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Rebecca & Will & Aiden

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    Si guardò alle specchio compiaciuta, aggiustando per l'ennesima volta il ciuffo, senza ben capire da che parte fosse più carino. Nel gesto osservò distratta le punte di una ciocca di capelli scura, meditando su quanto stessero crescendo nell'ultimo periodo- di questo passo avrebbe finalmente ottenuto quella lunghezza di cui andava alla ricerca da tempo trattenendo i pensieri sporchi mlml, e a cui aveva rinunciato per troppo a lungo. Otto anni. Otto anni in cui si era ostinata a tenere un taglio mascolino, corto, scompigliato... forse più per dispetto nei confronti della sua famiglia che vero desiderio di tenerli così.
    Sorrise al proprio riflesso quando decise che così andava bene: non che avesse deciso di riavvicinarsi alla sua famiglia con un comportamento e un aspetto un po' più “adatto” ad una signorina Levitt ormai oltre la metà del suo percorso di studi, con una carriera già fissa in mente e tutte quelle cose da grandi di cui Rebecca sinceramente non si stava minimamente preoccupando. Da un anno in realtà l'unica cosa per cui si preoccupava era ben diversa, e ciò si era inevitabilmente riflesso anche nella sua media. Rebecca Levitt adesso somigliava alla ragazzina dei primi anni di Hogwarts, distratta, con pensieri molto diversi dal proprio rendimento scolastico... non che facesse i guai degli anni passati, ma c'era da ammettere che le grane in famiglia restavano comunque, perché era semplicemente inaudito che la loro secondogenita rischiasse di ricevere compiti extra in tutte le materie, come negli anni più bui della sua intera vita da scolaretta.
    Eppure a guardarla pareva davvero impeccabile.
    Indossava la divisa pulita, le pieghe al punto giusto e mai una fuori posto, i capelli sempre ordinati, un'espressione quasi di pace su quel viso di rosa, acqua e sapone se non per un lieve accenno di burro cacao sulle labbra sottili. I libri in ordine con le pagine che sapevano di lavanda per la sua nota abitudine di tenerli nella borsa incantata appartenuta in passato a sua sorella maggiore, capace di cambiare aroma a seconda dell'umore della proprietaria.
    E dall'inizio dell'anno, quella borsa non faceva che emanare una serena fragranza di lavanda, in perfetta combinazione con il profumo di Rebecca -quella leggera essenza sugli abiti- e il suo umore, difficile da disturbare. A vederla, Rebecca era perfetta, forse troppo: del resto nessuno l'avrebbe riconosciuta se al suo posto si fosse imbattuto nella vecchia Rebecca- il terrore dei corridoi.
    La gente bisbigliava nei corridoi al suo passaggio, domandandosi che fine avesse fatto quella furia cieca e quasi catastrofica che le assicurava una volta a settimana una visita nella Sala delle Torture. Dove Rebecca trattenesse quella che tutti ritenevano fosse la sua vera natura, quella diabolica- come facesse a non sbottare quando per errore qualcuno faceva qualcosa che avrebbe dovuto comportare l'esplosione del vulcano... Per un breve periodo di tempo erano anche iniziate le scommesse a riguardo, del genere “vediamo chi riesce a smascherarla per primo” e- e niente, Rebecca si era ritrovata per due settimana vittima delle più atroci vendette.
    Da compagne grifi che durante Pozioni le rovesciavano “per sbaglio” il contenuto dei calderoni sulle scarpe, a ragazzini che giocando in cortile la spintonavano facendola finire per terra in pozze di fango, o ancora bigliettini -naturalmente anonimi- con frasi poco gentili quali “sei karina, sei ok, sei il goblin che vorrei” o “sei bella come un Polypolicum” [copyright © Lele perché era troppo geniale] e cose simili... insomma, nulla che avrebbe dovuto lasciarla indifferente.
    E invece, le uniche reazioni di Rebecca avevano lasciato tutti meravigliati -e segretamente terrorizzati: si limitava a trarre un lungo sospiro nel silenzio generale, alzandosi o ripulendosi o accartocciando il foglietto per poi esordire con un dolce sorriso. Poi il nulla. Riprendendo a fare quello che stava facendo senza alludere a niente di quanto accaduto. Tutto questo per Hogwarts non era normale, anche una persona normale avrebbe reagito in modo diverso a quei continui atti di “bullismo”, ma dopo due settimane il tutto si spense in un arreso fastidio, e Rebecca per tutti divenne la ragazzina composta, quasi austera e distaccata, che era sotto gli occhi di tutti. Null'altro. Come se improvvisamente il passato fosse stato cancellato o di quel che era stata non restassero che voci flebili destinate a spegnersi col tempo...
    Dicevano che l'amore facesse miracoli, per questo tutti puntavano sul promettente Aiden, ma la questione era decisamente più complicata: sì...Aiden era carino, ci voleva uscire, e magari anche scoprire cosa sarebbe successo approfondendo la conoscenza- ma il vero fautore di tale drastico cambiamento (grazie a cui, del resto, era diventata visibile agli occhi di un ragazzo bello e popolare come il Winston) era stato proprio Christian. Rebecca si trovava del resto in un'età estremamente fragile, compromessa da troppi timidi amori e una continua indecisione- col solo terribile timore di restare senza niente.
    Era quindi normale che vacillasse fra un amore dettato dalla curiosità del mondo adulto e uno più adolescenziale e tenero, vicino a lei per molti aspetti. «Chissà cosa ne penserà Chris del tuo “tradimento”...» si girò a guardare con aria di rimprovero -e divertimento- alcune sue compagne di stanza, radunate sul suo letto a ridacchiare e consigliarla «come sei sciocca» «esatto, Fanny; Chris non lo verrà mai a sapere» allusiva un'altra, guardò civettuola l'amica e Rebecca, a cui rivolse un timido occhiolino facendo ulteriormente arrossire e indispettire quasi la ragazza, che voltandosi diede loro le spalle per guardare nell'armadio- «primo, non è affatto un tradimento. Secondo, fra me e Chris non c'è nulla per cui dover in qualche modo sentirmi in colpa di tutto ciò...» ed era vero, drammaticamente vero. Chris era il fidanzato di sua sorella, come poteva minimamente perdersi in certi pensieri... Merlino, era tutta colpa di quelle oche alle sue spalle che a quelle giustificazioni non poterono trattenersi dal ridere.
    Si voltò di colpo, dopo aver sconvolto il suo intero armadio cercando inutilmente un vestito- «cosa stai cercando così affannosamente? Guarda che Aiden ti invita ad uscire anche se ti presenti nuda...anzi» e un altro coro di risate provocò un ulteriore arrossamento delle guance gonfie di disappunto di Rebecca, che di scattò si alzò, guardandosi leggermente confusa attorno «nulla, e smettila» non ne aveva parlato alle ragazze perché...ecco, quel vestito era così bello e nuovo... non voleva che loro ci mettessero le mani sopra perché le conosceva: erano in grado di farci sopra qualche incantesimo imbarazzante, così, appena se lo fosse messo, ecco che sarebbe successo un guaio!
