It's not about blood. It's not even about who we like

lydia | arci

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    «Andiamo baby... non mollarmi. Non adesso» La voce di Archibald aveva quel tono di giusta disperazione, quello sconfortato di chi teme di star lottando una battaglia persa, ma ancora nutre delle speranze.
    La sua faccia era la maschera di un uomo distrutto, il cuore spezzato e in frammenti fra le mani inermi. «Piccola, non farmi questo»
    Ma l'ex serpeverde poteva pregare e pregare e pregare ancora la sua dolce metà, la sua baby, ma ciò non avrebbe cambiato il dato di fatto e la verità tragica della situazione: la macchina era decisa a stare immobile, e la mini lancetta rossa era ferrea sul segnale della riserva. «Ariannafontana» egoari
    Con uno sbuffo esasperato, Arci posò la testa sul volante mentre ancora lo teneva saldamente fra le mani. Perchè doveva sempre andargli così di merda? E come mai la benzina, signoreiddio, finiva sempre così in fretta? Costava, santo cielo, non poteva permettersi di farsi un pieno così spesso; la sua principessa, il pickup rosso più bello del Regno Unito (almeno, ai suoi occhi) gli era già costato più di quanto si potesse permettere, e mantenerlo sempre a nuovo si stava rivelando una faticaccia.
    "Questa è colpa di Jeremy", pensò offeso. "Gngngn Arci, facciamo il giro di qui il girò di là, il giro di sta minchia . Si certo, tanto non sei tu, sono io che porto a casa la pagnotta. Letteralmente" (tutti i tentativi di baguette e dolcetti Arci li portava ai suoi amici, che sembravano apprezzare "Magari la prossima volta aggiungi un po' di farina di cannabis nell'impasto" "jeremy." "era solo un consiglio, eh. Ti piacciono tanto i brownies speciali! Non cambierebbe niente")
    Rimase immobile ancora un po', catatonico, così come la macchina ferma a bordo strada (dove per fortuna era riuscito a trascinarla). Girare la chiave ancora e ancora per farla ripartire era sembrato del tutto inutile.
    "E' chiaramente un segnale". Aprì gli occhi, la fronte ancora appoggiata sul bordo in plastica bollente. "Forse ho capito male, ed è questo il segnale che aspettavo. Non devo andare a parlarle."
    Ma era una cazzata, sebbene un po' volesse crederci, e lo sapeva. Aveva finito lui la benzina del pick up, praticamente volontariamente (mica aveva mai detto di no ai suoi amici, quando gli chiedevano di fare un giro per stare sul cassettone a prendere il sole, o scommettere chi stava più a lungo in piedi mentre Arci guidava); non si era rotto per caso un tubo, non aveva fatto un incidente per non investire un gatto spuntato dal nulla. La macchina che si era fermata, non era un segno del destino.
    Era solo segno della sua paura
    Deglutì, lo sguardo fissato ai propri piedi ancora sui pedali. Rialzò lentamente la testa, guardando avanti a sè oltre il vetro la città di Londra. Non troppo lontano da lui, in una delle case in quella zona, stava Lydia Hadaway.
    Fino a qualche settimana prima, Arci non si era mai interessato più del necessario a Lydia, pur sapendo su di lei il minimo sindacale. Shippata dai più con Jayjay, assistente di Nathaniel (per non dire badante), sui vent'anni, apparentemente senza passato, disponibile sempre per i suoi studenti, simile a Freya ma distinguibile da lei se messe una accanto all'altra... Per Arci, Lydia era semplicemente questo, un insieme di informazioni random raccolte negli anni, un sorriso gentile quando le aveva tenuto la porta aperta una volta al castello, gli occhi vagamente familiari che gli ricordavano quelli di una vecchia compagna di casata.
    Improvvisamente, invece, era diventata tutto di più. Era diventata diciotto anni di segreti, diciotto anni di "chi sono davvero? chi è la mia famiglia". Dall'oggi al domani, si era ritrovato con una famiglia (sebbene, sostanzialmente, non fosse cambiato nulla nella propria vita, fra Cole e Ophelia dispersi e le gemelle già sue coinquiline). Si era ritrovato con una sorella. Una sorella che non era stata complice dell'ignoranza di Archibald, che non aveva partecipato col silenzio alla vita del ragazzo fatta di orfanotrofi e famiglie affidatarie. Una sorella che, come lui, non aveva idea di chi fosse. Arci era felicissimo di aver scoperto le sue radici, di aver scoperto lei, finalmente la persona per lui che Todd e Run erano per Jeremy, Elijah per Bells o Chris per Oscar... il problema era
    lei pensava lo stesso?
    Il fatto che Lydia (ai tempi Annie) non fosse stata per tutto quel tempo (o parte di esso) come lui a conoscenza delle sue vere origini metteva in crisi Arci. Forse Lydia si bastava. Forse non voleva entrare nei giochi dei B&B, forse non voleva avere niente a che fare con lui. No guarda, non ho bisogno di un altro adolescente a cui badare, mi basta Nate.
    Per questo Archibald aveva tergiversato, ancora e ancora. Una volta era anche arrivato con la macchina insieme a Bells e Oscar fin davanti a casa di Lydia (indirizzo che era stato facile trovare), ma non era sceso, fissando la porta per qualcosa come tre ore; probabilmente se il coinquilino di Lydia (o il suo amante? Era dubbio) non gli avesse bussato al vetro facendogli notare che se proprio voleva fare un appostamento era meglio farlo da un posto meno in vista, sarebbe rimasto anche di più.
    Di nuovo, aveva rimandato La Visita a Lydia... ma poi c'erano stati i segnali.
    «I segnali?» «Sì, i segnali! Segnali dell'universo che devo andare da lei. Non posso combattere contro l'universo»
    Segni lampanti, oserei aggiungere.
    Al B&B avevano comprato del pane un ragazzo e una ragazza chiaramente fratello e sorella; Arci aveva quasi investito una bambina con i capelli arancioni; nei tarocchi gli era uscita la carta della famiglia ben tre volte in due settimane; Lies aveva detto "non sono tua sorella"; Arci aveva sbagliato a scrivere laidi, che è anagramma di Lidia, versione typata di Lydia; e poi, soprattutto, c'era stato il fattaccio. Era andato a quella lezione gratuita di yoga (voleva provare ad aprire i suoi punti chakra e chi lo sa, diventare il nuovo avatar o forse un ninja) e aveva azzardato a mettersi la gamba dietro la testa, rimanendo tragicamente incastrato così; per tutto il resto del giorno aveva dovuto camminare, o meglio saltellare in giro, su una sola gamba, con l'ilarità dei cata e di chiunque e ricevendo il soprannome di fenicottero per la sua andatura.
    Fenicottero, capite? I fenicotteri sono rosa, proprio il colore che viene se mischi il bianco del bianco degli occhi al rosso, colore (almeno di nome) dei capelli di Lydia
    .
    Se non erano queste premonizioni e inviti del karma a mandarlo da sua sorella.
    "Ok. Posso farlo. Devo farlo. Non si fotte col destino"
    Con un ultimo grosso respiro uscì dalla macchina chiudendosi la portiera dietro. Sarebbe andato dopo a recuperare la benzina con una tanica, per ora decise di incamminarsi semplicemente nel pezzo di strada che gli mancava, mano in tasca mentre si guardava intorno nervosamente; aveva come l'impressione che tutti sapessero, e tutti lo stessero guardando.
    Oh, guarda, il ragazzino che spera di aver trovato una sorella! Ma chi lo vorrebbe uno così. Non mi sorprende sia stato bidonato appena nato, e poi di nuovo diciott'anni dopo dal fratello. Ovvio che nessuno gli ha mai detto niente sulla sua vera identità, pur sapendolo, pur avendo di gran lunga i soldi necessari per mantenerlo: chi lo vorrebbe uno così?
    Andava tutto bene, non doveva badarci. Era solo paranoico. In più qualsiasi cosa avrebbe risposto Lydia non doveva per forza classificare la sua vita da lì in avanti. A chi importava se non lo avrebbe voluto?
    "Beh.
    A me"

    fuck.
    Non si era portato nessuno dei cata ad accompagnarlo, temendo che di nuovo gli avrebbero dato il coraggio di fare il bambino e fuggire via, ma il cellulare era aperto sulla loro chat, pronto a commentare tutto e a farsi compagnia durante il tragitto (con qualche switchata veloce necessaria alla chat "la compagnia della tetta"). Dopo mezz'oretta di camminata e disagio sulla pubblica, si ritrovò davanti al portone.
    "Andiamo, Leroy, fuori le palle. E' il momento di-... vabbè, fare qualcosa"

    Un ultimo sguardo al cellulare, ai messaggi di incoraggiamento dei ragazzi, e, prendendo un grosso respiro, allungò la mano pronto a bussare.
    Eeee si bloccò ancora.
    "No. Ora lo faccio. Lo faccio? Lo faccio"
    Spoiler: non lo fece. O almeno, non subito. Rimase ancora qualche minuto fermo, a chiedersi cosa sarebbe successo se, se Lydia lo avesse accettato, se fossero diventati amici, se fossero riusciti a entrare nella vita l'uno dell'altro, se fossero riusciti a considerarsi fratelli. Era un e se così bello, che era terrorizzato all'idea che potesse non avverarsi, esattamente come con Cole. "Ma lei non è Cole. Andrà bene... e anche se non fosse, posso sempre chiedere a Euge di prendersi anche il ruolo da fratello. Un po' lo è già, dai. Gli assomiglio pure". (?)
    Un giorno parleremo anche magari di come Arci e Euge abbiano iniziato a essere padawan e maestro, perchè accadono headcanon che, ma non ora. Ora stiamo immobili mentre Arci, lentamente, finalmente, segreetaamenteee si prepara a bussare perchè suonare il campanello è mainstream e antiaes.

