Ilvermorny pool party

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    Ilvermorny pool party!



    Luogo: Wicked Park, Hogsmeade. Data: 31.07 Ora: 21:30

    Wicked Park non è come l’avete sempre visto, neanche lontanamente: le giostre sono state coperte da teli bianchi su cui sono appuntate piccole luci bianche, che seppur di loro diano un’illuminazione alquanto flebile, riescono a rischiarare alla perfezione l’ambiente che vi circonda. Varcati i cancelli, dove è avvenuto lo Smistamento, un lungo tappeto nero bordato d’argento vi conduce al centro del parco, ai piedi dell’enorme ruota panoramica, unica giostra scoperta (ma anch’essa decorata con luci, questa volta dei quattro colori delle casate di Ilvermorny: rosso, viola, verde e blu). Qui trovate la vera novità: una grande piscina, che certamente non avevate mai visto al Wicked, di forma ovale; va dai pochi centimetri di altezza, ad almeno tre metri di profondità, così che chiunque voglia possa farsi una nuotata. Attorno alla piscina sono sistemati bassi tavolini coperti da tovaglie bianche: in un tavolino potete trovare le spille della casata che vi ha scelto all’entrata (sono in realtà adesivi, non vere e proprie spille, ma non preoccupatevi! Nulla riuscirà a farla scivolare, sono a prova d’acqua e di bomba #wat), in altri bevande di ogni genere (punch alcolico, analcolico, whisky incendiario, burro birra, succo di zucca, e piccoli bicchieri di ogni colore con gusto a sorpresa, come le gelatine tutti i gusti + 1), in altri ancora cibo di ogni tipo (tortini dolci, salati, fontane di cioccolato, panini al salame #wat). Vi sono inoltre sparsi alcuni divanetti e comodi pouf bianchi, nonché asciugamani per tutti quegli stolti che non l’hanno portato da casa (#MAMMAWIN). È tutto all’aperto, ma non preoccupatevi! In caso dovesse venire brutto tempo, malgrado il cielo appaia terso ed una grande luna (e le stelle pidi, sì, a questo giro ci sono) illumini flebilmente i vostri profili, gli organizzatori della festa provvederanno a farvi stare all’asciutto (più o meno, è sempre una festa in piscina insomma #wat). La piscina è circondata da quattro grandi lampioni contenenti bianchi fuochi fatui. Non vi sono camerieri a servire, né personale di genere, ma i vassoi volteggiano delicatamente fra la folla, offrendo a tutti cibo e bevande. Approfittatene magari è droga! #wat e godetevi la festa!
    Chissà, forse non morirà nessuno!
    - [E poi abbiamo Al ]
    p.s. se ve lo steste chiedendo (perché dovreste? Ma la vera domanda è: perché no?) ci sono un sacco di Fragolini per tutti. (il vino, per intenderci; esiste anche in versione analcolica, per non far sentire i bimbi soli (??) sì, tipo quello delle winx che vendono al Bennet. Scusate, la smetto).
    ma quello è un bellissimo granny rabids ! la tua psw speciale è: davvero

    Il vostro arrivo/smistamento alla festa dovrà avvenire (IN ON) secondo questa modalità
    CITAZIONE
    Ogni partecipante varca la soglia del grande cancello di Wicked Park e si trova dinnanzi quattro intagli di legno, rappresentati le creature simbolo della scuola di Ilvermorny, uno ad uno venite invitati a collocarvi sul simbolo del nodo gordiano nel mezzo del pavimento di pietra. I quattro intagli reagiscono per accettarvi nella loro squadra:
    - Se il Serpecorno vi vuole, il cristallo che ha incastonato sulla fronte si illumina.
    - Se il Tuono Alato vi vuole, manifesta la sua approvazione battendo le ali
    - Se il Magicospino vi vuole, solleva la freccia in aria.

    In OFF le Case già decise sono
    Horned Serpent
    - Freya Gardner
    - Jayson Matthews
    - Eleanor Quinn
    - Hope Mills
    - Rea Charlotte Hamilton
    - Elsa Queen
    - Saiph Mitchell*

    Thunderbird
    - Xavier Stevens
    - Shane Howe
    - Erin Chipmunks
    - Calathea Rojas Fernàndez
    - Sydney ( detto Fox ) Withpotatoes
    - Scott Chipmunks
    - Whylith Chipmunks

    Wampus
    //

    Pukwudgie
    - April Larson
    - Syria Hollins
    - Nate Wellington
    - Idem Withpotatoes
    - Murphy Skywalker
    - Brodino Amos Hamilton (+ Cremino)
    - Elia Skeoch
    - Aloysius Angus Crane

    La Casa Wampus non è presente perchè non ha raggiunto abbastanza iscritti
    Avete tempo per postare l'entrata del vostro PG alla festa fino al 10/08 ore 23.59. Dopodichè vi daremo maggiori informazioni su cosa dovrete fare durante la festa.
    Post brevi (di massimo 500 parole) sono consigliati ma non obbligatori.

    * Per equilibrare le squadre abbiamo estratto e spostato chi aveva scelto Horned Serpent come seconda casa
    code © psiche





    accadono code che

    [dimensioni immagini: 245x150 (le ridimensiona, tranquilli #wat però meglio che siano queste onde evitare deformazioni impreviste (?))]






    thunderbird

    they never saw us coming till they hit the floor

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    rebel
    rebel
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    erin chipmunks
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    CODICE
    <div align="center">
     <div style="width:500px;background-color:#d9d9d9; border: 15px solid #4C7746; padding:4px;">
       <table width="500px">
         <tr><td width="67%" colspan="3"> <div style="font-size:53px;font-family:georgia;font-style:italic;color:#48833f;text-shadow: 2px 0 0 #4C7746;letter-spacing:-3px;">
           <b>thunderbird</b></div><div style="width:300px;background-color:#d9d9d9;border-bottom:2px solid #4C7746; padding:1px;font-family:georgia;text-transform:uppercase;letter-spacing:1px;font-size:6px; color:#000;">
           QUOTEQUOTEQUOTEQUOTE
           </div><div style="text-align:justify;height:140px; overflow:auto; background-color:#d9d9d9; font-family:georgia;line-height:12px;font-size:10px;letter-spacing:0.5px; color:#404040;"> ROLEROLEROLEROLEROLEROLEROLE
           </div> </td>
           <td width="40%" colspan="2"><img style="background-color:#294026;padding:2px; border: 3px solid #4C7746; width:150px;" src="LINKIMMAGINELINKIMMAGINE"><img style="margin-top:3px;background-color:#294026;padding:2px; border: 3px solid #4C7746; width:150px;" src="LINKIMMAGINELINKIMMAGINE"> </td></tr> <tr><td><div style="width:80px;text-align:center;background-color:#bfbfbf;border-top:1px solid #48833f;border-bottom:1px solid #48833f; padding:2px;font-family:georgia;text-transform:uppercase;letter-spacing:2px;font-size:6px;">INFOINFOINFOINFO</div></td><td> <div style="width:130px;text-align:center;background-color:#b3b3b3;border-top:1px solid #666666;border-bottom:1px solid #666666; padding:2px;font-family:georgia;text-transform:uppercase;letter-spacing:2px;font-size:6px;">INFOINFOINFOINFO</div></td><td> <div style="width:80px;text-align:center;background-color:#bfbfbf;border-top:1px solid #48833f;border-bottom:1px solid #48833f; padding:2px;font-family:georgia;text-transform:uppercase;letter-spacing:2px;font-size:6px;">INFOINFOINFOINFO</div></td><td colspan="2">
    <div style="width:160px;text-align:center;background-color:#809d7b;border-top:1px solid #666666;border-bottom:1px solid #666666; color:#000;padding:2px;font-family:georgia;text-transform:uppercase;letter-spacing:2px;font-size:6px;">NOMECOGNOMEPGYO</div></td>
    </tr>
      </table>[URL=http://tigerdirty.forumfree.it/?act=Profile&MID=8758744] <div style="background-color:#CFCFCF;text-align:right;padding:1px;font-size:6px;text-transform:lowercase;text-shadow: 1px 0 0 #b3b3b3; color:#737373; font-family:georgia;letter-spacing:2px;"> <div style="padding-right:5px;">hit and wat code by ms. atelophobia</div></div>[/URL]</div></div>





    horned serpent

    they never saw us coming till they hit the floor

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    rea hamilton
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    <div align="center">
     <div style="width:500px;background-color:#d9d9d9; border: 15px solid #263459; padding:4px;">
       <table width="500px">
         <tr><td width="67%" colspan="3"> <div style="font-size:44px;font-family:georgia;font-style:italic;color:#2e4385;text-shadow: 2px 0 0 #263459;letter-spacing:-3px;">
           <b>horned serpent</b></div><div style="width:300px;background-color:#d9d9d9;border-bottom:2px solid #263459; padding:1px;font-family:georgia;text-transform:uppercase;letter-spacing:1px;font-size:6px; color:#000;">
          QUOTEQUOTEQUOTE
           </div><div style="text-align:justify;height:140px; overflow:auto; background-color:#d9d9d9; font-family:georgia;line-height:12px;font-size:10px;letter-spacing:0.5px; color:#404040;">ROLEROLEROLE
           </div> </td>
           <td width="40%" colspan="2"><img style="background-color:#262C40;padding:2px; border: 3px solid #263459; width:150px;" src="LINKIMMAGINELINKIMMAGINE"><img style="margin-top:3px;background-color:#262C40;padding:2px; border: 3px solid #263459; width:150px;" src="LINKIMMAGINELINKIMMAGINE">  </td></tr> <tr><td>  <div style="width:80px;text-align:center;background-color:#bfbfbf;border-top:1px solid #283B75;border-bottom:1px solid #283B75; padding:2px;font-family:georgia;text-transform:uppercase;letter-spacing:2px;font-size:6px;">INFOINFOINFO</div></td><td>  <div style="width:130px;text-align:center;background-color:#b3b3b3;border-top:1px solid #666666;border-bottom:1px solid #666666; padding:2px;font-family:georgia;text-transform:uppercase;letter-spacing:2px;font-size:6px;">INFOINFOINFO</div></td><td>  <div style="width:80px;text-align:center;background-color:#bfbfbf;border-top:1px solid #283B75;border-bottom:1px solid #283B75; padding:2px;font-family:georgia;text-transform:uppercase;letter-spacing:2px;font-size:6px;">INFOINFOINFO</div></td><td colspan="2">  <div style="width:160px;text-align:center;background-color:#9095a2;border-top:1px solid #666666;border-bottom:1px solid #666666; color:#000;padding:2px;font-family:georgia;text-transform:uppercase;letter-spacing:2px;font-size:6px;">NOMECOGNOMEPGYO</div></td> </tr>
       </table>[URL=http://tigerdirty.forumfree.it/?act=Profile&MID=8758744] <div style="background-color:#CFCFCF;text-align:right;padding:1px;font-size:6px;text-transform:lowercase;text-shadow: 1px 0 0 #b3b3b3; color:#737373; font-family:georgia;letter-spacing:2px;"> <div style="padding-right:5px;">hit and wat code by ms. atelophobia</div></div>[/URL]</div></div>





    pukwudgie

    they never saw us coming till they hit the floor

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    rebel
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    idem withpotatoes
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    <div align="center">
     <div style="width:500px;background-color:#d9d9d9; border: 15px solid #5A2728; padding:4px;">
       <table width="500px">
         <tr><td width="67%" colspan="3"> <div style="font-size:56px;font-family:georgia;font-style:italic;color:#7A3232;text-shadow: 2px 0 0 #5A2728;letter-spacing:-3px;">
           <b>pukwudgie</b></div><div style="width:300px;background-color:#d9d9d9;border-bottom:2px solid #5A2728; padding:1px;font-family:georgia;text-transform:uppercase;letter-spacing:1px;font-size:6px; color:#000;">
          QUOTEQUOTEQUOTE
           </div><div style="text-align:justify;height:140px; overflow:auto; background-color:#d9d9d9; font-family:georgia;line-height:12px;font-size:10px;letter-spacing:0.5px; color:#404040;">ROLEROLEROLEROLEROLEROLE
     </div>   </td>   <td width="40%" colspan="2"><img style="background-color:#402626;padding:2px; border: 3px solid #5A2728; width:150px;" src="LINKIMMAGINELINKIMMAGINE"><img style="margin-top:3px;background-color:#402626;padding:2px; border: 3px solid #5A2728; width:150px;" src="LINKIMMAGINELINKIMMAGINE"></td></tr> <tr><td>  <div style="width:80px;text-align:center;background-color:#bfbfbf;border-top:1px solid #762828;border-bottom:1px solid #762828; padding:2px;font-family:georgia;text-transform:uppercase;letter-spacing:2px;font-size:6px;">INFOINFOINFO</div></td><td>  <div style="width:130px;text-align:center;background-color:#b3b3b3;border-top:1px solid #666666;border-bottom:1px solid #666666; padding:2px;font-family:georgia;text-transform:uppercase;letter-spacing:2px;font-size:6px;">INFOINFOINFO</div></td><td> <div style="width:80px;text-align:center;background-color:#bfbfbf;border-top:1px solid #762828;border-bottom:1px solid #762828; padding:2px;font-family:georgia;text-transform:uppercase;letter-spacing:2px;font-size:6px;">INFOINFOINFO</div></td><td colspan="2">  <div style="width:160px;text-align:center;background-color:#9B6B6B;border-top:1px solid #7C7C7C;border-bottom:1px solid #7C7C7C; color:#000;padding:2px;font-family:georgia;text-transform:uppercase;letter-spacing:2px;font-size:6px;">NOMECOGNOMEPGYO</div></td>  </tr>
       </table>[URL=http://tigerdirty.forumfree.it/?act=Profile&MID=8758744] <div style="background-color:#CFCFCF;text-align:right;padding:1px;font-size:6px;text-transform:lowercase;text-shadow: 1px 0 0 #b3b3b3; color:#737373; font-family:georgia;letter-spacing:2px;"> <div style="padding-right:5px;">hit and wat code by ms. atelophobia</div></div>[/URL]</div></div>


    Edited by etc. - 23/9/2018, 23:57
     
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    pukwudgie

    "His first thought was for her. Where seh was? What she was doing? Did she think of him too?"
    Erano quasi le dieci di sera e Nate era davanti al cancello di Wicked Park. Era da solo, speranzoso di incontrare alcuni dei suoi amici e... una persona in particolare. Strinse il braccio attorno al suo asciugamano turchese e si inoltrò nel parco. Piccole lucine bianche rischiaravano il buio, come numerose file di lucciole, mentre Nate si posizionava sul nodo gordiano posto sul pavimento. Non appena entrambi i piedi furono poggiati, come quando si sale su una bilancia, non gli ci volle molto per esultare, vedendo il Magicospino questo nome fa cagare, d'ora in poi userò quello inglese sollevare la sua freccia. Oltrepassò gli intagli di legno e si diresse verso la grande ruota panoramica, unica giostra non coperta dai teli bianchi e dalle lucine. Alla vista della piscina, gli brillarono gli occhi, come quando un bambino riceve un pugno di caramelle per aver fatto un bel disegno. Si era vestito pronto per tuffarsi: bermuda arancioni e rossi, cannottiera nera molto leggera e un paio di infradito gialle e nere (come i colori della sua ex casata). Fremeva dalla voglia di tuffarsi, ma decise di aspettare di avvistare qualche suo amico, per non sembrare troppo patetico a nuotare da solo. Si sedette a bordo vasca, dopo essersi tolto le ciabatte, e mise le gambe a mollo nell'acqua. Al contrario di ciò che si aspettava, l'acqua era tiepida e rilassante. La tentazione di immergersi era troppo forte, ma riuscì a trattenersi. Nonostante fosse una festa, Nathan doveva trattenersi. Era in luogo molto affollato, nessuno avrebbe fatto caso a lui e, per questo, aveva lasciato al QG il kit da "Nate in incognito", ma i suoi poteri di Mimetico si sarebbero ben presto manifestati. Percepiva decine di poteri: il calore di pirocineta, il ticchettio di un orologio (forse un cronocineta) e l'odore di elettricità (cosa poco rassicurante, visto l'ambiente molto bagnato) tipico dell'elettrocinesi. Gli piacevano questo tipo di feste, dove non bisogna per forza stare con persone che non vuoi vedere ma puoi svagarti in modo alternativo. E poi al Quartier Generale si moriva di caldo e usare l'idrocinesi per rinfrescarsi non bastava più. Nate scrutava la folla impaziente di trovare un volto amico e buttarsi in acqua. In realtà cercava un volto ben preciso, ma si lasciava distrarre da persone simili ad altri suoi amici.
    "Smettila, molto probabilmente non è venuta. Sai che rapporto c'è tra lei e i luoghi affollati." si rimproverò mentalmente, mentre continuava imperterrito a esaminare ogni festaiolo.
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    thunderbird

    THE DARKNESS HELPS TO SORT THE SHINE
    C’era una volta un ragazzo solo, chiuso nel suo grande castello fatto di cristalli e drappeggi di velluto nero la cui sola presenza era sempre stata sufficiente per inghiottire ogni speranza. Tutto della Villa Icesprite-Howe ricordava le tenebre, ma in quell’ordine ossessivo e preciso, quasi maniacale, Shane ci era cresciuto ed aveva imparato a viverci. In quell’ordine ossessivo e preciso, la cui figura di Damian Icesprite faceva da padrona, aveva sempre trovato la calma, la dannata sicurezza. Si odiava un po’ per questo.
    C’era una volta quell’animo pallido, che appariva come una figura eterea, nascosto dietro gli spessi vetri trasparenti della sua camera oscura, in attesa di qualcosa. Lo sguardo smeraldo appariva spento, privato di quella luce fredda che per i suoi occhi era la regola. Fissava qualcosa, ma cosa? Oltre i vetri di quella finestra realizzata in un ricercato stile gotico, il suo volto si vedeva appena, appariva confuso, ma lo sguardo era fermo all’orizzonte e solo dopo qualche istante di attenta osservazione si era deciso ad aprire un’anta di quella finestra, per far entrare un Gufo.
    Osservò la pergamena ancorata al pennuto e la staccò dalla sua zampa, prima di vederlo volare via. Sapeva già chi fosse il mittente e non solo per le scure orme di Gideon che facevano quasi da decorazione a quella lettera, lo sapeva, perché Lucas era l’unico che conoscesse abbastanza cazzuto da tenersi un leone in casa.

    CITAZIONE
    Carissimo signorino Howe,
    Scusa per le macchie. Gideon oggi è irrequieto. Volevo dirti che ieri sono stato con Niamh in Russia, a Mosca. È un luogo che lei adora e m'è sembrato il luogo più adatto per farle la dichiarazione di matrimonio. Hai capito bene: nella Piazza Rossa le ho chiesto di sposarmi. E niente, ci sposiamo. Sono eccitato all'idea, e devo chiederti una cosa. E sono successe cose, ma voglio dirti tutto di persona. Cavolo, Shane. Sposarmi, renditi conto.
    Dobbiamo incontrarci presto,
    - Lux

    Non si rese nemmeno conto di avere la bocca aperta per lo stupore mentre leggeva quelle parole che lo avevano rapito del tutto. Dichiarazione di matrimonio. Il matrimonio faceva parte di quei grandi passi della vita che sono quasi inevitabili, ma l’idea di condividere la propria esistenza con un’altra persona in modo totalizzante era per Shane motivo di stupore, di domande su domande, di terrore, di inquietudine. La domanda ricorrente tra tutte, alla fine, era sempre la stessa: perchè? Non ricordava di essere mai stato innamorato, non poteva darsi una risposta sebbene più volte sentimenti d’amore avessero sfiorato il suo cuore, ma non erano i suoi, appartenevano ad altre persone e Shane faceva in modo di sfuggire a questi sentimenti, faceva in modo di allontanarsi da quelle persone quanto più possibile perché ciò che provava più di ogni altra cosa, alla fine di tutto, era il dolore. L’amore era una sensazione troppo bella, così bella che quando quella persona innamorata si allontanava lasciandolo solo nel suo vuoto cosmico, Shane non riusciva a trattenere le lacrime.
    L’amore era il sentimento peggiore con il quale Shane Howe avesse mai avuto a che fare.
    Si ritrovò a rispondergli subito, seduto alla scrivania della sua camera. Al ricordo delle brevi sensazioni provate quelle volte in cui una persona innamorata era entrata nel suo raggio sensitivo, la sua mano sinistra aveva tremato, rischiando di rendere ancora più illeggibile la sua già di per sé provata grafia.
    Ne sei innamorato? Doveva salvaguardarsi.
    Scosse la testa e cancellò ciò che aveva scritto, sentendosi stupido per quella richiesta. Non importava se fosse innamorato o meno, Shane lo avrebbe sopportato comunque, ma avrebbe fatto in modo di farlo in un luogo affollato, un luogo in cui il sentimento di Lucas non avrebbe potuto sopraffare più di tanto il suo animo solo.

