oh for god's sake, here we go again

postquest:08. mae + dak + al

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +5    
     
    .
    Avatar

    darling, didn’t you know?
    souls like yours were meant to fall

    Group
    Professor
    Posts
    15,098
    Spolliciometro
    +6,692
    Location
    Tralee

    Status
    Offline
    Non era fatta per posti come quello, Maeve Regan Winston. Per vite come quelle, a voler essere del tutto onesti. L’olezzo, pungente sentore d’alcool e acre bruciore del fumo, le giunse alle narici impastandole nauseabondo la bocca, i pugni stretti lungo i fianchi a tremare flebilmente di imbarazzo ed angoscia. Una qualunque Maeve Winston non sarebbe mai entrata in uno Spacobot se non obbligata sotto tortura, non in un mondo né nell’altro. Era cristallino quanto poco adatta fosse a luoghi del genere, troppo precisa e meticolosa per quel caos d’odori e sapori amari sulla lingua.
    Ed appunto per quello, lei dovette farlo: non aveva bisogno di sapere nel dettaglio quanto di diverso ci fosse in quel…Universo, per essere certa che non avrebbe mai preso posto a sedere in un locale del genere. Deglutì, spinse cauta un piede all’interno della locanda – che definirla locanda, era un atto di magnanima generosità – il capo basso ed il cappuccio della tunica nera tirato fino a coprirle metà del viso. Il perché fosse lì, fra tutti i posti in cui avrebbe preferito essere, era tranquillamente seduto al bancone del locale con i gomiti poggiati sul legno – e dovette reprimere un brivido, la bionda, immaginando la consistenza appiccicosa e sgradevole di quella superficie. Perché. Strinse le labbra fra loro, un respiro tremulo sulla lingua che, di rotolare fuori dalla bocca, non ne voleva sapere. L’insegnante di incantesimi si sentiva ancora ovattata, scagliata da un evento traumatico all’altro con la violenza di una bianca pallina sul tavolo del ping pong. Negli occhi chiari aveva ancora impressa la scarsa luminosità della caverna di Beauxbatons, i ragazzini in divisa celeste a combattere per la propria casa; sentiva l’urgenza di fare qualcosa a instillare adrenalina nell’organismo, ma i movimenti troppo lenti per rispondere a quella necessità; rivedeva gli spuntoni trafiggere i suoi amici, la sua famiglia – rivedeva Amalie ed Al riversi al suolo, il cuore un macigno ingabbiato nella trachea. La mente umana aveva un modo assai peculiare per proteggere gli esseri umani dall’auto distruggersi, un meccanismo del quale il soggetto non era razionalmente consapevole – qualcosa d’implicito nella natura stessa per conservare quel poco che da conservare era rimasto. Il tempo di Maeve era diventato vischioso, miele e fango ad impiastricciare le dita tendendosi in fili solidi quanto acciaio tra un polpastrello e l’altro, e lei vi era rimasta incastrata quanto un distratto ragno nella sua stessa tela: intrappolata e soffocata, i polmoni a supplicare un ossigeno che non parevano essere in grado di incamerare da sé ed il sangue a pulsare denso trascinandosi cemento nelle vene. Non capiva: non aveva capito all’interno della stanza scura, quando i fulmini avevano iniziato a colpire i Prescelti, e non aveva compreso quando il loro tempo era scaduto, e Jeanine era apparsa all’interno della stanza del Nos come se per lei fosse quotidiana amministrazione.
    Figurarsi dopo.
    La parte triste era che, in fin dei conti, poteva capire fin troppo bene, ma non aveva alcuna intenzione di farlo - non poteva e basta, Maeve Regan Winston. Non l’avrebbe fatto. Perché se il suo cervello avesse infine deciso di permetterle di mettere insieme i pezzi, ricostruendo la storia così come s’era svolta e come avrebbe continuato a farlo da quel punto in avanti, non avrebbe più avuto una base solida sulla quale reggersi in piedi. Una ragazza concreta ed inverosimilmente ottimista, che soldato lo era solamente per necessità - non lo faceva bene, quell’essere un soldato, come brava non era nell’essere una Cura o una Prescelta. La fascetta arancione legata al braccio la faceva sentire vulnerabile ed esposta, un nodo alla gola a renderle difficoltoso deglutire. Non voleva essere lì, Maeve - non voleva essere Maeve, lì.
    Non aveva alcun senso.
    Non voleva avesse alcun senso.
    Aveva aperto gli occhi sulla radura innevata dell’Aetas, il ghiaccio ad infiltrarsi sotto la divisa scura. Rimembrava di essersi sentita sollevata, di aver cercato gli occhi di Dakota con un sorriso a premere umido negli angoli delle labbra: ce l’avevano fatta. Potevano tornare a casa da Scott, Jess, Erin e Nathan – potevano assicurarsi che Leaf non avesse finito la scorta di pizze surgelate per le emergenze nel freezer. Potevano tornare a scuola ed iniziare un piano di evacuazione, dovevano avvisare il Ministro del Preside. Potevano ricostruire la Resistenza, e – e ricordava d’aver percepito in quel momento, con la nettezza di una ferita d’arma da taglio, che qualcosa non tornava. Il Nos, per dirne una. Jeanine Lafayette.
    I numeri nella Radura.
    Non c’erano tutti i Prescelti, a sanguinare sull’opaco prato scozzese. La memoria le aveva riportato a galla un bistrattato e frammentato mi dispiace della preside di Beauxbatons, come se quel brandello di conversazione potesse aiutarla a comprendere.
    Non l’aveva fatto.
    Ed aveva finto, la Responsabile dei Corvonero, che fosse del tutto normale - che per qualche motivo gli altri sarebbero apparsi in un altro luogo, in un altro momento. Che Jeanine avrebbe avuto una risposta alla quantità infinita dei quesiti che le premevano sulla punta della lingua. Aveva avuto bisogno di crederci, Maeve, mentre rimossa dalla realtà puntava la bacchetta ai visibili tagli sulla vita e le gambe (perché non fanno alcun male? Dovrebbero), per poi trascinarsi verso coloro che, tossendo sangue sulla neve, mostravano i sintomi della malattia di Vasilov. Rammentava a tratti d’aver cercato di curarli, per quanto possibile; di aver tentato di non essere d’intralcio ai Guaritori mentre medicavano tagli e ossa rotte, offrendosi però come assistente laddove ce n’era stato bisogno – non aveva guardato neanche un viso, Maeve Winston, egoisticamente troppo sollevata dal sapere che i suoi compagni ci fossero tutti, per poter stendere una lista di chi mancava all’appello. Il resto di quel ch’era accaduto, non era stato riconosciuto come tale dalla Corvonero; era rimasto sottile e sfilacciato nella memoria a breve termine, impalpabile come zucchero filato fra lingua e palato. Le ragazze come Maeve avevano sempre bisogno di più tempo, anche quando non ne avevano mai. Di prendersi una pausa, di sedersi ad un tavolino con una pergamena ed una piuma a rendere concreti i pensieri svolazzanti dietro le palpebre serrate. Avevano bisogno di problemi, perché le Winston del mondo esistevano solo in relazione delle soluzioni. Perché non gliela davano, quella parentesi di quiete? Perché non le permettevano semplicemente di esistere, se non di vivere? Quando le difficoltà si accatastavano l’una sull’altra, non c’era più alcun genere di ordine, non c’era controllo - e lei, lei ne aveva bisogno.
    Ordine. Controllo. Maeve Winston.
    Avrebbe dovuto ed avrebbe potuto essere più recettiva ed empatica, più presente e meno distante – che magari non lo doveva a sé stessa, ma lo doveva ai ragazzini ad attenderla a casa; lo doveva a Dakota, ad Amalie. La stessa Amalie Shapherd che rivolse a lei, a lei le iridi azzurre quanto petali di fiordaliso, quando il mondo iniziò a rivoltarsi su sé stesso come un calzino mal appaiato. Eppure, Maeve Winston s’era allontanata troppo da quel filo irreale di realtà – s’era affondata un po’ troppo, nel poco quieto mare di sé stessa, per riuscire a tornare in superficie senza perdere la sensibilità durante la strada. Così quando Al aveva iniziato a sanguinare, la Winston non aveva avuto alcun pensiero utile, nessuna parola di conforto – per chi, poi? Dio Santo, era la prima ad aver bisogno di consolazione, come poteva ambire di offrirne ad altri? E già l’aveva capito, che qualcosa non andava - e già l’aveva ignorato il piccolo orologio, l’interno della guancia a sanguinare fra i denti.
    Poi c’erano stati gli Special.
    Poi c’erano stati Donnie e Nathan – Donald e Nathan Withpotatoes.
    A quel punto, Maeve aveva smesso. Semplicemente, e catastroficamente, smesso.
