or did it all happen in another world?

erin x amalie ♥

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    Era difficile far innervosire Erin Chipmunks, ma perfino lei aveva i suoi limiti – dati, principalmente, dall’imbarazzo. Era estroversa e solare, ma ciò non significava affatto che non fosse timida in maniera a dir poco vertiginosa, quel genere di impaccio che colorava le guance di rosa e strozzava l’aria in gola impedendo al naturale meccanismo della respirazione di funzionare correttamente. Si coprì il viso con le mani a coppa, soffocando un singhiozzo esasperato sui palmi. «ARTEMUS» supplicò in uno strillo stridulo, evitando di guardare l’Elfo Domestico di fronte a sé.
    Ebbene, partiamo dal principio. Da un mese a quella parte, al Quartier Generale della Resistenza –dov’ella viveva e si nascondeva- era apparso un fantomatico Elfo Domestico del quale, tutti, si erano scrollati di dosso la responsabilità. Nessuno, ed Erin aveva chiesto proprio a tutti, sapeva come fosse arrivato a loro; ed avrebbero dovuto preoccuparsene, pensare a Talpe o Traditori, ma la verità era che Artemus, così si chiamava l’Elfo, ci aveva messo meno di un giorno per conquistarsi l’affetto di tutti i ribelli. Certo, però, che qualcosa nella sua testolina magica, non funzionava correttamente; si era convinto, come non mancava di mostrarle ogni giorno, che lei e Charles Doyle fossero una coppia.
    Una Coppia, vera - di quelle che rimangono sul divano tutta la domenica, sotto una sola coperta, a coccolarsi e darsi baci. Lei e CHARLIE. Non sarebbe stato così imbarazzante, se solo la Chipmunks non avesse avuto (ovviamente) una cotta per il biondino, così come la nutriva per qualunque essere umano sotto i venticinque anni. Non poteva farne a meno, lei: aveva troppo amore da donare, e non faceva razzismi di sorta verso nessuno. Quando, anche quel giorno, Artemus le propinò una torta a forma di cuore con scritti sopra il nome di lei e quello di Charlie, Erin non ne potè proprio più. «perché mi fai questo» aveva raggiunto un timbro vocale che neanche Mika, nei suoi pezzi più famosi, era mai riuscito a giungere. Sfiorava quasi la comunicazione ultra suoni dei delfini, con il viso sempre più affogato fra le proprie mani. Se avesse potuto, ci si sarebbe sotterrata. Emise un verso di pura frustrazione, facendo ricadere le braccia lungo i fianchi; lanciò un’occhiata corrucciata all’elfo, un pronunciato broncio a curvare le labbra verso il basso. «NATHAN, DIGLIELO TU» sbraitò, inclinando il capo all’indietro per far giungere la voce ovunque fosse il mimetico. «cosa? Chi è morto? CHI è MORTO? NON SONO I- uh, una torta» il Wellington sorrise ad Artemus ed infilò l’indice nella crema che ne decorava la superficie, per poi ficcarselo in bocca. In tutto quello, Erin si limitò a fissarlo. «che c’è? è buona» «nate, potresti dire ad artemus che io e charlie non stiamo insieme si morse il labbro inferiore con veemenza, i piedi ben piantati al suolo ed i pugni serrati. Tremava di indignazione e ferocia, la piccola Erin Chipmunks, mentre ad occhi socchiusi fissava il suo miglior amico. Nathan osservò il proprio dito, quindi tornò a guardare la torta, apparentemente vedendola per la prima volta – probabilmente, era proprio così. «oh» disse solo, quando lo sguardo scivolò sulle scritte. Si strinse nelle spalle, chinandosi per avvolgere le spalle dell’elfo con il proprio braccio. «arthie, hai scritto male “stich”» «WELLINGTON» ribattè ella con fervore, tornando a coprirsi il volto con le mani. Sotto i polpastrelli, sentiva le guance andare a fuoco; lo sapeva, lo sapeva che non avrebbe dovuto dire niente a Nathan, la comare per eccellenza. Ruotò il busto a destra e sinistra, un basso ringhio a vibrare sui palmi. «SEI IL MIO MIGLIOR AMICO, DOVRESTI AIUTARMI» «è quello che sto facendo» «nathan.» «erin?» «ti odio» ma che non fosse vero, lo sapevano entrambi. Erin Chipmunks si era trasferita ufficialmente al quartier generale della Resistenza sette anni prima, nel 2010; a quell’epoca, il luogo era ancora disabitato, ed ella ne era stata l’unica abitante per cinque, infiniti, anni. Sì, i ribelli andavano e venivano in continuazione cercando di dare al luogo una parvenza di casa, ma nessuno si fermava mai abbastanza a lungo da rimanere a tenerle compagnia in quelle notti che, anziché passare in un battito di ciglia, sembravano protrarsi per vite intere. Talvolta qualche resistente si addormentava sul luogo di lavoro, ma era così sporadico da poter essere definito eccezione, piuttosto che regola. Solamente due anni prima qualcuno era ufficialmente entrato nella sua vita per rimanerci, nel bene e nel male – ma sappiamo tutti, con il senno di poi, che si trattava del male: Nathan Wellington, dopo essere stato nei Laboratori ed aver finto la sua morte, si era trasferito a vivere al quartier generale. Da quel momento, lei e l’ex Tassorosso erano diventati inseparabili, come la nutella ed il burro d’arachidi nelle crepes di Giulia. Erin aveva Scott, certamente, ma lui… lui non sapeva della doppia vita di Erin Chipmunks. Non sapeva ch’ella era, sin dalla nascita, una Ribelle; non sapeva dove viveva, né che non aveva più i genitori (che non li aveva mai avuti), e di certo non era a conoscenza del fatto che uscire, per lei, fosse pericoloso. Non poteva, Scott, tenerle compagnia nelle uggiose giornate che la costringevano a letto. Quante volte avrebbe voluto dirglielo? Troppe, sempre. Ma sarebbe stato pericoloso, per lui; l’avrebbe messo in una posizione scomoda, costretto a scegliere fra la sua famiglia e lei. Erin non l’avrebbe mai posto di fronte ad una decisione di tale portata.
    Non avrebbe retto, se lui le avesse voltato le spalle. Non sarebbe riuscita a sopportarlo che, fra tutti, Scott potesse non volerla più nella sua vita.
    «bene» concluse infine, sistemandosi i due codini arrotolati sopra le orecchie (sì, era una fan di Pucca #wat), scrollandosi invisibile polvere dalle spalle della maglietta a maniche lunghe che indossava al di sotto della salopette. «vi lascio a divertirvi, tanto dovevo uscire» arcuò entrambe le sopracciglia muovendo il collo in una maniera molto sassy, guardando di sottecchi entrambi i suoi nemici. Guardare di sottecchi, per una ragazza alta un metro e tanta pazienza, significava essere poco più alta dell’elfo, e dover alzare di molto lo sguardo per incontrare il sorriso sghembo e divertito di Nathan. Stranamente, non si trattava di una delle sue solite finte uscite di scena, dove poi si guardava imbarazzata intorno senza trovare una reale via di fuga. Quel pomeriggio di metà Marzo, Erin Chipmunks aveva davvero un appuntamento ad attenderla.
    Anzi, doveva anche muoversi. Era in ritardissimo, l’appuntamento con Scott era alle cinque di quel pomeriggio, ed erano già le due! Ci metteva ben mezz’ora per arrivare a Wicked Park, eh. Okay, chiariamolo subito: Erin viveva d’aria, entusiasmo, e cibo spazzatura. Il fatto di avere l’ufficiale permesso di Sir Keanu Larrington per lasciare il quartier generale, l’aveva mandata così in estasi che non vedeva l’ora di mettere il muso fuori casa. La Chips, manco a doverlo specificare, amava uscire - motivo per cui si era sempre data alla fuga, quando impossibilitata a lasciare quelle mura. Amava guardare le persone, cercare di immaginarsi la loro vita; amava guardare gli alberi, dare una voce agli animali che le passavano di fianco. Amava respirare la libertà che, in tutti quegli anni, le era sempre stata preclusa.
    Amava fingersi una ragazzina normale, Erin Therese Chipmunks. Trovava sempre spunti per i suoi racconti, che con uno studiato nome in codice pubblicava su EFP (no, se vi dicessi il nome in codice non sarebbe più in segreto, e lei si era intestardita abbastanza da tenerlo nascosto a tutt- OKAY, sì, si chiamava erinlove. Contenti?), per questo girava sempre un taccuino ed una penna annotandosi tutti i prompt interessanti. Aveva sempre avuto tanta, troppa creatività, ed una a dir poco fervida immaginazione. Se le avessero dato una bacca ed una panchina come soggetti della sua narrazione, sarebbe stata in grado di dar vita ad un remake del Titanic – con la differenza che la sua storia avrebbe avuto un lieto fine, sempre.
    Erin Chipmunks ci credeva, nel lieto fine.

    Con lo zucchero filato rosa in una mano, scivolò fluida fra le famiglie che quel giorno avevano deciso di recarsi al luna park magico; masticò distrattamente i dolci fili rosa, le labbra impiastricciate e lo sguardo grigioverde a soffermarsi su ogni testa. Prese il telefono, scrollandolo un po’ data la scarsa rete che aleggiava nel mondo magico (elettrocineti, dove siete?) e solo in quel momento si rese conto delle decine, decine di messaggi ricevuti da Scott.
    - Erin scusa, oggi non posso uscire, tira aria strana in casa e ho paura #wat
    - Erin
    - Erin
    - Erin
    - Erin
    - Erin
    - ERIN
    - ERIN NON USCIRE
    - STAI USCENDO SENZA DI ME?
    - ERIN
    - Erin torna a casa
    - Oddio ti hanno uccisa, vero? Lo sapevo
    - Erin sei morta? Prendo la ouija
    - Chiamo skandar
    - Chi chiamo
    - Non lo sa dove sei
    - ERINNNNN
    - AAAAAAAAAA
    - AAAA
    - Ecco lo sapevo
    - Ti voglio bene erin per favore non morire senza di me
    - ERIN.
    Oh. La Chipmunks dischiuse le labbra sorpresa, le dita appiccicose a cercare di premere i tasti sul telefono. Quindi… Scott l’aveva tagliata? Alzò gli occhi al cielo, socchiudendo le palpebre per non rimanere accecata dalla luce del sole che quel giorno (stranamente) offriva a Londra ed al mondo magico una tiepida giornata di primavera anticipata. Non aveva alcuna voglia di tornare a casa, lei, ma non le piaceva rimanere sola. Digitò qualche emoji casuale per far sapere al suo fratello migliore amico che era viva (-erin, le emoji non bastano, come faccio a sapere che sei tu?? Seguito dall’audio di una inequivocabile Erin Chipmunks: «STO MANGIANDO NON RIESCO A SCRIVERE SONO VIVA A DOPO SI TI PERDONO CIAO»), quindi si sedette su una panchina a finire la sua merenda. Rimase affascinata da una bancarella che offriva giochi ai passanti – sparare alle lattine, lanciare i cerchi in piccoli e tozzi cilindri- e, come una bambina, gioì delle vittorie altrui e si avvilì per quelli a cui sarebbe bastato un altro giro per vincere un premio importante, come gli enormi pupazzi che pendevano dal soffitto del chiosco, ma che avevano preferito arrendersi. Non resistette, come prevedibile, alla tentazione di partecipare anche lei a quello svago.
    E questo dovrebbe bastare a spiegare per quale motivo, alle quattro del pomeriggio, la Chipmunks stesse osservando un sacchetto trasparente, contenente un dorato pesce rosso, con le sopracciglia corrugate. Quello, infine, era stato il suo premio.
    Lei non sapeva cosa farsene.
    Avrebbe potuto essere chiunque altro; Erin avrebbe potuto aspettare altri cinque secondi, o anticipare di poco quell’occhiata lanciata alla folla, e non vederla. Avrebbe potuto tornare a casa, una volta scoperto che Scott le aveva dato buca, e non incontrarla mai. Ma il destino, come sempre, era beffardo.
    Così, in un sorpreso battito di ciglia, la Chipmunks si ritrovò ad intercettare le iridi azzurre di una ragazzina dai capelli così chiari da sembrare argento, la pelle di un morbido bianco perlaceo. Non era particolarmente brava ad approcciarsi agli altri, Erin; era estroversa e solare, ma anche terribilmente timida. Eppure, con un istinto sopito ma sempre vigile, rimase ad osservarla ed abbozzò un sorriso goffo. Non potevano saperlo, Amalie ed Erin, ma loro si conoscevano; un’altra vita, un altro tempo, ma loro si conoscevano.
    E, nel bene o nel male, si sarebbero sempre conosciute. Funzionava così, con il destino.
    Si alzò in piedi raccogliendo la borsa a tracolla che aveva abbandonato al proprio fianco, e senza perdere di vista la chioma bionda della giovane, trotterellò nella sua direzione cercando di scansare il resto dei visitatori. «non è che, fortuitamente, a casa hai un acquario vuoto?»
    Perché fra tutti i modi in cui Erin Therese Chipmunks avrebbe potuto iniziare una conversazione, avrebbe sempre scelto quello sbagliato.
    Qualcosa, da suo padre, doveva pur averlo preso.
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    erin x charlie a san valentino:
    CITAZIONE
    49. GIFT: Un elfo domestico shipper che si convince voi siate una coppia, e si comporta come tale – cucina cene per due, vi organizza appuntamenti al buio #wat


    Edited by mephobia/ - 14/1/2018, 17:04
     
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    Sentiva sempre il bisogno di stare da sola, Amalie Shapherd. Lo sentiva fin da bambina, in ogni occasione le si presentasse davanti. Non era mai stata in grado di spiegarselo: tutti gli altri stavano in compagnia, interagivano tra loro, eppure per quanto lei ci provasse sentiva sempre che qualcosa era sbagliato. Ma non era il mondo intorno ad esserlo, ma lei stessa. Per anni aveva attribuito la causa alla sua famiglia: crescere tra la freddezza che caratterizzava gli Shapherd non era sicuramente semplice e salutare per una ragazzina, eppure la situazione non si era risolta del tutto da quando si era trasferita ad Hogwarts. La maggior parte del tempo si sentiva bene, eppure c’erano sempre quei momenti in cui desiderava, anzi, sentiva un bisogno fisico di stare sola. Di rifugiarsi nel suoi pensieri e non interagire con nessuno. Quello, sicuramente , era uno di quei giorni.

