blame it on my daddy issues

cj x au gemes

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    «aspetta,» CJ Knowles corrugò le sopracciglia, il braccio destro sollevato di fronte a BJ, ed un sopracciglio arcuato sopra l’indirizzo indicato come casa di Jayson. Fece guizzare lo sguardo dai numeri civici al proprio fianco al Reynolds, l’angolo sinistro delle labbra a sollevarsi pigro ed indolente verso l’alto. «conosco quella strada» ed anche l’angolo destro seguì il sinistro, sollevandosi infinitesimale e stanco. «a meno che jayson non sia un catechista, sei stato fottuto» intrecciò le dita dietro la nuca, fermandosi in mezzo al marciapiede con il capo reclinato su di una spalla. Potevano aver cambiato tante cose di quel mondo, ma Londra era pur sempre Londra - e magari non era casa sua, ma di certo era il suo fottuto zerbino. Conosceva ogni via, ogni antro di quella fottuta cittadina del cazzo.
    Di certo, conosceva ogni chiesa (per quale motivo? Non vi è dato saperlo). E l’indirizzo dove, secondo Gemes, viveva Jay, era una cattedrale. Zio canterino, ed in tutti i sensi possibili. Umettò le labbra e le fece schioccare fra loro, troppo stanco perfino per riderne. Scosse il capo, il gomito a poggiarsi amichevolmente sulla guancia del Serpeverde; spinse delicato sbuffando l’aria fra i denti, prima di indicargli con un cenno la strada dal quale erano arrivati. «facciamo che ci riproviamo domani, mh. magari c’è qualcosa di utile nella roba che ho trovato in casa» si strinse nelle spalle e saltellò sul posto facendo tintinnare il contenuto della borsa. Ci aveva prestato troppo poco caso, CJ, a quei fogli ed a quei documenti – le aveva guardate troppo poco, quelle foto. Appropriarsene era stato facile, ma… non aveva seriamente pensato ad un dopo. Era un tipo tranquillo, perlomeno sotto quel punto di vista – un continuo vivi e lascia vivere, poco interessato all’altrui esistenza quando quella conoscenza non era espressamente richiesta. Troppo intimo, CJ Knowles, per potersi permettere d’invadere l’altrui privacy – che se l’avessero fatto a lui, li avrebbe smontati come armadi dell’Ikea. Seppur una parte di lui stesse fremendo febbrile, di curiosità verace ed ingiustificata, per scoprire qualcosa sull’Hamilton, l’altra… l’altra non era sicuro di volerlo sapere. L’altra non voleva permettersi di sapere, perché a quel punto sarebbe diventato un individuo reale.
    Concreto.
    Sarebbe stato vero.
    «torniamo dai freaks – quei cazzoni» sibilò a denti stretti, curvando il capo verso il cielo. E deglutì, CJ Knowles. Ingoiò saliva e bile, sangue e rimorsi, pentimento e redenzione – e pensieri, quelli tentò di digerirli tutti. Aprì la bocca, la richiuse. Rise di sé stesso stringendo la mascella, la lingua a sanguinare stretta fra i canini. È assurdo, vero? tutto quanto, intendo. veniamo da un’altra epoca, cristo – abbiamo cambiato la storia, e continuiamo a farlo, a quanto pare. Siamo tornati indietro per salvarli, ma ci puoi credere? Siamo tornati perché ci importava, Cristo, perché eravamo una fottuta famiglia. ci hanno cancellati con del fottuto bianchetto, Dio. Con del fottuto bianchetto. Non siamo mai esistiti, eppure respiriamo – e sono già stanco, BJ, di quest’esistenza a metà. Non è piena, non è vuota, e Dio buon Dio non capisco cosa voglio. Cosa sono. Però un po’ me ne fotto, sai, di saperlo. Mi basta che lo sappia tu per me. tu lo sai, per me? io lo so, per te. So cosa sei, e cosa sei sempre stato – in qualunque fottuta vita, in qualunque fottuto CJ: mio fratello. «complimenti, hai appena conosciuto papà» fu invece il suo unico, caustico, commento, mal masticato ed inghiottito ancora intero, prima d’iniziare a tornare indietro.