    Perché voleva solo tornare a casa, lei. Voleva solamente il calore della propria coperta a stringersi al petto, il sorriso di Scott e dei mini reb a far capolino dall’uscio dell’appartamento. Voleva solamente sentire il rumore della plastica dell’ennesimo sacchetto di marshmallow aperto da Dakota, il profumo della cioccolata a solleticarle le narici. Voleva solamente lamentarsi di quanto a scuola gli studenti fossero pigri ed indolenti, e di come lei cercasse comunque di farli interessare alla materia perché ne avevano bisogno, perché ina una vita come la loro era ciò che faceva la differenza fra sopravvivere e morire. Avevo preso il laccio arancione tenendo testardamente il capo chino, il fiato incastrato in qualche anfratto del corpo dove l’aria neanche avrebbe dovuto esisterci. Voleva capricciosamente fingere che non ci fosse nulla di sbagliato, che fosse diventata troppo sospettosa e suscettibile – che non sarebbe stato troppo assurdo se nei giorni d’assenza fosse cambiato qualcosa: si sarebbe semplicemente trattato di un altro punto del quale avrebbero dovuto discutere, un’altra guerra da vincere.
    Ci aveva provato, ad ingannarsi.
    Non ci era riuscita abbastanza bene, ed il battito folle nello sterno non ne era che testimone. Uno di quei rari momenti nella vita di Maeve Winston in cui non solo non sapeva cosa fare, ma neanche cosa pensare: quella che ad altri, a Donnie e Nathan, pareva normalità, per lei non lo era affatto. Non c’era niente, niente di normale in quelle fascette a classificarli – niente che giustificasse l’avanzata di CJ ed il retrocedere della Squadra. Dragomir Vasilov non l’avrebbe mai permesso.
    Dragomir Vasilov non l’avrebbe mai permesso.
    Dragomir Vasilov non l’avrebbe mai permesso.
    «ed allora chi è al comando?» non si era neanche resa conto di aver posto quella domanda ad alta voce, né di quanto il proprio tono fosse suonato distorto e sbagliato, secco e graffiato. E figurarsi se, razionalmente, si fosse accorta di aver piegato il quesito verso Al: l’aveva messo infine a fuoco solamente quando lui già se ne stava andando, bionde sopracciglia corrugate e ciglia a battere lente su un paio d’occhi troppo chiari. Era rimasta ferma una manciata di secondi, le dita a tamburellare nervosamente sulle gambe; aveva rivolto un’occhiata ai Prescelti per assicurarsi che fossero integri, soffermando infine lo sguardo su Amalie, labbra strette fra loro in quella che non avrebbe dovuto esserlo, ed invece era una muta richiesta a potersi allontanare. La verità era che non voleva lasciarli soli, Maeve. Non poteva, non in un… qualunque cosa fosse – un incubo, forse? Possibile che li avessero allucinanti con qualche gas? Non improbabile. Le era bastato quel sottile, labile input di risposta a riaccenderla – scintilla su benzina. Era Maeve, Maeve Regan Winston, dannazione: avrebbe trovato una risposta a tutte le sue domande, ed avrebbe sistemato la faccenda una volta per tutte. Non sarebbe mai esistita, un’alternativa.
    Perché aveva tanti difetti, ma arrendersi non era mai stato fra quelli.
    «dak?» una nota urgente, la lingua ad umettare le labbra. Seguire un quasi perfetto sconosciuto in una quasi perfetta conosciuta Hogsmeade non rientrava fra i suoi piani più brillanti e logici, ma non poteva certo permettere all’uomo che si era fatto lanciare da una catapulta (!! Da una catapulta.) di aggirarsi da solo in un posto simile. La prima regola di sopravvivenza era, e sempre sarebbe stata, mai rompere il gruppo: il primo che s’allontanava non dando peso alla minaccia, era anche il primo a morire. Non aveva guardato tanti film, e non seguiva tante serie quanto la maggior parte dei suoi amici, ma qualcosa l’aveva comunque imparato. Non chiese al Grifondoro di seguirla, malgrado lo volesse e lo sperasse – che senza Dakota Wayne, Maeve Winston perdeva sempre la metà del proprio coraggio. Pregò silenziosamente che il gruppo sarebbe rimasto unito, che un modo per trovarsi e ritrovarsi l’avrebbero trovato sempre. Non capiva cosa stesse accadendo, ma era certa che, qualunque cosa fosse, avrebbero dovuto affrontarla insieme – anche per risolvere problemi banali, sapete.
    Tipo dove dormire. Come mangiare. Cose così.
    Mentre proseguiva nel viottolo acciottolato della cittadina magica, gli occhi incollati alla nuca di Al nel meno discreto modo possibile, si sforzò di non incrociare lo sguardo di nessuno; continuò semplicemente a camminare, cercando di elencare mentalmente ciò che sapeva di quel mondo, e ciò che invece ignorava – ma ignorava ancora per poco: date a Maeve Winston carta e penna, e vi smonta un impero dalle radici.
    Ed eccoci, quindi, al maleodorante e peggior pub che Hogsmeade potesse offrire: Spaco Bot. Una leggenda che avrebbe preferito non fosse vera.
    Si fermò poco dopo l’entrata, le labbra morse fra i denti e gli occhi puntellati sul pavimento - cosa ci faceva, lì? Perché. Maeve Winston non doveva nulla ad Aloysius Crane, e certamente lui non doveva nulla a lei. La ex Corvonero non avrebbe dovuto sentirsi responsabile nei suoi confronti, dannazione! Era adulto e vaccinato, ed in un mondo ideale non avrebbe avuto alcun bisogno di una Maeve Winston. In quello stesso mondo ideale, ovviamente, non a) si sarebbe fatto lanciare da una catapulta b) fatto sventrare da un uomo con una chela c) avvelenare da Vasilov d) trafiggere come un punta spilli dalle stalattiti e) colpire da un maledetto fulmine f) morire – di nuovo – sul prato dell’Aetas.
    Insomma. Ci voleva molto, molto meno per catturare l’interesse della Winston, a cercare sempre le cause peggiori nei quali impiegare il proprio tempo perché poteva, e perché doveva, e perché Al a) si era fatto lanciare da una catapulta b) fatto sventrare da un uomo con una chela c) avvelenare da Vasilov d) trafiggere come un punta spilli dalle stalattiti e) colpire da un maledetto fulmine f) morire – di nuovo – sul prato dell’Aetas g) era rimasto con lei semplicemente perché aveva paura del buio. Ci voleva molto, molto meno per avere una Maeve Winston nella propria vita – volenti, o nolenti.
    Respirare divenne più semplice, più naturale, quando voltandosi verso la porta vide Dakota far capolino. Gli lanciò l’occhiata, sopracciglia inarcate ed un vago cenno con il capo a tutti e nessuno: non ci voleva certo una scienza per capire che la bionda avesse bisogno d’aiuto, e Dak la conosceva ormai meglio di quanto non si conoscesse lei stessa. Era più terrorizzata dal sentore di malaria ed ebola di quel locale (e dalle sue evidenti lacune igieniche) che dall’universo alternativo nel quale avevano aperto gli occhi.
    Tipico di Maeve Regan Winston.
    Nessuno fece caso al fatto che fossero tutti e tre coperti di sangue, e la bionda inviò una silente preghiera al cielo per averle evitato spiegazioni che sapeva di non poter dare. Non strinse febbrile le dita di Dakota nelle proprie solamente perché voleva ancora fingere di avere un minimo di pudore, ma si appiccicò così tanto a lui, che se l’avesse semplicemente preso per mano avrebbe dato meno nell’occhio. Un respiro, due. Erano ormai di fronte al… barista? Lui.
    Momento di entrare in scena.
    Drizzò la schiena come se quel posto le appartenesse, quasi non esistesse locale al mondo nel quale ella non potesse mimetizzarsi (!!!ma quando mai); sollevando le dita sopra di sé, indicò Al: «due» ordinò secca, sapendo che fra i poveri e gli alcolizzati quella era la mossa d’approccio migliore per non attirare attenzioni indesiderati. Ovviamente non le interessava sapere cosa avesse ordinato Al: era certa che sorseggiare il fango da una pozzanghera fosse più igienico che sfiorare il vetro di quei bicchieri. «anzi, tre» decise, anche per Dak. Fosse mai che gli fosse girato di ingerire qualcosa in un posto del genere, piuttosto si sarebbe tagliata le vene e gli avrebbe offerto il suo stesso, maledetto, sangue. Tanto valeva non fare gli schizzinosi e prendere tutti la stessa cosa. Se poi Aloysius avesse voluto fare l’alternativo e bere davvero, peggio per lui. Abbassò il cappuccio con un lesto movimento della mano, sedendosi sullo sgabello senza guardare troppo a lungo dove si fosse poggiata – beh, tanto a quella divisa avrebbe dovuto dar fuoco in ogni caso. «finchè non si attrezzano con una catapulta per lanciarti diretto a casa,» commentò, pregna d’ironia, lanciando un’occhiata di sottecchi al lumocineta. «non ti lascio solo» arcuò presuntuosa un sopracciglio, sottolineando così l’ovvietà dell’informazione non richiesta ma, evidentemente, necessaria a giustificare la sua presenza lì. Schioccò la lingua sul palato spostando lo sguardo su Dakota: non era tempo per futili conversazioni, quello. Dovevano cominciare a porsi domande, ed a darsi delle maledette risposte. Dovevano tornare a casa, il che richiedeva obbligatoriamente un brainstorming: tre cervelli lavoravano meglio di uno solo.
    Sperava. In ogni caso, era giunto il momento tanto atteso di: «strategia»
    jay (26)-> joey + sandy
    darden (3)-> gwen + julian
    julian (4)-> julian + sersha
    gemes(6)-> bj + joey
    sandy (14)-> sandy + shia
    cj(7)-> cj + sersha
    run(17)-> shia + cj
    bj (1) -> bj + gwen
    Perché non si molla un pene, Prescelti. Non si molla un pene.

