hope the people who did you wrong have trouble sleeping at night

idem x damian

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +4    
     
    .
    Avatar

    withpotatoes do it better

    Group
    Special Wizard
    Posts
    363
    Spolliciometro
    +381

    Status
    Offline
    rebel. ex HUFFLEPUFF: idem withpotatoes
    she saw love in empty hearts
    25.06.2017 | medium | 1993's | psychowizard | secretary

    21 Marzo

    Giaceva abbandonata in un angolo della stanza, le braccia strette al petto ed il capo reclinato all’indietro a studiare il soffitto. Si mordicchiava nervosamente l’interno della guancia, chiedendosi quante lune fossero passate da quando era stata catturata - ma non aveva paura, Idem Withpotatoes.
    Era la paziente perfetta, come in molti avrebbero potuto convenire: non si lamentava mai, non chiedeva di poter tornare a casa, non cercava di scappare. Sorrideva debolmente a tutti i Dottori, gli occhi tristi ad osservare l’ago perforarle la pelle del braccio. Si complimentava con loro per particolari sfumature dell’iride, o quando al primo colpo trovavano la vena. Si scusava, Idem, quando i suoi valori non rientravano nella norma. Era più forte di lei. Ad un occhio esterno, il comportamento della Withpotatoes appariva alquanto stupido. Sciocco, patetico, incrinato dall’innocenza che le sporcava lo sguardo da quasi ventiquattro anni. Prendevano la sua gentilezza come la dimostrazione che non potesse essere forte, che tendesse a sottomettere la propria volontà a quella altrui, incapace di reagire – che una foglia ingiallita non potesse aspirare a divenire quercia. Idem non aveva mai sentito il bisogno di giustificarsi per quel suo particolare modo d’essere: sapeva che non l’avrebbero capita, che l’avrebbero giudicata, ed allora lasciava che la etichettassero come inguaribile sognatrice: una sciocca, inetta a quella vita. Troppo buona le avrebbero detto, per non dirle apertamente troppo ingenua, infantile.
    Non si trattava di bontà, per Idem. Non si trattava neanche di giusto o di sbagliato, ma di rimanere sé stessa. Il fatto che non volesse trovarsi in quel Laboratorio, che la stessero torturando, non la giustificava ad essere malevola con loro – che persona sarebbe stata se si fosse mostrata cordiale solamente con chi le sorrideva, mostrandosi gentile e meritevole? Era coerente, la Withpotatoes, e credeva che tutti, indipendentemente da quel che facevano, meritavano un poco di gentilezza – se non l’avesse fatto lei, chi altro ci avrebbe provato? Le avevano detto che le guerre si vincevano con il sangue, come se quella spiegazione potesse bastare. Come se quella giustificazione, le dita imbrattate di scarlatto a lasciare tracce rosee nel lavandino, dessero un senso a tutto: non lo facevano. Perché non consideravano mai, mai, ciò che invece la Withpotatoes si ripeteva come un mantra, il principio attorno al quale aveva eretto la propria morale: un sorriso avrebbe potuto non far vincere una guerra, ma la pace non si raggiungeva con i cadaveri ad accumularsi sulle strade. Ed era quello, a cui lei aveva sempre aspirato.
    Sbagliavano a credere che fosse necessario combattere con quei mezzi, per ottenerla. La violenza chiamava violenza, che chiamava feriti, che chiamava morti – ed allora su cosa si sarebbe basato, il loro futuro? Era quello, che volevano? Era un membro della Resistenza, Idem.
    Ma aveva sempre lottato per una guerra diversa.
    Era fatta così, e non sarebbe cambiata per acquisire logica sotto gli inquisitori sguardi altrui. Non sapeva nulla delle persone che si nascondevano dietro gli spessi camici bianchi; non sapeva perché si trovassero lì, cosa li spingesse a quella ricerca, se fossero stati o meno condizionati da qualcuno. Non li avrebbe giudicati cattivi in base a ciò che compivano dentro quei Laboratori: erano molto più, di quello. Erano esseri umani - con una famiglia, dei sogni, degli amici , dei saluti in codice e dei soprannomi buffi. Qualcuno di loro amava fare bird watching, altri cucinare finger foods, o portare scatolette di patè ai gatti randagi. Idem non si dimenticava che si trattava di persone solamente perché, talvolta, si comportavano male: dopotutto, era quello che le persone facevano sempre. Fare del male, farsi del male.