    ❖❖❖


    CJ, sei veramente un coglione.
    BJ gli aveva domandato se avesse lasciato tracce, e CJ si era limitato a sorridere – se il Reynolds pensava quella fosse una cazzata, cosa avrebbe detto del fatto che CJ Knowles, esattamente mezz’ora dopo aver lasciato i Freaks da Olivander, fosse tornato davanti a casa di Gemes Hamilton?
    CJ, sei veramente un coglione.
    Ecco, cosa gli avrebbe detto.
    Si chinò afferrando un piccolo sassolino, stringendolo nel palmo per soppesarne il peso. Umettò le labbra, CJ Knowles, lo zaino pigramente appeso alle proprie spalle contenente poco di quel che, un’ora prima, aveva fottuto dall’appartamento – le foto le aveva lasciate a BJ dicendosi che avrebbero potuto tornargli utili. Aveva guardato davvero i fogli, le pellicole.
    Ed aveva trovato il biglietto da visita.
    CJ, Cristo Signore, non farlo.
    Bussò alla porta prima di avere il tempo di pentirsene. Non respirò neanche, CJ, temendo che un fiato di troppo potesse convincerlo di quanto quella fosse un’idea del cazzo. Ma doveva saperlo, doveva capire, doveva – quando la porta s’aprì, infilò il piede all’interno della dimora per impedirgli di richiudergliela in faccia, quindi scagliò il sassolino in direzione dell’Hamilton. Così, sapete.
    Da vero buongiornissimo.
    «cristo,» appena fra i denti, il bisbiglio del Knowles.
    Gemes Hamilton non era un esperimento. Non era un mago.
    Era un - «avvocato.» un sorriso denso e sbilenco sulle labbra, il cuore a pulsare nella trachea. «ha perso questi» e da vero buongiornissimo pt. II, CJ Knowles svuotò il contenuto dello zaino sul tappetino d’entrata.
    Il ritorno del figliol prodigo, si diceva. O qualcosa del genere.

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    Soffocò un sibilo frustrato dietro le labbra serrate, indice e pollice a premere sulle palpebre stanche dietro le lenti degli occhiali mentre placido si appoggiava allo stipite della porta d’ingresso – per l’amor di Dio, ma i giovani non avevano proprio di meglio da fare che rompere il cazzo a notte fonda mentre la gente, ancora, lavorava? Doveva essere proprio una generazione sprecata e bruciata fino all’ultimo lembo, quella del rosso a bussare insistente al suo maledettissimo uscio.
    «gemes hamilton?» arcuò le sopracciglia, le iridi celesti a fissarsi in quelle più scure del giovane. Naturalmente, non ritenne opportuno chiedersi o chiedergli come facesse a conoscerlo: per quanto fosse una persona esageratamente presuntuosa ed arrogante, sapeva di non avere – con suo immenso rammarico e disappunto - quel tipo di fama che avrebbe potuto portare chiunque a conoscere il suo nome; la ragione per cui sentirsi chiamare dal ragazzo non aveva suscitato nell’Hamilton alcun particolare effetto, stanziava nel semplice fatto che la maggior parte delle persone che si presentavano a casa sua cercava aiuto, e di conseguenza sapeva già chi gli avrebbe aperto la porta. Non che l’inglese fosse un fottuto Annalise Keating dei poveri in versione maschile, ma poteva vantare diversi successi in tribunale. Tanti, almeno, da fargli coltivare un piccolo giro di clientela che andava espandendosi per sentito dire: Gemes era un sadico egoista e sostanziale menefreghista, di quelli che se ne sbatteva le palle della maggior parte degli imputati che si ritrovava a sbattere in prigione e che avrebbe preferito vedere morta la maggior parte della popolazione così da non dover né più prendere le difese di nessuno né argomentare accuse costruite su friabili castelli di sabbia privi d’alcuna fondamenta, ma quel lavoro gli piaceva davvero. Aveva sempre portato a compimento ogni esperienza che aveva intrapreso, spesso costretto dalle avverse condizioni in cui aveva versato nel corso degli anni, e lo aveva sempre fatto in maniera eccellente nonostante gli facesse tutto molto schifo; la giurisprudenza, tuttavia, era un discorso completamente a sé stante.