    Toc toc.
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    ti ho detto che non l'avrei ancora aperta
    well
    mentivo


    Edited by ‚soft boy - 4/2/2021, 12:00
     
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    lydia hadaway | 21 y.o.
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    15.07.17 | h. 16:00
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    Rotolò supina sul letto, il palmo umido di sudore a scivolare sul lenzuolo chiaro e stropicciato. Aveva vissuto bene per anni, Lydia Hadaway, senza un telefono cellulare – e quando ne aveva infine adottato uno perché, sorpresa!, aveva conosciuto persone che volevano rimanere in contatto con lei senza dover spedire gufi e civette, aveva continuato a vivere bene ignorando quasi completamente lo strumento.
    Poi era arrivato lui. L’ex Annie Baudelaire malediceva ogni mattina ed ogni sera quel dannato giorno in cui era entrato a far parte della sua vita; vi si era insinuato in maniera subdola e meschina, da fastidio tollerabile a dipendenza sull’orlo dell’isteria. Lydia s’era persa tutta una vita, e lui era diventato, in maniera malsana ed affatto moderata, il modo per recuperarne una parte: s’era persa le uscite da ragazzina con le amiche, la prima cotta, il suo migliore amico - sempre che ne avesse avuto uno, cosa del quale, conoscendo un poco della Baudelaire, dubitava. Lui era ciò che più di malvagio e crudele potesse esistere al mondo, eppure non riusciva ad immaginare come fosse stata la sua vita senza.
    E, come sempre, era iniziato tutto per colpa di Nathaniel Keenan Henderson.

    «nate, dove sono gli appunti per la lezione?»
    «nella bacheca»

    «nate, dove sono i profili degli special?»
    «nella bacheca»

    «nate, i documenti che ti ho dat- NON DIRMI»
    «nella bacheca»
    «- nella bacheca. QUALE BACHECA»

    Era iniziato tutto così, per necessità - per errore, quasi. Alla fine, pur essendo una ragazza tutto d’un pezzo che raramente cedeva alle tentazioni, aveva dovuto necessariamente installare Pinterest per concepire l’idea che Nate avesse delle lezioni da tenere al castello: cosa vuoi che sia, s’era detta. è solo un’app.
    Mai errore fu più grande e grossolano.
    Aveva cominciato per obbligo, dato che l’Henderson, per addestrarla alla vita da guru quale sono l’aveva costretta a tenere bacheche per ogni cosa che volesse comunicargli - e poi era giunto quel commento, sputato distratto da sopra una spalla. «come sei anti aes, lydia» l’aveva detto così, Nathaniel. Tazza di tè stretta fra le mani e sopracciglio arcuato, labbra strette fra loro ed un sospiro di disappunto a graffiare la gola. L’aveva definita anti aesthetic. La Hadaway era una persona pacata e quieta, ma la recensione (non richiesta, per giunta) negativa del docente di Controllo, aveva acceso la scintilla che poche cose al mondo erano in grado d’aizzare. L’aveva preso come un insulto, Lydia. Una questione personale. Da quel giorno era iniziata la tacita guerra nei confronti del suo capo, e Lydia Hadaway aveva ufficialmente detto addio a quel poco di vita sociale che s’era guadagnata in quei miseri anni di vita. Un po’ si odiava, l’assistente, per quella debolezza – poi guardava le bacheche, e tutto il proprio astio sfumava in trionfo e vittoria: erano meravigliose. Non per peccare di presunzione, ma belle lo erano sul serio; riceveva addirittura feedback positivi da tutto il mondo: in un battito di ciglia, la Lydia Amnesia Hadaway priva di storia e di passato, era divenuta una vippina di Pinterest del quale il mondo digitale non poteva fare a meno. Aveva preso molto sul serio il suo nuovo status sociale, abbastanza da costringersi (…costringersi, insomma.) a pinnare almeno due ore al giorno: non poteva deludere i suoi followers. Aveva scoperto un universo, dietro quelle semplici immagini. Lei che mai era stata in grado di esprimersi, aveva trovato un mezzo con il quale farlo, parole scritte da altri che fossero perfettamente in grado di riflettere quel che pensava, e mai s’azzardava a dire. Era giunta al punto di comunicare tramite Pin – Jay aveva addirittura paragonato le immagini della Hadaway ai meme di Stiles, e Lydia non aveva saputo se si fosse trattato di un complimento o un’offesa.
    O meglio: l’aveva capito, ma per il bene di entrambi fingeva di non averlo fatto.
    «’sti titoletti» grugnì in un sibilo, cercando di mantenere il tono di voce più basso possibile. Shot non le aveva mai fatto notare apertamente quanto fosse fuori luogo il suo continuo parlare da sola, ma il fatto che lui si fosse abituato a convivere con disagi del genere grazie a Murphy Skywalker, non giustificava Lydia dal prenderci il vizio: il Deadman poteva anche non fare una piega, ma nel resto del mondo magico la reputavano abbastanza strana anche senza che si mettesse ad imprecare contro le gif in homepage. Scagliò (…con cura.) il telefono sul cuscino, le dita intrecciate con stizza sopra lo stomaco. Quand’era successo ch’era diventata una creatura così debole?
    Eppure non riuscì a trattenere un sorriso, una piega impercettibile delle labbra a curvarne gli angoli verso l’alto. Raramente la vita di Lydia Hadaway, o di Annie Baudelaire, era andata per il verso giusto – c’era sempre stato qualcosa a trascinarla a terra, costringendola a risalire in superficie con fiati spezzati e sangue sotto le unghie. Ogni notte, ogni notte soffocava deglutendo febbrile i pessimisti dubbi su quanto poco, quella volta, sarebbe durata – erano giorni sempre contati, quelli di Lydia. Le avevano diagnosticato la depressione reattiva, e consigliato di prendere psicofarmaci a cui la Hadaway era sempre stata troppo reticente. La altalene positive erano davvero positive, e le lasciavano in bocca il denso sapore della speranza: si diceva, Lydia Hadaway, che avrebbe potuto cavarsela anche senza l’aiuto di medicine – non ne aveva bisogno. Nei periodi negativi, semplicemente, non le importava abbastanza. Stava cercando di rimettersi in piedi, di dare forma concreta alla propria vita. Aveva affittato un appartamento con Shot, aveva iniziato ad uscire più spesso – aveva degli amici, Lydia. Aveva Jay. Non aveva bisogno di una famiglia, quando poteva costruirsela da sé.
    Specialmente quando quella famiglia non la voleva.
    Le gemelle non le avevano mai rivolto la parola, e lungi da Lydia fare il primo passo verso di loro: cosa avrebbe potuto dir loro, poi? Non aveva nulla da offrire, nulla che valesse la pena d’essere detto – e se non l’avevano mai cercata, un motivo doveva pur esserci stato. Belladonna Baudelaire, sua zia, non contava come famiglia di sangue: prima di scoprire del legame, erano state… amiche, credeva? Il che la rendeva parte di quel ch’era andata erigendosi giorno dopo giorno. Era stata Belladonna, a cercarla. Lydia gliel’aveva detto subito quanto danneggiata fosse, quanto poco ci fosse da salvare - ma a Bella non era importato che fosse Lydia o Annie, quella di fronte a sé. Non le erano interessate le lacune ed il vuoto a perdersi nelle iridi verdi bosco.
    Si alzò dal letto, sopracciglia corrugate e capo chino. Meno cercava di pensarci, più la propria mente, alla fine, la riportava a quello – tentava di non dargli peso, ma sapere di non essere stata un nessuno per tutti quegli anni, le stringeva sempre un poco la gola. Sua madre, sua madre!, non l’aveva mai cercata; suo fratello, suo fratello!, pur sapendo tutto non le aveva mai detto niente.
    Annie ne avrebbe sorriso sardonica, un ”tipico” feroce ringhiato a denti stretti.
    Lydia non aveva ancora avuto tempo per farci l’abitudine.
    «shot…?» spinse la testa all’interno della cucina, un’occhiata inquisitoria al tavolino che, in un mondo ideale, avrebbero dovuto usare per… non so, mangiare. Umettò le labbra e socchiuse le palpebre, l’indice a grattare distratto il sopracciglio. «devi proprio farlo qui?» perché , il suo coinquilino riteneva opportuno pulire tutte le sue armi (….tutte….le….sue…..armi.) nella loro cucina. Shot non si sprecò neanche a sollevare lo sguardo, limitandosi apatico a stringersi nelle spalle, prima di sollevare un dito verso: «è più vicino al frigo». Non faceva una piega. Rimaneva così a lungo a prendersi cura dei suoi Figli (conosceva tutti i nomi, la Hadaway, ma porca paletta continuava a confondere Pancina con Doccetta) che non dubitava avesse bisogno d’idratarsi, di tanto in tanto. Sospirò superandolo per raggiungere il refrigeratore galeotto, dove prese un Capri Sun – certo, beveva solamente succhi di frutta con la cannuccia: in bottiglia, non meritavano la sua attenzione. Troppo salutari. «oggi dovrei…» si schiarì la voce, la schiena poggiata contro il mobile della cucina. Incrociò le braccia sul petto. «passare a new hovel a portare dei fogli a…» piegò gli angoli delle labbra verso il basso, lo sguardo sollevato sul soffitto ed il tono casual appreso ai corsi di shipper di Nathaniel. «murphy» una pausa sperando di suscitare un qualche effetto nel magonò (?? Dai, non può spacciarsi per babbano, vogliamo tutti fingere che passi come magonò). «non è che per caso andresti te?» «meh» che, oh, non era un no. Anzi, per gli standard di Shot, era quasi un sì. Drizzò le spalle, l’aspettativa di non dover uscire di casa e poter rimanere incollata al wifi ad appiccicarle il più morbido dei sorrisi sulle labbra. Cioè, andiamo: lei sarebbe rimasta a pinnare, e lui sarebbe passato a salutare la sua amika - erano o non erano due piccioni con una fava? Lo osservò in trepidante attesa finchè lui non sospirò, l’ultima pistola lucidata a brillare al centro del tavolo. «tanto ci passo davanti per andare in palestra» Lydia arcuò un sopracciglio, ma non disse nulla. Sapevano entrambi che non fosse vero. «vieni anche tu?» ma quando mai. La Hadaway gliel’aveva già ripetuto almeno venti volte che «il basket non piace» e, storcendo il naso, «la palestra puzza di gomma e sudore» concluse, come ogni giorno della loro vita, tornando a sorseggiare il suo ACE. Lui sospirò melodrammatico, lei sorrise. «non toccarle» si alzò indicando le varie armi da fuoco ancora nella loro cucina. QUANDO MAI LE AVREBBE TOCCATE. Lydia incrociò le dita e le baciò, giurando silenziosamente che avrebbe mantenuto la parola – come se le costasse qualche sforzo! Ma ce la vedete con una mitraglietta sotto braccio? Recuperò i fogli da consegnare alla Skywalker dalla propria camera, e con un sorriso brillante li cedette al suo coinquilino. «ti dedicherò una bacheca» sussurrò, a ‘mo di ringraziamento, in un lieve inchino mentre lui raggiungeva la porta. «sto bene così» fu la risposta grugnita di Shot.
    Eh vabbè, ci aveva provato.
    Toc to- ed il bussare venne interrotto dall’uscio aperto, quattro paia d’occhi a… alzarsi, ed alzarsi, per incrociare lo sguardo scuro di un ragazzino.
    Non un ragazzino.
    Archibald Leroy. Archibald Baudelaire. Da quando quando??? aveva saputo della sua esistenza, Lydia l’aveva… stalkerato suona brutto, diciamo studiato da lontano. Quando certa che Akelei non fosse in negozio, s’era perfino infilata più spesso di quanto non fosse necessario alla panetteria B&B, comprando decisamente più pane di quanto una piccola regione dell’Uganda avesse bisogno per vivere – aveva preso il vizio di portare biscotti in classe, e di sgranocchiare grissini al posto di cracker o patatine. L’aveva visto con i suoi amici, Lydia. Con quella famiglia che a lei, Lydia Hadaway ed Annie Baudelaire, non l’aveva mai voluta. Aveva decretato silenziosamente che quel ragazzo dal sorriso storto sempre a far capolino sulle labbra, non avesse bisogno di un disastro quale la Hadaway nella propria vita – si sarebbe evitata a chiunque, lei. Confidava che lui non sapesse; confidava che nessuno gliel’avesse detto, di avere una sorella.
    Si accorse dopo qualche istante di essere rimasta in silenzio a guardarlo, labbra strette fra loro ed occhi spalancati nella sua direzione – e ci mise qualche battito in più, per rendersi conto che Shot se n’era già andato.
    Probabilmente, Archibald neanche era lì per lei – per quanto ne sapeva Lydia, poteva vendere pane porta a porta. Un sorriso triste le piegò la bocca prima che potesse ingoiarlo, gli occhi abbassati sui propri piedi per evitare al Serpeverde la miserabile fitta di sofferenza che le incrinò le iridi chiare. «ciao» appena un filo di voce, la porta ancora spalancata fra loro. Un colpo di tosse, i piedi indecisi sul posto - cosa doveva fare? Quanto sarebbe sembrata patetica se l’avesse invitato ad entrare?
    Perché, non la sei?
    «posso aiutarti?» si morse la lingua, un’occhiata di sottecchi verso di lui.
    Ed egoisticamente, e scioccamente, sperò che rispondesse di sì.
    Erano i ragazzi abbandonati, loro. Quelli che non aveva voluto nessuno, capitati per caso – il ripudiato e la dimenticata. Non c’era mezzo motivo al mondo per il quale Archibald Leroy avrebbe dovuto volere una Lydia Hadaway nella propria vita.
    Ma egoisticamente, e scioccamente, sperò comunque di sì.