    CITAZIONE
    Il matrimonio, come la morte, è un passo importante della vita.
    Il 31 ci sarà una festa al Wicked Park. Ci saranno tante persone...ci vediamo lì?
    - Shane

    Una festa, tante persone. Cosa ne avrebbe pensato il vecchio Shane?
    L’Ashwinder tatuato sopra la sua schiena iniziò a bruciare, come a volersi ribellare a qualcosa e Shane storse il naso in una smorfia distratta di dolore.
    C’era una volta un ragazzo solo ma che, da qualche tempo, solo non voleva rimanere perché l’eco del suo animo vuoto, ormai abituato a percepire le vivide emozioni altrui, lo spaventava. Non ricordava quel tempo in cui si era chiuso alla vita, ma aveva passato da solo ben dodici anni, chiudendo le porte in faccia a chiunque avesse anche solo provato ad avvicinarsi a lui, innalzando barriere sicure oltre quei cieli di ferro inglesi. Ed adesso, come se avesse subito la legge del contrappasso, aveva paura di rimanere da solo con sé stesso.
    Feather? Sarebbe bastato un sospiro intenzionale per richiamare a sé il suo pennuto. Ciao bella. Sorrise sinceramente, lasciando che il corvo posasse le zampe sottili sopra il dorso della sua mano e sollevando il becco verso il cielo Shane potè accarezzarle il piceo piumaggio, coccolandola com’era solito fare. Ne era molto affezionato, Shane, poteva quasi considerarla un’amica. Ci teneva così tanto da considerarla l’unica trasmittente sicura tra tutti i pennuti. Feather era l’unica. Arrotolò la pergamena a destinata a Lucas e la legò alla zampa nera del corvo, prima di sussurrarle qualcosa all’orecchio e lasciare che questa volasse via. Il 31 luglio era vicino, e Shane avrebbe dovuto prepararsi per quella serata.
    In realtà, Shane non aveva capito che la festa organizzata al Wicked Park fosse una festa a tema Ilvermorny, né aveva capito, tanto meno, che fosse una festa in piscina. Probabilmente, se lo avesse saputo prima, avrebbe evitato di vestirsi in quel modo tanto poco adatto. Se lo avesse saputo, non ci sarebbe andato affatto a quella festa: portava bermuda elastici ma aderenti, rigorosamente neri, dello stesso colore della canottiera dotata di cappuccio che portava sulla testa, a coprire quasi totalmente i capelli ramati che rimanevano visibili per un unico ciuffo ribelle sulla fronte. Ai piedi all star, indovinate di quale colore?
    Lo sguardo spaesato si soffermò sui tanti, troppi, corpi palestrati che si aggiravano all’entrata del parco, così come le numerose fanciulle con le grazie semi scoperte che attiravano la sua attenzione più di quanto avrebbero dovuto. Era ancora in tempo a mandare una lettera a Lucas e disdire tutto? Varcata la soglia venne accolto dal Tuono alato che batte le ali per lui, al ritmo del battito delle mani di altri che come lui erano consapevolmente entrati in quella squadra.
    Eccolo qui, in anticipo come sempre eh? Ma...cosa ci fai vestito?! Evanesco.
    In un attimo la sua canottiera nera sparì, lasciandolo a petto nudo e con i bermuda neri che, tutto sommato, potevano passare come un costume.
    Ti odio, rimettimela Lo guardò in cagnesco.
    "Sono felice di vederti."
    Dai Shane, è una festa in piscina, sono tutti nudi, e poi… chissà cosa potrebbe succedere, te la rovineresti.
    Non me ne frega un accidente. Si guardò intorno, circospetto e paranoico, e strinse le mani sulle proprie braccia troppo pallide, sentendosi messo a nudo davanti a tutti. Ma...nessuno badava a lui, nessuno sembrava guardarlo e per questo riuscì a rilassarsi un po’.
    Lucas, non contento, ripetè lo stesso incanto sulle sue scarpe, lasciandogli i piedi nudi e Shane non poteva vantare dei bei piedi, davvero.
    Se pesto una merda me li pulisci tu i piedi?
    Certo...
    D’accordo
    ...Che no.
    Concluse il ragazzo, prendendolo in giro con un sorriso ed abbracciandolo forte.
    Mi sei mancato. E Shane sapeva che era sincero. Lo percepiva. Chiuse gli occhi e si lasciò abbracciare per qualche istante, prima di iniziare a fare un giro per il parco insieme a lui.
    In mezzo a quel mare di persone disinvolte, al loro posto e nei loro abiti giusti, Shane si sentiva un alieno. Un unico commento, sorse spontaneo dalle sue labbra non appena vide la piscina al centro del parco: Per le tette di Morgana.
    Ehi!Una ragazza dinnanzi a sé provvide a coprire il suo seno prosperoso, ed il ragazzo al suo fianco sembrò pronto a sferrare un pugno in faccia a Shane.
    Tu. Marmocchio. Guarda altrove. Morgana, andiamo.
    E se andarono, così come erano arrivati, lasciando Shane più confuso di come era stato al suo arrivo. #sipartecolwat
    EMPATHY
    PSYCHOWIZARD
    OBLIVIATE
    Shane Icesprite-Howe
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    Cose di cui non frega a nessuno tra Shane e Lucas + pippe mentali + pipponi + arriva alla festa + tette
    in sostanza non fa nulla, arriva e basta


    PbuTqZJ

    #unabettapagasempreipropridebiti #quali?


    Edited by shane is howling - 10/8/2016, 14:27
     
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    horned serpent

    I've gotta gay. Go. Go. I've gotta go.
    In un'altra situazione, la domanda ricorrente che avrebbe afflitto i suoi pensieri per tutto il resto della serata sarebbe stato "Ma cosa ci faccio qui?", o comunque qualche altra frase che lasciava trapelare quanto in realtà la corvonero si sentisse inadatta in quel luogo. Anche se, in effetti, lei si sentiva inadatta in più della metà dei luoghi che ogni giorno visitava, le aule di lezione comprese.
    E invece, una volta tanto Eleanor Quinn era consapevole di ciò che stava facendo e si sentiva fiera di sè per la ragione aveva portato lei, Thea ed Elia all'ingresso del Wicked Park di Hogsmeade, dove a breve sarebbero state smistate in una delle casate di Ilvermorny prima di entrare.
    Si voltò verso Thea, lanciandole una rapida occhiata eloquente che riassumeva perfettamente tutti i suoi dubbi che ora erano riaffiorati, ma distolse rapidamente lo sguardo per evitare di incontrare quello della cugina che, lo sapeva, era probabilmente meno entusiasta di lei di trovarsi a quella festa. Perchè anche se vi era una motivazione valida dietro al fatto che si fossero presentate lì quella sera, ad un party a cui la maggior parte dei loro pochi amici aveva scelto di non partecipare, ciò non significava che fossero davvero entusiaste dell'idea di fare baldoria tutta la notte coca e mignotte... no, questa è Athena che parla Che volete farci? A quanto pare la misantropia verso i luoghi affollati e pieni di gente dalle abilità sociali più elevati delle loro era una dote di famiglia.
    Il suo sguardo si spostò su Elia, in mezzo a loro due, e sperò che la ragazza potesse divertirsi più di loro, perchè in fondo era solo per lei se avevano accettato: da buone amiche d'infanzia infatti, Thea ed Eleanor avevano deciso di trascorrere una serata in compagnia di Elia come quando erano piccole e la scelta riguardo a dove andare era quasi subito ricaduta sul Pool Party a tema Ilvermorny. Una pessima scelta, come avevano potuto constatare poco dopo il loro arrivo, ma a quel punto le sarebbe dispiaciuto troppo abbandonare tutto e tornare indietro, soprattutto perchè sapeva quanto Elia amasse le feste. O almeno, questo era quello che ricordava dell'amica persa di vista per così tanti anni quando lei e Thea avevano iniziato a frequentare Hogwarts, ma in realtà Elia aveva subito numerosi cambiamenti, primo fra i quali il diverso colore dei capelli, che la corvonero non era certa di avere davanti la stessa persona della sua infanzia. Ma questo poco importava, dopotutto le persone sono soggette a continue modifiche, caratteriali e fisiche, nel corso del tempo e lei stessa ne era la prova.
    «Che ne dite, andiamo?» invitò le altre due a seguirla, dopo aver preso un respiro profondo. Cavoli, quella festa la terrorizzava più delle lezioni di pozioni ciao Vio, se stai leggendo sappi che ti voglio bene, non mangiarmi #wat
    Avanzò, posizionandosi sopra il simbolo disegnato nel pavimento per svolgere lo smistamento e il cristallo posizionato sulla fronte dell'Horned Serpent si illuminò quasi istantaneamente, dichiarando così a quale squadra si sarebbe unita. Attese anche lo smistamento delle altre due ragazze e avrebbe voluto finire in squadra con entrambe, o almeno con una delle due, ma il Fato non fu così clemente con loro cattivo Fato
    Seguì il lungo tappeto bordato d'argento fino a giungere nei pressi dell'enorme piscina e quello che si presentò davanti ai suoi occhi fu... tanto ben di MorganDio. Era sempre stata una ragazza riservata, restia a commentare con ardore e ad alta voce le persone fisicamente apprezzabili ma in quel momento fu davvero, davvero tentata di farlo. D'improvviso, stava amando quel luogo, quel party e soprattutto l'estate, che costringeva le ragazze a girare per la piscina coperte solo da costumi da bagno quasi più con lo scopo di delineare le forme piuttosto che di coprire ciò che era necessario.
    Arrossì in volto e si morse il labbro inferiore per non rischiare di assumere un'espressione troppo compromettente, e con un finto colpo di tosse si voltò quindi verso Thea ed Elia.
    «Ok ci siamo... e ora che si fa?» domandò loro: non le sarebbe dispiaciuto gettarsi direttamente in piscina ma preferiva che anche le altre fossero d'accordo o che, in alternativa, proponessero qualcos'altro da fare tutte e tre insieme. Attese la loro risposta, senza riuscire a staccare gli occhi di dosso dalle innumerevoli persone che stavano superando la prova costume a pieni voti e come sempre la sua insicurezza tornò a farsi sentire, costringendola a incrociare le braccia stringendo a sé l'asciugamano che aveva portato in modo da coprirsi la parte superiore del corpo. Avere indosso solamente il bikini scuro e, avvolto attorno alle gambe solo, un sottile pareo arancione non le sembrava più una buona idea ora e si sentiva un'idiota a pensarlo, perchè dopotutto quella era pur sempre una piscina no? Avrebbe attirato molto di più l'attenzione se fosse arrivata con un costume da mascotte dalle fattezze di un tricheco, ad esempio #Athenaapproves
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    horned serpent

    i have "oh, for fuck's sake, fuck this shit" moments.
    «Non sono dell'umore per venire ad una festa, Jayson. » E a quel punto il nostro eroe avrebbe potuto rinunciare. Dopotutto, sapeva perfettamente cosa stava passando Aloysius Crane, oltre a crogiolarsi nel solito mainagioia. Magari non ci crederete, ma la situazione era persino peggiorata: una figlia scomparsa all'improvviso senza lasciare tracce, e quell'ammorbante senso di impotenza che Matthews conosceva fin troppo bene. Allora per quale assurdo motivo si era messo a tampinare il suo mentore #2 per convincerlo - se non costringerlo - a saltare sulla hamilimousine e unirsi alla banda (quale banda) per raggiungere il Wicked Park? Ottima domanda. Non dimenticate che da un mesetto a questa parte Jay stava passando gran parte delle sue giornate in compagnia di Gemes Hamilton, imparando dal suddetto come tenere le emozioni lontane per potersi meglio concentrare e questo, si sa, rende giusto un tantino più stronzi del normale. Quindi la risposta la si poteva trovare nell'egoismo, puro e semplice. Il telecineta aveva bisogno di uno come Al accanto, qualcuno che fosse al suo livello di tristezza quotidiana e tendesse ancor più alla malinconia durante i party. Non poteva contare su Xav, o Brodino. Il primo si sarebbe buttato sull'alcool, resuscitando dopo qualche bicchiere con uno spettacolino di lap dance per le signore adoranti #wat, mentre il secondo, beh, aveva un bambino a cui badare. Nuova storia, stessa storia. Non capiva come qualcuno avesse potuto pensare di affidare al biondo un essere umano in miniatura, ma tant'è. E comunque Cremino - questo il nome dell'ultimo randagio Hamilton - sembrava essersi già adattato alla vita nella villa, quasi fosse stata da sempre casa sua. A Jay piaceva, per quanto ci si può far piacere un bambino di tre anni capace di fare duemilacinquecento domande sullo stesso argomento nell'arco di dieci minuti, portandoti al suicidio, anche se parlare con lui gli costava immensa fatica: gli era praticamente impossibile osservare quegli occhioni verde bosco, circondati da ciglia incredibilmente lunghe, senza pensare a Lydia. E pensare a Lydia creava tutta un'altra serie di scompensi che mal si adattavano alla sua nuova ricerca di se stesso. #hihihi. «Lascia perdere la festa in sé, okay? Ma ci sarà molta gente e magari.. magari potresti approfittarne per chiedere informazioni su Run. » Allontanatelo da Gemes, vi prego. Stava seriamente usando quell'argomento delicato per convincere il ragazzo a stanarsi dalla villa e stargli accanto durante quella, senza dubbio, infinita serata? Si era sentito come una merdina di cane pestata per benino, ma questo non aveva colpito abbastanza forte da ritirare l'invito, nemmeno quando una traccia di colore aveva nuovamente fatto capolino sul volto tirato di Al, alla prospettiva di poter racimolare qualche indizio sulla figlia scomparsa. Chiederò in giro. Lo aiuterò a trovarla, ecco. Grazie, Graziella e grazie al cazzo. Soprattutto grazie a Rea, che lo aveva messo in quella situazione kafkiana (ma precisamente, questo kafkia… chi è? Cit.): se la mora non avesse menzionato per prima la scuola di Ilvermorny e viva l’america e cosa sono gli stati uniti vi prego aggiornatemi, costringendo (cosa) lui e Xavier a farle da cavalieri (cosa2), certo Jayson non si sarebbe mai sognato di andarci da solo. Anzi, l’avrebbe schifata proprio, come qualunque altro evento da Capodanno in poi, tanto per mantenere i suoi standard di vita sociale rasoterra. Meglio, sotto le suole delle scarpe.
    Aww, sono così fiero di te, Freds.
    Fottiti.


    «Allora, con questi potremo tenerci in contatto tutta la sera. » Perché, qualcuno aveva intenzione di allontanarsi? Xav doveva solo provarci. O Al. Poteva concedere a Rea di farsi i fattacci suoi, perché lei era lei, ma agli altri membri della #swad non avrebbe permesso di disperdersi tanto facilmente. Magari lasciandolo da solo con dell’alcool, vicino ad una piscina. E se ci fosse stata anche Lydia, come a qualunque altra festa in cui Jay aveva dato spettacolo con le peggiori figure di merda? No eh, niente scherzi. Prese al volo gli auricolari dalla mano tesa di Brodino, stringendo gelosamente quegli aggeggi creati con la luce (?) senza nemmeno sapere dove metterseli, tenendo il pugno chiuso contro il cuore come a voler custodire un prezioso tesoro. Sarà che aveva già mandato giù un bicchiere di vino stappato da Al una volta arrivati nella Hamilimo (rob si inventa cose random, poi ditemi che non vanno bene wat), sarà che con quel costume da bagno poco sopra al ginocchio e i fiorellini azzurri si sentiva un completo idiota, sarà che Cremino continuava a fissarlo da almeno mezz’ora con quegli occhioni di un verde troppo intenso per sembrare reale, sta di fatto che quando finalmente le ruote del mezzo si fermarono per indicare loro l’arrivo al Wicked Park, Jay non potè fare a meno di tirare un sospiro di sollievo, gettandosi prontamente nell’aria frizzante della sera. Non poteva uscirne bene, questo lo sappiamo tutti. Lo sapeva anche lui, da qui le difficoltà a far entrare ossigeno al posto dell’anidride carbonica nei polmoni. Ma sapere e agire sono due cose completamente differenti e per quanto riguardava la seconda, il telecineta poteva fare ben poco, se non pregare Morgan di essere misericordioso e di risparmiargli le peggio umiliazioni. Se non una gioia, allora la fucking normalità. Non c'era proprio alternativa a It Happens Once In A Dream come nome in codice? No. Grazie Amos, prendo nota. Quanto meno non gli era capitato 'Currently Doing That'. Ad accogliere l'Hamilton Clique all'ingresso del Wiked, strane creature intagliate nel legno, che ad uno ad uno parvero quasi leggere loro attraverso smistando ciascuno in una casata differente, poi grandi tendoni ricoperti di lucine, gruppetti di persone raccolte attorno a tavoli e banconi, la sopracitata piscina.
    Già che i suoi compagni di disavventure erano finiti in gruppi differenti, eccetto Rea, la serata poteva dirsi ben avviata: fu a quest'ultima che Jayson si avvicinò, dopo aver lanciato una rapida occhiata ad Al per assicurarsi che il biondo non si fosse portato avanti buttandosi direttamente in acqua, sistemando la camicia con entrambe le mani, lisciandone la stoffa leggera. L'aveva lasciata aperta sul torace nudo, una cosa di cui si era immediatamente pentito senza riiscire a porre rimedio. Charlie, quindi. Bel nome. Io vorrei chiamarmi.. Freddie ..beh non lo so. Quello di una qualunque altra persona, immagino. Parlava più a se stesso che alla Hamilton, ma anche questo rientrava magicamente nella quotidianità di Jayson Matthews.

    19 y.o.
    hamilton
    telekinesis
    Jayson Matthews
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    pukwudgie

    It's just... amazing!