    Lo coglieva sul vivo. Aveva relativamente poche gioie, nella sua vita, ma quella si era rivelata essere una delle migliori – il che, ovviamente, lo portava a renderlo meglio di ogni sua più rosea aspettativa.
    Ciò, purtroppo, lo portava ad essere importunato da casi umani anche quando la gente, di norma, dormiva. Il problema più serio, però, era che raramente rifiutava certe opportunità.
    La maggior parte delle volte per un semplice fattore economico: più casi da portare in aula, più soldi ad impregnare il fondo comune che suo fratello riempiva un giorno sì e trenta no.
    Quelle altre volte rimaste, solo perché gli andava di farlo - perché a prudere sul palato alla vista di ragazzi come quello c’era un adolescente Gemes Hamilton che arrancava tra studi e lavori occasionali, che non riusciva a far vivere in maniera decente il fratello minore perché abbandonati da una famiglia di merda, e che porte come la sua se l’era viste sbattere in faccia così tante volte da arrivare a credere fosse una prassi comune dell’intero genere umano.
    «mh-mh» mugugnò, in un silente assenso; inutile dire quanto il rosso sul suo zerbino gli aveva fatto da subito tenerezza - di quella dolcezza che non intendeva insozzarsi né di compassione né di pietà. Sotto la fioca luce di casa sua, poteva solo intravedere sul volto del giovane i segni di qualche lotta recente, macchie rapprese di quello che probabilmente aveva dovuto essere il suo sangue: non gli chiese di entrare, soltanto perché molti altri prima di lui avevano reagito male a certe offerte – e vaffanculo, Gemes Hamilton poteva essere buono nei confronti delle persone fino ad un certo punto; aveva una pistola ed un fratello mago, e non era un problema per lui usare nessuno dei due.
    «Jayson Matthews ha ordinato cinque confezioni di Dolci Cuori dalla squadra Gamma delle Api Operaie. ha lasciato questo indirizzo come riferimento, è in casa? sono dodici galeoni e otto falci, più un'offerta libera per supportare il suo Alveare di quartiere!»
    Ovviamente. Doveva aspettarselo: aveva creduto avesse qualche traumatico problema familiare, ed invece aveva solo qualche problema mentale.
    Osservò attentamente il ragazzo tramite due strette fessure color cobalto, cercando le fantomatiche confezioni di Dolci Cuori o qualche arma improvvisata: sembrava un tipo pacifico, con quelle sopracciglia più grandi del consueto ed il sorriso dolce ed un po’ ebete stampato sul volto.
    Erano sempre quelli con il viso d’angelo, ad essere i peggiori bastardi in circolazione.
    Strozzò una risata dietro le labbra a stringersi tra i denti, lo sguardo basso a lanciare un’occhiata all’orologio per evitare di tradire l’impassibilità a regnare sul volto. Non poteva essere una minaccia: andiamo!, poteva inventarsi una cazzata migliore di quella, se proprio voleva sembrare credibile.
    O lui e qualche suo amichetto scemo stavano cercando di distrarlo per qualche scherzetto altrettanto scemo di Halloween – molto in ritardo, ma tanto erano scemi -, oppure lui e qualche suo amichetto si erano drogati. Generazione zeta: buon Morgan, non l’avrebbe mai capita.
    Che peccato.
    «non è in casa» rispose flebile e melenso, incrociando le braccia al petto ed umettandosi le labbra. «ma se voi scout rispettaste gli orari di consegna, probabilmente lo avreste trovato» evitò con cura di dirgli che non aveva idea di chi fosse tale Jayson Matthews: lo aveva conquistato al gemes hamilton?, e lo aveva perso ai dolci cuori.
