how i met your mother.

boyle x lovinski

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    lost in the echo

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    L’uomo mugolò felice: lo stuzzicadenti, affondava nella patata che era una meraviglia. Frasi del genere, me ne rendo conto, normalmente dovrebbero essere vietate ad un pubblico di minorenni, specialmente se in fascia protetta, ma nel caso di Charles Boyle, insegnante di trasfigurazione e responsabile dei Tassorosso, non c’era da preoccuparsi di possibili oscenità.
    Infatti sorrise con orgoglio alla sua patata, Boyle, cullata con affetto nel palmo della mano sinistra, mentre la destra reggeva fra le dita un piccolo stuzzicadenti. Una delle sue tante passioni, infatti, risiedeva nello scolpire tuberi. C’era chi faceva quadri con la pasta cruda, e chi da una patata ti tirava fuori la Pietà di Michelangelo – Boyle, nel dubbio, rientrava in entrambe le categorie. Picchiettò ancora con la sua arma la superficie gialla e morbida della verdura, la lingua stretta fra i denti e gli occhi ridotti ad una fessura: i dettagli, come le scritte su photoshop nei blend, erano sempre la parte peggiore. Inumidì la punta dello stuzzicadenti nella maionese, così da dare le giuste sfumature di luce alla sua nuova Creatura: ed un sospiro soddisfatto, infine, venne accompagnato da una risata allegra e tronfia, la patata ora non più patata poggiata con fervore religioso al centro della scrivania. «oh, patata!jake,» le diede un buffetto con la punta delle dita, le sopracciglia a schizzare verso l’alto sottolineando le numerose pieghe sulla fronte – talvolta l’avevano paragonato ad uno sharpei, ma a voler essere puntigliosi, Charles Boyle si sentiva più uno Bulldog Inglese. «sei la migliore!» lanciò lo stuzzicadenti nel cestino, le mani a premersi sognanti sulle guance tonde. Patata! Jake Peralta, era indubbiamente la sua creazione migliore – nonché unica, a dire il vero. Lanciando un’occhiata ai suoi altarini, si poteva constatare quanto, il suo miglior amico nonché anima gemella Jake Peralta, fosse sempre al centro dei suoi pensieri. Ah, non vi ha mai mostrato la sua collezione di patate?
    Evidentemente, non vi ha ritenuto degni. Tutti le matricole giallo nere avevano l’onore, il loro primo giorno, di farsi una patata!passeggiata con lui: Boyle, orgoglioso, mostrava loro le varie scenette rappresentate con un abile uso di tuberi. C’erano lui e Jake che inseguivano una melanzana, ad esempio, anche lei estremamente particolareggiata («lui è doug judy, il famoso bandito delle nimbus!»); c’era un altare sul quale era possibile osservare patata!Jake e patata!Amy convogliare a nozze (patata!charles1 a fare da testimone dello sposo, patata!charles2 testimone della sposa, e patata!charles3 ad officiare); e tanti, ma mai troppi, momenti condivisi fra patata!jake e patata!boyle: avevano perfino delle piccole manine con il quale si battevano il cinque. Così predestinati, che anche la loro versione tuberi non poteva fare a meno di amarsi.
    Le patate più bollenti.
    Si sistemò con cautela sulla sedia, un sorriso sornione a scivolare sulle foto che tappezzavano la parete del suo ufficio (Jake e le patate; il diploma di Jake; Jake neonato che veniva allattato dalla madre; lui e Jake il primo giorno di scuola; lui e Jake a la pesca; Jake e Amy che si scontravano nei corridoi; Jake; Jake; Jake e Boyle; Jake.). Hogwarts, per Charles Boyle, era davvero casa– era lì, d’altronde, che accadeva tutto.
    Le sue ship.
    Jake Peralta.
    Le ship canon.
    Jake e Boyle.
    QUEST08 Peloso una volta al mese, eccentrico quanto basta - e talvolta debole, e talvolta fragile, quando nessuno lo guarda."
    In quel quindici marzo, Charles Boyle si rese conto, come sempre e come mai, di quanto la sua vita fosse perfetta – certo, se Amy avesse sfornato un bambino, sarebbe stata migliore, ma sapeva attendere: non era nel suo periodo fertile, dopotutto. Aveva scelto la Resistenza, Charles; aveva scelto i ragazzi dei quali era fiero insegnante, e che amava come fossero stati figli suoi. Aveva scelto le sue patate. Aveva scelto Jake. Era un rispettato docente della stimata scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, aveva il miglior amico del mondo, ed un sacco di giovani da traviare verso il lato shipping della forza – nonché da corrompere per far sì che Amy AMMETTESSE PUBBLICAMENTE SANTO CIELO COS’è QUESTA SEXUAL TENSION MI VIENE DA PIANGERE la sua attrazione per Peralta. Sistemò pigramente alcuni fogli sul tavolo, ben attento a non turbare la quiete di freshpatata!Jake. Era in un’estasi mistica ed inspiegabile, Charles Boyle, quando sentì bussare alla sua porta.
    Spalancò gli occhi, una mano al cuore. «non è il nostro salute segreto.» si rese conto, una punta di triste amarezza a condire la sua affermazione: non era Peralta, di conseguenza.
    O forse sì. A volte, quello sciokkino, “dimenticava” del loro segnale confidenziale ( lui diceva che non poteva usarlo perché: «non sono jake peralta, sono houn posonno: vengo dalla scuola di magia di Mahoutokoro, i miei genitori sono morti quand’ero bambino, e mio fratello è stato assassinato in circostanze misteriose proprio a Londra. sono qui per trovare giustizia, e Boyle gli credeva ciecamente).
    «JAKE?» tentò, allungando il collo quasi avesse potuto vedere attraverso la quercia della porta. Spoiler: non poteva (ancora) farlo.
    «dai isaac, vai avanti tu- VAI AVANTI TU» L’uscio si spalancò, e Boyle si alzò in tempo per vedere due ragazzini capitombolare, letteralmente, all’interno del suo ufficio. Piegò il capo di lato, le sopracciglia corrugate su un paio d’occhi privi di ciglia: «lovinski?» che fossero diventati canon? Un sorriso saputo gli storse la bocca, uno sguardo allusivo nella loro direzione: «siete qui per confessarmi qualcosa?» Tipo che vi amate.
    Tipo che Jake vi ha mandato perché gli manco.
    Tipo che lui ed Amy si sono baciati – no, impossibile, il suo radar l’avrebbe percepito: e con radar, intendo che aveva davvero un allarme che l’avrebbe avvisato in caso di paccata. Che amico sarebbe stato, altrimenti.
    «prego, prego, ACCOMODATEVI – vista che bella la mia nuova patata?»
    Non potevano non averla vista.
