[pq08] we push and pull like a magnet do

akerrow

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    william yolo barrow
    Un giorno avremo il tempo che non abbiamo quest’oggi, ribelli. un giorno potremo piangere i nostri martiri.
    Era iniziato tutto in una stanza - accadeva sempre così. Non aveva nulla di speciale, pareti bianche scrostate ed un marmo che aveva visto giorni migliori, ma fu lì che tutto ebbe inizio. Ricordava ogni particolare di quella camera; se chiudeva gli occhi, riusciva ancora a sentire il freddo delle mattonelle percepito attraverso la stoffa sottile della divisa scolastica, l'odore stantio di muffa ad appesantire l'aria. Lo sentiva ancora sulla lingua, Will, quel nauseabondo e denso sapore di libertà, per un Barrow sedicenne che di libero non aveva mai avuto nulla.
    Era solo sua, quella stanza. Si iniziava sempre così - da soli. Sogni, incubi, vita e morte - respiri soli. La storia si iniziava a cambiare con un unico diverso battito, ed era il tempo a renderlo cuore ed organismo.
    Rimembrava le ore passate con la guancia premuta sul pavimento, il fiato a lasciare aloni di condensa sotto la bocca dischiusa. La schiena poggiata al muro, la testa incastrata fra le ginocchia. Il sangue a bruciare fresco sotto le bende, lacrime ingoiate fra silenziose imprecazioni ad una vita che William non credeva di meritarsi.
    Nessuno avrebbe dovuto.
    E le grida, ricordava anche quelle. Ricordava di aver urlato finché la lingua non si era sporcata di scarlatto, finché i polmoni non avevano minacciato di accartocciarsi, finché non gli era più rimasta forza neanche per rimanere in piedi.
    Ricordava di essere stato triste, Will. Ricordava di essere stato arrabbiato, e disperato, e così vicino al punto di non ritorno da riuscire ancora a scandire quei battiti di cuore. Ricordava di quasi non avercela fatta.
    Otto anni. Erano passati otto anni.
    Era iniziato tutto in una stanza.
    Scoperta per caso, in quei pomeriggi annoiati e privi di senso nel quale si trascinava nel mondo a malapena guardandolo, una patina di opaca disinvoltura sulle iridi cerulee. Apatico, William, lo era stato a lungo: non aveva uno scopo, un obiettivo. Santo Dio, a malapena aveva una spina dorsale con la quale reggersi in posizione eretta senza arrancare sotto il peso di un’esistenza incomprensibile - incompatibile. Era stato cresciuto con l’idea che avrebbe potuto avere tutto, ma che quel tutto che lui voleva fosse sbagliato; era stato svezzato con principi corrotti dal maleodorante sapore di marcio. Era il figlio di una società in cui eri libero fintanto che libero non volevi esserlo davvero.
    Era un Barrow, ed era iniziato tutto in una stanza.
    Piangere era da deboli. Le attenzioni non bisognava volerle, bisognava prendersele con la forza. I voti eccellenti non erano soddisfazioni personali, ma minimo sindacale per il sangue puro a scorrergli nelle vene. Se qualcosa non era montato nel verso giusto, bisognava distruggerlo e ricominciare da capo.
    Se qualcosa non era montato nel verso giusto, bisognava distruggerlo e ricominciare da capo.
    Simon Barrow non aveva previsto che quel qualcosa, per il figlio, non sarebbe stato il suo stesso qualcosa: voleva un erede al proprio trono, un incorruttibile patrono della legge dai diamanti sporchi d’inchiostro di un passato rubato. Will, quel qualcosa da smontare, l’aveva trovato in altro: l’aveva ingrandito, l’aveva ingigantito. L’intero fottuto mondo era diventato il suo parco giochi in lego, e suo l’obiettivo di distruggerlo per ricostruirlo solamente perché non gli piaceva. Era un’idealista, ma non era buono. Era un egoista figlio di puttana a cui, per uno strano scherzo del destino, non andava giù un Regime effettivamente al contrario; forse in un’altra vita Will sarebbe stato il primo a portare il marchio nero, giusto per essere diverso dal resto degli altri. Da suo padre. Forse, in un altro tempo, sarebbe stato il più fedele seguace del signore oscuro.