    La giornata non era iniziata nemmeno da due ore, e si era già cacciata nei guai durante la lezione di Arti Oscure nel momento in cui si era rifiutata di lanciare un Incanto Ad Ignem su un babbano indifeso. ”è solo una prova”, le avevano detto. ”c’è il controincantesimo per annullarne l’effetto”, l’avevano rassicurata. Ma no, Amalie non ne sarebbe mai stata in grado. Né ora, né in un’altra vita, né tra altre mille vite. Il solo fatto di utilizzare esseri umani come cavie era spregevole e le faceva letteralmente venir voglia di urlare contro i professori, contro il preside, contro tutti. E poi torturarli come fossero semplici oggetti, quello era ancora peggio. No, non l’avrebbe mai fatto. Così, quando era arrivato il suo turno, si era messa a braccia conserte a fissare il muro davanti a lei. Non si era mossa di un centimetro, nemmeno sotto le ripetute minacce dell’insegnante. I suoi compagni non ci fecero nemmeno caso, tanto erano abituati al comportamento della bionda. «No, non lo faccio»
    Era fatta così, Amalie Shapherd, e se avesse continuato a camminare sulla propria strada si sarebbe cacciata in grossi guai, più grandi di quelli a cui era già abituata. «Sala torture, a fine lezione». Aveva annuito con decisione, per poi uscire dalla stanza senza guardarsi indietro: non ce la faceva più ad assistere a quello strazio e ormai era già pronta alla sua punizione, non poteva certo andare peggio di così.
    La corvonero riuscì a cavarsela con poco, rispetto agli standard della scuola: incassò diversi Exulcero senza poter far nulla per difendersi, rimanendo in silenzio e cercando di non urlare o mostrarsi debole mentre si sentiva la pelle andare in fiamme, per non dare alcuna soddisfazione , per dimostrare che a lei non importava nulla, l’importante era non obbedire a regole eticamente sbagliate, almeno dal suo punto di vita.
    Aveva sopportato in silenzio, eppure non ce l’aveva fatta a mantenere la calma nel momento in cui, tornata in sala grande per pranzare, si era ritrovata alcune delle sue concasate a chiederle il perché del suo comportamento. A guardarla con uno sguardo di sufficienza, come se quella sbagliata fosse lei per non essere riuscita a lanciare quell’incantesimo. Tanto poi lo hanno curato con il controincantesimo, dicevano. Ma come fate, si chiese tra sé e sé, con la voglia però di urlarle a gran voce quelle parole, come fate a torturare un innocente solo perché ve lo impongono. Probabilmente stava facendo un problema così grande su qualcosa che in realtà non lo era, eppure non riusciva a tranquillizzarsi. Per questo, si alzò di scatto dal tavolo senza finire di mangiare e tornò in camera. Aveva bisogno di stare sola. Eppure anche tra quelle mura si sentiva soffocare, così decise di uscire: tanto per quel pomeriggio non aveva alcuna lezione in programma, e poteva sempre rimandare il ripasso di Storia della Magia ad un altro giorno. In quel momento non era proprio dell’umore adatto . Così si tolse la divisa per indossare abiti più comodi, mondani, che usava sporadicamente eppure adorava.
    Usciva spesso da sola da Hogwarts quando poteva. Di solito seguiva tappe fisse: prima un tè caldo alla vaniglia ai Tre Manici di Scopa, per poi andare alla ricerca di qualche libro interessante in libreria – anche se la vasta gamma della biblioteca scolastica era insuperabile, sentiva sempre il bisogno di comprare i libri per sentirli suoi – ed infine spostarsi al Wicked Park seduta su una panchina provando a leggere : la metà delle volte finiva ad osservare i passanti e perdersi ad immaginare ciò che facevano nella vita, i loro pensieri, i loro sogni, le loro aspettative. La rilassava immergersi nelle vite altrui con l’immaginazione. Quel pomeriggio aveva ripetuto le stesse identiche azioni. La stessa noiosa e rassicurante routine. Eppure qualcosa era tremendamente diverso. Lo capì nel momento in cui, mentre vagava con lo sguardo tra i passanti, incrociò gli occhi di una ragazza dai lunghi capelli mori che sembrava avere la sua stessa età. Nel guardare lei scattò qualcosa: non era un semplice volto tra cento altri, qualcosa l’aveva spinta a fissare il suo sguardo e non passare oltre distrattamente come aveva sempre fatto. Dentro di sé, nella parte più remota e nascosta di se stessa, sapeva di conoscerla. Eppure non ricordava nulla, non poteva ricordare. Ma sapeva. Si stupì ancora di più quando la vide avanzare tra la folla, diretta proprio verso di lei. Le si parò davanti, porgendole un sacchetto di plastica con un pesciolino che sguizzava al suo interno. «non è che, fortuitamente, a casa hai un acquario vuoto?» Amalie all’inizio la guardò perplessa , per poi riprendersi e rispondere con un’alzata di spalle «Mi dispiace, non ho mai avuto un pesce » Avrebbe potuto finire la conversazione in questo modo. La mora voleva un acquario, lei non ce l’aveva, fine della storia. Eppure qualcosa la portò ad aprire di nuovo bocca, e dentro di se sentì il desiderio di solitudine dissolversi nel nulla. Non potevano certo saperlo, ma da dove venivano Erin ed Amalie non sapevano stare l’una senza l’altra «Però dovresti comprarglielo, è troppo carino per morire come i pesciolini che aveva quella bambina odiosa in “Nemo”» Aveva seriamente citato un film d’animazione della Disney? Sì, l’aveva fatto. Di certo non era una cima nelle conversazioni, ma sentiva un bisogno irreprimibile di continuare a parlare con quella ragazza.«Se vuoi posso accompagnarti, tanto non ho nient'altro da fare»

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    Edited by ‚quinn - 29/3/2017, 19:18
     
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    Erin Chipmunks era troppo genuina, per quel mondo. Bastava guardarla per capire che non era cresciuta come gli altri bambini, che aveva qualcosa di differente: la meraviglia con il quale guardava ogni cosa, per fare un esempio; la sincera e disinteressata curiosità nello studiare le vite altrui, priva della malizia che contraddistingueva, dall’origine, ciascun essere umano. Aveva quel modo peculiare di approcciarsi alla gente, che tendeva a ciondolare pigro fra l’invadenza ed il tremendamente goffo, che non poteva non suscitare un debole sorriso: perché con le persone, Erin, non ci sapeva fare.
    Eppure, piaceva sempre. Aveva la pulsante allegria dei cuccioli, la tenerezza d’un paio occhi semplici e trasparenti che non riuscivano, anche volendo – cosa che lei mai, in sedici anni, aveva cercato di fare-, a nascondere le traslucide emozioni che le vibravano nel petto. Teoricamente, dopo tutta una vita passata fra le fila della Resistenza, avrebbe dovuto essere una bugiarda provetta – figlia stessa della menzogna, dove l’essere sinceri era una condanna a morte. Avrebbe dovuto essere cinica, la Chipmunks; senz’altro, avrebbe dovuto evitare di approcciarsi a perfetti sconosciuti, anche quando questi potevano apparire del tutto innocui: dopotutto, lei non avrebbe dovuto essere lì - a viso scoperto, a cielo pulito.
    Tendenzialmente, per quanto le costasse, tendeva a tenere davvero, un profilo basso. Non spiccava fra la folla, non attirava occhiate curiose: passare inosservata non era affatto difficile, per la strega – quando, ovviamente, riusciva a limitare la propria incapacità di mantenere un equilibrio stabile. Estroversa, sì, anche quando non avrebbe dovuto, ma era assai raro che fosse la prima ad attaccar bottone con una perfetta sconosciuta (anche quando, la sconosciuta in questione, non sembrava più grande di lei). L’età, nel loro mondo, non significava nulla.
    Ed Amalie Shapherd, non sarebbe mai stata un’estranea, per Erin Therese Chipmunks. Avvicinarsi alla ragazza era stato naturale quanto respirare, uno di quegli impulsi così perentori che impedivano alla mente di bloccarli sul nascere - come quando, anni prima, aveva sorriso a Scott cancellando con il dorso le lacrime sulle guance. Un istinto così radicato, che il solo pensiero di ignorarlo pareva impossibile: ma non ci prestò la dovuta attenzione, Erin, la quale preferì incolpare le molestie alla ragazza con il proprio irrefrenabile bisogno di conoscere. Le sorrise imbarazzata, il dorso della mano sinistra a spostare una ciocca castana dall’angolo delle labbra. La giovane dai capelli pallidi come una luna piena la squadrò, le iridi di un impossibile azzurro a scontrarsi con il tenue calore del muschio di quelle di Erin, ed una strana sensazione le strinse lo stomaco. Non provava il nervosismo che solitamente l’affliggeva ai primi incontri: era una percezione del tutto differente, quella provata da Erin. Una specie di dejà vu, quasi che il tempo si fosse arrotolato su sé stesso per arrivarle alla schiena, bussandole alle spalle così da farsi riconoscere come pezzo d’un passato scordato.
    Quale ironia.
    «Mi dispiace, non ho mai avuto un pesce » che modo stupido per rompere il ghiaccio, quello scelto dalla ribelle. Se ne pentì l’esatto momento in cui la bionda le rispose, le labbra a piegarsi involontariamente in un espressione delusa. Era stata così sciocca da porre una domanda priva di scappatoia, incapace di poter costruire, da sé, un discorso – e la Chips non possedeva riflessi abbastanza pronti, per trattenere Amalie. Che poi, perché avrebbe dovuto? Era solo una perfetta sconosciuta fra altre perfette sconosciute; era stata perfino cordiale nel darle una risposta: molti altri, al suo posto, sarebbero semplicemente fuggiti.
    Ma Erin non voleva se ne andasse. Irrazionale e patetico, lo sapeva – ed erano due aggettivi che ben le si adattavano, fra l’altro – ma non… Era difficile vivere segregate al quartier generale. C’erano tanti ribelli che andavano e venivano, c’erano Jess e Nathan, ma non erano mai facce nuove: Erin voleva provare il brivido di fare amicizia, conoscere persone nuove che potessero dipingerle il mondo così come lo vivevano loro. voleva una lente differente attraverso cui filtrare la sua realtà, un punto di vista che le permettesse di viaggiare laddove fisicamente non poteva permetterselo. Era incredibilmente sciocco farsi tutte quelle aspettative su qualcuno che aveva incrociato per errore al luna park, ma era esattamente quella la sensazione che le lasciava lo sguardo color ghiaccio della bionda: un’altra possibilità.
    Di nuovo, ma quello non poteva saperlo.
    «Però dovresti comprarglielo, è troppo carino per morire come i pesciolini che aveva quella bambina odiosa in “Nemo”» Spontaneo, come tutto in Erin Chipmunks, il sorriso tornò a brillare sulle labbra piene, gli occhi verde muschio ad ammiccarle dietro le folte ciglia scure. Non era aggiornata sulle nuove uscite al cinema come qualunque altro adolescente, ma sui classici Disney (e sì, Alla ricerca di Nemo per sara Erin era un classico disney) era un guru. «DARLA! Quanto mi faceva piangere, quando scuoteva il sacchettino con i pesciolini. Quel film mi distrugge sempre ogni feels» si morse l’interno della guancia, un’occhiata più affettuosa verso il sacchetto trasparente contenente il suo pesce rosso. «ho sempre sognato di fare immersioni nell’oceano – dalla Sirenetta, eh. Sembra tutto così… blu! E i pesci suonano Okay, forse i pesci non suonavano… o forse sì? Non poteva saperlo, non avendo mai fatto immersioni. A dire il vero, il mare, neanche l’aveva mai visto. Il sorriso estasiato si sciolse lentamente, quando si rese conto di quanto aveva appena detto – perché non poteva semplicemente tenere la bocca chiusa, o limitarsi ai convenevoli come qualunque essere umano? No, figurarsi: Erin era una maestra nel prendere una conversazione normale, e renderla emblema dell’imbarazzo sociale.
    Doni di lignaggio.
    «sì cioè, volevo dire… la barriera corallina potrebbe estinguersi da un momento all’altro, mi piacerebbe vederla prima che accada» tirò fuori un argomento di conversazione che avrebbe potuto farla apparire (un filo più) intelligente: era sinceramente interessata all’attivismo ambientale, davvero. Ciò non toglieva che quella fosse una miserabile scusa con il quale togliersi dall’impaccio dei granchi cantanti. Sarebbe sembrata decisamente più matura e professionale, se nel mentre non avesse addentato nervosamente lo zucchero filato, tornando a riempirsi di soffici ragnatele per buona parte del viso.
    Evviva le prime impressioni.
    «Se vuoi posso accompagnarti, tanto non ho nient'altro da fare» Il cuore di Erin Therese Chipmunks, in quel momento, avrebbe potuto esploderle dal petto da un momento all’altro. La osservò sbattendo lentamente le ciglia, il sorriso ad allargarsi entusiasta sulle labbra, ed il sacchetto con il pesciolino ben stretto al petto. «davvero?» domandò, fra l’incredulo e l’emozionato, abbassando lo sguardo sulle punte dei propri piedi – una risatina nervosa a piegarle la bocca, quando poi rivolse ancora gli occhi sulla ragazza. «sei sicura? Non vorrei, mh…» non voleva cosa? Di certo non voleva darle scuse per ritrattare la proposta. Si morse la lingua. «GRAZIEMIFAREBBEMOLTOPIACERE» sbottò tutto d’un fiato, ogni muscolo del corpo a vibrare dell’energia irrequieta che l’aveva contraddistinta sin da bambina. «dove si comprano gli acquari? Me ne serve uno grande – e coperto. Luna, la mia gatta, è molto…» era davvero tanti aggettivi, Luna: pigra, volubile, ninja a tempo perso, gelosa, arrogante, intelligente – e portava gli occhiali da sole e le coroncine di fiori, meglio di Erin stessa: e lo sapeva, Luna; infida bestiola. Si strinse nelle spalle. «lunatica?» ma suonò più come una domanda, il naso arricciato e le palpebre socchiuse. «non vorrei lo scambiasse per sushi - È già abbastanza obesa di suo, e per lei tutto è cibo: una volta…» ecco, l’aveva fatto di nuovo. Se di suo era loquace, quand’era nervosa diventava letteralmente una macchinetta umana, incapace di porre un freno fra ciò che pensava, e ciò che diceva: raccontava semplicemente tutto quello che le passava per la mente, spesso perfino sentenze prive di alcun filo logico. Non riusciva a tenere alcun pensiero per sé, Erin: era troppo gonfia di sentimenti, per lasciar posto alle parole. A quelle, doveva trovare sfogo. «scusami, scusami.» inspirò e chiuse gli occhi, maledicendosi in tutte le lingue che conosceva (fortunatamente, solo una). «ignorami.» non andartene. «sono erin» tentò di rimediare, un mezzo sorriso impicciato e le guance colorate di un tenue rosa pastello, mentre tentava goffamente di reggere Pesce sull’avambraccio, allungando la mano verso la ragazzina. «vorrei dire che di solito sono meno imbarazzante, ma…» una risata nervosa, eppure sempre allegra, le graffiò il palato. «e forse non avrei dovuto dire neanche questo. Mi ignori di nuovo?»
    E solo Morgan sapeva quanta pazienza avesse avuto Mabel Winston, per diventare amica di Therese - la migliore.
    Sperava abbastanza per due vite intere.
    Letteralmente.