    Ma non erano solo quello – e se crederlo la rendeva una stupida, allora era orgogliosa di esserlo.
    Non erano loro, il suo problema. Non era sé stessa, il suo problema.
    Il turbamento della Withpotatoes, quello che la notte la costringeva a mordersi il palmo per non piangere, era che tutti, là fuori, avrebbero potuto essere preoccupati per lei. Era sparita April, anni prima; Nathan era tornato a casa da così poco, dopo tutti quei mesi a credere il peggio: come aveva potuto, Idem, infliggere quel dolore alla sua famiglia? Non se lo meritavano, non di nuovo: Isaac aveva aperto da poco il suo locale, April stava cercando di riabituarsi ai ritmi di casa Withpotatoes, Oliver aveva finalmente raggiunto una quieta stabilità, Damian era diventato vice ministro, Nathan stava recuperando il tempo perso, Shane aveva appena ricominciato la sua vita, Darden era in viaggio, Gemes aveva trovato la sua famiglia. Non voleva essere un problema, per loro. Non che l’avesse mai ammesso ad alta voce, sapeva cosa avrebbero replicato: occhi alzati al cielo, sbuffi, pacche sulle spalle, battute ironiche che l’avrebbero costretta a curvare le labbra in un sorriso. Ma comunque.
    Avrebbe voluto fargli sapere che stava bene, che era tutto okay. Non c’era alcun bisogno che rimanessero in pensiero per lei, davvero: preoccuparsi non avrebbe cambiato la situazione a lei, rinchiusa lì dentro, ma avrebbe sicuramente peggiorato la loro. Non voleva neanche che in nome di quella crociata, qualche ribelle innocente cadesse nel fuoco incrociato – era accaduto più di una volta, più di cento – o che fossero loro stessi, a rimanerne vittime. Dopotutto, era stata Idem a perdersi. Era colpa sua. Non riusciva neanche ad incolpare chi l’aveva portata in quella cella, o i Dottori che le somministravano sperimentazioni che la privavano della lucidità per oregiornisettimaneminuti: facevano il loro lavoro, per quanto sbagliato potesse apparire agli occhi della Withpotatoes. Non c’era nulla di personale negli esami alla quale la costringevano, o nelle cinghie che le bloccavano i polsi: lo sapeva, Idem, che avrebbero preferito non fosse così doloroso. Lo sapeva, la segretaria del quartier generale, che non gioivano sapendo cosa le loro azioni comportassero sugli altri. Credevano in qualcosa, i Dottori – e allora poteva Idem, Idem Withpotatoes, fargliene una colpa? Possedeva una coscienza sporca, l’ex Tassorosso, ribelle da che aveva memoria: non poteva imputare loro peccati che, secondo il mondo in cui viveva, aveva compiuto anche lei. Lo trovava ingiusto, sì; li odiava, per quanto un Idem potesse odiare, per averlo fatto alla sua famiglia ed ai suoi amici. Ma odiare l’uomo dai capelli canuti che, ad ogni (credeva?) inizio settimana, le prelevava quasi tutto il sangue in corpo? No.
    Che lo facessero a lei, non le faceva né caldo né freddo. Anzi, da una parte era meglio: trovarsi in quella cella, significava solamente aver tolto quel posto a qualcun altro. Così cercava di alleggerire la tensione, sapete – qualche complimento a sgusciar fuori dalle labbra rosee, osservazioni sulle ultime pellicole uscite al cinema, sui romanzi che l’attendevano a casa. Non la preoccupava la possibilità, pur sapendola concreta, di non poter tornare a casa: ad impedirle di dormire, erano coloro che a casa la attendevano.
    Sentì dei passi nel corridoio. Non si mosse per vedere di cosa si trattasse, ma alzò comunque gli occhi blu di fronte a sé, le sopracciglia arcuate nella naturale smorfia stupita con la quale guardava il mondo – c’era sempre di che esserne meravigliati, di quella vita. Una guardia si avvicinò alle sbarre, rimanendo a fissarla.
    Idem ricambiò l’occhiata, immobile. Probabilmente, con quei biondi ed opachi capelli biondo cenere, non raggiungeva neanche i trent’anni di età – eppure appariva più vecchio, in quei muscoli tesi e lo sguardo freddo. Dopo un paio di minuti di silenzio, Idem reclinò il capo, un sorriso stanco a piegarle le labbra. «buongiorno?» tentò, il naso arricciato, amichevole.
    Vulnerabile, l’avrebbero definita, usando l’aggettivo con disprezzo; come se ci fosse qualcosa di male, nell’essere consapevoli di poter essere feriti. Che può essere facilmente attaccato e sopraffatto per l'insufficienza di mezzi di difesa: vero. Ed era proprio l’esserne consapevole, che rendeva Idem ciò che era: sapeva che avrebbe pagato il prezzo, ma l’avrebbe fatto comunque. Rimaneva delle sue posizioni, nella sua posizione, per la sua posizione. Perché sceglieva, Idem, di esserlo.
