A tutti manca qualcosa, persino all'infinito manca la fine

Privata #epicWin

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    Nicole KeiraThompson
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    Dolore. Dolore a tutto il corpo. Calore. Tanto calore vicino a lei che se solo si fosse avvicinata di un centimetro l'avrebbe incenerita. Un'auto riversa a terra in balia delle fiamme alte fino al cielo e c'era tanta puzza di bruciato dell'aria. Cenere. La cenere cadeva dall'alto come neve e faceva un po' male a contatto con la pelle di Nicole. Urla. Le urla di sua fratello all'interno dell'auto che alla fine si spensero. Lacrime. Le lacrime versate vedendo il fratello lì e non poter far nulla per aiutarlo, per salvarlo. Delle mani. Mani paterne, conosciute, che la portavano via da quello spettacolo raccapricciante. Una voce. Che le diceva che sarebbe andato tutto bene e che non era colpa sua. Dolore al petto come di qualcosa che si è spezzato dentro di lei oppure addirittura tolto. L'immagine di suo fratello che le diceva che era colpa sua e che doveva sentirsi in colpa per la sua morte. Vuoto. Buio. La sensazione di cadere e poi una luce....

    Nicole si svegliò di soprassalto avvolta da una patina di sudore addosso e il fiato corto. Non si rese conto che aveva anche le gote bagnate segno che aveva pianto nel sonno. Se le asciugò con rabbia buttando a terra in modo rabbioso le coperte e i cuscini e buttarsi a sedere per terra con le mani tra i capelli.
    L'ennesimo incubo e sempre uguale che perseguitava Nicole negli ultimi anni da quella volta.
    Il dolore per la perdita del fratello non la lasciava mai era sempre costante, incessante, vivo dentro di lei che la corrodeva come il fuoco faceva a qualsiasi cosa che incontrava, sì il suo dolore era fuoco e lei il fuoco lo odiava da allora, la cosa che le faceva più male erano le parole di lui, dure, cattive e il suo sguardo odioso verso di lei che la portava a odiare se stessa.
    Si alzò fece un respiro profondo e non provó neanche a sistemare il letto se ne sarebbe occupata più tardi, ora aveva solo bisogno di una bella doccia e di mangiare, si perché erano le 9.00 del mattino e ormai il sonno se ne era andato.
    Dopo la doccia si vestì e quella giornata fu strana per lei perché non si mise neanche qualcosa di nero addosso tutto di jeans, il nero era il suo colore preferito ovvimante e tutti gli altri colori non poteva vederli perché gli davano danno alla vista, quel giorno non aveva voglia di decidere che cosa mettersi e aveva preso le prime cose che aveva trovato, aveva lo smalto nero però e questo le bastava per sentirsi meglio, scese in cucina e trovó il padre intento a fare il caffè con una macchinetta moderna babbana che non sapeva usare.
    Buongiorno Nikki disse sorridente per poi vedere il suo volto serio e da post incubo e si rabbuiò.
    Che è successo? chiese smettendo di armeggiare con quell'arnese inutile per concentrarsi su di lei.
    Niente papà, tutto bene disse prendendo una tazza e iniziando a fare il caffè vedendo la faccia sconvolta del padre un po' perché aveva fatto il caffè subito senza avere i problemi che aveva avuto lui sicuramente per mezz'ora e forse anche per altro.
    Ora sono sicuro che non va tutto bene, perché il tutto bene e papà nella stessa frase sono surreali infatti era vero, che Nicole dicesse che andava tutto bene e soprattutto che lo chiamava papà erano due cose surreali. Per Nicole non andava mai tutto bene anzi c'era sempre qualcosa che le faceva andare storta la giornata e non lo chiamava mai papà ormai per abitudine, lo chiamava "vecchio", anche se non lo era, ma gli piaceva chiamarlo così per vedere la sua reazione o non lo chiamava proprio.
    Non mi va di parlarne voglio uscire a fare un giro disse facendo il caffè al padre e spegnendola macchinetta.
    Non fai colazione? chiese il padre vedendola prendere la borsa a tracolla e aprire la porta.
    La faccio fuori disse uscendo, ma suo padre la fermò e le chiese una cosa.
    Gli stessi incubi?