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    Fredda. Schiva. Diffidente. Questi gli aggettivi con cui, guardandola a prima vista, chiunque sarebbe stato portato a descriverla. Perché, anche sforzandosi di dimostrare il contrario, Amalie Shepherd appariva semplicemente distante. Due occhi color ghiaccio sempre puntati a fissare il vuoto e le labbra troppo spesso piegate in un accenno di sorriso , quasi imposto dalle circostanze: presente fisicamente ma, di testa e d’anima, completamente altrove. Le persone che la circondavano se ne accorgevano, e mentre c’era chi, come ad esempio la sua amica Syria Hollins, cercava di strapparla ai suoi pensieri e riportarla sulla terra reale, altri preferivano semplicemente ignorarla e rivolgere lo sguardo da un’altra parte. Era più semplice, più naturale, e di certo lei non ne soffriva. Anzi, amava di gran lunga quando le persone le passavano davanti senza nemmeno notarla. Quando la ragazza sapeva che in realtà l’avevano vista, ma semplicemente non si fermavano a parlarle e tiravano dritto per la loro strada.
    Eppure, dal momento in cui aveva incrociato gli occhi di Erin Therese Chipmunks, aveva sperato di avere l’effetto opposto. Dentro di se si augurava che per una volta, una sola minuscola volta, sarebbe apparsa diversa. Che quella sorta di maledizione che faceva tendere gli altri ad allontanarsi da lei, per una volta non avesse effetto. Di certo queste barriere le aveva innalzate di sua spontanea volontà, ma crescere in una famiglia in cui nessuno sembrava accorgersi della sua presenza le aveva decisamente spianato la strada. Guardando la mora davanti a lei però, aveva il desidero di abbatterle, o almeno abbassarle per un po’. Perché tra i tanti volti che riempivano il parco la ragazza si era fermata a parlare proprio con lei, e perché Amalie non aveva provato alcun fastidio nel venire interrotta mentre leggeva ma anzi, desiderava continuare a parlare, evento del tutto eccezionale. Sfortunatamente si vedeva quanto la bionda non fosse abituata a portare avanti una discussione: citare un personaggio di "Alla ricerca di Nemo" non era proprio il massimo per fare una bella impressione. E dunque si ritrovò a distendere le labbra in un sorriso, un vero sorriso, di quelli ampi e genuini, quando la ragazza le rispose senza guardarla di traverso ma, al contrario, sembrava persino entusiasta! Forse era il suo giorno fortunato. «DARLA! Quanto mi faceva piangere, quando scuoteva il sacchettino con i pesciolini. Quel film mi distrugge sempre ogni feels» Amalie non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma naturalmente anche a lei. Si può tranquillamente dire che sia cresciuta di classici Disney: i suoi cugini le facevano avere le loro cassette: le ricevevano sempre per regalo, ma entrambi erano più dediti ad attività materiali come stare all'aria aperta o provare ad andare sulla scopa volante dei loro genitori di nascosto. Non erano in grado di passare più di un quarto d'ora seduti e concentrati, e questo li portava a dare sempre i loro film alla cugina, che almeno li sapeva apprezzare. Probabilmente, alla Shepherd hanno dato più insegnamenti un gruppo di sceneggiatori di Los Angeles che i suoi genitori effettivi.
    «ho sempre sognato di fare immersioni nell’oceano – dalla Sirenetta, eh. Sembra tutto così… blu! E i pesci suonano!» Il sorriso della bionda si allargò ancora di più . Si riusciva ad identificare così bene nelle parole della ragazza! Anche lei aveva sempre sognato il mondo sottomarino e nelle sue fantasie era esattamente come descritto nelle vicende di Ariel e Nemo, anche se sapeva che la realtà era ben diversa: le sirene del loro mondo erano tutta un'altra cosa rispetto a quelle che immaginavano i babbani, creature pericolose e di certo poco ospitali. Eppure sognare non costava nulla. E forse, da qualche parte nell'oceano, c'era davvero un regno scintillante e affascinante come quello di re Tritone. Si era sempre chiesta come mai Ariel desiderasse così tanto andare sulla terra ferma: Amalie, al contrario, un luogo del genere non l'avrebbe mai lasciato. «sì cioè, volevo dire… la barriera corallina potrebbe estinguersi da un momento all’altro, mi piacerebbe vederla prima che accada» Notò dal modo in cui il tono di voce le si modificò leggermente come Erin sembrava iniziasse a sentirsi a disagio. "E la colpa è la mia perché me ne sto qui impalata senza dire nulla" In realtà aveva così tante cose da dire. Poteva raccontarle di come da piccola sognava di partecipare ad una festa ad Atlantide come invitata d'onore, ballare avendo le gambe sostituite dalla lunga coda avendo come sottofondo la musica prodotta dalle creature marine. Poteva dirle che era molto interessata alla barriera corallina o al mare in generale, anche se le volte in cui la sua pelle aveva sfiorato acqua diversa da quella uscita da un rubinetto si potevano contare sulla punta delle dita: una in gita durante il suo secondo anno di scuola elementare e seconda ed ultima quando ce l'aveva portata sua nonna, all'età di nove anni. Eppure tutto le sembrava così irrilevante, e non voleva davvero fare brutta figura o scocciare la mora con chiacchiere inutili: così, l'idea migliore le sembrò proporsi per accompagnarla a comprare un acquario. E, a giudicare dalla reazione di Erin, seppe che per una volta aveva detto la cosa giusta. per fortuna.
    «davvero? sei sicura? Non vorrei, mh…» sembrava incredula, e Amalie non perse tempo a rassicurarla perché voleva davvero accompagnarla, prima che la mora andasse via interpretando la sua esitazione come un rifiuto. Per una volta qualcuno sembrava felice della sua compagnia, e lei stessa voleva socializzare. Era un avvenimento talmente raro da non poterselo far sfuggire dalle mani. «Sul serio, per me non è un problema, mi fa piacere poterti aiutare!» Che l'altruismo fosse radicato nell'animo della ragazza, quello era un dato di fatto. Era sempre pronta ad aiutare chiunque - anche chi non le stava poi così simpatico - per il semplice gusto di rendersi utile e vedere gli altri felici. La felicità altrui era infatti per lei più importante di qualunque altra cosa, anche di se stessa. Ma in quell'occasione non era semplicemente il suo spirito da buona samaritana a muoverla , ma anche un desiderio egoistico: voleva accompagnarla perché stare con Erin non la faceva sentire fuori posto. Si trovava esattamente dove era tenuta ad essere. Ed era una sensazione davvero bella.
    «dove si comprano gli acquari? Me ne serve uno grande – e coperto. Luna, la mia gatta, è molto…» la vide mentre cercava l'aggettivo adatto. Descrivere un gatto non era certo un'impresa facile: ogni volta che le chiedevano com'era Eskild, lei rimaneva tre ore imbambolata senza dire nulla «lunatica? non vorrei lo scambiasse per sushi - È già abbastanza obesa di suo, e per lei tutto è cibo: una volta…» Si fermò all'improvviso, lasciando la frase a metà. «scusami, scusami.» Forse pensava di aver parlato troppo. Effettivamente lo aveva fatto, ma non poteva certo sapere che Amalie era molto più abituata ad ascoltare gli altri piuttosto che parlare: se non rispondeva nulla non era perché si stava annoiando, al contrario, le piaceva decisamente di più udire i fatti altrui piuttosto che raccontare i propri. Ma sapeva che, per chi non la conosceva, il suo rimanere in silenzio poteva essere interpretato male. «ignorami.» doveva rassicurarla: perché non voleva farle pensare che si stesse annoiando, anzi, e ancora di più non voleva che smettesse di parlare perché altrimenti toccava parlare a lei e non era proprio portata. "Ma le conversazioni normali funzionano così" Perciò aprì bocca e la trovata più intelligente del mondo le sembrò tirare in ballo il suo gatto, perché tra proprietari di gatti ci si capisce sempre, giusto? «Ma scherzi? Anche io ho un gatto e so cosa si prova...» Oddio, ecco un altro disastro: più che ad un animale sembrava alludere ad una malattia. «..nel senso, con Eskild devo stare attenta in ogni momento » Era vero, quel persiano l'aveva fatta dannare. Per prima cosa, distruggeva qualunque oggetto fatto di tessuto con i suoi artigli: coperte, tende, vestiti, il mondo per lui era un enorme tiragraffi. Poi era molto indipendente, anche rispetto al mangiare, e potevano passare giorni prima che decidesse di ripresentarsi ai piedi del suo letto, e nonostante ne fosse consapevole, Amalie non si era mai abituata del tutto così che quando non si faceva vedere per più di una settimana iniziava ad avere paura per la sua incolumità perché, per quanto non volesse ammetterlo, a quella palla di pelo ci teneva sul serio. «Ah che scema, Eskild è il mio gatto. Anche se forse l'avevi capito. Sicuramente l'avevi capito. O no?» Si stava incartando di nuovo . Benissimo. Di solito non le capitava perché beh, di solito avrebbe smorzato la conversazione molto prima. Ma c'è sempre una prima volta, giusto? «Vabbè che tu l'abbia già capito o no almeno ora lo sai per certo. È il mio gatto» Sarebbe riuscita ad arrivare senza morire di un attacco d'ansia o vergogna alla fine di quell'incontro ? O alla fine della giornata? O alla fine della vita, in generale? Probabilmente no.
    «sono erin» fu grata alla ragazza per averla strappata dalla sua riflessione sui gatti e sul suo essere così impacciata, riportandola sulla terra. Allungò subito la mano per stringere la sua. «vorrei dire che di solito sono meno imbarazzante, ma…e forse non avrei dovuto dire neanche questo. Mi ignori di nuovo?» La bionda non poté fare altri che sorridere a sua volta, più che sollevata dalle parole della ragazza. «Ti assicuro che nemmeno io solitamente mi incarto quando parlo» Il che era vero se si prendevano in considerazione le volte in cui la Shapherd aveva voglia di affilare più di cinque parole di seguito, e queste occasioni erano: quando rispondeva ad una domanda in classe, quando faceva valere le sue idee (e puntualmente finiva ad essere cordialmente invitata a recarsi in sala torture) e quando parlava con quelle poche persone che arrivava a definire "amiche". Ma queste erano tutte occasioni in cui si sentiva a suo agio e, non essendo abituata a parlare con persone dal nulla, non sapeva se si sarebbe comportata sempre così o quella era un'occasione particolare «In ogni caso, io sono amalie» e spero di non esserti sembrata strana perché a me stai già parecchio simpatica. Naturalmente non lo disse ad alta voce, ma lo pensò talmente intensamente che per un attimo ebbe paura che erin fosse telepatica: ci avrebbe fatto un'enorme figuraccia. Per non pensarci, si limitò ad aggiungere «comunque non so dove potrebbero vendere degli acquari, di solito questi acquisti li faccio a Diagon Alley» E via di nuovo con l'incartarsi. Per una che di solito non parla molto, quel giorno stava davvero dicendo troppo «Non è che compro acquari abitualmente! Intendevo le cose per gli animali, tipo gli accessori per i gatti. Eskild li adora» Non proprio. In realtà lei adorava comprarglieli e provare a farcelo giocare, ma nel giro di qualche giorno lui o li rompeva o li faceva sparire, ma Amalie non perdeva mai le speranze: prima o poi sarebbe riuscita a comprargli qualcosa che gli sarebbe piaciuto. Forse un pesce l'avrebbe apprezzato sul serio. «Comunque se qui si vincono pesci, a rigor di logica da qualche altra parte devono vendere acquari» si spera.
    Ironico come la Shapherd trovava così difficile scegliere le parole adatte da utilizzare in quella conversazione ed attribuiva la colpa al fatto che semplicemente non fosse abituata a parlare con persone nuove, mentre in realtà la ragazza che aveva davanti era una delle persone che conosceva da più tempo. Da una vita intera. Solo che, sfortunatamente, nessuna delle due poteva ricordarlo.

