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.«Torno subito» La labbra erano incurvate in un sorriso affabile, e prima di sparire dietro l'angolo Dakota portò due dita alla fronte in un buffo saluto militare, ammiccando in direzione dei ragazzini che erano appena stati ospitati in casa loro, profughi in tempo di guerra a cui Maeve e Dak avevano offerto un tetto sopra la testa, senza neanche bisogno di consultarsi ma d'accordo immediatamente sul da farsi. L'ex grifo entrò in bagno e ci si chiuse dentro, la serratura subito bloccata come da abitudine (l'aveva presa da bambino quando abitava ancora con i suoi genitori e non voleva farsi trovare da loro e poi a scuola quando scappava dai bulli; ormai lo faceva talmente istintivamente sia da Jaz che a casa propria che non se ne rendeva neanche più conto).
Non avrebbe saputo quantificare, più tardi, quanto tempo stette immobile, la mano ancora ferma sulla chiave fredda, lo sguardo perso nel vuoto, il respiro che accelerava lentamente ma proporzionalmente sempre di più. Qualche secondo, forse più di qualche minuto.
Fino a quattro anni prima, Dakota non aveva mai pensato che potesse esistere una vita diversa da quella che stava vivendo, una vita che non fosse semplice susseguirsi di minuti ore giorni settimane. Fino a quattro anni prima, non aveva creduto possibile un mondo non dominato dalla violenza e dalla paura. A scuola c'era violenza. Sui giornali c'era violenza. Per le strade c'era violenza. Persino a casa, il luogo in cui idealmente ti senti più al sicuro, sebbene non fosse fisica c'era un qualche tipo di violenza. I ribelli erano terroristi, il governo l'unica giustizia possibile per mantenere l'ordine e per non far sprofondare il mondo nel caos.
Scoprendo la ribellione, quella vera, Dakota aveva trovato altro rispetto a quello che fino ad allora era stato il suo inesorabile quotidiano; aveva imparato cosa volesse dire voler sopravvivere, a lui che non era mai interessato morire. Aveva scovato degli amici, una famiglia, e non si era più ritrovato da solo ma, anzi, era diventato lui stesso per altre persone quello di cui loro avevano bisogno. Aveva trovato qualcosa per cui lottare. Aveva trovato non solo qualcosa per cui morire, bensì qualcosa per cui valesse la pena vivere. La ribellione gli aveva dato speranza quando neanche si era accorto gli mancasse in primo luogo.
E ora se la stava riprendendo.
Lafayette era morta.
Dakota si portò la mano alla bocca, soffocando un primo singhiozzo tremante.
Jeanine Lafayette, la colonna portante della rivoluzione (che la gente credesse in lei o meno), era crollata. Forse i suoi modi non erano sempre i migliori, forse era una stratega troppo spietata per i gusti di Dakota, ma era (era stata) una donna forte, l'alleato più potente della resistenza inglese. E ora era morta.
Beaxbatons era sotto attacco.
La scuola ideale, la scuola che gli studenti di Hogwarts potevano solo immaginare e forse neanche quello, dove non vieni schiaffeggiato per una risposta sbagliata in classe, dove non vieni frustato per una divisa stropicciata. La scuola dei desideri, la scuola idilliaca a cui Dakota stentava a credere era stata violata, e i suoi studenti, ragazzini innocenti fino a prova contraria, forse stavano lottano per mantenere la libertà, forse non si erano voluti inchinare a Vasilov. Erano stati picchiati? Uccisi?
Il quartier generale inglese della resistenza era stato sfollato.
Non avevano più una base. Non avevano più alleati. Se gli attentati in giro per l'Europa che già erano stati affibbiati ai ribelli non avevano fatto abbastanza per scalfire il credo della gente nella resistenza, questo ora avrebbe decisamente potuto distruggere tutto quello in cui Dakota e altre centinaia di persone credevano. In pochi mesi invece che fare passi avanti, la ribellione ne aveva fatti dieci indietro. Tutti quegli eroi senza nome caduti, tutti quei martiri per un mondo migliore in tutti quegli anni..? Morti inutilmente. Stava finendo. Alla resistenza non restavano che schegge di ideali, brandelli di sogni troppo grandi.
