a mitch, e arthea. Vaffanculo a niamh, lilian, Patrick, e daphne» credevate avesse finito?
    Stolti.
    Mancava il pezzo forte.
    «ma soprattutto, vaffanculo a william barrow» diede un pugno al muro, spezzando la pelle delle nocche. Un sibilo sputato fra i denti, la fronte poggiata alla superficie fredda.
    Ansimante.
    Stanco - di quello che era stato, di quello che era, e di quello che sarebbe stato il giorno dopo.
    Stanco di sé stesso, Will.
    E di quella guerra che non aveva né vincitori né vinti, ma solamente martiri.
    [sheet - earth/faith pensieve]
    - sorry dear, i'm allergic to bullsh*t - code by ms. atelophobia

    come far degenerare un post serio level will:
    CITAZIONE
    - lancia zucchine ad un pg a scelta per tutta la durata di un post

    ATTENZIONE, IL TURPILOQUIO CONTINUAH occhietti innocenti avvisati!
     
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2 replies since 29/5/2016, 02:08   191 views
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