    Immaginatevi di vivere nella mente di una ragazza convinta che ogni giorno sia il 25 Settembre 2014, immaginatevi di osservare il sole e la luna rincorrersi giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno e immaginatevi di svegliarvi, al mattino con l'unica prospettiva di tornare a casa dai vostri genitori che vi stanno aspettando da ormai quasi un'ora. Immaginatevi, infine, di sapere nel vostro profondo, che forse a casa non ci tornerete mai. Un po' come in un sogno infinito, bello o brutto che sia al nostro risveglio abbiamo le idee confuse i ricordi vani. Si capisce che quello che non è successo non è reale, forse per la strana luce biancastra e soffusa, forse per i suoi ovattati o per situazioni improponibili, troppo assurde. Forse ora potrete capire come si sentiva Elia appena sveglia in una camera che non le apparteneva, con i sottili raggi di sole ad illuminarle il pallido viso. Una giovane ragazza che si ostina a non voler superare il suo quindicesimo compleanno, bloccata dalla paura dei suoi stessi ricordi, che osserva i volti familiari con apprensione e dolcezza. Come quello di Eleanor e sua cugina Thea. Quando aveva incontrato la giovane Corvonero quella sera, sulla Torre di Astronomia, quasi era scoppiata a piangere per il sollievo. Perché malgrado tutto, una piccola parte di lei ricordava che la sua immagine le era mancata, che era da ben più di qualche mese che non la vedeva. Erano state amiche di infanzia, Elia ricordava perfettamente le estati passate a correre sotto il sole, a giocare nella loro piscina in giardino. I loro genitori erano stati amici un tempo e le bambine erano cresciute insieme. Poi Elia aveva iniziato le scuole medie e il liceo, mentre le due ragazze venivano iscritte alla scuola di magia e stregoneria di Hogwarts. Ma che ne poteva sapere, lei? Per Elia era sufficiente incontrarle in estate. Era una ragazza socievole, aveva sempre tenuto alle sue amicizie e a conservarle. Non era la ragazza popolare del liceo, però era quella carina che bene o male conosceva tutti. Ed era anche quella che amava andare alle feste. Una festa in piscina! Io amo le feste in piscina! Si era trovata ad esclamare sognante la giovane ragazza appresa la notizia che sarebbe stato allestito un party a tema. Certo, a lei continuava a sfuggire il fatto che si trovasse effettivamente a vivere in un castello e che quel party era per giovani maghi e streghe a tema "Ilvermony". Cos'era Ilvermony? Elia lo ignorava apertamente, ma ovviamente fingeva che non fosse così, fingeva che tutto avesse un senso. Oh vi prego andiamoci! La giovane Elia non era così entusiasta per qualcosa da anni. Nei laboratori non c'erano feste, ma fortunatamente lei i laboratori quasi non li ricordava, anch'essi non erano altro che un brutto incubo causatole da uno dei suoi "demoni neri", quei mostri cattivi che le procuravano le visioni spiacevoli, di dolore. E così aveva convinto le due ragazze ad accompagnarle. Non vedeva l'ora del gran giorno, di potersi tuffare, di ridere, di incontrare nuove persone... la sensazione era come quella di quando ti viene fatto un enorme regalo, uno di quegli super costosi e che aspettavi da un sacco di tempo.
    Non era mai stata una persona pudica, Elia, e i laboratori l'avevano resa ancora più disinibita. Eppure le risultava difficile osservare la sua immagine riflessa allo specchio. Per la sua mente era facile trasformare gli incantesimi che volavano in giro per i corridoi in fatti da tutti i giorni, ma allo specchio i suoi capelli non le crescevano, nè diventavano in bel colore cioccolata e il suo fisico in forma e atletico era stato sostituito da una sua versione più smagrita e pallida. Ma erano le cicatrici a darle il colpo di grazia, quella lunga che le attraversava la schiena e quella dalla forma strana sul braccio. Se si accorgeva della loro esistenza, per Elia era fin troppo facile ricollegarsi direttamente alla terribile realtà. Così si incontrò con le altre che indossava un semplice costume dal colore blu notte ( il quale non faceva altro che risaltare ancora di più il pallore della ragazza) e una maglietta bianca a maniche corte, che lasciava scoperte le lunghe gambe magre. Salutò le due vecchie amiche con un'espressione gioiosa e sognante come non mai. Osservandola nel mentre si incamminava felice e contenta verso il luogo della festa il paragone che verrebbe spontaneo è quello di una bambina felice il giorno del suo compleanno. Non comprese bene quello che avvenne quando si trovò di fronte a tre grandi statue. Ma Elia osservò il magicospino alzare la freccia in aria al suo arrivo e subito riconobbe in lui uno di quegli artisti di strada che si dipingevano il corpo da statue per poi sorprendere i poveri passanti muovendosi improvvisamente. Così la giovane dai capelli bianchi sorrise alla "statua" e passò oltre appuntandosi la spilla dei pukwudgie sulla t-shirt. Era tutto più fantastico di quanto immaginasse. C'era già un sacco di gente e tutti sembravano divertirsi. Solo, osservò Elia, nessuno di loro portava la maglietta. Lentamente se la tolse anche lei, dopotutto in giro non c'erano specchi, non avrebbe dovuto temere la vista delle sue cicatrici. Rivelò così il suo corpo piccolo e minuto, aveva poco seno Elia, ma abbastanza da riempire bene una prima. Sulla schiena i capelli corti facevano vedere anche il tatuaggio del suo tema natale, oltre che alla lunga cicatrice che andava da spalla a spalla. Neanche si ricordava di essersi fatta fare quel tatuaggio. «Ok ci siamo... e ora che si fa?» Elia si voltò lentamente e raggiante verso Eleanor, osservando per qualche secondo la sua espressione. In quel momento accadde qualcosa. Elia non sapeva di avere un potere, eppure la telepatia entrò in atto, perchè captò i pensieri di Eleanor e non serviva più osservare come guardava la gente attorno a lei per capire. E anche se nessuno le aveva detto niente, per Elia fu come se Eleanor stessa le avesse appena rivelato tutto. Come un segreto sussurrato velatamente all'orecchio. E Elia le sorrise, complice e raggiante. Perchè per lei in quel momento niente aveva importanza e tutto era buono e giusto. Erano in una festa in piscina. Perchè non ci tuffiamo? Elia non entrava in piscina da un sacco di tempo e le era sempre piaciuto nuotare. Oppure possiamo conoscere qualcuno! Questo posto è pieno di gente, non mi sembra vero Era il tono di una pazza, troppo euforico per essere genuino.

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    thunderbird

    Sono nato nel ghetto e me ne vanto..io sono Fox...

    Luogo: Prigione di Londra. Data: 31.07 Ora: 10:30


    Scommettiamo che sarò fuori in giornata?
    Certo come no, devi scontare ancora sei mesi. Ti hanno per caso ridotto la pena?
    Ovviamente no, non essere sciocco. Io evaderò oggi stesso. disse Syd con un enorme sorriso stampato sul volto, al suo compagno di cella. Ormai era rinchiuso in quel posto da diverse settimane, anche se doveva ammettere che era stato molto stupido in realtà a farsi prendere. Si riteneva una persona furba e sempre un passo avanti agli altri, ma era già stato preso due volte in maniera alquanto idiota. La prima risaliva a qualche anno prima, aveva perso le tracce della sua migliore amica Delilah; o per meglio dire aveva seguito le briciole di pane che la ragazza le aveva lasciato lungo il sentiero e lui come quell'imbranato di pollicino era caduto in trappola. Già, si era fatto catturare ed era finito in un qualche posto sperduto da dio con persone che come lui non avevano idea di quello che stava succedendo. Ma lasciando stare la sua permanenza in quel luogo, era riuscito finalmente a scappare e si era messo alla ricerca di Del, forse non era più abituato a muoversi in città o magari era ancora poco stabile con i poteri - si anche lui era un esperimento riuscito con il dono della geocinesi - ma era stato arrestato.
    Sai amico ancora non posso credere di essere stato preso, devo aver perso il mio smalto, ma oggi riuscirò ad evadere seguì una risata fragorosa da parte del compagno, sapevano entrambi che nessuno poteva scappare da lì.
    Certo. E cosa ci vogliamo scommettere quindi? sembrava essere più intenzionato a giocare a quel punto, visto che sembrava aver la vittoria in mano, ma non sapeva quanto si sbagliava.
    Facciamo una cosa, tu dammi le tue carte da gioco e riceverai il mio pranzo domani e non perché perderò.... disse mettendosi seduto sul letto. Aveva un piano, ci era voluto qualche settimana prima di poter esser sicuro che sarebbe funzionato, di solito con la brigata riuscivano a mettere su un piano molto dettagliato in qualche ora, ma da solo era più difficile; ma l'aveva ed era pronto per uscire.
    Quindi comunque vada io ci guadagno il tuo pranzo? ahh non credo valga la pena.
    mmh..ok allora ti darò le chiavi per poter uscire anche te da questo posto in qualsiasi momento tu lo voglia, ci stai? L'uomo rispose con una risata ma gli lanciò il mazzo di carte Ok vediamo principessa che sai fare, se esci da qui io avrò le chiavi per potermene andare? Syd annuì mentre prese a mescolare le carte ricevute dall'amico Bene. vediamo. Ma se perdi?
    Non succederà....

    Luogo: Dark Street, Hogsmeade. Data: 31.07 Ora: 17.30


    Chiuse gli occhi godendosi quel fresco estivo di Londra e respirò a pieni polmoni Ahh ma che diamine! prese a tossire, Londra puzzava come una discarica, non si era perso poi molto in quelle settimane di clausura, quel luogo aveva lo stesso odore della prigione. Si voltò e notò che in effetti si trovava vicino ai cassonetti. Idiota.
    Era scappato già da diverse ore, aveva pranzato ed era riuscito a "trovare" dei vestiti decenti e si era liberato di quella nauseante uniforme da carcere, a lui proprio non donava. Glielo diceva sempre anche Del: l'arancione non ti dona...meglio il blu scuro quanto aveva ragione. Si specchiò in una vetrina ed effettivamente l'amica aveva sempre avuto un buon gusto riguardo alla moda. Fece una smorfia, aveva perso ogni traccia di lei e degli altri due; chissà che fine aveva fatto Neil, era duro ammetterlo ma cazzo se gli mancava quel perfezionista rompipalle. Li avrebbe sicuramente trovati si. Si mise la mani in tasca e tornò a camminare per la Londra magica, già lui era un magonò quindi conosceva la magia anche se non l'aveva mai potuta usare, aveva sofferto all'inizio ma con la brigata era riuscito a far si che la propria vita avesse un senso anche senza quella.
    Hai sentito a Wicked Park daranno una festa, ci saranno un sacco di persone.
    Ah si ho sentito che ci sono pure i babbani, ma quelli strani intendo quelli con i poteri.
    Io non ci vado, allora. mi spaventano

    Syd senza farlo apposta aveva sentito tutto, si voltò notando le due ragazze fissarlo a loro volta. Lui sorrise e allungò una mano verso di loro Piacere io sono Fox. Avete detto festa? ma sono tutti invitati?
    Si disse perplessa una, che dopo avergli dato la mano la ritrasse quasi impaurita. Sapete io sono un prestigiatore. So che nel mondo magico è banale, ma se vi dicessi che posso fare un qualsiasi gioco senza l'uso della magia, cosa o quanto sareste in grado di scommettere...

    Luogo: Wicked Park, Hogsmeade. Data: 31.07 Ora: 21.30


    Grazie per avermi accompagnato, è stato un piacere disse alle ragazze che sparirono con l'auto poco dopo. Syd ricambiò per poi voltarsi verso Wicked Park, con in mano il bottino. Non aveva perso lo smalto alla fine, era riuscito a "prendere ben una collana e alcuni contanti magici. Insomma era andata bene per uno che era da diverso tempo che non giocava più con le carte.
    Ammirò il paesaggio: faceva schifo, come tutto di Londra. Sapeva che quel luogo doveva essere un parco giochi ma di giostre neanche l'ombra. Sbuffò, ma che festa era? Il mondo magico; sempre pieno d'imprevisti, almeno sperava di trovare i suoi amici o male che fosse poteva ricavare qualcosa dai presenti.
    Varcò il cancello e improvvisamente un Thunderbird prese a sbattere le ali. Oddio cosa stava per succedere? Fox rimase pietrificato per qualche istante, pensando già ad un modo per poter scappare. Aveva un mazzo di carte, delle forcine e una chiave. Ma cazzo..se McGiver faceva una bomba con una gomma da masticare e delle pile lui poteva sicuramente trovare il modo per scappare da quel posto no?
    Poi tutto svanì. Si guardò intorno e nessuno sembrava essersi impressionato o altro. Cazzo era davvero messo male quando si trattava del mondo magico, nonostante la sua famiglia fossero dei maghi. Povero Syd. Senza dare troppo nell'occhio, si spostò dall'entrata e si recò verso la ruota panoramica. Ohh ma c'è la piscina. Mitico se lo avesse saputo si sarebbe procurato anche un costume. Ahh, avrebbe improvvisato, come sempre del resto. Fece per cercare qualcuno da importunare quando vide un volto familiare, erano anni che non lo incontrava, cavolo il tempo passava davvero per tutti e per lui ancora di più, aveva una faccia da mainagioia. L'aveva sempre avuta in realtà, ma sembrava esser peggiorato. Si avvicinò al ragazzo depresso e gli diede una botta sulla spalla Ehi spacca gioie come stai? disse Fox ad Al. Era davvero un vecchio amico, e un volto finalmente familiare, non era Del o Neil, ma era comunque qualcuno del suo passato. Lo sai che hai perso una moneta? disse e allungò la mano verso l'orecchio dell'amico, per poi ritirarla subito dopo e mostrare la mano con la moneta al ragazzo Nell'orecchio Al? sul serio...te l'ho detto che quello non è il posto giusto per nascondere i soldi. rise e gli lanciò la moneta. Bhe come stai? aveva praticamente fatto un monologo,ma con Al era normale no?!




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    thunderbird

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    «dovrei assolutamente mettere gli occhiali. Voglio dire, sembro più seria, no?» con un gesto fluido, imparato dalle numerose puntate di CSI viste sottobanco quando fingeva di studiare, Erin Chipmunks inforcò gli occhiali dalla spessa montatura nera, drizzando la schiena e stringendo le labbra in una linea dura. «buonasera signor keanu larrington, posso per piacere cortesemente per favore andare alla festa organizzata al wicked? La prego gentilmente di offrirmi responso positivo, un bel più come un test di gravidanza» Forse la metafora sulla maternità, con la pseudo figura paterna di Keanu Larrington, poteva risparmiarsela. «devo legarmi i capelli? Indossare un cardigan? No, è una festa in piscina. Un giubbotto anti proiettile?» azzardò con le palpebre ridotte a fessura dando le spalle allo specchio, con il quale stava provando il suo discorso da aspirante fuggitiva, per volgersi verso Murphy. «occhiali sì o occhiali no? okay occhiali sì» Inspirò annuendo fra sé, passandosi nervosamente le dita fra i capelli scuri. Non era la prima volta che chiedeva il permesso di uscire dal Quartier Generale, nel quale era segregata per motivi di sicurezza da quando questo esisteva, ma… era la prima volta che chiedeva ufficialmente di poter andare ad una festa. Di solito si accontentava di un no secco, addolcito da una pacca sulla spalla, per poi sgattaiolare comunque nei sobborghi di Londra. Ma non poteva scappare anche quella volta: ci sarebbero state troppe persone, e per una volta Erin voleva essere legale. Se Keanu le avesse detto che non poteva uscire, non l’avrebbe fatto. L’avrebbe accettato, e come ogni persona matura, avrebbe messo il broncio per almeno un mese tirando fuori l’argomento ad ogni colazione, piagnucolando di tanto in tanto. Sospirò, ruotando gli occhi da cucciolo di foca (ferito ed agonizzante, così da suscitare ancor più tenerezza) sulla ragazza. «è il momento» buttò fuori l’aria, piantando con un gesto secco la custodia degli occhiali fra le mani di Murphy. «ce la posso fare. devo andare da sola» silenzio. Erin attese qualche secondo, il capo chino ed un respiro tremulo incastrato nella trachea, il cuore a battere febbricitante contro la gabbia toracica. Erin Chipmunks era la tipica adolescente adolescente: si prendeva una sbandata per qualcuno un giorno sì e l’altro pure, scribacchiava su un quaderno che non faceva leggere a nessuno, stava ore a fissare le piante, coltivava illegalmente marijuana, e ogni sera scappava di casa. Casa, poi, lo era solo per lei: Erin viveva al quartier generale della Resistenza, luogo che per altri non era che di passaggio. Ella vedeva il mondo attraverso gli occhi dei Ribelli che glielo raccontavano, sognando, un giorno, di poterlo viaggiare per conto suo. Sognava, Erin Chipmunks. Sempre. Distratta ed al contempo troppo vivace, piena di ambizioni e solo un gatto (e tutte le sfortunate persone che le capitavano a tiro) ad ascoltare le sue quotidiane lamentele. Il gatto e Scott, il suo migliore amico. Peccato che Scott riuscisse a vederlo solamente durante le sue fughe notturne: erano dettagli che limitavano notevolmente un’amicizia, sapete. Più che altro, Erin aveva sempre timore che Scott potesse trovare un’amica migliore di lei, più presente, più… normale. Lui e Keanu erano le persone più importanti della sua vita, una costante. Non riusciva ad immaginare una vita nella quale loro due non erano presenti, o peggio, l’avevano sostituita. Conosceva Scott da quando avevano otto anni, e l’unico segreto che non aveva mai condiviso con lui, era la Resistenza. Se fosse stato per lei, glielo avrebbe detto anni prima, ma non era così semplice. C’erano altre persone di mezzo, tutti i Ribelli che avrebbe messo in pericolo, ma soprattutto Scott: non voleva che si trovasse nella posizione di dover mentire per lei, non voleva fosse un ricercato. Per quanto fosse gelosa del suo migliore amico, sperava che almeno lui potesse avere una vita comune, possibilmente vivendola per entrambi. Così gli aveva sempre taciuto la sua vera identità, spacciandosi per una ragazzina qualunque con genitori difficili che le impedivano di uscire. Educazione? Ovviamente a casa, di certo non le permettevano di frequentare Hogwarts. Certo. In realtà, Erin negli anni aveva imparato ciò che sapeva del mondo magico grazie ai numerosi libri in biblioteca, e quei troppo pazienti ribelli che, per un motivo o per l’altro, avevano deciso di prendersi cura di lei. Qualche nozione di tanto in tanto, domande trabocchetto; l’unica materia nella quale non sbagliava mai, era Erbologia. Considerando che la Chipmunks non possedeva neanche una bacchetta, le sue opzioni erano di per sé limitate: nessun incantesimo, pozione, e di certo non poteva praticare le arti oscure. Erbologia era stata la sua salvezza. In compenso, per quanto piccolina, a corpo a corpo e con le armi bianche spaccava culi. Avere gli insegnanti di scherma e corpo a corpo al quartier generale, aveva i suoi vantaggi.
    Ma torniamo a noi.
    Perché Erin Therese Chipmunks, sedici anni, voleva davvero credersi un'esploratrice intraprendente: se nel primo gruppo poteva facilmente rientrare, nel secondo… Si lanciò contro Murphy, stringendole con forza le braccia attorno alla vita. «no non farmi andare da sola ti prego vieni con me dai così gli dico che mi accompagni dai Murphy per favore ci tengo tanto e poi abbiamo detto a Scott che ci saremmo andate DAI vieni con me da Keanu ti scongiuuuro» o almeno, quella era la sua intenzione. In realtà, con la bocca premuta contro il suo braccio, quello che era uscito probabilmente era: «juefhujxgluhugkuysriuf» , ma con un tono così tenero ed adorabile che, anche non capendo il significato, la ragazza non le avrebbe detto di no.
    Giusto?
    Noi fingiamo che non le abbia detto di no.
    Anche perché, in realtà, non aveva avuto particolare voce in capitolo: uragano Chipmunks, allacciandosi alla sua mano come quelli che a Houston dovettero abbracciare le radio per sentire che problema avesse avuto l’Apollo (???????????), le trascinò entrambe dirimpetto alla porta dell’ufficio di Keanu (quale ufficio?). Come da protocollo, Erin indossava gli spessi occhiali da segretaria (cosa? No, certo che non li aveva rubati ad Idem – ma dai, tanto Idem non li usava mai……), i capelli legati in una crocchia severa, e l’immancabile completo pantaloni-maglia sgualcita (ma fashion). Se ci teneva all’apparenza? Ni. Diciamo che ci teneva ad apparire carina dinnanzi al suo futuro marito del giorno; il fatto che amasse fare la Dora esploratrice, lottare, e rotolarsi nel fango, non significava che a primo acchito non potesse apparire come una delicata ragazzina deliziosa.
    «bussi te?»
    «…»
    «busso io?»
    «…»
    «KEANU, TI CERCANO» may day may day (ma si scrive may day?) TROPPO TARDI PER LA FUGA. La chiamavano l’impavida, sì. Si guardò terrorizzata attorno, improvvisamente più nervosa di quanto ricordava essere mai stata. Non sapeva spiegarlo, ma per lei era importante, più l’approvazione di Keanu che la festa in sé. Un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’umanità: poteva essere un’occasione come un’altra perché Keanu cominciasse a fidarsi sul serio di lei, lasciandole più guinzaglio possibile. Perché sì, era buono, lei lo adorava e comprendeva perché fosse così protettivo, ma… pur sapendone le ragioni, non poteva non sentirsi in prigione. «idem!» sibilò stizzita, improvvisamente pallida. Idem Withpotatoes alzò lo sguardo dal quaderno per osservarla con aria innocente, sbattendo lentamente le palpebre. «non… stavi cercando keanu?» «sì, ma… ehi BOSS come butta?» Rivolse il più dolce dei sorrisi al capo dei ribelli, osservandolo dal (molto) basso verso l’alto quando lui uscì nel corridoio. Keanu, che del Corvonero non aveva solo la bellezza (wat) ricambiò l’occhiata inarcando le sopracciglia. SAGACE. Erin dondolò sui talloni torturandosi le mani. «mi chiedevo se… ecco… per caso…» senza il minimo preavviso si lanciò verso di lui stritolandolo in un abbraccio da orso (lavatore, era troppo piccola per essere un orso vero). «per favore keanu posso andare a una festa ci sarà anche murphy dai starò con lei non mi allontanerò E POI ci saranno anche Nate J (wat) Idem Lucas e Hope vanno tutti per favore tornerò presto e m- aspetta» si allontanò di un passo, le sopracciglia corrugate. «hai detto di sì?» «perché no? ormai sei grande» *gif di schimdt con la manina – ah beh, posso linkarla* Erin Chipmunks si sciolse in uno di quei sorrisi estasiati che spesso le illuminavano il viso, facendola apparire, se possibile, ancora più giovane. Non solo poteva andare alla festa, persone! Vita! cose!, ma poteva farlo con il benestare di Larrington: la sua approvazione era importante, se non fondamentale, per Erin. Tutti avevano bisogno di qualcuno da rendere orgoglioso, e per la Chipmunks, che mai aveva avuto una famiglia, Keanu era quella persona. E Scott, okay, ma non valeva: era il suo migliore amico, certo che era orgoglioso di lei. Era una specie di obbligo, come in un matrimonio; accettata sempre, nel male e nel peggio (soprattutto nel peggio). «grazie» sussurrò appena, felice.
    Ed ormai c’era un solo problema, non indifferente: Erin Theresa Chipmunks non era mai andata a fare shopping in vita sua, ed al Quartier Generale non c’era nessuno della sua taglia a cui poter chiedere vestiti in prestito. Sì che era una festa in piscina, quindi probabilmente non avrebbe avuto bisogno di vestiti, ma wat is life giusto? Per una volta che poteva mostrarsi in pubblico, voleva essere al suo meglio. La legge di Murphy diceva che se fosse uscita come una stracciona, avrebbe sicuramente incontrato il suo futuro marito: Erin si fidava di Murphy Skywalker. Bisogna sempre fidarsi di chi è in grado di far tremare la terra. Lo insegnava anche la Bibbia, no?
    Er(in)esia portami via.
    Dai, la smetto.