    Era quella la rivoluzione.
    L’uomo chinò il capo, le spalle a scuotersi; quando Idem fu tentata di avvicinarsi per assicurarsi che non stesse piangendo, alzò la testa mostrando un sorriso folle a curvare le labbra, negli occhi una nota isterica e disperata che le strinsero il cuore. «buongiorno? Cristo.» Improvviso si scagliò contro le sbarre della cella, facendola tremare. La Withpotatoes, ancora raggomitolata al suolo, si limitò a guardarlo con pacata tristezza, mentre la risata di lui andava spandendosi nello stretto corridoio del Labirinto. «sei qui da un mese. Cristo. Perché fai così?» Un mese? Ignorò la domanda, le sopracciglia corrugate e la testa abbassata. Premendo con le dita sulle gambe, cominciò a contare i giorni.
    Un mese? Deglutì, i pugni ora stretti sul camice verde destinato a tutti i pazienti. «isaac…» sussurrò priva di voce, strizzando la lingua fra i denti. Aveva compiuto vent’anni, vent’anni, e lei non c’era stata: nessuna torta, nessun regalo, neanche un biglietto. Non avevano estratto, come ogni anno, il rotolo della fortuna, tradizione di ogni compleanno. Sì, i Withpotatoes avevano un barattolo entro il quale infilavano post it con su scritto vari doni, da una vacanza offerta di tasche proprie ad un nuovo spremi agrumi, ed ogni volta che qualcuno spegneva le candeline, poteva estrarre il suo rotolo della fortuna.
    Sperava l’avessero fatto comunque. Sperava avesse trovato qualcosa di bello.
    Tenne gli occhi sulle proprie mani, sentendoli pungere di lacrime. Non aveva problemi a piangere di fronte ad altri, ma non voleva che la Guardia credesse fossero a causa sua: non c’entrava niente, con l’amarezza che le aveva stretto il petto, soffocandole i respiri in gola. Non era lui, il problema. Non era Idem, il problema. Per tutta risposta, lui picchiò nuovamente i pugni contro le sbarre, attirando così su di sé i preoccupati occhi della ragazza. «perché fai così?» le domandò ancora in un grido secco, quelli che sfrigolano sulle corde vocali come incubi al sapore di cianuro. «perché non ti arrabbi?» La tassorosso si umettò le labbra, incrociando le gambe sul pavimento. «aiuterebbe?» ribattè, seria, lasciando che la sincerità di quelle parole trasparisse dalle iridi azzurre. Chi credeva che il blu potesse essere un colore freddo, non aveva mai conosciuto Idem Withpotatoes. «no.» Un mezzo sorriso curvò le labbra della donna, le dita intrecciate fra loro.
    No, non avrebbe aiutato.
    Vedeva quell’uomo ogni giorno, Idem. La faceva uscire dalla cella per portarla dai Dottori, la scortava da un esame all’altro. Aveva sempre trovato avesse una voce gentile, ed aveva ritenuto opportuno farglielo notare più di una volta – poco le importava dell’occhiata derisoria con il quale lui sottolineava che non le avrebbe fatto alcun favore: se non aveva capito da sé che le lusinghe di Idem nascevano da intenti puri e disinteressati, spiegarglielo non avrebbe che smorzato il concetto di base. «c’è qualcosa di strano, in te» non lo disse in maniera offensiva, ma come un dato di fatto: c’era qualcosa di strano, in Idem Withpotatoes. Si accasciò a terra, la Guardia, la testa poggiata al muro e la spalla a premere sulle sbarre. Cauta, senza osarsi movimenti azzardati, si avvicinò a lui, sedendosi nell’identico modo, ma dalla parte opposta delle sbarre.
    Che cella o non cella, erano entrambi in prigione. «devono essere gli occhi.» Cosa avevano i suoi occhi che non andava? Aprì la bocca per rispondere, ma lui la anticipò: «hai quel tipo d’occhi che fa sentire in colpa» La osservò bieco, scuotendo la testa. «vorrei…» Una risata amara, lo sguardo ad intiepidirsi. «vorrei essere diverso, per te. Vorrei meritarmi quello sguardo.» la giovane abbassò gli occhi sulle proprie mani, le dita a tirare nervosamente i fili del camice. Non sapeva come aiutarlo, o come spiegargli che era già, lui, quel ch’ella vedeva. Lo erano sempre tutti. Idem era solamente uno specchio, e come tutti gli specchi, si limitava a riflettere quel che già c’era.