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    Edited by ‚quinn - 2/8/2017, 16:46
     
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    Dicevano che del cervello non venisse che usato solamente il 10%, ed Erin aveva sempre trovato quella teoria assai affascinante: in cosa consisteva, il restante novanta? Taluni maghi credevano che il gene magico permettesse di sbloccare parte di quella materia grigia incomprensibile, e che fosse sempre quel lato che i Dottori, dando nuovi poteri, avevano compreso come attivare. Per quanto Erin fosse una ragazza curiosa, tendeva ad informarsi assai di rado sulla veridicità del sentito dire: preferiva fantasticare, immaginare universi alternativi ed utopici, creare teorie prive di dati fatto, e che qualunque persona con un minimo di senno in più, avrebbe potuto smontare. Fortuna che la Chipmunks, di quel genere di persone, non ne conoscesse affatto: poteva passare ore, coricata nella serra con le dita intrecciate sullo stomaco, ad immaginare, insieme a Nathan e Jess, un mondo completamente diverso.
    E se avessero sviluppato un altro dito? Avrebbero dovuto fare un sacco di guanti nuovi.
    E se la parte nascosta del cervello racchiudesse vite passate ed ora dimenticate? Io ero sicuramente una farfalla.
    E se ciò che quel 90% potrebbe rivelare, cambiasse la realtà così come la conoscevamo? Magari siamo frutto di un sogno.
    Magari neanche esistevano, Erin Chipmunks, Nathan Wellington, e Jessalyn Goodwin – magari erano personaggi di un gioco di ruolo. Ed allora si andava sempre a parare nello stesso discorso, un chiodo ormai fisso nella delicata mente di Erin: voi ci credete, nel destino? Era una di quelle domande complesse che tendevano a semplificare la vita. Il destino altro non era che un capro espiatorio sul quale far ricadere le proprie colpe, una spugna con la quale cancellare i rimpianti di scelte sbagliate o affrettate. O almeno, questo era per la maggior parte degli esseri umani, coloro che tendevano a macchiare ogni situazione con la punta di cinismo necessaria a distinguere realtà da sogno – di conseguenza, non un discorso applicabile ad Erin. Per lei, destino, era il susseguirsi di eventi che, la vigilia di Natale del duemilaotto, l’aveva portata sulla panchina dove sedeva Scott: le sarebbe bastato tardare di dieci minuti, per non trovarlo; era l’essere andata, due anni dopo, a vivere al Quartier Generale: avrebbe potuto adottarla una famiglia qualunque, ma era stata la Causa, alla fine, a renderla propria figlia; destino erano le scelte che avevano portato Nathan e Jess a convertirsi alla Ribellione, malgrado quel mondo facesse di tutto per remar loro contro; destino era Patrick che, fra tutti i ragazzini esistenti, aveva deciso di adottare Skandar.
    Per lei destino era tutto ciò che di bello il mondo le aveva offerto, qualcosa che altrimenti avrebbe potuto perdersi: che Erin sarebbe stata, se anni prima non avesse conosciuto Scott? Se la Resistenza l’avesse abbandonata? Se non avesse mai incontrato Nathan, Jess o Skandar?
    Certamente, non quella che quel giorno si trovava al parco giochi, il mento sporco di zucchero e gli occhi lucidi di allegria. E se Scott, quel giorno, non le avesse dato buca, non avrebbe mai conosciuto Amalie. Ritrovato, Amalie.
    Erin Therese Chipmunks, sedici anni, non poteva credere a simili coincidenze; sentiva, nel profondo di quel cuore al sapore di panna e fragole, che si trattava di fatti che non potevano, non accadere – se non avesse incontrato Scott su quella panchina, l’avrebbe fatto il giorno successivo. Avrebbe incrociato Nathan e Jess allo zoo, e sarebbero stati suoi amici comunque. Avrebbe incontrato Skandar su un sito di giochi online, e l’avrebbe conosciuto comunque.
    E se non avesse trovato Amalie quel giorno, l’avrebbe fatto un altro. Lo sentiva, Erin: era come un clic, ma meno invadente e rumoroso. Forse era lei ad essere esagerata, un’anima romantica che vedeva predestinazione ovunque – e probabilmente, a dire il vero, era proprio così – eppure non poteva fare a meno, guardando di sottecchi il profilo dai tratti morbidi della ragazza, di crederci davvero. Erano cose che sentivi e basta per cui, almeno dal punto di vista di Erin, non c’era bisogno di farsi domande. «Sul serio, per me non è un problema, mi fa piacere poterti aiutare!» Qualunque persona avrebbe convenuto sul fatto che fosse raro, di quei tempi, incontrare persone gentili e disponibili: Erin, come sempre, non faceva parte della categoria. A stupirla non era il fatto che la bionda fosse cordiale, ma che lo fosse con lei: in quell’impeto d’amore plateale che talvolta (sempre) le capitava di provare verso gli altri, avrebbe voluto abbracciarla e ringraziarla per quell’opportunità, promettendole che non se ne sarebbe pentita – anche se, siamo seri, probabilmente l’avrebbe fatto. «grazie» si limitò a ripetere, allora, lasciando che quella vena d’affetto solo apparentemente ingiustificato brillasse negli occhi grigioverdi, un sorriso sincero e contagioso a piegarle le labbra. Aprì la bocca per dire qualcosa, tipo sono felice tu non mi abbia preso per una maniaca!, ma la richiuse rendendosi conto di quanto ancora più maniaca potesse apparire.
    Sfortunatamente, non ebbe una tale prontezza di riflessi per fermare il fiume di parole successive, logorroico e privo di senso quanto la Chipmunks stessa: non poteva farci niente, non aveva controllo sulla propria bocca. Davvero. E più cercava di apparire normale, più il Fato si faceva beffe di lei costringendola, ne era certa, ad apparire più molesta ed inopportuna del dovuto.
    Tutto da vedere, se quella sfida fosse per Erin, o per Amalie.
    Ma chi vogliamo prendere in giro, per Amalie: se sopravviveva a quella Erin, sarebbe sopravvissuta a tutto, nella vita.
    Perfino a due fratelli rincoglioniti – ma questa, signori, è un’altra storia.
    Il motivo per il quale, in un momento di crisi mistica, si fosse lasciata andare a considerazioni sul suo gatto, non era certo un mistero: Erin Therese Chipmunks amava Luna, come una madre avrebbe amato suo figlio. Era la sua compagna fidata, nonché colei che si sorbiva tutte, ma dico tutte, le tracce sulle sue nuove fanfiction. Talvolta chiedeva a Nathan cosa dicesse, sapeva che poteva comunicare con gli animali, ma lui si limitava a dire “Ha detto che devi prendere una coca cola a Nathan”, il che le aveva fatto sottilmente intendere che avesse ben poco, Luna, da comunicare al mondo. Ma Erin la amava così. Chiaramente non si sarebbe trattato del miglior modo per rompere il ghiaccio, ma questo in linea prettamente ideale: per la fortuna di Erin, e dei nostri amici lettori, anche Amalie aveva un gatto. Visto? avrebbe voluto dirle, saltellando sul posto come una dodicenne al concerto di Justin Bieber. è destino! Ma per conversazioni di quel genere, avrebbe almeno, forse, lasciato passare un paio d’ore: si che Amalie si mostrava resistente, ma non voleva così tanto sfidare la sorte, la Chipmunks. «Ma scherzi? Anche io ho un gatto e so cosa si prova…nel senso, con Eskild devo stare attenta in ogni momento. Ah che scema, Eskild è il mio gatto. Anche se forse l'avevi capito. Sicuramente l'avevi capito. O no?» Stava mettendo in dubbio la sua intelligenza?
    Sperava di sì, almeno avrebbe saputo cosa aspettarsi dal futuro. Il sorriso andò allargandosi sul volto della Chips, un po’ estasiato dal fatto che avesse un gatto (il che, a prescindere, la includeva nella setta segreta i gatti sono amici non cibo #wat), sia perché pareva condividere quel disagio di fondo che, da sempre e per sempre, accompagnava Erin: lo sproloquio nervoso. Se entrambe avessero continuato così, a fine giornata avrebbero saputo l’una dell’altra tutte le inforandom più stupide ed inutili – quelle che sgusciavano sempre dalle labbra senza un vero motivo, ma che cimentavano un rapporto ancor prima che potesse essere definito tale. Era un nervosismo… buono, quello. Perché in realtà, tolta la peculiare loquacità di entrambe, Erin si trovava stranamente a suo agio: si vergognava per timore che la propria stranezza potesse far fuggire Amalie, ma non perché si sentisse in soggezione, o perché fosse una sconosciuta – anche se, teoricamente, avrebbe dovuto.
    Già detto che il Destino seguiva vie mistiche, inutile sottolinearlo.
    «In ogni caso, io sono amalie» La osservò, la stretta di mano delicata ma decisa. Se lo ripetè mentalmente così da essere certa di ricordarlo, i nomi non erano il suo forte, e si rese conto immediatamente che quel nome andò ad occupare un posto già fisso, nella sua memoria.
    Quasi avesse colmato una lacuna. Era così… musicale? Armonioso? «piacere di conoscerti» ammise, con quella sincerità negli occhi che non lasciava dubbi sulla veridicità di quel convenevole.
    Chissà se poteva usarlo in qualche fanfiction. Se necessario, l’avrebbe creditata.
    «Comunque se qui si vincono pesci, a rigor di logica da qualche altra parte devono vendere acquari» Sbattè le ciglia, facendo guizzare lo sguardo dal pesciolino ad Amalie. Vorrei dire che anche lei, ovviamente era giunta ad una tale considerazione, ma la verità era che non le aveva sfiorato minimante l’anticamera del cervello: doveva essere una Corvonero, le avevano detto che erano quelli intelligenti. Convenne con un secco cenno del capo, quindi fece spallucce. «immagino di sì?» non proprio convinto. «BEH, lo scopriremo: andiamo all’avventura!» Alzò (piano, non voleva spaventarlo) il sacchetto con il pesce rosso verso il cielo, il sorriso a brillare tenace sulle labbra carnose. Dopo essersi guardata attorno una manciata di secondi, lanciò un’occhiata ad Amalie e cominciò a camminare a caso, confidando che da qualche parte sarebbero giunte. Magari potevano comprare materiale per il fai da te, e costruirne uno – ma forse era un po’ presto per proporle il bricolage.
    Oppure no.
    «vai ad hogwarts?» le domandò speranzosa, osservandola di sottecchi. Erano pochi i ribelli ancora studenti che frequentavano il quartier generale, e coloro che già ne erano usciti, tendevano a parlarne il meno possibile – ma Erin era troppo curiosa, di quel mondo che le apparteneva, ma che mai aveva avuto. Voleva farsi raccontare tutto, di quel castello. Di quella vita. Abbracciò il sacchetto con il Pesciolino al petto, temendo che altrimenti l’avrebbe sballonzolato troppo. «e dobbiamo trovargli un nome» riflettè ad alta voce, le sopracciglia corrugate. Dobbiamo, di nuovo: aveva usato il plurale, malgrado Amalie non fosse altro che una vittima dell’imbarazzo sociale di Erin. «cioè, se ti va. Insieme, insomma. Qualcosa di carino» un sorriso impacciato, la testa lievemente reclinata a far scivolare una ciocca di capelli scuri sugli occhi.
    E come potevano, Erin ed Amalie, sapere che il nome che avrebbero scelto per quel pesce, testimone di un’amicizia a sbocciare nella sua seconda primavera, sarebbe stato qualcosa di già scelto - in un’altra vita, in un altro tempo.
    Sempre questione di destino.
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    Amalie Shapherd era una ragazza razionale. Razionale quando doveva prendere una decisione. Razionale quando preferiva di gran lunga rimanere in dormitorio, piuttosto che prendere parte ai piani che qualche volta le proponevano le sue amiche, perché sapeva che l'avrebbero messa nei guai. Razionale anche in quei momenti in cui nei guai ci si metteva da sola, guadagnandosi ore in sala torture, per non aver tenuto la bocca chiusa: nella sua testa, esprimere la propria opinione era una delle cose più importanti al mondo ma non lo faceva senza aver prima ben riflettuto sulle parole da usare o sul messaggio che voleva trasmettere. Che poi le sue idee non fossero condivise dalla politica della scuola, o del loro mondo in generale, quella era un'altra storia.
    In ogni singola scelta, la Shapherd dava retta a ciò che le consigliava la sua testa e metteva da parte il suo istinto. O almeno, ci provava. Non si rendeva nemmeno conto che c'erano momenti in cui le era impossibile farlo. O meglio, persone con cui le era impossibile farlo. Una mente troppo rigorosa per accettare delle anomalie, anche quando erano palesemente di fronte a lei. Eppure c'erano stati momenti in cui si era fidata dell'istinto senza rendersene conto.
    Si era fidata quando aveva incontrato per la prima volta Maeve Winston, e non aveva sentito più il bisogno di tenere alte le difese che per anni si era costruita intorno. Non era stata razionale.
    Si era fidata quando aveva incrociato in corridoio gli occhi di Dakota Wayne e, invece che spostare lo sguardo altrove, si era soffermata un attimo in più, rivolgendogli un sorriso sincero. Non era stata razionale.
    Si era fidata quando dagli spalti del campo da quidditch aveva adocchiato Joey Moonarie e, vedendo lo sforzo e la passione che investiva nel giocare, aveva decretato di volergli bene. Non era stata razionale.
    Si era fidata quando, la prima volta che aveva preso il treno diretto ad Hogwarts, aveva deciso di sedersi nello stesso vagone di Barrow Cooper e mezz'ora dopo aveva deciso che non lo sopportava. Non era stata razionale, perché il ragazzo non le aveva dato un effettivo motivo per farsi odiare, e perché Amalie stessa non odiava mai nessuno gratuitamente. Eppure, qualcosa l'aveva portata a farlo: quel meccanismo di difesa che aveva eretto anni prima, una vita intera prima, per proteggere i propri sentimenti e non esporsi agli altri. Quel meccanismo che si era attivato da solo, irrazionalmente, quando aveva incrociato gli occhi di Barry.
    E si stava fidando quel giorno, mostrandosi solare ed un po' troppo impacciata ad Erin Chipmunks ed offrendosi di aiutarla a trovare l'acquario. In fondo, la mora davanti a lei era solamente una sconosciuta, eppure non aveva la sensazione che lo fosse.
    Non aveva mai creduto nel destino, Amalie, eppure se avesse esaminato con attenzione questi incontri, forse si sarebbe dovuta ricredere. Ma non ci aveva mai fatto troppo caso, non gli aveva mai dato troppo peso, e queste persone erano entrate nella sua vita e ne avevano occupato un posto importante senza che lei se ne rendesse conto.