    Nicole lo guardò e annuì facendogli un sorriso accennato perché si, suo padre la conosceva meglio di chiunque altro e sapeva dei suoi incubi, lo salutò con una mano e uscì nella Londra caotica di prima mattina. Quel giorno era brutto e per fortuna c'era qualcosa che girava nel verso giusto anche per lei. Adorava il brutto tempo e odiava invece il bel tempo, si era una ragazza molto strana, anche troppo.
    Si mise gli occhiali da sole e si sistemó i capelli prima di adocchiare un bar carino e poco affollato dove poter fare colazione. Aspettó che il semaforo si fece verde e passò passo tranquillo nelle strisce pedonali, che fretta c'era alla fine? Non capiva mai perché tutti di prima mattina correvano come se il tempo corresse dietro a loro, magari dovevano andare a lavorare o erano in ritardo, ma Nicole queste cose non le importavano lei non lavorava e il tempo non era mai un suo nemico, oppure si bisognava vedere le situazioni.
    Se avesse potuto avere un potere avrebbe voluto quello di tornare indietro nel tempo, per salvare suo fratello e magari il giorno prima che la sua migliore amica era scomparsa farla stare da lei e magari le cose sarebbero cambiate e ora non si ritrovava sola con suo padre, che voleva molto bene ma era ugualmente sola, si sentiva così almeno.
    Una volta dall'altra parte fece per entrare ma lo fece in contemporanea a qualcuno. Era una ragazza bionda e molto carina di qualche anno più grande di lei. L'aveva già vista da qualche parte,ma non si ricordava dove.
    Ha un viso famigliare, ma dove l'ho vista? pensò sforzando la sua mente a lavorare nonostante fosse mattina e pensare, Tu pensi? la sua vocina interiore era sempre pronta a essere sarcastica e realista anche, forse.
    Non volle fare figure di merda per cui non le avrebbe chiesto se si conoscevano o se si erano già viste perché magari se la sarebbe presa o magari non la ricordava neanche lei. Entrambe davanti alla porta dell'entrata del bar che avevano scelto e fu Nicole a rompere quel momento aprendo la porta e facendo così entrare la ragazza.
    Non sapeva se parlarle oppure fare finta di nulla e sedersi al primo tavolo che trovava, sicuramente scusa non glielo avrebbe mai chiesto, ma non le sembrava una ragazza che si incazzava per niente.
    Ci conosciamo? fece poi la domanda che all'inizio aveva deciso di non fare, ma che alla fine senza pensarci aveva fatto. Rimasero in piedi lì in quel bar aspettando che lei le rispondesse per poi sicuramente andarsi a sedere.

    Le stelle cadenti sono la dimostrazione che si può essere bellissimi anche quando si cade



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    «uh, un test» Maeve Regan Winston, ventun anni compiuti da poco meno di una settimana, sollevò lo sguardo dal contenuto della propria tazza per posarlo sul ragazzino seduto dalla parte opposta del tavolo. Scott Noah Chipmunks, acquisto recente di casa Makota, aveva adocchiato la pagina dei quiz del Timeturner – inutile domandarsi cosa ci facesse quel quotidiano nel loro appartamento: la prima cosa che la bionda faceva, ogni mattina, era raccattare tutte le testate del giorno così da rimanere sempre aggiornata sulla delicata situazione politica del resto d’Europa, e neanche il Timeturner faceva eccezione dalla lista. Gli rivolse un indolente verso di gola, il massimo entusiasmo che le fosse concesso di esprimere prima d’aver finito la sua prima (di una lunga lista) tazza di caffè della giornata. Rimasero in silenzio un paio di minuti, la Winston a crogiolarsi nel tepore della bevanda e l’ex Serpeverde a completare il questionario (che poi, cosa ci faceva sveglio a quell’ora? Gli aveva ripetuto diverse volte che non doveva svegliarsi presto solamente perché loro lo facevano: era anche casa sua, ormai; poteva dormire quanto preferiva), prima che Scott posasse la penna sul tavolo e rivolgesse un sospiro alla superficie di legno. «brutto risultato?» domandò, soffiando sul caffè malgrado fosse freddo da un pezzo. Un tic, un abitudine difficile da perdere. «dice che ho diciassette anni» Mae inarcò un sopracciglio: beh. «ma tu hai diciassette anni» O almeno, li avrebbe avuti di lì ad un mese. Cominciava già a ringiovanirsi? O voleva forse risultare più grande? Lui si strinse nelle spalle emettendo un basso gemito che, nel loro linguaggio minimale mattutino, significava che avevano raggiunto il massimo di parole concesso prima delle nove e mezza – e fu interpretabile, quel versetto mangiucchiato fra i denti. Era seccato? Era felice? Non capiva, e di conseguenza non sapeva scegliere come reagire. Doveva essere…felice? O dargli un amichevole pacca sulle spalle (ma senza toccarlo, quindi…forse sul tavolo sarebbe stato più opportuno) per poi donargli un cordiale sorriso di supporto morale?
