way back home

brandon + jericho + nathaniel

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  1. /psychosis
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    Secondo un sondaggio, uno studio minuzioso redatto e promosso da numerosi sociologi babbani del Regno Unito, esiste un’età ben precisa per la felicità: un periodo della propria vita che sette persone su dieci in media sono arrivate a definire i migliori anni della propria vita, e che corrisponderebbe ai trentatré anni. Un’età in cui, molti dei partecipanti a questa ricerca sociale, ritengono di aver vissuto il culmine della propria felicità; pochi di meno, coloro che ricordano gli anni d’indagine del test come quell’anno in cui la prospettiva verso il proprio futuro rasentava l’apice dell’ottimismo. Felicità ed ottimismo in questione sembrano essere dovuti a diversi fattori, in base al diverso modo in cui la persona in particolare tende a guardarsi intorno: massima operosità lavorativa e l’avere dei figli, per quanto riguarda l’allegria intrinseca dei trentatré; famiglia maggiormente unita ed un notevole calo di stress se invece si chiede della fiducia verso quello che verrà in seguito. Un’età in cui ci si è scrollati via ingenuità ed impetuosità, ma senza aver perso energia ed entusiasmo dell’adolescenza.
    Brandon Keith Lowell, dal canto suo, non poteva che discordare con tutto il proprio cuore.
    In principio, alla soglia di quel fatidico anno a prospettarsi sugli inizi dell’Aprile appena trascorso, e dopo essersi fatto una cultura non da poco su studi sociologici a caso – superfluo specificare quanto la sua vita fosse piatta -, non aveva potuto far altro che sperare finalmente in una ribalta. In un nuovo inizio, se non un inizio e basta: difficile ricominciare, se non si è mai intrapreso né concluso un percorso.
    Ed inizialmente era anche andata a gonfie vele, a voler essere di larghe vedute.
    I suoi fratelli avevano ricominciato a parlargli - okay, forse solo Nathaniel, e solo per fargli domande (e non di cortesia e circostanza come avrebbe voluto, ma si accontentava felicemente di ciò che passava il convento) -, a credergli; aveva trovato una nuova e solida identità a cui fare affidamento, con la quale uscire finalmente allo scoperto e trovare un’occupazione; aveva conosciuto qualcuno, e sebbene fosse decisamente più complicato da gestire del resto, era meraviglioso. Gli uccelli lo svegliavano la mattina con i loro canti soavi, le rose erano in fiore ed aveva iniziato a scrivere un libro – aveva scritto una riga, ma era davvero molto ottimista in proposito.
    Sarebbe andato sicuramente migliorando, non aveva dubbi al riguardo.
    Se non fosse stato che, di punto in bianco, quel qualcuno che aveva conosciuto non avesse inconsciamente deciso di denunciare alle autorità competenti il suo ritorno in circolazione, e non fosse stato costretto a darsi alla macchia sotto varie forme animali nei boschi di Londra. «rude» broncio pronunciato, la voce appena un bisbiglio rauco a mescolarsi con fronde che frusciavano nel vento notturno. «mamma mi ha buttato via» di nuovo.
    Quando Nath e Jericho lo avevano contattato per dirgli di Clarissa Shaw, apparentemente ancora viva e non maciullata dal proprio primogenito, Brandon aveva semplicemente deciso di non porsi domande in merito. Ovviamente, com’era giusto che un Lowell facesse, non aveva esitato ad assecondare le teorie del complotto propostegli dai fratelli; ciononostante, prendere in considerazione che la madre avesse finto la sua morte, sgretolando la loro famiglia e mandando lui prima in una prigione e poi in un manicomio, era peggio dell’essersi convinto, in tutti quegli anni, di essere un disturbato mentale e matricida. Preferiva quella versione, al credere che la donna lo avesse condannato ad una vita del genere. Allungò il braccio nel cespuglio dietro il quale erano nascosti da diversi minuti, poco fuori l’abitazione della madre, afferrando l’articolo del Morsmordre uscito diversi giorni prima, dopo che un ante pavor aveva interrogato Xav – al quale tra l’altro, per ovvie ragioni, non aveva potuto dire nulla della propria fuga. Se all’inizio l’idea di non svelargli di essere lui, Newton Smith, l’aveva considerata stupida e rischiosa, ma necessaria, a quel punto non poteva far altro che pentirsene amaramente.
    Beh, ne aveva passate di peggio. «non penso che questa foto mi renda giustizia» continuò, aprendo il giornale davanti ai propri occhi e tra i due più piccoli. «a voi sembro così vecchio? siate sinceri: li porto meglio i miei anni, non è ver- ahia» il gomito di Jericho gli si piantò sotto le costole, appuntito e letale. «va bene, scusa, la smetto» di cercare di creare un rapporto, anche se in effetti non dovrei dato che siamo in appostamento – wow, è così figo! sembriamo dei professionisti!
    Ripose accuratamente il Morsmordre nel cespuglio da cui l’aveva raccolto, sporgendosi appena per sbirciare nella finestra della casa – inutilmente: possibile che non passasse mai nessuno? In televisione sembrava sempre così facile. «quindi» schioccò le labbra tra loro, posando le iridi scure prima sull’uno e poi sull’altra ai propri fianchi. «che vogliamo fare?» tipo boh, entrare a caso ed uccidere qualcuno.
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    Dita senza anelli congiunte ma palmi che non si toccavano, occhi chiusi, busto in avanti mentre i gomiti posavano sul tavolo, auricolari infilati nelle orecchie. Nathaniel Henderson stava pensando - azione strana da parte sua, me ne rendo conto, ma da situazioni assurde derivano reazioni assurde... e una di queste, era starsene in trance a contemplare l'interno delle palpebre con Britney Spears nelle orecchie ad un volume decisamente troppo alto. Avrebbe potuto concentrarsi con un po' di yoga, ma senza elijah in kilt a disposizione perdeva metà del fascino (e soprattutto Nate aveva sempre paura di rompersi il menisco o altro e restare bloccato per terra; aveva una certa età ormai, non poteva permettersi di fare alcuni esercizi senza un badante pronto a chiamare il cendodiciottoh).
    "Dobbiamo salvarlo. Dobbiamo salvarlo? Dobbiamo salvarlo. Niente di più facile... andiamo da Lei, le parliamo, cerchiamo di capire come scagionare Bran, probabilmente la uccidiamo. Che problema c'è? E' morta tredici anni fa, non è davvero nostra madre". Se un anno fa gli avessero detto che suo fratello era diventato il nemico numero uno dell'Inghilterra, Nate si sarebbe armato di torce e forconi per andare a stanarlo in una caccia alle streghe che sarebbe sicuramente finita con la reclusione (la morte?) del maggiore dei Lowell; non l'avrebbe ucciso, quello mai (non era stato in grado di torcergli un capello quando era andato disarmato alla sua porta per spiegarsi, figuriamoci se avesse dovuto lottare), ma toglierlo dalla circolazione sarebbe stato indubbiamente un piacere e un sollievo per i propri incubi, incubi nei quali ancora adesso Brandon faceva la parte del maniaco tagliateste nonostante ormai fosse ovvio che si fosse trattato di un malinteso.