    «BEH, lo scopriremo: andiamo all’avventura!» Non riuscì a trattenere un sorriso mentre vedeva la mora che alzava in cielo il sacchetto con il pesciolino. E la seguì senza esitazione, quando la vide incominciare a camminare. Dirette dove, poi? Per Amalie in quel momento non aveva molta importanza. Le bastava trovarsi lì, con la Chip e la gioia inaspettata che l'aveva invasa.
    «vai ad hogwarts?» Si girò verso la ragazza. Fino a quel momento non ci aveva riflettuto, eppure sembrava avere la sua stessa età, e non l'aveva mai vista prima. Due erano le possibilità: o frequentava anche lei hogwarts ma non usciva mai dal dormitorio e possedeva un mantello dell'invisibilità per frequentare le lezioni oppure, cosa più plausibile, frequentava un'altra scuola o proprio nessuna. « si, sono al sesto anno! Ed a pensarci è piuttosto deprimente, dato che non so come farò il prossimo anno quando dovrò dirgli addio. » Ci pensava spesso, e le faceva paura ogni singola volta: non conosceva un'altra casa, un altro posto in cui sentirsi al sicuro, al di fuori di Hogwarts. Per tutta la sua infanzia aveva avuto quegli spiragli di normalità e calore, nelle giornate che passava a casa di sua nonna, e quando era venuta a mancare fortunatamente aveva già iniziato la scuola da un po'. L'idea di tornare dai suoi genitori non la contemplava nemmeno lontanamente: era già un miracolo che si facesse viva a casa durante il periodo estivo, ma quei tre mesi erano comunque i più vuoti di tutto l'anno. Non avrebbe mai potuto sopportare di tornare a viverci a tempo pieno. Per questo, teoricamente doveva iniziare a pensare a cosa avrebbe fatto nella vita, eppure l'idea del futuro la terrorizzava: per il momento voleva continuare a godersi il tempo che le rimaneva ad Hogwarts senza ulteriori preoccupazioni. « Tu invece? » Anche se la possibilità che Erin frequentasse davvero la scuola di magia e stregoneria era praticamente sotto zero, la bionda sperò con tutto il cuore di non aver fatto una figuraccia colossale facendole quella domanda. Perché al fatto che le persone non si accorgessero di lei, beh, ci era abituata, quindi la domanda della mora non era una novità: quante volte gliel'avevano rivolta persone che incrociava per i corridoi tutti i giorni? Fin troppe. Ma a lei non aveva mai dato fastidio passare inosservata. Eppure non poteva calcolare la reazione di Erin, anche se pensava che, se l'avesse già vista, anche solo di sfuggita, si sarebbe ricordata di lei. Ne era certa.
    «e dobbiamo trovargli un nome» « giusto! » E come si trovava un nome ad un animale..? La Shapherd non era mai stata brava in queste cose, più che altro perché non aveva mai avuto bisogno di dare un nome a nulla. Il suo persiano era stato, anni prima, di sua nonna, quindi il nome l'aveva scelto lei. Il perché fosse andata a mettergli un nome scandinavo era un mistero irrisolto . Così come il perché Amalie stessa si chiamasse Amalie, e non Amelia o Amalia. Sua nonna probabilmente aveva un fetish per i paesi della Scandinavia. Perché era chiaro come il sole che il suo nome l'avesse scelto lei, e non i suoi genitori: perché mai avrebbero dovuto ritagliarsi del tempo per trovare un nome alla loro bambina? Non l'avrebbero mai fatto. «cioè, se ti va. Insieme, insomma. Qualcosa di carino» Era bello che la mora volesse prendere quella decisione insieme a lei. Ok, era solo un pesce rosso vinto ad un luna park, eppure allo stesso tempo non lo era. Era qualcosa di più. L'inizio di un'amicizia. La ripresa, di un'amicizia. Un legame che si era interrotto prima del tempo, e che adesso aveva la possibilità di riformarsi, ironicamente, proprio da una creaturina che per loro aveva sempre significato molto. « certo che mi va, solo che non so quanto convenga a te...- la Chip se ne sarebbe accorta in ogni caso, no? Non aveva senso fingere di essere una ragazza che non era -... voglio dire, non ho mai dato un nome a nulla, e la mia fantasia scarseggia...- non si era mai definita una persona creativa e l'unica fantasia di cui disponeva era quella che impiegava per immaginare gli scenari descritti nei libri. Ma quando lo faceva, la sua mente seguiva alla lettera le rappresentazioni date dagli autori dei romanzi: non si azzardava mai ad aggiungere particolari di sua spontanea volontà, proprio perchè non sapeva come farlo -...ma ci possiamo comunque provare, no? » Non voleva deludere Erin. Non l'aveva mai fatto, e di certo non aveva intenzione di farlo durante il loro primo incontro in quella vita, anche se non se ne rendeva conto.
    «Possiamo chiamarlo come un personaggio della Disney!» Insomma, da quella conversazione era venuto fuori che entrambe parlavano a vanvera fornendo informazioni random di sé, avevano un gatto a cui volevano molto bene ed erano appassionate di film d'animazione. E quest'ultimo era l'unico punto che avevano in comune da cui era possibile tirare fuori un nome per un pesce. «tipo...qualcuno di rosso? Insomma, se ti dicessi Nemo sarei la persona più banale del mondo quindi...ci servirebbe qualcosa di più inusuale, più..carismatico(?)» beh, almeno l'aveva avvisata in anticipo. Non brillava d'inventiva. Voleva qualcosa di più, ed aveva quel nome sulla punta della lingua, eppure non riusciva a tirarlo fuori. Era lì, ma impossibile da raggiungere. Fu solo nel momento in cui incontrò di nuovo gli occhi di Erin che sentì quella serratura scattare, e vide lo sguardo della mora illuminarsi, proprio come il suo. «MUSHU!» Lo dissero entrambe, all'unisono. E il sorriso di Amalie non poté far altro che distendersi in una risata, per quanto era felice di aver incontrato qualcuno che la capisse al volo.
    Non lo potevano sapere, Erin Chipmunks ed Amalie Shapherd, che Mulan non era una scelta casuale: Tessa e Mabel quell'eroina cinese l'avevano presa a modello di vita quando erano ancora ragazzine. E la promessa, stretta davanti al televisore dopo aver visto il film per la prima volta, di essere sempre forti ed indipendenti come lei, l'avevano mantenuta per tutta la vita, prima di ritornare indietro. Prima di ricominciare tutto da capo. E, a loro modo, stavano continuando a mantenerla.
    You Sit And Stay I Don'T Obey // by ms. atelophobia
     
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    01.12.2017 | 15:25 h
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    La vita era piena di motivi per essere apprezzata, sapete – i colori del tramonto, il profumo della neve, la ruvida sensazione della sabbia fra le dita. Erin non ne aveva mai dubitato, innamorata com’era di ogni cosa che la circondasse: per quanto l’esistenza le avesse tirato diversi tiri mancini, la Chipmunks era quel genere di ragazza che la speranza, non la perdeva mai. Era una vita strana, la loro. Agiva in modi che non sempre erano comprensibili agli occhi di una sedicenne, ma la ribelle aveva smesso di domandarsi perché decidendo che la domanda più opportuna fosse cosa: non voleva sapere il motivo che l’avesse spinta ad incontrare Scott anni prima, o perché fosse nata la serie di eventi che aveva portato Nathan e Jess nella sua vita – non le interessava. Quel che premeva ad Erin, era scoprire cosa fosse, come avrebbe influito sulla sua vita. Sarebbe migliorata? Sarebbe peggiorata? Non sarebbe cambiato niente? Spesso la risposta arrivava a lungo termine; talvolta capitava che dovesse passare un mese, un anno, prima che potesse rendersi conto della portata di ciò ch’era accaduto - di come la sua vita fosse stata trasformata. Magari sorrideva per caso ad un passante, ed una settimana dopo lo riconosceva seduto su una panchina del parco; magari rompeva un oggetto apparentemente privo di valore, e qualcuno lo cercava disperatamente un paio di giorni dopo. Non era mai stata in grado di sapere in anticipo quali fossero le conseguenze delle sue azioni.
    Quel diciassette marzo, Erin Therese Chipmunks non avrebbe saputo dire perché, fra tutte le persone presenti al Wicked Park, avesse proprio scelto Amalie Shapherd – e non credeva avrebbe saputo il cosa ne sarebbe nato.
    Ma.
    Ma quando entrambe, voltandosi in simultanea l’una verso l’altra, gridarono in sincrono un entusiasta «MUSHU», non ebbe alcun dubbio.
    Perché una ragione per sorridere, Erin Therese Chipmunks, l’avrebbe trovata sempre.
    Ed in quel momento, seppe con assoluta certezza che Amalie Shapherd sarebbe diventata una di quelle.
    Che lo era sempre stata.