    E lo mostrava senza filtri. «qual è il tuo Potere?» lo disse in un soffio, quel potere a risuonare nella densa aria del Laboratorio. Lo disse come se avesse avuto l’iniziale maiuscola, come se fosse qualcosa che solamente Idem poteva possedere. Qualcosa di speciale. Allungò lentamente la mano, sfiorando appena con le dita quelle delle Guardia.
    Se fosse stato qualcun altro, avrebbe potuto approfittare di quel momento di debolezza per ottenere ciò che voleva, o cercare di scappare. Chiunque altro, al suo posto, l’avrebbe fatto - perfino Idem, i denti stretti, era tentata di farlo. Voleva tornare a casa per festeggiare insieme a Darden e Oliver almeno il loro, di compleanno; voleva stringerli a sé, voleva tornare dalla Resistenza, al lavoro. Voleva rassicurare Phobos, dirgli che non era stata colpa sua se era sparita: era stata Idem, a perdersi. Non riusciva a sopportare l’idea che il Campbell potesse portare quel fardello da sé, non era giusto; voleva dirgli che si fidava ancora di lui, e che sempre l’avrebbe fatto. Che a discapito di tutto, le avventure in sua compagnia erano sempre le migliori. Che non aspettava altro - ed anche uscita di lì, ammettendo che l’avrebbe fatto, l’avrebbe ancora seguito in capo al mondo.
    Ma non sarebbe stata una Idem, se avesse colto quell’opportunità.
    Qual era il suo Potere?
    Si inumidì le labbra, i polpastrelli a sfiorare quelli della guardia. Era così triste, che venisse considerato un qualcosa di eccezionale.
    Era così sbagliato.
    «umanità.» un sorriso ad enfatizzare le fossette sulle guance, un sospiro malinconico a vibrarle nelle ossa. La guardia scattò in piedi quando la porta del corridoio si spalancò. Un suo collega, con un sospiro frustrato, si trascinò appresso il corpo privo di sensi di un ragazzo.
    Idem conosceva, quel ragazzo. Trattenne il respiro, una mano a premere sulla bocca, mentre la seconda Guardia scaricava un incosciente Noah nella cella vicina alla sua, un ansito affaticato a sfuggirgli fra i denti. Era quello, che Idem non concepiva. Scivolò sul pavimento verso la parte di stanza che confinava con quella del giovane, gli occhi fissi sul petto alla ricerca di segni che stesse respirando. Noah Parrish non poteva saperlo, come avrebbe potuto?, ma la Withpotatoes non era certa che senza la sua presenza, sarebbe riuscita a sopravvivere così a lungo. Non era abituata a stare da sola, Idem: vivendo con più fratelli che denaro nel conto in banca, era avvezza ad addormentarsi con i loro rumori all’interno di casa – respiri profondi, grugniti nel sonno, lenzuola a scivolare sulle gambe. Era confortante sentire quei suoni, un rumore bianco a fare da sottofondo ai suoi sogni. Non aveva mai conosciuto il vuoto, dove il silenzio era rotto solamente dal suo stesso battito: sentire Noah, per quanto distante, se l’era fatto bastare. Fece scivolare le dita fra le sbarre, la mano a sfiorare leggera i capelli di lui. «sta…?» lasciò la frase a morirle sulle labbra, consapevole che nessuno, in ogni caso, le avrebbe risposto. Lo sguardo slittó sui disegni che Noah aveva lasciato impressi nella sua camera, i segni del carboncino a sbiadire sull’asettico linoleum delle pareti; talvolta anche ad Idem lasciavano fogli e materiale per disegnare, evidentemente ignari delle sue incapacità artistiche – ed allora lei faceva passare ciò che le veniva offerto attraverso le sbarre, verso il ragazzo, sapendo che lui ne avrebbe fatto un uso migliore. Le piaceva guardarlo disegnare, la distraeva, mentre le dita si muovevano abili a piegare fogli di carta straccia per dar loro la forma di un airone, o di un fiore, o di una rana. Talvolta li donava a Noah, altri alla Guardia. Era capitato che lasciasse petali di carta anche ai Dottori: se quello che compivano là sotto era peccato, Idem Withpotatoes era senza ombra di dubbio la redenzione. Non giudicava, non scagliava pietre.
    Potevano ancora scegliere di cambiare. Potevano ancora fare la cosa giusta.
    «torna al tuo posto, Cavia»
    Cavia. Inspirò, ruotando gli occhi sulla Prima Guardia. Non le sfuggì la ferita, celata disperatamente in un battito di ciglia, che gli guizzò nelgli occhi, e si accontentò di quella briciola, Idem, per sperare.
    Aveva sempre avuto fede, lei. Potevano strapparla alla sua famiglia, ai suoi amici, alla sua vita. Potevano privarla della magia, ma non le avrebbero tolto quello.
    Perché era ciò che era, Idem: qualcuno che ancora ci credeva.