    Tanto valeva continuare a giocare a chi dice la cazzata più divertente.
    Prese un biglietto da visita dal taschino della camicia, e scribacchiandoci sopra un indirizzo aggiunse: «non è mia intenzione, comunque, pagare per quelle scatole o offrire in beneficenza» ‘fanculo, anche a lui servivano offerte: le bollette non si pagavano da sole.
    «puoi trovarlo qui» gli porse il bigliettino, da una parte il suo numero d’ufficio e dall’altra il fantomatico indirizzo di un altrettanto fantomatico Matthews: sperava cercasse davvero quel tizio. «è sicuro che questo sia l'indirizzo del signor Matthews?» no.
    «assolutamente sì. e porgigli i miei più sentiti saluti!» fece per chiudere la porta, un sorriso carico di finta cortesia e malizia a premere sugli angoli della bocca, quando l’altro continuò a molestare per i fottuti alveari di quartiere.
    «bee lives matter» si sentì libero, finalmente, di scimmiottare ripercorrendo il corridoio verso la sua camera da letto. Non aveva nulla contro le api: anzi!, erano uno tra i tanti motivi per i quali era diventato un fiero vegano; figurarsi se l’adolescente, invece, poteva anche solo interessarsene.
    «tu conosci un certo jayson matthews?» domandò calmo, facendo scivolare lo sguardo sul fratello e sulla rivista che teneva in mano. «meh, no?»
    Curvò le labbra verso il basso, stringendosi nelle spalle mentre rientrava nella propria stanza. Frederick lo seguì, poggiandosi contro l’asse della porta. «comunque è entrato qualcuno in casa» Gemes continuò ad avanzare pacato, scrutando infinitesimali dettagli che non erano al proprio posto, fino a quando non si fermò davanti alla scrivania, le dita a scivolare sul sangue lasciato ad adornarla. «ma va» commentò, nell’inflessione più deadpan che la voce potesse assumere sulla lingua. «perché allora non hai fatto nulla?» non che gli interessasse davvero, eh – insomma: non aveva cose di così tanto valore in quella stanza, ed il portafoglio sembrava essere ancora al suo posto -, ma giusto per principio. «ero in bagno!» rispose l’Hamilton biondo (dentro, fuori: ovunque), e scrutandolo da sopra la spalla poté vederlo alzare colpevole e soddisfatto la rivista pornografica che teneva tra le dita. «dovresti davvero trovarti qualcuno che non sia la tua mano, freddie» commentò, l’ombra di un sorriso a pendere sulla bocca. «meh» «comunque, li ho indirizzati alla dormithion cathedral» così, per sport mandava la gente a farsi confessare; si voltò, il fondoschiena poggiato alla scrivania e le mani in tasca. «ti va di farci un salto a vedere cosa hanno preso?» «no» «mi sembra manchi la nostra scorta d’erba…» «vado.»

    «oh, ma che cazzo» sbraitò acido sottovoce, i piedi già a muoversi verso la porta: non solo Freddie non aveva trovato il rosso e compagnia cantante, ma per di più Gemes si era appena riaddormentato.
    Odiava tutti a livelli superiori.
    «ma che-» sassolino in faccia. «cazzo.» scrutò il pelato spalancando poi la porta, le dita a massaggiare nel punto in cui la piccola pietra aveva colpito. Che generazione di merda.
    «cristo, avvocato.» socchiuse le palpebre, guardò meglio il sorriso del ragazzo
    Senza alcun dubbio, una di quelle pieghe che di solito si dipingevano ad arte sui visi dei bravi ragazzi: non che gli facesse né caldo né freddo. Troppi ne aveva conosciuti, l’Hamilton, di tipi come quello. «wow, qualcuno sa leggere i campanelli» commentò snervato, la pazienza in riserva per quella notte già andata a farsi fottere con il ragazzo precedente – senza contare che gli aveva tirato un sasso in faccia.