    [mesi e mesi e mesiihhh dopo, il primo dicembre]

    «quindi, mh» Erin dondolò sui talloni, un’occhiata di sottecchi alla ragazza seduta al tavolo della cucina del Quartier Generale. «sei proprio sicura che non possiamo parlarne con nessuno?» Kieran Sargent abbassò gli occhiali, dei quali era certa non avesse alcun bisogno, sulla punta del naso, ed inarcò un sopracciglio corvino. In qualunque essere umano, quella sarebbe stata di per sé una risposta – ma Kier? Poteva farle per la centesima volta la ramanzina sul 2043, o volerle domandare quale salsa preferisse sulle patatine. «chi?» domandò invece solamente, un sorriso colpevole sulle labbra sottili. Perché , Erin sapeva di non poterne far parola con nessuno, e Kieran sapeva che Erin sapesse che suo padre alla fiera comprò di non poterne parlare all’infuori della ristretta cerchia di Consapevoli, quindi…. Quindi niente, Kieran cercava di arginare i danni permettendo alla Chipmunks di ripeterle, ancora ed ancora, tutto ciò che avrebbe voluto dire ad Amalie: la mimetica aveva sentito la stessa storia almeno tante volte quanti gli anni della missione, e le stesse lamentele minimo la metà – per non parlare delle domande per le quali nessuna delle due avesse risposta. Erano perfino così ciula, loro due insieme, da riuscire a costruire KOMPLOTTI e fanfiction (sempre.) finendo per perdersi nell’assoluto nulla del non sense. Amalie sarebbe stata in grado di tenerla con i piedi ben ancorati al suolo, ma Kier? Se Erin era il palloncino, lei era l’elio – anziché smontarsi, si alimentavano a vicenda.
    La missione del 2043, studiata ed analizzata da Erin Chipmunks e Kieran Sargent, aveva assunto connotati che voi umani non potete neanche provare ad immaginare – c’entravano gli alieni, gli animali parlanti, e otp più vissute della Klaroline o la Thiam. C’era tutta la vita che avevano perso, in quelle headcanon per colmare le lacune.
    C’erano le memorie contraffatte di due ragazzine che sognavano sempre un po’ più degli altri.
    «amalie» ammise, spingendo il labbro inferiore all’infuori ed evitando il suo sguardo. Dovete capirla: gli unici con cui potesse parlare della faccenda erano Gwen, Kieran, Scott, e i due tizi biondi e strani che dicevano di essere i fratelli di Amalie. Cinque persone erano troppe poche, per l’infinita quantità di informazioni (…più o meno inventate) che la Chipmunks aveva bisogno di condividere. Sì che infilava tutto nelle proprie fanfiction con nomi assolutamente insospettabile («erin, ma… il terzo di tre fratelli uguali…di nome GIASONE -» «no ti sbagli INFORMAZIONE TOP SECRET CIAO1») ma… Santo cielo, veniva dal futuro. Aveva un sakko di famiglia, lei che aveva creduto d’essere orfana e di aver trovato una famiglia solo nei ribelli: capite? Non era roba facile da gestire, per una Erin Chipmunks.
    Specialmente nei giorni in cui sapeva avrebbe incontrato Amalie: la pressione cresceva come una marea soffocandola, l’ansia da palcoscenico la soffocava stritolandole i polmoni – ma come facevano le persone normali a resistere? Come avevano fatto Gwen e Kieran per tutta la vita? Erin era ancora così in hype che talvolta, quando i due Chipmunks erano da soli, rimanevano semplicemente a guardarsi ed a strillare PERCHè GRIDARE ERA BELLO OKAY E LIBERATORIO ED ERANO ENTRAMBI CONFUSI E NESSUNO AVREBBE DOVUTO DARE UN SEGRETO DEL GENERE IN MANO AD ERIN E SCOTT VA BENE.
    «devi resistere solo – un giorno»
    Cosa.
    Cosa le stava dicendo. Un giorno? «domani…» Kieran le sorrise annuendo infervorata, le mani a premere sulle guance. «domani!!&&» L’indomani Amalie avrebbe ricevuto la sua lettera. Avrebbe saputo la verità, ed Erin avrebbe finalmente potuto ciarlare senza infrangere alcuna strana legge cosmica – troppo bello per essere vero ed infatti ihih ciauz. «chi altro?» un sussurro flebile e cospiratorio quello della Chips, mentre si chinava sul tavolo verso la mimetica. «mh… Barry, CJ, Sandy, Ell -» «I MIEI KUGINI???» «ABBASSA LA VOCE» e senza alcun motivo preciso se non il loro essere….Erin e Kieran, iniziarono a gridare entrambe versi sconclusionati e frasi prive di connessione l’una con l’altra («POTRò CONOSCERLI!!&&»«BANANA SPLIT!!» «THE FLOOR IS LAAAAVAAAAAH») saltellando sul posto come i teletubbies che, a conti fatti, erano.
    Domani si ripetè la Chipmunks, incapace di smettere di sorridere. Solo un giorno.


    «mushu è stranamente ancora vivo» commentò sovrappensiero, mordicchiando la cannuccia della sua bevanda. Uno strato di neve imbiancava le giostre del Wicked Park – compresa la panchina sul quale s’erano sedute – rendendo l’atmosfera, se possibile, ancor più… magica. Anche loro, come Erin, parevano in trepidante attesa di qualcosa. Ruotò i deliziati occhi verdi sulla Corvonero, un sorriso a pungere gli angoli della bocca. Erano quasi al loro nono (n o n o) mesiversario, le Amerin – sì, Erin era quel genere di ragazza che si segnava ogni data e festeggiava tutto il festeggiabile, perché celebrare l’amore era sempre cosa buona e giusta – e la Chipmunks non aveva smesso di ricordarlo alla bionda neanche per un attimo, nell’ultimo mese: essendo il nono, aka lungo quanto un parto, dovevano trovare un modo consono di festeggiare.
    Dovevano adottare un nuovo animale. Mushu voleva compagnia - almeno finchè la sua breve vita gliel’avrebbe concesso #ripmushu «ALLORA, SHAPHERD» succhiò con vigore, giusto per ricevere il drammatico suono ruvido del fondo, il resto della sua cioccolata calda (?? Se la stava bevendo con la cannuccia? Ma certo che sì, tutto era più buono con una cannuccia) lanciando un’intensa occhiata alla ragazza. «DEVI DIRMI QUALCOSA?» gracchiò, inarcando un sopracciglio.
    Tipo che impegno hai domani? Tipo come va con Obi? Tipo hai conosciuto Jek e Hyde? Tipo come sta Sorrow, ti sta simpatica? Tipo IO HO UN SAKKO DI COSE DA DIRTI QUINDI TI PREGO PARLA TE PERCHÉ IO NON POSSO DAI AMALIE Dai.
    Tipo.

     
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    Amalie Shapherd
    2043. Mabel winston crane
    01.12.2017 | 15:25
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    «Tupp..?»
    «Mh?»
    «Ti devo chiedere una cosa. Importante»
    «Finalmente ci sposiamo? Tua cugina e mio cugino se ne faranno una ragione»
    «Uh di Lynch non c'è da preoccuparsi» Il loro rapporto era..complicato, talmente tanto che la ragazza aveva abbandonato anni prima la speranza di capirci qualcosa «Ma Leia? Vorrei vivere ancora qualche anno eh, ho dei fratelli da mantenere»
    E ci risero sopra, le due ragazze, consapevoli che bisognasse apprezzarli al massimo, quegli attimi di spensieratezza e ironia, perché erano ormai rari nel mondo in cui vivevano. E Mabel odiò dover rompere quel momento, ma doveva chiederglielo.
    Ne aveva bisogno
    «Ci credi al destino?»
    «Mab, siamo cresciute con la disney. Che domande fai?»
    Ma i classici film d'animazione guardati su vecchie cassette erano un conto, la realtà ne era un'altra. «Mi serve una risposta sincera. Sì o no?»
    Si fidava del giudizio dell'amica, più di quanto si sarebbe mai fidata del proprio. Se aveva un dubbio, Tupp era l'unica in grado di farla ragionare lucidamente. E in quell'attimo di esitazione, nella mente di Mabel si susseguirono gli scenari più dolorosi anche solo ad immaginarli: un'esistenza senza le persone che amava. Ma svanirono in un attimo quando la ragazza le rispose.
    «Sì, ci credo. Ma perché? »
    Avrebbe potuto dirglielo, la Winston Crane. Avrebbe potuto confessare all'amica le sue preoccupazioni, il peso che sentiva a schiacciarle il petto: in fondo tra loro non c'erano mai stati segreti. Ma la ragazza non era ancora pronta ad affrontare quella conversazione, voleva più tempo per riflettere.
    E così decise di tenere la bocca chiusa. «Curiosità. Lo sai che spesso mi blocco su interrogativi filosofici e non riesco a smettere di pensarci per giorni interi»
    Conosceva troppo bene Tupp da capire che a quella risposta non aveva creduto minimamente, ma apprezzò il fatto che la ragazza non provò ad indagare oltre. Lo sapeva anche lei, che quando Mabel sarebbe stata pronta a parlarne, ad ammetterlo a sé stessa, le avrebbe detto tutto.
    Perché quel pomeriggio di Dicembre, la missione era ancora una possibilità remota nello scenario di tutti. E la bionda si sentiva in colpa anche solo a rimuginarci sopra: come avrebbe potuto lasciare tutta la sua famiglia? Come poteva tornare nel passato, dimenticando l'esistenza di tutte le persone che amava? Pensarci su era già un torto nei confronti dei suoi fratelli: avevano bisogno di lei.
    Ma allo stesso tempo aveva bisogno della certezza che, nella peggiore delle ipotesi, avrebbe sempre potuto sperare di rivederli. Non le bastava la speranza, perché in quella non ci credeva più ormai da anni: sperare non era bastato, quando sua madre si era ammalata. O quando anche suo padre era stato colpito dalla malattia, lasciandoli soli dopo poco tempo.
    Nel loro futuro, la speranza non bastava.
    E Mabel Winston Crane aveva bisogno della certezza che, in un ipotetico passato, il destino avrebbe fatto il suo dovere e li avrebbe riuniti tutti quanti: nemmeno le importava il come. Voleva solo esser certa che li avrebbe rivisti, perché immaginare una vita senza di loro per lei equivaleva a morire.
    Così, quando in un pomeriggio totalmente differente, anni ed anni dopo - o prima, a seconda dei punti di vista - Erin Therese Chipmunks tra tutte le persone che avrebbe potuto fermare aveva scelto proprio Amalie Shapherd, le ragazze ebbero, anche senza rendersene conto, la prova concreta che il destino esisteva ed il suo lavoro lo faceva sul serio.
    E che certi legami erano semplicemente destinati ad esistere per sempre.