    Sì, era davvero una pessima amica sotto un certo punto di vista, ma i primi amori rendevano tutti egoisti e, forse, invidiosi... Non sapeva il perché, ma certe cose preferiva tenerle per sé, godersi pillole di amore acerbo senza doversi perdere nelle scontate allusioni delle sue amiche. Ricordava così bene ogni particolare di Aiden e Chris da sentirsi quasi in imbarazzo, non importava il modo in cui le ragazze tentassero di rendere il tutto “chimico”, un processo adolescenziale tipico di quell'età.
    In tutto quello, tuttavia, il suo vestito non veniva fuori: l'aveva nascosto troppo bene per pensare che qualcuna delle sue compagne di stanza l'avesse casualmente scoperto, e allora restava l'incognita. Per non contare che quello era il terzo abito che scompariva magicamente di cui due erano poi riapparsi nei luoghi più strani del castello- e così quattro paia di scarpe, due fermacapelli fra i suoi preferiti, il trucco delle grandi occasioni (balli nel castello per lo più), tutte piccole cose che col tempo aveva ritrovato e per cui non sembrava uscire alcun colpevole.
    Tuttavia, col vestito il campo pareva restringersi: del resto, aveva parlato di quell'abito ad una sola persona, e per esperienza diretta- William Barrow. Gliel'aveva casualmente visto addosso, e quindi non aveva potuto fare a meno di parlare di quell'abito lungo fino a metà coscia, con un'elegante scollatura impreziosita da una decorazione floreale e con la gonna, a doppio strato, che si apriva come i petali di un fiore candido. Si fermò a riflettere- perché Will avrebbe dovuto rubarle il vestito o, peggio, rubarle alcuni pezzi del suo guardaroba? Non se lo spiegava, e nella sua testa -razionale, a differenza di quella di qualcuno- la cosa non aveva alcun senso.
    Comunque, forse, era davvero il caso di investigare: uscì quindi dalla stanza senza dire nulla alle sue amiche, ancora più sospettose per quell'improvviso cambio di umore, e uscendo dalla Sala dei grifoni si diresse a passo spedito verso la Sala Comune, il primo dei posti dove avrebbe tentato di trovarlo.
    Davvero, non riusciva a capacitarsi di quello che stava accadendo, ma in particolare la storia le sembrava così ridicola da farci una role in inception sopra una commedia divertente- magari avrebbe scoperto un lato segreto di William... o Wilhelmina, come forse avrebbe dovuto chiamarlo d'ora in avanti. Scosse il capo, cercando di concentrarsi, e fu allora che lo vide: stava seduto sotto i portici di uno dei cortili del castello, impegnato, e per qualche secondo sostò, osservandolo non troppo sicura di quello che stava per fare. Bèh, era suo amico, e certo non l'avrebbe giudicato- sperava solo che lui non le desse della pazza per quello che stava per fare «Will- richiamò la sua attenzione, fermandosi a pochi centimetri da lui con l'aria un po' imbarazzata ma ugualmente decisa -devo farti una domanda...precisa» e chiuse gli occhi traendo un profondo respiro.
    Ne avrebbe avuto la forza, in fondo non era poi così imbarazzante, e quel ragazzo continuava ad osservarla, probabilmente con l'aria innocente di chi non capisce che diamine stesse succedendo o quella scocciata di chi era appena stato disturbato. Poteva tranquillamente farcela. «Tu...tu sai, per caso, che fine ha fatto il mio abito beige? Quello che ti ho mostrato qualche giorno fa- ecco, è sparito...» non osò molto di più, perché già nel mormorare quelle parole notò qualche sguardo confuso e divertito su di lei, occhiatine che volavano come sussurri da un orecchio all'altro, e lei aveva promesso totale controllo. E controllata, quasi impettita, restò, irrigidendo la schiena con sguardo leggermente imbronciato e sospettoso.
    Rebecca levitt
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    A discapito del titolo e delle gif non si assicura contenuto erotico #pervavvisato,pervsalvato
    Craving al prossimo giro ihihi
     
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  2. winston?
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    Dana non lo salutava più per i corridoi. Gli passava accanto, il nasino alla francese rivolto verso l'alto, lo sguardo puntato dritto davanti a sé, il passo talmente veloce che lui era in grado di sentire il suo profumo - vaniglia con una punta di menta - solamente per qualche secondo. Era offesa, ma Aiden non era mai riuscito a capire perché. Aveva provato anche a chiederglielo, anzi, era la prima cosa che aveva fatto perché proprio non si capacitava come da un momento all'altro si erano ritrovati a non parlarsi più quando fino al giorno prima si davano appuntamenti nel ripostiglio delle scope dove rimanevano a lungo, soli, al buio. Lei gli aveva sempre risposto con frasi secche e poco chiare, che non facevano altro che confondergli le idee, come "mah, guarda, proprio non lo so" oppure "bella domanda, Aiden, bella domanda proprio". All'inizio c'era stato male, si era sentito in colpa. Aveva tentato di farsi perdonare con qualche cosa carina tipo fiori di zucchero o cose così che Eli gli aveva consigliato, ma non era servito a niente. Doveva averla combinata grossa, ma il biondo non ci teneva così tanto da farsi il fegato marcio per riconquistare qualcuno che sapeva già com'era, di cosa sapeva, che cosa amava e che cosa no. Preferiva quelle difficili, sì, ma da fare innamorare, non da concedere il perdono. Proprio per questo gli piaceva tanto la Levitt. Le sue risposte acute sebbene un po' acide nei suoi confronti, il fargli capire - perlomeno all'inizio - che con lei non avrebbe mai avuto una possibilità erano proprio ciò che lo avevano spinto a mettercela tutta nel dimostrarle il contrario. Certo, nel frattempo non era stato con le mani in mano - cosa che, peraltro, a Dana non aveva certo fatto piacere. Girava sempre con le stesse persone, alla fine, ma quando ci provava riusciva a trovarsi anche con coloro con i quali aveva meno confidenza. Alla fine si era ritrovato ad avere un bel po' di conoscenze superficiali, che lo avevano portato, in un modo oscuro persino a lui stesso - chissà, magari le serate a far fuori whisky incendiario come fosse stato niente in quei locali pieni zeppe di streghe e maghi avevano aiutato - ad essere sulla bocca di tutta la scuola, conosciuto. E le ragazze, alla fine, venivano da lui e non il contrario. Si stancava facilmente, comunque. Quelle giovani si concedevano a lui - e non intendo per forza a livello fisico - fin troppo facilmente, mentre lui ricercava...qualcosa in più. Lui voleva una ragazza da scoprire, che si apriva a poco a poco. Una ragazza dalle mille maschere, non in senso negativo: ogni volta che ne toglievi una, potevi scoprire qualcosa di nuovo e ancora, ancora e ancora. Aveva ricercato quella ragazza in Dana, che era stata la prima a deluderlo davvero; in Hannah, in Charlotte, in Kora e Danielle. Niente. Si tornava ancora a Rebecca, che era ormai la candidata più promettente tra quelle che il Winston conosceva. Alla fine quella ricerca non era tra le sue priorità: prima venivano lo studio, sua sorella, i suoi amici. Però diciamo che era comunque nella sua lista di cose da fare, quello sì. Il rapporto tra lui e la Grifondoro era particolarmente buono, in quel periodo. Sembrava che in lei qualcosa si fosse sbloccato, dando quindi un po' di sicurezza in più al tasso delle sue possibilità di riuscita. Appena gli rivolgeva la parola non lo zittiva con qualche battuta tagliente - causando al winston una bella risata; né lo mandava al diavolo se lui le chiedeva di vedersi. Ed era proprio ciò che aveva fatto il giorno prima, chiederle di poterla vedere. La sua sicurezza sopracitata, infatti, lo aveva spinto a non voler più aspettare, a credere che il momento propizio fosse giunto: le avrebbe chiesto un appuntamento, uno ufficiale, e da lì, solitamente, nasceva cosa, dunque per il momento ciò che lo turbava di più - ma neanche troppo - era la risposta. Non si erano dati un appuntamento preciso da qualche parte. Il biondo sapeva semplicemente che quel giorno si sarebbero dovuti vedere, tutto qui. Così, stufo di aspettare dopo essere stato seduto ad un tavolo della sala comune, facendo picchiettare una penna autoscrivente sulla stessa per un buon quarto d'ora, aveva preso la decisione di andarla a cercare, fosse anche stata dall'altra parte del castello. Ogni passo che faceva, comunque, incontrava qualcuno: fosse stato per un saluto o per fare direttamente due chiacchiere, questo qualcuno lo fermava, facendogli perdere tempo prezioso. Come se tutta Hogwarts si fosse messa d'accordo per rallentarlo. E questa teoria gli fu abbastanza confermata quando, una volta girato l'angolo di uno dei cortili di Hogwarts e avendo visto Rebecca parlare, in lontananza, con un ragazzo - dopo che un sorriso gli fosse andato ad illuminargli il volto - si ritrovò davanti Dana con l'espressione più seria che avesse mai visto in volto a qualcuno. Dobbiamo parlare.