    «ha perso questi» oh, certo. Persi.
    «mh» abbassò lo sguardo sulla refurtiva, la lingua a schioccare sul palato. «posso offrirti qualcosa e chiederti dove li hai trovati, per caso?» chiese, acido a condire il suono della voce – di cortese, in quella proposta, non c’era niente. Incrociò di le braccia al petto, gli occhi celesti ad incontrare quelli verdi del biondino: non gli sarebbe nemmeno servito essere un avvocato, per fare due più due. Era così palese e lampante, che non riusciva a comprendere per quale motivo avesse poi deciso di ritornare sul luogo del delitto. «o magari perché li hai rubati, cj?»
     
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    «o magari perché li hai rubati, cj?» Rubati? Che parolona. CJ abbassò lo sguardo sui documenti sparsi al suolo, sollevando poi i sottili occhi verdi a cercare quelli dell’Hamilton. Lo osservò a palpebre socchiuse, labbra strette fra loro nell’abbozzo di un sorriso sghembo e distratto – c’era davvero qualcosa di profondamente sbagliato in quella situazione, ed il Knowles rimpianse, come al solito, il suo essere un drammatico cazzone. La sua vita sarebbe stata più semplice se in quel fottuto momento, anziché rispondere alla domanda di Gemes, si fosse portato le dita alla fronte congedando l’avvocato per tornare da Olivander – ma perché semplificarsi l’esistenza, quando si poteva essere dei CJ Knowles? «presi in prestito» corresse piegando il capo sulla propria spalla, denti scoperti in un sorriso più divertito ed onesto. Li aveva riportati indietro, giusto? Tecnicamente, e dovevano concordarne entrambi, non si trattava di furto. Si strinse nelle spalle, alzando la mano per sfiorare distrattamente il marchio sulla guancia. «ed a quanto pare, uau, qualcuno sa leggere i tatuaggi» battè languido le fitta ciglia bionde, mani sollevate in segno di resa: non era lì per litigare, CJ Knowles.
    Credeva. Era sempre difficile comprendere a tavolino, gli piaceva seguire i sentimenti - sarebbe stato più corretto dire che non s’era presentato lì con l’intenzione di dare inizio ad una rivolta: sul piede di guerra c’era sempre, ma non tutti i giorni era disposto a combatterla. Inspirò dalle narici, un altro ghigno a sé stesso mentre, sentendosi ridicolo e patetico, abbassava il capo sulle proprie scarpe. «hai del whisky?» domandò, sopracciglio inarcato, nel tono irritante e spocchioso tipico delle nuove gioventù bruciate. Probabilmente avrebbe dovuto attendere risposta, ma dopo essere entrato in casa sua ed averlo derubato (senza contare che, beh, vaffanculo, si trovavano in una realtà che neanche esisteva, e probabilmente l’avvocato era parte di un complesso programma a due euro e novantanove sul play store), immaginava che la cortesia non fosse più accettata come onesta moneta di scambio – e non voleva passare per falzo, il messia dei Freaks. Ci teneva a certe etichette. «per te, intendo» scivolò all’interno dell’appartamento sorridendo allegro ed un po’ allucinato, entrambe le sopracciglia sollevate mentre passava distratto una mano fra i corti capelli biondi. «ne avrai bisogno.»

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    «presi in prestito» Gemes arcuò un sopracciglio, un morbido sorriso a piegargli mezza bocca nell’osservare quello più spigoloso del ragazzo alla sua porta. Dubitava CJ avesse ben chiaro in mente cosa “prendere in prestito” significasse o comportasse, ma decise di dare il beneficio del dubbio al giovane: era la prima volta che lo vedeva, e tuttavia sentiva che era abbastanza sveglio da comprendere le implicazioni del suo gesto – così, ad occhio. Probabilmente troppo sfatto da troppe sostanze allucinogene in giovane età, chi non lo era a quel punto?, ma non credeva fosse così tanto stupido da non conoscere la semantica elementare. Sperava, altrimenti sarebbe stato un problema – non suo, senza dubbio: il massimo che poteva fare era spiegargli le sue possibilità scolastiche una volta tolto il culo dal suo portico, ma più di quello non gli era concesso.