    Che strani, gli adolescenti. «fammi provare» concluse, allungando un braccio per farsi porgere la pagina di giornale.
    L’inizio della fine.
    Mai avrebbe pensato che un test simile, ”quanti anni hai realmente?”, potesse divenire un problema. Maeve Winston non era il genere di ragazza che si interessava ai quiz, ma aveva un enorme, plateale, debolezza: non sapeva dire no a nessuna domanda. Era più forte di lei, sentiva il viscerale bisogno di rispondere – quindi no, di suo non cercava test, ma nel momento in cui se li trovava davanti, non riusciva a resistere neanche ai quiz a crocette su Polgy Girl.
    Non ditelo in giro, aveva una reputazione da difendere.
    Ora. Idealmente, non v’era nulla di male nel questionario; in pratica: «cosa significa» puntò la Bic sul risultato ottenuto, sopracciglia corrugate mentre Scott si affacciava sopra il giornale per poter leggere. Come ogni quiz presente sui giornali magici, il numero era comparso magicamente nella casella finale, ed aveva iniziato a sbatacchiare contro i bordi del riquadro finchè la Winston non l’aveva bloccato con la penna, costringendolo a rimanere immobile. «settantadue?» Scioccante. Impossibile. Non aveva mai fallito alcun test, M A I. «settanta d u e ??&&» doveva aver letto male, per forza. Forse non aveva più l’acuta vista d’un tempo, le era sfuggito qualche trattino – o peggio, l’aveva aggiunto. «tu cosa leggi?» bloccò uno Scott, il quale era in procinto di panic moonwalkare in camera sua, sventolandogli la pagina davanti al naso. Lo vide deglutire, gli occhi a saettare a destra e sinistra alla ricerca di una via di fuga. «mh, ventuno? Sì, indubbiamente ventuno» Maeve Regan Winston assottigliò le palpebre. «okaysettantadue ciao» Ma non era possibile, vero? Chiunque avesse fatto quello stupido test, doveva aver ignorato le nozioni base esposte dagli psicologi nel corso dei secoli – il loro era per forza uno studio superficiale basato su archetipi e clichè.
    Per forza. «non ho settantadue anni» sibilò seccata alla pergamena, un pugno poggiato contro il fianco. ”Oh sì, invece” ????? Ma le rispondeva pure, quel quiz?
    Li odiava tutti. Razionalmente sapeva che non v’era alcuna scienza alla base del test – che si trattava di una cosa stupida, uno svago. Forse era perfino sua intenzione essere divertente.
    Aveva fallito miseramente, perché concretamente non poteva che sentirsi sinceramente offesa, e punta nell’orgoglio. Okay, magari Maeve non aveva i passatempi dei suoi coetanei, ma quindi? Sì, le piaceva passare la domenica a mangiare yogurt e giocare a scacchi, embè? Mica significava che fosse in un ospizio – anche se, effettivamente, la domenica frequentava l’ospizio: le piacevano le storie degli anziani, ed amava rendersi utile. Lei poteva dire di essere e sentirsi vecchia, ma non accettava -!!! Non accettava – che uno sciocco e superficiale test di un giornaletto di serie B le desse settant’anni. Non se li meritava, non aveva ancora neanche una ruga (non u n a) né l’accenno di capelli bianchi (credeva. Difficile dirlo, con il biondo argenteo naturale della sua chioma).
    Insomma.
    «bugiardo» mugugnò ancora, lanciando il quotidiano sul tavolo.
    La giornata non era iniziata affatto bene.