    Almeno, inizialmente: la ribellione era iniziata nel modo in cui sempre iniziano le rivolte giovanili, per diversificarsi. Per emergere dallo sfondo e spiccare finalmente come protagonisti della propria vita. Ma quella causa? Era diventato tutto ciò che aveva - la sua famiglia. Uno scopo per il quale svegliarsi, un posto dove sentirsi utile.
    Dove fare la differenza. La sua giustizia poteva non essere giusta, ma il suo cuore lo era. Giusto non significava buono. Giusto, nel loro universo, significava pensare fottutamente con la propria testa.
    A William Yolo Barrow non piaceva che gli si venisse detto cosa fare, o cosa non fare – cosa pensare e cosa no, cosa essere o cosa meno. Se doveva essere un cazzaro, vaffanculo!, lo sarebbe stato per propria scelta. Se doveva essere un pezzo di merda, lo sarebbe stato perché l’aveva scelto lui, non perché una società - suo padre - glielo avrebbe imposto. Era nato così, l’odierno Will: con il volere la libertà di essere un bastardo privo di scrupoli.
    Ma non per sé. Non si era mai valso la pena di essere qualcosa, per sé stesso. Neanche dimenticare, o fottutamente morire, erano riusciti a cambiare quello: non era una battaglia che si sarebbe scelto, lui. E se prima le sue guerre non avevano avuto una faccia, lentamente era diventato impossibile il contrario: Mitchell, Niamh, Keanu, Patrick, Rebecca, Ashley. Midwest, perfino. Ed anche quegli stronzi che se ne sbattevano il cazzo del governo – Eugene, Akelei. Non era realmente un mondo nel quale volessero crescere figli, per quanto riguardava il primo, o essere delle trionfanti sociopatiche con un bel paio di tette, che se ne rendessero conto o meno. Lo faceva anche per loro, Will. Per Nathaniel e le fottute stelline che regalava ai suoi studenti, senza rendersi conto di quanto quel genere di Regime li debilitasse, privandoli dei maledetti diritti umani e civili. Lo faceva per Nate Junior, il ragazzino dal sorriso sbilenco che prima di mezzogiorno, se sveglio, si limitava a parlare solo a gesti. Per Todd, che un mondo così non se lo meritava. Per quei due ciula di Arci e Jeremy, che in quel futuro avrebbero dovuto viverci e sopravviverci. Per Aveline, che aveva dovuto fingere la sua morte per poter respirare senza timore di far incazzare lo stronzo opportunista sbagliato.
    Per i ragazzi di Hogwarts, quei piccoli bastardi ingrati che ogni giorno gli sbadigliavano in faccia - come se lui ne avesse avuto più voglia di loro, di essere lì.
    Per Neil e Delilah. Per April e Nathan.
    Ed era iniziato tutto in una stanza.
    Non aveva mai avuto una casa, prima di trovare quell'angolo di vita strappato alla realtà - la affittavano in un palazzo poco distante dalla magione di famiglia, in un quartiere babbano dove Simon non avrebbe mai messo piede. Aveva pagato in contanti, Will, e nessuno gli aveva fatto domande sull'uso che ne avrebbe fatto: finché avesse pagato, sarebbe stata sua. Non un vero contratto, chi l'avrebbe fatto ad un minorenne?, ma il Barrow non aveva bisogno di un pezzo di carta firmato per sapere che quello era suo: e ci aveva pianto, e ci aveva sudato, e gli aveva domandato perché fosse ancora vivo.
    William aveva voluto morire così a lungo, da aver scordato cosa si provasse a vivere. Vuoto, insensato - perché lui? Non aveva avuto nulla da offrire, nulla da essere. In quella stanza poteva fingere di non esistere, Will. Poteva fingere di non essere il rampollo della casata Barrow, di non essere la bambola di ceramica voluta da Simon e pettinata da Elizabeth, o il Corvonero perfetto del quale a malapena si accorgevano i suoi compagni di casata. C'erano i suoi segreti. La sua vita - non vita.
    Era andato lì, quando aveva scoperto dell'incantesimo. Era andato lì, ad organizzare la Resistenza.