    Aiden Winston
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    Si massaggiò le palpebre, la schiena poggiata contro il basso muretto dei cortili.
    «eligia, come si dice un giorno avremo tre figli, una ot3 e qualche cane in francese?»
    «elaigia» correzione automatica con un sorriso morbido. Eppure doveva averlo compreso ormai che William Barrow, rompi coglioni per hobby, aveva capito la prima volta come si pronunciasse il suo nome: lo so, incredibile, ma era un corvonero per un ottimo motivo. «comunque sono lusingato, ma ti vedo solo come un amico» Will corrugò le sopracciglia stringendo il filtro della sigaretta fra i denti, il fumo soffiato dalle labbra dischiuse a bruciargli gli occhi. Aveva cominciato a fumare a tredici anni, spinto a provare da un non troppo coscienzioso zio Nick, ed ormai era difficile vederlo in giro senza una sigaretta fra le dita – o in bocca, o dietro l’orecchio. «se con amico intendi come un nate, a me va bene comunque eh» rispose laconico con un mezzo sorriso, beccandosi un felice pugno (troppo forte da incassare per il suo gracile corpo da quindicenne) dal serpeverde Eugene Jackson. «li hai visti anche tu, mh? Così canon» «cosa?» «niente» l’aver menzionato Nathaniel Henderson, seppur con tono leggero, aveva abbassato notevolmente il morale della compagnia dell’anello, i quali senza la presenza del Grifondoro sembravano menomati. Il fatto che di lì a poco avrebbe potuto capire sulla propria pelle quell’estraniante sensazione di assenza, lo turbava e lo inquietava in egual misura. Si rendeva conto di quanto fosse egoista da parte sua sperare che Mitchell venisse bocciato, «nonché utopico» come aveva sottolineato il Winston con voce saccente («SBORONE»), ma non poteva fare a meno di desiderarlo.
    William Yolo Barrow, d’altronde, non era mai stato il genere di ragazzo che pensava prima al benessere degli altri che al proprio, viziato figlio unico credici abituato ad avere qualunque cosa lo aggradasse, neanche quando gli altri erano persone alle quali teneva – poche, per di più. Fra le mani di suo padre, Will era stato schiacciato, ignorato, piegato e stropicciato per quindici anni: credendo di stringere morbida creta, aveva cercato di costruire con il piccolo Barrow una versione più giovane di sé stesso, ma il risultato ottenuto era stato l’esatto opposto di ciò che qualunque genitore avrebbe potuto desiderare. William, sulla lingua il sapore del tabacco e sulle braccia le linee cremisi delle ore passate in sala delle torture ad urlare contro pareti sorde; quello che rimaneva a capo chino, passivo alle accuse ed alle offese, e non appena gli voltavi le spalle era in grado di ridurre il mondo in cenere – e di sorriderne con l’arrogante orgoglio di chi, di quel mondo, non sapeva che farsene. Un ragazzino brillante, ottimo osservatore dalla mente più acuta di qualunque ragazzo della sua età, eppure troppo vuoto per acclamarsi il faretto che gli sarebbe appartenuto di diritto, per spingersi sotto le luci del teatro in un inchino meno irriverente di quello ch’era abituato a porgere. Seguiva le regole imposte da Simon fintanto ch’egli era presente, e poi distorceva quelle stesse leggi fino ad ottenere nuovi comandamenti. Nuove religioni.
    Sarebbe stata quella scintilla, un giorno, a macchiarlo di patricidio. E sarebbe stato quel vuoto, a diciassette anni, a fargli trovare la Resistenza. A farlo diventare, la Resistenza.
    Ma a quindici anni, come ogni adolescente che si rispettasse, Will aveva attenzioni solamente per una cosa.
    Allentò il nodo della cravatta blu bronzo, la schiena premuta contro il muro e gli occhi azzurri alzati sul cortile di Hogwarts. William Barrow, Purosangue e ricco da più generazioni di quante ne avesse memoria, faceva parte di quella fetta di popolazione magica che avrebbe potuto avere qualunque cosa: la scopa migliore sul mercato, l’erba più pura dagli Erbologi più minuziosi, i voti più alti comprati con galeoni scintillati e sorrisi fascinosamente aristocratici. Le compagnie giuste.
    Eppure, era d’un William, che si parlava. E ciò che voleva, era sempre quello che non poteva avere.
    Dio santissimo, sembrava che perfino l’aria si fosse fatta più pesante. Seguì con lo sguardo la ragazza in divisa Serpeverde attraversare il cortile, i capelli di quel biondo dorato impossibile da ottenere con le tinte – così leggero, appena una spolverata della notte più stellata. Inspirò, quasi fosse in grado di coglierne il profumo dalla posizione raccolta nella quale si trovava. Akelei Beaumont aveva quel genere di bellezza che causava dolore fisico, che respiravi fra i denti in un sospiro al miele e sputavi con sangue sul cemento. Era una meraviglia sbalorditiva quanto terrificante, un brivido caldo ed un soffio freddo sulla nuca. Non le ci voleva nulla per ottenere l’attenzione generale su di sé, e non diciamoci cazzate cercando di evitare i clichè: come chiunque fottutamente altro, Will non faceva eccezione. Ne era affascinato in maniera quasi morbosa, un bambino tentato di allungare le dita per infilare i polpastrelli fra il manto setoso e morbido di una pantera. Suscitava il genere di amore effimero e traslucido che buon dio avrebbe dovuto essere vanto solamente dei tramonti, e che invece ella indossava come la più pregiata e scontata delle vestaglie.