    i'm not very good at
    telling people how i feel


    sara non ricordava di nuovo? sempre se lydia sapesse o meno di arci, quindi ho deciso di sì #wat
     
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    Doveva essere una vista piuttosto divertente, quella di un ragazzo alto quasi due metri che dondolava a disagio sui piedi, più simile ad un bambino al suo primo giorno d'asilo che non ad un giovane uomo già maggiorenne. Arci si impose di immobilizzarsi, di vestire una faccia meno ansiosa in favore di qualcosa di easy che comunicasse indifferenza ma insieme affabilità. I risultati furono scarsi.
    Satana caro, era Archibald Leroy! Possibile che bussare a casa di una ragazza gli fottesse tanto il cervello? Aveva fatto - faceva! - ben di peggio; era il ragazzo che al suo quarto anno era stato sbattuto fuori dalla squadra di Quidditch per i troppi falli commessi (e i troppi falli avversari succhiati - sottigliezze lessicali); era il ragazzo che ti sbatteva il muro se aveva il minimo presentimento che lo stessi ingannando (o il minimo presentimento ci stessi provando - sottigliezze parte due), e quello che aveva rotto più nasi che cuori. Le uniche cosa di cui Arci sembrava aver mai avuto paura erano gli sgabuzzini, le gallerie troppo lunghe, gli ascensori e i fottuti capanni chiusi ermeticamente in procinto di esplodere... ma la sua claustrofobia non lo aveva certo mai reso più clemente nei confronti di coetanei che si meritavano un calcio nel culo, o meno spaventoso agli occhi di primini alti la metà di lui. Gli piaceva avere una certa fama: bene o male, l'importante era che parlassero di lui.
    Eppure eccolo davanti a quella casa di Londra bello come il sole (#egoarci), spaventato da una una porta in procinto di aprirsi. "Fuck fuck fuck fuck" Forse non sarebbe mai dovuto andare lì. Chissà se si sentivano così gli universitari che si presentano ad un esame in cui sanno di non aver studiato (spoiler: sì). "Mi ritiro, eh. Ci vediamo al prossimo appello". Era ancora in tempo per andarsene?
    Un movimento della porta gli fece capire che no, era troppo tardi per voltarsi e rifugiarsi nel pick up. Beh dai, c'era sempre come alternativa l'eslamare tutto contento a Lydia "complimenti, sei la fortunata cliente numero seicentosessantasei, hai vinto una pagnotta gratis del B&B!" oppure "cercavo solo un bagno". Chissà se era vestito abbastanza bene per fingersi un testimone di Geova. Guardo in basso, improvvisamente conscio della farina sparsa sui vestiti, delle scarpe vecchie e bucate che aveva sempre indossato con menefreghismo. E se Lydia avesse notato quelle cose? Si passò rapido una mano fra i capelli per sistemarli, e prima che potesse rendersene conto eccola lì (o meglio laggiù #teambassi). Sua sorella.
    Era tutto molto più strano e imbarazzante di quanto avesse previsto.
    Mentre era in macchina si era preparato una scaletta, delle battute d'effetto da fare, ma adesso non riusciva a tirare fuori niente, bloccato a fissarla. Neanche con imbarazzo, ma solamente con sorpresa. "Mia sorella". A meno di dieci centimetri da lei.
    Aveva visto Lydia tanto volte al castello o in panetteria, gli era passato davanti a volte più a volte meno consciamente, ma si rese conto che forse non l'aveva mai guardata davvero; se l'avesse fatto, si sarebbe accorto che la forma del viso della ragazza ricordava un po' quella del proprio, che c'era qualcosa di familiare nel suo sguardo. Se lo stava inventando, vedeva quello che voleva vedere? Forse. Gli piaceva credere di essere stato cieco fino a quel momento a non aver notato, a non aver sentito dentro prima quanto lui e Lydia fossero chiaramente fratelli. In ogni caso questo incontro, questo trovarsi faccia a faccia, non aveva niente degli incontri precedenti. Era come essere di fronte ad una bomba pronta a scoppiare se tagli il filo sbagliato, e Arci si sentiva un artificiere al primo mandato: terribilmente adrenalinico ma anche fottutamente spaventato di far saltare tutto in aria; in caso di rifiuto da parte di Lydia a esplodere sarebbe stato l'ego - il cuore, se vogliamo essere poetici - del ragazzo.
    Si riscosse leggermente alla voce maschile. «Sì, grazie, ciao eh» Alla spallata dell'uomo che cercava di uscire da casa propria passandogli davanti Arci si spostò appena, non dedicando a Shot neanche uno sguardo. Non distoglieva gli occhi da Lydia (dalla sua testa rossa, più che altro), sebbene lei non lo stesse guardando. "Ciao, sei bellissima. Saranno i geni, eh?" non sembrava più la cosa giusta da dire come si era ripetuto in macchina durante il viaggio. Niente sembrava la cosa giusta da dire. «ciao»
    «ciao»
    I think i'm having a minor panic attack.
    «ciao» aveva già salutato? Non se lo ricordava più. E adesso l'aveva fatto o si era solo immaginato di farlo?
    Dal tono di voce di lei unito al suo... strano atteggiamento si era autoconvinto che doveva sapere, doveva averlo riconosciuto (e via di filmini mentali sull'epico incontro!!!11). Ma poi «posso aiutarti?»
    Arci aggrottò le sopracciglia.
    Non sapeva bene neanche lui cosa si sarebbe aspettato (un abbraccio? Un "ECCOTI FINALMENTE"? Un "vattene non voglio avere a che fare con te"???); si era visto diversi scenari su quell'incontro, ma di certo "posso aiutarti" non era fra le frasi che aveva pensato di ricevere. Si schiarì nervosamente la voce, cercando di apparire più sicuro di quanto non si sentisse.
    Forse lei non sapeva. Forse Bella o Cole le avevano sì detto che aveva un fratello, ma non le importava; si era fatta una vita, non aveva nessun vuoto da colmare, e non aveva chiesto in giro chi fosse Arci, come lui invece aveva cercato lei. Si umettò le labbra, e decise di saltare i convenevoli. Fanculo, ormai era lì. Meglio togliersi sto cerotto «Sono Archibald Leroy» Infilò le mani in tasca. Le tolse. Prese a tormentarsi l'unghia del medio col pollice. «Baudelaire» precisò. Se anche il nome "Archibald Leroy" non le avesse detto nulla, Baudelaire doveva per forza richiamare in lei qualcosa; anche se non lo ricordava, era stata Annie Baudelaire, quello doveva saperlo. «Credo... no. Sono tuo fratello»
    Non si tornava indietro. "Coraggio, Leroy. Il peggio che può capitarti è una porta in faccia; ne hai già ricevute tante: non farà così male". Si diceva così, ma sapeva in cuor suo che un rifiuto di Lydia ne avrebbe fatto, di danni in lui. Era tanto male invece concedersi di sperare che anche lei volesse una famiglia come la voleva lui?
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    ueppa non ricordavo di averla fatta scadere. PEKKATO NON SI POSSA FARE SALTO TEMPORALE IHIHIHI non fa ridere, arci è nel 1918.
     