    Perché William aveva i mezzi, i giusti contatti - e la giusta rabbia, ed i polmoni abbastanza gonfi di catrame da poter sputare cemento sulle istituzioni.
    Ricordava le pergamene scarabocchiate. I nomi cerchiati di rosso.
    Otto anni - quanto sangue, santissimo signore. Suo, di altri. A sporcargli mani od anima, ma sempre di sangue si trattava.
    Quanti amici, persi. Quante vite a scricchiolare sotto le suole degli scarponi, in quegli otto anni.
    Quante lacrime, quante incertezze.
    Quanto William Barrow si era perso, William Barrow.
    Il primo Quartier Generale, l'aveva costruito con le sue mani. Dal nulla, per un nuovo tutto; era diventata casa sua quando una casa non sapeva ancora cosa fosse, ed era stato in grado di accogliere chi una famiglia l'aveva persa. Non era mai stato genitore, non gliel'avevano permesso, ma ricordava l'emozione quando per la prima volta Erin Chipmunks aveva messo piede al QG: era così piccola, con quegli occhi troppo grandi. Priva d’un tetto, di certezze. Già così incrinata, nel timore esitante di varcare quelle porte.
    Quelle porte che Will aveva permesso e costruito, un luogo dove essere al sicuro - non si era mai sentito più orgoglioso, William. Di sé stesso, di quella bambina.
    Della possibilità di avergli dato un posto da poter chiamare casa.
    Ecco, si era detto, perché sono diventato un Ribelle: perché quella sensazione di completezza, Will, l'avrebbe voluta provare sempre - era quello che ricercava nell'alcool e nelle sigarette, nelle droghe e nella carne calda sotto la propria. Sentirsi pieno, lui che per anni aveva conosciuto solo il vuoto.
    Ed era iniziato tutto in una stanza.
    Avrebbe dovuto prevedere, che lì sarebbe finito.
    Jeanine Lafayette è morta.
    Si coprì il viso con le mani, un sospiro a rotolare lento dalle labbra dischiuse. Quanto ci avevano messo a svuotare il vecchio quartier generale? Meno di quanto avrebbero dovuto, dato che la maggior parte delle informazioni ivi presenti erano già andate smarrite con l’esplosione di tre anni prima. Dovevano ricominciare, di nuovo – ed erano in guerra ormai, inutile girarci attorno. Era la fottuta resa dei conti. William non era mai stato un grande ammiratore della Lafayette, ma per motivi personali: in quanto leader, comprendeva (quasi sempre) le sue scelte. Le era affine.
    Le era stato, affine. In ogni caso, la Francia era stato il loro miglior e più fedele alleato, nonché il nucleo più organizzato. Sostanzialmente, ora, erano soli.
    Ed erano nella fottuta merda.
    «li posso mettere lì?» che domanda del cazzo: la camera era completamente vuota, quindi Idem poteva mettere gli scatoloni dove Cristo Signore le pareva – ma non si sarebbe mai rivolto a lei con quel tono ad inacidirgli la lingua, malgrado sentisse le vene ribollire di rabbia. Quando gli giravano le palle amava prendersela con perfetti sconosciuti, ma evitava quelli che poteva definire amici. Non era così stronzo. Passò la lingua sul labbro inferiore, il capo a scuotersi mesto mentre si spostava per farla passare. Dopo otto anni, otto stramaledetti anni, si trovava di nuovo lì.
    Che vita di merda. Gli pareva di non aver fatto alcun progresso, nessun miglioramento, mentre l’odore di muffa e chiuso rendeva gli abiti pesanti. Infilò una sigaretta fra i denti senza accenderla, conforto silenzioso a languire in bocca. «ehi…» la mano della Withpotatoes si posò delicata sul suo avambraccio. D’istinto si irrigidì, le iridi azzurre ancora fisse su un punto non meglio definito dall’altra parte della stanza. Con ritrosia, abbassò lo sguardo per incrociare la figura minuta della medium. «non-» Si scansò con una risata amara a grattare la gola, un sorriso sghembo masticato fra i denti. «no, idem. Non dirlo» qualunque cosa volesse dire, non aveva alcuna intenzione di sentirla: non era colpa sua? Non avrebbero potuto fare niente? Cazzate, Dio, cazzate. Si sentiva mordere e risucchiare dall’interno dal mare di quelle stronzate nel quale navigava, da un’ora a quella parte, la ribellione: avrebbero potuto fare qualcosa, ed era colpa loro. Colpa sua, anche se non direttamente. Avrebbero potuto prevenire la morte di Jeanine, mandare soccorsi in Francia - avevano deciso di non farlo, e quello era il prezzo da pagare.