    maeve winston / indegni
    21 y.o. | ravenclaw
    charms master
    07.12.17 | upside down
    just wanna go home
    you're so cute but
    you look so sad
     
    .
  2.     +4    
     
    .
    Avatar

    If you stand for nothing
    what will you fall for?

    Group
    Rebel
    Posts
    9,260
    Spolliciometro
    +5,570

    Status
    Offline
    beh è una role in inception, giusto? SORPRESA! volevo provare l'ebrezza del cambio pv e vedere se mi convince chris. se è un problema ricambio gif

    Questioni di priorità. Avrebbe potuto pensare al fastidio provato al polso e al fatto che il tempo fosse scaduto, a Jeanine Lafayette viva quando non avrebbe dovuto esserlo, al fatto che quella specie di fulmine lo aveva colpito, che forse era morto, oppure ancora concentrarsi sulla neve a bagnargli i vestiti su cui era ora coricato, neve che non ci sarebbe dovuta essere in una scuola al chiuso. Avrebbe potuto pensare a guardarsi le ferite, assicurarsi di essere vivo considerando che non era affatto cosa scontata... invece Dakota Wayne, occhi aperti sul mondo dopo che la luce lo aveva quasi accecato, riuscì appena ad assicurarsi che Jason e Mae fossero lì e fossero salvi, sorrisi traballanti e visi sporchi, prima di puntare gli occhioni azzurri su un ragazzo. Non che la bionda e il Maddox, quelli che erano ormai la sua famiglia, potessero passare in secondo piano rispetto a chiunque, quello mai, ma quando Dak vide il sangue sputato sulla neve, il corpo accartocciarsi sotto i colpi di tosse, non pensò a sè, o alla propria famiglia, a lanciar loro segni di vittoria perchè ce l'avevano fatta, ma invece si avvicinò a CJ senza indugiare, istinto da dottore, e forse solo umanità, il passo fattosi veloce quando il tasso cadde a terra apparentemente privo di sensi. Dak non era stato con lui a Salem, ma non ci voleva un genio per capire che fosse stato ferito come Kieran e Al con il veleno di Vasilov. "O semplicemente non è stato curato" elaborò, ricordando le parole che il preside di Durmstrang aveva detto al ministero "non era stato già infettato con la malattia al funerale di qualche mese fa?" Non aveva avuto molto tempo per elaborare quelle informazioni, e non ne aveva neppure ora, ma qualsiasi fosse il motivo per cui CJ stesse tossendo sangue, lo avrebbe aiutato.
    «posso?» una domanda sciocca e alla quale non aspettò risposta, già accovacciato accanto al diciassettenne. Gli sollevò delicato ma fermo la testa, posandola sulle proprie gambe perchè non affondasse nel manto freddo e non più troppo candido di neve. Si tirò su una manica della maglia, il freddo a pizzicargli la pelle; forse non aveva la cura per CJ, ma aveva visto applicare la trasfusione al funerale, ed era più che disposto a sfruttare il proprio sangue pulito per farlo stare meglio.
    non Incrociò mai lo sguardo di CJ, mentre concentrato cercava di pulirlo dal sangue infetto, e se normalmente non ci sarebbe stato niente di male in quel silenzio, in quella mancanza di "ce la faccio da solo", quella volta Dakota non poteva che pensare a quanto non ci fosse alcunchè di normale in quel ragazzo dagli occhi di vetro, e quanto quindi fosse grave la situazione se si stava addirittura facendo aiutare da lui, un sei sconosciuto che per anni a Hogwarts aveva evitato come la peste. Dak immaginò che fosse la sua opzione migliore, che nessuno dei suoi amici fosse in grado di fare la trasfusione o fosse purosangue, che CJ sapesse di essere in pericolo di vita. Se possibile, questa cosa lo fece arrabbiare ancora di più contro Vasilov.
    «non mi avrebbe creduto nessuno»
    Dakota puntò lo sguardo sulla sua faccia, guardando i lineamenti più rilassati di CJ rispetto a qualche secondo prima, le palpebre socchiuse. Viso sporco a parte, sembrava davvero un ragazzino, finalmente. Dak ci mise qualche secondo a capire a cosa si stesse riferendo - erano passati pochi giorni, ma era successo davvero troppo - ma dopo qualche istante si morse il labbro. «ho solo diciassette anni e frequento ancora il quinto anno, sono un sangue sporco ed un delinquente» Dakota guardò nuovamente il braccio del ragazzo, staccando la bacchetta e abbassandogli la maglia per coprirlo. Avrebbe voluto negare, dirgli che sbagliava, che gli avrebbero creduto, dirgli che non era un delinquente... ma poteva davvero farlo, senza mentire spudoratamente? CJ era solo un ragazzo. Non aveva un buon nome alle spalle, e non aveva neanche l'impegno scolastico a dargli credito; il suo nome non si conosceva all'interno delle mura del castello - e spesso oltre - per motivi positivi. Ovviamente CJ era conscio della sua fama - non se l'era forse costruita ad hoc? -, ovviamente sapeva quello che la gente pensava di lui. Dak si allontanò leggermente per lasciarlo alzare, gli occhi di nuovo nei suoi mettendosi come lui in piedi. «non ero disposto a pagare il prezzo del segreto di qualcun altro» Dak non poteva dire di capire davvero, purtroppo, ma annuì comunque, il sorriso che rivolse a CJ ben più caldo di quello del ragazzo.
    «la prossima volta ti crederò» sicuramente CJ aveva avuto ottimi motivi per non dire un segreto tanto grande, sebbene avrebbe preferito saperlo prima; nessuno avrebbe mai concesso volontariamente tanto potere a Vasilov, e questo avrebbe macchiato la sua reputazione facendolo apparire ingordo e maniaco del potere più di quanto già non fosse, oltre che incredibilmente falso. Per fortuna lo sapevano ora, e non era quindi troppo tardi.
    Resistette alla tentazione di dare una pacca sulla spalla a CJ, limitandosi ad annuire verso di lui. «ricordalo» Non potè che pensare che un ragazzo del genere necessitava disperatamente di un posto e di uno scopo, e che forse avrebbe potuto trovarli nella resistenza; forse aveva solo bisogno di qualcosa verso cui canalizzare la propria rabbia, e aveva ottimi motivi per avercela col mondo e col governo. Si segnò mentalmente di cercare di avvicinarsi a lui quando le cose sarebbero state più tranquille, per capire se era solo un'impressione a pelle. Forse Kier e Gwen sarebbero riuscite a illuminarlo al riguardo, visto che apparentemente lo conoscevano.
    Lo guardò andare via, e finalmente potè ruotare lo sguardo, concentrarsi sugli altri e poi sul luogo. Erano a casa, erano insieme. Mae e Jason, Amalie e gli altri studenti, Al, Alec... Fece un rapido calcolo. Non erano molti di più nella stanza, qualche giorno prima? Non erano presenti fra gli altri anche Aidan, Jay, Will, Helianta? Dov'erano adesso? Si passò la lingua sulle labbra, ma non ebbe i tempo di chiedere a nessuno se li avessero visti, se fossero andati via prima degli altri, perchè era il loro momento di essere fottuti per davvero.


    «non fare cazzate» le dita sfiorarono il dorso della mano, per poi intrecciarsi a quelle del ragazzo «per favore» certamente Dakota avrebbe seguito Maeve Winston in un modo sconosciuto e dalle regole così confusionarie e violente, ma non altrettanto certamente avrebbe lasciato Jason Maddox a zonzo per la città da solo. Strinse la presa, gli occhi a indagare in quelli chiari del musicista, cercandovi parole che non si stavano dicendo. «ci vediamo più tardi, va bene?» non voleva elemosinare la sua presenza, non voleva obbligare il ragazzo a seguirlo chissà dove a fare da babysitter al Crane... eppure era così chiaro nella sua voce che avrebbe disperatamente voluto essere meno orgoglioso e farlo. Dakota alzò leggermente la testa, le labbra solo a sfiorare quelle di Jaz, la mano libera ad accarezzargli la guancia incurante dello sbalzo termico fra i due.
    Seguì Mae per la stradina affrettandosi ad affiancarla, per non perderla così di vista vestita di scuro nel nero. Sapeva di aver fatto la scelta migliore, perchè sapeva che Jaz in quel mondo così diverso, così pericoloso, avrebbe saputo navigarci molto meglio di Mae. Era un po' egoista da parte sua, ma pensava che la bionda avesse bisogno di lui, almeno quando Dak di lei; il rapporto con Jason non era meno speciale, ma sicuramente meno simbiotico; Jason no avrebbe avuto problemi a cavarsela in una londra simile, perchè era pressapoco la londra in cui era cresciuto, avendo passato quasi metà della sua vita per strada.
    Entrò nel locale lanciando un sorriso timido alla ragazza quando lei lo notò, sentendosi leggermente fuori luogo nella bettola; aveva visitato luoghi simili o peggiori con Jason, ci si era ubriacato malamente, ma pensare di essere lì con Maeve era leggermente... disturbante. Vederla lì e basta era disturbante; chissà se ci era mai stata in posti così per piacere, e non solo per recuperare l'ubriacone di turno. Si avvicinò con lei al bancone, l'intento di raggiungere Al. Per essere uno che era praticamente morto, Al la stava vivendo piuttosto bene. Forse alla terza, quarta volta, uno ci fa l'abitudine davvero.
    Si sedette accanto a Mae, lasciando che occupasse il posto centrale fra i due uomini, e poggiò un gomito al bancone, la guancia sulla mano, mentre si girava leggermente per guardare entrambi e dare la schiena a chiunque avesse avuto l'ardore di mettersi al suo fianco. C'era abbastanza casino perchè potessero parlare ad un tono di voce quasi normale senza essere sentiti neanche dal barista.
    «finchè non si attrezzano con una catapulta per lanciarti diretto a casa, non ti lascio solo» sollevò un sopracciglio, sicuro di essersi un pezzo (di conversazione, di vita), ma dopo un attimo sorrise. Era felice di vederli così affiatati, e gli piaceva abbastanza Al da pensare che non gli sarebbe dispiaciuto vederlo un po' più spesso a casa Makota. Chissà se- Maeve schioccò la lingua richiamandolo all'ordine, e Dak si sollevò leggermente, pronto.
    «strategia»
    ma questa?
    jay (26)-> joey + sandy
    darden (3)-> gwen + julian
    julian (4)-> julian + sersha
    gemes(6)-> bj + joey
    sandy (14)-> sandy + shia
    cj(7)-> cj + sersha
    run(17)-> shia + cj
    bj (1) -> bj + gwen
    Dakota annuì leggermente. «Scott e Erin» iniziò, sollevando l'indice per segnalare le proprie priorità. Non che gli altri minireb + Leaf non fossero importanti, ma erano special, e se aveva capito qualcosa da quelle fascette era che se la vivevano decisamente più sciallamente dei maghi. Maghi come i Chips, che fossero bacchettati o meno. «QG, perchè dove c'è ingiustizia, cè resistenza, e dobbiamo solo... trovarla, e magari chiedere a loro che accade» Lanciò uno sguardo a Al; andiamo, aveva adottato Nathan praticamente in tutto e per tutto, doveva essersi fatto due domande su chi fosse e dove vivesse. Dakota non stava apertamente dicendo di essere della resistenza, ma solo che dovevano trovarla; non avrebbe ammesso di essere un ribelle, mettendo in pericolo tutti quelli attorno a lui, ma allo stesso tempo sperava Al capisse che non era il momento di fare il mangiamorte schizzinoso. «giornali» non era esattamente una priorità, in effetti, però «possono essere un punto di partenza» scrollò leggermente le spalle «non so voi ma sono... confuso abbastanza su tutto» la sua prima idea era stata quella di essersi perso in quei pochi giorni la ribellione più rapida del mondo da parte degli special, ma la presenza di Nathan WP ovviamente rendeva difficile credere a quella versione.
    Posò lo sguardo sul bicchiere che gli era stato posato davanti, prendendolo fra le dita e facendo muovere il liquido nel vetro tuttaltro che limpido.«voi cosa ne pensate?»
    healer, 1998's
    I don't believe this
    world can't be saved



    mini post schifoso in cui taglio tutto perchè sì.