    Infilò la borsa a tracolla, e si affacciò sul corridoio per salutare Scott – dopotutto, era già in ritardo sulla tabella di marcia. Beh? Sì, certo, Maeve Winston aveva un’agenda, non era mica una vichinga. Abitudinaria come sempre, uscì dall’appartamento per dirigersi nel solito bar dove tutti, oramai, la conoscevano per nome (e per ordinazione, dato che era la stessa da tre anni). Doveva passare a New Hovel per ricordare a suo nipote (di cuore ma anche di sangue ihih spoiler alert!) come fosse fatta la sua zia preferita, prima che qualcun altro le rubasse il primato, quindi quel giorno avrebbe fatto l’alternativa prendendo anche un caffè nero («il più nero che hai – anzi, ancor più nero») per Jade, e… meh, un cappuccino sempre verde per Eugene? Un caffè? Un succo di frutta? Quanto era un’amica terribile se ancora non conosceva il padre di suo nipote, nonché il non è il mio ragazzo di Jade? Non le sapeva fare, quelle cose … sociali e complicate, si limitava alle nozioni base. Era così distratta ma da cosa che non si accorse di essere giunta alla porta del locale, finchè quasi non si scontrò con una ragazzina – sorrise cordiale d’istinto, la Winston, ma le rivolse solo una rapida occhiata di sfuggita prima d’entrare nel fresco caffè londinese. Era in coda per la cassa, quando le giunse le voce della bionda: «Ci conosciamo?» ed allora Maeve la mise a fuoco, le palpebre a battere lentamente sulle iridi cerulee. Si guardò perfino attorno, convinta che stesse parlando con qualcun altro, perché… beh, insomma. Le rivolse un’occhiata curiosa ed un mezzo sorriso ironico, occupando il posto successivo in fila mano a mano che questa proseguiva. «sono stata prefetto e caposcuola dei corvonero» elencò, alzando un dito per ogni carica. «e sono la tua insegnante di… incantesimi» abbassò la voce, ed arcuò le sopracciglia. «nonchè responsabile della sopracitata casata da due anni, thompson, quindi insomma…» schioccò la lingua sul palato, arricciò leggermente il naso. «spero proprio di sì.» concluse, drizzando la schiena e reclinando il capo da una parte. «qualcosa non va?» domanda del tutto lecita, dato che di quei tempi oh, ti giravi un attimo e qualcuno perdeva la memoria. Era forse affetta da amnesia? Aveva subito un colpo alla testa? ERA FERITA? Ah, e un’altra domanda importantissima: «sono invecchiata così tanto
    Così. Per sicurezza, eh.

     
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    Nicole non si guardava mai davvero in giro, era vero che riconosceva chiunque perché aveva una grande memoria fotografica che l’aveva sempre aiutata nei compiti in classe a prendere un voto decente, ma era sbadata e soprattutto durante le ore di studio era assente pensando ai cavoli suoi e non guardando il prof o la prof , addirittura alcune volte si addormenta non sapendo come e nessuno la calcolava, forse perché non la vedevano o proprio perché la vedevano si stavano zitti per prendere provvedimenti che alla fine prendeva quasi sempre dato che era perennemente in punizione o nella sala delle torture, molte delle cicatrici che aveva erano per quei bastarci che la torturavano per non farle più fare quegli errori, Errore non era così, con Nicole era una partita persa già dall’inizio, lei non si arrendeva a delle torture o punizioni, era fatta così, dava fastidio e non rispettava le regole, non le erano mai piaciute, la gente diceva “vivi e lascia vivere, ma lei non ci credeva davvero, perché doveva privarsi di un simile divertimento per far lasciare vivere una persona in modo tranquillo, lei amava far fastidio agli altri e amava essere ribelle.
    Davanti a se c’era Maeve Winston, sua insegnante di incantesimi e bla bla bla, non importava a nessuno e il modo come si “vantava” di avere tutte quelle cariche le dava sui nervi, ok sei intelligente, lavori tanto facendoti la fighetta e allora? pensò nel suo mondo parallelo della mente, ma non poteva di certo rispondere male o dire quello che davvero pensava perché se no il bel sette che si era guadagnata copiando silenziosamente dove sarebbe andato a finire?
    Era brava a fare buon viso a cattivo gioco, faceva finta di essere gentile e diceva due parole carine che tutti ci credevano e la lasciavano andare, era vero che la conoscevano tutti a scuola per i suoi passati e di quello che faceva, ma non poteva e non doveva risponderle male o fare la bastarda che c’era in lei perché forse se la sarebbe ingraziata o magari se la sarebbe svignata presto.
    Poi la domanda che le era saltata alla mente solo ora era una e era insistente: ma perché con tutti i bar della zona e in vacanza proprio qui la dovevo incontrare? ed ecco che la sua faccia di bronzo entró in scena.