    La verità era che la Gran Bretagna non era in grado di proteggersi da sola: lo sapeva Will, lo sapeva Keanu. Lo sapeva anche Idem, anche se fingeva di non crederci. Non avevano le risorse, i contatti, i soldati - finchè non fosse stato strettamente necessario, non avrebbe mandato nessun ragazzino al fronte. Il fatto che la ribellione fosse un movimento di giovani, non aiutava. Era fottutamente sollevato dal fatto che decisioni simili dipendessero dal Larrington, e non più da lui. Non gli piaceva prendere ordini, ma gli piaceva ancor meno prendere decisioni scomode: non che gliene fregasse una sega di quel che in molti potessero pensare di lui, ma aveva tristemente scoperto di non voler deludere chi, in lui, ci aveva creduto sempre.
    Già detto quanto fosse difficile avere una morale? Non era pronto. Non essere il capo gli aveva mostrato il mondo sotto una prospettiva differente – agghiacciante.
    «…-non è che mi diresti un passaggio al san mungo?»
    Oh. Oh. Corrugò le sopracciglia lanciandole un’occhiata di traverso, le labbra strette fra i denti. Stava davvero pensando di andare a… lavoro? Non comprendeva la portata della situazione nella quale erano rimasti invischiati?
    Sarebbero morti tutti. Probabilmente non avrebbero visto l’alba del giorno dopo – ad essere ottimisti, non sarebbero giunti a Natale. Ne era certo, William Yolo Barrow: quel due dicembre era il ventun dicembre duemiladodici dei Maya. Il mondo stava finendo - loro, stavano finendo. La sua preoccupazione maggiore era il turno di lavoro all’ospedale?
    Se non avesse voluto così fottutamente piangere, ne avrebbe riso.
    «io…» Lui cosa? Inarcò un sopracciglio, un reticente passo all’indietro. Incapace di formulare a voce quel che pensava, le indicò con aria scettica la stanza, quella dove avevano deciso di portare quanto potevano. Idem Withpotatoes, con quegli occhi troppo grandi e l’ovale viso perlaceo, si limitò a ricambiare la sua occhiata: «il mondo va avanti comunque» così, secca.
    Precisa.
    Il suo mondo, forse. Quello di fate, unicorni, origami e palle di pelo - il mondo non sarebbe andato avanti, non per lui. Sbuffò un’altra risata, le mani a premere sulle guance e gli occhi chiusi.
    Il mondo va avanti comunque.
    Cristo Santo.
    Cosa potevi rispondere ad una così? «nessun problema» rise di lei – rise per lei, e rise perché non era rimasto un cazzo d’altro da fare.
    Cristo Santo.

    Dato che era un gentiluomo, dopo averli entrambi smaterializzati in un vicolo vicino al San Mungo, tenne la porta per farla entrare. Idem lo ripagò con uno di quei sorrisi che lo facevano sempre sentire meno meschino e più pulito - il genere d’espressione che avrebbe dovuto essere illegale, in un mondo come il loro. Poté quasi fingere che tutto intorno a loro non stesse andando a puttane.
    Quasi.
    Entrò dopo di lei puntando alle macchinette del caffè, conscio che ne avrebbe avuto bisogno: il suo programma di vita da quel momento in poi implicava gonfiarsi d’alcool come un palloncino d’elio, e non ricordare più né il proprio nome, né tantomeno il proprio indirizzo. Amava Niamh e Mitchell, ma ne aveva per i coglioni di sentirsi dire, anche da loro, quanto sarebbero morti male.
    Ed a proposito di alcool. Si bloccò a metà passo prima di scontrarsi contro qualcuno, il capo reclinato ed un sopracciglio sollevato. «run?» la sua fake cugina meno preferita ruotò le iridi verdi su di lui, le labbra strette in una curva ironica. «will?» Lo stava sfottendo? «sei venuta a rubare psicofarmaci?» le domandò, le ciglia a sbattere con malizia sugli occhi chiari. «se avessi voluto, sarei venuta a casa tua» che piccola infame. Si sentì punto sul personale, soprattutto perché abbastanza certo di avere davvero degli psicofarmaci a casa.