    Il viaggio in tandem con Scott e Ciao Murphy piacere di conoscerti MAI VISTA IN VITA MIA EH SCOTT GIURO fu meno tragico del previsto. Il fatto che Erin non sapesse andare in bicicletta non aveva limitato i suoi caparbi compagni di viaggio, e lei si era limitata a muovere le gambe per inerzia (aka poggiare i piedi sui pedali mentre i pedali giravano) osservando estasiata Hogsmeade. Non era mai stata nella cittadina magica, e sentirne parlare era diverso dal vederla con i suoi occhi. Fu felice che nessuno di loro potè vederla, mentre pedalavano verso la meta: sarebbe stato alquanto imbarazzante se l’avessero vista piangere. Quanto aveva sognato un momento del genere? Non era libera, non era come tutti gli altri, ma era ciò che più vi si avvicinava. Per una sera, Erin Theresa Chipmunks poteva fingere di essere una quindicenne normale. Non una ribelle reclusa al quartier generale, non la ragazzina senza famiglia: Erin Chipmunks, studentessa di Ilvermorny. Nessuno la conosceva, ed il fatto che non avesse frequentato Hogwarts sarebbe suonato sospetto. E poi poteva sognare, Erin, che fosse vero. Si era allenata parecchio nell’accento americano, una parlantina più rapida e meno masticata di quella inglese. Si era calata nella parte in maniera efficiente e professionale, ma con l’interesse di un bambino che apprendeva come costruire castelli di sabbia. Ci voleva davvero poco per renderla felice. I progetti erano sempre stati la sua passione: passava ore e ore ad organizzarsi la vita, senza poi, ovviamente, seguire davvero la scaletta. La aiutava a non impazzire, almeno non del tutto. Diventare American era stato il suo progetto meglio riuscito (#credici), tanto che perfino Luna, la sua gatta, era rimasta stupita delle sue doti. Sì, il secondo progetto meglio riuscito di Erin era stato addestrare il suo gatto a fare le cose più improbabili. Tutte utili, ovviamente (toh, e allora no, bitch better have my Luna).
    Cosa vi devo dire, aveva un sacco di tempo da perdere.
    Alla fine era riuscita a racimolare un costume molto patriottico con la bandiera americana; sopra il costume indossava un paio di corti pantaloncini di jeans, distrutti da qualche ribelle con poca cura per i propri vestiti, ed una maglia cremisi decisamente troppo grande, che lei aveva stretto in vita in maniera molto vintage. Per completare l’outfit, e fingere che il suo sincero intento fosse un outfit old but gold e non sono povera, un nastro dello stesso colore della maglia fra i capelli, che aveva optato per legare lasciando solo qualche distratta sciocca ad incorniciare il viso rotondo. Arrivati ai cancelli del Wicked Park, Erin non potè fare a meno di trattenere il respiro. Un sincero moto di panico le strinse lo stomaco, facendola impallidire. Com’era naturale che fosse, la mano di Erin andò a cercare quella di Scott stringendola forte nella propria. «è bellissimo» bisbigliò, vagando con gli occhi sulla folla. Lei, abituata a vedere sì e no tre persone per volta, non riusciva a credere ai suoi occhi. Come prevedibile, oltre ad esserne meravigliata ed affascinata, ne era terrorizzata. Pietrificata, letteralmente. Erano tutti così… diversi. Vedeva ragazzi ridere, sentiva i rumori fradici della piscina, i saluti gridati da una parte all’altra del parco. Costumi, abiti più eleganti, sorrisi di circostanza.
    Erin Chipmunks si rese conto di non aver mai saputo nulla del mondo; non era come pensava fosse, o come l’aveva sentito dipingere.
    Era molto meglio.
    Cominciò a passarsi le mani sui ciuffi scuri, stringendo il fiocco sulla testa sistematicamente ogni due secondi. «sto bene? I capelli sono a posto? I vestiti? Sembro stupida vero? Sì, sembro stupida. SCOTT sii sincero» si rassettò la maglia, stringendo le labbra fra loro per sistemare il lucidalabbra. «se non fossi mio fratello il mio migliore amico, usciresti con me?» perché sì, ragazzi miei. Erin Therese Chipmunks credeva nel principe azzurro, negli unicorni, e in tutte quelle cose che popolano la fantasia delle adolescenti (quelle di una volta, non quelle odierne), e sognava, un giorno, di trovarlo. Perché non quella sera? Per Erin, il Wicked rappresentava la festa alla quale aveva partecipato Cenerentola. Conoscendola, non sarebbe stato troppo strano se accidentalmente avesse perso la sua infradito. Non era di cristallo, ma era comunque una gran bella infradito (?). Volse lo sguardo preoccupato su Murphy, poggiando le mani sulle sue spalle. «murphy, tu usciresti con me? Cioè, voglio dire. Hai capito» gesticolò a caso, arrotolandosi per l’ennesima volta una ciocca sull’indice. «sono tutti così… perfetti» sospirò, indicando con un cenno i ragazzi e le ragazze che, in piccoli gruppi o in solitaria, varcavano le soglie del parco. Per loro era una serata qualunque, ma per Erin Chipmunks era il ballo delle debuttanti.
    «OHMIODIOSIAMOAUNAFESTAVERAEINSIEMEOHMIODIOCISONODELLEPERSONE» un gridolino eccitato accompagnato da un saltello sul posto, le braccia a stringere i suoi due compagni di avventura.
    Ma s’è fatta ‘na certa, andiamo avanti. Seguì la procedura dello smistamento, finendo nella casata dei Thunderbird con Scott. Subito si guardò attorno, cercando chiunque fosse finito in squadra con loro, curiosa e ciatella di natura.
    Se non fosse stato che.
    I suoi occhi scivolarono su un ragazzo in particolare, dove si soffermarono più a lungo del dovuto. Era adorabile, era tutto ciò che Erin aveva sempre sognato, e non potè fare a meno di osservarlo con le labbra dischiuse in segno di sorpresa. Voi ci credete nel colpo di fulmine? Io no, ovviamente, ma Erin sì. Cosa ci volevate fare, bastavano un paio di fossette ed un sorriso per farla innamorare. Nelle pagine del suo diario c’era sì e no tutto il Quartier Generale, di fatti. Le ricordava un po’ Deimos, il suo vero principe #wat che, per inciso, non l’aveva mai cagata di pezza, ma… era speciale. Non lo conosceva, né mai, per ovvi motivi, l’aveva visto. Eppure. «scott…?» un sorriso le curvò le labbra. Il tono trasognato con il quale aveva chiamato l’amico, avrebbe dovuto dare di suo tutte le informazioni necessarie al caso. D’altronde chi, se non Scott, poteva riconoscere quella particolare espressione sul viso della ragazzina, la quale ogni giorno si presentava al suo cospetto con un futuro marito («è lui, scott. Lo so!») differente? Subito abbassò lo sguardo imbarazzata, timorosa che il ragazzo potesse coglierla in flagrante di reato.
    Ebbene sì, Erin Chipmunks si era presa una cotta per Brodino. Fatele causa.
    Al prossimo post quello che, effettivamente, farà della sua vita.

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    Edited by etc. - 5/8/2016, 01:59
     
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    thunderbird

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    Dicono che con il tempo si impari molto dai propri sbagli. Che crescendo, con la consapevolezza dell’errore e del perché è stato commesso, si capisca come raggirarlo, come evitare che si replichi. Dopo averlo ripetuto innumerevoli volte, è quasi scontato credere che ad un certo punto venga praticamente automatico fermarsi un attimo prima del misfatto, senza aspettare che questo, di nuovo, rovini tutto. Perché si sa che sta per accadere qualcosa, lo si avverte: è un brivido lungo la schiena, segno premonitore dell’imminente disgrazia, o una silenziosa sensazione a fior di pelle. E Scott Noah Chipmunks, sedici anni non ancora compiuti, ci credeva veramente che fosse così, che prima o poi quel giorno sarebbe giunto anche per lui. Ogni mattina, si svegliava ripetendosi mentalmente lo stesso mantra: “oggi è la volta buona”. Oggi avrò meno paura delle persone, oggi sarò un ragazzo migliore, oggi non farò la stessa cazzata. «vaffanculo, ti odio» Ma anche quell’oggi, giustamente, si rimandava a domani. Il soffio rancoroso di Artemis, seduto elegantemente sulla tavoletta chiusa della tazza, lo fece voltare di scatto. Nemmeno si era accorto che era entrato. Come era entrato? Poteva giurare di aver chiuso la porta e che il gatto, prima, non c’era. Dannati felini troppo intelligenti: quella sera era riuscito a scassinare la serratura del bagno, quale sarebbe stata la prossima mossa? Forse il suo letto; senza dubbio, il suo letto. Lo ambiva, poteva leggerglielo negli occhi che voleva sfrattarlo quando meno se lo sarebbe aspettato. Amava quel micio, con tutto sé stesso, ma avrebbe dovuto iniziare a stilare un contratto per la civile convivenza. Aveva bisogno dei suoi spazi, e lui non poteva invaderli così come se nulla fosse. «non parlavo con te Arti, scusa, ti amo» sussurrò, sbrigativo, avvicinandosi celermente all’uscio, intenzionato a chiuderlo. «come hai fatto a… no okay lascia stare, non rispondere, lo so. È stato Arthie, vero?» chiese, sorridente, prima che la piega delle labbra, una volta che la consapevolezza era giunta alla mente del ragazzo, se ne andasse, veloce come era comparsa. «o è stata Emily?»
    Ora. Non che avesse, diciamo, paura della Bulstrode. Sì, era il capo della Censura. Sì, era una ministeriale rigida e frigida, apparentemente incapace di provare qualsivoglia emozione che l’essere umano dovrebbe, di default, conoscere. Sì, incuteva un po’ di terrore, ma non era una Blake. Ancora non era arrivata ai loro livelli, il massimo che aveva ricevuto come punizione il Chipmunks era stata una pila di libri di Storia della Magia da riordinare per argomento, epoca, cose che aveva diligentemente passato al figlio di lei. Tuttavia, farsi cogliere in flagrante mentre si preparava ad uscire di casa di nascosto non rientrava nelle sue priorità. In quei due anni era già capitato, ma appunto i provvedimenti erano stati leggeri: negli ultimi giorni, però, gli era sembrata strana. Che fosse in quel periodo del mese? Non lo voleva sapere, assolutamente. Fatto sta che era meglio se nessuno lo vedeva, nel dubbio. Lentamente, e con attenzione a sporgersi il meno possibile, si affacciò dalla soglia della stanza per controllare che sul corridoio non vi fosse nessuno. Eeeeee non c’era nessuno. Ma poteva essere successo prima, no? Eppure la calma piatta che si riusciva ad avvertire lì, quasi più inquietante di quella che si registrava quando giochi a Resident Evil tutto tranquillo e dopo due nanosecondi un fottutissimo e cazzutissimo zombie ti attacca alle spalle voglioso di materia grigia, poteva significare solo due cose: la prima, era che stava per morire barra dare il via ad un’apocalisse zombie; la seconda, era che la colpa era attribuibile solo ed unicamente ad Artemis. Delicato come un petalo di rosa #wat si richiuse la porta alle spalle, avvicinandosi poi, finalmente, al gatto, la lente a contatto del male, quella che per mettersela aveva corso il rischio di cavarsi un occhio, ancora sul dito; e per fortuna, dato che quella insieme all’altra che era già riuscito a far aderire sulla superficie oculare senza pericolo di diventare cieco, era la sua ultima scorta. «non so come tu abbia fatto, ma un giorno me lo dovrai spiegare» asserì Scott, piegatosi sulle ginocchia per essere all’altezza della bestia. «anche se in effetti non so come tu potresti, insomma sei un gatto, io un essere umano, non siamo compatibili –no scusa non era un’offesa, te l’ho già detto che ti amo. Prima o poi dovrò trovare un modo per parlare veramente con te, sai, qualcosa che non siano monologhi come… NON L’HAI FATTO DAVVERO.» Evidentemente si era offeso e, con altrettanta ovvietà, l’aveva fatto davvero. Non aveva avuto il tempo di reagire, il quindicenne. Era stato subitaneo, improvviso, non se lo aspettava. Oh, ma avrebbe dovuto farlo, considerando l’animale malvagio con il quale aveva a che fare. Con quel suo pelo bianco ed elegante, nessuno sospetterebbe mai di lui. E invece eccolo lì, pronto a far cadere l’ultima lente da vista rimasta al Chipmunks. «sarai soddisfatto, ora. Sono cieco Artemis: c i e c o!» Fiero e lemme come solo un felino che sa di essere la razza superiore sa essere, il gatto si alzò al sentire la voce preoccupata di Scott e, senza degnar di uno sguardo il padrone che anni prima l’aveva raccattato da uno scatolone consumato dalla pioggia sul marciapiede, che tanto amorevolmente l’aveva curato e nutrito, che aveva lottato affinché potesse rimanere con lui, uscì. «mi lasci così? Dopo tutto quello che abbiamo passato? È forse questo quello che mi merito?» «meow»
    Con un miagolio non affatto sofferente, ma altresì indifferente, finiva la storia d’amore di Scott e Artemis. Anche quella sera. Era abitudine, ormai. Sempre per un motivo differente, quello è vero, ma ogni sera lo vedeva ancheggiare sprezzante verso altri lidi, mentre lui, povera anima innocente, restava con le mani sugli stipiti della porta, provato. Quella volta lo vide andarsene a metà, in realtà: non gli andava di sforzare la vista per vedere la coda candida muoversi al ritmo dei suoi passi. Era troppo, anche per lui.
    E in tutto ciò, stava ovviamente facendo tardi. Non che in realtà avesse un orario, né tantomeno un orologio, ma era certo che così fosse: chiamatelo sesto senso. Oppure chiamatelo “strombettio inopportuno e decisamente fuori luogo di una Murphy selvatica”, fa lo stesso. Ma andiamo, le aveva detto di chiamarlo: che agente segreto era se suonava il clacson –era un clacson?- fuori dalla magione della Bulstrode, consapevole che doveva fare tutto di nascosto? Almeno non aveva urlato il suo nome per dirgli che era arrivata… non ancora, almeno. No, dai, non l’avrebbe fatto… Sì l’avrebbe fatto, damn. Con assoluta precisione dei movimenti, onde evitare di fare troppo chiasso, ma non troppo lentamente per paura che ritardando avrebbe dato un motivo alla geocineta di chiamarlo a gran voce, uscì finalmente dal bagno dopo che la ricerca della lente perduta risultò essere vana. Barcollando nella mezza miopia, stranamente senza prendere troppi muri in faccia, Scott riuscì a fare tutte le cose che si era imposto di fare prima di uscire. Prima tra tutte, e anche se potrebbe sembrare scontato vi assicuro che non lo era affatto, sgattaiolò in camera sua per vestirsi: un semplice costume stile hawaiano (???) (sì dai quello con le palme e le cose tipo ananas, sì vabbè ciao hanno un nome scientifico? Boh #whocares a me sa di Hawaii), una canottiera blu ed un paio di infradito; dopotutto, era una festa in piscina, non doveva servirgli altro. Forse. Dopodiché, furtivo come un’ombra –l’intento era quello, poi ricordiamoci che non ci vede bene, quindi… sì insomma, ci provava- fece il giro della casa per controllare se qualcuno c’era ma, con grande sorpresa, non trovò nessuno. Nemmeno la domestica, il che era un fatto mistico: la donna sembrava esserci sempre, in ogni angolo della casa c’era la possibilità di scontrarsi con ella quando meno si aspettava di vederla. Solo allora, dunque, controllò il telefono per constatare che, effettivamente, la Skywalker l’aveva cercato. Considerando che non c’era nessuno, poteva ben pensare di uscire dalla porta principale, giusto? E invece no. L’improvviso abbaiare di Sammy, il volpino di Emily, gli fece gelare il sangue nelle vene: stava tornando o, peggio ancora, era proprio dall’altra parte della porta. Sostanzialmente, non era certo non l’avrebbe mandato alla festa se solo glielo avesse chiesto: non ci aveva mai provato a farlo, sia chiaro, ma era una questione di principio. Fin da quando ne era stato in grado, aveva fatto di tutto per uscire di nascosto dalla casa nella quale era ospitato, scomparendo per qualche ora nonostante la tenera età. Gli piaceva stare in giro, e soprattutto gli piaceva che nessuno sapesse dove si trovasse: non voleva essere cercato, né trovato. Per questo, quando udì chiaramente i tacchi della donna calpestare il vialetto di casa, capì che doveva fare come al solito: gettarsi dalla finestra. No, non sono passato di punto in bianco al post di Al: sotto il davanzale della camera di Scott c’era una provvidenziale e tattica siepe che, tutte le volte che fuggiva, attutiva le sue volate. Il problema fu arrivarci: di scatto, girandosi e correndo, colpì una colonna che vi giuro prima non c’era, rischiando di cadere rovinosamente al suolo; quello non fu l’unico imprevisto che rese la spedizione della vita più impervia, ma non starò qui a raccontarvele. Quando si buttò, vedendo di sfuggita qualcosa su ruote che non si aspettava di vedere fuori da casa sua, aveva più lividi di quanti credeva fosse possibile averne.
    Ma almeno, ce l’aveva fatta. Dolorante, mezzo orbo e per puro culo, ma ce l’aveva fatta. Gattonò, sia per evitare che l’occhio di bue sempre vigile della Bubu lo vedesse sia perché tastando il terreno con le mani avrebbe evitato altri ostacoli per la via, fino a quando alzando la testa non la riconobbe. «MURP- murphy ciao dove sei non ti vedo metti in moto» «non c’è nulla da mettere in moto» «ok allora parti via via via veloce» sussurrò, salendo a bordo di un oggetto non meglio identificato e scrutandosi attorno sospetto. «devi pedalare» … Solo allora decise che mettere a fuoco la scena sarebbe stato di fondamentale importanza per la propria sopravvivenza; solo allora Scott Noah Chipmunks si rese conto che erano su un tandem. «non voglio chiederti perché siamo su un tandem, Murphy, ma lo farò comunque: perché siamo su un tandem? E poi non posso pedalare!» disse, convintissimo: era momentaneamente handicappato. Valeva come handicap? Secondo lui sì. «non ci vedo, non ci vedo! Possiamo passare in farmacia, vero? Mi servono le lenti, il gatto me le ha mangiate» La storia era un po’ parafrasata, ma non era il caso di starle a raccontare del perché aveva perso tempo quella sera. E la favola del cane che mangia i compiti era sempre valida, si sa. «ma c’entra Erin, vero? L’hai avvertita che stiamo andando? Non te ne sei scordata, vero? No perché insomma, deve esserci» Era fondamentale lei ci fosse, quasi ne valesse della sua vita. Era la sua gemella migliore amica, praticamente una famiglia per lui #simpy: la costante che lo accompagnava da quando aveva otto anni ormai, e sapeva quanto ella ci tenesse a partecipare a quella festa. Se lui, volente o nolente, ad alcune aveva già partecipato –sempre con “la famiglia”, e sempre di una noia allucinante-, la ragazza sembrava essere estranea a certe cose. Non gli interessava sapere il perché, davvero, non era importante fintanto che erano insieme. Solo quando Murphy confermò, pazientemente, che aveva provveduto a tutto, si decise a pedalare.
    Dopo aver preso Erin, e dopo la fantastica fermata alla farmacia («davvero, mi servono solo delle lenti, lo giuro» «mmmhhh… e secondo te io me la bevo?» «davvero ho solo quindici anni cosa vuole che compri MURPHY MI VIENI A COMPRARE LE LENTI?»), il viaggio fu un esperienza in alta definizione. Cavolo, non era mai stato ad Hogsmeade la sera, e specialmente mai d’estate. Né con i Blake né con i Bulstrode aveva avuto un motivo per andarci, né aveva voluto in effetti, e quell’unico anno che aveva passato ad Hogwarts prima di farsi volontariamente espellere per continuare a studiare da casa era uscito sì e no due volte dal castello. Era così… bello. Osservò trasognato le luci, i colori, le persone, sorridendo felice e scordandosi di pedalare a volte, il che considerando che Erin non pedalava affatto costringeva Murphy a farlo per tutti e tre. Arrivati al Wicked, spalancò se possibile ancora di più gli occhi, seguendo mamma Skywalker e stringendo ancor più forte la mano della migliore amica. «è bellissimo» E pensare che glielo avevano sempre raccontato come un luogo di morte e perdizione, il parco giochi di Hogsmeade: era meraviglioso. Tutte quelle luci, tutte quelle voci, tu dove sei #cit. Liga #wat era straordinario. «sì lo è» «sto bene? I capelli sono a posto? I vestiti? Sembro stupida vero? Sì, sembro stupida. SCOTT sii sincero, se non fossi il mio migliore amico, usciresti con me?» Ad ogni punto della lista, da bravo fratello qual era, passò in rassegna le parti da lei citate. «sì! Sì! Perfetti! Non sembri stupida! No che non uscirei con te, sei la mia migliore ami- AH SÌ SCUSA sì uscirei con te, dai sei bellissima!» E se da una parte non capiva quell’esagerata eccitazione, dall’altra non poteva che gioirne anche lui. Era la prima festa alla quale andavano insieme: festa vera, non i pigiama party abusivi a casa di Murphy ed Athena, per intenderci. Anche se quelli pure erano fantastici, sia chiaro.
    Quando, per forza di cose, entrò ufficialmente nel parco, smistato nella stessa casa di Erin ma non in quella di Murphy («NOOOOOO NO MURPHY NO NON ABBANDONARCI NOOOOOO» #dramaqueen), si rese conto che c’era davvero troppa gente. Non… non era abituato, non era sicuro gli piacesse. Beh, mi direte: si aspettava che ad una festa in piscina ci fosse poca gente? Sì, sì se lo immaginava. Anche perché, chi andava ad una festa in piscina alle dieci meno un quarto? DAI.
    Panico. E se si avvicinavano troppo? E se lo toccavano? «scott…?» Si strinse di più alla ragazza, cercando con lo sguardo la loro accompagnatrice. «… non vi allontanate, vero?» chiese, in un bisbiglio, quasi timoroso di farsi sentire e sperando, giusto l’attimo dopo, che le concitate voci dei festaioli ed il rumore dei tuffi coprisse la sua voce. No dai, non si sarebbero allontanate: Murphy era responsabile delle loro vite (?), e Erin l’avrebbe seguita passo passo nella vita. Inaccettabile, e quello lo risollevò un po’: l’unica cosa che doveva fare era avvicinarsi alle persone solo in loro compagnia; una volta conosciute, non facevano più paura. «è lui, scott. Lo so!» Rizzò la testa, cercando il punto da ella fissato. Lui chi? «CHI? Chi è? Quello che mi hai detto che ti ha rubato la merenda cinque anni fa? Devo picchiare qualcuno? Erin dimmelo, lo faccio» Che poi, dove voleva andare. Però ci provava, dai, gli andava riconosciuto. Guardingo, si osservò intorno: un po’ per capire chi era stato smistato nel suo stesso gruppo, un po’ per capire a chi si riferisse la ragazza. Ok che ora ci vedeva, ma wat is life c’era troppa gente, davvero.
    15 y.o.
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    horned serpent