    Mi scusi Prof Winston, ma avevo la testa da un’altra parte e non l’ho riconosciuta disse facendo la faccia d’angelo con tanto di occhioni dolci, che testa di cazzo che sei ecco la sua vocina interiore che non approvava per niente la sua scelta zitta, faccio come mi pare e tra una parola e l’altra come una pazza nella sua testa le fece un sorriso per incanalare la dose.
    In realtà non l’aveva riconosciuta davvero, ma non perché non se la ricordava, ma perché la maggior parte del tempo era intenta a dormire o giocherellare con la bacchetta sopra il banco non dandole molta importanza.
    Poi le parole che la fecero quasi ridere ma che smorzó subito mettendosi in fila con lei per ordinare, sono invecchiata così tanto?, ok questo era ridicolo, va bene che non l’aveva riconosciuta subito, ma dopo quanto una settimana (?) che non si vedevano lei pensava che era invecchiata perché non l’aveva riconosciuta subito...non sei invecchiata mia cara come puoi a 22 anni invecchiare?, ma quella pelle perfetta e i capelli dorati de ne andranno prima o poi e daranno posto alle rughe e ai capelli grigi pensò che l’avrebbe voluta smontare così, ma la sua risposta fu molto diversa, no non è invecchiata Prof, è come sempre brutalmente perfetta le diceva la sua testa no brutalmente perfettina che è diversocome può pensare all’invecchiamento a soli 22 anni? le chiese curiosa del perché glielo avesse davvero chiesto.
    Come mai da queste parti? le chiese per fare la parte della brava e dolce ragazza gentile che le importava che cosa faceva la sua adorata prof in un bar, quel bar per giunta.
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    «mi scusi Prof Winston, ma avevo la testa da un’altra parte e non l’ho riconosciuta» Poi ci si osava ancora domandare come mai i giovani continuassero a perdersi e/o venire rapiti: non ci provavano neanche, dall’arrogante adolescenza, a preoccuparsi del mondo che li circondava; avrebbero potuto trovarsi in un covo di pedofili con tanto di etichetta in fronte, ed ancora si sarebbero stupiti delle spiacevoli inconvenienze che in un incontro del genere avrebbe potuto dare. Lungi da Maeve dare voce a quei pensieri con la ragazzina, cui rivolse un cordiale, e giusto un poco spruzzato di sufficienza, sorriso tirato. «capita» cercò di suonare solidale, ma non riuscì ad impedire al tono di vertere maggiormente sulla pacata presunzione di chi, errori del genere, non li avrebbe mai commessi – e per una buona ragione. «ma fai più attenzione, una Queen non l’avrebbe presa così bene» la Winston si riferiva chiaramente ad Anjelika Queen, docente di pozioni ad Hogwarts nonché Amministratrice Torturatori fra i Pavor: dubitava sinceramente che la collega avrebbe apprezzato di non essere riconosciuta da una sua studentessa – e per motivi decisamente più futili, Anje sarebbe stata capace di mangiarsi chiunque. Una Nicole Thompson sul menù, non le avrebbe fatto alcuna differenza, e certamente non le avrebbe tolto il sonno.