Ed era colpa di un possibile nuovo signore oscuro che loro non erano stati in grado di riconoscere come tale in tempo. Ed era colpa di gente come Dakota che non aveva accolto la richiesta di aiuto di Jeanine. L'aveva ritenuta immorale, troppo lontana dai propri ideali (non era disposto a pagare il prezzo di vite umane per la libertà, non lo era mai stato), e non si era battuto per mandare qualche ribelle in Francia a darle manforte, per andare lui stesso, per fare qualcosa, affrontare Vasilov anche a costo di morire.
Forse aveva le mani pulite dal sangue di innocenti uccisi da bombe Francesi, ma poteva dire che sarebbe riuscito a dormire la notte, sapendosi colpevole almeno quanto il Drago per la morte della donna, dei suoi soldati, di studenti di Beauxbatons?
Ormai Dakota non stava più singhiozzando silenziosamente, stava gemendo senza riuscire a controllarsi, lacrime calde e grandi che rotolavano aspre sul volto arrossato. La mano era ancora davanti alla faccia, a coprirla, nasconderla.
"«Siamo in guerra, inglesi, che vi piaccia o meno»"
Nonostante avesse partecipato più volte a missioni mortali, Dakota non aveva mai davvero pensato di essere in guerra. Guerra erano i soldati in trincea, moncherini al posto degli arti per mine esplose. Guerra era la Germania Nazista contro l'Europa, i campi di concentramento che al solo pensiero lo facevano vomitare. Guerra era lo Stato Islamico che mandava ragazzi strafatti a uccidere famiglie, esplodere bombe, rapire bambini.
Guerra era qualcosa di atroce, che lo faceva piangere guardando i servizi per tele o le foto in bianco e nero, ma che non pensava avrebbe toccato la sua quotidianità.
"«che vi piaccia o meno, che siate d’accordo o meno, siamo in guerra: questi sono i fatti»"
Non era fatto per la guerra, lui. Nonostante tutte le cose che aveva visto in quegli anni, nonostante i morti e le ferite non gli facessero impressione, nonostante le vite che, a conti fatti, aveva tolto, e nonostante il sangue, la polvere, le grida degli ultimi mesi, Dakota ancora fino a quel mattino, alla notizia dei cancelli francesi sfondati, era rimasto convinto potesse esserci una soluzione migliore. Che la diplomazia avrebbe vinto, che le notizie arrivassero in Inghilterra ingigantite. Che gli uomini sarebbe stati umani.
Arrivati a quel punto, però, non era sicuro sarebbero potuti tornare indietro.
Era troppo tardi.
Tardi per salvare vite, tardi per i morti, tardi per poter ancora sperare che la guerra fosse qualcosa di evitabile, per sperare che fosse qualcosa che si svolgeva lontano da casa sua, lontano dai suoi cari nel tempo o nello spazio. La guerra era lì, adesso, e bussava prepotentemente alle porte della casa di ognuno di loro. Non c'era un modo per scappare, perchè era già iniziata. Non si poteva fermare senza qualche vittima. Poteva solo andare peggiorando.
Spalancò gli occhi e tirò su col naso sentendo dall'altra parte della porta delle voci indistinte.
Reggia Makota era quasi sempre rumorosa, contando i vari ospiti che ci sostavano di tanto in tanto (Carrie, Isaac, persino Stiles o Niamh di volta in volta), ma ovviamente con tre nuovi coinquilini il chiacchiericcio si faceva più presente, e Dakota notò con una stretta al cuore di come sapesse di casa. Erin, Jess e Nate avevano perso dove vivere e Dakota, decidendo di ospitarli, aveva promesso a se stesso che avrebbe fatto di tutto per riuscire a strappare loro un sorriso stropicciato, per farli sentire i benvenuti (in quella casa e in quel mondo), perchè non dovessero più preoccuparsi di niente.
Erin, Jess, Nate.
Scott, Leaf, Byron.
Maeve. Jason. Carrie.