    Someone told me I should take caution when it comes to love

    29 luglio 2016, different lodge

    C'era chi diceva che combattere le proprie paure poteva aiutare a formare il carattere e diventare più forti e chi, come lei, che pensava l'esatto opposto. Imporsi di affrontare qualcosa che ti terrorizzava a tal punto da impedirti di respirare era qualcosa di impensabile, a meno che non si volesse incorrere in un attacco di cuore ad appena sedici anni. Freya aveva sempre cercato di rimanere nell'ombra, di non farsi notare e di rimanere al sicuro lontana da tutto e da tutti. Eppure la situazione era cambiata con il suo arrivo ritorno ad Hogwarts. Affrontare le sua più grande paura, la sua fobia, era stato traumatizzante e sotto certi punti di vista in realtà lo era ancora. Era terrorizzata dalle folle, dalla presenza di persone che potevano farle del male. Tante cose accadevano tra la folla. Molte persone che avrebbero potuto trarla in salvo da situazioni pericolose, eppure erano proprio le grandi folle il luogo ideale in cui ferire qualcuno. Le persone tendevano a diventare sorde e cieche in presenza di una moltitudine di uomini e donne, grandi e piccini. Per Freya era diventato problematico lasciarsi avvicinare non dopo ciò che era accaduto ai laboratori con i dottori, non dopo che le aveva fatto. Era una strega ma al tempo stesso non lo era. Aveva perso l'armatura sgargiante che avrebbe dovuto proteggerla dal male ed infonderle potere, il mantello invisibile che ogni strega indossava fin dalla nascita. Si sentiva nuda senza magia, ma stava imparando a conoscersi meglio e questo un segno positivo. Aveva cominciato ad interrogarsi sugli strani sogni che faceva, sulle visioni e le allucinazione che la coglievano a momenti improbabili e che la tormentavano senza lasciarle via di scampo. Era dalla festa di capodanno che aveva cominciato ad indagare, quando Lydia era piombata nella sua vita incasinandole la testa ancora di più. Per anni si era convinta di essere la protagonista dei suoi stessi sogni, ma dopo aver incontrato Lydia ogni certezza era caduta come un fragile castello di carte.
    Tiffany Reed era senza ombra di dubbio la ragazza più irritante ed adorabile che conoscesse, l'aveva forzata ad avere un rapporto di pura amicizia con lei, sfiorandola ed abbracciandola senza darle il tempo di reagire. Erano gesti a cui non si era ancora abituata ma aveva smesso di fare salti fino al cielo appena la toccava, certo la sensazione orribile di profanazione non l'aveva lasciata andare un secondo, ma il tempo forse avrebbe guarito anche quella ferita. Nell'attesa avrebbe continuato a soffrire in silenzio se necessario.
    Come le era stato insegnato.
    Festa? Quale festa? chiese per la millesima, forse centesima, volta alla Tassorosso innamorata dei morbidi capelli rossi della giovane. Si rigirava tra le dita una ciocca mentre la veggente era immersa in una lettura sull'affondamento del Titanic. La festa! aveva risposto l'altra con troppa enfasi tirando leggermente una ciocca rossa. La giovane interruppe la lettura allontanando le mani dell'altra dalla propria testa, per nulla desiderosa di divenire calva e ritrovarsi tra le dita ciocche di capelli strappate. E questa festa mi interessa perchè...? chiese alzando un sopracciglio, guardando finalmente la ragazza negli occhi. L'aveva invitata a trascorrere il pomeriggio a Different Lodge, struttura che non era autorizzata a lasciare neanche durante i mesi estivi. In realtà era contenta di non doversene andare a zonzo per la città, non avrebbe davvero saputo dove rifugiarsi, ma cominciava a sentirsi in gabbia. E gli animali in gabbia erano i più pericolosi. In realtà non l'aveva proprio invitata, poteva aver menzionato di trovarsi da sola, ma non ricordava di aver detto qualcosa riguardo l'andarla a trovare e trascorrere la giornata a leggere sul letto. Sei un tutt'uno con questo letto! É vero, smettila di guardarmi male sbuffò roteando gli occhi Andremo a questa festa. Incontriamoci il 31 lunglio all'entrata del Wicked Park intorno alle 21 una lunga pausa all'interno della quale la tensione si sarebbe potuta tagliare con un coltello da burro spezzò le chiacchiere delle studentesse Non andrò ad una stupida festa in uno stupido parco. Mettiti l'anima in pace, e fammi finire il libro festa. La parola festa indicava un ammontare di persone. Se davvero fosse andata alla festa avrebbe certamente incontrato la morte anche stando a chilometro di distanza dal parco giochi. E dire che una volta il Wicked Park era uno dei suoi luoghi preferiti, ricordava quando Ishtar la portava nella casa degli degli specchi e faceva tutte quelle facce buffe. Sorrise amaramente al ricordo agrodolce di un'infanzia che le era stata portata via, strappata come le ali di una farfalla.

    31 luglio 2016, wicked park

    Gli ultimi due giorni le aveva dato il tormento. Da una parte avrebbe preferito che il 31 luglio trascorresse senza lasciare alcuna traccia, dimenticato perfino dal calendario, ma una piccola e remota parte di lei era curiosa di quella festa di cui tanto si parlava. Pareva essere qualcosa di eccezionale, o per lo meno così aveva sentito. Non sapeva cosa aspettarsi in realtà. Se andava c'era il rischio che le accadesse qualcosa, ma se non ci fosse andata non sarebbe mai riuscita a togliersi quella notte dalla mente. Avrebbe cominciato a rimuginare sui motivi che l'aveva spinta a rintanarsi in stanza impedendole di vivere ed avrebbe finito per compiere gesti estremi e potenzialmente pericolosi. In realtà era esattamente ciò che le persone si aspettavano da lei. Gesti estremi. Era riuscita a resistere al desiderio di ferire sé stessa, ma ciò non toglieva che in seguito agli incubi ed alle visioni che la tormentavano si risvegliava con lunghi segni rossi sulle braccia, là dove le unghie erano penetrate più in profondità. Addirittura al San Mungo sembravano desiderosi di ricoverarla insieme ai malati mentali, e se avesse dato prova di autolesionismo l'avrebbero accolta a braccia aperte. Ma non era quella la vita che sognava per lei. Per anni era stata chiusa in una prigione, non era intenzionata a rinunciare alla libertà che aveva faticosamente guadagnato. Andrò a quella maledetta festa uno strano luccichio brillò negli occhi verdi della fanciulla. Paura? Determinazione? Probabilmente entrambe, un'infinità di sentimenti contrastanti al seguito. Si era decisa ad indossare un costume da bagno come le era stato suggerito n paio di giorni prima dalla ragazza invadente dai capelli castani. Come quella ragazza riuscisse a farle fare tutto ciò che voleva, ancora era un mistero. Poteva dirle di no mille volte, ma bastava un ripensamento per cedere e dire il tanto agognato . E lei aveva detto di no, lottando con le unghie e con i denti. Eppure alla minima esitazione si era ritrovata a dire di sì, come se la forza con la quale aveva lottato per dire di no fosse improvvisamente sparita, lasciandola senza forze ed incapace di ragionare con lucidità. Aprendo le ante dell'armadio aveva cercato tra gli abiti qualcosa che potesse starle bene, non elegante me neanche sciatto. Qualcosa che comunque nascondesse il costume da bagno che indossava, tenendo conto comunque della temperatura calda degli ultimi giorni. E poi le era capitato tra le mani quello che pareva a tutti gli effetti un pezzo di stoffa. Era un abito corto, molto corto -così di corto da poter passare tranquillamente per una maglietta lunga- estivo, non elegante ma nemmeno sciatto. Qualcosa che non contribuisse a farla cuore a punti ma che risultasse sufficientemente elegante per una festa al wicked park. Indossando l/abito era uscita di casa maledicendosi per essersi fermata a cercare la bacchetta magica, di nuovo. Tendeva a dimenticare di non essere più una strega, ma comunque certe abitudini erano difficile da scacciare. Sopratutto quando il mondo magico rimaneva comunque la tua vita.

    Il viaggio in direzione del parco giochi era stato veloce, troppo veloce, così tanto veloce che la mente non era riuscita a pensare bene al da farsi. Si trovava ancora al sicuro a Different Lodge, ma quando l'orda di persone che avevano deciso di partecipare alla festa comparse nella sua visuale, si pentì immediatamente di essere andata in quel luogo. Faceva ancora in tempo ad andarsene in realtà, in realtà dare un dispiacere a Tiffany era ciò che non voleva. Si acquattò in un angolo non parlando con nessuno, lontana dalla folla ma abbastanza vicina da scorgere la ragazza all'arrivo. Ogni persona che le passava accanto la faceva sobbalzare. Il respiro bloccato in gola. Il cuore che batteva furioso nel petto.
    Mezz'ora più tardi la forza di volontà venne meno e benchè la ragazza non fosse arrivata -ed il pensiero che le avesse dato buca continuava a tormentarla- aveva deciso comunque di entrare, lasciandosi alle spalle quei ragazzi che sembravano volerle scavare fin dentro l'anima. Secondo il suo medimago -psicomago se vogliamo usare il nome corretto- si trattava solamente di paranoia, ma lei sapeva che c'era qualcosa. Credeva fosse pazza per le allucinazioni che la coglievano di sorpresa eppure da qualche parte l'avevano pur sempre portata. Forse anche quella volta le sensazioni che provava l'avrebbero condotta da qualche parte, da qualcuno. Appena varcati i cancelli non esse il tempo di reagire e guardarsi intorno. Venne invitata a camminare sopra un nodo gordiano sul pavimento di pietra e quando lo fece un cristallo si illuminò cogliendola si sorpresa. Horned Serpent ascoltò distrattamente quello che le venne detto. Mezzo minuto più tardi stava camminando su un tappeto nero bordato di argento ed allora, solo allora, si permise di alzare lo sguardo sul parco. Era diverso da come lo ricordava. Molte giostre erano state coperte da teli e luci. Aveva messo perfino una piscina! Storcendo il naso si era avvicinata ai tavolini, stando ben attenta a non inciampare contro nessuno e compiendo mosse alla Bruce Lee per schivare chi rischiava di toccarla anche solo per sbaglio. Avrebbe fatto invidia perfino ad un ninja come Naruto. Horned Serpent qualcuno le mise in mano una spilla adesiva che la giovane appiccicò all'abito sperando di non perderla. Passato il primo tavolo si avvicinò al secondo, decisamente aveva bisogno di qualcosa da bere. Per pura curiosità aveva preso un bicchiere viola dall'aspetto invitante ma dall'odore sgradevole, rimaneva da scoprire cosa le riservasse il sapore. Aveva anche afferrato al volo una tortina al cioccolato che era svolazzata nel vassoio che aveva tentato di fare un frontale con la sua testa. Un morso. Aveva dato appena un morso quando si era resa conto della presenza di Jay? non credeva avrebbe rivisto il ragazzo in circostante simili, non le sembrava proprio il luogo ideale. Però era una festa e le persone vanno alle feste per divertirsi e conoscere altre persone, forse quella sbagliata era lei. E poi lo vide, sul bordo della piscina, lo stesso ragazzo che aveva incontrato pochi giorni prima ai Tre Manici di Scopa. É stato un piacere rivederti, suppongo ci rivedremo sicuramente in giro disse prima di voltarsi e marciare verso la piscina. Non sapeva perchè lo stava facendo. Stava andando da qualcuno che non poteva dire di conoscere, qualcuno di cui non era certa di potersi fidare. Ma era qualcuno che la incuriosiva in un certo senso. C'era qualcosa in quel ragazzo che la spingeva verso di lui. Posso sedermi? chiese fermandosi alle sue spalle con ancora il dolcetto ed il bicchiere viola tra le dita.
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    Saluta Jay e va da Nate *-*
     
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    thunderbird

    Life is too deep for words, so don't try to describe it, just live it.
    C'erano parecchie cose che, in quell'ultimo periodo, sembravano essere cambiate rispetto a poco tempo prima. C'erano, in effetti, parecchie cose che si celavano dietro alle vecchie verità rivelandosi invece novità, quali semplici e in fondo in fondo anche divertenti, come la festa per la quale si stava preparando per andare (suo malgrado non ne avesse particolarmente voglia) e altre più profonde, più cariche di emozioni, piene di sentimenti contrastanti. Come il ritorno di Elia, il poter nuovamente sentire la sua voce, annegare con lo sguardo nei suoi occhi... E quei cambiamenti, alcuni visibili e altri all'apparenza inaccessibili, come quella luce per nulla famigliare negli occhi di Elia, la quale sembrava essere completamente un'altra persona ora che i suoi capelli avevano assunto il colore della neve.
    Thea si avvicinò al cancello del Wicked Park di Hogsmeade assieme ad Elia ed Eleanor, stringendosi le braccia al petto, stropicciando appena la maglietta larga indossata solamente per coprire momentaneamente il costume. Posò tutto il peso del proprio corpo sulla gamba sinistra, ritrovandosi a tamburellare col piede destro sul terreno, in attesa dell'esito dello smistamento in stile Ilvermorny. Quando aveva saputo il tema del party, Thea aveva provato uno spiraglio di curiosità in esso, facendo crollare per qualche breve istante quella maschera di indifferenza nei confronti dell'evento, sufficiente a portare l'amica a convincerla a parteciparvi. Osservò perciò le statue, passando in rassegna ogni particolare di quelli che sembravano strani animali, sobbalzando appena nel momento in cui, la creatura alata di fronte a loro tre, cominciò a sbattere le ali, rivelando quindi la sua squadre di appartenenza. Varcò quindi il cancello, l'espressione di aver fatto la cosa sbagliata ancora dipinta sul viso, la voglia di fare retro front e tornarsene a coccolare il suo gatto ancora fresca nella testa, e in quel momento le sembrava davvero un'idea migliore di quella, ritrovarsi in mezzo ad apparenti sconosciuti in costume da bagno, in un Parco dall'aria completamente diversa dal solito...
    Eppure, non appena vide il modo in cui era stato addobbato l'ambiente in cui la festa avrebbe presto avuto inizio, qualcosa si accese nella testa di Thea, come una lampadina appena collegata alla corrente. La vista di quella nuova versione del Wicked Park, non poté nasconderlo, le piaceva. E così come dovette immediatamente mostrarlo a sé stessa, ritrovandosi a guardare in aria con un'espressione sorpresa, trovò necessario esprimerlo pure alle sue due compagne, soprattutto ad Elia, alla quale doveva per davvero il merito di averla convinta a partecipare. Si voltò quindi verso le due ragazze, un sorriso dipinto in volto, e, udendo le parole di entrambe, si sfilò la maglietta, tenendola sottobraccio insieme all'asciugamano multicolore, rimanendo solamente con indosso il costume di un vivace arancione. Si voltò verso Elia, affatto sorpresa dal vederla così entusiasta, ma un po' disorientata dal contrasto che, visivamente, la sua voglia di divertirsi dava col suo aspetto. Un moto di nostalgia le crebbe per qualche istante nel petto, riportandola con la mente alle estati in cui, appena arrivata dal Messico per le vacanze, si lanciava contro di lei, stringendola in un abbraccio ed assecondandola in una delle sue idee.
    «Oppure potremmo sederci sul bordo vasca a conversare con qualcuno, come quelli la, o prendere qualcosa da mangiare oppure... ma quelli sono drink tutti i gusti +1?! Ne voglio assolutamente provare uno!» esclamò, alzando di qualche tono la propria voce, afferrando Eleanor ed Elia per un braccio ciascuna, scuotendole nella speranza di convincere almeno una delle due ad accompagnarla. Non era sicura di essere davvero contenta di ritrovarsi a quella festa, ma di certo non avrebbe avuto la minima intenzione di continuare a comportarsi come la musone dal trio, senza riuscire a godersi nemmeno un attimo di quel divertimento. Quindi, senza aspettare la reazione di nessuna delle due, cominciò a tirarle leggermente verso il tavolino poco distante da loro, lo sguardo fisso sui bicchierini dai vari colori.
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    Calathea Rojas Fernàndez
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    pukwudgie