    Così, per sfizio. «hai un aspetto di merda – e perché sei vestita così?» «ai miei clienti piace» Beh, legit. Will la osservò con lenta intenzione, il labbro sporto all’infuori. «anche a me – offro il doppio, eh» Non si sapeva mai, nella vita.
    Uno ci provava sempre. Lei gli sorrise, e le bastò la smorfia delle labbra a dipingerlo come un demente – davvero, non dovette aggiungere altro per farlo sentire un dodicenne alle prese con qualcuno molto al di fuori della sua portata. Doveva essere un dono tutto femminile quello di farlo sentire ritardato senza aprire bocca. «stiles, sono in ritardo» «E IO NON SONO IL TUO TASSI-ah, merda.» Seguì lo sguardo del ragazzo, una mano di lui a premere sulla bocca.
    Ah, merda. «dovreste davvero andarvene.» diede loro le spalle, un cenno d’intesa a Idem - i got this, vai pure a lavoro.
    «barrow.» un ringhio basso e molto, molto arrabbiato. Malgrado la distanza, Will se lo sentì vibrare nel sangue. «una mano?» Ah, merda.
    Ma perché a lui. Era così che venivano ripagate le sue buone azioni? Imprecò fra i denti: «cj, vaffanculo» giusto perché fuori dalle mura scolastiche, poteva prendersi la libertà che - nah, anche a scuola era così. Non che il Tassorosso sembrasse nella posizione di poter udire un granchè – ed invece, omg, lo sorprese sollevando due dita verso di lui. Ammirevole. «william.» uno stridio più acuto provenne dalla bionda al suo fianco. Con il malessere al cuore, Yolo rivolse la sua attenzione a Maeve Winston. «ma cosa cazzo hai fatto» a lei, a CJ – ma anche alle due ragazzine poco distante, l’una a sorreggere una spalla del Knowles, e l’altra a guardarsi nervosamente in giro. «anzi, sai una cosa? Non abbiamo bisogno di te» «veramente-» Erin tentò di protestare, ma un’occhiataccia di Maeve la mise a tacere.
    Beh. Allora.
    Vaffanculo.
    «com’è?» domandò, cercando di afferrare lo sfuggente mento di CJ fra le dita - e tutto quel sangue? «bene ma non benissimo» «dallaire?» «la mia giornata preferita» Fantastico, allora avevano un’intesa. «se ve la cavate senza di me, vado a sfondarmi di super alc-mhhhhhhhhhhhhh OKAY» bisbigliò seccato, ruotando gli occhi verso un altro universo. Santo dio quanto odiava i Winston quando ti guardavano così. Era proprio un così specifico, quello che ti faceva sentire una merda anche quando… niente, Will in realtà era sempre una merda. Non ci voleva molto a dar fuoco alla sua coda di paglia. Così, con un melodrammatico sospiro a sgusciare fra i denti, fece dietro front per fare ciò che gli veniva meglio: rompere il cazzo – nello specifico, alla reception. Non capiva perché non fossero in infermeria, o perché dovessero entrare in incognito, ma l’aver utilizzato la porta di servizio anziché quella d’entrata, aveva risposto di suo a molte domande.

    «PERCHÈ» Come ci fosse arrivato lì, sarebbe sempre stato un altro dei misteri irrisolti di William Barrow. Non aveva più una chiara percezione delle proprie gambe, o dei propri polmoni, eppure aveva un braccio stretto attorno alle spalle di Jessalyn, e l’altro a cingere Pearl. «È UN BRAVO» le lasciò per indicare con entrambe le mani il cugino in piedi sulla sedia, le ginocchia a cozzare ora contro il pavimento. «RAGAAAAAAAZZO» a cui Jeremy rispose indicandolo con un braccio teso di fronte a sé: «PERCHÉ» Ed entrambi si volsero verso il giovane di cui gli sfuggiva il nome – quello con la cocaina a cui, al loro primo incontro, aveva parlato di ciclo mestruale. «È UN BRAVO RAGAAAAAAAAZZO» quanto Cristo cielo Signore aveva bevuto? Fumato?