    William Barrow sapeva perfettamente che non era amore, ma ci si avvicinava in maniera così scandalosa da tranciargli il respiro ed il battito. In maniera così permanente, da rasentare l’odio.
    «EHI, BELLE TETTE» Sbattè appena le palpebre quando Euge richiamò l’attenzione della ragazza salutandola con la mano, mentr’ella si limitava ad inarcare le sottili sopracciglia e ad alzare il medio verso di lui. Lo sguardo di lei lo sfiorò appena, ma bastò perché Will si portasse due dita alla fronte e le rivolgesse un cenno con il capo. Era piuttosto certo che Akelei non ricordasse neanche il suo nome, malgrado l’avesse udito spesso alle pompose cene con l’élite a cui i loro genitori li facevano presenziare, ma indovinate a chi non importava? William, la risposta era William.
    Tanto lo sapevano entrambi, che un giorno l’avrebbe imparato così bene da ripeterlo ancora, ancora, ed ancora. Un sorriso sghembo, il fumo rilasciato in uno sbuffo. «ah, mi ama» «goditi quell’amore, finché puoi» snocciolò con aria ancora distratta, sbattendo lentamente le ciglia verso il Serpeverde. Quanto amava le sfide. Rimase in silenzio ad ascoltare la discussione fra i due senza realmente interessarsene, riconoscendo nel basso vociare lo stesso apatico gorgoglio delle onde sugli scogli – e l’esserne completamente escluso, il cielo di un oceano cieco. Che gruppetto strano, i castafratti. «will?» mise a fuoco la mano del giocatore di quidditch davanti ai propri occhi, le sopracciglia corrugate. «mi hai detto qualcosa?» in tutta risposta, indicò un paio di figure poco distanti. Potè sentire il rumore della montatura degli occhiali spezzarsi da dov’era seduto, il che era tutto dire; il tono di voce usato da Rea Hamilton fu troppo basso perché Will riuscisse a capirne le parole, ma dal sorriso e dall’occhiata che rivolgeva al Jackson, non doveva essere nulla di piacevole. «ti stavo salutando» se in quel momento non fosse passato Aiden Winston, il cugino di Mitchell, probabilmente William Barrow si sarebbe dimenticato della domanda che aveva voluto porgergli sin dall’inizio, il motivo per il quale aveva preso, poco prima, posto al loro fianco. «AH! Hai fatto quella…cosa?» Domandò, lanciando occhiate a destra ed a sinistra. Il Dallaire lo guardò confuso qualche istante, uno dei motivi per i quali anche a Will mancava il più sveglio (per certi, rari versi) Nathaniel, ma infine annuì con un vago sorriso sulle labbra. «sì, te l’ho lasciat-» «si grazie CIAO grazie davvero eh» aveva visto Rebecca in lontananza, il che significava che per Elijah Dallaire era giunto il momento di uscire di scena – dallo spettacolo, dalla vita.
    Perché Will, tempo prima, aveva iniziato a chiedere dei favori.
    «voglio fare una sorpresa a becca» aveva detto, sincero, cercando il supporto del morbido cuore di Eli, Grifondoro e compagno di casata della Levitt. «una caccia al tesoro» mente di Corvonero, nel momento del bisogno, non tradiva mai. Sarebbe stato più semplice e decisamente più funzionale se avesse domandato aiuto a Mitchell, ma sapeva che il ragazzo non avrebbe approvato – motivo per cui aveva ripiegato su Daphne, la sorella, e su Elijah. Lui non poteva accedere alla sala comune dei rosso oro, o almeno non sempre, mentre per loro sarebbe stato fin troppo facile derubare Rebecca.
    E voi direte: perché? Ma perché non era più la sua Becca. Non sapeva cosa le fosse successo, ma tutto d’un tratto non era più in grado di scatenare La Bestia – La Furia, Il Titano, aveva davvero tanti nomi ad Hogwarts quella “forma” di Becca- e la cosa lo turbava alquanto. Si trattava principalmente di una questione di principio, sapete. L’ennesima sfida che doveva vincere.
    E non giocava pulito, William. I Barrow non lo facevano mai.
    Senza contare che, buon Signore!, le avrebbe fatto un favore. Will era convinto di sapere come ragionassero gli uomini, e di conseguenza, almeno in compagnia di Aiden, si reputava una Rebecca Levitt migliore di quanto la Rebecca Levitt originale avrebbe mai potuto essere. Becca poteva anche non rendersene conto, e perché avrebbe dovuto, ma aveva bisogno di lui.
    William Yolo Barrow sì che era un grande amico.
    Rimase testardamente con lo sguardo fisso sul libro di fronte a sé, aperto a caso e su una pagina a caso (ma che roba ora? Trasfigurazione, forse?); le dita a tamburellare distratte sul dorso del tomo, la sigaretta a pendere fra le labbra. Alzò gli occhi solamente quand’ella si fece vicina, lo sguardo da cerbiatta puntato su di lui e le braccia lungo i fianchi. Era… imbarazzata? Era forse incinta? No, eh. Che non sapeva che effetto avrebbe avuto sulla Polisucco, e non ci teneva a divenire incinta per osmosi. La osservò di sottecchi finchè non si decise a parlare, dando voce ad un dubbio del tutto lecito per il quale, a dire di Will, ci aveva messo fin troppo a rendersene conto. «Will, devo farti una domanda...precisa» con ancora il cilindro di tabacco fra i denti, Will sorrise. «sì becca, è la mia bacchetta, ma sono anche felice di vederti» rispose in automatico, piegando le labbra in una smorfia. Ke amiko simpa. «Tu...tu sai, per caso, che fine ha fatto il mio abito beige? Quello che ti ho mostrato qualche giorno fa- ecco, è sparito...»
    Vi ho già detto che suo zio già lo portava a giocare a poker, malgrado la giovane età? La osservò impassibile, quasi annoiato, per una manciata di secondi. Quando finalmente si rese conto dell’allusione, alzò le sopracciglia e richiuse di scatto il tomo, un’occhiata a sopracciglia corrugate verso la ragazza. «innanzitutto, non faccio caso ai “vestiti”. Sai che quella è roba da mitch» sbuffò, come se non sapesse perfettamente a quale abito stesse alludendo.
    Esattamente quello che aveva deciso di indossare all’appuntamento con Aiden. Sarebbe stato una Rebecca bellissima. «in secondo luogo, per quale motivo dovrei sapere dove lasci i tuoi abiti, becca?» neanche si preoccupò di abbassare il tono di voce, mentre continuava a sorriderle velato. «se li tenessi addosso, non correresti rischio di perderli» cosa? Stava forse cercando d’insinuare che Rebecca Levitt, Rebecca Levitt, fosse solita denudarsi per chiunque?