    Era la patata migliore del mondo.



    Edited by - as fuck - 3/10/2017, 17:26
     
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    Sedeva scomposto sulla lunga panca della Sala Grande, i gomiti appoggiati sulla tavolata dei Tassorosso ed il mento posato sulle mani congiunte. Isaac Lovecraft aveva sempre amato le feste, ma tra tutte il proprio compleanno non era mai stato una delle sue predilette: lo aveva sempre passato in casa, a Salem, senza nessuno con il quale festeggiarlo e con dei genitori che non incoraggiavano affatto la sua necessità di avere degli amici con cui dividere una torta qualsiasi. Drake prima, ed i Withpotatoes poi, avevano iniziato a dare un nuovo significato a quel giorno speciale - piccoli gesti, regali inaspettati e sorrisi sinceri che cercavano, a modo loro, di rendere felice quell’evento -, ma dovevano pur sempre far fronte a nove precedenti anni di assenza, quasi completa inesistenza, di festeggiamenti. Agli occhi del giovane Corvonero quella era una sfida enorme e praticamente impossibile, ma aveva piena fiducia nella propria nuova famiglia. Alzò le iridi castane incontrando, oltre la lastra di mogano e le innumerevoli carte di dolci lasciate vuote su questa, il viso paffuto di Stiles chino sul tavolo ed intento ad ingozzarsi di leccornie. Era appena primo pomeriggio, la Sala era pressappoco vuota ed i due ancora non erano finiti in Sala Torture: forse lo sapeva, la Direzione del Castello, che quel quindici di marzo era il giorno del loro compleanno e che quindi, almeno per una volta, potevano evitare di torturarli – la verità, era che ancora non avevano fatto alcunché per venire puniti, ma Isaac aveva deciso di credere che lo staff di Hogwarts volesse far loro un regalo. Perché proprio a loro, poi? Non erano nessuno, e probabilmente nemmeno i loro aguzzini più affezionati si ricordavano i loro nomi: altro non erano, che due reietti di una società che nemmeno credevano potesse esistere, capitati lì per caso e trovatisi insieme per lo stesso diletto del Fato. Due amici, nati in primo luogo dalla mera necessità di non sentirsi da soli tra il sangue loro e di altri che erano passati nella stessa stanza, che nulla avevano per cui essere ricordati nel gregge della scuola di magia – due ragazzini come tantissimi altri, che avevano fatto del ripudio comune a cui quel mondo li aveva condannati la solida base di un’amicizia che andava consolidandosi giorno dopo giorno - dopo ora dopo minuto - e che l’appena dodicenne Lovecraft sapeva sarebbe durata per sempre. Sperava, sarebbe durata per sempre – perché era stato il suo primo appiglio, lo Stilinski, e da un anno a quella parte non riusciva ad immaginarsi un futuro in cui il Tasso non sarebbe stato suo amico.
    L’anno precedente, quando avevano appreso di essere nati lo stesso giorno, avevano passato così tanto tempo a gongolare per la scoperta da non essere riusciti a progettare un qualsiasi cosa in loro onore – almeno Isaac non ci era riuscito: non era certo dell’attitudine di Stiles a festeggiare, sebbene quella del Lovecraft bastasse per entrambi. Ma per quell’anno avevano deciso di fare le cose in grande, i Lovinski. Di fare qualcosa di grande, che desse un significato - a cosa? A tutto.
    «potremmo prenderci una giraffa» esordì, tamburellando con gli indici sul labbro inferiore, lo sguardo assorto e fisso su un punto imprecisato sopra la spalla destra dell’amico. L’unico loro problema, in fin dei conti, era che ancora non avevano deciso, esattamente, cosa fare. «mh?» «ma sì, una giraffa» scartò una cioccorana, afferrandola al volo prima che questa prendesse il largo – non aveva intenzione di rincorrerla per tutta la Sala Grande, sebbene potesse essere un’idea. «la salviamo dallo zimbabwe e la portiamo a scuola - senti, è ovvio che le giraffe siano in zimbabwe, non torneremo un’altra volta su questo argomento-. Oppure…» staccando la testa alla rana con i denti, si piegò più avanti sul tavolo, avvicinandosi al tassorosso. «potresti farmi da spalla mentre ci provo con sharyn». Poteva quasi leggerglielo nella mente, quel sibilato “ancora, isaac?”, e se solo l’altro avesse attivato la telepatia wat avrebbe potuto udire, in risposta, un “sempre”: era cocciuto, il corvonero, e finché avesse potuto ci avrebbe provato, con la biondina. L’aveva puntata dallo smistamento di lei quello stesso settembre, e per un motivo o per l’altro sapeva sarebbe stata sua. Magari non quell’anno, dai.
    Forse.
    Magari il prossimo.
    Vabbè erano bambini, il fatto che avesse messo la crocetta sul no quando gli aveva passato sottobanco il bigliettino chiedendole se volesse mettersi con lui qualche settimana prima di Natale sarebbe entrato nel dimenticatoio molto presto.
    «oppure,» dovette schioccargli le dita davanti agli occhi, per farlo rendere conto che doveva uscire dal sogno ad occhi aperti nel quale si era tuffato e ritornare alla grigia realtà dei fatti. «potrei avere un’idea»

    «l’idea è tua, perché devo andare prima io?» Era passata solo un’ora, o forse poco meno, da quando i due avevano lasciato la Sala Grande alla volta dell’ufficio del professore di Trasfigurazione. Altri dieci minuti, più o meno, da quando si erano stanziati davanti all’uscio, immobili, aspettando che l’altro facesse il primo passo. «è anche il responsabile della tua casata» «dai isaac, vai avanti tu» «STILES» «VAI AVANTI TU» Non seppe dire, esattamente, come era successo – qualcuno li aveva spinti?, avevano iniziato a spintonarsi?, erano cascati addosso alla porta da fermi?, l’avevano semplicemente aperta tuffandosi nell’ufficio? Mistero della fede -, ma prima che potesse rispondere capitombolarono sul tappeto del professor Boyle. Beh, poteva andargli peggio, potevano aver sbagliato ufficio.
    Non sarebbe stata la prima volta.
    … non avevano sbagliato ufficio, vero?
    «lovinski?» Ok, erano nel posto giusto. «siete qui per confessarmi qualcosa?» si sollevò da terra, Isaac Lovecraft, scrollando dalla tunica pieghe invisibili e granuli di polvere raccolti dalla rovinosa caduta sul pavimento, le sopracciglia corrugate a cercare il supporto di Stiles per quella domanda. Per quanto molti sembrassero avere dei dubbi, non era capitato tra le file dei blu-bronzo per caso: era un ragazzino intelligente, sapeva carpire l’insieme di un progetto più grande dai dettagli più piccoli, ma spesso e volentieri il professor Boyle lo mandava in tilt. Perché sapeva sempre cosa stesse pensando, ma faceva sempre finta di non capire; un po’, ne aveva sincero timore. «non… credo? stiles?» supplicò l’amico di intervenire, mentre sotto invito del docente si sedevano dall’altra parte della sua scrivania: dovevano confessargli qualcosa? Cosa dovevano confessargli.