    i'm a real sweetheart, and a real smartass as well
    Stava sudando.
    Sì, insomma, è normale che un essere umano perda dei liquidi per mezzo della traspirazione (?), soprattutto in piena estate, ma le goccioline gelide in rapida discesa lungo la schiena di Murphy indicavano un problema decisamente più grave e del tutto dissociato dalla temperatura esterna. Partiamo dal presupposto che l’arte del mentire non le era mai appartenuta, ma proprio nemmeno per sbaglio, e finiamo raccontando di come avesse accettato non solo di omettere determinati fatti, ma anche di fare il doppiogioco. Lei. Per andare ad una festa, poi! Cosa non si fa, quando c’è in gioco la felicità di una persona a cui si tiene, eh? Vero? Okay, OKAY, Murphy aveva pensato di partecipare al party di Ilvermorny sin dal principio. Era questo che volevate sentirmi dire? Non è che potesse vantare sta gran vita sociale, nonostante fosse nel pieno della sua gioventù e con la testa fosse rimasta un’adolescente in cerca di avventure e divertimento, ragion per cui, quando l’occasione le era capitata davanti sottoforma di volantino (quale volantino), aveva pensato bene di coglierla al balzo ricorrendo ad una delle sue armi migliori. E no, non sto parlando della seduzione, bensì dello stracciamentodimaroni, una tecnica imparata nei laboratori sin dalla tenera età e perfezionata con anni e anni di esperienza. Murphy Skywalker ne era la regina indiscussa, la campionessa olimpionica, colei che da sempre abbatteva qualunque record di resistenza umana, chiunque fosse la povera vittima sacrificale. Nel caso specifico, si era lanciata prontamente su Athena, placcandola una volta tornata nel loro nido d’amore (wat), ancora con il volantino accartocciato nel piccolo pugno teso verso il cielo. Dai vieni con me. No. Eddai è una festa, vieni, ci divertiamo. No-oh. E’ in costume dai. Tante ragazze in costume, eh, eh? Murphy.. DAI. No. Mi lasceresti andare da sola? Dai, vieni. Vieni con me, dai, dai, dai. Sì, ti lascerei andare da sola e no, non vengo. Ho da fare. Fai qualche foto. Marrana. Per farsi perdonare – credici Murph -, Athena le aveva lasciato un costume da bagno sul letto, perché ovviamente lei non ne possedeva nemmeno uno: la giovane italie Skywalker, infatti, sapeva nuotare tanto quanto un tronco d’albero – e vai ad una festa in piscina? - e l’idea di mettersi da qualche parte mezza nuda per prendere il sole non le era mai passata per l’anticamera del cervello, tant'è che nelle sue scorribande marittime (?) con Run tendeva a starsene all'ombra, cappello di paglia calcato in testa e occhiali scuri a proteggere gli occhi. Aveva ovviamente apprezzato il regalo (qualcuno le spieghi la differenza tra un prestito e un regalo), per quanto quel rifiuto al suo invito sarebbe rimasto legato al dito per un bel po’, anche se, dopo essersi rimirata allo specchio con il bikini indosso, era dovuta ricorrere al tristissimo trucco dell’imbottitura: oh-eh, non era colpa sua se Athena aveva le tettone.
    Anyway, il problema ’oh god adesso chi obbligo ad accompagnarmi ad una festa chissà se trovo qualcuno disposto a stare con me tutta la sera quanto costerà un gigolò’ si era risolto magicamente – è proprio il caso di dirlo – da sé, quando al termine di una dura giornata di lavoro (quale) al quartier generale della Resistenza, Erin le aveva posto la fatidica domanda, l’invito tanto agognato. Avete idea di quanta soddisfazione procurasse l’essere dall’altra parte del tavolo, per una volta? Come se la bruttina della scuola, tornata dalle vacanze estive gnocchissima, venisse sommersa improvvisamente con richieste di appuntamenti e attenzioni da parte di ragazzi che prima non se la filavano di striscio, ai quali lei stessa aveva fatto la corte con encomiabile testardaggine. Almeno un po’ doveva tirarsela, giusto? Mah, non so, una festa, mhh, non mi convince molto… «no non farmi andare da sola ti prego vieni con me dai così gli dico che mi accompagni dai Murphy per favore ci tengo tanto e poi abbiamo detto a Scott che ci saremmo andate DAI vieni con me da Keanu ti scongiuuuro» La ragazzina le si era incollata letteralmente addosso, koalizzandosi (?) come solo Murphy credeva di saper fare, e quello per lei fu un momento davvero idilliaco. Non capiva proprio come a certe persone potesse dare fastidio il suo accozzarsi strenuamente fino a diventare parte integrante dell’ospite prescelto. Si sentiva così bene, importante e amata, stretta tra le braccia di Erin Chipmunkin, che, personalmente, non avrebbe mai rinunciato a tale sensazione, né al modo in cui si attaccava alle persone cui voleva bene. Tanto, e Murphy lo sapeva con matematica certezza, potevano fare i duri quanto gli pareva – e sì, sto parlando soprattutto di Athena e Sin – ma sotto sotto apprezzavano. Molto sotto. Okay, d’accordo, ci vengo. Per te. Ma se Keanu mi chiede di giurare sulla mia stessa vita che ti impedirò di bere, mi ritiro. Per fortuna di entrambe, quella sera il boss Larrington sembrava in vena di concessioni generose e non si soffermò a pensare quanto assurdo potesse essere affidare una sedicenne nelle mani di Murphy Blue Skywalker. Ci si poteva fidare di lei, questo era certo, ma la sua maturità finiva esattamente dove terminavano gli impegni della Resistenza, proprio come accadeva ai tempi dei laboratori. Seria, determinata e concentrata sul proprio lavoro, ma una volta svolto quello tornava ad essere una ragazzina fin troppo curiosa, cui nessuno aveva mai imposto dei veri paletti. E’ quello che succede quando si cresce senza genitori in una casta di dottori nerd. Ma un lato da mammawin lo aveva sviluppato comunque, e per questo si deve ringraziare proprio i suoi Chips. Li chiamava così, Erin e Scott, sebbene non avesse mai specificato loro il motivo di tale soprannome. Era complicato: i due avevano lo stesso cognome, ma da quando la geocineta li conosceva si erano sempre definiti l’un l’altra come migliori amici, senza mai accennare al fatto di essere fratelli, o comunque parenti. Una fortuita coincidenza (…) che Murphy aveva deciso di tenere per sé, quasi un segreto da custodire gelosamente. Qualcosa, chiamiamolo sesto senso, le suggeriva di non farne parola, per quanto morisse dalla voglia di costringerli a vestirsi da Alvin Superstar e i Chipmunks per Halloween.

    Stava sudando.
    Okay, facciamo così. Quando vieni a prendermi con Scott, fingiamo di esserci appena conosciute.
    Murphy stava sudando, gocce gelide lungo la schiena nuda, e non certo per il caldo. Era la prospettiva di dover mentire al suo compagno di Worldcraft a mandarla in totale paranoia. Come già detto, era nata per stare dietro ad un bancone e trafficare con provette, strani liquidi, siringhe et similia, non per fare la spia. Ma a quegli occhi da cucciolo di foca in fin di vita (semicit.) che l'avevano supplicata di non rivelare la verità a Scott, era stato fin troppo facile cedere, come un coltello nel burro. I Chips rischiavano seriamente di mandarla al manicomio, come morte, sangue e distruzione non erano stati in grado di fare prima di loro, ma Murphy li amava comunque, come i fratellini minori che tanto le erano mancati. Ne aveva avuti di maggiori, figure che ai suoi occhi color cioccolato fondente risplendevano di luce propria, ma mai negli anni le era capitato di poter traviare degli esserini plasmandoli a piacimento (?). Prese il telefono estraendolo dal very sexy marsupio legato in vita, contenente oggetti di vario genere e dubbia utilità, per fare uno squillo a Scott così come erano rimasti d'accordo. Se il ragazzo avesse risposto, probabilmente si sarebbe limitata a riporre il cellulare, dondolandosi con un piede poggiato a terra fino al suo arrivo, ma quello continuò a suonare a vuoto, prima di interrompersi in automatico. Ottimo. E se la Bulstrode lo avesse ucciso? Okay, magari non si era ancora arrivati a quel punto, ma avrebbe potuto tranquillamente sequestrargli il telefono, chiudendolo a chiave nella sua stanza a pane e acqua per un mese. Per sottolineare le sue doti da spia mancata, Murphy pensò bene di utilizzare il campanello della bicicletta - un tandem d'epoca recuperato dalla cantina dell'appartamento che condivideva con Athena - come richiamo in codice per avvertire Scott del suo arrivo. Un trillo sarebbe forse potuto passare inosservato, un rumore quasi naturale proveniente dalla strada, ma il suono provocato dalla trombetta posta sul manubrio somigliava più al verso strozzato di un'anatra morente. Inequivocabile. #oops.
    «non voglio chiederti perché siamo su un tandem, Murphy, ma lo farò comunque: perché siamo su un tandem? E poi non posso pedalare!» Dicevano tutti così. Tutti chi? Non sono affari vostri #wat. Aveva osservato il ragazzino rotolare oltre il davanzale della finestra al secondo piano, precipitare e terminare il suo volo d'angelo con un tuffo nella siepe sottostante che qualunque giudice serio avrebbe premiato quanto meno per l'audacia, se non per la tecnica. Fosse stata la prima volta, probabilmente si sarebbe preoccupata, correndogli incontro per soccorrerlo, ma l'aveva visto saltare di nascosto tra quelle foglie senza restarci secco in un numero imprecisato di occasioni. Troppe, per pensare che all'ennesima sarebbe potuta andargli male. Volevi un passaggio? Non potevo portarvi tutti e due in spalla, ho dovuto improvvisare! Che pretese, oh. Avesse avuto uno straccio di patente, magari sarebbe riuscita a procurarsi un mezzo più decente, ma nessuno sembrava propenso a vederla alla guida di un possibile strumento di morte. Malfidati! E sì, rilassati, ho avvisato Erin... la tua amica, cioè. Si chiama Erin, giusto? Una spia nata. La regina del doppiogioco. James Bond in gonnella. Le aveva inviato un messaggio, come richiesto dal biondino, per avvisarla che sarebbero arrivati nel giro di un quarto d'ora, o almeno così credeva Scott. In realtà, quello che Murphy aveva scritto alla giovane Chipmunks somigliava più ad una supplica, una richiesta di aiuto. Arriviamo. Sono sudata come Jake in Containment. O Nick Miller quando deve dire balle. Non chiedermi mai più una cosa del genere, ti prego. Strano, piuttosto, che il biondo non le avesse chiesto cosa ci facesse con un salvagente a ciambella attorno alla vita, ma soprassediamo. Dovette pedalare lei praticamente per tutto il tragitto - e fortuna che Chips#1 era di strada -, il sedere sollevato dal sellino come una vera biker metropolitana (?) e quando arrivarono al Wicked Park avrebbero potuto tranquillamente raccoglierla con un cucchiaino, da quanto era stanca morta. Al ritorno stai davanti tu, chiuso. Disse, toccando la spalla di Scott con il dito indice prima di accavallarci sopra il medio, manco stessero giocando a ce l'hai. Solo a quel punto, dopo aver legato il tandem all'inferriata che costeggiava il parco, si concesse di osservare affascinata il suddetto, con le sue luci soffuse e i tendono bianchi eretti per l'occasione, il vociare festoso di chi già era arrivato e stava facendo bisboccia, le risate e il tintinnio dei bicchieri. Nessuno nel loro magico terzetto, era abituato a quel genere di serate e anche l'essere circondati da così tante persone non rientrava negli standard di Murphy più di quanto facesse con quelli dei Chipmunks. «murphy, tu usciresti con me? Cioè, voglio dire. Hai capito. Sono tutti così… perfetti» Domande legittime. Si voltò ad osservare Erin, che nel frattempo stava fingendo di aver appena conosciuto, trattenendo a stento il desiderio di schioccarle un bacio sulla fronte. Sarebbe sembrato un gesto un po' troppo intimo agli occhi di Scott, persino per una espansiva come la Skywalker. Dai, solo un cieco, o un idiota, non uscirebbe con te. Ci sarebbe uscita anche lei, se la ragazzina non fosse stata minorenne, altroché. Non stupitevi, la sessualità di Murphy era ancora un gran mistero: dopotutto viveva con Athena Rourke da più di un anno ed era sempre stata più a contatto con lei, Jade e Run che con chiunque altro negli anni passati. Volendo dimenticare (#ihihi) Elijah e e la cotta ancestrale ai limiti dell'umanamente possibile (?) che aveva preso per lui sin dal primo istante, chiunque si sarebbe fatto venire il dubbio, compresa la mora. Evitò di fare commenti sulla perfezione altrui, limitandosi ad annuire. Dopotutto, lei stava per affrontare una festa ufficiale con una salopette di jeans a pantaloncino senza nemmeno una maglietta a nascondere le sue grazie fasciate nel costume color pesca prestatole dalla coinquilina. Detto tra noi, se l'era dimenticata. In compenso, aveva il marsupio - si vede il marsupio? - e un salvagente. Troppo fascìon.
    E qui giustamente accadono code che: Alvin and the Chipmunks entrano in un parco, statue con strani animali li fissano e donano spillette, Alvin con la sua ciambella si dirige prontamente al primo banco con il cibo e afferra una pizzetta così piacevolmente unta che morderla è come entrare in paradiso e sedere al fianco di Morgan stesso. Poi la vita, ahimè la vita, tornò a bussare alla porta chiedendo vendetta. Quella vera, che non ti manderà in galera. «CHI? Chi è? Quello che mi hai detto che ti ha rubato la merenda cinque anni fa? Devo picchiare qualcuno? Erin dimmelo, lo faccio» Di che parlavano i suoi Chips? Si era momentaneamente persa, Murphy, ungendosi le mani fin quasi ai polsi - fortuna che nel marsupio aveva delle salviette #FUCKTHESYSTEM -, ma il tentativo di Scott di suonare minaccioso la riportò indietro, con i piedi per terra. Letteralmente, visto che si era tolta le scarpe. Ehnm? Spostò le iridi color cioccolato su Erin, tentando contemporaneamente si sistemarsi i capelli scuri dietro le orecchie senza sporcarli di olio al pomodoro, riconoscendo quello sguardo trasognato al primo istante. Ah, l'amore adolescenziale, che fregatura. Sarebbe stato divertente se, nel seguire la direzione del suo sbattere di ciglia per intercettare il responsabile di tali sospiri, non si fosse trovata davanti un bambino. No, non sto parlando di Brodino, ma di Cremino. Se ne stava lì, con il suo costumino, mano nella mano con il biondo, circondato da quella che sembrava la crew di un video di Rihanna. Non poteva essere vero.
    Quel che rimaneva della pizzetta, un boccone già in parte masticato, le andò di traverso, risucchiato in un singulto di sorpresa, costringendo Murphy a piegarsi in due tossendo anche l'anima, con un ultimo, gracchiante Muoro.
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    fa coDe con Erin e Scott, arriva al party, vede Cremino insieme agli Hamilton, si strozza.


    Edited by (something went wrong) - 5/8/2016, 17:41
     
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    Roteò il capo, accarezzando le lenzuola con la guancia sinistra. Le mani posate distrattamente in grembo, la gamba piegata, i tacchi a puntellare sul materasso. Perfino quando appariva del tutto innocua, come in quell’esatto momento, c’era qualcosa che non andava in Rea Hamilton. Gli occhi, un freddo color cioccolato, sembravano osservare una realtà differente rispetto a quella in cui il resto del mondo viveva, quasi ch’ella vedesse dell’altro. Era lì, era sempre lì, ma senza esserci davvero. Così silenziosa che se aveste chiuso gli occhi avreste potuto dimenticarvi della sua presenza; il punto era che nessuno, per quanto lo desiderasse, era in grado di serrare le palpebre quando Rea era nei paraggi. L’appiccicoso e pericoloso turbamento derivante dal guardare un predatore, quella certezza – quella speranza- che se l’aveste guardato senza muovervi, non vi avrebbe nuociuto. Ma mai, mai distogliere lo sguardo. Bisognava guardare, come incidenti che mai si riusciva a fermare. Come un orologio le cui lancette continuassero imperterrite a scandire il tempo, fregandosene di quando quel tempo neanche esisteva. Rea Hamilton svegliava quella parte latente dell’essere umano che rimembrava perché un tempo avesse paura del buio, e perché quello stesso buio l’avesse sempre affascinato. Il timore agrodolce nel guardare la più meravigliosa delle opere d’arti, quell’interrogativo incastrato sulla lingua, meraviglia nel constatare quanto la menzogna di un’altra esistenza fosse la parte più meritevole della vita. Poesia, letteratura, musica; l’arte, che tanto aveva mosso e parafrasato il mondo, non era altro che l’illusione di menti visionarie. E Rea, Rea Hamilton, era tutto ciò – e molto di meno, e molto di più. Nessuno sapeva di cosa si trattasse: poteva essere la forma delle labbra, il modo in cui la luce giocava sui capelli che, come un ventaglio, si allargavano sul letto; poteva essere quel sorriso, pallida imitazione di ciò che avrebbe dovuto essere, o quel profumo che s’impigliava in ogni fibra di tessuto. O forse erano i suoi occhi, tele scure nelle quali ciascuno dipingeva il proprio paesaggio preferito. A lei non importava. Lasciava che vedessero quello che desideravano, quello ch’ella voleva desiderassero. E sotto, percepibile dalla parte remota e primitiva di ogni uomo, l’assenza. Di luce, di ombre – aveva importanza? Il distaccato interesse animale che guardava ad ogni altro animale chiedendosi se fosse cibo o pericolo. E quella gioia perversa, del tutto umana, nel rendersi conto che per lei erano tutti cibo.
    A Rea Hamilton, semplicemente, non importava.
    A Rea Hamilton, semplicemente, importava troppo. Ed era tutto lì, appena sotto la superficie scura che in tanti s’erano impuntati di scalfire senza alcun risultato se non l’imbrattarsi le mani di buio e sangue.
    Vuota. La mora Hamilton, ex Serpeverde ed ex strega, si sentiva vuota. Ogni battito si palesava come un’eco distante, rimembrandole che mancava qualcosa – che era sbagliato. Così, Rea rimaneva immobile ad ascoltare tutto ciò che non c’era, un espressione impenetrabile e vacua quanto quella di una maschera.
    Guardava lo specchio posto dall’altra parte della stanza, quella sé stessa un po’ meno sé stessa riflessa sulla superficie. Vedeva quegli occhi così familiari, vagamente annoiati, e la curva morbida del mento. Come poteva essere identica a Charlotte, e non assomigliarle affatto? Neanche in quel momento, dove nessun sorriso malizioso illuminava le iridi scure; neanche lì, con nulla fra le mani e nessuno a farle da spettatore, Rea poteva apparire come Charlie. Perché? Forse una domanda pretenziosa, ma se l’era chiesto più e più volte. Perché? Un interrogativo puramente oggettivo, curiosità che di personale non aveva nulla. Voleva solamente sapere il perché, Rea Hamilton, il come. Ruotò gli occhi sul pavimento. Non aveva mai compreso il sembra stia dormendo che troppo spesso, con innocenza poco adatta alle circostanze, sgusciava dalle labbra quando si guardava un corpo privo di vita. Non sembrava che il ragazzo stesse dormendo, sembrava ciò che era: morto. Il viso sporco di sangue che poggiava graniticamente sulle piastrelle, il petto immobile. A guardarlo, era perfino difficile pensare che fosse mai stato vivo. Lo sguardo vitreo, colto nello stupore del momento in cui la Hamilton aveva trapassato la carne, non incolpava nessuno. Non c’era paura, non rabbia, non rammarico. Neanche una lacrima scarlatta a solcare il volto giovane, mentre Rea Hamilton lo guardava.
    Gli Hamilton trovavano sempre un modo per arrivare al cuore della gente, fosse in senso metaforico o letterale. Il potere che ne ricevevano era il medesimo: potevano scegliere chi distruggere e chi creare, chi amare e chi annientare.
    Indovinate quale modo Rea avesse scelto.