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    «Sono Archibald Leroy» Lydia rimase ad osservarlo impassibile, una mano ancora sulla maniglia della porta e l’altra a sfiorare nervosamente i propri pantaloncini. Non voleva, né poteva mostrare una qualsiasi reazione che avrebbe potuto tradirla – non voleva Archibald sapesse che lei, ovviamente, sapeva chi fosse: privo di un contesto, sarebbe parso solamente inquietante ed avrebbe richiesto domande alle quali non avrebbe saputo come rispondere. Annuì, un leggero sorriso di circostanza a curvare appena le labbra rosse e piene. «Baudelaire» Strinse impercettibilmente la presa sul pomello sentendo le guance impallidire, il cuore a martellare in gola costringendola a deglutire. Quindi lo sapeva? Battè le ciglia, un sospiro sollevato a scivolare dalla bocca e la tensione a sciogliersi sulle spalle: lo sapeva. «Credo... no. Sono tuo fratello» E non solo era a conoscenza del fatto di essere suo fratello, ma era andato a bussare alla sua porta per dirglielo – un coraggio che la Hadaway, a parte inverse, non aveva avuto.
    Una cortesia che nessun altro, in famiglia, si era sprecato ad offrirle, abbandonandola a sé stessa per anni. Una risata nervosa le scosse le spalle, e non riuscì ad impedire agli occhi di spogliarsi dei mesi passati a mentire e fingere non curanza, le iridi verde bosco a farsi più liquide e morbide mentre cercavano lo sguardo esitante del Leroy. Baudelaire. «grazie» fu la prima, stupida cosa che disse – le venne istintivo, sottile e caldo sulla lingua. Si schiarì la voce distogliendo lo sguardo, il labbro inferiore morso fra i denti a soffocare un sorriso di trionfo mentre si spostava di lato invitando il ragazzo ad entrare. «scusami, di solito non -» sono così strana? Ma da quando. Scosse il capo e corrugò le sopracciglia, occhi sollevati al soffitto alla ricerca di ispirazione divina: come si faceva a comportarsi da persone normali? Lydia Hadaway non ne aveva idea, e gli esempi nella sua vita non la aiutavano affatto a comprenderlo. Chiuse gli occhi ed inspirò nervosa dalle narici, le mani strette fra loro a torturarsi le pellicine vicino alle corte unghie ben curate. «ricominciamo da capo.» per favore. Dio, ma perché doveva mostrarsi subito così… bizzarra? Non voleva dargli motivi di credere che tutti gli altri – Cole, le gemelle – avessero avuto ragione ad escluderla dalla loro vita: voleva valerne la pena, Lydia. «lydia hadaway» gli porse la mano nel presentarsi, ignorando come le dita tremassero flebilmente nell’aria fra loro. «non sono più annie da un pezzo» cercò di giustificarsi, impedendo forzatamente alla voce d’incrinarsi. Perché, dannazione, doveva sempre essere così emotiva? Si schiarì ancora la voce dondolando nervosamente sui talloni, decretando che tenere entrambi lì sulla soglia come due ciula fosse estremamente rude e di cattivo gusto. Imbarazzata gli fece cenno di seguirla dentro l’appartamento, facendogli poi strada verso la piccola cucina. «lo sapevo già» riuscì infine a confessare, complice il fatto che in quel momento gli stesse dando ancora le spalle. Un respiro profondo, un’occhiata da sopra la spalla all’ancora minorenne Leroy. A suo fratello. «mi dispiace, non…» sapeva come dirglielo? Anche, ma non era stato quello il motivo che l’aveva tenuta distante dal ragazzo. Si fece coraggio, deglutì ancora saliva e rimorsi dal sapore ferroso e rancido. «credevo volessi saperlo.» concluse in un sussurro sottile, distogliendo ancora lo sguardo per avvicinarsi al mobiletto dove tenevano le bustine del tè. L’influenza (nefasta.) di Nate era ormai palese nella vita della Hadaway, e la scoperta della teina come rilassante (o modo per prendere tempo.) era decisamente imputabile all’uomo. «se non vuoi il tè dovrebbero esserci dei succhi e delle birre, in frigo» umettò il labbro inferiore, fece guizzare rapidamente lo sguardo verso l’ex Serpeverde. «serviti pure» ed ancora cercò di non far trapelare il sollievo, l’agitazione, quell’infida speranza che s’annidava sempre fra i denti rendendo collosa ogni sentenza. Perché era suo fratello, e Lydia, ed Annie, avrebbe solamente voluto saltare quella fase di convenevoli ed arrivare già alla parte di vita nel quale non aveva bisogno d’invitarlo a servirsi perché già avrebbe fatto da sé. Un mezzo sorriso, si strinse impacciata nelle spalle. «fai come se fossi a casa tua.» perché voleva crederci, Lydia, che avrebbe potuto diventarla. Per favore, dammi questa possibilità.