    Cosa dovevano fare.
    Perché erano lì?
    «è una bellissima…» piegò il capo, gli occhi scuri fissi sul tubero intagliato con sincero interesse. «patata – ma è il professor Peralta?» tentò ammirato, sporgendosi appena un po’ di più per ammirarla più da vicino. Non aveva mai visto una cosa del genere – perché qualcuno dovrebbe scolpire delle patate??? -, ma era davvero.
    Magica.
    «comunque siamo venuti qui per… chiederle…» si inumidì le labbra, prima di voltarsi verso lo Stilinski. Rimpiangeva l’idea della giraffa, anche se quella lo entusiasmava molto di più – ed intimoriva: se, giustamente, il professor Boyle avesse detto loro di no? Non voleva nemmeno pensarci, già ci si era affezionato. «li ha lei,» tossì, schiarendosi la voce. Sentiva la pressure. Non ce la poteva fare. «i lei sa cosa, vero?» sussurrò, dando una gomitata a Stiles. Se Boyle non avesse capito, sarebbe toccato a lui parlare.
    Glielo doveva.
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    Terry Jeffords voleva morire – il cipiglio severo e concentrato sulla costruzione davanti a sé, le labbra strette in una dura linea impassibile. Tutto, dell’uomo seduto a terra nella propria aula slash palestra, suggeriva però il contrario: il professore di corpo a corpo di Hogwarts era quel tipo di persona che, ad un primo sguardo – ma anche secondo, terzo, decimo, centesimo -, passava per un adulto davvero responsabile, nonostante esteticamente tendesse a passare come un tipico adolescente americano troppo pompato e cresciuto, la felpa scarlatta dei Wildcats di Salem ed i pantaloni della tuta a farlo riconoscere distante un miglio – nel qual caso non fosse bastata l’imponente statura, insomma. Sciorinava sorrisi sinceri e gratificanti, quando lo sguardo non lasciava trapelare delusione o sconforto perché i suoi studenti avevano, in qualche modo, fatto qualcosa di sbagliato non tanto nei suoi confronti, quanto in generale in quelli del castello e delle regole che ivi vigevano: veniva da una realtà differente, l’uomo, dove la Sala delle Torture era solo una leggenda che mano a mano andava perdendosi dalla storia; ad Hogwarts, il minimo sgarro sembrava poter essere anche l’ultimo che un giovane potesse commettere – Terry amava tutti gli studenti della Scuola britannica, e pertanto ogni volta che li vedeva costretti a subire le punizioni per qualche stupida minchiata giovanile si rattristava, ed arrabbiava: ogni qualvolta sentiva di un ragazzo o di una ragazza prossimi ad essere portati nella Sala, non poteva che pensare a Cagney, Lacey ed Ava, le sue adorate bambine, ed a quanto avrebbe sofferto se anche a loro, in un futuro nemmeno così tanto lontano, fosse capitata la stessa sorte. LE SUE BAMBINE - per inciso, era proprio per loro che si ritrovava lì, in quel momento: prossimo al rannicchia mento all’angolo della stanza, le mani a strappare capelli che non aveva più da molto, moltissimo tempo.
    Anche in quelle idi di marzo, il Jeffords cercava di impegnarsi per passare per quello che credevano fosse – un uomo che nella vita aveva tutto sotto controllo, in maniera costante. La verità, non poteva essere più distante dall’apparenza: viveva, l’americano, in uno stato d’ansia e stress perenne, che la maggior parte delle notti lo faceva svegliare di soprassalto, magari soltanto perché il subconscio gli ricordava che forse non aveva cantato la canzone della buonanotte alle figlie. Che non sarebbe riuscito a mantenere quella facciata ancora a lungo, lo sapeva perfettamente – una reputazione vera e propria, tanto non la aveva: erano il suo metro e novantuno ed i centoundici chilogrammi di muscoli, a farla tornare ogni volta che veniva a mancare. «terry è…» alzò gli occhi puntandoli sulle figure delle tre ragazze bionde che, come lui, erano sedute a terra, lo sguardo di loro vagamente perso e confuso. Non sapeva nemmeno perché fossero lì, le tre corvonero: erano in castigo per un male minore, pertanto era stata sua premura quella di prenderle in custodia per far loro scontare quella punizione. Magari, le tre avrebbero preferito finire nella Sala delle Torture. Fece scivolare la mano su un oggetto lasciato a terra dal momento della disfatta, i polpastrelli a sfiorare la superficie circolare della piccola ruota: l’unica cosa che riusciva a ripetersi, era perché? «… triste» «professore?» ma il Jeffords non sentì davvero la voce della giovane Winston, le iridi scure a fissare il profilo della costruzione rosa ormai informe, i pezzi a cui aveva cercato di dare una forma che giacevano immobili intorno ad una sola torre rimasta in piedi. «perché una casa per le bambole dovrebbe aver bisogno delle ruote domandò, e che fosse rivolto a se stesso o alle ragazze nessuno l’avrebbe mai davvero scoperto. «perché non può semplicemente stare in piedi!?» «profes-» «PERCHE’ DEVE ESSERE SEMPRE COSI’ DIFFICILE?» esclamò, prendendo quanto rimaneva intatto della casa per smontarla con non troppa facilità, dimenandosi come un forsennato mentre le corvonero si allontanavano caute dal centro dell’aula prima di riuscire davvero a renderla un ammasso di tasselli amorfi. Era un’invenzione del demonio, quella - nemmeno l’ausilio di quelle povere creature l’aveva aiutato a portare a termine il proprio progetto. «non potrebbe usare un incantesimo?» allora, puntò gli occhi sulla Beech, la bocca appena socchiusa e tutto, nell’espressione facciale, ad urlare lo sconcerto. «un incantesimo.» ripeté, allibito. «UN INCANTESIMO! Che esempio darei alle mie bambine, Jaden? CHE ESEMPIO DAREI LORO? CHE TUTTO SI PUO’ SISTEMARE CON LA MAGIA? C’è bisogno della manualità, cadetta.» «ma loro non lo…» «jade» non dovette nemmeno intervenire nuovamente il docente, le mani sulla testa pelata: la voce pacata di Maeve ed il suo morbido scuotere la testa bastarono a zittire la sua coetanea. «terry deve finire questa casa - ma perché ci sono le ruote?, perché ci sono questi chiodi tetraedrici che non si infilano DA NESSUNA PARTE? Come potrò tornare a casa A MANI VUOTE?» – ed eccola lì, la vera faccia della disperazione, sottile nei lineamenti d’ebano. «ehm, professore?» se li perse, gli scambi d’occhiate tra le tre – quando sollevò la testa, Sharyn Howl-Winston era fissa sulla sua figura. «magari è meglio una pausa? La posso portare dal professor Boyle – ha gli yogurt» Sempre triste e sconfortato, ma con il cuore più caldo ed il respiro più leggero, ricambiò lo sguardo di lei. «terry ama gli yogurt» sussurrò, flebile. Cercò negli occhi chiari delle altre due una conferma - posso andare? Loro sorrisero complici, annuendo delicate. «vabbè balliamo andiamo»
    Che ne poteva sapere, che era tutto un piano orchestrato per toglierlo di mezzo ed usare la magia? Gioventù meschina.