    Sniffato, forse?
    Abbastanza da renderlo leggero e privo di peso, di corpo, di pensieri - o almeno, così volle convincersi. Con un balzo felino saltò in avanti caricandosi in spalla Angie, e con lei raggiunse il suo nuovo migliore amico – Mitch levati, sks. Si aggrappò con entrambe le mani all’attaccapanni, dedicando a quell’oggetto tutto il suo malsano, decadente, amore. «perché è UN BRAVO RAGAAAAAAAZZOOOOOOOOO -» e non seppe mai se la canzone l’avessero conclusa o meno, loro. Si ritrovò seduto per terra fuori dal locale, il labbro inferiore spaccato e la vista offuscata. Tossì un grumo di sangue sul dorso della mano, trascinandosi pesante verso il muro più vicino. «ehi, mh- tutto okay?» Non lo guardò neanche, Amos Hamilton. Non sapeva neanche perché fosse effettivamente rimasto, dopo che Will aveva deciso che lui avrebbe dovuto esserci: per far loro da baby sitter, forse. Assicurarsi che non morissero. Neanche lo conosceva, e già gli voleva bene.
    Non che ci volesse molto, a Will, per voler bene a qualcuno. Ecco, vaffanculo, avrebbe voluto dirgli; combattevo anche per te, Amos. Vaffanculo, combattevo anche per te. Ed invece, quando aprì la bocca, fu altro che ne uscì: «pensi che sia un fallito?» Poggiò la testa al muro cercando di mettere a fuoco il giovane. Lo vide dondolare a disagio sui talloni, gli occhi a cercare una via di fuga – e ne rise, Will. O almeno, avrebbe voluto farlo: invece lo guardò serio, consapevole di quanto quella domanda, in realtà, non fosse affatto per lui.
    Che poi lo sapeva già, William Yolo Barrow, di essere un fallito del cazzo.
    Eh, andava così, la vita - male.
    «io non – non ti conosco ma – insomma, non credo? Hai dei bei capelli» Tentò perfino, con un nervoso gesto, di aggiustarglieli – ben attento a sfiorare solo le punte, senza entrare a contatto con la pelle. Non mordeva, eh. Magari avrebbe potuto, ma in quelle condizioni dubitava di poterlo fare. «mi abbracci? Voglio un abbraccio» Amos lo guardò scettico. «sono un bravo ragazzo, cristo, non un molestatore di hello kitty – perché faccio sempre questo effetto? Chiedi a Run e Murphy – JEREMY DIGLIELO CHE SONO UN BRAVO RAGAZZO» era così difficile ricevere un briciolo d’amore, in quel mondo.
    In quel William Barrow.
    Che lui, un abbraccio, lo voleva sul serio. Un sentirsi dire vaffanculo, Will, sono fiero di te: hai fatto del tuo meglio. Ne aveva bisogno da sempre, quando i suoi genitori gliel’avevano fatto mancare come ossigeno. Probabilmente per quello aveva stretto subito amicizia con Mitchell Winston: non diceva mai qualcosa, lui, se non lo pensava sul serio.
    Ma Will se l’era guadagnato, il suo sono fiero di te. E Mitchell, non glielo lesinava mai.
    «ahm, certo – va bene così?» Gli diede due stentate pacche sulle spalle. Will rise, il capo a scivolare all’indietro. Rise al cielo, rise alle stelle, rise ad Amos Hamilton ed a William Barrow.
    Rise perché era iniziato tutto in una stanza.
    Rise, perché Jeanine Lafayette era morta.
    E sapete cosa si cercava, quando non si poteva avere amore? Quando si partiva già spezzati alla nascita, ed anche l’odio assumeva sfumature pastello? Sapete cosa si cercava, quando quel che rimaneva era solo William Yolo Barrow?
    Alcool, droga.
    Akelei Beaumont.

    «AKEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE» battè i pugni contro la porta, la fronte poggiata sul legno. Respirò pesante, soffiò una nuvola di fumo sullo zerbino. «AkEEeEeEeElAaAaIiIiI» bussò ancora, il muro a sorreggerne il peso.