    [tempo e tempo e tempo dopo - o prima #wat]

    - che fai?
    - guardo gli allenamenti, tu?
    Amalie sedeva sugli spalti del campo da quidditch, come al suo solito con un libro aperto sulle gambe ma la mente vagamente interessata ad esso: era uscita in cortile con l'idea di leggere, visto che preferiva farlo all'aria aperta anche con il freddo polare che faceva ad inizio dicembre, e così era finita nel suo posto preferito per farlo. Gli altri la guardavano sempre in modo strano o confuso, ma lei a leggere nel silenzio più totale proprio non ci riusciva, preferendo di gran lunga i rumori in sottofondo. E poi le piaceva alzare lo sguardo ogni tanto e guardare per un po' i ragazzi giocare in campo, salutando Bells e alzando i pollici in segno di incoraggiamento a Joey. Alla mascotte dei Corvonero, Avery Melchior, Amalie non aveva nulla da invidiare: in un certo senso occupava lei quel posto abusivamente essendo una specie di portafortuna della squadra.
    Quel giorno però era più attenta alla sua collana a forma di aeroplano : in una scuola dove i dispositivi elettronici diventavano praticamente inutili, Amalie aveva dovuto trovare espedienti per compensare l'assenza del suo cellulare. E così era entrata nel club di pinterest, quello con le bacheche vere in legno. Ed aveva anche la versione non elettronica di whatsapp: quando Obi le aveva dato il pacchetto regalo, il giorno prima della partenza della ragazza per Hogwarts, Amalie era rimasta senza parole. L'aveva adorata ancor prima che il ragazzo le spiegasse la sua funzione speciale: era il suo stile, del resto, con il grazioso ciondolo a forma di aereoplanino. Il fatto che potesse mandare messaggi poi l'aveva fatta innamorare completamente, e così grazie ad esso poteva continuare a parlare con l'amico anche tra le mura della scuola.
    Spesso si stupiva di quando fosse veloce, perchè aveva scoperto che a portare un messaggio fino a Londra ci metteva qualche minuto: decisamente più rapido di un gufo. Che ne poteva sapere, Amalie Shapherd, del fatto che in realtà quel ciondolino non usciva mai dal perimetro scolastico, limitandosi a volare fino a qualche aula o luogo appartato là dove Barry ed i Freaks potevano fare.. cose, tipo drogarsi, senza il rischio di venir scoperti.
    - ma hai una cotta per qualche giocatore?
    Un classico, le facevano tutti la stessa domanda. Anche perché la ragazza non era appassionata a quello sport, nemmeno lontanamente.
    - no, ma ho paura di Arabells Dallaire. Lunga storia, un giorno te la racconto
    La minaccia del capitano corvonero ancora echeggiava nella testa della Shapherd, anche se ormai erano passati anni dal giorno in cui era stata fatta: ma Amalie aveva una reputazione da mantenere, e non aveva voluto rischiare. Anche se oramai lo faceva per quello solo in parte: le piaceva stare lì durante gli allenamenti, ed aveva quasi iniziato ad seguire sul serio le partite: non per il quidditch in sé, sia chiaro, quanto più per vedere i suo amici impegnarsi al massimo e dare del loro meglio in campo.
    - tipo oggi pomeriggio? KAFFÈÈÈ?
    - domani? oggi sono con Erin. è quasi il nostro nono mesiversario!!!
    - ...tieni il conto?
    - ovvio che sì
    - pure il nostro?
    - tra due giorni facciamo cinque mesi, segnatelo anche tu ♡

    «mushu è stranamente ancora vivo» Awww, bello che era il loro pesce rosso. Amalie gli aveva dedicato un intera bacheca su pinterest, per quanto gli voleva bene: era grazie a lui del resto se lei ed Erin si erano conosciute quel giorno a Wicked Park, praticamente nello stesso punto in cui erano sedute in quel momento. «beh Luna anche deve essercisi affezionata. Eskild avrebbe trovato qualche modo per mangiarselo» Era cresciuto in casa una vita intera, prima tra le cure di nonna Shapherd e poi in quelle della nipote, eppure era quasi più selvaggio di un gatto randagio. Non era poi così difficile capire il perché i suoi genitori l'avessero scaricato a lei quando era ancora praticamente una bambina. Ma Amalie lo amava comunque incondizionatamente. «ALLORA, SHAPHERD» Amalie strinse più a sé il bicchiere con la cioccolata, gustandola dalla cannuccia in attesa di ciò che l'amica aveva da dirle: anche dopo mesi di amicizia, era sempre un po' impreparata agli scatti improvvisi di Erin. «DEVI DIRMI QUALCOSA?» Doveva??? «DEVO??» Che poteva dire all'amica? Il fatto era che, durante le sue giornate, capitavano tante cose che avrebbe voluto dirle. Tante piccole sciocchezze che si appuntava in mente con lo scopo di riferirle alla ragazza una volta rivista, ma alla fine puntualmente le capitava di dimenticarsele. L'avrebbe così tanto voluta al suo fianco tra i corridoi della scuola, così da poter chiacchierare sotto voce a lezione o far conoscere i loro gatti. Magari si sarebbero messi insieme. Magari avrebbero figliato e le ragazze si sarebbero ritrovate con un esercito di cuccioli da dover mantenere, come nella carica dei cento uno. Sarebbe stato così bello!
    Proprio in quel momento, Amalie vide il ciondolo messaggero tornare tra le sue mani, recapitandogli l'ultimo messaggi da parte di Obi. UH, ecco cosa poteva dirle. «ECCO, DA GIORNI CI STAVO PENSANDO!» ..ma puntualmente se ne dimenticava #sadstory. «Te l'avevo detto del regalo di Obi, né? BEH dobbiamo iniziare una ricerca per trovarci anche noi un modo di comunicare mentre sono a scuola!!» Aveva già pensato a procurarsi una collana simile da usare insieme ad Erin, che credete: gliel'avrebbe voluta regalare al compleanno, ma era andata nel negozio che le aveva detto Obi e la commessa aveva praticamente mandato in fumo la sua idea, riferendole che si trattava di un pezzo unico e non ne vendevano altri simili.
    Ma, quasi nove mesi prima, le ragazze avevano intrapreso una missione alla ricerca di un acquario per Mushu e l'avevano portata a termine, anche senza essersi mai viste prima. Sarebbero riuscite a completare anche quella , in un modo o nell'altro.

    SPOILER: anche se lo trovano, non servirà #ripamalie


    [premio caccia] 43 - Collana manda messaggi a forma di aereoplanino: lasci detta frase e mittente al ciondolino, e questo volerà via per riferire il messaggio (il ciondolo torna indietro solo se chi lo riceve risponde al messaggio. altrimenti, il nuovo proprietario diventa lui)

    (Si anche se il tempo per guadagnare i PE è scaduto, era un regalo troppo bello per non citarlo in qualche modo)
     
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    «beh Luna anche deve essercisi affezionata. Eskild avrebbe trovato qualche modo per mangiarselo» Erin corrugò le sopracciglia, stringendo convulsamente le labbra attorno alla cannuccia ed evitando, colpevole, lo sguardo della Shapherd. Pensava davvero che quella patata incompetente di Luna, pigra palla di pelo inadeguata perfino a combattere l’obesità, potesse essere una minaccia per Mushu? La Chipmunks nel sventolare la vitalità del pesce si era mostrata stupita di non averlo ucciso lei a causa delle particolari cure rivolte al pesciolino: Erin Therese Chipmunks era indubbiamente l’unico pericolo alla fragile vita del carassio dorato, ma lungi dal sottolinearlo ad alta voce se la sua migliore amica non temeva per l’incolumità di Mushu a causa sua. Beh? Non era colpa della ribelle, non resisteva ai brillanti (ma quando) e languidi (eh, leggeva tante fanfiction, ormai osservava la realtà con uno sguardo tutto soggettivo) occhi del pesciolino quando chiaramente voleva mangiare briciole di caramelle anziché cibo per pesci – e come dargli torto? Quella roba puzzava. Probabilmente doveva la sua sopravvivenza a Nathan (Jessalyn non era migliore della Chips, siamo onesti), ma se Amalie la credeva una persona responsabile, non voleva essere lei a rovinarle i sogni di gloria. «luna è una brava ragazza» rispose vaga, schioccando le labbra fra loro mentre deglutiva la cioccolata calda. Fu ben felice di liquidare il discorso tornando alla questione scottante, malgrado la bionda non fosse a conoscenza del perché l’indomani potesse essere così importante. Non sopportava il fatto che non potesse effettivamente capire a cosa si riferisse – non poteva, non so, sentire nel profondo che sarebbe accaduto qualcosa di eccitante? Ci sperava, Erin, nel nervoso dondolare sul posto mentre la Corvonero ricambiava la sua occhiata. «DEVO??» SI PORCA PALETTA DEVI, MA NON LO SAI ANCORA! Cappero, come avevano fatto Kieran e Gwen a mantenere il segreto così a lungo? Erin se lo sentiva scivolare sulle labbra ad ogni secondo, in ciascun battito di cuore contro le costole. Strinse le palpebre rivolgendole un sofferto sguardo di sottecchi, il labbro inferiore masticato fra i denti. GLIELO DICO? No, non puoi. MA DAI, è SOLO UNO SPOILER! Erin, no. UNO PICCOLISSIMO? Tessa. OKAY, OKAY. Quando la vide illuminarsi, pensò sul serio che avesse capito (il come ovviamente non aveva importanza, Amalie era così intelligente che doveva sicuramente conoscere tutti i segreti della galassia!!) «ECCO, DA GIORNI CI STAVO PENSANDO!» la Chipmunks drizzò la schiena, occhi verdi spalancati nella direzione della ragazza ed il batticuore a pulsare sulla lingua. «Te l'avevo detto del regalo di Obi, né? BEH dobbiamo iniziare una ricerca per trovarci anche noi un modo di comunicare mentre sono a scuola!!» Ah. «ah» si lasciò sfuggire in un sussurro, curvando nuovamente le spalle e sporcandosi la bocca di un broncio involontario. Perfino seccata, nel tornare ad aspirare la cioccolata dalla cannuccia: perché Amalie doveva ricordarle di parlare più spesso con l’altro migliore amico piuttosto che con lei? Non che Erin fosse gelosa, eh… ma dai, non era giusto. Già la vedeva sempre a scuola, non era abbastanza?? MA NO, certo che no, regaliamole uno smartphone magiko con il quale rimanergli sempre attaccato alle chiappe. Se aveva paura che Obi gliela stesse rubando? Sì, il terrore. Era la prima amica, all’infuori di Scott, che fosse riuscita a farsi al di fuori del nucleo della Ribellione, non voleva…non poteva perderla, capite.
    Se l’erano promesso una vita prima. «si beh, dovremmo proprio» cercò di racimolare un po’ di entusiasmo curvando le labbra in un sorriso convinto, brillanti occhi muschio a cercare quelli azzurri, familiarmente azzurri, di lei. Più guardava Amalie Shapherd, più si domandava come avesse potuto non accorgersi prima della somiglianza con Maeve e Jade. Aprì la bocca per esporgli quel pensiero, ma si rese conto in zona cesarini di quanto inopportuno sarebbe stato. «padella» cosa? Cosa. Aveva appena detto padella? Davvero era la prima cosa che le fosse venuta in mente di dire per giustificare la bocca aperta?
    Andiamo, Chipmunks. Sei migliore di così. Scosse il capo, soffiò l’aria dalle narici. «COME SEI BELLA*, stupito auto correttore» beh, non era un’ottima improvvisatrice – per quello di solito girava con i mini reb, loro sì che erano fenomenali. «senti, signorina shapherd…» giunse le dita sul ginocchio sinistro sporgendosi verso la bionda. «sto…scrivendo….una storia. Ancora super segreta, sei la prima a cui ne parlo» beh dai, era perfino vero? «parla dei…viaggi nel….tempo» così, un argomento totalmente a caso. Impassibile, battè le ciglia sorseggiando con eleganza la propria cioccolata calda. «TU COSA NE PENSI?» socchiuse le palpebre assottigliando le iridi foresta. «dEvi DiRmI QuAlCoSa iN PrOpOsItO?» eh? Eh, Amalie? no #sad. «tipo se ci credi, intendo. cose così. se hai ….» scosse la chioma castana con un distratto movimento della mano. «teorie.» Argomenti di tutti i giorni, giuro.
    Beh, con Erin Chipmunks lo erano davvero.