    Spalancò prepotentemente la porta dell’ufficio del suo amico Charles, facendola sbattere contro la parete – dietro di lui, Sharyn lo seguiva come la versione in miniatura (… molto, miniatura) della sua ombra. «perdonami» sorrise imbarazzato, mentre con una delicatezza che non s’addiceva alla sua stazza richiudeva l’uscio alle sue spalle. «non era mia intenzione» non sapeva dosare, spesso e volentieri, la sua forza: capitava più volte che dentro la scuola ed a casa fossero costretti a dei Reparo sui cardini, o addirittura a cambiare tutta la struttura perché irreparabile. I suoi occhi, erano tutti per il professore di Trasfigurazione – non per le patate, non per l’arredamento, non per gli ospiti. «mi chiedevo se, per caso Avanzò piano verso la scrivania, la lingua a scivolare sulle labbra per inumidirle, già pregustanti l’acidulo sapore della crema. «li avessi tu i – oh, hai ospiti!» si accorse all’ultimo, mentre spostava la sedia e chi sopra v’era seduto con l’intento di prendervi posto, il gridolino terrorizzato di lui ad avvertirlo della sua presenza. Sorrise impacciato ai due, riportando poi l’attenzione su Boyle. «scusami, non ti ruberò tanto; dicevo, li hai tu i…» si guardò intorno, si guardò alle spalle: Sharyn annuì, fiduciosa. «i tu sai cosa
     
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    Non riusciva a smettere di guardarla, le sopracciglia arcuate e l’interno della guancia morsa fra i denti. Isaac Lovecraft aveva visto, in soli dodici anni di vita, molte forme di bricolage prendere vita davanti ai propri occhi – suo padre si era sempre dilettato nella creazione di casette per gli uccelli da attaccare sui tronchi del loro stesso giardino, e spesso e volentieri si occupava della potatura delle siepi dando loro un profilo ben più definito; Drake si divertiva a creare castelli con le lattine di birra vuote, ed ogni qual volta questi non crollavano a terra inutili (o l’Abrahams non ci si addormentava sopra distruggendoli) erano dei bellissimi ornamenti per la casa; a casa Withpotatoes, Nathan costruiva bombe e Idem faceva origami: insomma, aveva una mediocre esperienza in merito -, ma una patata scolpita.
    Una patata scolpita.
    Non credeva nemmeno fosse possibile una cosa del genere; non gli si spappolava ogni volta che la scalpellava? Non gli era mai venuta voglia di mangiarle, anziché marcare con uno stuzzicadenti i morbidi lineamenti del professor Peralta (più volte, tra l’altro, come poté notare da una rapida occhiata data al perimetro della stanza)? Non si rompeva le palle? Il corvonero, tutta quella pazienza, non l’avrebbe mai avuta – che già gli passava la voglia di riordinare gli appunti presi lo stesso giorno e gettati nello zaino alla rinfusa, figurarsi per un lavoro così delicato e minuzioso: al più, l’avrebbe accoltellata quel tubero, riducendolo ad un vegetale badumtssss.
    Perché poi, tra tante cose, proprio una patata come base? C’era così tanto materiale dal quale sarebbe potuto partire, per modellare miniature del genere – argilla, cera, creta, marmo. Perché un ortaggio? Dove ne prendeva, così tanti? Aveva forse un orto privato nascosto dall’altra parte della scrivania? Scolpiva anche zucche, zucchine e peperoni? Quante ne aveva fatte, di quelle riproduzioni in scala?
    Poteva averne una che ritraesse se stesso, Isaac?
    Aveva così tante, così tante, domande da fargli in merito, il Lovecraft – invece rimase in silenzio, ammutolito dallo stupore. E dire che pensava di averne già viste molte, di cose strane in quel castello. Non avrebbe mai smesso di sorprenderlo davvero.
    Nemmeno la domanda rimasta ad echeggiare sopra il tavolo di mogano, nemmeno il reale motivo per il quale lui e Stiles si erano diretti nell’ufficio del docente di Trasfigurazione, riuscì a distoglierlo dal fissare esterrefatto la situazione. Ci riuscì, però, la porta che andò a spalancarsi alle loro spalle; trattenne un urlo di puro spavento, mentre il boato dell’uscio che ruotava sui cardini lo costringeva a voltarsi verso il professor Jeffords – il quale, al contrario, non sembrò nemmeno accorgersi di loro. Lo osservò intimorito, mentre questo si avvicinava con il passo pesante verso la loro postazione; solo quando la massa di lui si mosse abbastanza da non occupargli tutta la visuale, la vide. «stiles» sibilò, cercando di reclamare l’attenzione dell’amico, le iridi cioccolato puntate sulla figura di Sharyn Winston – quante probabilità c’erano, di incontrarla proprio lì? Non sapeva se esserne contento, o se voleva nascondersi dietro il professore di corpo a corpo – come avrebbe potuto giudicarlo, se avesse scoperto quel che stavano per fare? Magari bene, magari era quel tipo di ragazza che non giudicava persone come lui.
    Magari male.
    «stiles» tentò di nuovo, non certo del fatto che l’altro aveva udito il suo richiamo «stilesstilesstilesstilesstilesstiles» – così, nel dubbio, allungando una gamba verso quella dello Stilinski per farlo voltare, senza riuscire a scollare gli occhi di dosso dalla bionda. Perché doveva essere così illegalmente bella? Non era giusto – nemmeno si scompose così tanto, quando il Jeffords tentò di sedersi sopra di lui. «stiles c’è sh-» «behprofessoreiovadoEH» «NO» «cosa?» «li hai tu i tu sai cosa?» «COSA?» si voltò un istante, il tempo giusto di perdersi l’uscita di scena della sua amata – che lei non sapesse ancora che fossero destinati a vivere insieme per sempre con quattro bambini, tre cani ed un ippogrifo, non era importante -, gli occhi sgranati verso l’enorme figura scura dell’uomo. Guardò incerto Boyle, poi il tassorosso, poi di nuovo Terry. What is happening. «anche lei ha bisogno delle cose
    What a day to be wat, quel quindici marzo.