    Incredibile che ora dovessero aiutarlo a scappare. Rischiando tutto, per altro! Chiariamoci, Nate non si lamentava di avere di nuovo Brandon nella propria vita, di - quasi - fidarsi della sua versione dei fatti e ritenerlo un innocente ingiustamente punito per tredici anni, anzi era ovviamente felice di avere finalmente motivi per giustificare il fratello e poter tornare a pensare a lui in positivo senza sentirsi in colpa nei confronti di Jericho... ma per le mutande di Vasilov, il governo doveva accorgersi della sua fuga dal centro di cura proprio quando Nathaniel e Jer erano pronti a riaccoglierlo nelle loro vite?? Era figo poter fare una mission impossible con i suoi fratelli, molto cinematografica, ma francamente avrebbe preferito non dover rischiare il proprio lavoro, la propria casa, i propri amici, la propria libertà. La possibilità di avere di nuovo una madre. "No. Non è nostra madre". La donna delle foto aveva il suo aspetto, probabilmente la sua voce, probabilmente i suoi ricordi, ma non era lei. Non avrebbe infangato il ricordo di sua mamma con la bastarda che aveva rovinato la vita ai Lowell, preferiva tenerle separate.
    Hit me baby one more time venne improvvisamente interrotta quando il cellulare squillò per il messaggio ricevuto. Nate aprì gli occhi, lesse le coordinate. Con un sospiro, si tolse le cuffie.
    «Si va in scena» e scrocchiandosi le dita, si smaterializzò.


    «non penso che questa foto mi renda giustizia. a voi sembro così vecchio? siate sinceri: li porto meglio i miei anni, non è ver- ahia. va bene, scusa, la smetto»
    Era probabilmente una delle cose più strane e impensabili che avesse fatto o a cui avesse assistito negli ultimi dieci anni.
    No, non l'appostamento davanti ad una casa (pffff, come shipper quello era all'ordine del giorno), e neanche aver smaterializzato il pavor svenuto incaricato di pedinarli per portarlo con loro in un tutto particolare weekend con il morto, bensì assistere (p a r t e c i p a r e) a quelle dinamiche fra fratelli. Era... assurdo. Era nuovo. Jericho era soltanto una neonata quando Bran-... Clarissa aveva fottuto le vite di tutti e tre, quindi non è che Nate fosse tanto abituato neanche allora alle relazioni fra il maggiore e la minore dei Lowell. Ricordava cosa volesse dire essere il fratello di Bran, aveva re-imparato ad essere fratello di Jericho, ma quello? Quella nuova combo era inaspettata.
    E bellissima.
    Sorrise portandosi il cannocchiale all'occhio (sempre d'effetto, e magico grazie alla sua abilità di vedere attraverso i muri e i mobili). Incredibile che ci fosse voluta tutta quella storia per renderli di nuovo una famiglia. Il sorriso sparì dalle labbra quando una figura passò davanti una delle finestre della cucina; nonostante le tende, Nate riconobbe la madre. Seguì la figura che andava a sedersi in salotto.
    «Quindi che vogliamo fare?»
    Già. Che volevano fare? Sarebbe bello dire che erano partiti lì con una strategia ma AH! Non l'avevano fatto!!!! Era Jericho quella dei piani, e lei si era già impegnata per mettere al tappeto il gentilissimo Daniel (Nate aveva preso un tè con lui il giorno prima; uomo simpatico ma di poche parole). Non propose ad alta voce l'opzione che gli frullava da un po' nella testa, ovvero di dire alle autorità la verità che sapevano su Clarissa Shaw (dopo averla rapita e portava al ministero viva), rendendosi conto prima di aprire bocca che sarebbe stato inutile; Bran era solo un capro espiatorio e - innocente o meno - avrebbe pagato per quella campagna del terrore. Se solo Nate fosse stato un po' più ambizioso e fosse stato un po' più influente al ministero avrebbe potuto dire di averlo tenuto lui sotto controllo mentre faceva i dovuti accertamenti al caso Lowell, che era stato lui a tenerlo nascosto stile programma protezione testimoni... e invece no, negli ultimi anni era stato un cazzone e non aveva mai cercato di scalare la piramide sociale, riuscendo addirittura a inamicarsi metà dei capi di reparto. Bravo Nate.
    «Clarissa è in sala, direttamente davanti all'ingresso. Dopo averla sbloccata uno di voi apre la porta di scatto come nei polizieschi, io immobilizzo Clarissa con la bacchetta e Jericho le entra nella testa se cerca di scappare. Dopo tocca a te» Brandon meritava più di tutti di avere delle risposte, e Nate sarebbe stato più che felice di lasciargli fare tutte le domande che voleva, evitandosi la cosa. «Le chiedi quello che ti pare, e poi via di omicidio; nessuna motivazione può giustificare-» Tirò giù il cannocchiale e guardò i fratelli. Un uomo adulto ancora sedicenne di cuore perchè non gli era stata data la possibilità di vivere metà della sua vita, recluso per un omicidio che non aveva commesso, e una ragazzina diventata una serial killer psicopatica che odiava tutti e uccideva a sangue freddo. Nathaniel non si sentiva molto più normale di loro. «Beh. Noi» puntò gli occhi su Jer. Di solito non parlavano del suo nuovo lavoro, ma questo non voleva dire che Nate non sapesse fosse brava in quello che faceva. «Preferisci entrare di soppiatto come un ninja dalla finestra? Ho la colonna sonora adatta anche per quello»
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    «ve lo dirò una volta sola,» Jericho assottigliò le palpebre, iridi zaffiro a bucare la videocamera interna del telefono. «primo, smettetela di inviare cuori. È disgustoso» un’altra pioggia di cuori seguì l’affermazione della telepata, la quale strinse i denti e chiuse gli occhi. Dio, odiava Instagram. Si sforzò di non leggere i commenti dei suoi seguaci nella live, testarda nel voler concludere il discorso prima di cedere all’impellente impulso di cancellarsi da ogni social e bruciare la casa di Zuckerberg. «secondo,» rinserrò la presa sull’iPhone, sentendo la gola dolere di rabbia e frustrazione. Neanche la tecnologia sapeva frenare l’indole violenta di Jericho Karma Lowell, visibile e palpabile a centinaia di chilometri di distanza da chiunque avesse accesso ad un apparecchio digitale. «piantatela di chiedermi come sto, non sono cazzi vostri» lo sguardo seguì pigro ed indolente i omg joke, stai bene?; #TEAM JOKERS siamo qui per te!!!; no, no: chi siete, e cosa volete dalla mia vita. Odiava che il Morsmordre l’avesse risbattuta in prima pagina buttandola in quella maledetta fossa di vipere dove il veleno era la compassione. Non tollerava quel genere di attenzioni, specialmente da quando la scala delle persone interessate a lei era notevolmente aumentata. Inspirò dalle narici, contando fino a dieci prima di soffiare l’aria bollente compressa nei polmoni. «mi rifiuto di essere definita dalle azioni di qualcun altro» umettò le labbra, socchiuse dolorosamente gli occhi. «sono jericho karma lowell, non la sorella di brandon. sono una giovane donna indipendente, e posso farvi il culo bendata e con le fottute mani legate dietro la schiena, e lo farei con il maledetto sorriso sulle labbra felice di fare pulizia non etnica – sapete bene quanto mi state tutti sul cazzo, odio tutti allo stesso modo. hashtag no lives matter.» sollevò un minaccioso indice verso la fotocamera. «non avete alcun diritto di rendermi simbolo di una crociata inesistente. Non voglio esserlo, e non lo sarò Una pausa, gli occhi a guizzare sui commenti. «la mia vita privata è un fottuto problema mio, non dovete giudicarmi in base a quello. Volete odiarmi? meglio, ma dovete farlo per me. volete amarmi? Masochismo, e vi reputo degli imbecilli, ma dovete farlo per me, non per quello che “ho passato”» mimò le virgolette alzando esponenzialmente il tono di voce, incapace di ingoiare la furia che la masticava e consumava dall’interno. L’opinione pubblica si era dimenticata in fretta dell’incidente dei Lowell, e raramente la notizia aveva influito sulla vita di una bambina, e poi adolescente, Jericho; il fatto che proprio in quel periodo fosse tornata a galla, l’aveva scagliata in un oceano dove nuotare era letale quanto lasciarsi sommergere. Troppe teste di minchia. La notizia era filtrata anche nel mondo babbano, chiaramente, ed aveva reso il fatto inappropriatamente recente malgrado fosse /avvenuto/ sedici anni prima. «volete commiserarmi?» rivolse un sorriso poco piacevole ai suoi fan, arcuando le sottili sopracciglia castane. Si avvicinò all’obiettivo fino ad occupare l’intera inquadratura, così che non fossero distratti dai passanti alle sue spalle – aveva già letto troppe entusiaste richieste sul far apparire Noah; mai errore fu più grande di quello di includerlo, talvolta e raramente, nelle proprie peculiari rubriche. Jericho aveva fatto i bagagli la sera del 28 Luglio, lasciando l’appartamento che condivideva con Xavier e le gemelle per trasferirsi dal trio Mystery; inutile specificare che non avesse rivolto parola al pirocineta da allora, e che avesse universalmente deciso di non voler affrontare la discussione né in quel momento né mai. Al primo e xav? aveva risposto chi? senza smettere di disfare il borsone; al secondo, aveva lanciato un coltellino sulla parete.