    Sì. Ma solamente perché era (abbastanza?) certo che non lo facesse realmente, e voleva semplicemente infastidirla. Infilò il libro nella tracolla, un’occhiata alle spalle di Becca. Vide Aiden bloccato (salvato in zona cesarini!) da una ragazza che chiaramente Will non conosceva, ma che era sicuro Becca conoscesse bene – e Aiden, meglio di lei. If u know. La ringraziò mentalmente per il tempismo, non poteva permettere che Becca parlasse con Aiden in un frangente così delicato, quindi si alzò spegnendo la sigaretta sotto la suola e calciando poi la cicca fra i cespugli quali. «sarà stata quella troietta di kayla» sibilò con voce acuta mimando un tono femminile, prima di passarsi le dita fra i fini capelli biondi. «prova a chiedere a lei. in effetti, ora che ci penso… l’ho vista andare alla torre di astronomia con un fagotto fra le braccia…» corrugò le sopracciglia fingendo di riflettere, il labbro inferiore morso fra i denti. «ma avrebbe potuto essere qualunque cosa. C’erano degli strani…» com’è che era fatto il vestito di Becca? Aveva dei… «affari di pizzo, fiori. Boh. ho da fare, non posso aiutarti» Gesticolò scuotendo poi il capo, le spalle strette fra loro.
    Sks Bekka, lo faccio x te. Aiden, arrivo.
    XOXO,
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    Senti, D, non possiamo fare più tardi? il ragazzino nemmeno la guardava negli occhi parlandole, impegnato com'era nel tentare di vedere, oltre alla slanciata figura della Corvonero, quella di Becca, che per colpa della rossa aveva perso di vista. No, Aiden. Io voglio parlare adesso. replicò allora Dana che, in tutta risposta, pareva spostarsi apposta per coprirgli la visuale, cosa alla quale, dopo qualche istante, Aiden reagì incrociando le braccia sul petto e dedicando un'occhiataccia stizzita alla giovane davanti a lui. Ma si può sapere che hai? Ho un impegno. Sono di fretta. E' da due settimane che non mi consideri minimamente e proprio adesso mi imponi la tua presenza? Dana aprì la bocca come scioccata, visibilmente infastidita e alla ricerca delle parole giuste da rivolgere al biondo, che pareva avrebbe potuto picchiare da un momento all'altro se non fossero stati in mezzo a tutta quella gente. Ma certo, è ovvio. D'altronde, tu ti sei sempre sentito come se la mia presenza ti fosse stata imposta. Un dovere. Un compito a casa. E una volta portato a termine... il Winston scrutò le iridi azzurrine della giovane, indeciso sul da farsi. Perlomeno, si era finalmente decisa a dirgli ciò che non andava, anche se sperava non l'avrebbe messa in quei termini. Era chiaro che i due si fossero fraintesi su quello che c'era fra loro ed Aiden, al quale non era mai capitato di dover fare una cosa del genere - DTR - non sapeva assolutamente dove mettere le mani diversamente da due settimane prima, quando le sue mani sapevano perfettamente qual era il loro posto. Non voleva ferirla, questo no di certo, ma alla fine non era nemmeno disposto a lasciarla nell'illusione che il loro fosse un rapporto immaginario, che Dana si era inventata nella sua dolce testolina che il tasso credeva funzionasse in maniera ben diversa. E dire che inizialmente era stato lui quello preso da lei, che si immaginava, in futuro, qualcosa di serio, magari. Fossero andati un poco più lenti, si fosse lei buttata meno in quella relazione, forse...Va bene. Parliamo, allora. concesse allora il ragazzo, lasciando scivolare le mani nella tasca della divisa e misurando le sue parole. Credo...credo ci sia stato un malinteso. Mi pare di capire che tu sia leggermente gelosa del mio avvicinamento a Rebecca Levitt. Non...hai il motivo di esserlo, Dana. Il nostro rapporto non è esclusivo. E, ora come ora... sapeva che dirlo sarebbe significato lanciare una bomba che gli avrebbe causato più problemi di quanti ne volesse...ma sapeva che lasciarla nel dubbio sarebbe stato ancora più antipatico. ...non siamo più che semplici amici. ci fu un lungo silenzio, durante il quale entrambi si guardarono negli occhi, lui tranquillo, lei con la rabbia che montava lentamente, mostrandosi sul suo volto. Amici?Amici. Ancora silenzio. Poi, la valanga d'insulti a lui, i suoi avi e tutta la sua discendenza gli cadde addosso con una violenza tale che lui, annoiato ma al contempo leggermente in colpa non poté fare altro che spostarsi da lì e distanziarsi dalla rossa in tutta velocità, mentre quella, frustrata, continuava ad urlargli contro da lontano. Sperava avrebbe reagito in modo nettamente più maturo ma, come diceva sempre suo nonno, le persone non le possiamo fare con la creta. Errore suo, errore di Dana, poco importava. Entrambi si erano sbagliati, per lui era pace fatta. L'amore era una cosa talmente semplice, allora. Tutta poesie e incomprensioni spiegate con toni gentili. Forse era semplice perché non era davvero amore, chi può dirlo. Con Rebecca, Aiden ancora non lo sapeva, sarebbe stato tutto estremamente differente. E, a proposito di Rebecca, se la ritrovò davanti, bella come non mai, al termine della sua corsa. Hey. Le dedicò un sorriso, passandosi una mano fra i capelli tentando di non dare troppo a vedere il suo fiatone. La osservò dalle radici dei capelli alla punta dei piedi, in tutto il suo splendore. era sicuro di averla vista...leggermente diversa, poco prima. Ma poco importava: era indubbiamente lei. Scusami se ti ho fatto aspettare. ho avuto un piccolo...contrattempo. sorrise ancora, mettendo in mostra le due fossette su entrambe le sue guance. Allora, mi hai chiesto di vederci: come posso esserle d'aiuto, milady?

    Aiden Winston
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    La mente dei bambini poteva essere sinceramente fantasiosa, e questo rebecca lo sapeva. O meglio, ne era a suo modo a conoscenza, perché dietro quell'aspetto un po' frivolo, dietro quei grandi occhioni – o quella furia cieca che l'aveva contraddistinta per anni – rebecca aveva un cervellino niente male, e nel suo essere (stata) una violenta barbara degna del trono dei vichinghi, qualcosa iniziava a sospettarlo, un campanello d'allarme, chiamiamolo, che iniziava a trillare sotto sotto come nel volerla avvisare di qualcosa di cui, naturalmente, rebecca levitt non avrebbe minimamente potuto preoccuparsi.
    Come nessun altro.
    Perché ciò che stava andando a succedere, avrebbe sconvolto chiunque, persino una così inflessibile rebecca, adesso impegnata a fissare con un velato imbarazzo il suo compagno, mordicchiandosi appena il labbro come a voler scacciare una terribile sensazione di soffocamento alla bocca dello stomaco. Sapeva come tutto ciò fosse sciocco... suvvia, perché comportarsi così, quando palesemente poteva dire che le cose stessero andando bene – finalmente, dopo un po' di tempo. Erano tutti felici, sereni, quasi da happy ending; eppure rebecca quella sgradevole sensazione da “puzza di bruciato” non riusciva ad ignorarla come avrebbe dovuto, specie stando di fronte ad un amico che avrebbe dovuto notare come ora le cose stessero finalmente funzionando, fra lei e aiden.