Deglutì, spostandosi dalla porta e dirigendosi al lavandino. Non si guardò nello specchio ma aprì soltanto l'acqua, ficcando la testa sotto il getto.
Non aveva tempo per piangere, per disperarsi, per pensare a se stesso. Si era chiuso un capitolo della ribellione, ma come Jeanine aveva fatto notare qualche settimana prima, se n'era aperto un altro. Guerra o non guerra, Dakota non poteva arrendersi così. Gente migliore di lui non era morta seguendo gli ideali della rivoluzione perchè un diciannovenne qualsiasi si chiudesse in bagno come un bambino, a piangere e disperarsi. Qualsiasi cosa sarebbe successa adesso, doveva affrontarla, non c'era se, non c'era ma. Guerra? Avrebbe combattuto. Tenere un profilo basso finchè la resistenza non sarebbe riuscita a leccarsi le ferite, per tornare più forte di prima? Ok. Andare in Francia ad aiutare innocenti ingiustamente attaccati? Era quello che sperava. Keanu e gli altri grandi della ribellione avrebbero saputo cosa fare.
"A undici anni ho scelto il coraggio", pensò rialzando con un gran respirone il viso dal getto d'acqua. Si tolse con una mano i capelli da davanti la faccia, guardandosi negli occhi cercando di capire se il rossore sarebbe andato via. "Ho promesso al Cappello Parlante che sarei stato coraggioso. E' il momento di rinnovare quel giuramento"
Si asciugò rapido, e incurante dei capelli ancora umidi uscì dal bagno, affacciandosi alla camera di Maeve, dove i minireb+scott si erano preparati per la notte. Non erano tanto più giovani di lui, ma li sentiva ugualmente come propri figli. Era questo che provava maeve? Un calore al fondo dello stomaco, una forza ritrovata, la voglia di andare avanti e andare avanti e andare avanti? Forse lui e la bionda vivevano insieme da troppo, forse mai da abbastanza.
Sorrise, nascondendo dietro i denti la paura di quello che sarebbe capitato, il terrore per il futuro, e fece un passo avanti portando le mani sui fianchi.
«Allora! A qualcun altro va una cioccolata calda con marshmallow?»❖❖❖
«E quindi neanche stasera ci vediamo?»
«Non è detto»
«se non vieni tu da me, direi che non ci vediamo»
«Se la metti su questo piano no... Ma mi piacerebbe dormire con te stanotte»
«Vieni qui»
Un sospiro. «Jaz...»
«Ok. Ok. Forse passo dopo»
Dakota restò col telefono attaccato all'orecchio anche dopo che Jason ebbe attaccato, gli occhi chiusi e la fronte calda contro il muro fresco. «Ti amo anch'io»
Amava Jason per quello che era, e non voleva cambiarlo. Amava la loro relazione così, per come se l'erano costruita giorno dopo giorno dopo giorno in tre anni... ma a volte, solo a volte, Dakota si chiedeva se non avrebbe dovuto essere un po' più diretto col Maddox, e dirgli chiaramente che ormai che le cose fra loro erano chiare, che Dakota aveva fatto outing per lui, non era disposto a tornare indietro e ad accettare che Jason fingesse non gli importasse quando, lo sapeva, invece gli importava. Erano diversi, Dakota e Jason; il primo andava letteralmente a livelli, un po' come i Pokemon (era stato Stiles ad aiutarlo col paragone, in un'imbarazzante e amichevole seduta): se arrivava finalmente a fare qualcosa per la prima volta, da lì in poi la ripeteva con sicurezza. Era stato così per il sesso, per il ti amo, e pressapoco per qualsiasi cosa della sua vita. Jason invece era più... lento. Ammetteva o faceva qualcosa, ma poi c'era il rischio di dover aspettare mesi per vederlo ripeterla. C'erano tanti modi per dire ad una persona che la ami, e Jason amava Dakota, indubbiamente... solo che per qualche motivo ancora aveva problemi a dimostrarglielo. Ad esempio,
quel giorno sarebbe stato carino a passare da casa di Dakota, distrutto per la notizia di Lafayette, invece che avere paura di quattro adolecenti.