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    Il tredicenne Stilinski infilò la camicia dentro i pantaloni della divisa, le dita a scivolare nervose sul tessuto spiegazzato di questa. Non faceva troppo caldo, lì dentro? Non c’erano troppe persone?
    Non c’erano troppe patate?
    Era il suo secondo anno ad Hogwarts, di conseguenza era già stato vittima del rapimento da parte del professor Boyle fra le sue patamen, ma non lo rendeva meno inquietante: stavano lì, gialle e crude, a fissarlo con occhi minacciosi e vacui – vive, non chips. Erano chiaramente vive, quelle patate. La versione peggiorata delle bambole di porcellana. Aprì la bocca per prendere aria, l’indice infilato fra il nodo della cravatta ed il collo - erano pronti per un passo così grande? Gli era sembrata un’idea geniale, brillante. Quella che avrebbe cambiato le loro vite. Eppure, ora che entrambi (+ patate, + Boyle) si trovavano lì, finalmente al dunque, non sapeva come domandarglielo.
    Era in angoscia, Stiles. Già a tredici anni viveva d’ansia e spray per l’asma – e no, non era asmatico.
    Deglutì.
    «prego, prego, ACCOMODATEVI – vista che bella la mia nuova patata?» Un giramento di testa. Un verso strozzato uscì dalle labbra socchiuse del piccolo Tassorosso, un fbhybjdsn che avrebbe potuto significare entusiasmo o infarto precoce. Avvolse le dita attorno al braccio di Isaac, il capo a scuotersi lentamente.
    Odiava le patate intagliate. Erano la sua versione dei clown - le immaginava, le infide, ad attirare bambini con palloncini rossi gonfi di sangue e terrore. «comunque siamo venuti qui per… chiederle…» Non guardarmi non guardarmi NON GUARDARMI. Con occhi spalancati da paura e sgomento, estrasse dal taschino dei pantaloni il suo fidato spray per l’asma – uno spruzzo, un respiro profondo. Una mano premuta sul cuore ad assicurarsi che battesse ancora. Era troppo giovane per morire di ictus – non sapeva neanche cosa fosse, un ictus. Stava di fatto che non poteva morire. Annuì verso Isaac, il pugno chiuso a sventolare nell’aria indicandogli di proseguire. Era o non era lui il Corvonero fra i due? Lui era la cheerleader, il supporter. Non era fatto per parlare. «li ha lei, i lei sa cosa, vero?» Okay, gliel’aveva detto. Un sospiro uscì tremulo dall’esile Tassofesso, le spalle a curvarsi rilassate ora prive di quella responsabilità quale. Riuscì perfino a sorridere.
    Durò poco, ma riuscì perfino a sorridere.
    «perdonami» «AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA» si schiacciò entrambe le mani sulle guance, un grido atterrito e disarticolato a graffiargli le corde vocali. Non si sentiva più un cuore, Stiles – LO AVEVA ANCORA? Perché il prof Jeffy doveva sempre fare così? Era delicato, lui, cagionevole. Ingoiò saliva spasmodico, il verso a proseguire prendendo ritmo – per togliersi dalla gaffe, sapete. «AAAI BELIEVE I CAN FLYYYYYYYYY» Ispirato, sollevò un tremulo braccio verso Boyle – finse di vibrare d’emozione, anziché di essersi appena cagato sotto dalla paura. «AI BELIEVE I CAN TOUCH THE» un dito a scattare in avanti. Ce la puoi fare, Stiles - non ti farà niente, è solo una…«patata.» l’indice a premere sull’umida superficie dorata.
    «stiles» cosa. «stiles» cosa. Corrugò le sopracciglia, un’occhiata di traverso ad un pallido, esageratamente pallido, Isaac Lovecraft. Sì che avevano appena raggiunto la veneranda età di tredici anni (TREDICI, COME LE RAGIONI!! LE CASSETTE!!! Gliel’aveva detto un veggente eh, un giorno avrebbe dovuto comprarsi netflics) ma gli sembrava un po’ presto per cominciare a perdere colore. Cercò di tirarsi un capello davanti agli occhi per controllare di non essere divenuto un Richard Gere – non si sapeva mai. Non ci si vedeva con la chioma sale e pepe. «stilesstilesstilesstilesstilesstiles» «COSA VUOI COSA C’è COSA COSA» sbraitò massaggiandosi la gamba, gli occhi a seguire lo sguardo illuminato divinamente dell’amico.
    Ah, era Sharyn. Meh, ragazze. Non lo comprendeva – non ancora. Si scrollò nelle spalle, un espressione contrariata sul volto chiaro. «boyle si arrabbierà se saprà che fra tutte queste patate, tu guardi quella» osservò impettito, drizzando la schiena e scuotendo il collo come un vip. «anche lei ha bisogno delle cose?» Ruotò lo sguardo sul docente di corpo a corpo, la bocca semi aperta in sorpresa.
    Una mano al cuore, l’altra a sorreggersi sulla spalla di Isaac. «anche lei vuole adottare un bambino?»
    «cosa?»
    «cosa????»
    … Forse no. Volle morire, sotto gli occhi indagatori dei due professori – l’uno scioccato, l’altro in preda ad un delirio d’estasi. Guardò Isaac in cerca di aiuto, il collo a ritrarsi come quello di Maurizio Costanzo. «anche lei vuole vedere un padre pellegrino?» tentò, in un filo di voce, le braccia aperte nell’aria. «AH, per un momento ho creduto che tu volessi ADOTTARE UN BAMBINO! HA!» La pacca sulla schiena del prof Jeffy gli incrinò almeno dieci costole, ma Stiles si finse una roccia. «HAHAHA AAAAAAAA AHAHAH UN BAMBINO L’HAI SENTITO ISAAC AAAAAAH AHAHAH» continuarono a ridere, Stiles ed il professor Jefferson. Si aggiunse anche Boyle, mentre forniva i sai cosa - aka gli yogurt- al collega. «AAAAAA AHAHAH! UN BAMBINO!!! PIKKOLO1!!!!!»
    E mentre il professore di corpo a corpo lasciava la stanza, perseguirono a ridere tutti quanti. «NOI DUE!!11! AHAHA TRPP DIVEEEE»
    Poi la porta si chiuse, e Stiles tornò serio.
    «non scherzavo, vogliamo davvero adottare un bambino» annuì, le mani a premere sulla scrivania in modo greve ed ufficiale. «uno di quelli poveri, tipo africa, thailandia, o italia» c’è la crisi, eh.