    Erano così teneri.
    Perché pensare che qualcuno li stesse sabotando?, qualcuno, poi, a lei particolarmente caro – la cosa la rendeva estremamente impacciata, più del ragionare su cosa stesse effettivamente per chiedere al corvonero, ma come al solito il barrow ebbe il meraviglioso potere di calmare le acque, superando la prima soglia di imbarazzo con un efficace «sì becca, è la mia bacchetta, ma sono anche felice di vederti» che la portò a sorridere appena, sentendo le spalle sciogliersi così come la lingua, che dopo un lungo sospiro le permise di parlare – e già nel pronunciare poche parole, rebecca si sentì una sciocca: come poteva davvero insinuare che william barrow, a lei fidato, stesse in qualche modo complottando contro la sua felicità? ah. ah. ah., avanti, «lo so, è assurdo. Mi sento scema» «innanzitutto, non faccio caso ai “vestiti”. Sai che quella è roba da mitch» si morse la lingua colpevole, chinando il capo – che cavolo ci faceva lì, ancora non sapeva spiegarselo.
    Eppure c'era quel sesto senso, quella caratteristica peculiare, la legge di murphy – insomma, una serie di cazzate che l'aveva portata lì di fronte ad uno dei suoi più cari amici. Già.
    In ogni caso, qualunque cosa cercasse di dire will era letteralmente partito a manetta, chiudendole la bocca con una serie decisamente logica di frasi dal significato decisamente sottile: ognuno aveva i suoi modi di zittire le persone, e se lei era sempre stata tipa da mani, il barrow scivolava sulle parole, sui discorsi con una grazia invidiabile, facendola sentire in pochi istanti perfettamente fuori luogo con la sua richiesta. «in secondo luogo, per quale motivo dovrei sapere dove lasci i tuoi abiti, becca? se li tenessi addosso, non correresti rischio di perderli» «prego? questa senza ombra di dubbio non se l'aspettava, e per un attimo un lampo di indignazione le attraversò lo sguardo, accendendo quel nocciola che ormai da qualche mese a quella parte sembrava il riflesso del lago più tranquillo dell'universo. sembrava, appunto – quella strana insinuazione fece ribollire stranamente veloce il sangue nelle sue vene, mal celando come quell'apparenza stesse stretta alla testarda personalità della ragazza... in ogni caso, che will l'avesse notato o meno, vi passò sopra senza darle modo di difendersi da quella strana accusa di essere una “classicista facilina!1!!”.
    E certamente il discorso non poté che passare in secondo piano quando will si sprecò in una bieca imitazione – nulla di veramente grave se messo a confronto con le parole che uscirono da quelle labbra davvero troppo veloci. Davvero troppo.
    «sarà stata quella troietta di kayla»
    Un momento di silenzio, in cui il sangue smise semplicemente di circolare, e il cervello ebbe un temporaneo black-out in cui vennero proiettati una decina di flashback sulla povera ragazza appena nominata.
    lo sapeva. ecco che cosa puzzava.
    Ecco da dove proveniva quell'odore di marcio che rebecca aveva iniziato a fiutare nel momento stesso in cui aveva scoperto della scomparsa del suo abito – «/dinkleberg/ kayla» avrebbe dovuto saperlo sin da subito – era puzza di troia, quella sgualdrina che proprio non si decideva a mollare la presa su ciò che territorialmente rebecca iniziava a considerare proprio... ignorando completamente il pensiero di aiden a tal proposito (ihih).
    L'antico rancore tornò a ribollire nelle vene della giovane, nulla era stata quella leggera vampata all'insolenza del barrow; quella lontana rabbia assopita per poter vestire i panni di un'altra lei, una lei migliore, una lei adatta a conquistare i cuori delle persone diverse da lei – tutti ragionamenti legittimi per quell'età. Meno legittimo era ciò che rebecca stava pensando della sgualdrina kayla, che a suo dire, aveva le ore contate. Fumò di rabbia di fronte al ragazzo, ma non stava più guardando lui... non stava più ascoltando le sue parole. Will non era più will – era solo da sfondo per la crescita sproporzionata del suo odio, manifesto in un improvviso cambio della smorfia sul viso, ora più rigido di una bacchetta cinese.
    Vuoti gli occhi fissarono giusto qualche istante quelli di will, ma nella sua mente poteva vedere quella bandiera rossa sventolare incitandola a muoversi, a vendicare il torto subito come se avesse appena scoperto kayla a letto con aiden. Una moria, avrebbe compiuto. «boh. Ho da fare, non posso aiutarti» e prima ancora che effettivamente rebecca realizzasse il saluto, il corvonero si dileguò in quel modo che avrebbe portato a sospettare chiunque – ma, come ripeterlo, rebecca non era una qualunque, e ormai il suo cervello si era letteralmente fossilizzato su un solo, tragico pensiero: quella banalissima zoccoletta le stava mettendo i bastoni fra le ruote.
    Fece retro marcia, e senza curarsi minimamente di chi le si stava mettendo in mezzo, iniziò con passo lesto e pesante ad attraversare i corridoi verso la torre di astronomia – ormai più simile ad un mercenario senza scrupoli che ad una ragazzina pronta a tirare qualche ciocca di extension.
    no. rebecca non menava le mani così, e tutti lì dentro lo sapevano; per questo motivo, i furbi che avevano avuto modo di riconoscere quello sguardo si spostavano prima di poter divenire degli intralci per lei; gli altri, sfortunati sciocchi, ricevettero spallate, gomitate, a tratti anche occhiate minatorie dirette alla propria vita, famiglia e animaletto domestico – non si faceva alcuno scrupolo, la levitt, nel frapporsi ed eliminare (non sempre fisicamente, per fortuna) chiunque le si mettesse fra i piedi. «ehi» la sciocca feccia ebbe il coraggio di aprir bocca, ma le manine minute seppero stringersi con efficacia al colletto del ragazzo, strappandogli il respiro di gola prima che lui potesse emettere un altro fiato; e lo fissò, con quegli occhi cagneschi che ora vedevano o tutto rosso o tutto bianco e nero, e quel ragazzo stava pericolosamente oscillando verso il primo «no beh, ecco, scusami» mollò la presa e spintonò indietro il ragazzotto, il quale si nascose dietro un suo amico atterrito quanto lui dalla forza di quelle due esili braccia, mentre rebecca proseguiva disinteressata delle loro piccole questioni, come se nemmeno fosse stata fermata.
    La troietta voleva giocare così, allora?, bene, le avrebbe dato modo di divertirsi.
    Fanculo tutti – sarebbe anche finita nella sala delle torture se necessario. E mentre camminava pensava – con una certa teatralità che ciaone proprio taylor swift – alla scaletta che avrebbe seguito una volta di fronte alla maledetta. Le avrebbe dato modo di renderle l'abito, magari anche scusarsi, e se fosse rimasta convinta della sua sincerità... avrebbe avuto pietà, in onore dei cambiamenti compiuti di recente.
    Un bieco sorriso apparve su quel visetto che esternamente sarebbe parso d'angelo.
    Avrebbe lasciato la scelta alla stronza.