    Alla fin fine, la sua roba gliel’aveva riportata; un prestito preso molto alla larga e senza contesto, ma era stato onesto. «ed a quanto pare, uau, qualcuno sa leggere i tatuaggi» fece scivolare le iridi azzurre dal rasato ai fogli sparsi alla rinfusa sullo zerbino, sinceramente troppo pigro per piegarsi a raccoglierli. Era quasi tentato di lasciarli lì e riprenderli la mattina successiva. «diciamo che ha aiutato molto anche il messaggio inquietante che mi hai lasciato nello studio» piegò appena il capo, scrutando di sbieco il biondo: ma perché, Cristo, la gioventù di quella generazione si tatuava la faccia? Era un fan di Young Signorino? «la prossima volta che prendi in prestito qualcosa a casa di qualcuno, evita di lasciare le tue iniziali scritte con il sangue in camera sua» erano le basi, oh.
    «hai del whisky?» pure. «ce li hai diciotto anni?» per principio non avrebbe dato il suo alcol nel pieno della notte ad un ragazzino che gli aveva svaligiato la camera - perché, buon Dio, avrebbe dovuto? -, ma per giunta di dar da bere ad un minorenne non se ne parlava. Ma perché nessuno rispettava più la legge??? Odiava tutti. «per te, intendo. ne avrai bisogno.» corrugò la fronte confuso, non impedendogli di entrare: magari la disperata ricerca di attenzioni di CJ era mirata alla richiesta di un appuntamento legale seppure al di fuori del normale e giusto orario di ricevimento.
    E non avrebbe comunque mai sbattuto la porta in faccia ad un ragazzino in piena notte – che palle.
    Si piegò sulle ginocchia raccogliendo tutta la refurtiva, prima di seguire l’altro nella sua stessa casa. «fai come se fossi a casa tua» gli disse, indicandogli con un cenno del capo la cucina per poi andare a posare tutte le cianfrusaglie sul proprio letto: qualcosa gli diceva che avrebbe dormito sul divano, quella notte – tipo il sonno e la poca voglia di sistemare.
    «per tua informazione» lo raggiunse, smucinò nella dispensa: non aveva idea per cosa avesse bisogno d’alcol, ma non era un problema per lui calarsi qualche shottino a prescindere dalla situazione; prese infine una bottiglia di vodka – quella merda di Frederick aveva finito tutto il whisky??? – ed un succo di frutta per CJ, che fece scivolare sul tavolo prima di sedersi. «anche se mi hai riportato le mie cose, questo sarebbe comunque un furto: per quanto ne so potresti avermi manomesso qualche cazzo e farmi esplodere casa» aveva voglia di controllare? No - aveva vissuto abbastanza, oh. «non vorrei doverti vedere in tribunale, ecco» arricciò il naso, storcendo la bocca in un mezzo sorriso mentre stappava la bottiglia e ne versava il contenuto in uno dei due bicchierini posati sul mogano - sperava che il bricchetto di arancia lo tenesse impegnato, ma sapeva già non avrebbe potuto impedirgli a lungo di attingere alle proprie risorse; giovani.
    Tornò di nuovo a cercare le iridi verdi del ragazzo, facendosi più serio. «cosa devi dirmi?» l’indice a disegnare i bordi del bicchierino, le sopracciglia arcuate. «hai fatto qualcosa ed hai bisogno di un avvocato, o sei anche tu un boyscout come il tuo amico ma con un approccio meno… tradizionale?»