     
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    Il piano, inizialmente, sembrava essere molto più semplice.
    Dovevano andare dal professor Boyle, chiedere le carte dell’adozione – e non chiedersi perché il responsabile della casata di Stiles avesse delle carte d’adozione da smerciare agli studenti o allo staff scolastico -, capire come funzionasse la vita – almeno in parte, e soltanto in relazione a quel singolo evento -, andarsene con in mano un bambino – metaforicamente, forse: non sapendo come funzionasse quella faccenda, e peccando di raziocinio dal momento esatto in cui l’idea era andata a formarsi nella sua testa, Isaac Lovecraft poteva anche credere che il docente di Trasfigurazione avesse dei bambini in miniatura nei propri cassetti, e che questi dovessero essere annaffiati periodicamente, tenuti al sole e coccolati come si farebbe con un Bubotubero. Capire come effettivamente occuparsi di un bambino adottato, era un problema che si sarebbero posti in seguito.
    Semplice, lineare, da toccata e fuga e chi s’è visto s’è visto.
    Nella sua sempre ottimistica visione dei fatti, il corvonero aveva creduto che sarebbe stata una piacevole chiacchierata che sarebbe durata sì e no quindici minuti – in realtà aveva pensato che cinque sarebbero bastati, ma poi si era ricordato di che tipo di persona fosse Charles Boyle ed aveva aggiunto un margine di errore di ben dieci minuti.
    Ovviamente, e come avrebbe potuto?, il neo tredicenne non aveva considerato le patate, o il professor Terry, o Sharyn Winston, o il fatto che lui e Stiles Stilinski – LUI E STILES STILINSKI!!! – stessero davvero per adottare UN ESSERE UMANO.
    Cosa stava succedendo. «anche lei vuole adottare un bambino?»
    «cosa?»

    «cosa???»
    Strinse le dita attorno ai braccioli della sedia, le nocche a privarsi delle ultime tracce di colore che il corpo dell’americano avevano deciso di preservare; non avrebbe dovuto essere così scioccato dalla specifica che il Tassorosso aveva deciso di fare al professore di Corpo a Corpo, considerando che Isaac per primo – seppure in maniera decisamente più discreta – gli aveva chiesto se anche lui fosse lì per il loro stesso motivo, eppure davanti alla confusione del colosso nero non aveva potuto che provare empaticamente lo stesso sconcerto. Quando il migliore amico si voltò in cerca di un qualche tipo di sostegno, il Lovecraft era abbastanza certo che di lì a poco gli si sarebbe staccato il collo per quante volte aveva scosso la testa spasmodico, incapace di intervenire in alcun modo: in situazioni del genere, che un genere non lo avevano nemmeno lontanamente mai visto, si domandava come il Cappello Parlante avesse potuto fallire così tanto nel metterlo tra le fila dei blu-bronzo. Creatività ed intelligenza andavano allegramente a farsi fottere, quando subentrava un tale panico galoppante. Nel momento in cui gli occhi più minacciavano di uscire dalle orbite, per quanto aveva spalancato le palpebre, Stiles saved the day - in un modo alquanto peculiare, ma sembrava decisamente aver funzionato. «AHAHAHAHAHAHAHAH!!!&& UN BAMBINO? NOI??????????????? AHAHAHAHAHAHAHAHA!!!!!!!!!!!!!!&&&&&&!&!&!&!&!» la paralisi facciale non era mai stata un’opzione tanto plausibile, nella breve vita del nato babbano. Smise di ridere anticipatamente rispetto agli altri presenti nella stanza, poiché al primo isterico e nient’affatto divertito gridolino aveva rischiato di strozzarsi con la propria stessa saliva: per tutto il tempo che Boyle, Jefferson e Stiles avevano continuato a sganasciarsi dalle risa fino a quando l’intruso, trionfante con i suoi yogurt, aveva deciso di andarsene, Isaac Lovecraft aveva combattuto contro una morte decisamente precoce, una mano a battere sul petto e l’altra a cercare di richiamare l’attenzione invano.
    Ma era sopravvissuto.
    «non scherzavo, vogliamo davvero adottare un bambino: uno di quelli poveri, tipo africa, thailandia, o italia» alle parole dell’amico, aveva compreso che era giunto il momento di passare all’attacco serio. Si alzò in piedi, le mani dietro la schiena mentre misurava a grandi – troppo, grandi – passi la stanza. «non ne vogliamo uno troppo piccolo» cominciò, soffermandosi a studiare una patata particolarmente inquietante (ergo: una a caso). «sappiamo bene» ma in realtà non sapevano un cazzo. «quanto sia difficile gestire un neonato, e tra la scuola e la scuola» sottolineò greve, tornando a posare gli occhi sul professore. «siamo altrettanto consapevoli del fatto che non potremmo crescerlo al meglio: non vogliamo arrivare ad abbandonarlo in mezzo all’autostrada senza alcun motivo, giusto?» si voltò verso Stiles, gli angoli della bocca inclinati verso il basso e lo sguardo confuso: non aveva idea di cosa stesse dicendo, ma andava bene così. «né potremmo permettercene uno troppo cresciuto: abbiamo pur sempre tredici anni, dico bene?» ovviamente, diceva bene.
    Era l’unica cosa di cui fosse certo, in quella vita.
    «quindi:» si posizionò alle spalle dello Stilinski, posando le mani sullo schienale della sua sedia. «ha qualcosa che fa al caso nostro, signore?» perché continuasse ad allungare ed enfatizzare le ultime parole, sarebbe per sempre rimasto un mistero.
    Per sempre.