    lydia hadaway | 21 y.o.
    once: annie baudelaire
    15.07.17 | h. 16:00
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    Se la precedente risposta della ragazza lo aveva confuso, la risata che seguì la presentazione quasi gli stroncò il respiro. Certo, non era quella di un super cattivo con testa piegata all'indietro, sguainatamente incontrollata e con un sottotono psichedelico e malvagio, ma anche se fu quasi più uno sbuffo che altro, Arci non potè che immaginare non significasse niente di buono (era o non era un paranoico melodrammatico del cazzo?), e fu quasi tentato di andarsene, girare i tacchi dopo essersi portato alla fronte due dita con tanto di: "skerzone! Ho sbagliato casa! Ho sbagliato vita!"; non era abbastanza forte per andare dalla propria sorella biologica e venire deriso da lei nell'arco della stessa giornata. Deglutì, affondando di nuovo le mani nelle tasche ma rimanendo piantato sul marciapiede. Si meritava un qualche commento, buono o cattivo che fosse, e se lo sarebbe preso.
    «grazie»
    Oh.
    Aggrottò le sopracciglia, confuso dal ringraziamento, e si aggrappò alla possibilità di non essersi immaginato il tono sollevato della ragazza. Forse la Hadaway si aspettava un sicario alla sua porta, un pignoratore, o ancora - Merlino non voglia - i testimoni di Geova, ed era felice le si fosse presentato alla porta soltanto il suo fratellino biologico disperso da tutta una vita. «Prego?»
    Era la risposta giusta? Signore, si pentiva così tanto di non essersi portato dietro anche quel giorno Bells e Jeremy; loro avevano fratelli maggiori, avrebbero saputo cosa dire. Arabells gli avrebbe tirato una gomitata nel fianco ringhiando di darsi una svegliata, il tasso lo avrebbe cinto per un fianco per dargli coraggio (no homo), e con loro due accanto tutto sarebbe sembrato meno mortificante.
    Di nuovo, pensò di andarsene; aveva fatto una cazzata a presentarsi lì e pensare che Lydia potesse aver bisogno nella sua vita di un diciottenne allampanato e incapace di usare convenevoli; aveva fatto una cazzata, illudendosi per mesi che avrebbe potuto funzionare, che avrebbe potuto avere quella famiglia che loro madre gli aveva negato-... poi Lydia si spostò leggermente, invitandolo a entrare, e Arci si rese conto che fino a quel momento un nodo gli aveva stretto la gola, e ora finalmente poteva tornare a respirare senza che l'aria graffiasse la gola. Quasi sospirò di sollievo.
    «scusami, di solito non -» «Tranquilla» la rassicurò rapidamente alzando una mano in aria, frettoloso di farle capire che comprendeva. Non era granchè con le parole neanche neanche lui. «Non capita tutti i giorni-... questo» si indicò con un sorriso che doveva essere spavaldo, ma risultava soltanto imbarazzato. Fosse stata chiunque altro avrebbe sopperito alla mancanza di coraggio con una battuta volgare, cercando di rimorchiarla, ma ovviamente non poteva fare niente del genere con lei: non voleva già passare per depravato nei primi dieci minuti di conoscenza, era già fortunato se la sua fama non lo precedeva.
    Si rassicurò vedendola così nervosa, tranquillizzandosi leggermente e tornando un po' più Arci di quanto non fosse stato negli ultimi imbarazzanti secondi. Poteva essere un po' egoista, sentirsi bene vedendo la propria sorella (sorella; che... effetto) tanto agitata, ma lo faceva sentire anche meno solo, meno stupido... e poteva starsi immaginando cose, ma dalla sua reazione o Lydia era una credulona, o già sapeva. Non gli stava neanche chiedendo prove, nè si era mostrata particolarmente sorpresa.
    «ricominciamo da capo.» Arci annuì leggermente, porgendo la mano per prendere quella che la ragazza gli porgeva. «lydia hadaway» le strinse le dita, aspettandosi una qualche scossa, un raggio di sole su di loro, una musica epica a partire di sottofondo... non accadde nulla, non come nei film; ma il cuore di Arci? Quello sì che aveva avuto un fremito emozionato. «non sono più annie da un pezzo»
    Ritraendo la mano, Arci si umettò le labbra. Sapeva del cambio di nome, della perdita di memoria; la sua nuova famiglia aveva avuto la decenza di dirgli almeno quello. Quello che non capiva, era il perchè della specifica. "Significa che non vuole più avere a che fare con i Baudelaire, che ora è andata avanti e non gli importa il passato?" «Sempre Archibald Leroy, ma puoi chiamarmi Arci» Cercò di recuperare un po' del suo antico fascino (quale) e metterlo in quella semplice frase, nel sorriso che l'aveva accompagnata, ma probabilmente stava fallendo. Fortuna che Lydia sembrava troppo distratta dai propri problemi relazionali per farci caso. «Non sono tecnicamente mai stato Archibald Baudelaire. E' una... cosa recente» Ok, forse non era il luogo o il momento più adatto per spiegarle che in realtà era nei BB da anni, ma non era stato nei BB fino a qualche settimana (mese, ok) prima. Era ancora un po' arrabbiato con Belladonna per non avergli detto di essere sua zia quando lo aveva "adottato", o spiegato di Lydia, ma non era il caso di dirglielo alla loro prima chiacchierata.
    «Permesso...» borbottò ricordando le buone maniere prima di seguirla all'interno della casa. il viso restò ostentatamente puntato sulla schiena di Lydia per non sembrare maleducato nel ficcanasare in giro, mentre gli occhi cercavano di catturare ogni dettaglio che capitava nel loro raggio d'azione; quadri, soprammobili, carta da parati... aveva guardato quel posto da fuori dannatamente tante volte, era strano esserci dentro e poter confrontare la realtà con l'idea che si era fatto solo mentalmente di quello. Si muoveva con l'attenzione che avrebbe prestato in una cristalleria, sentendosi troppo alto e troppo ingombrante all'improvviso, terrorizzato di poter rompere qualcosa; ci mancava solo quello, per fare un'ottima prima impressione.
    «lo sapevo già» Quando la rossa si voltò verso di lui, non distolse lo sguardo, limitandosi ad annuire. Già... aveva immaginato. «Da tanto?» non gli importava di quel che aveva pensato Annie, ma Lydia era a Londra da un sacco, ormai; da quanto sapeva di Arci? Settimane, mesi, anni? Neanche lui era esattamente andato immediatamente da lei, non voleva giudicarla. Era solo curioso.
    «mi dispiace, non…» non ti voglio nella mia vita, non ho bisogno di te, non mi interessava conoscerti.
    Non sei abbastanza.

