Drunk in love. Wait, Just drunk.

Cramiltonbitch - post quest 07 -

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +4    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Member
    Posts
    310
    Spolliciometro
    +542

    Status
    Offline
    Experiment
    Cramiltonbitch
    26 anni
    ACIDIC AND POISON GENERATION

    Shia aveva sempre pensato di aver ricevuto una seconda possibilità in quella sua miserabile vita e non veniva data spesso, si sentiva molto fortunato al riguardo ma si rendeva conto che molto spesso aveva provato a sfidare la sorte rischiando la vita diverse volte, aveva più segreti lui che il vaso di pandora, questo in confronto doveva vergognarsi per il poco che conteneva. Di sicuro non si sarebbe scatenato l'inferno come dicevano gli storici alla sua apertura, ma non si poteva dire lo stesso riguardo a Shia, quello che lui custodiva dentro di sicuro se fosse venuto a galla avrebbe creato diversi danni, oltre a scatenare l'ira degli Dei sarebbe finito morto per mano anche della sua migliore amica Charmion, la persona che mai e poi mai avrebbe mai voluto tradire, ma in fondo non era colpa sua se aveva dovuto rapire Frederich Hamilton, non sapeva neanche chi fosse, lui aveva imparato ad eseguire senza mai chiedere, in fondo i dottori gli avevano dato una nuova vita, non voleva opporsi a loro. Aveva anche tradito l'unico amico all'interno dei laboratori, il dottorino Ellijah. Se avesse saputo che c'era pure Rea lì dentro, di sicuro avrebbe prima salvato la ragazza e poi denunciato il biondo. Ah quel dottorino, lo aveva visto correre nel capanno, insieme alla cugina. Ma perché erano ancora tutti lì dentro? e lui non era riuscito in nessun modo ad entrare con loro, non poteva andare da lei, non era riuscito a soccorrere Run ed Al. Non gli piaceva come si stava mettendo la situazione e Shane dov'era? Aveva deciso di affrontare lui il nemico del ragazzo per farlo correre nel capanno, ma ancora non era tornato. Non gli piaceva come stava procedendo. Corse immediatamente verso il capanno ma il conto alla rovescia non sembrava fermarsi, non era preparato a quello che stava succedendo, non aveva messo in conto di perdere i Crane, di perdere i suoi cugini. Decisamente no. Si sentiva impotente, e non provava quella sensazione di sconfitta da diverso tempo, da quando si era ritrovato a casa da solo, senza sua sorella gemella che al contrario era una maga e quindi ad Hogwarts, con i genitori che non credevano neanche che potesse esistere uno come lui, lo lasciavano da solo in camera per ore, addirittura per giorni dimenticandosi di lui. Stolti, dovevano ringraziare Thalia e Kendall se erano ancora vivi. Kendall! Si voltò immediatamente a cercarla, sentiva di poter morire di crepa cuore in quell'istante se non fosse stata alla radura, quando l a vide si avvicinò anche a lei, non avrebbe mai e poi mai lasciato che scendesse lì, stava rischiando di perdere fin troppe persone. Non muoverti di qui le disse, magari l'avrebbe anche potuta drogare ma aveva promesso che mai avrebbe utilizzato il potere sulla sorellina, era stata lei a chiederglielo e lui da amorevole fratello maggiore aveva deciso di ascoltarla. Che idiozia, non avrebbe mantenuto la promessa se fosse servito. Poco lontano da loro due vide Shane, era ancora fuori, meglio. Si avvicinò anche a lui mentre sentiva il conto arrivare a uno Non andare disse prendendolo dal braccio, in attesa che la bomba esplodesse. Non sapeva bene cosa pensare, il cuore si era fermato, stava per perdere troppe persone importanti, non era pronto, non era andato lì per dire addio ma per una missione di recupero, e se nel caso di alcuni soggetti sapeva che sicuramente non sarebbero mai sopravvissuti a quell'azione suicida non aveva assolutamente messo in conto quello di perdere Rea, Run e anche Al. Già anche lui, perché anche se non poteva sembrare il barbuto adorava quello spaccagioie di Crane, che poi bastava poco per vederlo sorridere, infatti quando erano insieme riusciva sempre in un modo o nell'altro a farlo divertire ( si grazie al potere ma sono dettagli). Strinse il pugno della mano libera, non era pronto, dannazione. Ma Shane non voleva arrendersi, provò a liberarsi dalla presa del tatuato quando una forte esplosione invase la radura. Confusione. Luce accecante. Silenzio.
    Shia era volato a qualche metro da dove si trovava, le orecchie fischiavano e a stento riuscì a capire quello che stava succedendo, non aveva neanche ben presente se lui stesso ne fosse uscito illeso, aveva sentito il contatore arrivare velocemente a uno e poi più niente. Si alzò da terra, non vedeva, non capiva. Rea? Shane? Kendall?? Dov'erano? Perché non erano rimasti insieme a lui? Stava per morire, lo sentiva non avrebbe sopportato tutte quelle perdite nella propria vita. Anche se sembrava così superficiale, menefreghista aveva comunque qualcuno d'importante e cazzo li aveva persi tutti. Stava quasi per andare nel panico, non da lui ma chi non lo era in quel caso, era la disfatta quel posto. Tutto intorno era il caos, nel silenzio e faceva dannatamente paura.
    Ma qualcosa cambiò, improvvisamente, vide arrivare prima il preside Vasilov con tanto di esercito con alcuni corpo tra le braccia. MA che? Shia rimase interdetto per quello che stava succedendo. Era chiaro che qualcosa non andava bene, qualcuno stava giocando con tutti loro e quello era l'ennesima prova. Chi stava manovrando tutto? Poco dopo fece la sua apparizione la bellissima Lafayette, elegante come sempre e Lancaster. Non c'era che dire, era davvero un uomo particolare e sicuramente stravagante rispetto agli altri due, provava quasi simpatia per lui, anche se non c'era da fidarsi. Poi la vide, a terra priva di sensi, sentì il cuore fermarsi. No... Run era morta. Ma come poteva essere successo (si lo so è scoppiata una bomba, dovevo aspettarmelo), ma Rea era uscita viva, persino...persino...ok non c'era nessun altro che lo preoccupava, aveva appena perso la sua sgualdrina preferita.
    Che amarezza! Sentiva il cuore piangere, lui era a pezzi anche se vedere Kendall senza gravi danni fu un sollievo,ma dov'era Shane? Non appena lo vide con Hope in braccio sorrise anche se non era in vena, dato che aveva appena perso i Crane, perchè si lui amava anche Al, il suo mainagioia coccoloso. Aveva assistito a molte sue sbronze, molte delle quali provocate dallo stesso Shia e perderlo, anzi perderli era stato un duro colpo per il proprio cuoricino Hamilton ( ebbene si anche lui ha un cuore ).
    Chiamami aveva detto poco dopo il rossino, Shia lo guardò dolce ma entrambi sapevano che probabilmente sarebbe sparito per qualche tempo, doveva affrontare il lutto e lo avrebbe fatto da solo, magari andando per locali, avrebbe provato ad ubriacarsi, senza riuscirci, per ricordare i Cranes. Si voltò poi verso i cadaveri e solo dopo qualche minuto, nei quali si era perso nei ricordi, notò Jeremy sul corpo della sorella a piangere per la perdita. Come lo capiva, gli si strinse il cuore e quasi pianse, ma era Hamilton e mai avrebbe fatto una cosa del genere davanti agli altri.
    Afferrò Jeremy da dietro e lo tirò con tutta la forza che gli era rimasta a se é finita piccolo, vieni. Dobbiamo tornare a casa disse ma non era molto bravo a consolare, poteva al massimo drogarlo, ma probabilmente quel pianto e quel dolore gli serviva per affrontare meglio il lutto. Quanto avrebbe voluto essere per una volta normale e piangere come i comuni mortali, invece non ci riusciva, era triste, questo lo si poteva notare ma non sembrava che gli importasse molto delle perdite, invece queste avevano solcato un grande vuoto in lui, col tempo se ne sarebbe reso conto di sicuro.
    Poi Lancaster sembrò avere una strana soluzione al problema, potevano far tornare in vita i morti? Shia sembrò illuminarsi Sentito? Abbiamo una possibilità per far tornare la nostra piccola disse riferendosi a Run ovviamente, poi guardò Rea e Gemes, gli altri Hamilton che come lui sembravano ponderare se agire davvero oppure tornare alla villa con Amos, Raine e Jay così da poter tornare alle proprie abitudini come se nient fosse successo. Così fu Shia il primo a parlare Che ne dite, li aiutiamo? Magari babbo natale ci rimette nella lista dei buoni. Per alcuni potrebbe anche essere la prima volta disse guardando solo Gemes per quell'ultima frase, non ebbe una vera risposta da parte del ragazzo ma fu Rea a intervenire Siete sicuri di volerlo fare? cos'era tutta quella titubanza? Lui lo avrebbe fatto con o senza i due grandi capo. Così dopo una riunione Hamilton che salterò perchè non ho capito cosa succede nonostante abbia passato l'intera sera a parlarne, guardò il signor alfa Trattala bene, è la mia sgualdrina. La mia PREFERITA. disse quasi minacciandolo, perchè neanche quello piscolabile poteva capire quanto fosse profondo il loro legame, era un amore molto strano, diverso da quello che si poteva pensare ma l'Hamilton, come tale, aveva un modo molto particolare nel dimostrare il proprio bene alle persone, lo era un esempio Thalia. (chi è? Non ve lo dico.)
    Una volta scelti i sacrifici vennero chiusi all'interno di una bolla insieme a Lancaster, non sarebbe finita bene, già lo sapeva ma che altro poteva far? Quello era l'unico modo per provare a far tornare in vita una parte della sua famiglia.
    Una mano sul cuore e una nella mano fredda di Al, era così strano vederlo in quello stato, forse lo aveva visto peggio ma era pur sempre vivo dannazione. Era così sciupato, lo avevano torturato per bene in quei mesi, strano che fosse sopravvissuto fino all'esplosione della bomba. Ma che diceva, lui era forte, anche se spesso si rattristava per ciò che succedeva intorno a lui aveva sempre pensato che il Crane fosse un vero combattente, non si era mai dato per vinto da quando sua figlia era scomparsa, aveva combattuto e poi eccolo lì morto. Beh era stato bravo, ora poteva riposare. Amen. Scherzo ahah . Shia seguì le parole che Lancaster pronunciò, sentì il sangue affluire dal proprio corpo verso quelli di Al, chi lo avrebbe mai detto che avrebbe condiviso anche quello. Poi qualcosa cambiò, il corpo senza vita sembrò muoversi, era strano perché sembrava che andasse al ritmo di Shia oppure di Sin, ok non era chiaro, era una strana sensazione, qualcosa di mistico aveva fatto si che si legasse in maniera profonda ad Al. ALYOSUS. Ancora non poteva crederci che lo aveva fatto. Che fosse stato vero amore? Shia rise lievemente mentre il respiro e il battito di Al sembrava regolarizzarsi, anche se non sembrava voler aprire gli occhi Dai principessa svegliati disse delicato, mentre gli accarezzava i capelli. Ah si ormai era amore. Poi finalmente li vide di nuovo, gli occhi verdi, smarriti e confusi posarsi su di lui, si rese conto di esser rimasto in apnea fino a quel momento, quindi teneva davvero a quel biondo. Sei morto anche tu quindi, mi dispiace esortì, shia scoppiò a ridere Oh piccolo, se fossi morto me la starei godendo con almeno 40 bei maschioni disse più leggero, era strano ma vederlo vivo lo rendeva quasi felice. Già Hamilton aveva un cuore e funzionava. Poi posò lo sguardo sulla figlia di Al, Run era viva. Si alzò e l'abbracciò forte ancora prima che qualcuno potesse scagliarsi su di lei. Cazzo era il suo momento. La fece girare un secondo per poi poggiarla a terra, poi le scostò i capelli dalla fronte Tutto bene piccola? domanda idiota, cosa poteva sentirsi dire. “ si sono appena morta ma sto bene “ come poteva averglielo detto? Che fosse Al? Sicuramente,ecco l'effetto negativo del legame. Scosse la testa e ancora prima che questa gli rispondesse Non dirlo.... Vi porto via da qui. Ora dovevano andarsene, subito. Lasciò che Jeremy e Al abbracciassero quella sgualdrina di Run, la sua adorabile sgualdrina, non era stato così felice di poterla chiamare in quel modo e in quel momento. Abbracciò velocemente Kendy Fila a casa, per favore, non farmi preoccupare disse dolce, per poi tornare dalla famiglia Milkocrane. Bene andiamo. Subito . Abbracciò Al, facendogli l'occhiolino, sapeva che quel legame sarebbe stato divertente, avrebbero condiviso davvero dei bei momenti insieme e il fatto che la loro vita fosse praticamente una dipendente dall'altra rendeva il gioco molto divertente, magari quel vaso di pandora poteva anche essere scoperchiato leggermente. Tutti amavano i Crane non avrebbero mai ucciso Shia sapendo che sarebbe morto anche Al, persino Run li avrebbe difesi. Ah che bella la vita. Sei felice? Sei legato per sempre a me, Crane. Siamo una sola cosa ormai, anche se guardò Sin,gli dispiaceva per lui, avere a che fare con i Cramilton era difficile senza quel forte legame grazie per l'aiuto. Ah da oggi in poi la tua vita sarà uno spasso disse e guardò Al, ovviamente valeva per entrambi. Quella triade sarebbe stata davvero pazzesca. é u na faccenda seria, Shia come puoi pensarla così? intervenne Al serio, ah che guastafeste. Sapeva anche lui che non era così divertente, erano tutti legati a Lancaster, la vita di Shia era legata per sempre ad biondo e doveva stare attento a come muoversi se non voleva trascinarsi sotto terra i due compagni, ma che altro doveva fare? Preoccuparsi? Neah, I crane erano vivi e tutto il resto era accettabile. Mandò un bacio all'amico che probabilmente aveva sentito anche quello, per fortuna era solo questione di ore e non avrebbe più rischiato di mostrare i più intimi segreti, come quella volta con Run .
    Non osare.... lo ammonì Marcus (SI è sempre lui, Al., Shia rise e dopo che Jeremy e la sorella si unirono a loro si portarono tramite il portale di Shia verso l'infinito e oltre.