«Buon anniversario a te. Tre anni, wow. Chi l'avrebbe mai detto?» Tecnicamente l'anniversario era stato il giorno prima, ma Jaz non ne aveva fatto parola, e neanche Dakota sperando in una qualche sorpresa che non c'era stata (anzi, il Maddox era sembrato altresì sorpreso del messaggio a mezzanotte particolarmente caloroso di Dak).
Dakota sbuffò, togliendo il cellulare dall'orecchio e cercando la chat con Jason, messaggiando veloce. "Quando entri fai piano, che i ragazzi dormono. Hanno avuto una giornata difficile". Forse lo avrebbe letto, forse si sarebbe ubriacato prima. Aggiunse un paio di cuori, per far vedere che non era arrabbiato e Jaz sarebbe stato davvero il benvenuto, l'avesse voluto. Anzi, Dakota sapeva di aver bisogno di tutto l'aiuto possibile per non crollare, e quando aveva detto a Jason che gli avrebbe fatto piacere dormire insieme, intendeva sinceramente solo dormire. Intendeva potersi coricare sapendo che anche se fosse riuscito a prendere sonno, Jaz sarebbe stato al suo fianco, e che avesse avuto brutti sogni o brutti pensieri, il ragazzo sarebbe stato lì a scacciarli per lui.
Infilò il cellulare in tasca, e rientrò senza far rumore in sala. Maeve era ancora sul ciglio della porta di camera propria.
Dakota fece piano, abbastanza per non svegliare i ragazzi accucciolati sul materasso come quando li aveva lasciati, ma non troppo perchè Maeve si spaventasse quando le arrivò di fianco, cingendola dalla vita e posando il mento sulla sua testa. Non c'era niente di romantico, in quel gesto, e non c'era niente tuttavia che non fosse amore. Puro, semplice, platonico. Che Dakota amasse Maeve, ormai era chiaro a chiunque li vedesse insieme.
Un sussurro: «Che cosa ne pensi?» Ovviamente, non si stava riferendo al fatto che quattro adolescenti, di cui tre inesistenti o morti per il sistema mangiamorte, fossero raggomitolati nel suo letto. Dakota stava parlando di tutto quello che non avevano avuto ancora occasione di affrontare, con l'arrivo dei ribelli a casa loro e quei sorrisi di facciata, quei "andrà tutto bene".
Si staccò dalla Winston, lasciandola ancora a guardare i visi sopiti (per davvero, per finta? Difficile capirlo) dei quattro, le coperte ben rimboccate e la luce notturna accesa (erano abbracciati a Mr. Unicorno o Mae se l'era preso? Dakota non era riuscito a vedere), e si diresse verso la cucina, dove accese la lampadina dei fornelli, a creare un po' di luce soffusa, e preparò la teiera con l'acqua prima di andare a cercare dal mobile i tè preferiti dei due. I marshmallow usati per la cioccolata qualche ora prima erano ancora aperti sul tavolo, e Dakota ne prese uno infilandoselo in bocca. Masticando e gustandosi il sapore troppo dolce della caramella, si abbandonò su una delle sedie, le mani a nascondere il volto. Sapeva che Maeve l'aveva seguito. Lo faceva sempre.
«"distruggerò ciò che resta del governo francese, e mi prenderò la nazione"», mormorò, con un filo di voce. «"andrò a far visita a lancaster prendendo ciò che mi spetta di diritto - con le buone, o con le cattive. quando avrò finito con loro, voi sarete i prossimi."»
Ricordava le parole perfettamente, Dakota, anche troppo bene per qualcuno che le aveva sentite solo attraverso la bocca di altri. Non era stato in quella sala del consiglio, sebbene in quanto purosangue ne avrebbe avuto il diritto senza sembrare sospetto, non ne aveva avuto il coraggio, eppure poteva immaginarsi Vasilov pronunciarle mentre le ripeteva. Il tono della voce, il cipiglio dello sguardo... Doveva a quell'uomo la vita, dopo Brecon, ma ad un anno di distanza non riusciva a non pensare che era stato uno stupido a pensare che nel Drago ci fosse del buono, abbastanza da salvare degli innocenti (sebbene solo maghi) da quel capanno. Era possibile che addirittura tutto il piano dei Cacciatori babbani fosse in realtà stato architettato da Vasilov, con tanto di bomba finale. Avrebbe avuto senso.