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    L’espressione determinata del giovane Tassorosso, non vacillò neanche un istante mentre Boyle, inarcando le sopracciglia, ricambiava la sua occhiata. Volse appena lo sguardo verso Isaac quando questi si alzò in piedi, temendo che l’amico avesse cambiato idea – voleva forse abbandonarlo? Non avevano ancora adottato il pargolo, ed era già destinato ad essere un padre single? Riprovevole. Con grande gaudio di Stilinski, il Lovecraft non prese la porta – nossignore. Cominciò a misurare la stanza a grandi passi, facendo temere al Tasso che sarebbe inciampato ad ogni metro quasi saltellato con le corte gambette sottili, ed Andrew lo seguì affascinato con lo sguardo mentre illustrava la situazione al professore. «non ne vogliamo uno troppo piccolo» Annuì, il gomito poggiato sul bracciolo e la mano sinistra a reggere, in modo molto professionale, il mento. Cosa se ne sarebbero fatti, i Lovinski, di un neonato? Non poteva giocare a palla rendendo fieri i suoi neo genitori, non poteva disegnare triceratopi per le cartoline di Natale, non sarebbe stato in grado di essere il bastone della loro vecchiaia – inoltre i marmocchi bisognava portarli in braccio, e pesavano troppo per l’esile muscolatura dei due ragazzini. «sappiamo bene quanto sia difficile gestire un neonato, e tra la scuola e la scuola» Oh beh, sì. Anche. Giusto. Ecco perché Isaac era il Corvonero e lui il Tassorosso!!&& Annuì con ancora più fervore, le labbra piegate verso il basso cercando di apparire più maturo e sicuro di quanto in realtà non fosse. Era difficile mantenere un contegno quando si era circondati da patate: non era pronto a quella pressure, Stiles. «siamo altrettanto consapevoli del fatto che non potremmo crescerlo al meglio: non vogliamo arrivare ad abbandonarlo in mezzo all’autostrada senza alcun motivo, giusto?» Consapevoli, che parolone. Una risata rauca sgusciò dalla bocca dischiusa del ragazzo, soffocata immediatamente dall’occhiata inquisitoria dell’amico. Cosa aveva detto? «giusto, sicuro. Certamente.» si strinse nelle spalle, il braccio sinistro sollevato ed il palmo verso il soffitto. «dev’essere almeno abbastanza grande per l’autogrill» «cosa?» Non credeva di averlo detto ad alta voce. Ruotò gli occhi color cioccolato sul docente, la schiena a drizzarsi sulla (s)comoda poltrona. «dicevo che dev’essere abbastanza grande per capire kill bill – eh, tarantino» ??? perché no, bisognava farsi una certa cultura in merito se poi si voleva essere in grado di comprendere le citazioni senza sembrare Sara ogni volta qualcuno quotava qualche must: e sì che era l’era di gugol, ma Stiles voleva che suo figlio fosse intelligente non come lui. «né potremmo permettercene uno troppo cresciuto: abbiamo pur sempre tredici anni, dico bene?» Madonna, sembrava quasi… brillante, il Lovecraft, nella sua accorata arringa. Pareva già una madre modello, con quale anima avrebbe potuto rifiutare la loro richiesta? Erano nati per essere genitori, era cristallino. «eh? Dice bene, EH???» alzò il tono di voce sporgendosi verso la scrivania, le mani vicine al petto come quelle di ogni rapper che sapesse farsi rispettare. «CERTO CHE DICE BENE» confermò battendo i palmi fra loro, prima che Charles potesse rispondere: la tattica di base era confonderlo, non dargli tempo di comprendere cosa stesse succedendo – così, si vincevano le guerre. «quindi ha qualcosa che fa al caso nostro, signore?» Sentì gli occhi bruciare di commozione, Stiles. Dall’alto dei suoi tredici anni, sentiva già il petto gonfio d’amore pronto (ma che dico, carico come un d r a g o) per accogliere una nuova vita – pronto, Andrew, a diventare papà. Inspirò secco dalle narici, la mano sinistra a scivolare sopra la propria spalla per sfiorare le dita strette allo schienale di Isaac.
    Dovevano mostrarsi come il fonte unito ch’erano, i Lovinski.
    «deve saper disegnare i dinosauri» precisò a palpebre serrate, la voce a vibrare d’emozione: Isaac aveva fatto il Corvonero dando solide basi alla loro adozione, era il momento che Stiles tirasse fuori il meglio di sé per la seconda parte del piano. Il Lovecraft doveva convincere Boyle a far loro adottare un bambino, ma Stiles doveva indirizzarlo verso il far loro adottare il bambino.
    Quello perfetto. «deve avere rinomate skills per le strette di mano» dai, chi voleva un figlio incapace di imparare un saluto segreto? «non dico che debba poter volare, ma non mi offenderei se potesse - sta prendendo appunti, professore? Eh?» si sporse verso il foglio scribacchiato da Boyle, gli occhi a studiare la strana calligrafia tonda di Boyle. «HA QUALCHE FOTO? POSSIAMO SCEGLIERLO? Isaac, ne prendiamo uno carino vero?» fece saettare lo sguardo sul compagno, prima di riportarlo sul prof. «ma anche bruttino, eh. È il kwore che conta – ha scritto passione per i pokèmon? scriva. Se viene da un paese sotto sviluppato mi accontento anche di cattura di libellule e stercorari, eh – si impara con la pratica» ????????? sempre valido. Anzi. «anzi. Gli insegneremo noi come si fa.» dovette fermarsi per un respiro singhiozzante, il buon Tassorosso, le guance bollenti a causa dell’afflusso di sangue. «DAI PROF SIAMO AFFIDABILI CI DIA UN FIGLIO!!! SONO PRONTO PER ESSERE PADRE!!!!» Battè affranto le mani sul tavolo, alzandosi in piedi per sporgersi maggiormente verso il responsabile dei Tassorosso – gli occhi alla sua stessa altezza, pochi centimetri a separare i loro volti. «sarà la nostra» indicò sé stesso ed Isaac. «patata d’oro» e con un ampio cenno del braccio, indicò LA patata preferita del professor Boyle. «le ho sempre invidiato la sua patata, prof» chinò lo sguardo sulle proprie dita, sopracciglia corrugate. «chiedo solo la possibilità di averne una mia» indice al petto, prima d’includere nel gesto anche Isaac, i liquidi occhi castani a cercare quelli di Charles. «nostra
    «ci lasci diventare genitori»
    Una pausa ad effetto.
    «ci lasci amare la Patata.»

     
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    «eh? Dice bene, EH??? CERTO CHE DICE BENE» l’irruenza di Stiles fece sobbalzare Isaac, le mani a stringersi più fermamente sullo schienale della poltrona sulla quale era seduto il Tassorosso. Credeva sempre, dopo oramai due anni passati a stretto contatto con il migliore amico, di essersi finalmente abituato a certe sue uscite: ogni volta, si ricredeva. Evitò di saltare all’indietro spaventato, come l’istinto gli aveva suggerito nell’esatto istante in cui lo Stilinski si era sporto verso il professore con fare minaccioso – certo, avevano concordato sul fatto che se non puoi convincerli, confondili fosse la loro tattica migliore, ma a volte (sempre.) confondeva anche lui -, solo perché ancora soddisfatto della sua parte. Senza contare che dovevano cercare di mantenere una certa dignità: era un affare importante, quello.
    Si era sentito come Paul Robinette intento a convincere la Corte Federale della colpevolezza di un imputato, dinnanzi al responsabile dei giallo-neri: era quasi certo che avrebbe avuto un futuro come procuratore distrettuale. Era scritto nel firmamento - sarebbe diventato un ottimo magistrato, da grande; non voleva di certo finire disoccupato dopo il diploma, a cercare lavoro nelle più scarse bettole dei quartieri malfamati di Londra per poi limitarsi ad aprire un bar tutto suo. Charles Boyle non avrebbe potuto dire loro di no, dopo quell’arringa.