     
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    Inquietante, addirittura! Solo per un po’ di sangue. Inarcò un sopracciglio divertito, l’angolo sinistro della bocca a guizzare beffardo verso l’alto. A CJ Knowles, che di quella realtà non era sinceramente intenzionato a capirne un cazzo, pareva tutto un immenso gioco, e pure uno di quelli dove non ti sprecavi a salvare i progressi. Era difficile per il Tassorosso guardare quel Gemes Hamilton, quell’ appartamento, o quella Londra convincendosi che fossero veri e non frutto della sua immaginazione – che avrebbero continuato ad esistere anche senza la sua (meravigliosa, ma indubbiamente non necessaria) presenza. Lasciare il proprio nome impresso in cremisi nello studio dell’avvocato, non gli avrebbe personalmente causato alcun problema legale, ancor meno morale, il che rendeva lo scetticismo del moro ancor più esilarante per il Knowles – come immaginare che i Puffi potessero offendersi ed incrociare indispettiti le braccia verso la televisione, contrariati dall’essere chiamati nani del cazzo. Fece scivolare la lingua fra i denti, il capo reclinato sulla propria spalla alla domanda di Gemes: «ce li hai diciotto anni?» Sul serio, Gemes Hamilton. Sul serio. Lo osservò impassibile una manciata di secondi, sollevando intenzionale e lento un sopracciglio nella sua direzione. «no.» rispose secco, senza sprecarsi a scrollarsi nelle spalle. Fra tutte le regole infrante nei suoi diciassette anni di vita, quella di mentire per potersi permettere alcolici ai bar non rientrava in categoria: uno, di solito lo rubava; due, a nessuno fotteva una sega di quanti anni avesse il Knowles, finchè fosse andato a rompere il cazzo da qualche altra parte. Gli rivolse una sghemba smorfia di sfida, facendosi strada fino alla cucina mentre l’altro raccoglieva i documenti e le fotografie abbandonate sullo zerbino. Che creatura… rara e mistica, au Gemes Hamilton: CJ era entrato in casa sua prendendo in prestito la sua roba, e lui si fidava a lasciarlo da solo i secondi necessari a portare la refurtiva in camera. O era molto stupido, o…niente, doveva essere quella la risposta corretta. CJ Knowles non aveva neanche l’apparenza d’un ragazzo affidabile per giustificare le mancate precauzioni dell’avvocato, il quale non mostrò intenzione a maneggiare con cautela il materiale radioattivo ch’era il Prefetto – per quanto ne sapeva l’altro, CJ poteva essere un serial killer.
    Ad essere onesti, ci era maledettamente vicino.
    Ma era anche un bravo ragazzo. Si guardò attorno senza toccare nulla, prendendo posto sulla sedia che dava le spalle al muro – forza dell’abitudine – dondolando pigro sulle gambe mentre attendeva che l’Hamilton placasse il proprio disturbo ossessivo compulsivo. Posò lo sguardo acquamarina sul set di coltelli Miracle Blade 4 World Class 13 (ovviamente i preferiti dei Beyoncè: non solo la piccola mannaia era bellissima e lo chef tony nella pubblicità particolarmente seducente, ma tredici. destino!), sempre per forza dell’abitudine; distolse lo sguardo solamente quando l’Hamilton rientrò in cucina, un sorriso innocente a sporcare labbra sottili e colpevoli dalla nascita – da tutta una vita. «per tua informazione» Nessuna frase che iniziava con per tua informazione poteva essere di alcune interesse per il ragazzo, considerando che la maggior parte delle nozioni che altre ritenevano interessanti non lo erano per lui; espresse il proprio disappunto stringendo le labbra fra loro, dita pigramente intrecciate sul ventre. «anche se mi hai riportato le mie cose, questo sarebbe comunque un furto: per quanto ne so potresti avermi manomesso qualche cazzo e farmi esplodere casa» Rude. Si portò un’offesa mano al petto, occhi sgranati e labbra piegate verso il basso. «hai tanti cazzi da manomettere sparsi per la casa?» eh, gliel’aveva servita su un piatto d’argento – poi erano cose che un figlio doveva sapere. Curvò beffardo le labbra verso l’alto, allusivo ma nient’affatto subdolo. «non è molto igienico, avvocato.» lo redarguì scuotendo mesto il capo, la lingua a schioccare sul palato. Anziché ignorare il succo di frutta che, abilmente, aveva fatto scivolare verso di lui, il Knowles riempì il proprio bicchiere con non curanza. Avrebbe preferito i cartoncini tascabili, ma a quanto pareva non si poteva chiedere tutto. Ne bevve un sorso senza distogliere lo sguardo da Gemes, studiandolo silente con le labbra strette al vetro del bicchiere. Avrebbe potuto apparire giovane, il Knowles; candido come un bambino all’ora della merenda, con tal innocente bevanda fra le mani – ma aveva un talento naturale nel sembrare un delinquente pericoloso per la società, con tutti quegli angoli e quelle poche curve ad ammorbidirne i tratti. IRONIA, alterazione spesso paradossale, allo scopo di sottolineare la realtà di un fatto mediante l'apparente dissimulazione della sua vera natura o entità: ecco di cos’era fatto il Knowles, cosa accompagnava il sangue nelle vene. «cosa devi dirmi?» Una domanda semplice.