    Avevano smesso di fargli domande. «bene, ma sappiate che ovunque voi siate, vi troverò» battè languida le ciglia. «ucciderò tutte le persone che amate, e ve lo farò mangiare a colazione insieme ai cereali.» Un commento con troppe emoji attirò la sua attenzione: SEI TROPPO ADORABILE AAAAAAAAAA.
    Cristo Santo, erano più sociopatici di lei. Scattò indietro con la testa e si lasciò sfuggire un ringhio acuto. «e vaffanculo.» nel bel mezzo della piazza di New Hovel, Jericho lanciò il telefono verso l’alto e sparò un unico, preciso, colpo. L’iphone cadde a terra fingendosi ancora semi vivo, e la Lowell rimediò calpestandolo e schiacciandolo finché di lui non rimase che il torsolo.
    Tanto doveva disfarsene in ogni caso. Infilò il casco e salì sulla moto, lanciando un’occhiata inviperita a quella bestia di Daniel Turner, il quale fino a non troppo tempo prima era stato suo collega. Se Nathaniel non l’avesse convinta che ucciderlo sarebbe stata una condanna senza processo, Jericho avrebbe già danzato sulle sue interiora. «cross.» commentò solo, sapendo che lui l’avrebbe seguita fino alla pista dove la telepata si dedicava al mx. Lo faceva sempre.

    Calcò maggiormente il cappellino da baseball sui capelli castani, lo sguardo celato da uno spesso paio di occhiali da sole puntato su Brandon. Dopo essersi fatta seguire dal Pavor fino ad uno dei lochi abbandonati dal Signore conosciuti quasi esclusivamente dalla telepata, metterlo fuori gioco era stato a) un gioco da ragazzi b) un piacere immenso; chiedendo gentilmente telefono e mezzo di trasporto in prestito a due Samaritani impegnati in una /passeggiata/ nei sentieri adiacenti, aveva contatto Nathaniel, l’aveva aspettato, e con un’altra motocicletta aveva raggiunto il luogo di incontro deciso con i fratelli.
    Tutto molto bello, ma ora voleva il sangue. «non approvo» ringhiò per quella che doveva essere la settecentesima volta, scoppiando la bolla di chewing gum alla ciliegia fra i denti. Non le interessava sapere le motivazioni di Clarisse, voleva solo ucciderla.
    Lineare, semplice. «se uno di voi due stronzi inizia a fare il sentimentale, vi stacco la lingua» incrociò le braccia sul petto, il capo chinato verso il basso così da poter lanciare loro un’occhiata omicida da sopra le lenti. «il primo che esita perde un arto.» aveva bisogno che capissero, prima di entrare; che la prendessero sul serio, perché lei l’avrebbe fatto davvero: non bluffava. Al contrario di Nate e Brandon, i suoi ricordi di Clarissa erano sfumati e praticamente inesistenti, la maggior parte creati da una troppo fervida mente infantile. Ma loro? E conosceva Nathaniel, su cui piantò intensamente le iridi cerulee. «dì a tuo fratello che non scherzo.» gli indicò secca Brandon. Malgrado sapesse che fosse innocente, ancora non riusciva ad accettarlo. Era troppo gonfia d’odio per far posto a qualcuno – specialmente un qualcuno che odiava da tutta una vita. «se crederò che clarissa stia dicendo cazzate, faccio un fiocco con le sue corde vocali e le risposte dovrete prendervele direttamente dalla sua testa o chiedendo alla sua lapide» scrocchiò le dita ed il collo. «voi impieghereste troppo a seguirmi, e prima che possa rendermi conto dell’ambiente circostante, clarissa potrebbe scappare» chi l’avrebbe mai detto che sarebbe stata lei quella badger.
    Tutti. «la porta potrebbe essere chiusa a chiave» Prima che il maggiore si offrisse di sfondare la porta a spallate, sollevò un palmo fermando ogni genere di iniziativa. «ci penso io. ho visto un video su youtube» grazie telepatia per le capacità innate xoxo una fan. Rompendo i ranghi per avvicinarsi cauta alla porta, confidando che Nathaniel stesse osservando mamy per confutare possibili incanti difensivi o d’avviso, estrasse il proprio fidato coltellino svizzero e la forzò silenziosa come un membro della Yakuza. Click. Sollevò l’accenno di un sorriso verso il resto della fam, arcuando un sopracciglio a Nate: «vi cedo entrata e frase ad effetto» mimò con le labbra, un passo laterale ed un cenno con il capo alla casetta.
    «ma il primo dito glielo strappo io» onesto.

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  4. /psychosis
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    Al pari di una finale di campionato di pingpong, Brandon Lowell fece rimbalzare lo sguardo nocciola da Nate a Jericho e viceversa, così freneticamente che pensava prima o poi la testa gli si sarebbe staccata dal collo. Sì, va bene, il piano era fare fuori Clarissa Shaw e non pensarci più – vendicarsi di tutti gli anni che aveva fatto passare loro in quella maniera, del dolore inutile e le sofferenze vane a graffiare carne ed anima -, ma una parte di lui ancora non riusciva a credere che lo stessero realmente facendo: era stato incriminato per l’omicidio della madre, ma a quel punto, guardando la donna muoversi dietro le tende della sua stessa casa, poteva dire di non aver mai ucciso nessuno. Non che lo ricordasse, almeno.