    Riassumendo quanto successo in parole povere per evitare di creare disgusto e compassione per la povera kayla: Rebecca non aveva naturalmente trovato di suo gradimento la versione dell'altra ragazzina. Codesta infatti non aveva fatto altro che lamentare una certa... ingiustizia nei suoi confronti, in quel modo sarcastico che era tuttavia crollato dieci secondi dopo, quando rebecca aveva afferrato una ciocca dei capelli perfettamente ordinati della ragazza costringendo la testa di lei ad un'inclinazione rispetto al collo di ben 90 gradi – nulla di piacevole, specie se così a tradimento.
    Poi aveva piagnucolato qualcosa, con quella voce a dir poco snervante; non erano servite a molto le tenere parole della grifondoro, kayla continuava a raccontare di non sapere assolutamente nulla del suo abito e che forse avrebbe dovuto imparare a tenere da conto le cose a cui teneva – frase decisamente di troppo; frase che alle orecchie di rebecca era suonata come un'automatica ammissione di colpevolezza, già solo per lo sbieco sorrisetto con cui era stata accompagnata. Fregava niente del resto, di quella vocina acuta che la supplicava quasi di lasciarla andare, che cercava di appellarsi disperatamente alle ultime settimane di pace passate senza il tormento della bestia che la levitt sapeva essere.
    Un pugno a quel punto non glielo aveva risparmiato nessuno.
    E ammettiamolo, fu la cosa più liberatoria mai fatta. Quasi come una sigaretta dopo troppo tempo; le nocche andarono a schiantarsi sul delicato setto nasale della ragazza, che con uno strillo spaventò tutti i fantasmi presenti nella torre, portandoli a correre ai ripari come se quel grido avesse il potere di straziarli... o l'ombra di rebecca vendicare il torto subito anche su di loro.
    Ora. Sarebbe stato sciocco negare che, in un certo senso, erano settimane che desiderava farlo: a lei, e a tutte le altre. Si era ripromessa di stare brava, ma, quelle troiette avevano iniziato ad alzare la cresta un po' troppo da quando rebecca aveva deciso di convertirsi ad uno stile di vita più “pacifico” e sereno – probabilmente pensando di poterne approfittare per fare i loro comodi senza un minimo di pudore.
    Come se bitch fosse il nuovo sinonimo di potente; oh no signorine – i pugni che tirava in faccia alle stronze erano sinonimo di potere, e avrebbe continuato a farlo, a finire nella sala delle torture e ad uscirci ugualmente orgogliosa come prima, se necessario. Aveva ancora due anni pieni; e anche a costo di passarne tutti i giorni in sala torture, avrebbe ristabilito un po' di ordine nella sua vita.
    Tutti questi discorsi da un certo punto di vista iniziavano a gonfiare il suo ego: rimasta sola al centro dell'ultimo piano della torre, la giovane si affacciò alla finestra con un'espressione dannatamente rilassata – rasente la noia. Quella oca di kayla se l'era data a gambe piagnucolando e accusandola di averle rotto quel naso perfetto, minacciandola di ogni sorta di rivendicazione e vendetta e bla bla bla; nulla che potesse davvero turbare l'animo di rebecca. Le nocche le dolevano un poco, tant'è che piano iniziò a massaggiarle, ritrovandovi una strana abitudine che in un certo senso le era mancata – le nocche, sotto la pelle e le sue dita, si muovevano come se avessero vita propria, appena arrossate quelle centrali.
    Il tutto ebbe il magico potere di calmarla, rilassarla come da tempo non le succedeva: in un attimo i problemi si dissolsero, lasciando solo una tenue serenità nella sua anima. Già, quella era lei, e tornare ad essere se stessi faceva bene, dannatamente bene – ma al contempo una strana fitta alla tempia destra le ricordava, martellando, che lei era meglio di così. Poteva essere una persona migliore, senza scatti rabbiosi e infantili ripicche. Era decisamente meglio di così, e lui gliel'aveva sempre detto, quasi rinfacciandolo.
    Sorrise a quel ricordo, come se fosse sul punto di rivivere il momento sulla propria pelle – oltre che in immagini stranamente vivide. Mesi fa stampati nella testa come se si fosse trattato di poche ore prima.
    E prima di potersi effettivamente rendere conto della linea temporale, rebecca realizzò di aver completamente scordato l'appuntamento con aiden.
    «ma merlino buono» come si faceva ad essere così?!, senza aspettare la risposta divina, si gettò a rotta di collo fuori dalla stanza e giù per le scale, rischiando un po' di volte di precipitare e giungere prima del necessario in paradiso (o all'inferno, più probabilmente) – dicevo, come si può essere così possessive nei confronti di un ragazzo e poi scordarsi di un appuntamento con lui???, rebecca iniziava a temere di non avere tutte le rotelle al posto giusto, e trattenendo il respiro saltò gli ultimi scalini atterrando con un tonfo pesante al suolo.
    Era tardissimo.
    Non sperava più in molto: aveva perso tantissimo tempo nel raggiungere kayla, altro nel minacciarlo, poco in realtà nel metterle le mani addosso, e infine aveva completamente perso il conto dei minuti mentre il cervello si metteva a fare riflessioni sulla vita e sul destino di cui PROPRIO FREGAVA NIENTE – una parte di lei sognava aiden fermo ad aspettarla, con quel sorriso caldo da “non scappo, milady” sì insomma, quelle cose un po' da checca di cui lei per prima si vergognava; l'altra parte si mortificava, accusandola di aver appena sprecato l'occasione della vita – e mentre imboccava senza fiato e correndo il corridoio che l'avrebbe portata al luogo del loro appuntamento, non faceva altro che darsi della scema.
    Mannaggia a lei.
    Mannaggia a kayla; e un po' anche al destino, che evidentemente la odiava-- quindi perché non ricambiare?
    Rebecca levitt
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    Mitchell l’avrebbe ucciso.
    Con poca eleganza, il quindicenne William Yolo Barrow infilò una mano nello scollo del vestito sistemando un paio di tette che, per definizione, non gli appartenevano. Non stava neanche, neanche!, palpando qualche ragazzina negli angoli remoti del castello di Hogwarts – e lo rimpianse, il Corvonero. Gli piaceva la vagina, ma non lo soddisfaceva altrettanto possederla. Non si sentivano vuote, le donne? Sentiva già la mancanza delle palle – sì, perfino del sudore del sottopalla. Reclinò il capo all’indietro scrollando la testa con un ringhio poco umano, ma che in fin dei conti ben si addiceva a ReBestia Levitt: (tutti) nessuno avrebbe notato la differenza fra rebecca!will e canon!rebecca. Nessuno.
    E voltato l’angolo del corridoio di Hogwarts, fu esattamente così. Poteva fare il pigro, indolente, fastidioso adolescente quanto voleva, ma era sempre stato più brillante della media; il fatto che fosse solito tenere un profilo basso, non intaccava il suo reale livello di QI, indubbiamente superiore all’80% dei suoi compagni di scuola e non. Non si sarebbe definito un ragazzino prodigio perché puzzava di antiquato e pentagrammi musicali, né l’avrebbe mai coscienziosamente tirato fuori in un conflitto – ma se avesse voluto, se solo avesse voluto, avrebbe potuto spaccare a metà quella scuola senza neanche alzare un dito, seminando caos con le giuste parole ed i sorrisi nei momenti giusti.