    Spiaggia, in pieno inverno...era davvero strano trovarsi lì, dopo quello che era successo come potevano aver scelto quella meta? Era da pazzi, sicuramente. Ma Run glielo aveva chiesto con così tanta dolcezza che non riuscì a negarglielo. Dannato Al, doveva vendicarsi.
    Ti prego Shia, ti sento Ah vero, doveva aspettare, almeno che finisse quell'odiosa contro indicazione sul legame, ma sapevano entrambi che dopo Shia avrebbe iniziato a torturarlo, in fondo gli doveva la vita, letteralmente e doveva farglielo pesare.
    Davvero perché lo hai fatto?
    il Karma...Aluccio mio il Karma disse col sorriso da sornione mentre si sistemava insieme a Run e Jer sulla spiaggia.
    Shia Ryan Hamilton
    «You became the oxymoron I did not dare to solve »
    You Sit And Stay I Don'T Obey // by ms. atelophobia




    abbiate pietà, ho tagliato e forse non ha senso. Ma vi amo.


    Edited by m e p h o b i a - 5/1/2017, 03:01
     
    .
  2.     +3    
     
    .
    Avatar

    Mirror mirror on the wall
    Who's the baddest of them all?

    Group
    Special Born
    Posts
    790
    Spolliciometro
    +1,304

    Status
    Offline
    find me where the wild things are
    you just need to be alone for a while untile you feel yourself again
    Com’era che faceva? Era qualcosa di semplice, qualcosa di scontato. Un suono familiare, un ticchettio che rimbalzava fra le pareti della memoria come una canzone udita dalla stanza accanto.
    Era qualcosa che le piaceva fare, che la strappava da ogni concezione di spazio e tempo lasciandola solamente un vibrante fascio di muscoli, di cuore a battere contro le costole, di respiro a gonfiarle i polmoni.
    Cos’era?
    Era cambiato spesso, quello lo sapeva. Rimembrava, vaga ed impalpabile, le proprie dita a sfiorarne una superficie sempre in movimento, una forma differente da bocca a bocca – da tono a tono, da vita a vita. Lo sentiva pungere fra le labbra, sotto i polpastrelli – le aveva, delle labbra? Ed i polpastrelli?- eppure non riusciva ad afferrarlo abbastanza da carpirne il senso.
    Com’era, che aveva sempre fatto?
    Leggero, la lingua a vibrare sul palato. E non importava l’intenzione del parlante, esso pareva avere vita propria in quella sua graffiante e secca sillaba: non sapeva come, ma ne era certa. Le braccia a misurare l’andamento, i piedi a bruciare chilometri sotto suole di scarpe che di strada ne avrebbero ancora vista altrettanta.
    Pam?
    Cam?
    No.

    «RUN» la voce fa sussultare la bambina, la mano ancora tesa nell’aria. Si volta con le labbra dischiuse, gli occhi troppo verdi e sottili a far trapelare colpevolezza. Una donna, le braccia allungate verso di lei, la tira a sé strappandola da quella fragile bolla nella quale ella s’era rinchiusa.
    Un momento senza tempo, una Run senza tempo.
    Quanti anni avrà avuto? Quattro, cinque forse. Non guarda sua madre, lasciando invece vagare lo sguardo su ciò che aveva lasciato in sospeso, le dita a stringere l’aria. Un gruppo di bambini, cristallizzato nell’esatto momento nel quale Heidrun era venuta alla luce, sta ancora attendendo che la palla torni a toccare terra, i sorrisi sporchi di sole e fango sui volti fanciulleschi. «non toccarli» e allora la bambina stringe il pugno, china il capo verso terra. «volevo solo…»Ha una voce acuta, cristallina; un eco infinito in un mondo solo suo. «..sapere cosa si prova» e se quella realtà non fosse stata immobile, sarebbe stato impossibile udire il sussurro di Run, soffocato fra corti e spettinati capelli biondo cenere. Johanna Harvelle, le lacrime a brillare negli occhi scuri, non risponde. Così la bambina, senza sapere cosa farsene di quelle mani a bruciare di assenza, intreccia le dita fra loro con un’occhiata gonfia di rammarico verso gli altri ragazzini. «solo una volta» alza di nuovo lo sguardo verso Jo, gli occhi seri e le labbra strette fra loro. «oh, run» non si oppone quando sua madre la abbraccia, ma non ricambia la stretta. Rimane lì, un corpo sottile quanto filigrana su uno sfondo immenso e minuscolo, l’espressione triste e macchiata di polvere di un’innocenza che ancora non può comprendere una guerra. «non devi toccarli, lo sai» lo sapeva? la posa delle spalle indica di sì, ma il labbro stretto fra i denti punge di una domanda. «perché?» aveva visto tanti libri, aveva visto tanti bambini. Loro giocavano, si muovevano, correvano. Si tenevano per mano e trotterellavano in circolo cantando filastrocche che per Run non avevano mai avuto musica. Perché quei bambini non lo facevano?
    Perché non poteva toccarli?
    La donna le prende il volto fra le mani, due guance morbide e rotonde appena colorate di un tenue rosa pallido. Si abbassa per poterla guardare negli occhi, cercando il suo sguardo con l’asfissiante pesantezza di una risposta già data, di una vita già persa. Di una misura di sicurezza che non era giusta, ma non per questo meno necessaria.
    E Jo guardò Run, rispondendo in un bisbiglio solo per lei. Uno di quei sussurri che entravano sottopelle, e lì rimanevano finché non rendevano acido l’intero organismo, corrodendo la parete degli organi e dei tessuti.
    Una di quelle verità che ti bruciavano finché non rimaneva niente, che facevano di te poco più di un’ombra con un nome.
    Quelle che ti spezzavano a lungo termine. Quelle che cercavano di legare due terre, e non facevano che tagliare i fili del ponte.
    Quelle che. «perché loro non sono come te»

    Run, li senti?
    No.
    Bugiarda.
    Fottiti.
    Apri gli occhi.
    Perché?
    Perché te lo stanno chiedendo.
    Che risposta è?
    L’unica per cui vale la pena.
    Fare cosa?
    Non morire.

    «lo sapevo che ti avrei trovata qua. Murphy mi deve una birra, ha puntato tutto sulle cucine» Run neanche si gira, una canna stretta fra i denti ed i piedi a penzolare nel vuoto. I sottili occhi verdi scivolano sul panorama offerto da una Londra notturna, così dissimile da quella calpestata e respirata sotto la luce del sole da sembrare una città completamente diversa.
    Quella, è la sua Londra. Scuote le spalle, soffiando il fumo in lente e dense volute sopra di sé. «solo una scusa per andare a mangiare, sa benissimo dove sono» un sorriso sghembo, le sopracciglia inarcate. «a meno che…» l’occhiata omicida che le lancia Shot vale una risata vacua a gorgogliare nel petto della Crane, il profumo dolce dell’erba a impregnare pelle dorata e abiti sdruciti. «elijah» concludono insieme, seppur con un intonazione differente. Ma non ne ride abbastanza, Run; non ne sorride abbastanza, con quell’ombra scura a pesare nelle iridi bosco, le labbra intorpidite a furia di premersi fra loro trattenendo l’acido. Mastica l’aria densa di droga e notte, appropriandosi del suo angolo di realtà in un mondo che non le appartiene. «potremmo andarcene» così, dal nulla.
    «ora?» gonfia i polmoni finchè non li sente bruciare, gli occhi rossi ed i piedi a danzare nel vuoto. «perché no?» si stringe nelle spalle, le labbra a pizzicare per il contatto con la cartina ormai bollente. «solo noi. potremmo andare al mare, aprire un negozio di hukulele. Sono disposta a prostituirmi per un periodo se serv-AHIA. Okay, puoi farlo tu se vuoi. Non voglio rubarti i clienti» ed ancora sorride, ed ancora arcua le sopracciglia con divertita malizia.
    Era un’arte quella della serietà che si increspava su sé stessa senza farsi prendere sul serio.
    «io e te?» Run sospira, gli occhi alzati ad un cielo invisibile. «come se tu potessi prendere in considerazione l’idea di spostare il tuo culo, senza murphy» stringe la canna fra i denti, alzandosi in piedi sul cornicione. «e poi le mancherei troppo» e poi mi mancherebbe più di quanto io potrei mancare a lei. e si fa d’improvviso seria, una gioventù spenta e bruciata a riflettersi negli occhi chiari. «sono seria, shot. andiamocene» «c’è la sua famiglia» non fa una piega, l’adolescente Gamma. Rimane semplicemente immobile, la brace a illuminare flebilmente il mento e le braccia abbandonate lungo i fianchi. «e anche la mia» sale sul cornicione e le strappa la canna dalle dita lanciandole uno sguardo di esasperata disapprovazione. «ma sei fatta come un cocco, quindi se ti rende più felice e ti fa scendere da lì -visto che ti stanno aspettando tutti -, andiamo anche a Timbuctu»
    Così, semplicemente. Un tetto anonimo ed incolore, due ragazzini cresciuti troppo in fretta, una canna a sfrigolare nell’aria notturna ed un sorriso sghembo di Run.
    Gliel’hanno insegnato loro, a mentire così bene.
    Gliel’hanno insegnato loro.
    «l'erba è come la frutta: ti mantiene in forma, e ti libera la mente» cita Bob Marley, mentre estrae dalla tasca interna della giacca un secondo spinello, le mani alla fronte in cenno di saluto. «arrivo»
    E quando la porta si chiude dietro Shot, i suoi passi sulle scale a rimbalzare come lancette di un orologio, l’uomo esce dall’ombra. Un camice bianco ed impeccabile, sottili occhiali dalla montatura dorata. Le sorride, ed un tremolio visibile scuote le spalle della ragazza. «cosa dicevi, al tuo amico?» «decantavo le doti della droga»
    Gliel’hanno insegnato loro, quel sorriso.
    Gliel’hanno insegnato loro.
    Lui scuote il capo, una risata cinica a scuotere una notte priva di stelle. «non lo capisci?» qualcosa brilla nei suoi occhi chiari, ma Gamma cerca di non vederlo. Istintivamente si tocca il braccio, dove il tatuaggio brucia sulla pelle tumefatta.
    Il suo regalo di compleanno.
    «cosa?»
    Si accende la canna, una fiamma a illuminarne il profilo ambrato – le labbra carnose, il naso dritto, il mento morbido. Deglutisce rapida, nascondendo un brivido dietro un altro avventato passo sul cornicione, l’equilibrio a tentennare quanto la sua lucidità.
    Ed il signor Harvelle guardò Run, rispondendo in un bisbiglio solo per lei. Uno di quei sussurri che entravano sottopelle, e lì rimanevano finché non rendevano acido l’intero organismo, corrodendo la parete degli organi e dei tessuti.
    Una di quelle verità che ti bruciavano finché non rimaneva niente, che facevano di te poco più di un’ombra con un nome.
    Quelle che ti spezzavano a lungo termine. Quelle che neanche ci provavano a legare due terre, tagliando i fili del ponte per incrementare il vuoto a perdersi.
    Quelle che. «tu non sei come loro»
    Separata da tutto, da tutti. Così simile, ma senza esserlo mai – con pellicola sotto i polpastrelli ad impedirle di sentire, di toccare, di respirare la loro stessa aria.
    Ed era sbagliata lei, ed erano sbagliati loro, ed era sbagliato tutto.
    Per tutta la vita, di tutte le vite.
    Heidrun, Gamma. HarvelleMilkobitchCrane.
    Run.
    Non apparteneva a nessuno, neanche al proprio nome; non aveva città, o stella cui appellarsi.
    Neanche esisteva, Heidrun Ryder Crane.
    «lo so» perché non può combattere una guerra persa ancor prima di venire alla luce.
    Gliel’hanno insegnato loro, quel vuoto.
    Gliel’hanno insegnato loro.
    Ma è tutto ciò che ha.