    Come sono arrivati al potere gli special?
     
    .
  3.      
     
    .
    Avatar

    It's fate, not luck.

    Group
    Fato
    Posts
    3,796
    Spolliciometro
    +1,418

    Status
    Anonymous
    Non sono arrivati: lo sono sempre stati.
     
    .
  4.     +4    
     
    .
    Avatar

    darling, didn’t you know?
    souls like yours were meant to fall

    Group
    Professor
    Posts
    15,098
    Spolliciometro
    +6,692
    Location
    Tralee

    Status
    Offline
    Tamburellò le dita sulle proprie gambe, obbligando sé stessa a non sfiorare il bancone del locale neanche con la punta delle proprie falangi. Tristemente, il Cappello Parlante aveva pensato loro di dare dei profilattici ma non carta e penna con i quali poter scrivere – che razza di priorità aveva? E dire che viveva in una scuola. Si umettò le labbra lanciando un’occhiata di sottecchi al barista, i denti a stringere spasmodici l’interno della guancia. Immaginava che la presenza di ragazze come la Winston sedute al suo locale fosse una novità, e di per sé attirasse gli sguardi indiscreti e curiosi di chi, evidentemente, doveva trovarsi altri passatempi; se si fosse messa a domandare, con il nervoso accento irlandese, se avesse pergamene e piume da prestarle, avrebbe decisamente richiamato più attenzioni di quanti tutti loro potessero permettersi – senza contare che si trovava nella parte più bassa della gerarchia, dubitava qualcuno le avrebbe prestato ascolto. Tirò una gomitata discreta, ma pur sempre una gomitata nello sterno, ad Al, invitandolo con un cenno del capo a chiedere a Spaco (… ma si chiamava davvero Spaco?) materiale sul quale prendere appunti, mentre Dakota iniziava a parlare elencando i segni poco chiari (tutti) della loro vita: era un gioco di squadra, quello. Se qualcuno non faceva la propria parte… non succedeva niente, ma restava comunque rude e preferibile da evitare. «Scott e Erin» Una fitta allo stomaco nell’udire il nome dei due ragazzini, il capo istintivamente abbassato quasi che il solo sentirli pronunciare l’avesse colpita fisicamente. Scott e Erin, i due ragazzini meno indipendenti e maliziosi del mondo – dovette deglutire, annuendo greve al Wayne. Dov’erano? Stavano bene? Confidava che Nathan e Jess, con i loro bracciali bianchi, fossero riusciti a coprirli, magari nascondendoli da qualche parte. Non poteva pensare che in quello stesso momento potessero essere ad intrattenere il pubblico al Carrow’s - una sua responsabilità. Ai mini reb aveva promesso protezione, e l’unica cosa ch’era stata in grado di fare era stata sparire senza lasciare alcuna traccia. Come avevano giustificato l’assenza dei Prescelti? Li avevano cercati? Ignorò lo sguardo sbilenco ed annoiato del proprietario del locale, mentre con un sospiro e basse imprecazioni che non ripeterò si girava a cercare il materiale. «QG, perchè dove c'è ingiustizia, c’è resistenza, e dobbiamo solo... trovarla, e magari chiedere a loro che accade» Una smorfia curvò le labbra della Winston verso il basso, ma fu rapida a deglutire l’amaro per tornare ad annuire all’ex Grifondoro. Poteva non essere sempre a favore della ribellione, Maeve Winston, ma Dak aveva ragione – senza contare che la maggior parte dei loro amici lavorava al QG, ed avrebbero potuto rispondere alle loro, infinite, domande su quanto fosse accaduto in quei giorni. Seguì gli occhi del ragazzo alle proprie spalle, sul profilo di Al. Non la mossa più intelligente del mondo quella di conversare sulla Resistenza in presenza di un Pavor, ma andiamo, non avevano detto nulla di particolarmente rilevante. «dobbiamo cercare i maghi» mordicchiò il labbro inferiore, gli occhi cerulei a posarsi sul consunto bracciale arancio sul polso. «damian? anjelika?» elencò nomi che, per ovvi motivi, era certa non facessero parte della Resistenza – ma se la situazione era così drasticamente cambiata, non potevano certo essere rimasti a guardare. «i purosangue non devono aver preso bene questo…cambiamento.» concluse, forzando un sorriso che non venne ricambiato quando l’uomo al di là del bancone fece scivolare verso di loro pagine sgualcite ed una…bic. Non vedeva una bic nel mondo magico da anni – forse da sempre. «giornali. possono essere un punto di partenza. non so voi ma sono... confuso abbastanza su tutto» Arcuò un sopracciglio in direzione di Dak, la penna a muoversi veloce sul foglio segnando in cima alla pagina quanto fosse già stato detto – poco, dannatamente poco. «non mi fido dei giornali», e per motivi del tutto legittimi. «sono troppo filtrati» sibilò, sforzandosi per non bucare il foglio con la punta della Bic. Non esisteva una reale libertà di parola o di pensiero che permettesse alle testate giornalistiche di essere sincere, e delle notizie osservate attraverso una lente distopica, se ne facevano assai poco. «siamo stati via… due? Tre? quattro giorni» scrisse, fingendo che il metterlo nero su bianco la stesse effettivamente aiutando. «nessuna rivoluzione si consuma in così breve tempo, ma» puntò un dito contro Dakota, voltandosi poi per soffermarlo su Al: «ma voi avete dalla vostra parte manipolatori del tempo. Magari – magari un cronocineta è andato nel passato e ha cambiato qualcosa? Dovremmo controllare i libri di storia, almeno… almeno le date più importanti» picchiettò la penna sulla pergamena, palpebre dischiuse e capo leggermente piegato verso destra. «tornerebbe anche con il fatto che nathan non sia morto» ci credeva davvero? Poco, ma non avevano molte altre scelte. «maghi purosangue, freccia libri, freccia storia della magia, freccia classificazione delle razze in base al colore» dovevano scoprire quanto fosse cambiato, e come fosse accaduto: unendo i punti sopra citati, il primo luogo che le venne in mente fu il Ministero – scartato a priori perché richiedeva troppi controlli che loro non avrebbero potuto passare – ed il secondo «dovremmo andare ad hogwarts» avevano una biblioteca, avevano il docente di storia della magia, avevano Damian e Anjelika. Avevano Phobos, un ribelle. Lui avrebbe saputo come aiutarli.
    Sperava.
    «vasilov era preside di hogwarts. Com’è… com’è potuto succedere, tutto questo. Significa che è morto?» aggiunse il quesito sulla pergamena, ripassando nervosamente l’inchiostro sul punto di domanda. «se vasilov è morto -» ed i dubbi divenivano dieci, cento, mille: chi c’era al comando? Com’era stata gestita la situazione Durmstrang? Cos’era successo in Francia? Sospirò frustrata, la gola a pungere di lacrime angosciate che non avrebbe avuto alcun senso versare. «non ha alcun senso» farfugliò, uno scatto della mano ad accantonare il foglio davanti a sé.
    Fu in quel momento, che vide le scritte. Aggrottò le sopracciglia, sfiorò le lettere con le dita. Spaco non aveva dato loro la carta con il quale batteva gli scontrini (gli scontrini si battevano nel mondo magiko? Chi lo sa) aveva – aveva dato loro un «libro?» farfugliò, un principio di panico a serrarle la gola. Aveva appena scritto con la Bic su un libro?
    Il suo incubo peggiore. «spero sia cinquanta sfumature di grigio» ansimò spingendo la carta verso Dakota, incapace di vedere quale romanzo avesse deturpato con inchiostro indelebile: c’erano cose che il cuore, semplicemente, non poteva reggere.
    I gatti senza pelo. Il caffè decaffeinato. Il caffè solubile.
    Scrivere su un libro con la penna.

    maeve winston / indegni
    21 y.o. | ravenclaw
    charms master
    07.12.17 | upside down
    just wanna go home
    you're so cute but
    you look so sad
     
    .
  5.     +4    
     
    .
    Avatar

    If you stand for nothing
    what will you fall for?