    Voleva arrivare fino in fondo a quella faccenda, ma sarebbe una bugia dire che a quel suo “che vogliamo fare?” non si aspettasse una risposta diversa. Tipo: pokerino!!!&&
    Non ritenne giusto intervenire ulteriormente, annuendo ad ogni parola pronunciata dai due: era decisamente indubbio il fatto che loro sapessero farci molto più di lui, in situazioni del genere. Si fidava ciecamente delle loro idee e dei loro piani, senza nemmeno, praticamente, conoscere nessuno dei due.
    Deglutì, li seguì passo dopo passo senza fiatare. Avrebbe voluto, ma nonostante la situazione non lo meritasse il maggiore dei Lowell non riuscì a trattenere un sorriso felice, vedendoli così, davanti a lui.
    Reali, non più soltanto la fantasia sfocata di notti insonni. Nemmeno gli interessava che ancora lo odiassero, o che non riuscissero a comportarsi con lui come dei normali fratelli avrebbero dovuto fare tra di loro. Amava lui entrambi ed abbastanza per compensare il loro disprezzo.
    «vi cedo entrata e frase ad effetto, ma il primo dito glielo strappo io» gli… sembrava un patto equo? Credeva. Non lo sapeva, ma non era a quello che pensava mentre, più autorevole di quanto non fosse mai stato in vita sua, si fermò sulla soglia della casa della loro madre, voltandosi verso i minori. «se qualcosa dovesse iniziare ad andare male» iniziò, la voce abbastanza bassa da non essere un brusio per la Shaw, ma facilmente udibile per i suoi figli. «voi andatevene, lasciatemi qui» strinse le labbra tra loro, posando le iridi scure su quelle più chiare di Nath e Jericho. Considerato l’astio che nutrivano nei suoi confronti, probabilmente non ci sarebbe stato nemmeno da discuterci sopra – e forse era stato troppo pretenzioso lui, Brandon, a pensare che valesse la pena metterlo in chiaro. «potremmo non avere abbastanza tempo per pulire tutto, nel caso che arrivasse qualcuno e, beh» si strinse nelle spalle, voltandosi verso l’ingresso. «sono già stato incriminato per questo delitto» se fosse rimasto, avrebbe potuto prendersi tutte le colpe. Se fosse fuggito, avrebbero indagato troppo e trovato i segni del passaggio degli altri due. Era l’ultima cosa che poteva permettersi.
    Certo, non sapeva che sua sorella uccideva per lavoro e che quindi aveva, presumibilmente, tutto sotto controllo.
    Chiuse gli occhi, respirò profondamente; piegò il collo da una parte e dall’altra, cercando di focalizzare nella propria memoria l’immagine di suo padre – non un processo particolarmente difficile, considerando la frequenza in cui lui, Clarissa ed i loro figli visitavano i suoi sogni. Lasciò che i propri lineamenti si tirassero, che la pelle si piegasse in rughe d’età sotto gli occhi e attorno alle labbra – e che gli occhi divenissero più chiari, la statura poco più bassa. Fece qualche passo, e quando si guardò allo specchio dell’ingresso Zachary Lowell ricambiò la sua occhiata. Sorridente, e nonostante Brandon non avesse piegato le labbra non si stupì particolarmente di quella minuscola allucinazione; sperava sempre, lui, di poter ricevere nuovamente un segno d’affetto del genere da suo padre, consapevole che non era possibile.
    E che non lo sarebbe stato, dopo quella sera.
    Attento a non toccare nulla, in poco tempo fu nella sala nella quale Clarissa si era accomodata. Non la guardò, non voleva guardarla; lasciò che fosse lo sguardo di lei a cadere sull’ex marito, condannato ad una vita di isteria da lei stessa. Si sedette sulla poltrona davanti alla sua, e solo allora alzò lo sguardo su di lei. «cara, sembra tu abbia appena visto un fantasma. tutto bene?» oh, gliel’avevano concessa loro l’entrata ad effetto. «come darti torto,» continuò piegandosi in avanti, e così facendo lasciò cadere la maschera del padre che si era appena cucito in faccia, portando le iridi scure sul suo viso.
    E guardandola, buon Dio, aveva creduto si sarebbe ricreduto su tutto il piano. Era comunque sua madre, lo era stata per diciassette anni. Poteva… poteva quasi pensare di giustificarla.
    Sospirò, confidando gli altri arrivassero in tempo.
    Niente sentimentalismi, Brandon Keith Lowell: ti ha rovinato la vita. «ci hai uccisi tutti.»
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    «se qualcosa dovesse iniziare ad andare male» Brandon non aveva neanche finito la frase, e gli occhi azzurri della Lowell si erano già rivoltati nelle orbite osservando la propria calotta cranica. Uno: erano lì per uccidere la donna che li aveva messi al mondo e li aveva fottuti fingendo di essere morta; due: il Lowell maggiore era un ricercato, ed i minori seguiti giorno e notte da un Pavor.
    Dubitava che qualcosa potesse andare bene: non era esattamente l’idilliaco scenario da happy ending della disney, ma lungi da lei sprecarsi in più di cinque parole da rivolgere al fu-matricida. Poteva anche essere innocente, ma non si cancellavano diciott’anni di prese per il culo ed odio con un buffetto sulla guancia ed una pacca sulle spalle. «voi andatevene, lasciatemi qui» Sollevò entrambe le sopracciglia lanciando un’allusiva occhiata a Nathaniel: sapeva che l’anello debole di quella tripletta (poco) vincente era lui; voleva assicurarsi che, almeno su quel punto, fossero sulla stessa lunghezza d’onda.
    Certo che l’avrebbero lasciato lì. «potremmo non avere abbastanza tempo per pulire tutto, nel caso che arrivasse qualcuno e, beh, sono già stato incriminato per questo delitto» Voleva una medaglia al merito per quel gesto abnegante e coraggioso? Un bacio in fronte? Dalla Lowell più piccola, non avrebbe ottenuto nessuno dei due – per quanto la riguardava, stava solamente sottolineando l’ovvio. Si strinse anche lei nelle spalle, anticipando qualsivoglia stupida risposta di Nate con un «ovvio.» secco, e privo di spazio per repliche. C’erano almeno un centinaio di fattori che avrebbero potuto rovinare quella meravigliosa riunione di famiglia, e sarebbe stato ingenuo da parte di Jericho ignorarli – semplicemente, non le importavano: non aveva dubbi sul fatto ch’ella ne sarebbe uscita con le mani pulite ed invisibile agli occhi delle autorità; confidava che Nathaniel fosse abbastanza sveglio da trovare un suo personale, e presumibilmente eccentrico, piano B.
    Brandon Keith Lowell non era un suo problema – ed aveva già deciso che avrebbe funto da capro espiatorio, no? Benissimo così.
    «ma che-» osservò il corpo del metamorfo cambiare forma, assumerne una dolorosamente familiare; malgrado avesse assistito alla trasformazione, e di conseguenza fosse a conoscenza che sotto il viso di suo padre ci fosse Brandon, non potè impedirsi un istintivo battito accelerato accompagnato da un passo all’indietro. Lo guardò battendo lenta le palpebre, la bocca spalancata in segno di incredulità. Cioè, davvero? «- cazzo non va in te?» sibilò, palpebre assottigliate, sentendo le nocche premere per frantumargli il naso.
    Zachary Lowell faceva più male a loro, che non alla donna che gli aveva fritto il cervello. Non battè le mani complimentandosi per la scelta di merda del maggiore, solamente perché era stata lei a demandara un’entrata ad effetto: si annotò di essere più fottutamente specifica, la prossima volta.