    Avanzò ancora nella coda del bar, gli occhi a scivolare sui cartelloni appesi alle spalle del cassiere. Il fatto che sapesse cosa ordinare, non impediva al disturbo ossessivo compulsivo della Winston di accertarsene fino all’ultimo istante utile, così da non tentennare una volta che fosse giunto il suo momento – ebbene sì, faceva parte di quella categoria di persone che si ripeteva, e ripeteva ancora, un ordine fino ad ordine compiuto. «no non è invecchiata Prof, è come sempre» Un commento assai rude, a doverla dire tutta. Arcuò un platinato sopracciglio verso la Corvonero, le labbra ad abbandonare il sorriso in favore di un indifferente linea dritta. Cosa voleva dire come sempre? Non suonava come un complimento, malgrado l’espressione della biondina non fosse particolarmente sospetta – una vera fortuna che la Winston oramai fosse impermeabile ai commenti dei suoi studenti: tendeva ad assorbire solamente le nozioni utili e gli interrogativi intelligenti, così da non dover passare le sue giornate a domandarsi come la sua vita fosse giunta a quello. Le piacevano i suoi ragazzi, ma talvolta erano… esasperanti, esaurivano ogni scorta di ottimismo provata nei confronti della vita. «come può pensare all’invecchiamento a soli 22 anni?» Una domanda per la quale, razionalmente, Maeve Winston non aveva alcuna risposta. Cosa poteva dirle, d’altronde? Che gli ultimi anni, fra ribellione ed amici morti o spariti, erano stati così intensi da farle dubitare della propria linea temporale? Che si sentiva stanca, la Winston, di una stanchezza ch’era difficile far pesare su ventidue anni? Non l’avrebbe mai ammesso neanche con Dakota, figuriamoci con una sua studentessa. Le rispose con un sorriso distratto, un vago cenno con la mano di fronte a sé per liquidare la questione. «siamo nati con un cervello per usarlo» priva di malizia, ovvia come solamente una Corvonero – ed una Corvonero Maeve Winston - poteva esserlo. «non si è mai abbastanza lungimiranti per una crisi di mezz’età. Potrei morire prima dei quarant’anni» scrollò le spalle, labbra curvate verso il basso mentre lo sguardo scivolava sulla cassa: era quasi il suo turno, e stava oramai sognando il momento in cui l’aroma del caffè sarebbe stato suo - una droga non da poco per la Winston, ed era oramai risaputo. «come mai da queste parti?» Un altro passo verso la vittoria, ed un’occhiata distratta in direzione della Thompson. «hanno una grande varietà di caffè» il che, a suo dire, bastava ed avanzava come risposta: dire che abitava da quelle parti sarebbe stato superfluo, e Maeve cercava di esserlo il meno possibile – inoltre, dire ai suoi studenti dove abitasse, non le sembrava una mossa particolarmente intelligente: voleva bene a quasi tutti, ma non aveva alcuna intenzione di ritrovarsi scherzi di cattivo gusto sullo zerbino. La Generazione Z serbava rancore, era risaputo, senza contare che la maggior parte dei ragazzi di Hogwarts aveva chiari problemi di gestione del comportamento. «tu? niente vacanze quest’estate?» le domandò, emblema della cortesia, sorridendole pacata. Non era né brava, né interessata, a quel genere di convenevoli, ma non poteva neanche dar modo a chiunque, specialmente uno dei suoi Corvonero, di poter dire ch’ella fosse stata sgarbata: ci teneva all’immagine di sé, Maeve.

     
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    Quel giorno era stata talmente tanto sconvolta dall’incubo che aveva fatto appena qualche ora prima che non badava davvero chi ci fosse di fianco a lei. Poteva esserci addirittura Trump in persona con le sue forze dell’ordine e ci sarebbe passata davanti senza rendersene conto.
    Aveva fatto quasi la stessa cosa con la sua insegnante di incantesimi e si stupì perché lei ricordava sempre tutti soprattutto i prof.
    Lei non le stava tanto sul cavolo alla fine era sempre stata brava a insegnare e fare il suo lavoro, ma ugualmente per Nicole la voglia di studiare che era poca la faceva deconcentrare e pensare a tutt’altro che alla lezione.
    Quell’incubo non era la prima volta che lo faceva, anzi lo faceva spesso e volentieri e ogni notte era più brutto di quello prima, la consapevolezza di suo fratello che non c’era più la distruggeva ogni giorno fino a farle odiare il mondo e le persone.
    Anche Maeve sapeva della morte di suo fratello, tutti a scuola lo sapevano e nessuno era venuto da lei a farle le condoglianze, sono i suoi amici più stretti. Era un perfetto Corvonero e lo aveva dimostrato sempre negli anni a scuola, aveva solo un anno in più di lei, ma con la mentalità che aveva dimostrava più di 18 anni.
    Si riscosse dai suoi pensieri rendendosi conto che non era il luogo e il momento per rimuginare sul passato e su quello che provava, non si era resa conto che mancavano poche persone per ordinare e non sapeva davvero che cosa prendere.
    Lei era così, fino a che non toccava a lei non pensava che cosa doveva prendere e poi stava tre ore solo a far perdere la pazienza al cassiere dietro il bancone.
    Sentì distrattamente le parole della prof di incantesimi alle sue orecchie ovattata mentre pensava a cosa prendere per colazione.
    In effetti ha ragione, niente è mai sicuro disse con voce bassa guardando con gli occhi il bancone alla ricerca della cosa che l’avrebbe attirata.