    «-credevo volessi saperlo.»
    Arci restò fermo nella piccola cucina, osservandola trafficare nel mobiletto, le dita a torturarsi le unghie. Ci mise troppo a pensare ad una risposta, e Lydia già aveva continuato a parlare: «se non vuoi il tè dovrebbero esserci dei succhi e delle birre, in frigo»
    «Il tè va benissimo» Non era un grande bevitore, ma non voleva sembrare un ingrato... e soprattutto, secondo le informazioni di Lies il professor Henderson e Lydia erano i tipi di persona che rispettavano la tradizione delle cinque; Arci ci teneva a fare bella figura.
    «serviti pure. fai come se fossi a casa tua.»
    Fai come se fossi a casa tua. Arci non si comportava davvero come se fosse a casa sua neanche a casa sua, ritenendosi ancora dopo tre anni un coinquilino un po' particolare delle Baudelaire-Baumont. Lydia poteva aver detto quella frase per educazione, o con leggerezza, ma nel cuore di Arci ebbe tutto un altro peso. «Grazie» mormorò, ed era lui adesso quello a cui il ringraziamento uscì più sentito del necessario, quasi commosso quanto il sorriso.
    Dopo aver posato le chiavi della macchina sul tavolo per non sedervici sopra, prese posto nella prima sedia che dovrò avanti a sè, sistemandosi in modo da poter guardare la ragazza che preparava il tè.
    Per riordinare i pensieri ci mise qualche altro secondo, ma alla fine, per quanto avesse cercato di scavare nella sua testa alla ricerca di conversazioni più piacevoli, non riuscì a trattenere un: «Io sono felice di averlo scoperto» prese fra le dita il portachiavi, usandolo come antistress prendendo a giochicchiarci. Poteva essere il primo e unico incontro con la ragazza, quindi tanto valeva mettere in chiaro le cose fin da subito «Di te, di noi» Non aggiunse che aveva sempre sognato una famiglia numerosa, che si era sempre chiesto se un giorno avrebbe trovato i propri parenti biologici, o che era si era fatto milioni di film su di lei, su quello che avrebbero potuto fare insieme. «A Cole invece non credo importi particolarmente. Non me l'ha detto di persona, che sono una Baudelaire, lui-» si morse il labbro accompagnando il gesto con lo sbuffo di una risata al ricordo, solo di poco meno doloroso rispetto a qualche settimana prima. La rabbia e la tristezza nei suoi confronti sarebbero passati, prima o poi, ma non quel giorno. «lui mi ha lasciato una lettera, poi è sparito» attese qualche secondo, giusto perchè Lydia assimilasse l'informazione. Doveva per forza sapere chi era cole, se sapeva chi fosse arci. L'ex serpeverde era felice di non doverle spiegare che la madre che non ricordava, dopo aver tradito l'uomo con cui stava all'epoca, aveva partorito e abbandonato Arci, ma allo stesso tempo si apriva un dubbio: lei perchè non l'aveva cercato? Davvero aveva soltanto pensato che ad Archibald non importasse? E per quale motivo? Forse perchè a lei non interessava? «Tu, invece? Tu sei un Cole? Oppure sei un Arci e ti va- , insomma» abbassò lo sguardo, facendo spallucce nel minimizzare quanto in realtà gli importasse, quanto in realtà ci sperasse «ti va di conoscerci, passare un po' di tempo insieme... Cose così» Si passò la lingua sulle labbra, azzardandosi ad alzare gli occhi scuri solo dopo qualche secondo.
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    Con un movimento di bacchetta, accese il fuoco sotto il bollitore del tè. Delle mani (e degli occhi), Lydia Hadaway, non sapeva che farsene – raramente era stata così consapevole del proprio corpo, del proprio essere, da porsi filosofici drammi di vita su come comportarsi. Tendeva a passare inosservata ed invisibile, motivo per cui problemi del genere non aveva alcun bisogno di porseli. Doveva guardare Arci? Il soffitto? La teiera? Nel dubbio, schiarendosi nervosamente la gola, optò per chinare il capo ed osservare con interesse le proprie dita, allacciate fra loro come temessero di perdersi per strada. Sarebbe stato ottimista, e menzognero, dire che il silenzio fra loro non si riempì di non detto, diventando imbarazzante e denso sulla lingua. In cuor suo, Lydia avrebbe voluto evitare i tempi morti come quello; riusciva a pensare a modi in cui rompere il ghiaccio, a come avrebbe dovuto sorridere per allentare la tensione – ma si trattava puramente di astrattismo, perché si rendeva conto da sé di non essere in grado di concretizzarlo. Non credeva (davvero, mai) sarebbe giunto quel momento, ma immobile vicino ai fornelli della cucina, Lydia pregò che lo Spirito Poco Santo di Nathaniel Henderson s’impossessasse del suo corpo e rendesse quella situazione più agevole e confortante. Non che il disagio fosse un problema per la rossa, quando mai!, abituata com’era a sentirsi fuori luogo ogni secondo della sua vita, ma temeva che potesse diventarlo per il Leroy. Suo fratello. Aveva il terrore che si rendesse conto di quanto fosse stato un errore bussare alla sua porta, che se il resto della famiglia l’aveva ignorata per anni un motivo c’era; che stesse rimanendo per cortesia, ma non sarebbe più tornato. Aprì la bocca per domandargli qualcosa, qualunque cosa, che potesse trattenerlo ancora un pochino, quando lui: «Io sono felice di averlo scoperto» Lo era? Sollevò i pavidi occhi verdi sul ragazzo, studiandone assorta i lineamenti così diversi dai propri – eppure, qualcosa di simile lo avevano: la forma del mento, del labbro inferiore. Il sorriso scheggiato. «Di te, di noi» Sorrise spontaneamente, approfittando del fatto che lui fosse concentrato sul portachiavi per poterlo guardare senza maledirsi nell’essere così inetta alla vita. Era davvero felice di aver scoperto di lei? Strinse le labbra fra loro, le fossette ai lati della bocca più pronunciate. Fremeva dall’infantile impulso di prendere il telefono e scrivere ai suoi (pochi. Ma contava l’intensità cosa) contatti per renderli partecipi di quella piccola, per lei immensa, soddisfazione. Su un piano logico sapeva che Archibald avesse tutto il tempo del mondo per cambiare idea, ma sentimentalmente preferiva godersi quella vittoria momentanea: era felice di avere una sorella. Era felice di avere lei, e non erano molte le persone che avevano fatto sentire la Hadaway come se lei, fra tutti, valesse la pena - di tempo, di spazio nelle loro vite. «A Cole invece non credo importi particolarmente. Non me l'ha detto di persona, che sono una Baudelaire, lui mi ha lasciato una lettera, poi è sparito» Provò l’ingiustificato impulso di mentirgli. Di sedersi di fronte a lui, prendere le sue mani fra le proprie, e dirgli che no, non è vero, a Cole importa. Non sa solo come dircelo, ma a lui importa. non potrebbe essere altrimenti - ma invece lo era, altrimenti. Neanche a lei l’aveva mai detto, ed aveva lavorato nella sua scuola. L’aveva incrociato, ci aveva parlato, e non aveva neanche mai mostrato di riconoscerla. Credeva di aver accettato la questione, ma dopo anni ancora non riusciva ad arrendersi a quell’evidenza: una parte di lei, sopita ma sempre presente, calciava e gridava esigendo le attenzioni del fratello maggiore - giustificandolo. Annie aveva sempre giustificato Cole.
    Lydia, seppur inconsciamente, avrebbe sempre continuato a farlo.
    «Tu, invece? Tu sei un Cole? Oppure sei un Arci e ti va- sì, insomma. ti va di conoscerci, passare un po' di tempo insieme... Cose così» Non riuscì più a contenere il proprio sorriso. Lo lasciò sbocciare come un fiore agli inizi della Primavera, timido ma impossibile da ignorare. Erano anni che Lydia, rimpiangendolo ogni giorno ed ogni notte, aveva accantonato l’idea di avere una sua famiglia – come Nathaniel, come Jayson, come Amos – e la prospettiva di poterci provare la riempiva di orgoglio, commozione, e…terrore.
    Principalmente, terrore. Ma era disposta a provarci - poteva rischiare.
    Potevano farlo insieme.
    «sono definitivamente una lydia» reclinò appena il capo su una spalla, spegnendo distrattamente il bollitore che aveva iniziato a fischiare. «ossia, non riesco ad immaginare una prospettiva migliore rispetto a quella di conoscerci, passare un po’ di tempo insieme, cose così, ma sono troppo introversa ed avrò sempre timore di disturbare» beh: aveva deciso di essere sincera al cento per cento, di provarci fino in fondo. Non voleva perdere quell’occasione, ma non voleva neanche suo fratello si facesse un’idea sbagliata reputandola disinteressata. Non lo era, non avrebbe mai potuto esserlo. «dovrai sforzarti parecchio con me» espirò tremula cercando di alleggerire la supplica, difficile interpretarla in modo diverso, con un divertito sopracciglio inarcato. Per favore. Prese la cassetta in legno contenente i tè e la mise al centro del tavolino, versando l’acqua bollente in due tazze. Si sedette di fronte ad Arci, rapida nel stringere le dita attorno alla ceramica alla ricerca di conforto. Prese una bustina a caso, consapevole che le piacessero tutte le qualità, e la intinse nella tazza. Tè bianco, riconobbe dal profumo. «ma farò del mio meglio» Giuro. Per dimostrare di avere buone intenzioni, fischiò portando le dita alla bocca. Il ronzio familiare di Munin spinse gli angoli delle labbra in un sorriso imbarazzato e divertito. «ti presento un altro membro della nostra famiglia» Nostra. L’aveva spaventato? Cercò di studiarne la reazione con uno sguardo di sottecchi, mentre Munin, volando a zig zag, faceva la sua bavosa entrata in scena.
    Bravo, Munin. Giusto perché non dobbiamo fare buona impressione. «lui è munin.» umettò le labbra sorseggiando il tè bollente. «ogni martedì lo porto al parco con un costume diverso, ho perso una scommessa tempo fa» era ancora convinta che Nate avesse barato, ma non aveva mai avuto prove con le quali scagionarsi. «magari…» deglutì ed inspirò, obbligandosi a distogliere lo sguardo dal cane volante per riportarlo su Arci. «potresti venire con me, la prossima volta» esitò in un sorriso a metà.
    Uau Lydia, tu sì che hai dei passatempi kool.