    Group
    Rebel
    Posts
    9,260
    Spolliciometro
    +5,570

    Status
    Offline
    «io non-» c'erano tante cose che Dakota non. Non mangiava carne e pesce, non metteva il latte nel primo caffè della mattina, non sapeva praticare nessuno sport, non si ricordava di rispondere immediatamente ai messaggi. Non capiva perchè su un libro di storia della magia, che ormai sapeva censurati dal ministero (le pergamene riguardo Alexander Quinn e l'oblivion a dimostrarlo ancora al sicuro nello zainetto), perchè si parlasse in quei termini degli special, padroni indiscussi del mondo magico da... da sempre?
    Pochi minuti prima aveva fatto cin cin col bicchiere che Mae aveva ordinato per lui, un sorriso sgualcito e stanco, e mentre lei parlava aveva annuito attento, metabolizzando quanto diceva. Se non l'avesse detto lei stessa, forse avrebbe potuto pensare che il suo gruppo si era, per così dire, perso qualche giorno di vita, colpa di quel sogno lucido in cui erano stati intrappolati, ma era stata Mae a tirarlo fuori: «siamo stati via… due? Tre? quattro giorni»
    Quattro giorni. «nessuna rivoluzione si consuma in così breve tempo» erano stati via davvero solo quattro giorni? Hogsmeade era innevata, erano apparsi i primi addobbi natalizi... ma se fossero stati via quattro giorni e dodici mesi? Un anno era più che abbastanza per stravolgere una nazione. «ma voi avete dalla vostra parte manipolatori del tempo. Magari – magari un cronocineta è andato nel passato e ha cambiato qualcosa?» Dak scosse la testa, lo sguardo sul liquido avanzato nel bicchiere. Lo fece girare, l'alcol a lambire i bordi di vetro. «Se tu tornassi indietro nel tempo, potresti cambiare il futuro?» «no. non posso cambiare il presente, non più» «secondo Helianta è impossibile. Possono tornare indietro, ma senza fare grosse modifiche» E quel mondo era una grossa modifica. certo, la spiegazione della moonarie non voleva dire in realtà niente: chi gli assicurava che in realtà i dottori dei lab non avessero elaborato dei poteri migliori, poteri in grado di manipolare meglio il tempo? O che cronocineti più allenati fossero riusciti a andare nel passato, stravolgendolo?
    «dovremmo andare ad hogwarts» annuì. Forse per lui non sarebbe stato così facile introdursi indisturbato a scuola, ma i ribelli avevano sempre avuto passaggi e conoscenze per entrare a Howgarts, e Mae era (lo era ancora?) insegnante. A Hogwarts avrebbero potuto parlare con amici e conoscenti rimasti e chiedere loro un parere, parlare della cronocinesi con Henderson o la Hadaway, e poi fare un giro nella biblioteca, l'equivalente magico degli archivi del Vaticano... sempre che Van Lidova, ergo Vasilov, non si fosse premurato prima che tutto quel casino avvenisse di distruggere anche la biblioteca. Si sa che i dittatori iniziano sempre a mettere radici cancellando quelle già esistenti. «vasilov era preside di hogwarts. Com’è… com’è potuto succedere, tutto questo. Significa che è morto? se vasilov è morto -»
    Di nuovo, scrollò le spalle. «forse è diventato uno special lui stesso» tentò «magari per errore, e visto che ha ancora sete di potere ha... cambiato le carte in tavola. Special al vertice invece che maghi» Ancora gli sfuggiva la punta della piramide, e perchè ci appartenessero BJ, CJ e Cora (o quella che forse era la sua gemella a cui a volte l'infermiera aveva accennato); i due ragazzini erano maghi, in quanto studenti di Hogwarts, non avrebbero dovuto avere fascette arancioni?
    «libro?»
    «che cosa?» spostò lo sguardo dagli appunti della bionda, a lei, per poi tornare sui primi. Libro. Fece una smorfia; Maeve Winston non era l'unica a trovare insopportabile l'idea di maltrattare i libri. Pareva che Dak avesse temuto giusto, nel pensare i libri maltrattati. «spero sia cinquanta sfumature di grigio»
    Dakota prese la pagina con un sorriso triste, sperando un po' davvero di riconoscere nelle parole stampate qualche gioco erotico o qualche clichè da bassa letteratura.
    Quello che trovò, invece, furono date.
    «io non-»
    Bocca socchiusa, si sistemò gli occhiali sulla punta del naso, avvicinando il viso alle pagine. Sapeva cosa doveva dire a Mae (e al loro compagno probabilmente già ubriaco, ciao Al), ma non sapeva che parole usare. Non sapeva come fosse possibile. Prima di continuare, ingoiò quello che restava nel bicchiere sul bancone, per poi spingerlo lontano. «E' un libro di-» alzò lo sguardo sulla Winston, sopracciglia aggrottate. Era difficile ammetterlo, senza sentirsi un po' ridicolo «E' un libro di storia. Ma non è possibile; deve essere falso» picchiettò sulle date scritte. Parlava di laboratori, di un certo Seth al governo; pur essendo abbastanza aggiornato, non accennava minimamente tuttavia agli eventi degli ultimi mesi, a Kimiko ministro, o i vari attentati europei (giustamente, visto che Nathan era ancora vivo). Guardò sugli altri fogli che il barista aveva passato loro; un po' troppo schematico per essere un romanzo, troppo assurdo per essere vero. «Da qui, risulta che gli special non siano praticamente mai stati sottomessi ai maghi» non che non fosse una notizia quasi positiva - aveva sempre ritenuto esagerato e inappropriato l'apartheid dei maghi purosangue contro le altre razze - ma questo riportava all'idea di Mae dei cronocineti. Perchè quella, assolutamente, non era la storia del mondo in cui loro erano cresciuti. Nessuna rivoluzione avvenuta a dicembre, e nessun accenno alla battaglia con Lamovsky e company. «Può essere... falso il libro» abbassò il tono di voce, e tirò fuori dallo zaino le pergamene recuperate a Beauxbatons. Lanciò uno sguardo rapido ad Al, ma non si tirò indietro mentre mostrava la lettera di Alexander, gli appunti sull'incantesimo. Non era sicuro se fosse suo gemello o cosa, ma era possibile che il ragazzo ne sapesse addirittura più di loro. «Oppure è stato lanciato un altro Oblivion. Chi ci dice che il nos non sia un catalizzatore, e con l'aiuto di esso... qualcuno, forse Lafayette, non abbia cercato di lanciare un altro incanto mondiale?» si passò la lingua sulle labbra. Era un'idea campata in aria, ma era un'idea. «magari voleva solo sconfiggere Vasilov, far sì che non fosse mai esistito e... la situazione le è sfuggita di mano.» Si tirò nuovamente indietro, le dita a sfregarsi gli occhi stanchi. «questo non giustifica Nathan, ma... forse... non è mai morto?» ci sperava? Decisamente. Nathan, April, Del e Neil non avevano mai meritato di morire «come Lafayette. Ha organizzato lei gli attentati per incastrare il Drago, e gli servivano dei martiri, veri o finti che fossero» Certo, sarebbe stato tutto molto più semplice se Lafayette si fosse svegliata con loro in quel parco, invece che scomparire nel nulla.
    healer, 1998's
    I don't believe this
    world can't be saved



    Dak si fa trip che arianna sa siano sbagliati, ma ACABBBBB

    Gli special muggle di questo universo hanno scelto la magia, o gli è stata imposta?
     
    .
  6.     +3    
     
    .
    Avatar

    darling, didn’t you know?
    souls like yours were meant to fall

    Group
    Professor
    Posts
    15,098
    Spolliciometro
    +6,692
    Location
    Tralee

    Status
    Offline
    Morse l'interno del labbro inferiore, gli occhi chiari fissi sulla punta della penna che continuava a far tamburellare nervosamente sulla propria mano. Anziché essere demoralizzata, Maeve Winston si sentiva offesa da quella situazione, violata nel profondo da quel mondo che pareva essere stato montato al contrario, e nel quale li avevano lanciati senza alcuna spiegazione. Inarcò un sopracciglio quando Dakota precisò che i cronocineti non potessero fare grossi cambiamenti nel passato, un sospiro a premere per uscire dalle labbra dischiuse - se non c'entravano loro, le erano rimaste scarse opzioni nel suo arsenale. nda, scarse per non dire nulle: qualcuno qui voleva ancora fingere un briciolo di ottimismo. Serrò le palpebre cercando di isolarsi dal (terribile e poco igienico) locale nel quale s'erano rifugiati, il cuore a masticarsi piano dietro le costole. Non era fatta per non comprendere, Maeve; la confusione faceva parte della sua indole tanto quanto la sobrietà in quella degli avventori dello Spacobot. «forse è diventato uno special lui stesso. magari per errore, e visto che ha ancora sete di potere ha... cambiato le carte in tavola. Special al vertice invece che maghi» arcuò anche il secondo sopracciglio, un'occhiata di sottecchi a Dakota. Neanche ci provò a nascondere il proprio scetticismo, mentre le palpebre lasciavano una linea di sottile e critico blu fra le ciglia bionde. «in quattro giorni.» non fu una domanda la sua; sottolineò, e con poco tatto, quanto l'ipotesi fosse assurda. «so che per diventare esperimenti non sono necessari per tutti degli anni, ma per organizzare una rivolta del genere? Mettendo anche caso che fosse possibile» sollevò il braccio mostrando la fascetta arancio. «perfino il più efficiente avrebbe bisogno di una settimana nel quale organizzare fascicoli e distribuire elastici identificativi.» ecco qual era il punto focale, quel che meno aveva senso: non avevano avuto il tempo. Quella realtà non poteva permettersi di vivere, eppure c'era - un paradosso.
    Poi c'era stato il libro.
    Alla Winston era quasi venuto un infarto scoprendo di aver scritto con la penna (con la penna!) Su un libro di storia. Solo per quello sperò che, come aveva accennato Dak, fosse falso - ma la verità puramente oggettiva, era che non sapeva più cosa pensare. Studiava le date, cercava di comprendere le righe d'inchiostro sbiadite da (quella che sperava fosse) acqua, gli occhi a scorrere veloci da una parola all'altra.
    Non aveva alcun senso.
    Non aveva alcun senso?
    La cosa più improbabile, nonché la ragione principale dell'improvvisa difficoltà a respirare, era che... un senso lo aveva. Distorto, irragionevole, ma un senso lo aveva, e forniva loro giustificazioni adeguate a quell'universo.
    Se solo avesse potuto essere possibile, certo - cosa che, per ovvi motivi, non era.
    «Oppure è stato lanciato un altro Oblivion. Chi ci dice che il nos non sia un catalizzatore, e con l'aiuto di esso... qualcuno, forse Lafayette, non abbia cercato di lanciare un altro incanto mondiale?»
    Si immobilizzò, il respiro un sibilo fra i denti. Alzò lentamente il capo verso Dakota, lo sguardo ceruleo ad illuminarsi flebilmente mentre l'ex Grifondoro continuava la sua teoria. Fino a qualche giorno prima, avrebbe categoricamente escluso che un incanto di tale portata fosse possibile; avrebbe incolpato le favole ed i miti ad aleggiare sulla Resistenza per quella strana supposizione del Wayne - ma dopo aver trovato i documenti? L'assurdo diventava quotidianità sfociando nell'ovvia soluzione.
    Un oblivion.
    Se qualcuno si fosse preparato prima per la rivolta, dopo una tabula rasa distribuire le proprie prove per renderla credibile sarebbe stato (all'incirca) un gioco da ragazzi. Di quel Nos, d'altronde, non sapevano davvero nulla. «gli estremisti sono membri della resistenza» scandì piano, cercando di seguire il flusso dei propri pensieri - l'ingranaggi ad incastrarsi fra loro cercando d'unire i fili. Forse avrebbe dovuto essere più cauta nelle parole a seguire; forse avrebbe dovuto essere più ipotetica e meno scontata, perché alle orecchie sbagliate avrebbe dato le informazioni giuste, ma in quel momento non le importava: avevano problemi ben più grandi del loro orientamento politico. «jeanine è - era? - una ribelle. Magari il suo piano, eliminare la minaccia vasilov, è giunto a qualche resistente impegnato nei laboratori, e da lì a qualche esperimento od a qualche dottore zelante - forse Seth?» era un'ipotesi azzardata, ma anche la più probabile fra quelle (quali) esposte fino a quel momento. Umettò le labbra, la propria attenzione a guizzare dal libro agli occhi chiari di Dak. «mi piace.» annuì, un sospiro soddisfatto a sgusciare dalle labbra dischiuse. Una teoria complessa, ma non inverosimile. «dovremmo cercare qualcuno che conosciamo per vedere se hanno...lacune. ricordi differenti dai nostri» si alzò in piedi senza un motivo (od un obiettivo) preciso, schiena dritta ed una nuova determinazione nella linea delle labbra. Conosceva la persona che faceva al caso suo - una ribelle, una special.
    Perfetta. Senza contare che Jaden Beech, strane realtà a parte, le mancava - stava bene? Ed Uran? Erano al sicuro, o Jade era riuscita a cacciarsi in qualche nuovo, fenomenale, casino? Si schiarì la voce odiandosi preventivamente per quel che stava per fare. Portò le mani a coppa attorno alla bocca, guance rosse di imbarazzo ma sguardo sicuro a posarsi sui clienti dello Spacobot. «QUALCUNO CONOSCE JADEN BEECH?»
    E meno male che non voleva attirare attenzione, mh.