    Lo capisci?
    No.
    Non ha senso.
    Perchè?
    Perché non sono come loro.
    Che mena belino che sei. Perché ti importa tanto?
    Non dovrebbe?
    Apri i fottuti occhi, Run.
    No.
    Glielo devi.
    Non devo un cazzo a nessuno.
    L’hai promesso.
    Speravo che almeno la morte sciogliesse da ogni giuramento.
    Lo sai che stai parlando da sola, vero?
    Sì. Mi facevo più simpatica.
    Me l’hai promesso, Run.
    Cosa?
    Una seconda opportunità.

    Ad essere sinceri, Heidrun non capì un cazzo – quale novità. Sentì un abisso scuro e fradicio spingerla a terra, e non aveva abbastanza forza, né voglia, di resistere a quel caldo languore. Percepì qualcosa, ma lo rimosse subito dalla propria coscienza, relegandolo testardamente ad una zona grigia ed inaccessibile.
    Non capì un cazzo, Run, ma di una cosa era certa: qualcosa non stava andando fottutamente nel modo giusto.
    Ad esempio, non riusciva a ricordare.
    Chi
    Cosa
    Come
    Quando
    Cosa doveva fare? Dov’era? Aveva di nuovo esagerato con il whisky da spaco? Aveva fumato troppa erba? T-Jade l’aveva drogata per rubarle il posto nel letto?
    Chi è T-jade.
    Ma che cazzo.

    Se la smettessi di agitarti tanto, capiresti.
    Non puoi dirmelo e basta, Mona Lisa di sto cazzo?
    So quello che sai tu, idiota.
    Non può essere vero.
    E invece.
    Non voglio aprire gli occhi.
    Se intendi fisicamente, non devi farlo..
    Ma prima…
    Era una metafora, Crane. Santiddio, cosa non va in te?
    La stessa cosa che non va in te.
    Sei morta.
    E fin lì c’ero anche io, grazie tante.

    Aveva provato freddo in vita sua, ma mai un gelo del genere. Lo sentiva premere dall’interno, espandersi come brina su un prato al calar del sole.
    Vuoto.
    Pensieri sconnessi che si intrecciavano fra loro, incapaci di stringersi fra loro – incapaci di scaldarla e riempirla, mentre si perdeva. Aveva un cuore? Aveva dei polmoni con i quali respirare, una bocca con la quale imprecare ad un dio che non s’era mai sprecato a guardarla?
    Non lo sapeva.
    Si sentiva strana, le mancava qualcosa.

    Lasciali entrare, Run.
    Chi?
    Non fare l’idiota.

    In quell’istante privo di spazio e tempo, Run comprese cosa significasse essere lo stoppino. Bruciava di un calore che non le apparteneva, di una vita che non le apparteneva. Perché?
    Non voleva.
    L’unica cosa che aveva sempre desiderato, e mai aveva avuto, era la libertà. Di scegliere, di essere, di vivere.
    Di morire.
    Libertà di appartenersi, perché non era mai stata sua.
    Non potevano portarle via anche quello.
    Perché?

    Lasciali entrare, Run.

    Ed aveva un battito, e l’aveva avuto sin dall’inizio – ma c’era qualcosa di diverso, come se fosse sintonizzato su una stazione radio ch’ella sentiva familiare, ma non conosceva. C’era qualcosa di più, e c’era qualcosa di meno.
    Perché lo sapeva, Heidrun Ryder Crane, che non era suo.

    Lasciali entrare, Run.

    E quel calore? Non potè che paragonarlo al plaid sdrucito dentro al quale si arrotolava d’inverno, raggomitolata su una poltrona: confortevole, ma non la sua pelle. C’era qualcosa di più, e c’era qualcosa di meno.
    Perché lo sapeva, Heidrun Ryder Crane, che non era suo.

    Non posso.

    Lentamente, anche le altre percezioni si fecero più nitide: la pioggia sulla pelle, l’erba a solleticarle le braccia nude, il gelo dell’inverno a penetrare nelle ossa, la gola a bruciare per quel primo respiro soffocato in un flebile lamento. Le dita incastrate fra dita altrui, il sangue a scivolare sul ventre sporcando il suolo di cremisi. Quel singhiozzo al quale non avrebbe mai dato forma, mentre tutto cominciava ad avere un senso.
    Mentre lei cominciava ad avere un senso.
    Ed il peso di tutti gli errori a troncarle l’ansito nella trachea, ed il battito ad accelerare seguendo un percorso parallelo - trascinata, come un burattino cui avessero tirato i fili.

    Perché?

    Non ci aveva voluto credere, la mimetica. Aveva fatto di tutto per ignorare le loro voci, per non vedere il salvagente arancio brillante lanciato in un oceano nero ed impetuoso. Perché era più semplice, smettere. Codarda, d’altronde, lo era sempre stata. Ma quanto avrebbe potuto resistere? Voi, ditemi, quanto avreste potuto resistere se aveste udito il tocco e le parole di Eugene Jackson e Gemes Hamilton chiedervi di tornare? Run, come prevedibile, poco. Moriva, ironico!, dalla voglia di aprire gli occhi e guardarli. Solo quello.
    Solo quello e una manganellata nei denti, al suono di ma che cazzo avete fatto? sibilato fra i denti.
    Com’era possibile.
    Lasciali entrare, quale ironia. Come se avesse mai avuto scelta, o voce in capitolo. Come se fosse bastato morire per chiudere una porta sfondata da mesi, dove nessuno di loro, per la sua infinita gioia, aveva mai dovuto bussare. Non sembrava, né mai Run l’aveva lasciato intendere, ma era una cosa che odiava – che odiava in loro, e che odiava in sé stessa. Odiava svegliarsi la mattina cercando il profumo delle brioche portate, perché avanzavano, di Jade; odiava allungare il braccio sotto le lenzuola per cercare il corpo di Euge al quale stringersi, ignorando la sveglia che la pungolava per farla andare al lavoro. Odiava arrivare al Ministero e passare accidentalmente al livello dei Pavor per vedere Lienne e Al, odiava arrivare all’ultimo piano e cercare fra le scrivanie gli occhi chiari di Gemes. Odiava girare per negozi e pensare, per ogni oggetto esposto, che ad Amos sarebbe piaciuto. Odiava ascoltare una canzone e pensare che Elysian l’avrebbe adorata. Odiava come ogni pizza le ricordasse le notti passate con Murphy nel loro fortino, odiava come l’olio per lubrificare le pistole le riportasse alla mente gli occhi scuri di Shot, odiava come ogni nuca bionda vicino ad una ragazza dai corti capelli scuri la facesse sorridere pensando a Sin, odiava come ogni volta che entrava in un locale classificava i clienti in base a chi sarebbe riuscita a soffiare a Shia, se Shia fosse stato presente.
    Odiava il modo in cui la guardavano Ian e Jeremy, come se ci fosse qualcosa che meritava di essere guardato.
    Perchè odiava tutto ciò che amava, Run – e amava tutto ciò che la uccideva.