    Sì, la prossima volta. Chissà quanti altri parenti avevano da trucidare nella death-low/hell-list. Oramai si aspettava anche che Zac fosse, anziché in un centro psichiatrico, alle Maldive a sorseggiare succo di cocco direttamente dal guscio.
    Non ci si poteva più fidare di un cazzo di nessuno, in quel mondo lì. Ruotò ancora gli occhi al cielo, sussurrando un scettico – e già esasperato - «possiamo uccidere anche lui?» verso Nathaniel. Il mezzano avrebbe dovuto fare particolarmente attenzione alla risposta: in un battito di ciglia, Jericho avrebbe potuto decidere che anche lui fosse di troppo, ed abbandonare la casa in solitaria lasciandosi alle spalle una scia di sangue del suo sangue.
    Quasi senza rimorso alcuno, per giunta. «ci hai uccisi tutti.» Ecco da chi aveva preso la propria nota melodrammatica Nathaniel Henderson. Grugnì sotto voce, togliendo la sicura alla pistola ed inserendo il silenziatore; entrò in casa senza guardarsi realmente attorno, recettiva solamente a, se fosse stato necessario, papabili vie di fuga. Ignorò le foto incorniciate sui muri; ignorò il profumo di fiori e di tè che pareva trasudare dalla carta da parati.
    Entrò nel salotto dove Brandon aveva già messo all’angolo, quasi letteralmente, Clarissa Shaw. A favore di Jericho, c’era da dire che nel vedere sua madre, non si scompose: non trasalì, non perse la calma, non si sciolse in suppliche lacrimevoli e, soprattutto, non ricadde nel vortice flash back che disturbavano i suoi sonni da quasi tutta la sua vita.
    A suo svantaggio: «ho già dimenticato il piano» fredda, distaccata. Sollevò la canna della pistola verso la testa della madre, agognando già il momento in cui la pallottola le avrebbe perforato il cranio, ed il suo cervello – sempre che ce ne fosse – avrebbe decorato i muri. Sorrise perfino, del tutto a proprio agio nel freddo del metallo sotto al palmo. «un passo, e sparo» avanzò nella sua direzione, il braccio allungato di fronte a sé; fece un cenno con il capo a Brandon perché tirasse maggiormente le tende della finestra, così da oscurarli completamente dall’esterno. «un sobbalzo, e sparo» Guardò negli occhi di sua madre, e non sentì niente - un cazzo di niente. «azzardati a piangere, e ti scuoio viva» masticò piano le parole saggiandole sulla lingua, concedendole l’ennesimo, piatto, sorriso di circostanza. «un respiro più profondo del necessario, e sei morta. ¿entendido?» Non distolse lo sguardo dalla donna, ma le parole successive non furono più dirette a lei. «nate, se vuoi chiederle qualcosa, fallo prima che perda la pazienza e le spari.» tornò a rivolgersi alla madre, stringendosi debolmente nelle spalle. «sì, c’è anche questa possibilità.» La pistola pesava, eh. Fatele causa.
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    «vi cedo entrata e frase ad effetto»
    E Nathaniel pensava di essere pronto, per queste cose. Pensava che sarebbe stato facile - divertente - entrare nella casa della donna che aveva rovinato loro la vita e dire qualcosa di incredibilmente badass e iconico. Si era preparato, a quel momento, era stato notti con gli occhi aperti a fissare il soffitto di camera propria chiedendosi cos'è che avrebbe detto il protagonista affascinante e incompreso che tutti amavano, quale sarebbe stata la frase perfetta che tutti avrebbero ricordato e pinnato, che avrebbero scritto sui diari di scuola pensando "cavoli, perchè non ci ho pensato prima io?".
    Ma quando si ritrovò nella situazione di dover far uscire quelle parole, quando si ritrovò davanti a lei a meno di due metri, in carne ed ossa e senza occhiali e giornali finti o finestre a separarli, non ricordava più niente. "E' una bugiarda. E' un'assassina. Ha praticamente ucciso papà - ha praticamente ucciso anche Brandon, suo figlio. E' Artemis Castle, è un mostro".
    Ma era anche sua madre.
    Come poteva dire qualcosa come "Tutti quelli che hanno finto il proprio omicidio almeno una volta alzino la mano!" a lei?
    Con la gola secca, per qualche istante Nate si estraniò dalla scena che stava capitando attorno a lui. Sua mamma che raccoglieva fiori in giardino, che si voltava sorridente verso di lui, che gli preparava la merenda, che medicava una ferita sul ginocchio-...
    «cara, sembra tu abbia appena visto un fantasma. tutto bene?» sollevò di scatto la testa verso Brandon. «come darti torto, ci hai uccisi tutti.» Almeno qualcuno di loro aveva avuto l'audacia di tirare fuori la frase ad effetto, visto che lui non trovava niente di intelligente da dire. Si limitò a osservare l'interno della casa - dannatamente... familiare. Aveva una poltrona uguale nel proprio ufficio, o era una sua impressione?
    Tutto quello a cui riusciva a pensare, era che aveva costruito la propria vita - e la propria relazione con Jericho - su una bugia. Fece schioccare le dita, a disagio per l'assenza di anelli dopo più di dieci anni che li aveva portati; aveva iniziato a farlo dopo aver rubato dalla casa dove era cresciuto il portagioie di sua madre, per sentirla sempre vicina, e quattro anni fa aveva regalato alcuni di quei gioielli a Jericho. Le aveva anche regalato un libro usato con una dedica di loro padre per Clarissa, libro che Nathaniel aveva sempre considerato fra i propri averi più preziosi. Aveva iniziato a leggere, diventando il topo da biblioteca che era, cercando un punto d'incontro con sua madre morta, dopo aver fallito nel giardinaggio. Il proprio ufficio, e la propria aula a hogwarts, erano arredati come il salotto della casa dove era cresciuto. "A Jericho piacerà", si era detto quando aveva preso la cattedra e aveva osservato orgoglioso il proprio lavoro. "Penserà che sto facendo uno sforzo per rimediare".
    Uno dei suoi passatempi preferiti, il suo look, i suoi gusti, la sua vita si basava su un lutto che non avrebbe mai dovuto piangere, sull'omaggio di unadonna che non era mai esistita, che aveva distrutto l'esistenza di una famiglia in cinque minuti scarsi, inscenando un omicidio. Quanto c'era di vero, in Nathaniel, e quanto c'era di Clarissa?
    Umettandosi le labbra, lasciò che Jericho facesse le proprie premesse, voltandosi invece a guardare i mobili della casa, allungando una mano (ma senza toccare nulla) verso i libri , i soprammobili... cristo, sembrava casa propria, versione casalinga.
    «nate, se vuoi chiederle qualcosa, fallo prima che perda la pazienza e le spari.» si voltò lentamente verso la sorella, lanciando poi uno sguardo alla donna seduta che ancora non aveva parlato, paralizzata. Chissà se si era aspettata che i propri figli sarebbero mai arrivati; chissà se aveva vissuto gli ultimi dieci anni sperando lo facessero. «sì, c’è anche questa possibilità.»
    Sollevando il mento, si avvicinò a sua mad- a Artemis Castle, osservandola dall'alto in basso. La donna aveva ancora gli occhi puntati su Zachary, e Nate si rese conto che dovesse essere l'unica cosa davvero a sconvolgerla.