    maeve winston / indegni
    21 y.o. | ravenclaw
    charms master
    07.12.17 | upside down
    just wanna go home
    you're so cute but
    you look so sad



    inizio indagini YO
    È una special?
     
    .
  7.     +1    
     
    .
    Avatar

    I hope karma slap you in
    the face before I do

    Group
    Special Wizard
    Posts
    369
    Spolliciometro
    +471

    Status
    Offline
    yup, jaden è una special
     
    .
  8.      
     
    .
    Avatar

    It's fate, not luck.

    Group
    Fato
    Posts
    3,796
    Spolliciometro
    +1,418

    Status
    Anonymous
    CITAZIONE
    Gli special muggle di questo universo hanno scelto la magia, o gli è stata imposta?

    Entrambe. Taluni l'hanno scelto, comprandosi il posto nel laboratorio come comunemente si potrebbe ordinare un intervento chirurgico. Ad altri è stato imposto, ma per coloro che l'hanno ordinato si tratta di un dono, un favore personale nei confronti di tali soggetti.
     
    .
  9.     +3    
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Professor
    Posts
    3,655
    Spolliciometro
    +1,903

    Status
    Offline
    even though they say time heals all wounds, the scars are still fucking there. i can't forget what happened, i can't forget how i felt.
    Fintanto che teneva gli occhi chiusi, poteva fingere - fingere così tanto da dimenticarsi persino di cosa avrebbe desiderato privarsi, nell’onirica illusione che i fumi dell’alcol non sembravano volergli offrire così facilmente.
    Fingere che non sembrasse così tanto casa: che le ebbre grida ed i pungenti, acri vapori dell’alcol scadente a solleticare le narici non avessero lo stesso odore di quello al quale era oramai avvezzo da più di due anni a quella parte; che tutte quelle persone, tutte quelle voci e quelle luci a cercare di penetrare nella sfera d’ovattato distacco nel quale aveva voluto rintanarsi non suscitassero quel malcontento nello stomaco, quel prurito – più lacerazioni nella carne che lieve fastidio – nella trachea. Che quello non fosse il pub del quale era diventato ospite ricorrente, che le dispense non fossero ordinate nello stesso, patetico ordine di sempre; che non avesse notato facce sconosciute ma che, dopo tutto quel tempo, la memoria non s’impediva d’associare ad un qualche evento, ad un qualche nome biascicato nel flusso incessante di maledizioni e imprecazioni, ad una confidenza che di familiare aveva solamente un retrogusto amaro. Ed al contempo, fingere che tutto quello fosse normale: che magari era in preda a qualche incubo confuso, a qualche fantastico viaggio che durava da fin troppo e che del quale la mattina successiva non avrebbe ricordato alcunché – uno di quelli per i quali ti siedi a tavola, una tazza di caffè nella mancina e le dita della destra a massaggiare la tempia pulsante di sonnolenza ed emicrania mattutina, con l’insensata necessità di tentare di raccontarlo a chiunque capitasse a tiro ma senza le parole giuste ad esprimere un concetto che, minuto dopo minuto, andava a sfocare in forme fumose ed astratte. Pur sapendo benissimo quanto non potesse essere vero, non quando il dolore al petto ed il sangue a sporcare la radura innevata dell’Aetas gli avevano ricordato quanto fosse maledettamente vigile, fottutamente vivo ma con i minuti contati - aveva bisogno di non sentire l’orologio nella tasca ticchettare senza sapere quando avrebbe suonato l’ultimo rintocco; aveva bisogno di non pensare, che di tutti coloro risvegliatisi nella radura non ci sarebbe stato nessuno mentre il suo tempo scadeva definitivamente.
    Perché c’era qualcosa di ineluttabilmente sbagliato in tutto quello, e niente sembrava avere un cazzo di senso – e non sapeva più, Aloysius Angus Crane, se un senso volesse fingere di darglielo o meno.
    Avrebbe voluto poter fingere, negli sguardi a scivolare sulle due figure che si sedettero al suo fianco, che poteva semplicemente fingere con sé stesso – era sempre stato il migliore nel costruirsi castelli di illusioni nei quali vivere, recalcitrando qualsiasi sorta di contatto con la realtà: non aveva mai avuto problemi, il biondo londinese, ad accamparsi in mondi che di veritiero avevano soltanto i brodi sfocati di un’esistenza che non lo aggradava, che faceva troppo male per poter essere davvero vissuta. Voleva potersi dire che andava tutto bene, contando che per i suoi standard il bene s’era sempre trovato sul fondo grumoso di un bicchiere; necessitava di convincersi il ventottenne, ingollando d’un fiato l’ordine appena fatto dalla ragazza senza perdersi in convenevoli d’alcun genere, che non ci fosse di che preoccuparsi. Era soltanto un altro bicchiere, soltanto la solita giornata di merda che si concludeva in un locale che non chiedeva alcun tipo d’aspettativa – era tutto nella norma, ed uscito di lì sarebbe stato come se nulla fosse mai cambiato.
    Ed avrebbe potuto mandare giù litri e litri del rum più disgustoso di Hogsmeade, avrebbe potuto rigettarlo tutto nel vicolo più scuro appena dietro il tugurio, avrebbe potuto svegliarsi in una fredda mattina di dicembre nello stesso angusto anfratto senza nemmeno ricordarsi di esserci svenuto la sera precedente, ma non sarebbe servito comunque. Perché voleva poter fingere, Al - fingere andasse meglio, fingere andasse peggio, fingere andasse e basta -, ma non era così fattibile a conti fatti. Gli risultava particolarmente difficile non pensare a quel fulmine, e a quell’improvvisa ventata d’aria gelida che subito ne conseguì; difficile rimuovere dagli occhi il rosso del proprio sangue tossito sul manto brinato d’erba scozzese, e dalle labbra il sapore metallico a promettere un collasso - impossibile non pensare al dolore al petto, il polmone a squarciarsi di una ferita antica e che non aveva alcuna ragione d’essere in quel preciso istante.
    Improbabile non rimembrare i sensi a venir meno, e la consapevolezza di quel che stava accadendo: era morto così lentamente di quella fucilata al petto, che in quei venti minuti ne aveva memorizzato ogni singolo secondo fino a quando non gli era stato più possibile nemmeno restare vigile – non aveva bisogno qualcuno rimarcasse l’ovvio, che chiunque cercasse di fare qualcosa; non avrebbero potuto fare alcunché nemmeno avessero voluto. Aveva soltanto bisogno di trovare gli occhi di Shia, di cercare di capire cosa fosse andato storto – c’era CJ, l’aveva visto: loro erano a Salem insieme, se c’era uno doveva esserci necessariamente anche l’altro. Eppure non fu così, e quando dell’Hamilton non comparve nemmeno l’ombra cercò nei volti di chiunque gli occhi verdi di sua figlia, gli stessi smeraldi tagliati da fili d’oro e rame a riflettersi nel viso di Run – e di lei aveva soltanto bisogno, voleva soltanto sapere stesse bene, voleva soltanto abbracciarla e dirle che in un modo o nell’altro sarebbe andato tutto bene. Ma non c’era, non c’era da nessuna parte, e la sua mancata presenza parve essersi presa tutto l’ossigeno respirabile nella zona.
    Voleva soltanto fingere che ad ogni bicchierino rivoltato sul bancone di legno consumato, fin troppi nel breve tempo ed inutili alla causa, non sentisse quella voragine nello stomaco allargarsi anziché colmarsi.
    Donnie non era il suo Donnie: gli era bastato quel breve lasso di tempo, per capire quanto assurdo fosse – e gli aveva destato più sospetti l’Armstrong che non il Withpotatoes. Insomma, Al era morto eppure ancora camminava tra i vivi (per quanto ancora, non è rilevante): non poteva di certo stupirsi se si ritrovava di fronte qualcuno che avrebbe dovuto essere tre metri sotto terra, e di cui non avevano nemmeno trovato il corpo; ma Donnie? Non lo aveva visto poi così tanto tempo addietro, e lo conosceva abbastanza bene da rendersi conto che c’era qualcosa di storto nel ragazzo – qualcosa fuori posto, troppe note stonanti in una sinfonia che non ne prevedeva così tante. Qualcosa fuori posto: loro.
    Run, Shia, Elysian, Jay, Arci, Gemes – loro non c’erano e basta, quando invece sarebbero dovuti arrivare insieme a CJ ed i suoi amici; quando invece, sarebbero dovuti arrivare insieme a Will, Helianta, Judas, Ashley, Murphy.
    Stava morendo, e si stava portando dietro Shia e suo fratello - e nemmeno avrebbe potuto chiedergli di perdonarlo. E sarebbe andato avanti quelle ore, giorni, settimane ad essere estremamente ottimisti - e fidandosi del primo barbone capitato per strada -, senza potergli dire che gli dispiaceva. Senza poter dire che non se lo meritavano, e che lui non aveva mai fatto nulla per meritarsi quello; sarebbe andato avanti tutto quel tempo, senza poter mettere a posto le cose con suo fratello. Avevano perso una vita intera, aveva perso tutta la sua famiglia in quella missione, e non poteva nemmeno abbracciarlo e dirgli che non gliene importava un cazzo, che gli mancava senza nemmeno conoscerlo così bene – che gli era mancato per tutta una vita.
    Avrebbe voluto che quel bicchierino non gli ricordasse di aver probabilmente appena lasciato River senza un padre, e che si sarebbe di nuovo perso tutta la vita di suo figlio – che non gli mancasse come l’aria che aveva smesso di respirare ore prima, che non volesse soltanto tornare a casa e prenderlo tra le proprie braccia. E che quell’altro non avesse il retrogusto fruttato della Villa degli Hamilton, che non sembrasse riflettersi nella superficie sporca il viso di quella male assortita famiglia nella quale si era amalgamato senza nemmeno prenderne atto; che quello non lo facesse pensare al fatto di aver perso sua nipote che fino a poco prima era stata vicino a lui, che nel caso lei e tutti i non presenti fossero tornati a casa – a quel punto, era l’unica cosa che sperava veramente – sarebbe rimasta orfana per colpa sua; e che quello shottino non avesse avuto lo stesso sapore di quello che prendeva sempre Eugene, e che avrebbe voluto soltanto condividere con lui in quel preciso istante.
    «finchè non si attrezzano con una catapulta per lanciarti diretto a casa, non ti lascio solo» Avrebbe voluto che Maeve Winston e Dakota Wayne non si sedessero al suo fianco, che lo lasciassero nuotare nell’alcol fin quando non sarebbe affogato – lo desiderava almeno tanto quanto sperava non si muovessero da lì: ma a pensarlo, era più difficile che dirlo. Non sorrise, né guardo la bionda: l’unica cosa che ritenne sensato fare, nonostante logorasse il fegato più dell’acido, fu quella di ordinare un altro giro – sebbene dubitava gli altri avessero consumato il precedente. La missione era finita, non correvano più rischi - almeno, se si impegnavano a dare poco nell’occhio -: non vedeva alcuna ragione per la quale la ragazza dovesse tenere così tanto a non lasciarlo da solo. Non era utile alla causa né voleva esserlo in quel momento, probabilmente sarebbe morto di lì a qualche ora: non le serviva più un Crane, non quanto a lui avrebbe potuto servire qualcuno – era sempre stato così, non capiva per quale motivo la storia avrebbe dovuto cambiare in quel pub. «non mi serve una babysitter, winston» commentò soltanto, la voce più lucida di quanto avrebbe desiderato fosse. «e qui credo di cavarmela meglio da solo di quanto non potreste mai fare voi due» e suonò forse un po’ scorbutico perché lo era, ma lo pensava seriamente: a prescindere dal fatto che quello era il suo habitat naturale e sapeva perfettamente come muovercisi all’interno, se c’era una cosa che aveva notato dal poco tempo che aveva passato in quella bettola più dei due maghi era che lì, di gente come loro, ce n’era fin troppo poca – più bende perlacee a brillare nella luce soffusa, che non arancioni. Nel profondo sperava non gli dessero ascolto, che rimanessero lì a fargli compagnia nonostante a loro non potesse fregare di meno di chi era e cosa non era più Aloysius Angus Crane, ma d’altra parte confidava fossero abbastanza svegli da dargli retta e cercare un altro luogo dove sviluppare le proprie congetture.
    Naturalmente, non lo fecero.
    Rimase ad ascoltarli con velato interesse tra uno shot e l’altro, mentre i due tiravano fuori argomenti che non avrebbero dovuto trattare – in teoria, non in presenza di un pavor; in pratica, ad Al non fregava più un cazzo di niente. Sapeva perfettamente che quello poteva essere il momento più propizio per chiedere esplicazioni alle domande che gli affollavano la testa, e tuttavia decise di non chiedere delucidazioni riguardo a quartier generali, resistenza, ribelli, loro: dubitava ne valesse la pena, che tanto sarebbero state informazioni che si sarebbe portato dietro per quanto?, forse un paio di settimane; dubitava che loro avessero voglia di parlare con lui.
    Dubitava persino fossero lì per lui; era soltanto l’altra Cura, per Maeve Winston: soltanto qualcuno da tenere sotto controllo per capirne un po’ di più.