    lydia hadaway | 21 y.o.
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    Lydia sorrise - Signore, se sorrise, una gioia nel suo viso che era contagiosa. Arci aveva trovato un po' strane all'inizio le affinità della sorella con la Gardner, la quale per almeno un anno aveva avuto una cotta potente per il Leroy, ma in quel sorriso lui si accorse di quanto Lydia non fosse affatto Freya e quanto fosse stupido, anzi, aver pensato il contrario. Doveva decisamente essere vittima dell'emozione e suggestionato dalla novità e dalla gioia genuina dipinta sul viso della rossa, perchè adesso nei lineamenti della Hadaway non poteva fare a meno di vedere qualcosa di , qualcosa del tutto originale che Freya non aveva. Era unica, ed era bellissima.
    «sono definitivamente una lydia»Incurvò le labbra rapido di ricambio, trovando divertente che avesse appena dato voce ai pensieri di Arci, sebbene su un altro argomento. «ossia, non riesco ad immaginare una prospettiva migliore rispetto a quella di conoscerci, passare un po’ di tempo insieme, cose così, ma sono troppo introversa ed avrò sempre timore di disturbare. dovrai sforzarti parecchio con me» Introversa. Paura di disturbare. Così non Arci, da essere perfetta; era abbastanza molesto per entrambi, non sarebbe stato un problema, anzi; potevano essere complementari. Neanche guardò la scatola del tè, quando Lydia la mise al centro del tavolo, aspettando pazientemente che lei terminasse sporgendosi leggermente in avanti come un gatto che cerca il sole, la lingua a fremere per risponderle. «ma farò del mio meglio»
    «Non potresti mai disturbarmi» rispose veloce mangiandosi le pause fra le parole, ansioso di dire la propria, e rendendosene conto provò a usare una voce più calma: «Ma non ti preoccupare. Quando voglio so essere piuttosto... invadente; così dicono i miei amici» "li conosci", pensò di dirle, "Lies, soprattutto", ma non voleva far trasparire la vaga gelosia che provava nei loro confronti. Lydia era sua, e almeno per un po' - almeno per la prima volta - la voleva solo per sè, come loro avevano Elijah, Todd e Run. Avrebbe parlato di loro la prossima volta (sì, ci sarebbe stata una prossima volta; già non stava nella pelle). Scelse distrattamente una bustina di tè, più abituato a miscele sfuse per poter leggerci il futuro, e la mise nella tazza di acqua calda circondandola con le mani, le chiavi dell'auto abbandonate lì a fianco. «Farò del mio meglio anche io per rispettare i tuoi tempi» certamente lui sarebbe partito dall'invitarla a cena, portarla a vedere il retro bottega di Magie Sinister dove si incontrava il Club dell'occulto, farle fare un giro su Baby, tutto quella sera stessa... ma se lei era così introversa e timidina, forse avrebbe voluto avere un po' di tempo per pensarci, per elaborare; si sarebbe impegnato per concederglielo, anche una volta che avessero iniziato a frequentarsi, non facendo troppo... l'arci.
    «ti presento un altro membro della nostra famiglia» un piccolo fremito di piacere soddisfatto a quel nostra, il Leroy bevve un primo sorso di tè voltandosi verso il rumore del ronzio, aprendosi in un sorriso estasiato alla vista del nuovo ospite «E' un carlino volante» divertito, Arci si sporse verso il cane, leggermene... scioccato dalla sua apparizione. Non faceva Lydia una persona da carlini bavosi e dallo sguardo un po' tonto ma simpatico; aveva appena imparato qualcos'altro su di lei. «lui è munin.»
    Arci si alzò immediatamente, abbandonando il tè e andando incontro al cane, mettendosi alla propria altezza mentre porgeva la mano per accarezzare l'esemplare. «ciao Munin» salutò, sperando di fare una bella impressione sul cane. Lo amava già.
    «ogni martedì lo porto al parco con un costume diverso, ho perso una scommessa tempo fa» Arci si voltò ad osservarla da sopra la spalla, continuando a fare i grattini al cane che, intanto, si era fatto prendere per farsi coccolare. Aggrottò le sopracciglia ridacchiando. «Che scommessa?» tornò a osservare il cane, mormorando a bassa voce come se stesse parlando ad un bambino. «Quindi sei anche un modello, eh?»
    «magari…» ruotò il corpo per poter guardare Lydia. «potresti venire con me, la prossima volta» se possibile, il sorriso di Archibald si allargò ancora di più. Avevano un appuntamento. Si sarebbero visti di nuovo! Certo certo, Lydia aveva già detto di essere d'accordo a tenere i rapporti, ma era diverso farlo in forma ideale che farlo praticamente, con una data e tutto. «Sarebbe fantastico!» Neanche si era fatto domande su che altri impegni potesse avere martedì; non erano abbastanza importanti, li avrebbe disdetti. Dopo un altro buffetto, Arci lasciò andare Munin al suo volo e riprese posto. «Adoro i cani! Adoro pressapoco qualsiasi animale, in realtà» alzò le spalle come se fosse una spiegazione, della serie "a chi non piacciono?", e portò la tazza alle labbra per bere. «Potrei portare il metà lupo di Belladonna, anche lui travestito; abbinati!» Belladonna avrebbe probabilmente ucciso Arci per una cosa simile, ma ne sarebbe valsa la pena; quel lupacchiotto era così un topino apatico che si sarebbe lasciato conciare in qualsiasi modo da Arci senza battere ciglio e, chissà, magari si sarebbe pure divertito e fatto un nuovo amico «E se ti va dopo possiamo passare al B&B; è il bistrot dove lavoro» si umettò le labbra. Lo doveva dire? Lo doveva dire: «E' un'attività di famiglia quindi... beh, ; immagino sia un po' anche tua. Dovresti venirci qualche volta; ti offro la colazione» o la merenda. O il pranzo. O qualsiasi altra cosa. Sarebbe stato... bellissimo, averla lì, e averla sapendo di potercisi sedere accanto per parlare della propria giornata o cose così - "cose così", perchè in realtà ancora non gli era ben chiaro cosa facessero i fratelli di solito. Se stare insieme però era così piacevole e caldo come in quel momento, se trasmetteva sempre quel tepore piacevole e quella sensazione di familiarità e calma, era più invogliato a scoprirlo.
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    Continuava a sorridere leggera e nervosa, indecisa su dove guardare o su come privarsi di quell’assurda piega della bocca. Lydia Hadaway era…elettrizzata da quella novità – lei! a cui le novità, oramai, non piacevano particolarmente! L’arrivo di Archibald Leroy sul proprio zerbino, e conseguentemente nella sua vita, apriva infinite porte di futuri che la rossa non aveva più creduto possibili, decisa di proseguire con quel ch’era riuscita a racimolare negli anni (che, per inciso, era e sempre sarebbe stato tanto: quando per la prima volta s’era svegliata al Paiolo Magico, senza nome o identità, mai avrebbe immaginato che avrebbe incontrato un Nathaniel) ignorando quel che era stata, e che nessuno più voleva. Anastasie Baudelaire era stata dimenticata, non era desiderata, ma Lydia? Lydia aveva degli amici, e di quegli amici aveva fatto una famiglia che, sperava, l’avrebbe cercata se di punto in bianco fosse sparita nel nulla. Non credeva che il capitolo Baudelaire potesse ancora offrirle qualcosa; Belladonna era stata una piacevole eccezione, e Lydia ancora faticava a credere che avesse fatto parte della vita di Annie – anzi, ne era quasi gelosa, preferendola averla per una sé di cui era consapevole. Ma Arci? Dimenticato ed abbandonato come lei, anche lui ad aver fatto dei propri amici una famiglia – anche lui ad essersi costruito da zero, senza sapere di avere un nome alle spalle.
    Baudelaire. Ma non era quello, ad unire i due ragazzi stipati nella piccola cucina dell’appartamento. Era più un Baudelaire-ma-non-troppo; erano quel genere d’eredità lasciata a marcire sotto i tappeti sperando che nessuno li vedesse. «Non potresti mai disturbarmi. Ma non ti preoccupare. Quando voglio so essere piuttosto... invadente; così dicono i miei amici» Invadente, un aggettivo che mai avrebbe potuto essere attribuito alla Hadaway, ma che conosceva bene quanto il palmo della propria mano eh nate. «meglio» rispose con un sorriso, arcuando entrambe le sopracciglia nella direzione di Archibald. «decisamente meglio così» perché se fosse stato per lei, perfino dopo un pomeriggio di conversazioni a cuore aperto, sarebbero rimasti sconosciuti per tutta la vita - e lei non voleva, ma non sapeva come uscire da quel loop di sensi di colpa e imbarazzo. Sperò che Arci leggesse in quelle parole la sincerità spillata dalle iridi verde foresta, il silente ti prego, fallo tu a cui non era in grado di dar voce senza suonare stupida o patetica. «Farò del mio meglio anche io per rispettare i tuoi tempi» Battè le palpebre, inspirando fino a gonfiare il petto e drizzare la schiena. Non sapeva come dirgli che più di tempo, aveva bisogno di spazio, e che quello spazio non voleva fosse fra loro ma fra loro e gli altri. Non aveva timore delle persone, ma faticava – più di quanto non desse a vedere – ad inserirsi nei gruppi o nei contesti: tendeva sempre a rimanere fuori dal circolo, schiena appiattita al muro ed un cocktail sopra il quale sorridere cortesemente a chiunque ne avesse incrociato lo sguardo. Quanto sarebbe parso da serial killer dire che avrebbe voluto del tempo solo con lui, e lontano da tutti? Voleva i silenzi imbarazzanti, e le domande fatte guardando il cielo od uno stelo d’erba. Voleva conoscere Arci, prima d’imbattersi in Arci e il suo mondo. Voleva fingere che il tempo per viversi, loro due, l’avessero già avuto, così che trovandosi con suoi amici, o conoscenti, non dovesse rimanere sorpresa nello scoprire che la sua materia preferita fosse stata pozioni, o che la sua colazione consistesse in succo al ribes e mentine. Cambiò discorso portando al centro dell’attenzione Munin, più che felice che il suo orribile (♥) carlino volante si facesse carico dell’interesse