    E anche se avesse voluto, non gliene avrebbero dato il tempo.
    «deve saper disegnare i dinosauri» il Lovecraft strinse le labbra tra i denti, annuendo tacito alle parole dell’amico: un bambino che non sapesse disegnare i dinosauri, il corvonero, non lo voleva. Dire che fosse alla base della convivenza civile era un eufemismo bello e buono. «deve avere rinomate skills per le strette di mano» «ovviamente» rincarò, un fallimentare tentativo di rendere la voce più profonda e responsabile a tramutarsi veloce in un colpo di tosse allusivo – come un colpo di tosse può risultare simbolico? Che domande sciocche.
    Naturalmente non poteva, ma non era importante; la cosa fondamentale era che il professore non lo sapesse (?????????????). «non dico che debba poter volare, ma non mi offenderei se potesse» «questo è un po’ pretenzioso» commentò sottovoce, senza sinceramente nemmeno sapere cosa significasse: l’aveva sentito a Law and Order, fategli causa. Sembrava così figo quando lo dicevano! Scosse la testa sorridente, sperando il professore non avesse colto le sue parole: non voleva che ai suoi occhi sembrassero una coppia già alle prime difficoltà, avrebbe minato le loro probabilità di avere in affido un bambino. Anche lui voleva un bambino volante.
    Una parte di lui avrebbe voluto far controllare l’altro, costringerlo a sedersi e respirare profondamente, senza risultare troppo impulsivo e spregiudicato verso il docente: confonderlo , ma temeva sempre che potesse risultare troppo e che ciò avrebbe decretato la loro disfatta finale.
    L’altra parte circumnavigò la poltrona, avvicinandosi alla scrivania del responsabile dei Tassorosso ed affiancando lo Stilinski. «CERTO CHE GLI INSEGNEREMO NOI COME SI FA!!!&&» voleva piangere di sincera gioia, Isaac. Lo sentiva nell’intestino, che lo stavano convincendo. «ho - abbiamo - tutte le console, tutte le cartucce… non può fallire con noi, signore» austero e diplomatico, come se di quell’insegnamento ne andasse della vita del loro futuro figlio.
    Perché in effetti era così, lo sapevano tutti quanti lì dentro.
    «DAI PROF SIAMO AFFIDABILI CI DIA UN FIGLIO!!! SONO PRONTO PER ESSERE PADRE!!!! sarà la nostra patata d’oro. le ho sempre invidiato la sua patata, prof: chiedo solo la possibilità di averne una mia, nostra. ci lasci diventare genitori. ci lasci amare la Patata.» per quanto ambiguo potesse sembrare ad un ascoltatore qualsiasi, Isaac si ritrovò ad asciugarsi le guancie da lacrime di sincera commozione. «saremo dei genitori modello, professore, glielo assicuro» deglutì, annuendo risoluto. «non gli (o le? eh prof???) faremo mancare mai nulla, avrà tutto ciò di cui ha bisogno» che fossero poveri, non significava nulla: avrebbero trovato un modo. Come sempre. «non ci dica di no, la prego»
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    Ci sarebbe stato bisogno di un cuore più duro e rigido che non quello di Charles Boyle per resistere agli occhioni scuri, e rikki di amore, degli sgagnetti lovinski – lo sapeva Stiles, lo sapeva Isaac, e lo sapeva patata Peralta. Vide lo sguardo del docente farsi lucido e commosso, e non trattenne un intenzionale e potente, quanto quella di Goku super Sayan, gomitata nel costato del suo miglior amico: ce l’avevano fatta.
    L’insegnate di Trasfigurazione tamponò con un fazzoletto le guance umide di pianto, e per par condicio anche Stilinski fu tentato di frignare – così, per tenergli compagnia: non era un Tassorosso mica solo perché le altre casate non l’avevano voluto, eh. «è un sì?» domandò speranzoso in un filo di voce, stringendo le dita sui poggia braccia della sedia. Si sentiva emozionato come quando il suo primo Charmender si era evoluto in Charmeleon; per raggiungere i livelli Charmeleon-Charizard, il loro nuovo figlio avrebbe dovuto perlomeno essere una pop star di disney channel: non erano ancora a quel punto della loro relazione (????????).
    «sì» «sì?» «SÌ!!!!» «HA DETTO Sì» con un balzo degno del vecchietto strafatto di metanfetamine ed Olio Kwore scattò in piedi alzando trionfante le sottili braccia al cielo, sventolandole come, nei giorni di tempesta, le braccia delle bambole ad aria poste fuori dalle piscine. Avvolse Isacco in un abbraccio koala, la testa affondata sulla sua spalla ed un vittorioso pugno al soffitto: ce l’avevano fatta. «sarò padre» la gola stretta d’emozione, immaginando già tutti i modi in cui lui e suo figlio dal Pakistan avrebbero potuto passare il tempo insieme.
    Tipo non facendolo, dato che si trattava di un’adozione a distanza. Vbb, skype esisteva per quello, no? O se proprio nel paese natio di suo figlio fossero stati poveri, MSN. Battè le mani fra loro tornando a darsi un contegno, il mento sollevato con determinazione verso il docente. «dove dobbiamo firmare?» Una pausa.
    Gli occhi a guizzare verso Isaac. «dobbiamo trovargli un nome» punto primo, ma non ultimo della sua lista. Di fatti, secondo: «dobbiamo aspettare nove mesi prima di poterlo conoscere? O poterla» Illuminato divinamente, premette entrambi i palmi sulle guance. «pensa, se fossero due gemelle potremmo chiamarle…» rullo di tamburi.
    Più rullo di tamburi. Davvero, qualcuno faccia il rullo di tamburi!!!! Quando Boyle iniziò a picchiettare le dita sulla scrivania, Stiles sorrise. «hakuna e matata» le amava già. Sentiva già che fossero destinati – destinati, capite? «eh prof? possiamo? Dai ce lo faccia scegliere!!!» saltellò entusiasta sul posto, tornando poi d’improvviso serio. Strinse le dita sulla maglia del Corvonero. «eh però, aspetta» sopracciglia corrugate, iniziò a camminare pensoso per l’ufficio. «e se non ne troviamo uno che ci piaccia? Dovremmo estrarre a caso. Prof, quali sono i posti poveri dove possiamo trovare dei bambini? Ma no – no, non intendevo il mercato nero, prof.» figurarsi…………
    Si volse di scatto stritolando il viso del Lovecraft fra le mani. «ma ci pensi????????» A cosa. «POTREMMO DIVENTARE I NUOVI BRANGELINA!» UAU.
     
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