    «l’ho già fatto» rispose infine, un sospiro a stringerle il petto. Non credette neanche lei al suono della propria voce, distorto da una gola secca ed un palato asciutto. Eppure aveva sentito la bocca muoversi, gli occhi ancora testardamente chiusi mentre un lento sorriso sornione le curvava le labbra.
    Gesù Cristo Santissimo, era davvero viva. Tossì per schiarirsi la gola, il sapore ferroso del sangue sulla lingua a farle storcere il naso. Quanto ne aveva perso? Si sentiva la testa leggera, affollata da idee che tentavano inutilmente di premersi l’un l’altra, pensieri privi di alcuna razionalità. Un senso di nausea le otturava lo stomaco, spingendola a deglutire l’amara bile con la guancia poggiata sull’erba, le sopracciglia corrugate nello sforzo di trovare un qualcosa, nel caos, che avesse un ordine. «aw, devo esservi mancata davvero tanto» commentò in automatico, seguendo l’istintivo meccanismo Run di difesa dalle situazioni che non comprendeva, o che comprendeva fin troppo bene. Aprì un occhio solo, sbriciando dalle palpebre abbassate le condizioni in cui versava.
    Aprì anche l’altro, Run, mentre faceva scivolare lo sguardo dalle proprie mani, ancora strette a quelle di Euge e Gemes, alle loro posate su di sé. In primo luogo: cos’era successo alla sua maglia. Un sibilo di sincera disapprovazione a sgusciare fra i denti, la testa lievemente alzata a constatare quanto di merda stesse. Ruotò lo sguardo dall’uno all’altro, senza neanche provare a celare la propria confusione – legittima, d’altronde. Sembrava l’inizio di un pessimo porno amatoriale e splatter, o un video musicale dei Maroon 5. «datemi almeno un paio d’ore di ripresa» concluse in un bisbiglio allusivo alzando entrambe le sopracciglia con l’accenno di un sorriso storto, continuando testardamente a guardare ovunque tranne che gli occhi dei due soggetti al proprio fianco. C’era qualcosa che la disturbava, ma non riusciva a capire di cosa si trattasse. Era viva, non avrebbe dovuto essere felice? Lo era, ma c’era… era difficile da spiegare. Si sentiva agitata per motivi che le sfuggivano, arrabbiata per cause sconosciute. Violata, nuda in modi in cui nessun uomo avrebbe mai dovuto esserlo, priva di giustificazioni a mantenere intatta la propria reputazione. Sollevata, ma al contempo incrinata da una sottile crepa che le impediva di comprendere la realtà, ovattandola dietro lo sguardo altrui. Esaltata, ed al contempo infinitamente… sbagliata. Voleva fuggire, ma anche abbracciare ognuna delle persone che la circondavano, ma anche fingere di dormire ancora un altro po’. Ma soprattutto, avrebbe ucciso per un happy meal ed una bottiglia di tequila.
    Ed era certa, da qualche parte in fondo a ciò che di lei era rimasto, che non si trattava di un iperbole: avrebbe realmente tolto la vita a qualcuno per un hamburger ed un superalcolico. Mi piacerebbe dirvi che si trattava dell’influenza di #eumes, ma chi vogliamo prendere in giro?
    Heidrun Ryder Crane non era mai stata la persona più equilibrata sulla faccia della terra.
    Si inumidì le labbra, ogni respiro a perforarle i polmoni supplicandola di farlo smettere, un fascio di nervi dolorante ad ogni battito; pareva quasi che il cuore si rifiutasse di credere di dover funzionare, ormai abituato all’idea di rimanere immobile. Stentava ad ogni galoppo, inciampando su sé stesso per poi riprendere a battere ad un ritmo aspro e disarmonico, tagliandole il fiato.
    AH! Forse erano i fori di proiettile che la stavano ancora dissanguando! Che bello risvegliarsi dalla morte solo per scoprire di star ancora morendo.
    Quasi filosofico.
    Eppure non era solo quello, Run lo sapeva. Non era il sangue ad inumidirle il ventre, il sentirsi sempre più debole e distratta, eterea ed assente. Si sentiva… confusa, e s’intendeva più del solito. Non capiva neanche perché non riuscisse ad essere semplicemente lieta di essere viva, anziché ammorbarsi fra un singulto e l’altro che le lacerava i polmoni. Soffocò ogni domanda, sotterrò ogni dubbio; non voleva essere lì, non voleva pensare, non voleva punto: non era in grado, semplicemente, di affrontare le conseguenze delle sue azioni.
    Figurarsi quelle degli altri.
    Che cazzo avete fatto.
    Che cazzo ho fatto?
    Pragmatica, si portò una mano agli occhi ed una al ventre, premendo sulle ferite inferte dal fucile. La pelle era scivolosa ed appiccicosa, ed il solo sfiorare con i polpastrelli la carne nuda la costrinse a stringere i denti in un sibilo, vertigini così forti da minacciare di farle perdere i sensi. Okay Crane, cosa devi fare. Guarirmi? Non so, vedi te. Vuoi morire di nuovo?
    No.
    Eppure. Perché era contro natura, quel suo respiro ad un cielo privo di stelle. Perché era morta, e quella vita non le apparteneva.
    Come avete fatto? Gli altri come stanno? Perché io? Perché voi?
    Ma soprattutto:
    «qualcuno ha una sigaretta?» biascicò cercando di attingere a ciò che possedeva sin dalla nascita, la capacità di prendere in prestito i poteri altrui. Ne sfiorò diversi con dita tremanti, sentendosi attratta da ognuno di loro come un drogato che dipendesse dall’eroina, soffermandosi a fatica sull’unico che le serviva. Lo strinse a sé ignorando l’ambiente circostante – il freddo secco di novembre, la pioggia a bagnarle i capelli, l’odore di sangue e fango del prato, quello pungente della pelle e del sudore – focalizzandosi solamente sul calore a premerle sul palmo, un invisibile fluido vischioso ed impalpabile che andava a lenire i tagli, intrecciando fra loro i tessuti e spingendo le cellule a velocizzare il processo di guarigione. Poteva essere sollievo quello a curvarle le labbra, quando le dita infine si posarono sulla pelle levigata ed intatta del ventre, ma poteva anche essere uno sbuffo d’ironia dipinto su una bocca sempre sghemba. Deglutì ancora, inspirando a pieni polmoni senza più temere di spezzarsi, i polmoni a traboccare d’aria tanto da soffocarla.
    Impossibile.
    «più dolce sarebbe la morte se il mio ultimo sguardo avesse come orizzonte il tuo volto. E se così fosse, mille molte vorrei nascere per mille volte ancor morire» citò sibillina dopo aver tossito, socchiudendo infine i sornioni occhi verdi per puntarli sopra di sé. La voce le giunse ovattata, ma dopo due mesi passati ad udirla in un sottile bisbiglio, Run non ebbe problemi ad udirla: «amleto» e se lei era viva, e se Helianta era viva, significava che lo erano tutti. Dovevano, no? Fu in quel momento, con il carezzevole tono saccente della ragazza dei libri ancora nelle orecchie, che Heidrun si sentì completa. Sollevata, allegra, così esaltata da non riuscire a percepire la morsa di novembre farsi strada nelle ossa.
    Una seconda opportunità. Non sapeva perché né come, e non era certa di volerlo sapere; le importava solamente di quel battito, di quel respiro. Solo allora si lasciò andare ad una flebile e poco convinta risata incredula, cercando nella tenue luce della notte gli occhi chiari di Gemes e Euge.

    Hi run
    Hi morgan!
    Do you wanna go for a ride?
    Sure, Morgan!
    Jump in...


    «magari non mille, facciamo una decina» con un grugnito si alzò rapida a sedere, avvolgendo le braccia attorno alle spalle del Pavor.

    I’m a Crane girl, in a cruel world. life in alcohol, it’s fantastic


    «ma quanto» cominciò, sentendosi ad ogni respiro un po’ più Run, posando le labbra sulla fronte di Euge.

    you can brush my hair


    «siete» e proseguì a lasciare caldi baci umidi di pioggia sulla tempia, su ogni centimetro irsuto delle guance. «carini» così familiare, così ciò che più di vicino aveva avuto a casa da tanto, tantissimo tempo. Se chiudeva gli occhi e lasciava affondare il viso nel suo collo, poteva quasi fingere di essere tornata ad una giornata qualsiasi a New Hovel, con Jade che li minacciava di morte se non si fossero decisi a fare qualcosa in casa, e Run che attuava la tattica del fingersi morta per evitare le urla della bionda.
    Non funzionava mai, ma era solo una scusa come un’altra per proporle la respirazione bocca a bocca per rianimarla. Cosa non si faceva per paccare una Beech. Eugene Jackson era entrato nella sua vita così per gioco, che talvolta Run si stupiva fosse ancora lì. Era una pecie di pesce d’aprile durato così a lungo da aver fatto dimenticare cosa si provasse prima che lo scherzo avesse inizio - scordato dietro ad ogni sorriso complice, ogni shottino da spaco, ogni OKAY JADE ARRIVIAMO. Erano così simili lei e il Jackson, che stentava a credere potessero coesistere in uno stesso ecosistema senza causare il collasso di questo su sé stesso. Se da sola la Crane era una Tragedia, insieme erano una Catastrophe quanto sto ridendo da sola lo so solo io. Non era ancora certa del come Eugene fosse finito inginocchiato sul fango al proprio fianco, ma a dire il vero non lo trovava troppo assurdo: a parti invertite, se ci fosse stata la possibilità di riportarlo indietro, Run avrebbe fatto lo stesso.
    Vi direi che si trattava di amore, ma sappiamo tutti che non era solo per quello: Jade, in caso contrario, li avrebbe uccisi.
    E li avrebbe fatti soffrire.

    undress me everywhere


    Ruotò poi il corrucciato sguardo verde bosco su Gemes. Fra tutti i volti intravisti dagli schermi, e quelli che sapeva con certezza essere presenti nel capanno, mai avrebbe immaginato che il suo sarebbe stato il primo a fare capolino davanti ai suoi occhi. Lo squadrò qualche istante con diffidenza, le labbra strette fra loro. Non aveva certo la stessa confidenza che possedeva con il Pavor, senza contare che era ancora confusa dalla sua presenza, e che il suo player spaccava le gioie dicendo che Jenny from the Block diceva JENNY FROM THE BLOCK e non Jennifer Lopèz. Imperdonabile.
    Immaginava che si fosse sentito in dovere, considerando che si era presa due pallottole per lui e tante care cose, di fare qualunque cosa avesse fatto per farla tornare indietro, ma preferì immaginare che avesse infine ammesso l’inevitabile a sé stesso ed al popolo: Heidrun Crane era un bene inestimabile e prezioso nella vita di chiunque, MA SOPRATTUTTO per la sua, così triste e priva di gioie. E ovviamente vi stavo trollando con la questione della confidenza, figurarsi se al mondo poteva esistere un deterrente che le impedisse di fare ciò che andava fatto. «non piangerò quando dovremmo lasciarti indietro» citò con aria grave imitando la sua voce, sbattendo lentamente le ciglia. Scosse il capo schioccando la lingua sul palato. «sei un pessimo bugiardo, gemes hamilton» si lasciò sfuggire un sorriso morbido e divertito, prima di buttarglisi addosso di peso, le braccia allacciate dietro la nuca ad attutire la caduta. «MA QUANTO» posò le labbra sulla sua fronte. «MI SIETE» tracciò un percorso di piccoli e delicati baci lungo lo zigomo. «MANCATI» concluse sulla punta del naso, rialzandosi a sedere con un sorriso smagliante. Salutò con un cenno della mano un confuso (strano!) padre ancora disteso al suolo, per poi alzare le dita in segno della vittoria. Quando si mise ufficialmente in piedi, dovette combattere un liquido senso di nausea e vertigini alla bocca dello stomaco. Chi l’avrebbe mai detto che perdere ingenti quantità di sangue avrebbe causato gli stessi effetti di una sbronza. Con un brivido di puro gelo siderale, Run si strappò di dosso ciò che era rimasto (poco) della sua maglia, usandola come asciugamano per togliersi il sangue incrostato alla pelle dell’addome, delle braccia, della schiena. Non la mossa più intelligente con quel freddo suino a farle battere i denti, ma si consolava con la consapevolezza che nel luogo dove sarebbe andata, non le sarebbe servito. All’inferno.
    No skè, solo Miami Beach. Perché sì, ovvio, Run aveva già deciso di aver bisogno di una vacanza.

    fav drug dealer, life is your fienile #wat


    Alzò lo sguardo su Shia Hamilton, sorridendo abbastanza da enfatizzare le fossette sulle guance. «sciaia!» ignorò il suo interrogativo, avvolgendo le braccia attorno alle sue spalle mentre lui la faceva girare, una risata leggera e giovane a rimbalzare sulla radura. Se stava bene?
    No, stava di merda. E continuava a non capire. Ma aveva importanza?
    Non l’aveva mai avuta.
    Intrecciò brevemente le dita alle sue, dannatamente grata di avere la possibilità di poterlo ancora fare, quindi volse la propria attenzione ai due alle spalle di Shia. Chissà, forse un giorno qualcuno sarebbe stato così misericordioso da spiegarle la faccenda dei trii del potere ed allora avrebbe potuto cominciare a fare battute squallide sugli Hamilton o sul fatto che Sciaia avesse salvato Al, ma fino a quel momento si sarebbe limitata ad abbracciare tutti coloro che aveva creduto di aver perso per sempre.
    Ad esempio.

    c’mon sincly let’s go shipping


    Prendendo la rincorsa, saltò sulle spalle di Sin stringendo le braccia al collo dell’uomo, sussurrando creepy una sola richiesta al suo orecchio: «colada, piña richiede un aggiornamento ship. Ripeto, piña richiede un aggiornamento ship» non era stata una delle idee migliori di Sinclair Hansen farle scegliere i loro nomi in codice, ma era stato tardi, sempre troppo tardi, per rimpiangere quella scelta. Gli stampò un bacio sulla guancia e si lasciò cadere vicino ad Al, lo sguardo serio e le labbra serrate fra loro mentre squadrava la maglia strappata, esattamente come la sua, di suo padre.

    I was blonde, very blonde, but right now I’m brunette


    «non devi avere paura» iniziò cauta, poggiando le mani sul torace. «se…» come poteva dirlo? Chinò il capo per nascondergli il suo sguardo, le dita a cercare delicate la ferita d’arma da fuoco così da guarirla.

    blonde inside, blonde outside, like my daddy


    «se ti senti violato, non devi avere vergogna: denunciali» alzò la testa mostrando il sorriso a brillare sulle labbra carnose, un cenno del capo a Sin e Shia. «non sei da solo» #fight like a woman #wat
    Diffidare sempre dagli uomini barbuti, sono una menzogna.
    Babbo Natale insegna.
    #double wat
    Diede due pacchette felici alle guance di Al prima di volgere il proprio sguardo al resto della radura.

    you’re my girlz, blood and bones, morgan faaavourite flesh


    Si appropinquò verso Helianta, e quando le fu vicina strinse sia lei che Elysian in un abbraccio sentito ed allegro, affondando il volto nei loro capelli scuri e, chi per un motivo e chi per l’altro, ormai dannatamente familiari.

    kiss me here, touch me there, hello blondie (wat)


    «aw sei morto anche tu!» Heidrun non era mai stata particolarmente incline al tatto, se ci aggiungiamo la finezza di Eugene Jackson ed il nobodycareismo di Gemes Hamilton, capiremo l’espressione sinceramente allegra sul volto della Crane, le mani a sprimacciare le guance sottili di Elijah Dallaire. Gli stampò un bacio sulla fronte lasciando che da lì il proprio potere fluisse a curare le varie ferite (spongebob, sei tu?) del francese, per poi abbracciarlo malgrado nessuno, fatta eccezione per Sin e Sciaia, sapessero del loro legame.
    Quale legame, poi. A Run, Eli, era sempre stato un po’ sul culo, anche se con affetto. Dopotutto non era colpa sua se Murphy era diventata Elicentrica, e non era colpa sua se era così indubbiamente biondo naturale da non essersene accorto prima che fosse troppo tardi (?). Insomma, cose. Heidrun non era certo famosa per tenere il broncio a lungo, specialmente ad un adorabile cocker spaniel come Elijah. Ed ancora con le mani sulle gote del Dallaire, Run disse ciò che tutti in quel cerchio della (morte) vita avevano pensato «ma quanto sei scemo per riuscire a morire pur essendo un volontario della missione?»domanda fatta con un sorriso gioviale, le iridi ferine a sprizzare solo un leggero velo di malizia.
    Però era vero.