    «dov’è?» Rea l’aveva guardato senza rispondere, non lasciando neanche trapelare se avesse o meno udito la domanda. «dov’è?» aveva ripetuto lui, stringendole il polso in una morsa ferrea. Allora, e solo allora, Rea aveva sbattuto le ciglia, mettendolo a fuoco. Un giovane nella norma, mediocre in tutto. Inutile e sacrificabile, detto in altri termini. «non qui» aveva risposto la Hamilton, prima scintilla su un fiume di benzina. «cosa le hai fatto?» Era una zona di Londra uguale a mille altre, case a schiera identiche le une alle altre. Un luogo che rimaneva poco impresso, esattamente come i suoi abitanti. E allora perché Rea Hamilton, senza dubbio poco avvezza a simili passatempi, aveva bussato a quella porta?
    Perché il ragazzo, un giovane mago di nome Nonciinteressa, stava cercando Charlotte. Charlotte Hamilton. Era lo psicomago che aveva seguito Charlie, la gemella di Rea, il suo primo anno a New Hovel. Da quando era sparita, non aveva smesso di cercarla, raccogliendo abbastanza indizi da alterare Rea. E perché? Di certo non per zelo professionale. «cosa le hai fatto?» aveva sbraitato nuovamente, lui, stringendo più forte il polso di Rea.
    Amore. Come poteva essere definito nobile un sentimento come quello? Omicidi passionali, guerre, sacrifici. Tutto in nome dell’amore, tutti gesti che, immancabilmente, portavano sul concludersi del capitolo una sola parola: morte. E nella morte, Rea lo sapeva bene, non c’era alcuna nobiltà.
    Non c’era proprio niente. «quello che era necessario» secca, apatica. Annoiata, mentre volgeva il più malizioso dei sorrisi al giovane. «sei un mostro» adorabile come il primo pensiero fosse immediatamente rivolto all’omicidio. Come se Rea, Rea Hamilton, avesse mai potuto fare del male a Charlotte. Ma loro non lo sapevano, e non era necessario lo sapessero. Le era bastato stringere il pugno perché la realtà rispondesse ai suoi voleri, piegandosi e deformandosi fino a dare la sensazione all’uomo di star affogando. Mostro, una parola che spesso, troppo spesso, rimbalzava sulla pelle di Rea, cercando di riaprire cicatrici vecchie di anni, di vite. Era un mostro? Mentre l’uomo indietreggiava portandosi la mano alla gola, Rea estrasse il pugnale. Lo fece roteare nel palmo, avanzando verso di lui con il solo accompagnamento dei propri tacchi sul pavimento, e gli ansiti soffocati della vittima, caduta al suolo nella vana ricerca di ossigeno. Con lentezza, perché Rea aveva tutto il tempo del mondo, si chinò di fronte a lui. Paziente, mentre lui si dimenava ai suoi piedi. E come la guardava, lui, con quella muta supplica nello sguardo. «Lo sono?» domandò con voce roca, prendendo il viso di lui nella mano libera. Che potere inebriante, sapere di essere sia salvezza che perdizione. Sarebbe bastato un gesto per far cessare quell’agonia, lasciandolo libero di respirare. Sarebbe bastato un gesto per far cessare quell’agonia, strappandogli l’ultimo respiro fra i denti.
    Un istante.
    Il pugnale nello sterno, a cercare fra le costole lo spazio per giungere al cuore.
    Un gorgoglio.
    E poi il nulla.
    Lo era? Era, Rea Hamilton, un mostro?
    Non poteva permettere a nessuno di rintracciare Charlotte Hamilton, neanche a qualcuno che l’aveva amata. Anzi, soprattutto. L’amore era troppo stupido perché vi fosse lasciato spazio d’esistere, qualcosa che Rea non avrebbe potuto controllare. Quel sangue, innocente sangue cremisi, lo doveva a Charlie. Rea poteva non essere la sorella più desiderabile sulla faccia della terra, ma al contrario di molti altri, era l’unica disposta a fare ciò che era necessario. Se doveva sporcarsi le mani per proteggere la sua famiglia, l’avrebbe fatto – ancora, ancora e ancora.
    Lo era? Era, Rea Hamilton, un mostro?
    La verità era che a nessuno importava cosa vi fosse dietro i suoi mezzi sorrisi, dietro la mano guantata che stringeva l’arma. A nessuno importava il perché. Erano i come a fare la storia.
    Catalogata come sociopatica nelle migliori delle circostanze, insensibile. Vuota.
    Nulla.
    Ironico come le bocche altrui fossero gonfie di giudizi, quando per racchiudere ogni interrogativo ed ogni aggettivo, sarebbe bastata una sola parola.
    Hamilton.
    Ed andava bene così.

    Alla buon ora. Incrociò gli occhi di Xavier Stevens sullo specchio, e ruotò il capo nella sua direzione per poterlo guardare direttamente. A villa Hamilton non avevano molte regole, ma non fare domande rientrava in categoria – più che altro, la maggior parte delle domande sarebbe stata stupida e fuori luogo, cadendo nel silenzio. Sospirò, alzandosi ed agguantando con una mano il casco che aveva abbandonato sul comodino. Essere una cacciatrice al ministero era funzionale per più di un motivo: se avessero avuto sospetti di utilizzi illeciti della magia, avrebbero mandato lei a controllare che non vi fosse qualche psicotico pirocineta a piede libero. E c’era: ma era il suo accendino preferito. «burn it all» commentò senza alcuna intonazione nella voce, quasi gli avesse appena chiesto di passarle l’olio. Un sorriso fece capolino sulle labbra della Hamilton mentre raggiungeva la porta, dove si fermò per lanciare un’occhiata da sopra la spalla a Xav. «e chiama i ragazzi, stasera andiamo ad una festa»
    Gang Hamilton bitches.

    Se non voleva che continuassero a spuntare curiosi alla ricerca della smarrita Charlotte, la soluzione era solo una: fingersi lei. Erano identiche nell’aspetto, e con i problemi di memoria di Charlie, nessuno si sarebbe accorto della differenza. Interpretazioni da oscar, con tanto di dolci sorrisi e grandi occhi cioccolato che, quando si fingeva la gemella, riuscivano a scaldarsi tanto da parere bronzo fuso.
    Quando si parlava di gang Hamilton, non si faceva per dire: gli abitanti della Villa erano particolari, ma rappresentavano davvero una piccola, ed adorabile, mafia. Vi sarebbe bastato vedere come uscivano di casa, dirigendosi a passo sicuro verso la limousine che li attendeva sul vialetto: perfino Aladino sembrava cazzuto, e questo dovrebbe dirvi tutto. Mancava giusto un rallenty d’autore ed una musica d’atmosfera, ma voi immaginatela: Rea/Charlotte ad aprire la fila, da una parte Jay e dall’altra Xav; alle loro spalle Brodino, in compagnia del principe ereditario di casa (a Rea i bambini non piacevano: nulla di personale, non le piacevano gli esseri umani in generale. Ma quello? Per i suoi simili, era ciò che Giuliano rappresentava per i gatti: un eccezione. Vedeva la ricchezza nei suoi occhi, si aspettava grandi cose da lui), ed a chiudere la fila (e noi fingiamo sia per proteggere la gang come i veri body guard, e non per tentare la fuga/il suicidio solo perché loro non potevano vederlo) Aladino. Il modo in cui Jay aveva convinto Enel a partecipare, gli aveva fatto guadagnare grossi PH (Punti Hamilton). Ah, quanto amava i suoi pargoli quando cominciavano a tirare fuori la sadica vena malvagia. Anche perché, diciamocelo: dopo quasi due mesi di ricerca, quante probabilità c’erano che Run si trovasse ad una festa al Wicked Park? La sparizione di Heidrun Ryder Crane aveva avuto ripercussioni negative su troppe persone, e Rea vi si era trovata invischiata prima ancora di rendersene conto. Innanzitutto, e si va a priorità, Palmer: senza Run a lavorare anche per Rea e Gemes, la vita si faceva difficile per i due Hamilton, costretti a svolgere il loro compito. Poi, Beeches: a quanto pareva, aveva un qualche tipo di malsano (e come avrebbe potuto essere altrimenti?) rapporto con Jade e Lienne, che per Rea erano quasi una famiglia. Metà dei casta, letteralmente, era partita alla ricerca della giovane, anche se sospettava che Nate si fosse aggiunto solo per avere l’occasione di usare il suo cannocchiale – Dio solo sapeva quanti Rea ne avesse rotti, in gioventù; roba da rivaleggiare con gli occhiali del Jackson. E poi c’era Al (-cit). Sprigionava così tanta voglia di morire, e si intende più del solito, che perfino Rea si era sentita vagamente triste per lui. La questione, di conseguenza, era diventata di principio: le persone non sparivano e basta. Mi piacerebbe dirvi che a muovere la Hamilton ci fossero solamente puri intenti egoistici (ed è quello che lei, chiaramente, lascia trapelare da ogni poro: non voglio sentirli piangere, sono stanca di questo mainagioia, non ho voglia di lavorare) ma la verità era che la fuga aveva coinvolto emotivamente troppe persone alle quali Rea, seppur in modo malsano –ed a fasi alterne-, teneva. Questo l’aveva spinta a bussare alla porta di Al, mesi prima, con in mano due caschi. «andiamo, Aladino» semplice e senza tanti fronzoli.
    Forme d’amore.
    Comunque. Per farlo sentire apprezzato, Rea aveva chiesto proprio al suo compagno di Morgan consiglio sul come vestirsi per la serata. Inutile, direi, specificare il perché, ma lo farò comunque: Rea doveva spacciarsi per Charlie, il che significava a) cattivo gusto nel vestirsi b) biondezza interiore. E chi era più indicato di Al nel darle un consiglio? Sempre per questo motivo, una volta giunto nella Hamilimo, aveva accettato gli auricolari creati da Brodino, limitandosi solamente ad alzare gli occhi al cielo quando li illuminò (simpa, è un fotocineta ihihi) sui loro nomi in codice: aveva bisogno di biondi che la trattenessero dal mostrarsi troppo favolosa ed intelligente.
    Il cognome Hamilton non era per tutti, e di certo non per Charlie.
    I capelli castani erano legati con un nastro blu in una coda alta, così lunghi, lisciati come piacevano alla gemella, da sfiorarle le scapole ad ogni passo. Giusto perché Charlotte mancava di senso estetico, sopra al costume nero indossava un meraviglioso completo da cheerleader: se Charlie fosse stata presente, infatti, sarebbe stata la tipica ragazza che avrebbe cercato di far sentire a proprio agio gli ospiti, la scuola americana, cercando nel mentre di apparire simpatica.
    Per inciso, non ci riusciva. Ma erano problemi di Charlie, non di Rea: quando quest’ultima cercava di far sentire a proprio agio qualcuno, di solito, semplicemente si limitava a non ucciderlo. E, oh!, funzionava.
    «ve lo dirò ancora una volta, e non lo ripeterò in seguito: stasera sono Charlie. Il primo che sbaglia, muore» rivolse ai suoi boyz il miglior sorriso alla Charlotte, facendo perfino brillare di sincero divertimento gli occhi scuri. Se il divertimento era dovuto alla battuta? Certo che no. Il solo pensiero di usare un po’ di violenza riusciva sempre a strappare sorrisi sinceramente allegri a Rea Hamilton.
    Ciascuno aveva i propri difetti.
    Quando arrivarono a destinazione (seguendo, per uscire dalla limo, la stessa faboulaggine che avevano usato per entrarci), Rea celò il proprio disgusto verso l’umanità e quel luogo dietro un’espressione estasiata, passando un braccio intorno alla vita di Al. «aladino, patti chiari amicizia lunga» aw, come ai vecchi tempi. «non allontanarti troppo, non bere troppo, e … non essere troppo Al» il tutto, ovviamente, detto fra i denti. «sul serio» specificò, lasciando trapelare una sfumatura puramente rea nella voce, prima di schioccargli un bacio sulla guancia. Dopo quasi un anno di convivenza, Enel doveva aver capito che non poteva morire, o tentare il suicidio, senza di lei.
    Era anche quella amicizia.
    Entrando fecero lo smistamento. Non sapeva a cosa potesse servire, ma non aveva dubbi sul fatto che lei e AlBrodino, caso mai fossero stati a scuola insieme, non sarebbero stati nella stessa casata. Da Xav si sentiva un po’ tradita, lo ammetterò. Ma ciò che più la stupì, fu vedere che il corno del serpente si illuminò, come aveva fatto per lei, anche per Jay. A quanto pareva erano più simili di quanto entrambi, sicuramente Rea, pensassero. Si portò le dita agli occhi ed indicò sia Amos che Al, soffermandosi però sul primo. Togliendo Capodanno, era il primo evento a cui partecipavano insieme. Come una famiglia. Ma anche quello, chiaramente, non l’avrebbe mai espresso ad alta voce. «mi sentite? Prova, sa, un due tre Charlie la più bella sei te» ammiccò alla gang, alzando le sopracciglia con ingenua malizia. Quando Jay le si avvicinò, Rea/Charlie lo prese a braccetto. «Charlie, quindi. Bel nome. Io vorrei chiamarmi...beh non lo so. Quello di una qualunque altra persona, immagino» Mentre Charlie sorrideva allegramente a chiunque ne incrociasse lo sguardo cioccolato, Rea rispondeva a Jay. «l’unica cosa bella del nome di Charlie, è il cognome» rispose, con quel tono leggero che poco si addiceva alla creatrice di illusioni, ma era tutto sua sorella. Quant’era sfiancante fingere di essere una persona normale buona. «cosa non va in jayson? Poteva andarti peggio» premette sull’auricolare, così da essere sicura di farsi udire da tutti. «potevi chiamarti aloysius» sbattè rapidamente le ciglia in direzione di Jay, un sorriso giovane sulle labbra. Un sorriso tutto Hamilton, fosse Charlotte, Rea, Amos, o Gemes, Shia, Kendall, Charmion o Raine.
    Che sorriso? Ma che domanda sciocca.
    Meraviglioso.
    «morgan, quanto mi amo» concluse, in tono quasi sorpreso. Quel genere di amore che era sempre una prima volta, nato dalla consapevolezza di essere davvero fantastici.

    Lo era? Era, Rea Hamilton, un mostro?
    Sì.
    Ma, consapevoli o meno, loro la amavano anche per quello.

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    fake charlotte
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    rea charlie hamilton
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    Edited by rea/l life ruiner - 5/8/2016, 19:25
     
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    pukwudgie
    If you could see me now would you recognize me?
    C’ era solo una parola per descrivere l’ accaduto: imbarazzante.
    Sentiva gli sguardi della madre perforarle la testa, una sola domanda aleggiava nell’ aria ”perché?”. Ci sarebbero state diverse risposte, April se la sarebbe cavata con un paio di scuse e delle parole estremamente convincenti. Aveva già il copione stampato in testa. Ma April non era quel genere di persona, non se lo poteva permettere anche con la sua famiglia. «Non è come sembra,» era esattamente come sembrava «era ferito, affamato e solo» si abbassò portandosi allo stesso livello dell’ animale, passò una mano sul suo pelo trovandolo soffice, almeno le promesse della pubblicità non erano vuote. «E lo so che questo diventerà uno zoo se continuiamo così, ma dagli una possibilità» e detto ciò bastarono gli occhioni di quel cane a far capitombolare tutte le scuse che impedivano a Lena di accoglierlo in casa.
    Era la Führer il problema.
    «PORTA QUEL DANNATO MANGIACRAUTI FUORI DI QUI» Nonna Seti semplicemente non ascoltava, non importava quante volte April le ripetesse che nel ventunesimo secolo non era più accettabile essere chiamati in quel modo, lei continuava imperterrita. «Nonna, tecnicamente è cecoslovacco» la ragazza la corresse dolcemente, cercando di farle capire che secondo la geografia la Germania e la Cecoslovacchia erano due cose distinte. Il fatto che non ci fosse più nessuna Cecoslovacchia era irrilevante, anche perché ricordarsi il nome dei due stati era troppo faticoso. «Pensi me ne freghi un cazzo?» poteva giurare di aver sentito la donna ringhiare, il che aveva imparato non essere un buon segno. Studiò per un momento la sua figura, sembrava pronta a scattare per la sua Glock. Non voleva morire, non così giovane. Si abbassò prendendo il cane in braccio, poteva permettersi di sollevarlo ma prima di arrivare in camera aveva dovuto fare le scale e spiegare ad Isaac che no, non avevano adottato un lupo e che nessuno l’ avrebbe mangiato mentre dormiva, quindi era quasi morta nel tragitto. La Larson non andava in palestra come tutte quelle sudaticce persone, lei preferiva sgobbare per Nonna Seti. «Quindi…te ti intendi di costumi?» rivolse uno sguardo speranzoso al cane, sperando che si rivelasse il nuovo Enzo Miccio degli animali. Greyson ma che nome è? UN BELIXIMO NOME, chiamato così perché aveva il pelo grigio e April era così simpatica, inclinò la testa di lato come a chiederle se fosse seria «certo che sono seria ciccipucci». I Withpotatoes non erano ricchi e se lo erano prima di certo ora non conservavano lo stesso tenore di vita, accogliere orfani e animali costava. Perciò era facile intuire che alla ragazza non piacesse particolarmente l’ idea di sprecare soldi in costumi, non quando sarebbero potuti servire a sfamare qualche bocca in più. Possedeva tre costumi, uno meno coprente dell’ altro e non pensava nemmeno qualcuno sano di mente l’ avrebbe fatta uscire con quelli addosso. Quindi fece la cosa più logica che le venne in mente, chiese al suo cane.

    Faresti mai un patto con il Diavolo? April Withpotatoes ci era cascata.
    Non pensava che sarebbe finita in quel modo, non che a quel tempo pensasse poi tanto. La sua vita era frustrante, c’ era sempre qualcosa che le mancava, che fosse un ricordo o una parola. April c’ era abituata, era sempre stato così. Un gradino un po’ più sotto dei suoi fratelli, quella a cui si rivolgeva un sorriso compassionevole, una carezza.
    All’ inizio non pensava di essere davvero stupida, solo particolare. Con il tempo sarebbe migliorata, avrebbe potuto trovare una soluzione. E invece con il passare degli anni il divario si era solo allargato e lei ci aveva rinunciato, aveva smesso di sperare. Non importava quanto i Withpotatoes cercassero di convincerla, lei era stupida. Come potevano non vederlo? Non riusciva ad esprimersi, le frasi rimanevano spesso a metà e persino l’ idea di parlare stava incominciando a diventare un disagio. Alla fine rinunciò anche a quello, ricorrendoci solo in poche occasioni.
    Quella non era più vita, era una squallida imitazione di quella dei suoi fratelli. Non le piaceva, ma che poteva farci? Solo, non riusciva ad afferrare perché. Perché il resto della sua famiglia era normale? April non aveva mai fatto niente di sbagliato, perché?
    Poi un giorno aveva sentito parlare di loro, di qualche pazzo che aveva cominciato a fare esperimenti su degli umani. Non sapeva esattamente che cosa facessero nella Cava dei dottori malvagi, ma se riuscivano a impiantare dei cazzutissimi poteri –che poi li impiantavano? April non si era mai intesa di quelle cose- forse potevano aiutarla. La ragazza si era persa giusto qualche pezzo, come il fatto che fosse più una tortura che altro, che si restasse privi di magia e che non tutti ne uscivano vivi. Ma erano solo dettagli per April Larson.
    Ed era proprio per quel patto con il Diavolo che aveva accettato ad andare a quella festa, un nuovo giocattolo per i Dottori. Non le piaceva, ma non aveva molte scelte. Per di più non con la scomparsa di Run, Morgan per colpa sua era costretta a fare gli straordinari. Damn you, Crane.
    «IDEMIDEMIDEM» la ragazza si avventò nella camera in pieno stile April: braccia [gif=http://gifsec.com/wp-content/uploads/GIF/2014/07/Spongebob-Patrick-running-with-pants-down-GIF.gif?gs=a]alzate[/gif] e oscillanti, corsa da donna sui trampoli e un’ espressione dominata dal panico. Idem stava lì, in mezzo alla stanza a fissarla con quei suoi due grandi occhioni; beh, almeno quella volta nessuno aveva sorpreso nessuno nudo. La prossima volta che incrociava Isaac doveva chiedergli se la sua fidanzata era davvero etero o le piaceva solo raggiungere gli sconosciuti sotto la doccia. Non aveva niente contro la ragazza ma, dannazione, non era un comportamento da persona normale. Non che April se ne intendesse, non era esattamente ordinaria. «Dici che è troppo?» se voleva l’ opinione della sorella allora era un caso disperato, Idem era troppo Idem per dirle di no, e la Larson ultimamente aveva un bisogno disperato di sentirsi dire di essere normale. Ma non era colpa sua, aveva sempre evitato le persone, non sapeva bene come comportarsi e che vestire in quel modo un cane non era una la norma. Ma che festa sarebbe stata senza il suo Grey? Una pessima festa, ecco. La sorella le lanciò uno di quei sorrisi che avrebbero accecato chiunque non fosse stato abituato, e April sapeva che non era raro, «ADORO» beh, se Idem approvava –non che avesse scelta- allora doveva aver visto di peggio. In ogni caso, cane o meno, le Withpotatoes si sarebbero distinte come quelle leggermente strane. Ma ehi, a tutti piacevano così.