Aprì le dita, sbirciando attraverso di esse verso la bionda. «Come si sconfigge il nuovo Der Fuhrer, senza chiedere a centinaia di persone di andare contro ad una morte semi certa?» Il fatto è che erano pochi, ora senza alleati, e senza sostegno pubblico più che mai. Forse quelle parole avevano spaventato qualcuno nel governo inglese, e un paio di ministeriali avrebbero lottato contro Vasilov, ma Dakota era cresciuto abbastanza in quel regime, circondato da ricchi mangiamorte, da sapere che la maggior parte dei politici e dei potenti inglesi avrebbero barattato quella poca libertà che gli rimaneva per avere qualche vantaggio nel nuovo regno di Vasilov. Non gli sarebbero andati contro. Gli special invece? forse qualcuno, ma anche lì non tutti... senza contare che non erano abbastanza, e che Vasilov aveva un'arma che colpiva gli impuri.
Erano fottuti.
Si alzò sentendo la teiera che iniziava a fischiare, spegnendo immediatamente il fuoco e versando l'acqua calda nelle due tazze, per metterci poi il tè e lo zucchero come al solito. Porse una delle due a Maeve, e si tenne l'altra fra le mani. Non ne aveva neanche voglia, voleva solo qualcosa di caldo fra le mani, qualcosa che gli ricordasse che la vita andava avanti, che sarebbe sempre andata avanti. Qualcosa che gli dicesse "sei a casa, e andrà tutto bene". Restò in piedi, appoggiandosi al bordo del bancone della cucina. «Sono fottutamente spaventato, Mae» Vivendo con Maeve aveva iniziato a controllare il proprio vocabolario colorito, ma non era qualcosa che potesse tenere a freno, quando dentro di lui tutto voleva gridare e rompere cose e piangere e gridare e gridare. Non voleva che Maeve gli dicesse "non devi esserlo", voleva che fosse sincera. C'erano sempre stati l'uno per l'altra e viceversa, l'uno con l'altra e viceversa. Dakota non avrebbe mai lasciato Mae volontariamente, e sapeva che per quanto le cose andassero male, per quanto tutto sembrasse sprofondare, neanche lei se ne sarebbe mai andata. Era pretenzioso, forse, a sperare una cosa simile, ma ci credeva davvero.
Sorrise debolmente, e non si impegnò a rendere quel sorriso vero; era Maeve, avrebbe capito ugualmente che ci stava provando soltanto per lei, che stava in piedi solo per non far crollare gli altri e cercare di dar loro coraggio, come loro lo davano a lui. «Non so più a cosa pensare»
Dakota non era sicuro di ricordare cosa volesse dire perdere i genitori, perchè tecnicamente i suoi erano vivi, sebbene non andasse a trovarli praticamente mai, ma era sicuro che a nove anni si fosse sentito più o meno così, come quel giorno in cui aveva ricevuto la notizia della morte di Lafayette e dell'evacuazione del Quartier Generale.healer, 1998'srebel scoutall we gotta do is
be brave and be kindSPOILER (clicca per visualizzare)eeeeee avevo tanti headcanon, mi ero fatta tanti trip sui mini reb, su cose, ma meh, alla fine non li ho scritti, già. e non saprei dove metterlo senza annoiarvi ancora di più a morte *giggles*
davvero, esistesse il fantomatico pc che scrive i post mentre camminiamo, ci docciamo, dormiamo (??) sarebbe più bella la vita, e voi (si parlo al plurale istintivamente CIAO CIATL) non vi beccheresti quesi abomini.
Ah, Mae secondo me risponde ovviamente fra una frase e l'altra (?????) a tua scelta Sarett
CIA'
Edited by ‚soft boy - 6/10/2017, 08:30.