    You can touch, you can play, if you say…


    Si rialzò in piedi guardandosi attorno, il labbro stretto con fermezza fra i denti. Ripercorse il tragitto avvicinandosi a tutti coloro che sapeva avrebbero potuto fare al caso suo, palpando amichevolmente chiunque con la scusa di essere desiderosa di abbracci. Guarda te, ‘sti infami. Tutti a dire di amarla, e poi nessuno a…

    "I have a cigarette."


    Ecco perchè li amava così forte, ed ecco perchè era così felice di vederli sani e salvi. Soffiò un bacio sia ad Alec che ad Alaric, ammiccando in direzione della donna che (ancora, #mlml) non conosceva. Dalla tasca del Carlyle, riuscì a rubare una sigaretta.
    Ci voleva dannatamente poco per farsi amare da Heidrun Ryder Crane.
    Si infilò il cilindro di tabacco fra le labbra canticchiando a bassa voce, mentre con un cenno delle dita lasciava che una fiamma arancione brillasse sulla punta dell’indice. Chi era il pirocineta in circolazione? Gli doveva una paccata perché lo sto cancellando? Una paccata non si rifiutava a nessuno. L’accese con un sospiro molto poco adatto ad un pubblico minore, e decisamente più opportuno in luoghi più appartati ed intimi, gli occhi chiusi e le spalle felicemente rilassate.
    Doveva morire più spesso, se faceva quell’effetto.

    Make me drunk, make me high, do whatever you please
    I can act like a star, I can beg on my knees


    Soffiò il fumo in una densa nuvola di fronte a sè, un braccio poggiato sulla spalla di Euge e l’altro su quella di Gemes. Chi era William Lancaster? Ma soprattutto. Corrugò le sopracciglia stringendo il filtro fra i denti, il capo inclinato ed una brutta, terribile sensazione sulla punta della lingua.
    Condivisione, ricordate?
    No, non ricordava. Di cosa stava parlando?
    Ciascun membro del COSA aveva preso COSA e loro COSA? Allungò la mano giusto in tempo per riuscire a prendere la cicca prima che cadesse al suolo, laddove la sua bocca si era spontaneamente spalancata dallo stupore. «che cazzo» un po’ per tutto, un po’ per niente.

    Come jump in, little Crane, let us do it again,
    Hit the town, die around, let's go party


    Non ci aveva fatto caso, Run. Dio santo, non ci aveva neanche pensato alla possibilità che i pensieri potessero non essere del tutto suoi, e che potessero provenire da altre fonti. In effetti, non aveva mai pensato in vita sua che Elijah Dallaire fosse un tenero cocker spaniel: guardò Eugene Jackson, gli occhi ridotti a fessura.

    You can touch, you can play, if you say, “I was joking”


    Nei sogni l’uno dell’altro? Run si immobilizzò tornando a guardare lentamente l’uomo, un perfetto sconosciuto per lei, il sorriso leggero e lo sguardo distante.
    E per chi aveva solo incubi? Impossibile capire se quella domanda fosse sua, o se provenisse da uno dei due macho man al suo fianco. Lanciò un’occhiata a Gemes più lunga del dovuto, attendendo un segno qualsiasi che ciò di cui stava parlando Lancaster fosse nuovo a loro quanto lo era lei – o, non so, si sarebbe accontentata di una smentita; avrebbe preferito anche un bell’impeto di rabbia, a tutto quel non detto che galleggiava pesante fra loro – loro due, loro tre, loro fottuti diciotto.

    You can touch, you can play, if you say, “I was joking”


    Se muore uno di voi, muoiono anche gli altri due.
    Ma cos’era.
    Ma perché.
    Ma da quando.
    «pessimo affare» commentò infine laconica aspirando il fumo dalla sigaretta, i pigri occhi verdi a galleggiare nel punto dove fino a poco prima sostava William. Quella che le scorreva nelle vene, era una rabbia fredda, di quelle che consumavano ogni cellula strofinandosi contro la membrana finché non la ledevano in modo irreversibile. Decisamente non sua: si poteva dire quel che si voleva di Heidrun Ryder Crane, ma lei era sempre stata scintilla. E tutto ebbe un senso – il respiro incastrato in gola, il battito accelerato contro le costole, quel sentirsi vuota ed al contempo troppo piena - e tutto lo perse. Chiuse gli occhi con un sorriso lento a vacillare sulle labbra, le braccia nuovamente abbandonate lungo i fianchi.

    Oh, I'm having so much fun!
    Well, Run, we're just getting started
    Oh, fuck you, Morgan!


    E vissero tutti felici e fottuti.
    Era il momento di una mossa alla Crane – quella che le veniva meglio, naturale quanto allungare la mano quando Spaco lanciava uno dei suoi shottini lungo il bancone con il chiaro intento di colpirla, piuttosto che servirla. Battè le mani fra loro con un sospiro trattenuto fra i denti. «beh, che dire…» quanti mesi era che mancava da casa? Quattro? Cinque? Venti? Indietreggiò di un paio di passi fino a ritrovarsi al fianco di Shia ed Al, cui afferrò un braccio ciascuno. «s’è fatta una certa» se li trascinò appresso alzando un braccio verso Jeremy in segno di saluto («ciao! Sono viva! Arrivo eh»). Fermandosi giusto il tempo di andarsene (cosa). «devoproprioandareciao» schioccò rapida e leggerissima un bacio al Jackson bisbigliando un «salutami jade» sulle labbra del Pavor ed un «attento che spaco ha le mani lunghe» su quelle di Gemes, prima di fiondarsi sulla pipol che contava nella radura. è tardissimo, mi sono imposta di finire, quindi vi riassumo ciò che fa e yolo. Stropicciò Tiffany fuggendo prima ch’ella potesse morderla, guarì Oscar perché era carino (#wat) e Arci perché era amico di Eujeremy, lanciò un’occhiataccia a Jay perché sapeva non aveva mantenuto la promessa (quale), abbracciò Athena, si fermò perfino a guardare due ragazzini dall’aria troppo familiare che erano al suo fianco (ciao Chips!) e già che c’era abbracciò perfino loro, non lesinando un bacio sulla testa al mimetico che già percepiva sarebbe diventato un fiero, per quanto astemio, membro della sua famiglia (ciao Nathan!). Sbaciucchiò Jericho avvolgendola fra le proprie braccia, ignorando le proteste delle ragazzina – anzi, premendo più forte le labbra sulla sua pelle ad ogni imprecazione, e ridendone perfino con più gusto e soddisfazione – lasciò un rapido morso d’amore ad Akelei. Che strinse a sé Murphy, Amos, Lienne e Jeremy, non dovrei neanche dirvelo.
    Infatti non lo farò.
    Ci sarebbe stato tempo e luogo per festeggiare le rimpatriate, per ricevere gli insulti, e per farsi raccontare in dettaglio della paccata sinuke: prima, però, Run aveva una sola priorità. Non ebbe bisogno di cercarla, il suo cuore la trovò prima che potesse anche solo pensare alla sua sbarazzina chioma bionda. In meno di un secondo, la Crane si ritrovò ad osservare il viso (sconosciuto) di Pearl O’Sullivan, un sorriso sghembo ad aleggiare sulle labbra. «loro non ti meritano, sii la mia elijah» senza troppi complimenti, le prese il volto fra le mani ed annullò la distanza fra le loro bocche, un sospiro morbido a fremere su quelle di Run.
    Perché aveva avuto tante occasioni, ma ad essere completamente onesti erano quattro mesi che non limonava. E voi mi direte: ma non poteva paccare hardly Euge? O Gemes? Akelei? Sciaia?
    Nah, voleva il brivido della novità. E poi glielo doveva, anche se non sapeva il perché #wat.
    Così la trattenne a sé mentre approfondiva il bacio, le labbra morbide contro le proprie ed il sapore dolce di quell’amore rubato, trafugato ad una vita nella quale loro neanche si conoscevano. «mi chiamo run, ma tu puoi chiamarmi quando vuoi» sussurrò con voce dolce e le guance arrossate, prima di allontanarsi con un occhiolino complice.
    In tutto ciò, Run è ancora nuda. Approfittatene tutti #wat
    «QUANDO DICO BAHAMA, TU DICI…» puntò l’indice contro Murphy, annuendo allusiva all’espressione che andava spandendosi su quella testina rotonda e bella come il sole. E ci sarebbe stato tempo per quell’addio mai detto, per tutti i “non sono come te” che l’avevano fatta sparire, per quegli anni schiacciati sotto le suole: avevano ancora tempo, Run e Murphy.
    E quando Run diceva bahama, Murphy diceva mama.