    Qualcuno gli aprì. «tu non sei akelei» sottolineò, guardandolo di sottecchi. «non sono schizzinoso, mi vai bene comunq-» prima di venire spedito con una spinta sul fottuto marciapiede. Che… rude. Rimase sul cemento per un paio di secondi – o forse minuti, o forse vite intere. «eddai, cazzo» forse lo sospirò, forse lo gridò. Akelei Beaumont doveva per forza fare la preziosa, altrimenti non se la viveva bene: quella superiore, sapete, quella intoccabile.
    La cosa che odiava di più, per cui la odiava di più, era che pensava avesse ragione. Che in realtà si sentiva sempre un patetico bastardo quando andava a bussare alla sua porta alla ricerca di fottute briciole – ma Dio, quelle briciole, che sapore dolce avevano sulle labbra. Si ripeteva sempre, come ogni bravo tossico che si rispettasse, che avrebbe smesso - che quella, come la volta precedente, sarebbe stata l’ultima volta. Perché William Barrow conosceva il mondo abbastanza da sapere che donne come Akelei Beaumont, non ti fottevano solo sotto le lenzuola – si conosceva abbastanza da sapere che da donne come lei, da lei, alla fine si sarebbe fatto fottere e basta, in quel modo che poco aveva a che fare con il sesso. Era debole alla carne, Will. Era debole a sé stesso, alla sensazione di trionfo ogni volta che le labbra di lei pronunciavano il suo nome, al modo in cui le gambe di lei si stringevano attorno alle sue gambe: perché si sentiva un patetico bastardo, quando bussava alla sua porta.
    Eppure bastava che aprisse, per cancellare ogni dubbio o riluttanza – ed allora si sentiva nuovamente vivo, presente a sé stesso.
    Presente a sé stesso.
    Gli avevano insegnato che donne come Akelei fossero al di fuori della sua portata.
    Piccoli stronzetti bastardi, che lo guardassero ora. Li, guardassero: potevano anche non essere un cazzo l’uno per l’altra, e la Beaumont poteva fare l’idolo quanto le aggradava, ma lo sapevano entrambi, che lo voleva anche lei.
    Quindi, zitti e rosicate. ANCHE TU, CHADWIN, CHE AL TERZO ANNO MI HAI DETTO CHE NON AVREI VISTO NEANCHE LE SUE MUTANDE – ed in effetti, caro Chadwin, quando siamo insieme è assai raro le porti.
    «morirò vergine!» gridò al mondo, abbandonandosi contro un portico qualsiasi. Di vergine non aveva neanche l’ombelico, ma se Madonna poteva essere like a virgin touched for the very first time, che cazzo, avrebbe potuto esserlo anche lui.
    Non lasciare mai che il mondo ti dica cosa essere, o cosa fottutamente non essere.
    02.12.17 | h. 23:30
    ravenclaw
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    You look so proud standing there
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    akelei beaumont
    Era difficile tenere fuori il mondo, quando questo premeva sulle barriere cautamente erette: violento, non conosceva limiti, neanche quando era Akelei Beaumont a stabilirli. Ovunque posasse lo sguardo c’era un nuovo pezzo di Francia a sanguinare, la sua casa a crollare su se stessa che potesse impedirlo, e anche se solitamente non gliene poteva fregare di meno di quello che succedeva nel mondo, quella volta era diverso. Era della sua Madrepatria che si parlava, non di un qualche paese di merda in Africa. Se era patriottica? Non particolarmente. Se le interessavano gli affari di famiglia? Sì, finché suo padre sfornava ca$h. Dato quello che stava accedendo in Francia, non sarebbe stata una grande sorpesa se anche lui avrebbe contratto la Malattia, dire che la Beaumont stesse aspettando il momento della sua morte da anni, sarebbe stato un eufemismo – aveva già scelto la bara, le mancava solo di contattare le pompe funebri. A quel punto non sapeva dire se desiderava più i soldi o posare gli occhi sul suo corpo cereo, sentire quel momento così vicino, le faceva quasi ricordare di avere un cuore a pompare nel petto; non se la spiegava in altro modo, quella sensazione calda a irradiarle il petto ogni qual volta ci pensava. «pensavo non se ne sarebbero