    Perché le risposte non lo erano mai? Abbassò lo sguardo sul proprio bicchiere, spingendo ancora sulle gambe della sedia per dondolarsi sfidando le leggi della gravità. Non lo so, avrebbe voluto ribattere – ma sarebbe stata una menzogna. Perché lo sapeva, CJ Knowles, semplicemente non era ancora riuscito a scendere a patti con se stesso abbastanza da accettare di volerlo realmente fare. Non aveva alcun motivo, e non ne avrebbe ricavato nulla; era stupido anche solo essere lì, in quella cucina del cazzo, a parlare con lui. Umettò le labbra secche, inspirò dalle narici. «non ne sono sicuro» replicò distrattamente, evitando cocciuto qualsiasi contatto visivo. «non dovrei neanche essere qui» in diecimila fottuti sensi che gli fecero piegare la bocca in un sorriso amaro e asciutto: in quella casa; in quell’universo.
    Ma anche solo in quel fottuto tempo. Tamburellò le dita sul vetro, la lingua a inumidire il palato e l’arcata superiore dei denti fastidiosamente attaccata alla bocca. «è tutto così fottutamente…» assurdo. Irreale. Incomprensibile. Fottuto. «strano» si strinse languido nelle spalle, mantenendo una facciata impassibile dalla quale non traspariva nulla. Non che ci fosse qualcosa da mostrare: non sentiva nulla, CJ. E non capiva un cazzo, men che meno perché fosse tornato indietro a bussare a quella porta. Deglutì il sai mantenere un segreto? insito nelle ombre azzurre degli occhi, ingoiandolo in un sorriso a metà. «sinceramente, se avessi avuto bisogno di una consulenza legale, non sarei venuto qui. senza offesa» battè le ciglia, il ghigno a suggerire che l’intenzione di offendere, invero, ci fosse tutta. «e non sono un boyscout» strinse le labbra fra loro poggiando il bicchiere sul tavolo, intrecciando le dita sul ventre prima di poggiare la schiena al sedile. Alzò lo sguardo incrociando gli occhi chiari dell’Hamilton, sostituendo l’amara sensazione di sentirsi patetico e fuori luogo con la più familiare, fredda ed ingiustificata, rabbia. «la versione breve è che vengo da un universo parallelo in cui tutto è diverso, quindi cercavo di capire cosa cazzo non andasse nella tua vita sperando di trovare l'incastro per tornare a casa.» Fletté un sopracciglio con cadenzata lentezza, ritmando il gesto con l’alzarsi degli angoli delle labbra. «vuoi la versione lunga?»
    cj knowles / eletto
    2043: hamilton
    prefect hufflepuff
    welcome to the freakshow
    damaged beyond repair
    I think I lost my halo
    I don't know where you are,
    You'll have to come and find me, find me.
     
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