    Fu così bello, che fece quasi male. Quant’era che il sole non le lambiva la pelle, carezzandola con i suoi morbidi e caldi raggi dorati? Quant’era che non si riempiva i polmoni dell’acre ed intenso sapore salmastro del male, la pelle a salarsi di quell’aria estiva e morbida sul palato?
    Troppo.
    Heidrun lasciò che il cielo azzurro di Miami le sciogliesse i muscoli, i piedi affondati nella sabbia a percepirne ogni granello. Rimase con le palpebre chiuse per un tempo incalcolabile, il sorriso sulle labbra di chi aveva trovato il proprio posto nel mondo. Avrebbe potuto rimanere lì, in quella spiaggia dimenticata dal Signore, per tutta la sua vita –e, con quelle persone al suo fianco, Run l’avrebbe anche fatto. Lanciò di sottecchi un’occhiata a Murphy. «selfie per shot?» ridendo di una battuta che avrebbero compreso solo loro. Avvolse il braccio attorno alle spalle di Amos, tirandolo a sé per stropicciargli i corti capelli chiari. «potrebbe non essere il giorno del bungee jumping, ma di certo è quello dello scii d’acqua» ed era credibile, Heidrun Ryder Crane. Avvolse Al e Shia in un unico abbraccio, inspirando il mare sulla loro pelle e sentendo il gelo abbandonare il suo corpo lentamente, come un compagno a lungo tenuto al proprio fianco. Solo alla fine si sarebbe rivolta a Jeremy, il capo alzato e le spalle dritte malgrado in fondo al tunnel verde bosco dei suoi occhi, fosse possibile riconoscere il senso di colpa. Per tutte le assurde promesse che s’era imposta di mantenere ma non aveva fatto, per non essere mai stata la sorella della quale il Milkobitch aveva avuto bisogno, per essersene andata.
    Per essere morta.
    «non è così facile liberarsi della sottoscritta» commentò stringendosi nelle spalle, per poi abbracciarlo abbastanza forte da sentire quella stretta attraversarle ogni nervo, riallacciando ciò che si era spezzato nella <u>caduta. Riportando Run a casa.
    Perché per Run, casa, non era mai stato un luogo. Erano loro, erano sempre stati loro. «dobbiamo mandare una cartolina a todd. Magari riesce a scappare e a raggiungerci, anche solo per un giorno» sussurrò sulla testa di Jeremy, continuando a schioccare baci fra una parola e l’altra. Nel mentre, approfittò di ciò che era rimasto del suo potere per guarire ogni ferita di suo fratello, lasciando che la Guarigione s’insinuasse in ogni arto inflitto e lo risanasse. Avrebbe voluto fosse così semplice anche per i tagli che lei stessa aveva inferto, più profondi e meno visibili.
    E forse, forse, lo era.
    […]
    Un sorriso languido a brillare sotto il limpido cielo americano, le ciglia ad oscurare un paio d’occhi ingenuamente maliziosi. «quando ho chiesto una tequila, intendevo la bottiglia» specificò intrecciando le dita sul bancone del chiosco, sporgendosi leggermente in avanti per sussurrare l’affermazione sul viso di un ragazzo dall’aria giovane ed inesperta – abbastanza da dare per scontato ch’ella avesse bisogno di un bicchiere, stolto. «offre la casa, vero?» domandò inumidendosi appena le labbra, ammiccando verso il barista in maniera così esplicita da rasentare l’indecenza. «i-io n-on credo che… si…possa?» Run sporse il labbro all’infuori battendo languidamente le ciglia, le dita già avvolte attorno al collo della bottiglia. «non sono abbastanza carina per farmi offrire da bere?» «s-sì… cioè, sei molto carina, m-ma…» non esistevano Ma. Gli posò un indice sulle labbra per metterlo a tacere, e si allungò maggiormente verso di lui per posare la propria bocca sulla sua nel più casto ed effimero dei baci. «grazie» NEL MENTRE, dato che era ancora connessa metapsichicamente agli #eumes, decise di rispondere alla scioccante affermazione di Spaco.
    «lo sapevo che spaco era un cuoco, ha le dita da pasticcere» commentò con saccenza, lanciando un immagine di sé stessa che si alitava sulle unghie per poi lucidarle sulla spalla. «e gemes, se mi avessi detto quando ci siamo conosciuti che saresti diventato così adorabile, sarei morta molto prima» rimembrò loro la conversazione avvenuta poco prima su TUTTA LA NOTTE, una piccola perla che avrebbe tenuto nel suo cuore fino alla fine dei suoi giorni.
    Agitò la bottiglia di fronte a Jeremy, Al e Shia, un cenno d’intesa prima di afflosciarsi sulla sabbia bollente della Florida con il volto al sole. «sciaia, il surfista con la tavola da surf blu è mio. Patti chiari, amicizia lunga» frase ©ramilton per eccellenza.
    C’mon Barbie, let’s go fuckin party.
    You Sit And Stay I Don'T Obey // by ms. atelophobia
     
    .
  3.     +3    
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Professor
    Posts
    3,655
    Spolliciometro
    +1,903

    Status
    Offline
    kicked out of hell
    did someone mention vodka? -- 27 y.o. | lumokinesis | marcus quinn | muggle
    «Davvero, Shia,» sospirò, il fumo della sigaretta a perdersi in morbide volute sospinte da una tiepida brezza anomala per chi, abituato al gelido inverno inglese, si trovava catapultato in Florida, in pieno giorno fino a quando pochi istanti prima era notte fonda ed in tempesta, con un caldo torrido ad appiccicare la salsedine, il sudore, il fango alla pelle; anomala per chi, un vento del genere, così piacevole e leggero, e odoroso dello iodio della spiaggia e del sapore di frutti esotici, di cocktail serviti in lunghi bicchieri con tanto di cannuccia ed ombrellino, gremito dei semi di una nuova vita, sparsi per la sabbia nella speranza che da lì potessero germogliare, aveva creduto di non poterla più sentire - per chi, in quel momento, non avrebbe dovuto sentirla. Volse appena lo sguardo nella direzione dell’Hamilton, gli occhi coperti dalle lenti a scrutarne il profilo in attesa che questo gli concedesse la propria attenzione. «perché lo hai fatto?» domandò, la voce bassa e ponderata, tiepida come i raggi del sole ad infiammare i granelli di sabbia sotto i corpi stanchi, senza aspettarsi davvero una risposta dall’altro.
    Perché, in realtà, una risposta probabilmente nemmeno c’era.
    Nel fortuito caso, invece, ci fosse stata, non era così importante - almeno, non lo era lì, non lo era in quel momento. Voleva convincersene, Al, che non gliene fregasse un cazzo del perché lo avesse fatto.

    Era insito, degli esseri umani, il porsi delle domande; anche coloro che millantavano di non voler domandare, in realtà nutrivano un’impetuosa ed incontenibile curiosità, messa a tacere dall’incognita che le risposte portavano con sé: tanto quanto potevano essere quelle che si speravano, irradianti di allegria un volto, una vita intera, potevano essere quelle che più si temevano, quelle che non volevano essere sentite – né quando le si richiedeva, né mai. Bastarda tentazione, quella del desiderio di conoscere, alla quale era impossibile resistere: erano, le domande, ciò che portavano avanti le storie, le esistenze, che districavano i nodi stretti che impedivano di vedere chiaramente i fili della trama; c’è il viscerale bisogno di porgerle, di provarci - allo stesso modo, le risposte potevano essere quelle che tali viluppi li creava dal nulla, che li annodavano maggiormente qualora già presenti o che, in maniera diretta e senza ombra di dubbio più drastica, li bruciava, sancendo così la fine della tensione e la conclusione definitiva, inderogabile, di una storia che avrebbe potuto continuare ancora.
    Aloysius Crane non aveva mai fatto eccezione: seppur facente parte del gruppo di coloro che temevano in maniera esagerata i responsi e le ripercussioni, così come delle domande anche delle proprie azioni, non aveva mai esitato prima di chiedere, pentendosi presto o tardi del danno ormai fatto. Odiava non sapere, non poter comprendere qualcosa, ed al contempo, fatto forte dell’esperienza di una vita intera, detestava sapere. E si crogiolava quindi in una feroce ignoranza, immobile in una crisalide che non intendeva spaccarsi: stanco delle conseguenze, stanco di come queste avessero continuato, inesorabili, a radere al suolo tutto ciò che gli stava intorno, stanco e basta aveva deciso di non porsi più quesiti, di non logorarsi dietro rompicapi che non aveva la facoltà di discernere. Eppure continuava, in maniera passiva, ad indagare, nella speranza che i nodi si sciogliessero al pettine senza il suo aiuto, ignaro del fatto che fosse sua la mano a tenere il manico. Non riusciva a farne a meno, per quanto si incaponisse sempre e comunque nel vano tentativo di non farlo, di non pensarci nemmeno: ossimoro vivente, il fu Marcus Quinn necessitava di sapere, di avere una via sulla quale barcamenarsi e della quale perdere le linee guida, ma sulla quale potesse sempre far tornare i propri passi.
    Ma quello era diverso; quello, nemmeno poteva fingere di non volerlo sapere.
    Perché lo hai fatto?
    Una domanda che sapeva non presupporre, realmente, alcuna risposta; o almeno, al suo posto il ventisettenne non avrebbe replicato, celando in un mesto sorriso un’infinità di variabili. Non era importante, in fin dei conti, se era bastato a riportarlo indietro: perlomeno, si disse, non lo sarebbe stato a parti inverse - il corpo di Shia esanime sul suolo gallese e le ginocchia di Al a sporcarsi della terra bagnata di pioggia, le iridi verdi ad incontrare quelle altrettanto chiare mentre una risata sollevata scioglieva il petto suo e dell’amico, e questo gli chiedeva se fosse morto anch’egli. Erano importanti tante altre cose, ma non davvero il perché: se lo fosse realmente stato, avrebbe potuto tranquillamente approfittare di quel legame al quale era stato vincolato, scivolando casualmente nei suoi pensieri e scavando nei meandri di un’anima che, come gli altri, l’Hamilton affermava di non avere.
    Il fatto era che avrebbe potuto benissimo non chiedere, però voleva.
    Voleva sentirsi dire perché lo aveva voluto riportare indietro.
    A lui, che più di una volta era stato beffeggiato per i suoi “istinti suicidi” persino dallo stesso Hamilton nonostante mai, il Crane, avesse davvero voluto morire. Alla stregua di un bambino che davanti al bancone dei gelati era indeciso sui gusti da scegliere, e che vagava con lo sguardo i più intriganti, quelli che sapevano di novità e quelli che più lo inquietavano anche solo per il nome, o il colore che vantavano, temendo il gusto potesse risultare orrido al palato, ma che alla fine sceglieva sempre gli stessi due, il Crane aveva considerato la possibilità di cessare d’esistere come un’interessante opzione, ma aveva sempre preferito sopravvivere, nella vaga speranza di vivere davvero. Non aveva mai davvero voluto morire, ma nel momento stesso in cui era successo l’aveva ritenuto giusto, normale: prima o poi d’altronde sarebbe dovuto succedere, ed in quegli istanti si era crogiolato nell’effimera certezza che era morto lottando, che sarebbe stato ricordato in quel modo da chi avesse voluto farlo. Che, sciolto dai vincoli della carne, sarebbe stato libero, e non avrebbe più dovuto preoccuparsi di un marchio sulla nuca e profezie assurde, di morti a costernare la sua esistenza, di rimpianti e promesse infrante o mai mantenute, delle scelte sbagliate fatte in un quarto di secolo o di una famiglia che non lo aveva voluto; libero da tutto e da tutti, da una parte il babbano non desiderava altro. Egoista, come in fondo non aveva mai negato d’essere, non aveva pensato a cosa potessero provare gli altri nel momento in cui, sotto il tocco di William Lancaster, Al non s’era mosso: aveva pensato a se stesso, quando separato dal proprio corpo aveva visto le masse accorgersi che qualcosa, in quel bosco a Brecon, non andava - ed aveva pensato, con un sorriso delicato a piegare labbra inesistenti, che non voleva tornare indietro e che non v’era nulla, indietro, ad aspettarlo; aveva pensato che agli altri non potesse interessare, ed aveva smesso di pensare a questi, cullandosi nella certezza che questi avrebbero agito nel medesimo modo nei suoi confronti. Non c’era nessuno - non c’era più nessuno, visto e considerato che sua figlia si trovava vittima di quello stesso fuoco incrociato - dal quale volesse tornare, o che avesse bisogno che lo facesse; si era voluto convincere che non ci fosse nessuno che avrebbe percepito la sua assenza, nessuno a cui sarebbe mancato davvero – perché non v’era nulla, di Aloysius Angus Crane, del quale si potesse sentire la mancanza.
    Non ne valeva la pena.
    La considerazione di sé che l’aveva accompagnato nell’adolescenza era andata man mano scemando nel corso del tempo, ed a quel punto credeva che l’amore che potesse venir provato verso di lui fosse paragonabile a quello che si dà ad un pesce rosso: lo si nutre, ci si prende cura di lui nei limiti del possibile e lo si stuzzica, tamburellando con le dita sul solido vetro, fino a quando non muore, magari ingurgitando così tanto cibo da scoppiare - letteralmente -; alla fine lo si sostituisce dopo averlo gettato nello scarico del gabinetto, un vago ricordo ad accatastarsi insieme agli altri mille su scaffali pieni di polvere. Niente di più delle altre cose lasciate lì ad ammuffire, niente che saltasse maggiormente agli occhi rispetto al resto, niente di speciale. Non sapeva i requisiti di quel rituale, non aveva idea di cosa Lancaster avesse chiesto loro in cambio o quali fossero le peculiarità delle persone che erano andate ad inginocchiarsi attorno ai loro cadaveri, ma per finirci così tanto dentro da costare loro la propria stessa essenza - «dovrete… abituarvi nuovamente a voi stessi.», «ciascun membro del triumvirato ha preso qualcosa dagli altri due. Inclinazioni, passioni, attitudini, comportamento, paure… non sarete più gli stessi. mors tua, vita mea.», «se muore uno di voi, muoiono anche gli altri due.» - doveva esserci stato qualcosa che davvero li avesse spinti così in fondo: se era affetto, se era amore, o qualsiasi cazzata del genere, il fotocineta non credeva di aver mai dato modo agli altri di provare un tale sentimento nei suoi confronti. Non che non lo volesse, soltanto… non aveva nulla da offrire.
    Non ne valeva la pena; Aloysius Angus Crane, non ne valeva la pena.
    Per questo, aveva bisogno di quel perché, di una spiegazione a dare il contentino ai propri dubbi. Non riusciva a comprenderlo, ma era consapevole che non lo avrebbe mai davvero capito nemmeno se glielo avesse spiegato cento volte. Ne valeva la pena?
    Un giorno, lo avrebbe capito.