    21 Aprile

    Un singhiozzo silenzioso le scosse le spalle, la schiena poggiata al muro e le gambe abbracciate al petto. Qualcosa non andava, in lei – di diverso, rispetto al solito. Continuava ad avere incubi, sensazioni sgradevoli che le rimanevano appiccicate sulla pelle anche al risveglio, il corpo sudato e le guance umide di lacrime. Non ricordava di cosa si trattasse, ma le bastava il sapore di bile che le lasciava sulla lingua, per comprendere che non si trattava di nulla di buono. Tutto quel sangue, tutte quelle grida. Tutte quelle risate, ovunque e da nessuna parte, che le vibravano in gola.
    Idem stava cominciando a ricordare una vita che non avrebbe mai dovuto esistere. Cancellata, estirpata. Le mani ricominciavano a tremare, la voce ad uscire in sbuffi sofferenti che non era più in grado di controllare.
    Eppure, quando i Dottori la visitavano, tornava ad essere l’amabile Idem Withpotatoes che avevano sempre conosciuto: sorrideva, chiedeva perdono per errori non suoi, si complimentava per i nuovi tagli di capelli.
    Ed intanto gli origami ed il materiale da disegno andavano ammassandosi nell’angolo della stanza, in quello spazio sottile che un tempo condivideva con Noah. Gli occhi scivolavano densi sulle sbarre dalle quali, fino a poco tempo prima, intravedeva il profilo del ragazzo.
    A volte, ancora gli parlava.
    Non sapeva da quanto tempo fosse sparito, Idem. L’unica certezza, era che fosse scappato: perché erano andati a cercare lei, le Guardie, quando Noah Parrish era riuscito a scappare dal Laboratorio. Lei, la compagna di cella, che non poteva non aver conosciuto il suo piano: perché non li aveva avvisati? Punizione esemplare, le avevano detto, in modo che non tentasse una tale impresa come il suo amico - non ricordava nulla, di ciò che era accaduto dopo, finchè non si era ritrovata a singhiozzare raggomitolata sulla sua branda. Perché, perché. Non ci aveva neanche provato, Idem, a dire che non ne sapeva nulla, troppo sollevata all’idea che Noah ce l’avesse fatta. Le mancava, ovviamente. Le mancava come ad un fiore avrebbe potuto mancare il sole, come ad tossico mancasse la sua dose di eroina, come chiunque mancasse ad Idem Withpotatoes. Era difficile, sapete? Stare là sotto, ascoltare solo la propria voce. Qualche volta Leon, la Guardia, si fermava a parlare con lei. Qualche volta, Leon, tornava alla sua cella con qualche graffio in viso, il sorriso meno convinto sulla bocca sottile.
    Qualche volte impazziva, Idem Withpotatoes. Qualche volta non era Idem, quella seduta nella cella a fissare il vuoto.
    Non esisteva tempo, lì dentro. Cercava di segnarsi i giorni sulla pelle, unico lembo indelebile, ma i Dottori non comprendevano quel suo bisogno di quantificare i giorni: cancellavano i segni, riportandola a zero.
    E trenta giorni erano di nuovo uno.
    E quaranta giorni erano di nuovo uno.
    Ed era sempre, solo, un giorno.
    Ma doveva sapere, Idem, quando sarebbe arrivato il compleanno di Darden ed Oliver. Non poteva essere con loro, ma poteva almeno… almeno provarci. Almeno sognarli, quei tranquilli pomeriggi a casa Withpotatoes. Non erano la famiglia perfetta, né quella che alcuni fra loro avrebbero desiderato, ma erano tutto ciò che Idem aveva, e che sempre aveva voluto avere. La facevano sentire normale; le davano quella speranza della quale s’alimentava come carburante.
    «sei sveglia?»
    Sbattè le palpebre, cercando di abituare gli occhi alla scarsa luminosità della cella. «leon…?» mise i piedi a terra, rabbrividendo con il contatto del pavimento. Si trascinò fino alle sbarre, il sorriso già sulle labbra ad accogliere la Guardia. Era già seduto al suolo, in quella ch’era ormai divenuta consuetudine per loro. Le rivolse una smorfia sghemba, le guance lievemente arrossate, e spinse verso di lei un piatto. Quando Idem si chinò, notò che all’interno del piatto v’era un dolcetto – quelli con la glassa colorata sopra, un po’ schiacciato sulla cima a perdere la forma perfetta che possedeva nelle pubblicità. Era per…lei? Il magone le strinse la gola, gli occhi lucidi fissi sul tortino. Con il dorso della mano asciugò rapida una goccia sfuggita dalle ciglia corvine, una risata nervosa a sferzarle le corde vocali. «ti porterò fuori di qui, Idem» la mano di lui attraverso le sbarre ad asciugarle le guance, le dita a raccogliere prudenti il viso di lei. Non voleva, Idem, che la facesse uscire di lì - non così. L’avrebbero etichettato come Traditore, ed i Traditori, nel loro mondo, morivano. Scosse il capo, le parole incastrate da qualche parte nel petto. Per un solo istante, uno solo, Idem li vide tutti: Darden a sollevare appena un angolo delle labbra, lo sguardo rivolto a Gemes; Gemes a stringersi nelle spalle, gli occhi alzati al soffitto; il sorriso timido di Oliver, quello contagioso ed appiccicoso di Isaac. Le mani di Nathan sulle spalle, le braccia di April attorno al collo. Damian, impeccabile, a portarle un pacco elegantemente confezionato in qualche negozio del quale Idem non sarebbe riuscita neanche a pronunciare il nome. Keanu, la tazza di tè a sollevata in un silenzioso brindisi; Phobos, al fianco di Keanu, a cercare di comprendere come si utilizzasse una macchina fotografica.
    E Nathan, Jessalyn, Erin, Alec, Hope, Dakota, Ashley, Aveline, Murphy, Niamh. Nathaniel, Helianta, Brandon, Eugene. Stiles e Shane. C’era perfino Noah, il mento nascosto dietro un blocco da disegno.
    «per me?» e lo chiese a loro, la voce un bisbiglio appena udibile.
    Erano lì per lei?
    Sempre.
    Chiuse gli occhi, Idem Withpotatoes. «buon compleanno.»