    Era triste pensare come pensava Maeve, che niente era sicuro e che si poteva morire senza accorgersene, senza aver vissuto a pieno la propria vita, ma era anche la pura verità e lei lo sapeva benissimo.
    La cosa più triste era pensare a queste cose a 22 anni, ok che oggi come oggi era difficile vivere e pensare a riuscire a campare fino ai 60 anni, ma se si aveva sempre paura non si riusciva a vivere davvero e la paura bisognava anche metterla da parte a volte.
    La guardó per qualche secondo e sorrise leggermente senza farsi vedere, era una ragazza forse troppo intelligente per la sua età e aveva una sicurezza che le invidiava perché la sua era una finta sicurezza che non aveva.
    Alla sua risposta del fatto che era sempre uguale e non vedeva un invecchiamento in lei, Maeve non rispose, forse ci era rimasta male della sua risposta un po’ incerta?
    L’aveva presa in contropiede alla fine, non si era aspettata una domanda del genere e di prima mattina, il suo cervello iniziava a svegliarsi verso l’ora di pranzo di solito #wat.
    Quel bar era proprio grande e con una vastità di cibo e di caffè fuori dal comune, capiva perché fosse approdata lì, lei alla fine era entrata vedendo che era il primo bar nei paraggi, ma non ci era mai stata per cui era stata fortunata da una parte a trovare così tanta scelta, ma la tanta gente che c’era era l’unica cosa negativa di quel posto.
    Prima di rispondere alla sua domanda si ritrovò davanti alla cassa, senza pensarci due volte si buttò a dire quello che voleva.
    Un cappuccino e una pasta alla nutella disse solo veloce e concisa, lei non aveva bisogno di pensarci davvero prima, arrivava e diceva le prime cose che le venivano in mente, cioè le cose che prendeva sempre.
    Non era una ragazza che cambiava, non le piaceva il cambiamento in generale e anche nel cibo era così.
    Prese la sua ordinazione che arrivò poco dopo e rimase con il vassoio in mano nell’attesa che anche Maeve avesse ordinato e una volta che la vide vicina a lei le rispose alla domanda in ritardo.
    Non faccio una vacanza da...forse non l’ho mai fatta disse molto tranquillamente guardando velocemente se trovava un posto a sedere tra tutta quella marmaglia di gente, per fortuna un posto c’era, era in disparte e lontano da quel fracasso.
    Appoggió sul piccolo tavolo il vassoio e sistemó la sua colazione, si sedette e non invitò Maeve a farlo perché se avesse voluto mangiare con lei nessuno glielo avrebbe impedito, sarebbe stata la prima volta che mangiava insieme a qualcuno (?) e soprattutto con un insegnante che appena apriva bocca doveva soppesare bene le sue parole per non farsele ritorcere contro in futuro.
    Per lei non era un problema non fare le vacanze, alla fine non le aveva mai fatte e non era triste anche se agli occhi degli altri poteva sembrare, era normale per lei.
    Lei invece? Niente vacanze? le chiese mentre sbatteva la sua bustina di zucchero per poi versarla tutta nel cappuccino.
    Non voleva farsi i cavoli suoi non era il tipo, ma dovevano pur parlare di qualcosa no? Non voleva che diventasse tutto troppo imbarazzante e silenzioso perché lei di silenzi nella sua vita ne aveva già avuti troppi.