    «Perché lo hai fatto?»
    Le braccia altrui si stringevano attorno ai corpi caldi di chi era sopravvissuto, di chi era tornato; sorrisi carichi di sollievo, risate che sbloccavano un peso che, in tutto quel tempo, aveva chiuso lo stomaco; domande, promesse di ritorni a casa più che prossimi, insulti aggressivi a colmare il vuoto lasciato fino ad allora. Si sfogava, la radura, chi in un modo e chi nell’altro: la battaglia era finita, non c’era motivo per non esultare. Eppure, Aloysius non sentiva di poter davvero prendere parte a quei festeggiamenti. Non ancora. La mano stretta attorno al polso dello sconosciuto, impedendogli di allontanarsi. Non ancora. «Chi sei?», aveva chiesto, la voce appena un sussurro ma perfettamente udibile sotto la pioggia. Fissò i propri occhi in quelli scuri, chiedendosi dove avesse già intravisto quella sfumatura d’ebano: iridi castane, come tante fottutissime altre, ma doveva per forza averle viste altrove. Doveva. Avrebbe semplicemente potuto esprimere riconoscenza nei suoi confronti, ma come poteva se poco prima aveva creduto che la morte fosse il massimo a cui potesse ambire, che non dovesse ritornare sui propri passi? Come poteva, se non sapeva nemmeno chi egli fosse? Era una questione di principio, quella del Crane. E c’era qualcosa di strano, in quel suo stringere il polso dell’altro: qualcosa che non gli quadrava, qualcosa che non avrebbe dovuto sentire. Forse non era lui: magari era colpa di Shia che trovava l’uomo estremamente attraente; probabilmente era colpa del moro, per lo stesso motivo che l’aveva spinto a chiamare il suo nome, a scuoterlo in un posto dove non doveva essere possibile sentire i brividi a fior di pelle. Forse era colpa sua, forse aveva soltanto bisogno di tenere un po’ di più quel contatto. Forse voleva stringerlo un po’ di più, un po’ più a lungo. Aloysius Angus Crane, tuttavia, non se ne faceva un cazzo dei “forse”. «Un giorno capirai.»
    “Un giorno capirai” un cazzo, avrebbe voluto rispondergli. Quel giorno è oggi, e voglio capire adesso. «Grazie.» rispose invece annuendo appena, stringendo le dita un po’ più forte prima di lasciare la presa, prima di vederlo andare via, di voltargli le spalle e tornare da Run e gli altri. Aveva voluto fidarsi.
    Marcus Quinn, d’altronde, si era sempre fidato di Sebastian: non gli aveva mai mentito, aveva sempre mantenuto le sue promesse. Per quanto non potesse ricordare, l’eco di un passato lontano rimbalzava tra le pareti della sua mente, lasciando che la fiducia nei suoi confronti scivolasse come caldo caramello nel proprio petto.
    Un giorno avrebbe capito.

    «il karma, aluccio mio… il karma». Sussultò appena, preso in contropiede dalla voce di Shia, come risvegliatosi da un sogno ad occhi aperti. Smise di osservarlo e strinse le labbra carnose tra i denti, le iridi di calda giada coperte da un paio di scuri occhiali da sole adesso volte ad ammirare le basse onde infrangersi sulla sabbia dell’east coast statunitense – e, poco più in là, la linea dell’orizzonte fare dell’azzurro dell’oceano Atlantico e del chiarore del cielo un tutt’uno. Ad ammirare stormi di uccelli - cos’erano?, gabbiani o pellicani, forse rondini -, udirne il canto trasportato dalle onde; a sorridere, mentre la mano si sporgeva più avanti, stringendo tra le dita il collo della bottiglia di tequila che sua figlia aveva elemosinato poc’anzi, inumidendosi la gola di un sapore che non era supposto Al dovesse più provare sulla lingua. A smettere di pensare, beandosi unicamente di quei suoni confortevoli, e della libertà della Florida, una mano dietro la nuca contro la sabbia cocente e l’altra ad avvicinare il filtro della sigaretta più vicino alla bocca. «Cazzone,» rispose, complice una risata a sgusciare tra i denti ed un calcio morbido sul polpaccio di Shia, adagiato vicino. «non ti costa nulla dire che non potevi vivere senza di me.».
    Un giorno avrebbe capito, un giorno avrebbero entrambi risposto a quel perché: non doveva necessariamente essere quello; era su una fottuta spiaggia della Florida, con sua figlia, uno dei suoi migliori amici - checché ne dicesse young!SantaClaus -, Amos preso in ostaggio da Murphy, ed il fratello di Run - questo faceva di Al suo padre? C’era l’alcol, c’era l’intento di tutti di lasciarsi alle spalle quanto appena accaduto; c’era il sole, c’era il mare, c’erano le americane in bikini, c’erano loro.
    E c’era l’alcol - l’ho già detto?
    Non poteva immaginare una giornata migliore in vita sua - ed era appena morto!
    What a time to be Al-ive.
    Letteralmente.
    «sciaia, il surfista con la tavola da surf blu è mio. Patti chiari, amicizia lunga». Al sorrise, alzando la bottiglia di tequila davanti gli occhi: in controluce, poté notare quanto fosse ancora quasi piena. Un vero peccato se qualcuno se la fosse scolata tutta.
    No, davvero, un vero peccato: non aveva avuto intenzione di chiedere a Run come l’avesse presa, considerando che erano poveri in canna e di certo con loro non si erano portati nemmeno uno spiccio. Si era forse prostituita? Avrebbe reso suo padre così fiero, ma #nope. Di Shia fotte sega, tanto nemmeno poteva godersi le gioie dell’alcol a causa del proprio potere, ma non poteva lasciare due giovani senza tequila. Ne bevve qualche dito senza nemmeno alzare la testa, cercando nella luce opaca data dagli occhiali qualche nuvola nel cielo blu cobalto. Non ce n’erano. «Perché non restiamo qua?», domandò innocentemente, senza rivolgersi a nessuno in particolare, le labbra piegate melodrammaticamente verso il basso, un broncio a metà tra tristezza e approvazione. D’innocente, però, nel petto c’era poco e niente: avrebbe potuto farlo? In parte, sapeva di poterlo fare: voleva farlo?
    Spinse con il palmo libero sulla sabbia, alzandosi a sedere, e porse la bottiglia della pace (wat) alla Crane Jr. «Io ho bisogno di farmi un bagno,» affermò, iniziando a denudarsi degli indumenti sporchi e logori della prigionia trascorsa, rimanendo semplicemente in mutande. «chi viene con me?» chiese, e prima ancora di udire alcuna risposta si piegò a terra, le dita a muoversi pochi centimetri sopra la sabbia: c’era così tanta luce, sulla costa americana, che era davvero uno scempio non usarla. Ok, doveva esserci qualcosa riguardo alla segretezza della magia e cose simili, quella roba che impediva a loro, maghi e special, di fare cose che prevedessero l’uso di questa; indovinate a chi non fregava un cazzo?
    Ad Aloyius Angus Crane, non fregava un cazzo. Un grande pallone – di quelli strisciati e multicolore, che in questo caso sfumavano da un’ocra più tenue ad un oro brillante, morbidi e leggeri – prese forma tra le dita del fotocineta, che non esitò un momento in più a metterselo sotto braccio. «ci rimarrei molto male, se non veniste in acqua», annunciò, indicando tutti con un dito accusatorio, e senza nuovamente aspettare alcun responso iniziò a percorrere i passi che lo separavano dall’acqua.

    Un giorno, Aloysius Crane avrebbe capito perché era tornato. Perché altri avevano voluto così disperatamente che tornasse, mettendo a repentaglio la loro stessa vita.
    Un giorno, Aloysius Crane avrebbe passato ore ed ore seduto sul proprio letto, le gambe incrociate e fascicoli nell’incavo che queste formavano, consumando sigarette dopo sigarette tentando di dare un senso al tutto, senza cavare alcun ragno dal buco.
    Un giorno, Aloysius Crane si sarebbe posto tutte quelle domande che, attualmente, gli frullavano nella testa senza avere una forma concreta, senza produrre alcun suono.
    Ma, vaffanculo!, quello non sarebbe stato il giorno: non gli interessava che non si credeva meritevole di essere lì, di essere vivo.
    C’era Run, c’era Shia.
    C’erano Amos, e Murphy, e Jeremy.
    C’era la spiaggia, il sole, il mare, le ragazze in bikini.
    C’erano loro, e loro ne valevano la pena.
    Ma soprattutto.
    C’era l’alcol.
    You Sit And Stay I Don'T Obey // by ms. atelophobia
     
    .
  4.     +1    
     
    .
    Avatar

    Mirror mirror on the wall
    Who's the baddest of them all?