     
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    01.12.2017 | 15:25
    Ravenclaw | Smartass
    «ah» Era sempre stata convinta di esser brava a capire le persone, Amalie Shapherd. Probabilmente perché in ogni situazione preferiva ascoltare piuttosto che parlare, osservare da lontano invece di partecipare a pieno. Era il tipo che stava in disparte, la ragazza che analizzava razionalmente la situazione e si accorgeva quando qualcosa non andava. Per lei, era più che normale offrirsi come spalla su cui piangere o confidente su cui far affidamento: le rimaneva molto più semplice fare i conti con i problemi altrui e provare a risolverli, piuttosto che far attenzione a sé. E per questo, nel momento in cui una persona si rattristava per lei, la ragazza nemmeno se ne accorgeva: non riusciva a rendersi conto, di quella che doveva esser gelosia della Chip nei confronti della sua amicizia con Obi. Per una ragazza come lei, era ancora incredibile creder di aver trovato un’amicizia come quella che condivideva con Erin, ed anche se ormai si conoscevano da mesi, le era difficile credere che la ragazza tenesse a lei così tanto. Nel modo in cui Amalie teneva a lei. E non per Erin, assolutamente, ma per la Shapherd era difficile credere di esser degna di un tale affetto: ci voleva così poco, per affezionarsi allo sguardo dolce ed alla risata contagiosa della Chipmunks. Amalie invece? Non credeva di meritarselo, quell’affetto, non quando nemmeno i suoi genitori gliel’avevano mai concesso. E dunque non avrebbe mai smesso di stupirsi di quell’amicizia, e di quanto fin dall’inizio le fosse sembrata come la cosa più giusta al mondo, a dispetto delle loro differenze. E di conseguenza non avrebbe mai smesso di aver paura, ogni giorno, di perderla. Per questo motivo, non notò il cambiamento nel tono di voce dell’amica. E non notò come il suo volto si era leggermente annebbiato, un pizzico dell’entusiasmo che la caratterizzava smorzato dall’accenno della bionda al regalo di Obi. «si beh, dovremmo proprio» CERTO CHE DOVEVANO! Per Amalie era una tortura non avere l’amica al suo fianco a scuola: anche se a lezione probabilmente sarebbe rimasta in silenzio ad ascoltare e prender appunti anche se circondata da mille Erin Therese Chipmunks, per i corridoi, durante i pasti e nelle pause tra una classe e l’altra si sarebbe trattato di tutt’altro discorso, ed avere la mora al suo fianco sarebbe stato un sogno. Se non poteva averla lì con lei, perlomeno voleva un modo veloce per parlarci: era così ingiusto che tra le mura di Hogwarts ogni dispositivo elettronico andasse fuori uso. Erano nel duemiladiciotto, capite? D u e m i l a d i c i o t t o. Perché dovevano continuare a far finta di avere dei prosciutti sugli occhi e non ammettere che le tecnologie babbane erano effettivamente più che utili? Non si erano scocciati di vivere nel medioevo??? O meglio, nel far west???? Amalie voleva la libertà di parlare con chiunque fuori dalla scuola in modo immediato, senza il bisogno di doversi mettere a tavolino per scrivere una lettera e sperare nella buona salute del gufo che la trasportava fino al mittente, e voleva avere la possibilità di ammazzare il tempo tra una lezione e l’altra giocando a song pop o pinnando su instagram. Era davvero troppo da chiedere? Evidentemente, per Hogwarts, e per il mondo magico in generale, sì.
    Chiaramente solo la gen z era così intelligente da riconoscere la vera magia di internet.
    «padella» Mh? Si era persa nella sua battaglia silenziosa (quale) contro l’arretratezza di Hogwarts ed Erin si era messa a parlare di cucina? Forse Jess aveva sperimentato qualche nuova ricetta di pancakes? Come poteva rispondere senza farle capire di essersi chiaramente persa qualche pezzo di discorso?? «COME SEI BELLA*, stupito auto correttore» Ahh. Mentalmente, la ragazza tirò un sospiro di sollievo: aveva semplicemente capito male. Nemmeno fece caso al fatto che, nella realtà, l’autocorrettore non esisteva: era così felice del fatto di non aver più un motivo per far notare ad Erin che, negli ultimi minuti, si era persa nei suoi pensieri come le capitava fin troppo spesso. «senti, signorina shapherd…» Questa volta tenne le orecchie ben aperte, e la sua concentrazione fissa sull’amica: non voleva di certo rischiare di nuovo «sto…scrivendo….una storia. Ancora super segreta, sei la prima a cui ne parlo» Davvero?? Quanto amava, quando Erin la coinvolgeva facendole leggere le sue fanfiction, ma ancora di più quando chiedeva suoi consigli prima di pubblicarle. Quindi, nemmeno provò a trattenere il suo entusiasmo. «Davvero? La prima prima PRIMA??» Era bello, sapere di esser la prima a cui stava esponendo la sua idea . Soprattutto perché sapeva quanta passione la ragazza metteva in ogni cosa che scriveva. «parla dei…viaggi nel….tempo. TU COSA NE PENSI? dEvi DiRmI QuAlCoSa iN PrOpOsItO?» Anche qui...doveva??? Non credeva di aver mai parlato prima di viaggi nel tempo, e per quanto ricordasse non avevano mai affrontato prima l'argomento...o la sua memoria la stava ingannando? Cercò di ritrovare tra i suoi ricordi un qualche momento in cui ne avevano parlato: magari aveva promesso di leggere un qualche libro a riguardo, o forse la Chip le aveva consigliato un telefilm che ne trattava. «sono...belli?? PARECCHIO BELLI!» Non voleva mostrarsi titubante, non quando Erin aveva intenzione di scriverci una storia a riguardo! Eppure l'atteggiamento della ragazza la stava mettendo un attimo in difficoltà, dato che sentiva di star sbagliando qualcosa ma non riusciva a capire cosa. «tipo se ci credi, intendo. cose così. se hai ….teorie» Beh, non era il tipo da credere a qualcosa per il semplice fatto di volerci credere: per quanto fosse bella l'idea di poter viaggiare tra le varie epoche della storia, non era questo il motivo che la portava a crederci. Era una ragazza di scienza, lei, mica si faceva muovere dai sogni. E dunque..«credo di si? Insomma, non ci ho mai riflettuto troppo» sicuramente aveva sognato più volte di vedere il futuro, ma mai a come fare ah ah ah aspetta qualche mese e ne riparliamo «ma..credo sia possibile. Insomma, forse noi riusciremo a vivere abbastanza a lungo per assistere alla scoperta di un modo per viaggiare tra le diverse epoche. Immagini come sarebbe bello avere una macchina del tempo in questo preciso istante???» Avrebbero potuto fare così tante cose! «magari...magari conosciamo dei viaggiatori e non lo sapremo mai!!» ah ah ah ma guarda un po', sarebbe proprio sciokkante!!! ma insomma, Barry credeva agli alieni: lei non era libera di credere ai viaggiatori nel tempo? Semplice, quando ne era una.
    «Ma tu cosa avevi pensato per la storia? VOGLIO GLI SPOILER!!»
     
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    erin t. chipmunks
    2043: tupperware a.h.
    01.12.2017 | 15:25 h
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    Tupp avrebbe saputo cosa dire. Con le mani schiacciate nervosamente fra le cosce, gli occhi chiari ad adombrarsi evitando cocciutamente lo sguardo di Amalie, Erin Therese Chipmunks continuava a ripeterselo come un mantra, il senso di colpa a bruciarla dall’interno come uno stoppino acceso al contrario. Si sentiva in imbarazzo senza un apparente motivo, le guance colorate di rosso che avrebbe potuto biasimare al freddo, ma era perfettamente conscia fossero causate dalla vergogna – la stessa che avrebbe provato Tupperware Armstrong Hamilton se si fosse rivista in quel momento, una tazza di cioccolata (con cannuccia.) ormai tiepida in bilico sulle ginocchia, e la sciarpa premuta fin sotto al naso.
    Erin era banale. Era semplice. Viveva di emozioni leggere e sorrisi allegri, di nuvole vicine e arcobaleni fra le dita; respirava un tipo di fede e speranza differenti rispetto alla se stessa del 2043, la quale troppo giovane aveva perso tutto in fretta: Erin ancora ci credeva perché voleva crederci, non perché ne avesse bisogno per convincersi a svegliarsi un altro giorno. In qualsiasi altro frangente, l’avrebbe ritenuta una dote positiva - ma in quello? Mai, da quando aveva incontrato Amalie Shapherd al Wicked Park, si era sentita a disagio in sua compagnia, eppure in quel momento non riusciva neanche a sostenerne lo sguardo.
    Era stato un errore tirare fuori l’argomento.
    «sono...belli?? PARECCHIO BELLI!» cercò di indirizzare un debole sorriso alla bionda, apprezzando lo sforzo nel tono forzatamente entusiasta con il quale tentò di non spegnere le (sempre assurde.) idee della Chips, ma sentì lo stomaco piombarle sotto i piedi. «ma..credo sia possibile. Insomma, forse noi riusciremo a vivere abbastanza a lungo per assistere alla scoperta di un modo per viaggiare tra le diverse epoche. Immagini come sarebbe bello avere una macchina del tempo in questo preciso istante???» La trovava una prospettiva sinceramente terrificante; nascose maggiormente il viso nella sciarpa per impedirle di vedere quel terrore, trasparente come il fondo di una bottiglia vuota, e strinse forzatamente le labbra fra loro, cercando di aggrapparsi al credo sia possibile. Non voleva che la questione 2043 fosse una doccia fredda per la Shapherd. Non avrebbe potuto essere al suo fianco, e Amalie non aveva uno Scott - voleva che giungesse alla Rivelazione relativamente preparata, che pensasse seriamente all’argomento e non le suonasse nuovo o assurdo. Aveva già chiesto a Gwen e Kieran di andarci leggere, di trattarla con cautela, perché aveva timore che sfociando nel surreale avrebbero attivato il cinismo della Corvonero e l’avrebbero fatta fuggire; perfino in quel momento, ad ogni parola di troppo, temeva che la ragazza arcuasse le sopracciglia e sollevasse le mani in segno di resa abbandonandola alle proprie farneticazioni. «magari...magari conosciamo dei viaggiatori e non lo sapremo mai!!» Ah.
    AH! ESiLArANtE! Piegò il capo all’indietro in una grossa, grassa matrimonio greco risata isterica, bocca spalancata e palpebre socchiuse. «macipensiSAREBBEASSUUUUUUUURDO» gorgogliò tutto d’un fiato, agitando una mano nell’aria per asciugarsi le disperate lacrime dagli angoli degli occhi. Sì, era stata davvero, davvero, un’idea di cacca sollevare l’argomento – eppure non riusciva a pentirsene, ripensando a quando era stato il suo turno, e quello del fratello, di aprire le lettere ed entrare a far parte di una nuova era. «Ma tu cosa avevi pensato per la storia? VOGLIO GLI SPOILER!!» Okay, Erin. Play it cool. Il tuo momento to rise and shine è giunto. Inspirò dalle narici ed espirò profondamente fino a svuotarsi i polmoni, un gesto non dissimile a quello antecedente lo scoccare di una freccia; gonfiò poi nuovamente il petto, la schiena dritta e poggiata contro il sedile della panchina. Spinse il mento all’infuori fasciandosi di una sicurezza che non possedeva, i luccicanti occhi verdi a guizzare sulla sua migliore amica. «stavo pensando…» deglutì, la lingua a umettare le labbra. Alzò il capo per osservare il cielo, ogni parola uno sbuffo di vapore dalla bocca dischiusa. «a queste due migliori amiche, no, che in pratica insieme ad altri loro amici decidono di tornare indietro nel tempo per cambiare la storia» sollevò una mano, la lasciò ricadere sulle cosce. «e…fare cose, tipo…» dai Erin, dillo. «tipo salvare i loro genitori, no» non come hai fatto te. Distolse lo sguardo puntandolo sul marciapiede del luna park, la gola d’improvviso a stringersi e bruciare. Lei, i suoi genitori, non li aveva salvati: Neil Armstrong e Delilah Jackson erano morti prima che Erin sapesse di essere Tupp – prima che potesse abbracciarli, ringraziarli, cercare nei loro gesti i propri. Espirò tremula serrando le palpebre ed i pugni, le spalle a vibrare flebilmente mentre tentava, inutilmente, di darsi un contegno. «ed in pratica queste due amiche non si ricordano l’una dell’altra» riaprì gli occhi spingendo un sorriso sulle labbra. «come le sailor moon» come noi. «però si ritrovano comunque, perché era destino» e lo sarebbe stato sempre, in ogni vita ed universo. Rimase in silenzio una manciata di secondi, scegliendo infine di volgere il busto verso la futura Winston Crane. Allungò le dita afferrando la mano di lei nella propria, rimanendo a guardare per altri infiniti secondi le loro mani, prima di sollevare il capo a cercare gli occhi della Shapherd. «se i viaggi nel tempo fossero possibili,» sorrise ancora, pregna di tristezza e tenerezza. «noi saremmo come loro, ne sono sicura» e lo sarai anche te, domani. Annuì fra sé. «ci troveremo sempre» vero? Una supplica nei sottili occhi verdi, la speranza di udire la medesima sicurezza nella voce di Amalie. Inspirò ancora e soffocò un singhiozzo, sopraffatta da emozioni al di fuori della sua portata. «sei la mia migliore amica» lo sei sempre stata. Fu tentata di dirglielo, Erin; fu tentata di spifferare tutto prima che Kieran e Gwen potessero fare il loro lavoro, un po’ per togliersi quel peso dal petto ed un po’ perché aveva (ancora? sempre) paura che Amalie, con il senno di poi, avrebbe interpretato il silenzio della Chipmunks come un tradimento. «sono felice di averti nella mia vita» di nuovo. Rinserrò impercettibilmente la presa sulle sue mani, spostando per una frazione di secondo lo sguardo prima di riportarlo su di lei. «non voglio perderti» sussurrò appena, sapendo che a tempo debito avrebbe capito. Allentò la tensione con un mezzo sorriso ed un sopracciglio arcuato. «neanche in un plausibile-ma-non-canon universo alternativo»
     
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