    21 Maggio.

    C’era, non c’era. C’era di nuovo, e poi non c’era più.
    Sentiva sussurri, Idem. Sentiva parole che non avevano bocca, sentiva dita che non esistevano.
    Sei stata tu.
    Sentiva un freddo che non c’era, ed un dolore che non le apparteneva.
    Le dita a scivolare fra i lunghi capelli corvini, i denti a stringersi sulle ginocchia, le palpebre serrate – per favore basta, scusatemi basta, vi supplico basta.
    Eppure ancora, Idem Withpotatoes, non riusciva a provare neanche un briciolo d’odio. Era un concentrato di sofferenza a balzi, di giorni che si susseguivano in ore o minuti. Parlava con Leon, o credeva di farlo. Veniva sottoposta ad accertamenti, o credeva di farlo.
    Sopravviveva, o credeva di farlo.
    Era Idem, o credeva di esserlo.
    «non è giusto.»
    «cosa?»
    «tu» Le mani a tremare, lo sguardo schivo ad evitare gli occhi di Leon.
    «cosa?»
    «tutto questo»
    «mi dispiace.»
    «sistemerò tutto».

    21 Giugno.

    Stava dormendo, quando l’allarme iniziò a suonare – o forse era priva di coscienza. Non sentiva più nulla, Idem, di nessun genere: non il dolore, non la percezione fisica degli oggetti, non il freddo né il caldo. Non si sentiva la propria pelle, la Withpotatoes. Deglutì, la gola arida a supplicare per un goccio d’acqua. Da quanto non beveva?
    Non mangiava
    Non dormiva
    «idem?» Le sirene rosse a rendere i contorni più affilati, il precario equilibrio della mora a costringerla a sorreggersi al muro. Cercò di sbattere le palpebre, ma un’improvvisa vertigine la costrinse a rimanere ad occhi chiusi, un conato ad inacidirle il respiro. «leon?» Tossì, il palmo della mano a raccogliere alcune gocce di sangue. Eppure sorrise, quando socchiudendo gli occhi incontrò il profilo della Guardia. «ce l’ho fatta.» I pensieri sconnessi, il corpo a tremare di stenti e gelo. Si appoggiò alle sbarre, scoprendo che la porta della cella era aperta. «ho sistemato tutto.» Incredula, spinse con la punta delle dita fino a crearsi uno spiraglio abbastanza grande che le permettesse di uscire nel corridoio. «leon, non capisco.» un tono sonnacchioso, le ginocchia molli – ma si obbligò a rimanere in piedi, un sopracciglio arcuato a ridicolizzare una situazione dal retrogusto di tragedia. «ce l’ho fatta, idem.» La risata contagiosa di lui a sollevarle gli angoli della bocca in un sorriso confuso, lieto solamente che lui fosse felice.
    Ed allora lo guardò.
    Davvero. «c’è qualcosa di strano, in te» le parole di Leon di mesi prima, dalle labbra di lei, avevano un suono tutto diverso. «e sono contento di averlo fatto, per te» Idem assottigliò le palpebre. «per me.» La mano di lui ad allungarsi verso di lei, un sorriso mesto che ben s’abbinava agli spettinati capelli biondo opaco.
    «ora mi merito quello sguardo.»
    Ed al sangue.
    «grazie.»
    Le dita di lui a scivolarle sulla guancia.
    «cambia questo mondo, idem withpotatoes»
    Niente.
    «devono essere gli occhi.» La gola a stringersi, la vista offuscata. Il tono di voce sognante che incrinava solamente gli incubi.
    «e sappi che leon bouvier è morto da uomo libero.»

    25 Giugno.

    Un sospirò uscì denso dalle labbra dischiuse di Idem, la guancia a sfregarsi contro la federa del cuscino. Corrugò le sopracciglia, infastidita dalla luce che picchiettava contro le palpebre, il naso ad arricciarsi con disappunto. Mugolò qualcosa sotto voce, le braccia immobili lungo i fianchi. Sentiva le mani stranamente… pesanti. I rumori non la preoccuparono più del dovuto, era abituata a svenire durante le sessioni con i Dottori. Socchiuse gli occhi, sbattendo pigramente le lunghe ciglia corvine. Luce, buio, di nuovo luce. Voci a sovrapporsi, ad avvolgersi, a stringersi l’una sull’altra. Mani a sfiorarla – forse? Ma non poteva far nulla per loro, Idem Withpotatoes. Non riusciva neanche a far nulla per sé stessa.
    Si alzò su di un gomito, spingendosi a sedere – e solo allora, l’ex Tassorosso, sollevò le iridi cerulee di fronte a sé. Un allucinazione? Un sogno?
    Frammenti di ricordi, sprazzi di memorie che andavano ricostruendosi con la lentezza di un battito bradicardico. Si sentiva confusa, la ribelle. Disorientata.
    Eppure sorrideva, Idem, con la leggerezza di chi si sentiva il cuore una piuma. Eppure, gli occhi, pungevano di un liquido mare blu che non aveva più alcuna forza di versare. «damian?»
    E tutto, nel fulmine a ciel sereno che spaccava nuvole e sole, ebbe un proprio posto.

    do it for the aesthetic -- ms. atelophobia


    Edited by #epicWin - 29/6/2017, 04:15
     
    .
  2. don't joke with icesprite
        +2    
     
    .

    User deleted


    34 y.o. vice minister sick aseptic obsessive compulsive
    Damian "Damned" Icesprite the evil sick
    love is not about possession, love is about appreciation.