del Leroy (Baudelaire) mentre lei si prendeva tempo per elaborare una strategia quale. Munin era un ottimo espediente per fuggire da svariate situazioni sociali – lo amava anche per quello. «che scommessa?» mmmh watcha saaay. Strinse le labbra fra loro, soffiando sul tè ancora bollente stretto fra le proprie mani. Si schiarì la voce e sollevò gli occhi al cielo, combattuta fra il mentire pur di non fare brutta impressione, e l’essere onesta e sperare di non essere giudicata. «io e nathaniel ai, mh, tre manici di scopa, qualche volta, mh» dai…chi non lo faceva? E non era colpa sua se, per giunta!, passava i suoi pomeriggi con captain shipper, ma non potesse usarlo come scusa perché la sua identità (credici.) era segreta. «osserviamo i clienti e immaginiamo le loro vite» cercò di mantenere un tono tranquillo onde evitare di passare per maniaca. «o le relazioni fra loro, e…è capitato che, mh, scommettessimo. era così sicuro che una ragazzina fosse gay, che per principio non ho voluto dargli ragione» Sorseggiò il tè, ormai consapevole che avrebbe dovuto fidarsi maggiormente del sesto-senso di Nate («ma non vedi come guarda la sua compagna? Hadaway, non ti ho insegnato N I E N T E. sei sospesa per due giorni» «senza di me non sapresti neanche dove hai lezione» «infatti era figurato e solo per far scena –mmmmmh bisogna sempre dirti tutto» true dat.) ma ancora, in cuor suo, certa che Nathaniel sapesse, non solo supponesse. «ho...prevedibilmente perso» ammise con un sorriso, osservando infine il ragazzo. «facciamo anche cose normali, giuro» si sentì in dovere di difendere (se stessa.) Nathaniel, non voleva che Arci pensasse fosse solo un annoiato, eccentrico, pirata senza vascello (ma con tante ship #boooom) – non tanto per ma che figura gli faccio fare! quanto perché, nel bene o nel male (nel male.) era una delle persone più importanti nella vita di Lydia, e confidava che un giorno si sarebbero conosciuti (cioè, si conoscevano già, ma non come fratello-di-lydia e capo-di-lydia: era convinta che avrebbe cambiato tutto). Sorrise al pensiero di Munin ed il cane di Belladonna, ma la smorfia svanì quando Arci accennò al B&B. Storse il naso e distolse lo sguardo, dondolando nervosamente sui talloni. Dai, Lydia. Diglielo ora, prima che si faccia un’idea sbagliata. Ora. «mi farebbe piacere venire a salutarti quando sei in turno» si sforzò d’incontrarne gli occhi scuri, stringendo le mani alla tazza pur di aver qualcosa cui aggrapparsi. «e di certo non mi dispiacerebbe la colazione, ma…» Umettò le labbra, corrugò lievemente le sopracciglia. «preferirei non avere nulla a che fare con…gli affari di “famiglia”» abbassò lo sguardo sul tè, socchiuse le palpebre. «non sono arrabbiata con nessuno, ma…annie è sparita, e nessuno l’ha cercata. Ho lavorato con cole per anni, e non mi ha mai…detto nulla. Non credo di essere mai piaciuta particolarmente ai beaumont» Lui non aveva una storia con loro alle spalle; comprendeva perché volesse inserirsi fra loro, ma lei? Non c’era più spazio per la fu Annie Baudelaire. «non voglio essere una baudelaire, ma vorrei comunque essere tua sorella» piegò lievemente la bocca alla menzione di sorella, ancora non abituata al peculiare sapore agrodolce lasciato sulla lingua. «magari possiamo…portare munin a fare una passeggiata? Così mi racconti un po’ di te…se ti va» sorrise, ma era troppo imbarazzata per poterne incrociare lo sguardo, preferendo far scivolare le iridi verdi sulla bestia volante. «basta non andare al wicked, l’ultima volta l’hanno scambiato per un palloncino» [war flashback]
    lydia hadaway | 21 y.o.
    once: annie baudelaire
    15.07.17 | h. 16:00
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    Mordendosi il labbro, il sorriso del Leroy- Baudelaire (ma non troppo - cit) si allargò, un'incurvatura gentile che come poche altre volte nella sua vita non aveva secondi fini o intenti poco puri. Era solo... felice, che Lydia fosse contenta di lui, di averlo trovato; felice che non gli avesse chiuso la porta in faccia, che anche lei volesse conoscerlo. Felice, per una volta nella vita, di essere abbastanza com'era. Sapeva che prima o poi avrebbe finito per deluderla, ma avere un legame di sangue riconosciuto anche da lei a unirli gli permetteva di illudersi che non sarebbe stato facile farlo. Esistono i romanici, bromantici, e poi ci sono gli arci, che si emozionano e fanno headcanon per le fam; finalmente ne aveva anche lui una (i catafratti contavano, sempre, ma loro avevano elijah, run, todd, persino cugini; non era lo stesso, per jeremy e bells).
    «io e nathaniel ai, mh, tre manici di scopa, qualche volta, mh- osserviamo i clienti e immaginiamo le loro vite, o le relazioni fra loro, e… è capitato che, mh, scommettessimo. era così sicuro che una ragazzina fosse gay, che per principio non ho voluto dargli ragione»
    Arci si mise a ridere istintivamente, continuando a grattare il collo del carlino e alzando solo di tanto in tanto lo sguardo sulla ragazza. La sua conoscenza di Nathaniel si limitava a "catafratto" o "fratello maggiore di riserva di Bells", ma sembrava decisamente qualcosa che l'uomo avrebbe fatto, scommettere sull'orientamento sessuale di una ragazzina; a sorprenderlo e divertirlo, invece, era che fosse un gioco che faceva anche Lydia. Per anni era stata l'assistente anonima e gentile di Mr Henderson, agli occhi di Arci, lontano da qualsiasi interesse; era bello avere uno scorcio su qualcosa di quello che le piaceva fare, e soprattutto qualcosa di particolare e decisamente fuori dagli schemi. «ho... prevedibilmente perso. facciamo anche cose normali, giuro»
    Scrollò le spalle, ancora l'attenzione a metà sul cagnolino bavoso. «le cose normali vanno bene, ma sono meno divertenti da raccontare. Quindi tu e il professor Henderson siete, tipo, amici? Forte»
    Neanche notò l'irrigidirsi della ragazza a citare il B&B, troppo preso a comprarsi Munin (il modo migliore per arrivare ad una ragazza è attraverso il suo cane volante, no?), ma non per questo quando si rese conto di dove Lydia stesse andando a parare fece meno male.
    «preferirei non avere nulla a che fare con…gli affari di “famiglia”» alzò di scattò lo sguardo su di lei, confuso e ferito. Non era affatto quello che aveva capito della conversazione fino a quel momento. «cosa?»
    «non sono arrabbiata con nessuno, ma… annie è sparita, e nessuno l’ha cercata. Ho lavorato con cole per anni, e non mi ha mai…detto nulla. Non credo di essere mai piaciuta particolarmente ai beaumont»
    Si umettò le labbra, riconoscendo la storia come propria; nessuno che ti cerca, fratello che ti ignora pur sapendo la verità, sorellastra che si comporta come se a mala pena ti accetti nello stesso mondo, figuriamoci nella stessa famiglia... per Lydia doveva essere peggio, sicuramente. Almeno Arci non era cresciuto con nessuno di loro, e poteva quasi scusarli che non fosse mai interessato loro di lui, un ragazzetto anonimo qualunque con cui condividevano solo dna. Quasi. Si conosceva abbastanza bene per sapere che li avrebbe sempre un po' odiati. «Avresti tutto il diritto di essere arrabbiata», mormorò, gli occhi di nuovo bassi, e si concesse di dirlo proprio perchè sapeva che Lydia, come lui, non aveva colpe; Annie, forse, ma Lydia era innocente, Lydia era come lui, dalla sua parte.
    «non voglio essere una baudelaire, ma vorrei comunque essere tua sorella» di nuovo, Arci sollevò la testa rapido per guardare la rossa e la sua espressione (gemella della propria) senza riuscire a nascondere il sorriso alla parola sorella. Arci voleva essere un Baudelaire, aveva sempre sognato di appartenere ad una famiglia numerosa, riconosciuta - per quanto merdosa e imperfetta - , ma poteva accettare che Lydia fosse solo sua, e non condividerla con Cole o Ophelia o chiunque altro.
    «mi sta bene», convenne. «non mi interessa particolarmente annie buadelaire, se non interessa a te. Vorrei conoscere solo lydia hadaway, e chi sei oggi»
    «magari possiamo…portare munin a fare una passeggiata? Così mi racconti un po’ di te…se ti va» gli occhi di arci si illuminarono, mentre si alzava in piedi.
    «sarebbe perfetto. Ho il pomeriggio libero» anche se l'incontro non fosse andata bene, aveva tenuto in conto che potesse non essere abbastanza di buon'umore per andare a lavorare o altro, e si era tenuto senza impegni (ovviamente, aveva tenuto senza impegni anche Jeremy e Arabells; se Lydia gli avesse sbattuto la porta in faccia avrebbe pur avuto bisogno di supporto morale, no?) «-e tante, tante, domande» alzò in fretta le mani «non troppo moleste! Solo... curiosità» tipo: qual era il suo colore preferito? Aveva la Vista? Quand'era il suo compleanno (e quindi di che segno era)? Ci sarebbe stata per quello del ragazzo, un mese dopo? Poteva andarla a trovare, e magari passare la notte lì? Perchè c'era un fucile sul divano?
    Mentre Lydia sistemava le tazze in cucina, Arci tirò fuori il cellulare, mandando ai Cata una faccina per far capire che era andata, stava andando, bene; avrebbe spiegato meglio loro più tardi: ora era tempo suo e di Lydia di parlare.
    «basta non andare al wicked, l’ultima volta l’hanno scambiato per un palloncino»
    Ridacchiò, osservando la ragazza che prendeva il guinzaglio per il cane e iniziando poi a dirigersi con loro verso la porta. «possiamo andare dove vi pare; conosco un posto carino verso in zona quo vadis» Infilò le mani in tasca, e lo sguardo prima di uscire cadde su una candela spenta sopra un mobiletto. Con un sorriso, si accorse che era il proprio gusto preferito; destino. «abbiamo tutto il tempo del mondo» una vita intera.
    You Sit And Stay I Don'T Obey // by ms. atelophobia // (c) gif
     
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