    «voi cosa ne pensate?» «che la vita fa schifo tanto quanto questa vodka – se non la bevete, a proposito, datemela; tra l’altro volevo informarvi che siamo a corto di soldi, quindi sicuramente l’unico modo per uscire di qui sarà con una rissa»
    «spero sia cinquanta sfumature di grigio» «se lo è poi passa, ho sempre voluto leggerlo da ubriaco - ah, è un libro di storia. meh.»
    «damian? anjelika?» «spero bene che con l’ariaccia che sembra tirare per i maghi, gli icequeen stiano fornicando come ricci al sicuro da qualche parte. sapete che ero uno dei cavalieri al loro matrimonio? ero fatto come una pigna, non ho idea di cosa sia successo per tutta la cerimonia ma a quanto pare in una delle sale della villa ho concepito un bambino»
    «secondo Helianta è impossibile. Possono tornare indietro, ma senza fare grosse modifiche» «stai per caso citando da poco prima che il capanno esplodesse o sbaglio? ho ricordi un po’ confusi di quei giorni, sai»

    Ritenne opportuno, quasi necessario intervenire seriamente poche volte – sostanzialmente, quando sentiva o vedeva cazzate.
    «dovremmo andare ad hogwarts» aveva sperato fino all’ultimo secondo di non dover intervenire, gli occhi verdi puntati sulla figura di Dakota due sgabelli più in là – che almeno lui si rendesse conto, un minimo. Invece annuì. «spero stiate scherzando» borbottò serio, ruotando sul posto per essere completamente rivolto verso i due: non sembrava stessero scherzando. «c’eravate anche voi dal cappello» spostò gli occhi in quelli della Winston, fin troppo serio per il quantitativo di rum che aveva già ingerito: era stata lei a chiedere al cappello parlante se Hogwarts fosse al sicuro; era stata lei, a ricevere la risposta del Knowles. «hogwarts non era al sicuro nemmeno prima che venissimo rapiti – come potete anche soltanto pensare sia una buona idea andare lì?» retorico, non necessitava di risposte: era una pessima idea. «chissà che cazzo è successo a beauxbatons dopo che quei cazzo di fulmini ci hanno colpito» per quanto ne sapeva, Lafayette e tutti quelli all’interno della stanza del Nos potevano anche essere morti - un buco allo stomaco, un respiro a graffiare la gola. «e chissà che cazzo è successo a salem; chissà che cazzo ha fatto vasilov mentre noi eravamo impegnati in una missione inutile» chiese un altro giro, si voltò verso il barista. «ma se volete andare a farvi uccidere, la strada la conoscete» già sentiva le proteste almeno della bionda; già si sentiva rimproverare dalla ragazza che non doveva dirle come vivere la sua vita: per questo, semplicemente, li ignorò fintanto che poteva.
    «Oppure è stato lanciato un altro Oblivion. Chi ci dice che il nos non sia un catalizzatore, e con l'aiuto di esso... qualcuno, forse Lafayette, non abbia cercato di lanciare un altro incanto mondiale?» «non…» non ne sapeva nulla, Al: aveva letto gli stessi documenti degli altri due, le stesse lettere, la stessa storia – confidava non lo fosse, ma poteva essere benissimo carta straccia. «non so se avrebbe senso, dak» non tanto perché le loro memorie fossero intatte: quella poteva benissimo essere un’illusione di un Oblivion 2.0, quanto perché ne stavano parlando. Se avessero avuto ragione, probabilmente non gli sarebbe nemmeno stato permesso fare congetture di quel genere. «penso che se davvero lafayette avesse voluto lanciare un incanto del genere, non avrebbe ammesso falle nel piano» loro, le falle nel piano. «è tutto così sbagliato» e forse aveva senso, magari non era poi così sbagliato.
    E forse aveva senso cercare qualcuno di conosciuto nella folla, ma «QUALCUNO CONOSCE JADEN BEECH?» «che cosa.» per un attimo restò immobile, congelato sul posto a fissare la Winston alzarsi ed urlare nel locale. «cazzo strinse le dita attorno al suo polso, costringendola a rimettersi seduta. «fai.» confidò che nessuno avesse ancora capito da dove proveniva la voce, mentre le toglieva la fascia arancio dal braccio sostituendola con la propria. «io sarò pure mezzo sbronzo» borbottò severo, auto-classificandosi come feccia. «ma tu sei una deficiente» lo pensava seriamente, mentre controllava se qualcuno stesse rispondendo al richiamo: non poteva fingere fosse stato lui, uno Scelto, a porgere la domanda per evidenti questioni di tonalità vocale, ma se poteva passare lei come tale rischiavano la metà. «in un mondo governato dai come vaffanculo ha definito donnie gli special, in cui i maghi sono l’ultimo anello della catena alimentare, tu, strega, ritieni giusto urlare in un maledetto covo di alcolizzati di cui probabilmente la metà è stata nei laboratori? davvero, winston?» inutile dire che l’aveva creduta più sveglia: che credessero o meno il libro un falso storico, era meglio stare attenti su ogni fronte. Si umettò le labbra, girando sul posto per dare una dimostrazione più pratica di quella cautela; picchiettò le dita sulla spalla di un uomo reclamandone l’attenzione, un’occhiata fugace da sopra la spalla. «poi la fascia me la rendi: per una fottuta volta che sono privilegiato, ho intenzione di godermi i trattamenti di favore» almeno fin quando ne avrò tempo.
    Dovremmo cercare qualcuno che conosciamo - qualcuno che conosceva, Al.
    Nella mente, vagamente annebbiata dai fumi dei liquori, si accavallarono più nomi per i quali avrebbe potuto chiedere: Sin, Euge, Murphy, gli Hamilton, Will – Maeve e Dakota stessi, volendo. Ma quando aprì bocca, le parole uscirono senza ch’ebbe bisogno di pensarle. Perché gli mancava, perché voleva sapere se stava bene, perché voleva soltanto abbracciarla e dirle che sarebbe andato tutto quanto bene. «conosci heidrun crane?» ma quando si voltò, gli occhi del tizio erano posati sulla fascia arancione – quella viola dell’altro, in bella vista, non prometteva nulla di buono. Ebbe appena il tempo di riportare lo sguardo sul viso dell’altro avventore che questo, forse ebbro d’alcool o forse soltanto l’ennesimo stronzo razzista, aveva già deciso fosse un bene dargli un pugno in faccia.
    E Al, forse ebbro d’alcool o magari troppo stanco per pensare alle conseguenze – di quella spossatezza che niente ha a che vedere con il sonno arretrato, e che tutto deve ad un infinito concerto di scelte di vita sbagliate -, ritenne opportuno rispondere alle mani con altrettanta violenza.
    Il lato positivo, era che non avrebbero dovuto pagare per uscire dal locale.
    aloysius crane
    upside down
    fucked up
    lumokinetic
    code by lele