    Maggio 2017

    E la storia si ripeteva di nuovo.
    Aveva già vissuto un anno prima quella sensazione di bruciore al petto ad ogni respiro, come se l’aria che tentava di inspirare fosse bollente per i suoi polmoni, troppo pesante per attraversare il suo corpo. C’era qualcosa che lo rendeva inquieto, nervoso, torbido ed andava avanti da settimane. Pensare di essere costretto a respirare la stessa aria di certi putridi che avrebbero dovuto marcire nelle più profonde segrete del Ministero lo offuscava, lo rendeva malato. Damian non ce la faceva a respirare la loro stessa aria e continuare a vivere in serenità. La serenità non aveva mai saputo cosa fosse, ma in quegli ultimi tempi viveva davvero nel buio, circondato dalle sue ombre.
    Chi lo guardava da lontano a lavoro o chi lo viveva da vicina a casa, si era reso conto che qualcosa non girava nel verso giusto nella testa del Vice Ministro, e lui non riusciva più a nasconderlo.
    Dimenticava le cose meno importanti, capitava spesso. Questo, forse, era il sintomo meno evidente di tutti, perchè Damian sapeva dissimulare alla perfezione i suoi errori, ciò che non riusciva a nascondere, però, erano delle insane manie che tutti potevano vedere. Aveva preso l’abitudine di girare per i corridoi del Ministero e chiudere tutte le porte che trovava spalancate, o i cassetti aperti degli uffici che non gli appartenevano, compiere sempre lo stesso identico percorso come se stesse cercando qualcosa, come se avesse uno scopo, andava avanti ed indietro senza sosta, aveva perso qualche chilo di troppo, a volte si dimenticava di mangiare e di bere ed il dormire, poi, era qualcosa che avveniva di rado.
    Piccoli tic, manie che avvenivano solo nei periodi di stress intenso, e lui non poteva fare niente per evitarlo quando succedeva, qualcosa nel suo cervello sembrava scollegarsi e diventava impossibile portare a termine le faccende più complesse, il suo cervello andava in tilt per brevi periodi.
    Andrà a peggiorare, signor Icesprite. Lei ha bisogno di riposo.
    Seduto sulla sua morbida poltrona di pelle nera, osservava con sguardo truce il Guaritore che gli stava davanti e che, con tanta pazienza, tentava di convincerlo a prendersi un periodo di pausa dal lavoro. Ma come faceva, Icesprite, a lasciare tutto quando le vie di Londra pullulavano di mentecatti? Come faceva a lasciar stare quando i manifesti sulla scomparsa di Idem erano ancora appesi sui muri della città ad ammuffire?
    Era rimasto in silenzio per un periodo indefinito, aveva riflettuto sulla sua vita in quegli istanti ed aveva provato a fare un passo alla volta, a fare un’analisi dettagliata di ciò che il Guaritore di fiducia tentava di dirgli. Aveva bisogno di quantificare le informazioni. Si alzò dalla sua poltrona per avvicinarsi alla finestra che si affacciava su una Londra caotica e grigia, cercò un po’ di serenità in quella vista. Quanto tempo ho? E di quanto riposo ho bisogno? Sia più chiaro.
    Era questo il suo problema, non staccava mai, mai.
    E’ una malattia imprevedibile, potrebbe volerci un anno o anche dieci anni, non posso quantificarla.
    Era questo il suo problema, essere afflitto da un male inquantificabile, qualcosa che non poteva definire. E Damian odiava non poter definire le cose, odiava lasciarle al caso, aveva bisogno di dati, di fatti, di certezze. Come poteva una malattia così insulsa aver colpito un tipo così preciso come lui? Poi, il Guaritore gli aveva dato il colpo di grazia.
    E’ una malattia che di solito colpisce i babbani.
    A quel punto, l’Icesprite aveva detto ciao. Prima aveva guardato il Guaritore, convinto che lo stesse prendendo in giro. Ma è il momento di scherzare, sciocchino? Poi, lo sguardo serio del professionista non aveva lasciato spazio a dubbi, ed una sensazione di nausea potente gli aveva rivoltato lo stomaco, aveva roteato gli occhi al cielo, le gambe avevano ceduto e l’ultima cosa che aveva visto era stato il soffitto del suo studio al Ministero.
    Signor Icesprite!