    Clarissa Shawn non aveva idea di che faccia avessero i propri figli (o che Brandon fosse un metamorfo, se era per quello) e quello gli diede fastidio. Per quanto amasse il ricordo di suo padre, i Lowell erano lì per loro stessi, non per lui.
    «Nathaniel» si indicò. «Jericho. Brandon» fece gesto verso i due fratelli. «Zachary non poteva venire - non so se hai sentito, ma il suo cervello si è ridotto ad una nocciolina, dopo la tua morte -, quindi Bran ha pensato bene di prendere il suo posto» e con Jericho conveniva fosse un'idea del cazzo. Se non ci fosse stata la madre a attirare tutta la sua attenzione, si sarebbe concesso di soffrire anche con il padre. Brandon capiva quanto fosse fottutamente difficile per Nate e Jericho vederlo così, quando sapevano che non sarebbe mai potuto capitare niente del genere? Era mai andato a trovarlo in ospedale, aveva mai visto la confusione nei suoi occhi? L'aveva pregato di tornare, di esserci, e aveva ricevuto in cambio il fischio sommesso di un uomo che non riconosce il proprio figlio e che perde la sua custodia perchè non può prendersi cura di lui?
    «Io-» Nathaniel si schiarì la voce, e tornò a parlare per coprire qualsiasi frase avrebbe detto la donna sulla poltrona. Non era certamente pronto a sentirla pregare o scusarsi o qualsiasi altra cosa. «hai ragione: azzardato da parte mia assumere ti ricordassi i nostri nomi. Siamo- eravamo i tuoi figli. Sorpresa! Presentazioni fatte, immagino tu possa immaginare cosa ci facciamo qua» sollevò un sopracciglio «Diciamo che non è da tutti resuscitare, quindi abbiamo convenuto che tu non fossi mai morta e basta» Aveva ancora la bacchetta in mano, nonostante non gli fosse servito per immobilizzare la donna e Jericho avesse tutto sotto controllo, e con un sospiro la puntò con lentezza su Artemis. «Avrei usato la Legilimanzia, ma sai cosa? Non credo mi vada» sfiorò con la punta della bacchetta la tempia della signora, e lei sobbalzò leggermente. «Donna di poca fede», mormorò con un sorriso a fior di labbra, e senza indugio iniziò a tirare fuori i ricordi, mentre con l'altra mano frugava nel giacchetto alla ricerca delle fiale dove li avrebbe contenuti.
    «Nathaniel-» «Ah!» chiuse gli occhi, continuando il lavoro e infilando le stringe argentate nella boccetta di vetro. «Non ora. Sono impegnato, signora Castle.» dopo qualche secondo, puntò lo sguardo su quanto aveva raccolto, scuotendo leggermente le fialette fra le dita. Le ripose con cura nelle tasche interne del completo. Tornò con gli occhi sulla donna. Sarebbe stato molto più facile andarsene e basta, voltarle le spalle e aspettare di trovare il coraggio per guardare quei ricordi, ma erano arrivati fino a lì, e dovevano andare fino in fondo. «Adesso» allargò le braccia con le labbra incurvate gentilmente. «Puoi provare a dirci perchè cazzo ci hai rovinato la vita. Direi che hai» prese l'orologio dal taschino «Due minuti, prima che Jericho perda la pazienza» probabilmente meno, ma voleva sperarci.
    «Voi non-... voi non capite...» Nate si passò la lingua sulle labbra, rendendosi conto che aveva scordato il suono della voce di sua madre. Pensava che a sentirla parlare gli sarebbero tornate in mente tutte le favole della buonanotte, tutti i "Nath", ma era soltanto una donna; poteva star parlando chiunque. Un po' la cosa lo rasserenò: sarebbe stato più facile ascoltarla ed essere obiettivo sulle sue ragioni.
    «Sospetto il tempo sia scalato ad un minuto»
    Clarissa guardò a destra e a sinistra. Cercava una via di fuga? «Non avrei mai dovuto restare così a lungo con voi... la Missione era più importante-... vi avrebbero fatto del male»
    Alzò gli occhi al cielo. Erano i vaneggi di una donna con una pistola alla tempia, non erano risposte. «Trenta secondi. Quale missione»
    «Io... non posso dirvelo» Servizi segreti? Mafia? Nate non pensò di indagare più a fondo su quello; l'avrebbe comunque scoperto dai ricordi, e sicuramente non era niente che l'avrebbe scusata dal suo comportamento.
    «Potevi andartene e basta, se proprio dovevi. Perchè inscenare tutto ciò»
    La donna rise nervosamente «Non potevo andarmene e basta, sono dovuta sparire. Per sempre. Nessuno avrebbe mai dovuto cercarmi, col rischio di trovarmi»
    Nathaniel si strinse nelle spalle. «Ma perchè incastrare Brandon con un omicidio?»
    «Era magonò, era malato, ho pensato-» Nathaniel socchiuse la bocca, esterrefatto, e Clarisse dovette accorgersi di quanto le proprie parole suonassero ciniche, perchè si voltò verso il maggiore dei figli. Nate scosse la testa. Non era certo di cosa si sarebbe aspetto - forse un "non doveva andare così" sarebbe stato utopico... di certo però non credeva che sua madre avrebbe ammesso di aver fatto cadere la colpa della propria morte Brandon con tanta semplicità, e per una ragione così meschina.
    «L'hai sacrificato... per credibilità» Si passò nervosamente una mano fra i capelli, scoppiando a ridere isterico. «Hai buttato tuo figlio ad Azkaban per un matricidio, perchè sapevi che era il perfetto capro espiatorio, che la gente ci avrebbe creduto senza problemi, che nessuno avrebbe indagato troppo» un secondo prima gli occhi erano al soffitto, le labbra a tremare in un sorriso, e un secondo dopo Nahaniel era addosso alla donna, una mano a stringerla per il colletto e l'altra a puntarle la bacchetta al cuore. Nathaniel non credeva che a farlo scoppiare sarebbe stato quello, fra tutto. Perchè era un magonò, perchè era malato. Aveva gettato Brandon nella fossa dei leoni perchè non era perfetto, perchè era un cittadino - un figlio - di classe B. «Dammi una cazzo di ragione per non torturarti adesso, Clarissa o Artemis o quale cazzo è il tuo vero nome»
    Gli occhi della madre erano di nuovo su di lui, più spaventati adesso. «Ho una figlia»
    Nathaniel strinse più forte la presa; aveva visto le foto di una ragazzina nelle cornici, ma non gli interessava al momento. Alzò il tono di voce, la rabbia - gelosia? - sputata in ogni sillaba: «Tu ne avevi tre, di figli! TRE! NOI!»