    Non lo voleva, per inciso. Non ancora. Adattarsi ai modi di Rebecca, non era certo una sfida a) complessa b) che fosse disposto a perdere. La Levitt era una delle sue (unica) amiche, il che significava che romperle le ovaie rientrava nella lista dei suoi passatempi quotidiani, ma anche che la conosceva bene - abbastanza da sapere di star superando una linea invalicabile quel giorno. L’avrebbe diseredato, come minimo – ma solo se l’avesse scoperto.
    c) non era intenzionato a farsi scoprire.
    Osservatore di natura, non gli era mai stato difficile rimanere all’esterno di un qualunque circolo per poter studiare i soggetti presi in esame e come questi si comportassero con gli alti e slash o l’ambiente circostante; sapeva cosa gli era permesso fare e cosa invece evitare, nelle pudiche vesti della Grifondoro. Il fatto che nel suo piano fosse previsto essere meno Becca possibile, era un altro conto. Una storia che tutti voi, per vostra immensa gioia, avrete il piacere di leggere qui a breve.
    Con breve, intendo brevissimo.
    «Hey.»
    Con il senno di poi, William avrebbe ricordato quel giorno come non solo quello in cui aveva reciso i rapporti con Rebecca Levitt, ma anche come quello in cui era iniziato il suo problema con i Winston. Tutti lì, nell’adorabile sorriso caldo di Aiden. Per un fugace istante, fu tentato di mandare tutto a puttane chiudendo lì la romance con Becca; fu tentato di fargli ingoiare il sorriso con una gomitata nei denti, alzargli un dito medio, ed intimargli di non avvicinarsi mai più. Probabilmente, facendolo, avrebbe fatto un favore ad entrambi – ma all’epoca non poteva saperlo. All’epoca, il quindicenne Barrow, sapeva solamente che alla Grifondoro piacesse quel ragazzo; il suo intento, giuro, era di aiutarla. Essere un po’ più aperta ed un po’ meno Becca - ed anche tastare un po’ il terreno, giusto per fare l’iper protettivo. Biasimatelo se non si fidava dello sciupa femmine Winston con la sua Rebestia. Ricambiò il sorriso con altrettanto calore, l’indice a scivolare fra i corti capelli a caschetto. Ew, sono così lisci? Sì, caso mai vi fosse sfuggito, il piano aveva previsto che William prendesse la Polisucco così da avere l’aspetto della Levitt.
    A scanso di equivoci. Si era convinto notando che una parrucca vintage non bastasse – era troppo bello per essere scambiato per Rebecca. Deal with it. «ehilà» tentò perfino un approccio imbarazzato ma sicuro di sé, una dicotomia difficile da applicare per chiunque; non per il Barrow, certo. Di quei paradossi ci sopravviveva ed avrebbe imparato a viverci. «scusami se ti ho fatto aspettare. ho avuto un piccolo...contrattempo» Quasi, quasi!, si lasciò sfuggire una gutturale risata ironica e poco femminile, il tipo marchio dei bro quando si raccontavano un aneddoto particolarmente divertente. Assottigliò invece le palpebre, un sopracciglio arcuato. «non mi piacciono i ritardatari» scandì, pretenziosa, ammorbidendo la smorfia solo nell’incrociare gli occhi di lui.
    Ohmiodio stava flirtando con il cugino di Mitchell. Perché ti fai questo, Will? Perché sei un ottimo amico. Good point. «ma per te posso fare un eccezione» si espresse anche con un occhiolino – molto poco Becca, ma indubbiamente meglio della ginocchiata nello stomaco che la vera Rebecca gli avrebbe affibbiato. Lo sto facendo per te, amika. Un giorno te ne renderai conto.
    Ecco, bella domanda. Come poteva esserle d’aiuto? Cauta, allungò un braccio per sistemare le dita sul colletto stropicciato della camicia di lui, indugiando con il pollice sul suo pomo d’Adamo. «penso che dovremmo smetterla di girarci attorno,» strinse le dita attorno alla cravatta del Tassorosso. «ed aiutarci a vicenda» Lo stava per fare? buon Dio, . Potete giurarci. Con un sorriso che fu più per se stesso (grande Will! 6 il best!!) che per lui, lo attirò a sé colmando i diversi centimetri che li separavano, spingendosi perfino sulle punte per poterlo raggiungere meglio. Era segretatemene (ma neanche troppo.) convinto che Becca fosse un po’n troppo frigida, quindi decise di dare ad Aiden Winston quel che Rebestia non avrebbe mai potuto dargli: una bella pomiciata con tanto di durello – sì, lo sapeva per esperienza. Ecco, avendo avuto (e possibilmente, riavendolo a breve) un pene, poteva affermarlo con certezza: una paccata da semi erezione, ecco cosa ci voleva per convincere il Winton che Rebestia fosse la Bestia per lui. Lo spinse rudemente contro il muro, una mano premuta sul suo petto per mantenere l’equilibrio e l’altra ad avvolgersi sui corti capelli biondi. Sfiorò appena il naso di lui con il proprio, sfiorando le labbra con tenerezza, giusto per non mostrare subito il burbero lato William Barrow.
    Non è neanche il mio tipo!!!! Mise a tacere quel pensiero in favore di un bene più grande, ed aprì infine le labbra di Aiden con la propria lingua. Lo tirò maggiormente a sé per la cravatta, premendolo contro il corpo esile e sottile di Becca finchè non furono petto contro petto, respiro nel respiro, e lo baciò finchè di fiato non ne ebbe più ed ancora oltre, marchiando quel ricordo come indimenticabile ed inciso nella pietra. Sapete cosa lo avrebbe reso ancor più memorabile?
    Allontanarsi, languidi occhi scuri in quelli del Winston, e notare Rebestia originale poco distante.
    Beh.
    Si distanziò maggiormente, impedendo ad Aiden di vedere oltre le proprie spalle. Il sorriso che gli curvò la bocca, più nervoso che eccitato, fu solo per la Levitt. «beh guarda,» lanciò istintivamente un’occhiata al proprio polso malgrado non portasse alcun orologio. «devo proprio andare ho ripasso di cdcm. Ci si rebecca a lezione?» Sì? Era un sì? Sperava proprio di sì, perché doveva davvero andare.
    Iniziò a correre pur sapendo di aver già perso: ReBestia l’avrebbe trovato.
    Neanche il tempo di riavere le sue palle, e le avrebbe già perse.
    Non si perse d’animo, sprintando come una gazzella nel deserto. Se non avesse avuto quel maledetto vestito, magari ce l’avrebbe anche fatta – ed invece no, ruzzolò come una balla di fieno nel Far West.
    Goodbye my lover.
    Goodbye my friend.
    You have been the one.
    You have been the one for me.

    Salutò ciascun testicolo con onore e discrezione, prima di fronteggiare ReBestia.
    Perché lo sapeva, che sarebbe arrivata.

    You Sit And Stay I Don'T Obey // by ms. atelophobia
     
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