più andati» affondò le dita nella pellicca di Jean, un sospiro esausto a levarsi in aria. Non era strano che Akelei parlasse con il cane, quanto più il silenzio in quella casa; quando aveva deciso di trasferirsi, era stato perché aveva bisogno di respirare, di stare lontando da quel circo che amava chiamare famiglia, non aveva mai avuto intenzione di trascinarseli dietro. Voleva solo vivere, scopare e bere in pace, era chiedere tanto? Evidentemente. Sembravano soffrire tutti e tre (Gin era ancora sano, si sperava) di sindrome da abbandono, la Beaumont non si poteva traferire poco fuori Londra che avevano bisogno di seguirla, dovevano invadere ogni suo spazio vitale o non se la vivevano bene. In pratica aveva cambiato casa, in teoria era ancora come vivere nella baracca di pochi mesi prima. «stavo pensando di finire the OA senza arci, che dici?» il cane appoggiò la testa sulla sua coscia, ignorando completamente la domanda. Grossier. «lo prenderò per un sì» e se il ragazzo se la sarebbe presa, gli avrebbe ricordato che la prossima, anziché drogarsi con gli amici, l’avrebbe potuto fare con lei a casa. Cristo, quella sarebbe stata l’ultima serata passata spiaggiata sul divano, dal prossimo weekend avrebbe ripreso a spogliarsi dei locali e a baciare belle persone, non le interessava chi avrebbe dovuto trascinare fuori di casa per farsi accompagnare.
    Fino a quel momento aveva ignorato i rumori provenienti da fuori, per quel che ne sapeva poteva essere il figlio dei vicini che, ancora una volta, praticava i cinque movimenti di The OA nella speranza di aprire un portale mistiko. Neanche ci fosse stato un serial killer alla sua porta, si sarebbe preoccupata – perché ne vedeva tutti i giorni, di mostri, ci aveva fatto l’abitudine. «Morirò vergine!» si sporse all’improvviso in avanti, testa angolata verso la porta nel tentivo di capire cosa stesse succedendo. Il tempo di collegare la voce a un viso conosciuto, e già desiderava che quello all’ingresso fosse stato un molestatore o un assassino – tutto, tutto, era meglio di William Barrow. «sai mordere?» che domanda stupida, quel cane si vendeva peggio di una prostituta, dubitava sapesse anche solo essere minaccioso. Doveva essere l’influenza di Morrigan e Archibald, i suoi serpenti non erano così dementi.
    Aveva intenzione di ignorare il problema Barrow finché non sarebbe svenuto sul portico, o sarebbe ritornato strisciando a casa. Non era la sua badante né la sua fidanzata, perché non andava a rompere le palle a qualcun altro? Fuori dalla camera da letto riconosceva a malapena la sua esistenza, quella volta non sarebbe stata diversa dalle altre.
    E non lo fu. Perché ogni volta seguivano lo stesso copione: lui si presentava da lei in uno stato discutibile, lei lo ignorava per un tempo ragionevole e poi cedeva, facendolo entrare. Non lo sapeva neanche lei il perché, neanche le interessava.
    Spalancò la porta senza preavviso, sapeva che se ci sarebbe stata a pensare se ne sarebbe pentita, gli occhi a scrutare la figura del ragazzo. Cristo, puzzava come se fosse appena uscito da una distilleria. «sei te sei vergine, io sono povera» affermò con tono piatto, le braccia conserte e la schiena appoggiata allo stipite. Dove William tirasse fuori certe perle, doveva ancora capirlo – un giorno le avrebbe confessato di essere il prossimo Dalai Lama e sarebbe scomparso in Tibet, non vedeva l’ora solo per toglierselo dalle palle. «cosa vuoi? Se hai voglia di scopare cercati qualcun altro, non ho voglia oggi» c’era una sola ragione per cui avrebbe dovuto cercarla, e al momento non era particolarmente in vena. Se non poteva dargli quello per cui era venuto, se ne sarebbe andato, a meno che non fosse in vena di cantarle una serenata come aveva già fatto. Quella volta però gli avrebbe fatto ingoiare il fottuto ukelele, non era sicura quanto gli convenisse.

    I put the fun in funeral
     
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