    Giugno 2017 - Ministero


    Lo avevano costretto ad un periodo di ferie forzate.
    Non devi preoccuparti, il Ministro Oshira è un pezzo duro. Aloysius pensava di tirarlo su di morale con quelle parole, ma Damian sapeva essere peggio di un bambino, delle volte.
    Un pezzo di merda? Hai detto un pezzo di merda?
    Ho detto un pezzo duro.
    Anche io penso che sia un pezzo di merda.
    Damian...ricordi gli esercizi per lo stress che ti ha consigliato di fare lo psicomago? Li stai facendo? Certo, non era dovere di Aloysius ricordarglielo, ma aveva dovuto informare il ragazzo, almeno in parte, sul suo stato di salute.
    No.
    Non avrebbe nemmeno dovuto trovarsi al Ministero, in realtà, lo psicomago era stato chiaro, ma Damian non riusciva a staccare.
    E poi, come poteva non sentirsi stressato? Idem era scomparsa come aveva fatto Shane prima di lei, e se aveva rischiato il senno con il nipote, adesso la sua mente già provata rischiava di non avere una via di ritorno verso la sanità. Non si dava pace, non ci riusciva. Aveva tappezzato Londra e non solo, da più di mille manifesti che ne annunciavano la scomparsa, ma se i più ora giacevano a terra, calpestati da piedi poco attenti, alcuni erano serviti da tappeti e coperte per i barboni di Londra ed i pochi rimasti ancora appesi rimanevano inascoltati. Era una delle poche volte in cui Damian Icesprite aveva dovuto fare i conti con la crudele verità: non tutto si può comprare con il denaro. A nessuno servivano cinquemila galeoni se la fonte da trovare era introvabile, persino i suoi cinque galeoni perdevano senso. Tutti cercavano Idem, la giovane aveva seminato intorno a sé un ricco circolo di persone che le volevano bene, tra cui molti familiari, ma Damian aveva sempre agito da solo. Non era pronto ai lavori di squadra, non era un amante di questi perché da solo ragionava meglio che in gruppo, senza contare, poi, che la collaborazione non era il suo forte. Lui amava comandare, dire agli altri cosa fare perché il più delle volte aveva pensieri drastici che lo differenziavano dagli altri, e non tutti, in un gruppo, erano disposti ad ascoltarlo.
    Guardava il volto di Idem impresso nei manifesti, e rideva.
    Rideva, perché la situazione era paradossale.
    Era paradossale pensare come il male se la prendesse sempre con chi, per indole o altro, era meno portato alla difesa. Non che Idem non si sapesse difendere, ma già la immaginava pronta a servire tè e biscotti ai propri aguzzini, nella speranza che trovassero una luce, la retta via.
    Magari sarebbe anche riuscita a corromperli. Con lui ci era sempre riuscita.

    Mentre combatteva con le proprie turbe mentali, il Vice aveva iniziato a seguire una pista possibile, che forse lo avrebbe portato ad Idem. Un addetto di una struttura dei pressi di Londra aveva vuotato il sacco dandogli informazioni del tutto superficiali, ma che Damian aveva preso come oro colato, non avendo altro. Non era stato semplice, aveva dovuto torturargli persino la mamma per avere ciò che voleva, e lo aveva fatto con freddezza ed estrema professionalità.

    Giugno 2017 - San Mungo


    Le mani ancora percepivano il peso del corpo della ragazza come se lei fosse ancora lì con lui. Sembrava sentire la stoffa sporca della sua veste accarezzargli i palmi, non si era ancora abituato alla sensazione di vuoto che aveva provato quando si era separato da lei dopo averla trovata.
    Aveva pensato che, se l’avesse trovata, tutti i problemi sarebbero scomparsi. Eppure erano ancora lì, nascosti dietro le porte che Damian tentava inutilmente di chiudere, come a dare una fine a quel circolo infinito di pensieri, si trovavano ancora nei cassetti semiaperti che, solo a vedergli, gli procuravano i brividi, come fossero pozzi neri ed infiniti in cui sarebbe potuto cadere se non li avesse chiusi. Si trovava alla soglia della camera al San Mungo in cui Idem era sdraiata, più magra rispetto a come la ricordava, più magra delle foto affisse per tutta Londra e che non aveva avuto il tempo di togliere. Teneva dietro la schiena un pacchetto regalo che aveva fatto confezionare in un negozio lì vicino. La guardava da lontano come se non volesse interferire con la sua guarigione ma al tempo stesso volesse esserne partecipe. Una medimaga, passando di lì, lo guardò un attimo prima di invitarlo ad entrare.
    Signor Icesprite, se vuole può entrare.
    No, grazie. Voglio darle privacy.
    Al chè, la donna aveva alzato un sopracciglio con un’espressione in volto di chi avrebbe voluto commentare qualcosa di spiacevole. In effetti, forse Icesprite aveva un concetto di “privacy” un po’ distorto. Poi, forse avendo sentito la sua voce del tutto inconfondibile, la ragazza si era svegliata e lo aveva nominato, o a Damian sembrava così.
    Allora era entrato nella camera richiudendosi la porta alle spalle e si era avvicinato al suo letto, senza fare passi affrettati.
    Idem, cosa mi combini? Portò con sè il pacchetto, poggiandolo sul letto, appena sopra la pancia della ragazza.
    Era una domanda retorica, non doveva davvero rispondere. Anche perché non era certo intenzione di Damian chiederle chi, cosa, come e perché in quel momento - no, non è vero, era sua intenzione ma si stava trattenendo con ogni forza perché lo psicomago ed il guaritore gli avevano dato indicazioni precise su cosa dire e cosa evitare al risveglio della ragazza. -
    Ho fatto in modo di farti dare la stanza da sola, così non devi confonderti con la gentaglia.
    Adesso, Idem avrebbe dovuto provare a sgridarlo (?) così che lui avrebbe capito che era davvero lei.
    ✕ schema role by psiche
     
    .
1 replies since 29/6/2017, 02:37   246 views
  Share  
.
Top