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    maeve regan winston
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    former ravenclaw
    rebel | smart ass
    Quando giunse il suo turno, rivolse un sorriso gentile al cassiere del bar facendo la propria (usuale) ordinazione, caffè nero ed una fetta di cheesecake all’albicocca – le aveva provate tutte, ma non riusciva a tradire la sua preferita. «puoi tenermene da parte…» corrugò le sopracciglia facendo distrattamente guizzare la lingua fra le labbra, cercando di contare di quante fette avesse bisogno: un calcolo impossibile perfino se in matematica fosse stata brava, considerando la peculiare fauna di New Hovel. «una intera?» concluse arricciando il naso, una pigra stretta nelle spalle. Avrebbe potuto prendere subito le ordinazioni e andare direttamente a New Hovel ignorando il fatto di aver incontrato una sua studentessa, ma si parlava pur sempre di Maeve Winston: non conosceva personalmente Nicole Thompson, ma non le pareva avesse un’ottima cera – di certo non l’avrebbe lasciata sola prima di essersi assicurata che stesse bene. Non aveva l’indole della crocerossina, né si preoccupava per chiunque - sapeva di non potersi permettere di salvare il mondo, ma almeno nel proprio piccolo cercava di fare del suo meglio – ma era pur sempre una Winston, ed era risaputo che i ragazzini fossero il loro punto debole. Se non avesse fatto nulla in proposito, che per i suoi standard (ci teneva particolarmente agli spazi personali, di conseguenza rispettava strenuamente quelli degli altri) significava semplicemente mostrarsi disponibile e lasciare il libero arbitrio al proprio interlocutore, si sarebbe sentita colpevole tutto il giorno. «grazie» un cenno con il capo al ragazzo, pagò la propria colazione e si diresse al tavolino dove la bionda Corvonero aveva già preso posto. Rimase ad osservarla in silenzio una manciata di secondi, prima di decidere che, vabbè, in qualità di adulta responsabile poteva permettersi di sedersi senza chiedere il permesso – nella peggiore delle ipotesi, la Thompson avrebbe concluso il proprio pasto in fretta e se ne sarebbe andata il prima possibile per evitare ulteriormente la sua compagnia. Non che Maeve l’avrebbe biasimata, eh: era stata giovane anche lei, e non era certa che sarebbe riuscita a tollerare un cappuccino in compagnia della sua insegnante di storia della magia dell’epoca (Emily Bulstrode: donna molto intelligente, ma per il resto…beh, diciamo solo che la Winston era stata ben felice della sua sparizione #rip). E SI, razionalmente sapeva di non essere davvero vecchia, ma sapeva anche di essere troppo matura per la propria età (dove con troppo intendo che talvolta decelerava il passo quando transitava vicino ad un cantiere: la scusa ufficiale era che le serviva una foto per Sin.). «tra poco sarai maggiorenne, potrai andare in vacanza da sola con i tuoi amici» le disse, soffiando sopra il proprio caffè. Maeve aveva amato le vacanze in famiglia, finchè ne aveva avuta una, ma sapeva che i giovani odierni preferivano fare bisboccia con il resto della Gen Z su una spiaggia di Ibiza. «c’è sempre una prima volta» le sorrise da sopra la tazza, sorseggiando piano per non bruciarsi. Già detto quanto amasse la caffeina? Quanto ne fosse dipendente? Mai abbastanza. Probabilmente gli unici a comprendere quella relazione insana fra lei e la caffettiera, erano gli eroinomani. «lei invece? Niente vacanze?» Sospirò, la lingua ad umettare il labbro inferiore mentre poggiava la bevanda sul tavolo, e si armava di forchetta per avventarsi sulla torta. «vuoi assaggiare? È molto buona» spinse cordiale il piatto verso la ragazza, lo sguardo a scivolare opaco fuori dalla vetrina del bar. Quando le rispose, non c’era più segno di piatta cortesia nel suo tono, acceso da quel sentimento meschino e sempre presente nato dal miscuglio di tristezza e nostalgia di tempi che non erano più. «dubito andrò in vacanza» battè le ciglia riportando gli occhi sulla Corvonero. «di questi tempi basta distrarsi un attimo, e sparisce qualcun altro» L’anno prima le avevano portato via Dakota ed Aidan, i suoi genitori. Non poteva sopportare altre perdite, non poteva e basta. «preferisco rimanere nei paraggi, non si sa mai» affondò la forchetta nella crema al formaggio scuotendo piano il capo. «ho anche dato la mia disponibilità per ripetizioni durante l’estate, in caso volessi aggregarti» le sorrise, un biondo sopracciglio inarcato. Beh? A) non si smetteva mai di lavorare b) aveva aperto le proprie lezioni (/lezioni/) anche agli special o a chi non aveva mai frequentato Hogwarts, dato che comunque si era imposta di aiutare Scott nello studio (tanto valeva ingrandire il gruppo) c) Non aveva davvero di meglio da fare. «e come ho già detto anche agli altri, no, non attenterò di nuovo alla vostra vita» sospirò drammatica inarcando anche l’altro sopracciglio. Oh, quei fanciulli ancora le facevano pesare il torneo tenutosi l’anno precedente – o la lezione mista dove molti di loro avevano subito diverse contusioni scontrandosi gli uni contro gli altri. Come se lei, davvero!, potesse lasciare che si facessero male sul serio!
    Tsk, non capivano lo facesse per loro. Ingrati.
     
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5 replies since 29/8/2017, 22:17   344 views
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