    Con poca grazia smollò la presa, allontanandosi all'indietro una mano sulla faccia, lo sguardo a vagare ovunque che non fosse la donna perchè temeva avrebbe finito per picchiarla, ma non era certo che si sarebbe fermato una volta cominciato. «Mi dispiace per Zachary, non pensavo-»
    «Ti dispiace per Zachary», ripetè in un sibilo, mentre lentamente tornava con lo sguardo su di lei. «Ti dispiace per Zachary?» Allargò le braccia, le riportò alla testa stringendo ciuffi di capelli fra le dita non sapendo dove altro metterle. Con quale coraggio- quale. Coraggio-...«Come osi Come poteva dire che le spiaceva per Zachary davanti a Jericho, davanti a lui, davanti a Brandon? «Ti rendi minimamente conto di cosa ci hai fatto passare?» non solo sua madre era una bugiarda, ma era un mostro. Nate aveva sempre pensato che Brandon dovesse nascondersi in casa, dovesse andare dagli zii per farsi curare, che i suoi genitori lo avessero fatto per il suo bene o, al più, almeno credendo di star facendogli un favore... invece, a quanto pareva, clarissa era solo una razzista di merda e un'egoista.
    Espirò, cercando di riprendere la calma, e riabbassò le mani per sistemarsi la giacca. C'era un limite alle stronzate che poteva sopportare in un'ora.
    «Ok» «Nathaniel, non-» «Io ho finito» Tornò a osservare le credenze gli oggetti esposti nelle vetrinette, ignorando volontariamente la foto di Clarissa con una bambina. «Brandon, chiedile cosa ti pare, poi la facciamo finita»
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    Le tende scure e pesanti, mediocremente ricamate; la carta da parati di un’asettica – e, a dire di un Brandon che di interior design non capiva poi molto, di pessimo gusto - fantasia a righe; i mobili di legno classici, costernati di altrettanto banali gingilli posati su centritavola. Quello stile - quella semplicità - gli era così familiare da bruciare gli occhi e mordergli le viscere, una tenaglia morbida quanto famelica: eppure, incapace di resistere dal guardarsi intorno, il maggiore dei Lowell non poté non notare quanto tutto quello fosse poco nelle corde di Clarissa Shaw. Forse era soltanto una sua impressione, ma ogni dettaglio dell’arredamento pareva gridare a gran voce l’agognato anonimato della donna, una continua fuga che aveva iniziato sedici anni e mezzo prima e che si sarebbe conclusa grazie ai suoi stessi figli. Avrebbe voluto riderne, il metamorfo, davvero - a pieni polmoni, divertito come raramente gli era capitato di esserlo dacché la latitanza della madre era cominciata: non lo trovava forse esilarante anche lei, che fossero entrambi ridotti alla macchia? Che bella chiacchierata che si sarebbero potuti fare, davanti ad una fumante tazza di tè caldo ed un vassoio di biscotti alla vaniglia appena sfornati! Non voleva nemmeno immaginarlo. Invece si ritrovò con la mandibola così tanto serrata da fargli male, talmente distratto dalla tappezzeria da non accorgersi nemmeno dell’arrivo dei suoi fratellini.
    O di come la situazione fosse velocemente evoluta, vista la pistola di Jericho puntata contro la testa della mammina e le presentazioni di Nath. Alzò la mano in un diplomatico cenno di saluto quando lo chiamò in causa, dipingendosi un sorriso di circostanza sulle labbra, e subito si pentì di non essere rimasto incantato a guardare quanto fossero terribilmente inquietanti le bambole di porcellana su uno degli scaffali più in alto – il posto migliore, per delle creature così malvagie. Non riusciva a guardarla senza temere di scoppiare da un momento all’altro: la odiava, la odiava con tutto il cuore, ma gli era impossibile essere freddo e distaccato, coerente con il suo stesso disprezzo. In momenti come quello, non gli sarebbe dispiaciuto essere davvero lo psicopatico che tutti credevano lui fosse: si sarebbe stretto tra le spalle con fare innocente alla menzione sul padre, perché cosa volete che gliene fottesse del suo cervello?; si sarebbe sistemato più comodamente sulla poltrona, come se fosse il re di quella valle d’anime perse e quello il suo trono, le gambe accavallate ed una gelida piega a tagliare le labbra; avrebbe ascoltato i suoi balbettii ad occhi socchiusi, lo stonato assolo di un violino che concludeva il suo ultimo concerto, solo per godere di quell’angoscia che precedeva la fine.
    Ebbe invece appena il tempo d’udire il nome di Zachary Lowell, che si ritrovò a battere le mani sui braccioli della propria postazione ed alzarsi, risoluto ed incapace anche soltanto di provarci, a fare la figura dello schizzato.
    Senza dubbio non era un pericolo pubblico, un fuori di testa armato dalla testa ai piedi di cui avere paura se incontrato per strada – era più il ragazzo della porta accanto, sostituendo però porta con gabbia e ragazzo con ippopotamo a tempo indeterminato -, ma non poteva fingere che dieci e più anni di manicomio non gli avessero fottuto il cervello: pensava troppo o non pensava affatto prima di fare qualcosa, cadendo spesso e volentieri nella scelta meno consona ed opportuna. Impersonare il padre per suggestionare la madre gli era parsa un’idea geniale, e non si era affatto soffermato sul feedback che avrebbe avuto sui fratelli, o su se stesso; voleva soltanto farle male, e più di vedere il marito sebbene consapevole un lusso del genere non le sarebbe mai più stato concesso, non sapeva come altro ferirla. Il solo menzionare l’uomo, però, aveva fatto più male a lui di quanto potesse averne causato a lei. Bel lavoro, Bran.
    Si sentì a disagio dal primo passo mosso senza una meta, allontanandosi dalla scena del futuro crimine per ispezionare la stanza. Voleva unicamente evitare di guardarla, ritrovandosi invece davanti a più foto della sua nuova famiglia di quante si sarebbe aspettato: in quella che era stata la loro villetta, non ne aveva mai tenute così tante. Pensò che facesse parte del suo piano, qualunque questo fosse, di depistaggio – più testimonianze hai di una vita, meno bisogno avrai di nascondere quelle di una a precederla -, ma non riuscì a non esserne infastidito: se soltanto rompergliele tutte non avrebbe suggerito un movente, le avrebbe spaccate una ad una, lanciando le cornici per casa ed i vetri sulla fu Shaw. Ecco, già il semplice contenersi denominava una certa sanità mentale - no? Con la candida curiosità di un bambino distratto ed iperattivo, che in un modo o nell’altro doveva canalizzare la propria furia devastante, preferì giocherellare con tutti i soprammobili di cui era provvisto quel salone, piuttosto che guardare Nathaniel mentre prendeva parte dei ricordi della madre, beandosi di polpastrelli in grado di modificarsi e di non lasciar traccia d’impronte digitali: aveva letto fin troppi libri polizieschi, Brandon Keith Lowell. Non lo avrebbero fregato in quel modo - non quella volta. Ed avrebbe volentieri, per lo stesso motivo, distrutto quelle provette che l’Henderson aveva già riposto nelle tasche del completo, se non l’avesse fatto lui in seguito: per quanto non fosse stato nemmeno invitato alla visione di “Memorie di una Bagascia”, non aveva alcuna voglia di sapere cosa avesse fatto in tutti quegli anni, ma legittimava gli altri a voler conoscere quei segreti; ciò che non avrebbe permesso, era che qualcuno cogliesse suo fratello con le mani nel sacco. Come avrebbe giustificato la loro presenza nella sua vita? , stava decisamente correndo troppo con l’immaginazione, ma voleva troppo bene ai suoi fratelli perché rischiassero di passare anche solo un terzo di ciò che aveva passato lui.