    Group
    Special Born
    Posts
    790
    Spolliciometro
    +1,304

    Status
    Offline
    find me where the wild things are
    you just need to be alone for a while untile you feel yourself again
    Sospirò, lasciando che quel soffio le svuotasse i polmoni. Li sentiva… ovattati, sbagliati. Sentiva ogni cosa, di quel corpo martoriato dai mesi di prigionia, innaturale. Fletteva le dita, inarcava la schiena, inspirava finché non sentiva il petto dolere privo di spazio per contenere altra aria; sfiorava le cicatrici, la pelle rosea sui polsi. Se chiudeva gli occhi, riusciva a sentire la pioggia scivolarle sulla pelle, le palpebre troppo pesanti perché potesse avere alcuna voglia di resistere – di restare.
    Era stata così stupida, Heidrun. Così stupida da allontanarsi dai Milkobitch quattro anni prima, così stupida da lavorare per gli Harvelle, così stupida da essersene andata senza salutare; così stupida da essersi lasciata trascinare in un labirinto, così stupida da aver guardato sua madre morire. Così stupida da essersi fatta rapire, a luglio.
    Così stupida, da essere morta.
    Non svenuta, non ferita. Morta, priva di un battito cardiaco, priva della possibilità di respirare – e di risvegliarsi l’indomani con il mal di testa dovuto alla sbronza, e di aprire gli occhi a mezzogiorno procrastinando ancora il lavoro che l’attendeva al ministero. Ed era peggio, ed era ancora peggio, perché aveva sempre saputo, che sarebbe successo.
    Le ragazze come lei non duravano a lungo. La verità? Si era talmente arresa all’idea di non avere un futuro, che neanche ci aveva provato, a lottare per averlo. Prima del capanno, sì: se n’era andata per quello, Run. Se n’era andata per darsi la possibilità di poter tornare, e di avere finalmente il tempo per fare ammenda a tutte le stronzate che aveva fatto in vita. Si era scavata, Heidrun Crane, una clessidra nel legno. Poi era cambiato tutto - poi era cambiata lei. Credeva di essere invincibile, di non aver alcun punto di rottura: sono snodata, aveva sempre detto, inarcando allusivamente le sopracciglia con il sorriso sghembo che costringeva, più che invitare, a ricambiare. Nel modo peggiore, nel momento peggiore, aveva sentito l’inequivocabile rumore secco di qualcosa che andava in pezzi.
    In pezzi veri, s’intende. Quelli troppo piccoli perché la colla potesse bastare; quelli dai lati affilati, che le madri ammonivano a raccogliere con cautela. Quelli che rompevano anche i sacchetti, ed in briciole sottili ricoprivano il pavimento. Quelli che sapevi, in cuor tuo, di non poter aggiustare.
    Non capiva perché continuassero a provarci, con lei. Invece, capiva perfettamente perché lei continuasse a provarci - ed aveva bisogno, la necessità di un arido deserto che agognasse la pioggia, che lo facessero.
    Era stata così stupida, ed egoista, Heidrun. Così egoista da tornare a casa, dopo il labirinto; così egoista da imporsi nella vita di chi, di lei, non aveva alcun bisogno. Così egoista da trascinare l’ordinario nello straordinario, da amare ed odiare con la sfrontatezza di chi non aveva timore del vuoto – perché il vuoto, ce l’aveva dentro. Così egoista da circondarsi da amici, da amanti, da famiglie che si accorgevano di lei troppo tardi, sempre troppo tardi, perché ella potesse non farne più parte. Così egoista dal non mostrarsi mentre si ritagliava uno spazio negli altri, come il Piccolo Principe e la Volpe; così egoista, da fingere di poter mantenere le proprie promesse – fingere di poter rimanere, farlo davvero. Non si era resa conto di ciò che aveva fatto, finché non era diventato fuori controllo. Non immaginava che sarebbero giunti a quello, capite.
    Non immaginava, che avrebbe finito per ucciderli. Era diverso. Poteva sopportare di spezzare il cuore, di deludere, di lasciare l’amaro sapore del rimpianto - ma non così. Quante persone, solamente quel giorno, avevano rischiato di morire per colpa sua? Se Run non fosse stata legata in quel fottuto capanno, col cazzo che lasciava la gang del bosco di suo fratello partecipare ad una missione del genere: l’avrebbe riportato a casa lei, Oscar. L’avrebbe riportata lei, Tiffany. Ed Eleanor, Thea. E tutti gli altri. Sapeva che avrebbe potuto farlo, perché era drammaticamente brava, quando si parlava di proteggere qualcun altro. L’unica che non aveva mai voluto tutelare, era sé stessa. Non le importava abbastanza, di sé stessa.
    Fisicamente, s’intendeva: per quanto riguardava le ferite emotive, era una fottuta serial killer con chiunque fosse mai accidentalmente inciampato sul suo percorso.
    Se muore uno di voi, muoiono anche gli altri due.
    Cristina d’Avena, cosa avevano fatto.
    Soffocò una risata isterica premendo il braccio sulla bocca, gli occhi socchiusi sotto i raggi caldi della Florida. Con l’altro braccio, strinse protettivamente al proprio petto la trasparente bottiglia di tequila, proteggendola come una madre che temesse un insolazione per il proprio pargolo – metafora non poi troppo lontana della realtà, se solo il rapporto intrattenuto con gli alcolici da Run, non sfiorasse l’incesto. Come aveva già detto ai diretti interessati, era stato un pessimo affare; senza contare che l’avevano messa in una situazione che la Crane non sapeva gestire. Come si faceva a sopravvivere? Le era andata di culo per vent’anni, ma come aveva dimostrato, non era particolarmente portata a reggere a lungo. Cosa gli aveva detto il cervello? Non che le dispiacesse essere viva, figurarsi! Aveva ancora un sacco di sbronze moleste da donare al mondo, tantissima gioia ed amore non richiesto da riversare su perfetti sconosciuti e conosciuti, ma andiamo.
    Ma andiamo.
    «cristo» così, a caso, senza un vero contesto. Alla fine non riuscì a trattenersi, ed un ridacchiare nervoso le scosse le spalle contro la sabbia, torcendole il diaframma. Si sentiva un po’ fatta, eppure non aveva ancora toccato neanche un filo d’erba – if you know what i mean. Che fosse colpa di Shia? O forse il suo organismo si era disabituato al dolce sapore dell’alcool, e non poteva più reggere il paio di shottini con i quali aveva dato il bentornato alla spiaggia?
    Cos’era la vita.
    Come ci era arrivata, a quel punto. La sua mente ancora si sforzava di non elaborare l’accaduto, lasciandola nel presente che tanto, ad Heidrun Crane, era sempre piaciuto. Il sole, il mare, le canzoni trash nelle radio incastrate nella sabbia, gli insulti dei ragazzi che giocavano a beach volley, le risate poco sobrie di Murphy. «che strano» anche lì, non ritenne opportuno specificare alcunchè. Trovava strane così tante cose, che il solo pensiero di dover fare una lista, la stancava. Sorrise alzando il braccio sopra gli occhi, ruotando di poco lo sguardo sui suoi compagni di asciugamano.
    Era strano davvero.
    Se fosse stata una persona normale, avrebbe approfittato di quel momento di quiete per chiedere cosa fosse accaduto, o meglio, come: la morte era l’unica certezza della vita, ma le avevano tolto anche quella; come minimo, avrebbe scoperto che Sinclair era suo zio, e aveva tre figli - di cui due gemelli!. Ma Ci PeNsAtE. Azzuuurdo. «ehi, milko poc-» rotolò su un fianco cercando lo sguardo di suo fratello, ma lo trovò coricato a pancia in giù con un rivolo di bava ad inumidire la sabbia sottostante. Poggiò il gomito sull’asciugamano, allungando pigramente un dito nella sua direzione. Premette l’indice sulla sua guancia, ritraendolo quando un verso non meglio definito uscì dalle labbra di Jeremy, la testa maggiormente affondata fra le braccia.
    Le era mancato così tanto.
    «shhh» intimò a Shia ed Al, abbassando il tono di voce ed alzando una mano per attirare la loro attenzione. «abbassate il volume» così dicendo, si alzò in ginocchio e prese la crema solare (credevate forse che si fosse appiattita in spiaggia come una fettina panata senza una lozione protettiva? Suicida sì, ma non così tanto), cominciando a schiaffarla sulla schiena di un Jeremy addormentato. Tatticamente, lasciò senza crema tre punti sulla schiena, due cerchi ed una parentesi, così che, se si fosse bruciato, avrebbe serbato un adorabile faccina.
    Che sorella meravigliosa, che era.
    «Perché non restiamo qua?» Arraffò un paio di occhiali da sole (ma quando si era preparata il borsone per la spiaggia? Non ci è dato saperlo) ed incrociò le gambe, i gomiti poggiati sulle ginocchia. Già, perché non rimanevano lì? C’erano Al e Shia, Murphy ed Amos. Jeremy, e magari avrebbe fatto in tempo anche Todd. Non sembrava una così pessima idea, quella di non tornare a casa – per chi avrebbe dovuto, poi? Run aggrottò le sopracciglia, inumidendosi le labbra. «jeremy deve tornare a scuola,» iniziò, lanciando un’occhiata al Milkobitch. «ed anche todd, se riesce a raggiungerci.» si morse l’interno della guancia, ignorando il quieto pulsare sulla lingua che premeva per aggiungere il resto. In realtà, aveva ben poca voglia di affrontare le conseguenze della sua fuga, o di affrontare sguardi accusatori e di disappunto. Rimanere alle Bahamas o sono a Miami? Sara non ricorda non pareva una così pessima idea, se si riusciva ad ignorare il vuoto languore fra le costole. «e… insomma» agitò le mani nell’aria stringendosi nelle spalle, lasciando che il gesto venisse interpretato a piacimento. Dire che le mancava casa sarebbe stata una cazzata, ma non poteva negare di sentire, pressante ed esigente, la mancanza delle persone che l’avevano resa tale. «non possono vivere senza di me» alzò le sopracciglia ed appiattì le labbra fra loro, abbozzando l’ombra di un sorriso sghembo. Passò le dita fra i capelli scuri, legandoli in una coda disordinata poco sopra la nuca.«Io ho bisogno di farmi un bagno, chi viene con me?» Run era già in assetto da mare, cosa v lo dico a fare, tanto dei suoi vestiti era rimasto ben poco. Si sgranchì sulla sabbia, afferrando la bottiglia ma senza accennare ad alzarsi. Dormire, a dire il vero, non le pareva una così pessima idea. Lanciò un’occhiata alle onde, di un blu brillante ed orlate di schiuma, quindi tornò a guardare Al: avrebbe avuto tempo da morta, per dormire. Di nuovo. «meh» però si sentiva davvero troppo di merda per una partita a pallavolo. Voleva arrampicarsi sulla scaletta del bagnino, rubargli il cappello, e mettersi a ballare sulle note di Despacito – cosa? La canzone non era ancora uscita? Ma secondo voi a cosa serve la chiaroveggenza, se non per informarsi sulle future hit dell’estate?
    Sì, in caso ve lo steste chiedendo, non si sentiva mai troppo di merda per non ballare, specialmente quando dalle casse uscivano trashate latino americane che ti facevano salire la Shakira interiore. «ci rimarrei molto male, se non veniste in acqua» Sbuffò, rotolando da una parte all’altra dell’asciugamano. «andata, ma non gioco. E neanche tu» si convinse infine, gli occhi puntati sull’oceano.
    Perché aveva appena visto, Heidrun, il suo nuovo obiettivo di vita.
    Si alzò in piedi e si diresse verso la spiaggia, un sorriso estasiato a curvarle le labbra. Aveva appena trovato i suoi nuovi migliori amici, qualcuno in grado di soppiantare il fascino dei surfisti già citati: perché sì, avrebbe potuto allontanarsi dalla famigghia per una bottarella in amicizia, ma volete mettere con… «acqua gym» bisbigliò estatica, notando la decina di vecchi che, nell’acqua bassa, muovevano le gambe a ritmo di Call on Me. Avevano anche le ciambelle, quelle per galleggiare chiaramente, fluorescenti e dalle forme più improbabili.
    Si era appena presa una platonica cotta per la vita, Run. Talvolta, le capitava.
    «BENE» battè le mani attirando l’attenzione generale, e con un paio di cenni poco chiari al proprio interlocutore, congedò l’animatore della spiaggia per prendere il suo posto. Si schiarì la voce e si posizionò di fronte all’ospizio in vacanza, sorridendo loro con la vena allegra che spingeva gli altri a volerle bene senza alcun motivo specifico. «CIAO, SONO LA VOSTRA NUOVA ANIMATRICE» agitò le mani, friggendo per l’emozione del momento. Rubò (o meglio, prese in prestito) uno stereo, sintonizzandosi su una stazione radio che, finalmente, le donò una gioia.
    E sparirono tutti i suoi problemi, sapete: si dimenticò di essere fuggita mesi prima, di non aver mantenuto alcuna delle sue promesse, di aver abbandonato la sua famiglia, i suoi amici; scordò di essere morta, ed i motivi che l’avevano spinta a desiderare di esserlo. Lasciò da parte di non essere morta, ignorando l’ancora caldo ricordo di Gemes ed Eugene.
    E come poteva dilettarsi con tali pensieri filosofici, quando: « IF IT HADN'T BEEN FOR COTTON-EYE JOE, I'D BEEN MARRIED A LONG TIME AGO» cominiciò a muovere le braccia e le gambe invitando i vecchi ad imitarla, mentre a gran voce accompagnava la metallica voce dello stereo.
    « WHERE DID YOU COME FROM, WHERE DID YOU GO? WHERE DID YOU COME FROM, COTTON-EYE JOE?» prese Al a braccetto alzando la mano per invitare Sciaia ad unirsi, quindi ruotò in cerchio (?) per poi cambiare direzione, prendendo DADDY dall’altro braccio. Quante discussioni entusiasmanti che avevano affrontato, chiusi in quel capanno.
    Dovevano proprio farsi rapire per avere una bella conversazione padre figlia, mh? «senti ancora sciaia e sin?» domandò indicandosi la tempia, cercando di superare il volume della musica. Perché gli aveva detto tante cose, , ma ne aveva taciuta una alquanto importante: e non le fregava più un cazzo, delle conseguenze.
    Basta segreti.
    Più o meno: infatti, voleva sapere se il collegamento psichico con l’oltreoceano fosse ancora presente così da evitare che Euge e Gemes origliassero. Vorrei dirvi che un giorno l’avrebbe detto anche a loro, ma sarebbe stata una menzogna.
    Specialmente a Gemes. Non esageriamo, erano già troppe emozioni per un giorno solo wat. «ho lavorato nei laboratori per tre anni rapendo ignari maghi e babbani così che venissero sottoposti agli esperimenti» buttò tutto d’un fiato, per poi tornare nella posizione iniziale e: «WHERE DID YOU COME FROM, WHERE DID YOU GO? WHERE DID YOU COME FROM, COTTON-EYE JOE? SU LE GINOCCHIA, SIGNORINE
    Perchè come cambiava argomento lei, ce n’erano pochi al mondo.
    You Sit And Stay I Don'T Obey // by ms. atelophobia
     
    .
3 replies since 5/12/2016, 17:51   376 views
  Share  
.
Top