    ciao bella di papà, sei mai stata nel limbo con jo? xoxo
     
    .
  10.     +1    
     
    .
    Avatar

    Mirror mirror on the wall
    Who's the baddest of them all?

    Group
    Special Born
    Posts
    790
    Spolliciometro
    +1,304

    Status
    Offline
    yap ♥
     
    .
  11.     +2    
     
    .
    Avatar

    If you stand for nothing
    what will you fall for?

    Group
    Rebel
    Posts
    9,260
    Spolliciometro
    +5,570

    Status
    Offline
    «gli estremisti sono membri della resistenza. jeanine è - era? - una ribelle. Magari il suo piano, eliminare la minaccia vasilov, è giunto a qualche resistente impegnato nei laboratori, e da lì a qualche esperimento od a qualche dottore zelante - forse Seth?» Dakota annuiva febbrile, una scintilla in quell'oscurità di dubbi e confusione. Se fosse stato vero, non sarebbe stata di per sè una bella notizia - assolutamente (avevano i mezzi per annullare un oblivion mondiale? No), ma almeno avevano un punto di partenza, un'idea. Avevano qualcosa a cui aggrapparsi, qualcosa su cui indagare. «Non mi viene in mente nessuno special che si chiami Seth, in età da... governo.» e lui, per una cosa o per l'altra, fra ribellione, hogwarts e san mungo, lettura dellle principali notizie del mondo ogni mattina a colazione, vedeva ogni giorno un sacco di persone e nomi «Potrebbe anche essere un nome inventato, una maschera per nascondersi nel caso qualcuno come noi si avvicinasse alla verità?»
    «penso che se davvero lafayette avesse voluto lanciare un incanto del genere, non avrebbe ammesso falle nel piano»
    Si sporse a guardare Al, un sopracciglio alzato. Non che fossero una sorpresa i suoi intermezzi spaccagioie (anzi, un pessimista nel gruppo era più che il benvenuto, con la realista e l'ottimista), ma per la prima volta decise di rispondergli. Vada che volesse uccidere nell'alcol la tristezza,
    vada il partecipare al brainstorming solo con commenti negativi... ma Gesù, un aiuto voleva darlo, o pensava di stare lì a fare la Jhonson quello che dice che non va bene niente, ma non aiutarli a uscirne? «beh, Lafayette non aveva neanche calcolato che Vasilov si discolpasse così bene dall'attentato francese e compagnia, e questo dimostra di come neanche una donna potente come lei possa controllare del tutto quello che capita, tanto più che un incanto di dimensioni simili, antico e ai più sconosciuto alzò le mani, un sorriso stanco a stropicciargli le labbra «detto ciò, se hai idee migliori sono tutto orecchi niente ironia, niente cattiveria. Avevano sinceramente bisogno di quante più teste possibili, e non era male avere qualcuno che la pensasse diversamente dalla Makota: avevano buttato lì quel gran disegno di un oblivion, i dettagli della winston a rendere molto più verosimile l'idea di Dakota, ma era assai possibile che fosse tutto nelle loro teste.
    Ma se non c'era stata una ribellione in quattro giorni, se non era stato lanciato un incantesimo sulla memoria... allora cosa? Essere con le mani in mano, impotente, aspettando l'illuminazione divina, lo mandava in panico molto di più che non fare congetture e ricerche che non li avrebbero portati da nessuna parte. Prefriva l'idea dell'oblivion, al... niente.
    «dovremmo cercare qualcuno che conosciamo per vedere se hanno...lacune. ricordi differenti dai nostri»

    Scott, Niamh, Carrie, Jess, Stiles, Leaf... Egoisticamente, Dakota pensò immediatamente ai propri amici, alla sua famiglia; non li vedeva alcuni solo da pochi giorni, ma gli sembravano settimane. Sapeva che logisticamente non avrebbe dovuto pensare a loro per verificare la teoria dei ricordi, perchè difficilmente qualcuno in quel bar li conosceva e loro avevano fretta di scoprire cosa fosse capitato, e perchè erano per lo più ragazzini... ma i suoi bambini, i suoi amici, erano al sicuro? Erano finiti come quel ragazzo congelato e ucciso sotto i loro occhi? Erano passati solo quattro giorni, ma quante persone possono morire in quattro giorni? Quanti modi per togliersi la vita poteva trovare Carrie, senza nessuno a controllarla? Doveva sentirli, andare da loro. avrebbe potuto provare a chiedere in prestito un cellulare o usare il telefono del bar (almeno ce l'aveva?), e conosceva a memoria il numero di reggia makota, per vedere se Scott e Leaf erano a casa; Jess e Erin erano forse ancora con loro, quindi rintracciabili, mentre Ca-
    «QUALCUNO CONOSCE JADEN BEECH?»
    Strabuzzò gli occhi, stupito. Non tanto per la scelta della persona (Maeve doveva conoscere piuttosto bene la vita di Jade per fare un paragone, essendo una ribelle non avrebbe avuto segreti per loro, e viveva con un assiduo frequentatore di quel bar secondo voci da corridoio), quanto per la scelta del modo. Non era una ricerca molto da Maeve Winston, gridare in un locale pieno di gente che... che. Seguì la scenetta Mal, vagamente d'accordo con quanto detto dall'uomo ma irrigiditosi ai suoi modi bruschi, mano alla bacchetta nel caso l'alcol in corpo lo portasse a fare atti stupidi.
    A distrarlo fu il bicchiere che batteva sul bancone.
    Si voltò, in tempo per perdersi il teatrino di Al e portando invece gli occhi sul barista dall'età indefinita. Poteva avere 60 anni, ma i capelli e i baffi ossigenati rendevano difficile esserne sicuro. «Perchè volete quella cogliona di una Beech?» Non che ci fosse interesse nei suoi occhi; sembrava un commento giusto fatto per avere l'occasione di insultare l'assistente di corpo a corpo.
    Dak aprì la bocca, forse per la sorpresa nel sentire Jaden definita cogliona (che aveva fatto per inamicarsi quel tizio?) o forse per prendere fiato e rispondere... e invece fu un suono secco ad attirare la sua attenzione. Un suono sentito troppe volte quei giorni.
    «tra l’altro volevo informarvi che siamo a corto di soldi, quindi sicuramente l’unico modo per uscire di qui sarà con una rissa»
    Porca puttana, Aloysius Altri Mille Nomi Crane. Aspettare altri dieci minuti no, eh?
    Dakota non aveva intenzione di abbandonare l'uomo, distrutto e ubriaco, in uno scazzottamente, quindi controvoglia strinse la bacchetta. Fingendosi distratto a bere, guardando altrove, lanciò un expulso ad una sedia occupata lì vicino per poi indicare un tizio a caso e gridare «EHI! PERCHE' L'HAI COLPITO? SE HAI PROBLEMI DIGLIELO IN FACCIA!» le serate cinema disney con i minireb e i meaddox insegnano, così come mulan CIAO MULAN CIAO MUSHU GRAZIE. e ora si dia il via alla rissa.
    Idealmente si sarebbe creato abbastanza marasma per permettere alla makota di recuperare un lercio Al e portarlo via di lì. Ce la faranno davvero? Chi lo sa.
    healer, 1998's
    I don't believe this
    world can't be saved



    scott con chi vive?
     
    .
  12.     +1    
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Professor
    Posts
    3,655
    Spolliciometro
    +1,903

    Status
    Offline
    sì, non sono Scott, ma

    Vive con i Larson
     
    .
11 replies since 5/12/2017, 03:54   378 views
  Share  
.
Top