    Portò nuovamente l’attenzione sulla propria famiglia solo quando sentì dire, da Artemis Castle, che loro non potevano capire. Sollevò le sopracciglia, si poggiò contro la credenza; certo che non potevano capire. Temeva che anche se avesse tentato di spiegarlo – come tentò in seguito accennando ad una missione -, avrebbe fatto fatica a comprendere come, per amor del cielo, fosse possibile distruggere una famiglia così. Non li aveva separati, non avevano pianto la sua morte in maniera sana; aveva preso anni interi impiegati a costruire una famiglia, un marito, tre figli e la dignità dei Lowell, e li aveva legati sotto ad un pacco di dinamite grande quanto la loro stessa casa. Non una singola cosa era sistemabile nella loro esistenza, e nulla li avrebbe aiutati a capire il perché.
    Continuò ad ascoltarla per puro interesse scientifico: standole lontano riusciva quasi ad essere più razionale sulla faccenda, aspettando soltanto il momento in cui se ne sarebbero andati di lì ed avrebbe provato a ricostruire qualcosa con chi aveva perso, e ai quali teneva davvero; d’altronde, tutto ciò che stava dicendo peccava di senso. Fu in grado davvero di farsi scivolare tutto addosso, fino a quando: «era magonò, era malato, ho pensato-»
    Volle riderne, sentendo sulla punta della lingua l’acido sapore di un pianto esilarante ed isterico, ma non ci riuscì. Ebbe soltanto più consapevolezza del battito nel proprio petto, assurdamente piatto - quasi inesistente -, dei polmoni che nel riempirsi e nello svuotarsi alzavano appena il torace. Deglutì, fissando negli occhi la madre quando cercò nei suoi… cosa? Nel dubbio, fu il nulla più assoluto ciò che trovò riflesso nelle iridi caramello.
    Si era aspettato un commento del genere, una simile giustificazione, ma non era decisamente preparato quanto avrebbe voluto esserlo. Lo colpì in pieno petto, come una pugnalata a cercare il muscolo cardiaco tra le ossa, richiedendogli tutta la forza e concentrazione di cui disponesse per non urlarle contro, per non uscire di testa - cosa che probabilmente sarebbe accaduta già da diversi minuti, se solo non avesse avuto Nathaniel o Jericho lì con lui. Non sapeva nemmeno se fosse l’urgenza di fare una buona impressione su di loro a mantenerlo quieto, o se era merito loro e basta: ricordava la prima crisi d’identità che avesse mai avuto, così come ricordava che gli occhi celesti del fratello gli avessero fatto da scialuppa di salvataggio. «nath…» ti prego, smettila. Cercò lo sguardo di Jeco, senza nemmeno sapere cosa voler comunicare con lei – tanto l’avrebbe capito da sola con la telepatia, se solo l’avesse voluto, quanto Nathaniel lo stesse facendo sentire involontariamente peggio. Non aveva davvero bisogno continuasse a ripetere che era stato solo carne da macello agli occhi di Clarisse, e gli si strinse il cuore a vederlo gettarsi su di lei in onore del torto che gli era stato fatto – o almeno, così gli piaceva credere. Non era ancora sicuro di ciò che i fratelli provassero nei suoi confronti, e per quanto ne sapeva quella del mediano poteva essere solo una furia egoistica: non era sua intenzione negargliela, ne aveva ogni diritto. Chiuse gli occhi, inspirò; più cauto, tentò ancora una volta di richiamare suo fratello – inutilmente, ma almeno ci aveva provato. Quando decise di averne abbastanza, fu lui stesso ad allontanarsi da lei, lasciandogli la parola.
    In quel momento, si accorse di non avere alcunché di intelligente da dirle: era già stato detto tutto quanto. Per quanto lo riguardava, a quel punto, potevano davvero farla finita. Si morse le labbra, senza muoversi di un centimetro dalla sua posizione. «per diciassette anni -» scosse la testa, sorridendo al pavimento. «mi hai tenuto chiuso dentro casa per diciassette anni, e non ho mai detto niente: mi andava bene, perché avevo comunque tutto ciò di cui avevo bisogno, anche se lo trovavo particolarmente ingiusto. mi sono detto che per il bene della famiglia, per non accollare ai miei fratelli il peso di uno sbaglio non desiderato, potevo sopportarlo. ho fatto sempre tutto ciò che mi chiedevi, sono sempre stato un ragazzo a modo.» si grattò un sopracciglio, le dita a tremare appena. «non ho mai fatto un fiato su tutto ciò che gli zii mi facevano, ammalandomene piuttosto che darti altri dispiaceri – e sai perché? perché avevo a cuore la nostra famiglia, ed avevo a cuore te. ti ho pianto solo dio sa quanto; ho passato tredici anni tra prigioni, manicomi e laboratori a torturarmi perché avevo ucciso una delle persone che amassi di più al mondo.» non sapeva nemmeno perché glielo stesse dicendo. Non aveva un filo logico da seguire - voleva soltanto che lo sapesse. «una parte di me non riesce ad avercela con te, lo sai?» si strinse nelle spalle, una piega mesta a piegare le labbra. «perché pregavo sempre che tutti si fossero sbagliati, che non ti avessi davvero uccisa – ma erano speranze a vuoto, uno stupido ed egoistico bisogno di sentirmi meno di merda. mi piaceva fingere di essere in un terribile incubo infinito, e che prima o poi mi sarei risvegliato e sarei tornato ad intagliare il regalo di nath, ed a preparare la cena per jeco. ed ora, per motivi che non puoi dirci -» «non-» alzò una mano, intimandole di tacere. «e che non mi interessano nemmeno, quindi tranquilla: il danno ormai è fatto -» davvero: sticazzi. Era partito con la necessità di capire molte cose, Brandon Keith Lowell, ma a quel punto non ne valeva la pena. Tutto fiato sprecato, e tempo in meno per loro di fuggire via di lì. «sono ricercato in tutta la gran bretagna perché sono un fuggitivo matricida e sociopatico; ho anche una taglia sulla mia testa, vivo o morto. fico, no?» uno spasso.
    «quindi ho… soltanto una domanda per te.» deglutì, staccandosi dalla credenza. Mise le mani in tasca, ed accennò solo qualche passo – non verso di lei, non voleva nemmeno avvicinarcisi. «ci hai mai voluto bene? ci hai mai amati?» «cosa?» non ebbe bisogno di vederla, gli occhi scuri puntati sulla cornice della porta da cui erano entrati poco prima, per immaginare l’espressione della Shaw: bocca socchiusa a cercare aria, sopracciglia arcuate per la sorpresa e l’offesa mossa nei suoi confronti, gli occhi sgranati. L’aveva colta sul vivo, indispettendola. «certo che vi ho voluto bene. vi voglio bene, ma-» «eeeergh!» mimò il suono di un pulsante da show televisivo, piegando il capo verso di lei. «risposta sbagliata.» non le credeva.
    Lo avrebbe probabilmente fatto, minuti addietro – prima che cercasse scappatoie davanti a tutti e tre, che decidesse che inventare balle fosse la mossa migliore per pararsi il culo. Se avesse detto di no, sarebbe persino stato propenso a perdonarla – sarebbero stati estranei a partire da quell’esatto momento, pedine sacrificate sulla stessa scacchiera da giocatori opposti. Così era solo peggio. Come Marzio delle Sailor Moon, il suo lavoro era concluso, senza aver effettivamente fatto nulla. «io ho finito, e grazie di essere venuti al mio ted talk; jericho, è tutta tua.»
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