    Con un lupo al guinzaglio e una bambola di Miley Cyrus in braccio, April Larson non passava inosservata. Si poteva percepire la confusione nell’ aria, quelle occhiate un po’ diffidenti, e anche un po’ di nerdaggine. Ma quello derivava dai ragazzi che stavano cercando Pokémon, oppure Sharyn era vicino. Idem invece sembrava essere più concentrata sulla freccia che l’ aveva smistata nella sua stessa casa, e anche in quella di Greyson, ovvio. Anche se non pensava che lo smistamento valesse anche per gli animali. Ma cos’era tutto quel razzismo? April scosse la testa, agganciando il proprio braccio con quello della sorella: quel maledetto cane la stava trascinando via e non avrebbe lasciato quella bestia a piede libero, Idem sembrava l’ unica àncora in quel momento. «Che facciamo se qualcuno vuole rapire Grey?» quella domanda uscì dalla sue labbra prima che potesse impedirlo, era colpa dell’ agitazione, non riusciva a stare zitta. La sorella sembrò non fare caso all’ eccentricità della domanda, scrollò le spalle e le disse che potevano sempre correre dietro ai rapitori «allora spero che le tue tette non ballino come le mie» lo sussurrò quasi come fosse un segreto, non voleva far sapere alla gente lì intorno che correre era un problema, ne avrebbero approfittato per rubarle il cane e poi il suo amore sarebbe finito in strada a combattere, per poi lasciarlo a morire quando non sarebbe stato più utile. No, non avrebbe mai più dovuto guardare film, le facevano male.
    Più tempo April passava ad osservare la folla, meno si sentiva a suo agio. Si irrigidì improvvisamente quando sentì che qualcosa non andava in quel semi costume, l’ idea di avere un capezzolo di fuori non era del tutto allettante. Eppure abbassando lo sguardo non trovò niente di strano, che stesse incominciando a diventare paranoica? Che cos’ era diventata la vita? Perché Greyson la stava trascinando verso un vassoio luccicante? «Em, spiegami come vivere, che devo fare? Avete qualche verso di richiamo? C’E’ LA TROCA NEI BICCHIERI?» beh, lei aveva l’ erba nel costume, ma internet diceva che serviva per farsi amici e per integrarsi. Internet non le stava mentendo, vero? E se fosse arrivata la polizia? Il Ministero? Dieci minuti in quel posto le avevano già quasi fatto venire una sincope, non ce la poteva fare. Poteva avere l’ aiuto da casa?
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    Era così fastidiosa, perché non smetteva? Ogni acuto causava una fitta alla gola, che bruciava, e bruciava, e bruciava. Non riusciva a fermarsi: continuava a colpire, e ancora, e ancora; le sue mani erano graffiate, sporche di una sostanza calda e vischiosa. Eppure, quel suono continuava a vibrare nell’aria, costringendola a portarsi le mani alle orecchie, ad urlare più forte. E quando cercò di urlare, capì cos’era quel suono. Capì da dove arrivava.
    Idem Withpotatoes era seduta al centro di una radura, circondata dai corpi di sette ragazzi morti. E c’era tanto sangue, e c’era tanto freddo, e semplicemente non era possibile.
    Idem Withpotatoes era seduta al centro di una radura, le gambe sottili strette al petto.
    E rideva, Idem. Rideva di quei morti, rideva delle loro espressioni, e rideva perché era stata lei che li aveva ridotti in quelle condizioni.
    «idem… cos’hai fatto?»

    mattino, 31.07



    «FESTA IN PISCINAAAAAAAAAAAA» canticchiò, intermezzando acuti alla Mika con bassi alla Qualcuno che fa bassi, entrando in scivolata in cucina con un movimento di bacino invidiatole da almeno tutto il south carolina. Ok, magari non proprio tutto il south carolina, ma di certo il centro per anziani dove viveva nonna Larsson. Idem Withpotatoes, come ogni giorno della sua vita, si era svegliata di buon umore. Quando qualcuno le chiedeva come facesse a non scendere mai dal letto dal lato sbagliato, Idem spiegava dolcemente e pazientemente di avere attaccato il letto alla parete, così era certa di aprire gli occhi ed essere felice. «non ho mai provato a scendere dall’altra parte: se so che dalla destra sono allegra, perché rischiare?» una logica davvero ineccepibile, per una mente geniale ed incompresa. C’erano notti in cui si svegliava di soprassalto, apparentemente senza motivo. Notti come quella, in cui le lenzuola rimanevano appiccicate al corpo sudato ed agitato della ex Tassorosso. Notti che non ricordava: di quegli incubi che le impedivano di dormire, Idem non aveva alcuna memoria. Il sogno peggiore che avesse mai fatto, a suo dire, era stato di aver dipinto un gatto con i colori della bandiera della Germania, e di averlo regalato a Nonna Seti.
    ... Okay, quello era successo davvero, ma era stato solo un fraintendimento. Idem non era brava con gli abbinamenti, ma se giallo, nero e rosso erano così belli da soli, perché non avrebbero dovuto esserlo insieme? E voi direte, perché dipingere un gatto?
    No, nessuno se lo sta chiedendo: è di Idem Withpotatoes che si stava parlando. Chiaramente si era trattato di tinture create con acqua, farina, carta igienica e gessetti colorati («idem, non sei un po’ grande per guardare magik attack?» «non c’è età per le forbici dalla punta arrotondata»): NO ALLA VIOLENZA SUGLI ANIMALI. Il gatto era sopravvissuto a stento, salvato da Isaac Cuore Gattaro (chissà se ha mollato anche quello a Jack), ma ce l’aveva fatta. Un eroe della guerra fredda #wcat.
    «99 foche saltavano sul trampolino, una cadde a terra e si ruppe il ginocchino – ma la bua passò con un bacino» fece saltare le uova in padella (aka: le lanciò in unicornilandia e si gettò di lato per riprenderle al volo; uno scatto felino che perfino nonna seti, quando vedeva qualcuno salutare alzando il braccio destro, si sognava), rovesciandole poi nei piatti di April, nonna, mamma, Nathan, Oliver e Isaac. A Darden lanciò solo il bacon, che prese al volo con la bocca come una selvaggia (?), perché a lei piaceva così. «98 cavallucci marini saltavano a stoccolma, uno cadde a terra e ruppe una bella palma – ma poi l’ha aggiustata con calma» si sedette al tavolo insieme alla sua famiglia, così emozionata da essere quasi incapace di rimanere ferma. Le feste la mandavano in defibrillazione, cosa devo dirvi? Nonna Seti, anziché mangiare la sua colazione, continuava a fissarla. «nathan…» «97 ostriche saltavano sullo scoglio, una cadde a terra e ruppe una bottiglia d’olio – ma rise felice perché scoprì il petrolio» «NATHAN…» «96 seppie saltavano con un tridente, una cadde a terra e si ruppe un dente – ma poi ricordò di non avere ossa, quindi acab ovviamente» «NATHAN ABELARD WITHPOTATOES» «95 stelle marine saltavano come bambine, ma nessuna cadde perché erano troppo carine» «HAI DI NUOVO LASCIATO LO ZUCCHERO DI CANNA IN CAMERA DI IDEM?» e ci provava, la nonna, ad imporsi alzando il tono di voce. Ma secondo voi un fatto del genere poteva forse scoraggiare Idem? C’era una festa in piscina, doveva spargere il mood! Idem, ma…tu stai parlando del mare. Sempre acqua era. «94 beluga saltavano sulla lattuga, uno cadde a terra e schiacciò una tartaruga – ma fu rapido a chieder scusa alla sua amiuga» «… credevo fosse pellet tritato» «NATHAN!» «93 dugonghi saltavano su un anemone, uno cadde a terra e si ruppe un femore – ma stava solo skè perché ihih non aveva gambe da tempo immemore» «lo sai che le fa un effetto strano» «nah, a me non sembra» «92 lamantini saltavano su un algerino, ma lui le schivò tutte ballando il tango argentino – e loro per fare la pace gli offrirono un Fragolino» «hai veramente spaccato il…» «91 ornitorinchi saltavano in una palude, uno cadde a terra e si ruppe i-» «…CAZZO» «…rude»
    «idem withpotatoes, sei una bella testa di minchia»

    Aw, nonna pensava fosse bella! Idem si premette le mani sulle guance, volgendo un enorme sorriso alla Capa della casa. «grazie nonna!»

    pomeriggio, 31.07


    «giuro sulla mia collezione di papaye che era qui da qualche parte» «idem, ma ethos non ha mangiato le tue papaye l’anno scorso?» «…si vede che eri un corvonero, isaac. Allora giuro sulle mie anatre» «quali anatre?» … Dannazione, si era dimenticata di nuovo di dire alla famiglia che aveva comprato, su internet e con l’aiuto fondamentale di Hope, un laghetto artificiale con tre anatre (erano comprese nel prezzo!). BEH, significava che sarebbe stata una sorpresa.
    La mora aveva già svuotato ogni cassetto ed era minuziosamente passata allo svuotare gli armadi, il quale contenuto faceva bella mostra sul pavimento. L’anno prima aveva comprato un copricapo bellissimo che trovava perfettamente adatto alla situazione. In primo luogo, era adorabile; in secondo luogo, l’uomo che lo indossava nelle foto, un certo Snoopy Canee, sembrava così felice di averlo, che doveva sicuramente avere un effetto positivo su chiunque le indossasse. A nulla valsero le proteste di Darden, la quale le fece notare che Snoop Dogg era fatto come un armadillo ed avrebbe sorriso allo stesso modo con la testa di sua madre come cappello («MA DARDEN!» «ehi, sei te che hai fatto entrare Gemes in questa casa»): Idem si era innamorata di quel buffo pesce, così aveva deciso di comprarlo sicura che l’occasione per indossarlo sarebbe arrivata.
    Era arrivata. Come l’inverno #wat. (Per inciso, insieme a quel cappello ne aveva anche preso uno per Nonna, guadagnandosi un chiaramente felice del regalo dito medio dritto in faccia).
    «perché è così importante? È solo un cappello. Metti quello con le palme che ha fatto Nath, hanno anche le luci» Una domanda legittima. Idem si fermò al centro della stanza, ruotando gli occhi celesti su Isaac. Da quando Lovecraft aveva partecipato alla missione dei ribelli, non era più stato lo stesso. Poteva fingere, continuare a fare battute in merito, riderne, ma Idem lo sapeva che qualcosa era cambiato. Era cresciuto, Isaac Lovecraft. Senza di lei. Era la sua famiglia, non avrebbe dovuto andare così. Come ogni difficoltà affrontata dai Withpotatoes, avrebbero dovuto essere insieme. Era arrivata tardi, era arrivata quando altri si erano già presi cura di lui. Qualcosa che Idem Withpotatoes non sarebbe mai riuscita a perdonarsi, e che la spingeva ad osservare ancora più attentamente il fratello. Era così fiera di lui. Senza un apparente motivo, attraversò la stanza per raggiungere la poltrona vicino alla finestra, dove il ragazzo era spiaggiato, per poterlo abbracciare. «fa sorridere» rispose, con la semplicità che l’aveva sempre caratterizzata. Idem era trasparente quanto le sue iridi; non era solamente un libro aperto, ma un libro che amava essere sfogliato. Togliendo la Resistenza, non c’era nulla ch’ella celasse al mondo esterno. La ritenevano eccentrica, strana, ma dov’era il problema? Non erano critiche, erano solo pareri personali – e Idem rispettava i pareri personali. Per ferirla non bisognava puntare a lei, ma ai legami ch’ella intratteneva. Soffriva quando Nonna Seti le diceva di non avvicinarsi a Damian, divenuto vice ministro; soffriva quando April si chiudeva in sé stessa, sorridendo con la pretesa fosse tutto okay; soffriva quando sentiva prendere in giro Nathan perché troppo estroverso, o Oliver per l’esatto opposto. Perché le persone dovevano essere così maligne? Perché dovevano sempre farsi, e fare, del male? Soffriva quando vedeva Shane cercare di riconoscere nei volti degli amici, sorrisi familiari. Soffriva ogni volta che Gemes ignorava le sue lettere. Soffriva per la sua famiglia, Idem: mai per sé stessa. Vederli sorridere era per lei più prezioso di qualunque cosa; la sua reputazione, se vogliamo metterla in questi termini, era sacrificabile. Aveva scelto i Ribelli perché voleva un mondo migliore. Non era in grado di combattere, incapace di far del male a chicchessia, e per questo era stata giudicata debole. Ma Idem, Idem Withpotatoes, combatteva ogni giorno: le sue battaglie erano fatte di sorrisi, canzoni stupide, e quella sincerità che troppo spesso veniva a mancare; cercava di portare, se non speranza, almeno il più flebile dei raggi di sole. Non era un soldato, Idem. Non credeva fosse la guerra, il modo più adatto di cambiare quel mondo. Aveva fede nelle persone.
    Voleva solo far sentire tutti un po’ meno peggio, capite? Magari non poteva migliorare una vita, ma poteva migliorare una giornata, un’ora. Se lo sarebbe fatto bastare.
    Ed ecco perché quel cappello a forma di pesce era così importante: arrivava dove tutto il resto non riusciva a giungere, collegava ogni scuola di pensiero, ogni razza, ogni stato di sangue; travalicava ogni età ed ogni sesso. Era buffo: fosse per lei o di lei, strappava comunque una risata.
    Era tutto ciò che voleva, capite? Se lo faceva bastare.
    «forse l’ho preso per sbaglio. Vado a guardare in camera» Isaac le rivolse un goffo sorriso imbarazzato. «ti voglio bene» «per un cappello?» La risata del Corvonero si spense lentamente, specchiandosi nell’espressione seria di Idem. «per tutto» Isaac indietreggiò senza mai distogliere lo sguardo, portando le mani a coppa attorno alla bocca. «RAGA SUL SERIO, BISOGNA TOGLIERE LO ZUCCHERO A IDEM»
    Lei lo sapeva, che quello era tutto amore.

    sera, finalmente, 31.07



    «MA CHI è IL GREYSON Più BELLO DEL MONDO?» bubolò per la centesima volta, stropicciando le guanciotte pelose del nuovo arrivato in famiglia. Il cane di April, che per quella serata era vestito da palla con una bambola («guaarda, sembra nonna quando vede i fast food di Pizza&Crauti!»), aveva già un fan. Idem, e a ragione, era convinta che Ethos, il suo petauro dello zucchero, si fosse preso una cotta per lui. Non appena l’aveva visto, si era arrampicato con le sue piccole e palmate zampine (??) sul manto dell’animale, giungendo come il migliore dei cowboy a stringergli con orgoglio il collare. A nulla era valso cercare di dissuaderlo con la promessa di coca cola, roba che di solito lo mandava in brodo di petauri: era rimasto lì, anche quando April aveva ricoperto Grey della palla. Per non farlo sentire solo, aveva messo una piccola parrucca bionda a Ethos, così che potesse fingere di essere il fratello –bello- della barbie (???????).
    Sì, se ve lo steste chiedendo, Idem ed April Withpotatoes – Larsson arrivarono al Wicked Park con Indiana Blonde Ethos, fratello di Barbie Miley, e Greyson, vestito da wrecking ball. Di loro, anche le sorelle non passavano inosservate: April perché era April, che neanche se ne rendeva conto ed era una meraviglia. Non solo era bellissima, ma era anche… April, semplicemente. Quello che la sorella aveva sempre visto come difetti di sé stessa, Idem li aveva ritenuti dei pregi. Non era stupida; sapeva che April, per quanto glielo avesse ripetuto, non ci avrebbe mai creduto, ma davvero. Non era affatto stupida. Era buona, gentile, e di quella goffaggine adorabile che caratterizzava ogni membro della famiglia, marchiati ormai a fuoco come quelli particolari. Il perché il mondo guardasse Idem, non era certo un segreto: indossava il cappello, che aveva finalmente trovato dentro al reggiseno sotto al letto, un costume a strisce azzurre e bianche con disegnati piccoli unicorni con il salvagente, ed una collana di fiori. AH, e aveva gli occhiali da sole: poco importava che fosse notte. Poco importava.
    «se ci rubano grey, sono sicura che a) indiana ethos si farebbe valere nel proteggere il suo destriero e b) se li seguiamo e gli chiediamo per favore di rendercelo, lo faranno» affermò con convinzione, tranquillizzando la sorella. Prese due adesivi MAGIKOSPINO («DI NUOVO INSIEME SIS» come se qualcuno avesse potuto avere dubbi in proposito) e ne attaccò una sopra il proprio costume, ed una sulla coscia di April (???????).
    C’erano così tante persone, che Idem si spisciava dall’emozione. Sembravano tutti così… felici! Per lei le feste erano come una droga; ecco, Idem Withpotatoes era il contrario dei dissennatori: si nutriva di gioia. Sì, con Al sarebbe morta di fame in due giorni, per questo si cibava anche di lamponi . TUTTE VITAMINE. (wat). Quando April cominciò a vagheggiare, Idem strinse maggiormente la presa sulla sorella; chi l’avrebbe mai detto che sarebbe stata lei la prima a parlare a vanvera? «VIENI CON ME TI PORTERÒ LONTANO PERCHÉ LA VITA È COSÌ BELLA E LO SAI E NANANANA GUGOL È COSÌ LONTANO E SARA NON LA SA PER STARE INSIEME A TE» Cantata, con sincero trasporto e passione, questa piccola dichiarazione d’amore, Idem cominciò a fare quello che le veniva meglio.
    No, non essere imbarazzante. Cioè, anche.
    Molestare le persone.
    E CE N’ERANO COSÌ TANTE.
    «ciao murphy ciao lei è mia sorella la conosci? Si chiama april, ciao april saluta» come il ninja ben addestrato che era, pur non sembrando, rotolò con la maestria dei bruchi break dancer sul pavimento, rialzandosi poi rapida e furiosa come Vin Diesel (?). Guardò Murphy con serietà, togliendosi con enfasi gli occhiali da sole. «sono pronta per l’apocalisse zombie. Meglio prevenire che curare, if you know» know cosa? Boh. La osservò criptica ed allusiva, prima di intravedere una familiare chioma rossiccia all’orizzonte.
    «OHMIODIO c’è shane!» Tenendo sempre ancorata a sé April, che aveva paura di perdere per strada («lo sapevo che dovevamo metterci le maglie con il numero di cellulare!» «idem, tu non hai un cellulare»), si palesò di fronte al cugino, nonché collega, nonché piccolo fruttolo alla fragola (questo non diteglielo, non voleva si sentisse minacciato in tutta la sua machosaggine (??)). «ciao shane!» esordì felice, stringendolo brevemente (e lo faceva per lui, fosse stato per lei ci sarebbe rimasta aggrappata tutta la sera #(t)huglife) a sè con il braccio libero. «vieni a bere qualcosa con noi?» domandò, leggermente senza fiato per la corsa, con un sorriso dolce sulle labbra. Si trovavano giusto vicino al tavolino con i bicchieri colorati forse, what is geografia, che Idem aveva adocchiato da quando erano entrate. Poco distante da loro, tre ragazze si stavano dirigendo verso lo stesso tavolo: coincidenze? io non credo. Carica come un drago, Idem afferrò prontamente un piattino di dolci (?) dal tavolo affianco; rotolò nuovamente per terra, ma questa volta tenendo alte le braccia onde evitare di far cadere il cibo, e agile come i Paccavengers quando volavano fragolini, o se preferite i salmoni in primavera #wat, si rialzò di fronte a loro. «volete un dolcetto? Non si sa mai quando potrebbe arrivare un apocalisse zombie, meglio essere preparati. Io lo sono» annuì con fare saputo (?), offrendo loro il piatto con un sorriso sinceramente preoccupato sulle labbra. Avrebbe voluto tranquillizzarle dicendo che non era droga, ma probabilmente sarebbe sembrato peggio.
    Sembrava sempre peggio.
    Che difficile la vita dei ConPatate.

    23 y.o.
    ex hufflepuff
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    ... Allora.
    Fa cose (stupide) interagisce con April #ganga Murphy, Shane, Elia, Thea e Eleanor
    Fa la penitenza del lucky:
    CITAZIONE
    • Idem Withpotatoes - Rotolati per terra davanti ad almeno due pg, e dì loro che sei pronto per l’apocalisse zombie
     
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