IV lezione di CDCM + (V) Strategia & Scherma

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    wednesday & friday de thirteenth
    wendy&fray
    «Buongiorno»la bionda prese in mano la tazza di caffè ancora fumante, ne aveva davvero bisogno, essere una paladina della giustizia notturna, in vero stile Batman, la stava uccidendo. «Essere Wando il guerriero della notte è stancante»
    «Sul serio continui a chiamarti in questo modo?» intervenne la sorella seduta al suo solito posto a fare colazione. La bionda la guardò male «beh allora avresti un altro nome da suggerirmi?» si mise a sedere davanti a lei, sorseggiando la sua tazza calda.
    «No. Ma quello non si può sentire.»
    «Beh allora senti qua» Quello era un argomento molto serio per lei, aveva un blocknotes con tutti i nomi ai quale aveva pensato e lo estrasse dalla tasca «C'è Wando il vendicatore»
    «no»
    «Wando il nottambulo»
    «Sul serio Wendy?»
    «e va bene allora che ne pensi di Wando il punitore»
    «Ok, cancella anche questo. Dobbiamo andare a lavoro»
    «Ma non finisce qui!» disse la bionda chiudendo il quadernino per poi metterlo in borsa; aveva molti altri nomi da proporre. Ah, se ci fosse stato Sandy probabilmente avrebbe trovato subito un nome adatto a lei, anche se forse avrebbe usato qualcosa per prenderla in giro a lei sarebbe piaciuto e avrebbe scelto quello; ma non c'era. Gli mancava, già perché anche se era uno stronzetto, era pur sempre suo fratello.
    «E se»
    «No.»
    «Non mi hai neanche fatto finire»
    «Non ti chiamerai Wando il distruttore»
    «Va bene.»
    La bionda si mise la giacchetta e seguì la gemella, avrebbero fatto lezione insieme e si erano preparate fin nei minimi dettagli e a dirla tutta era stato un miracolo che fossero riuscite a prepararla, diciamo che avevano l'attenzione di un pesciolino rosso le due ragazze, specialmente insieme. («Ok, se spostiamo questo qua, dovrebbero capirlo» - «Ma secondo te, questo vestito mi fa grassa?» -«Sei Wando lo sai?» - «cosa?» - «e comunque sta meglio a me» - «sei Fred lo sai?»). Provavano a essere normali, specialmente da quando quel governo era al potere, ma erano pur sempre le De Thirteenth e non riuscivano neanche ad andare al cinema senza combinare guai; ma questa è un'altra storia. Si erano ripromesse di andare avanti, di non farsi abbattere dalla scomparsa del fratello; ogni tanto pensava che fosse morto ma era sicura che lo avrebbe capito, cioè anche se non erano gemelli erano una famiglia, se fosse successo qualcosa a Sandy lo avrebbe sicuramente sentito, forse; di solito con Fray funzionava.

    «Buongiorno a tutti» sorrise sulle scale dell'ingresso ammirando tutti gli studenti presenti, pronti per quella lezione o forse no, ma una cosa era certa si sarebbe divertiti quella volta. Avrebbero rischiato la vita? Forse. Ma lo avrebbero fatto divertendosi, quale miglior modo di morire se non col sorriso. «Vi starete domando come mai ci troviamo ai cancelli. Questo perché faremo una gita. Siete contenti? » domanda retorica e anche molto inutile, non c'erano sguardi felici, anche se era davvero difficile vedere qualcuno contento in quel periodo o in passato; insomma era sempre una mainagioia. «Spero che abbiate portato tutto nello zaino, come specificato nella pergamena che vi è stata recapitata. Specialmente acqua, non vorrei che moriste disidratati dove andiamo. Cioè non è detto, insomma non è pericoloso, almeno che non cadiate in un burrone, non che sia possibile eh. » era entrata nel panico e non riusciva più a riprendersi di quel passo doveva assolutamente dire qualcosa per far stare tranquilli gli studenti o se stessa, non voleva sentirsi in colpa per loro. «ma buongiorno a tutti. Pronti per questa bellissima gita?» stava sudando freddo, davvero, quei ragazzi gli mettevano ansia, non era pronta davvero, ma ormai era tutto organizzato «beh, Fray dopo di te»
    Attirando l’attenzione su di sé, Friday De Thirteenth picchiettò sul Panama in paglia indossato per l’occasione. Nel suo completo cachi, con la camicia bianca ed il sottile cravattino blu, Fray pareva la copertina di una rivista per pubblicizzare ai ricchi le attrattive dell’Africa centrale – aka: probabilmente inadatta al lavoro sul campo, ma bella da guardare – e non poteva certo mancare il copricapo per eccellenza. Sorrise agli studenti osservandoli uno per uno, trovando quasi troppo assurdo che non indossassero la divisa – sembravano così… stupido da dire, ma veri. Quando ci si ritrovava dall’altra parte della cattedra, i ragazzini cessavano di essere ragazzini e diventavano fogli bianchi sui quali prendere appunti; era assurdo pensare che avessero sogni ed ambizioni, segreti e cotte per i propri compagni. Vite tutte loro. «buongiornissimo, giovanotti e giovanotte. Oggi sarò la vostra supplente di strategia e scherma» si tolse il capello in un breve ma significativo inchino, sentendosi in dovere di specificare che , l’avevano spostata ad una nuova cattedra: c’era crisi. «mentre la professoressa blon-de thirteenth, come l’anno precedente, supplisce la cattedra di cura delle creature magiche» battè le mani fra loro sollevando il proprio zainetto, invitando gli studenti a fare lo stesso. «prima di partire, check up dopo aver controllato che gli studenti avessero il materiale che era stato loro ordinato di portarsi appresso nella pergamena affitta ad ogni sala comune*, la stessa dove li avvisavano di non indossare la divisa ma abiti comodi, la De Thirteenth ramata schioccò le dita verso la sorella. «attendiamo ancora cinque minuti in caso di ritardatari, poi si parte» a quel punto, nell’ideale teorico che le gemelle avevano progettato per la giornata, Wendy avrebbe dovuto soffiare nel fischietto.
    Soffiare nel fischietto. Soffiare nel fischietto. La osservò assottigliando le palpebre, sperando fosse la volta buona in cui la twin-patia kicked in, ma nel trovare il vuoto sguardo di Wednesday perso oltre il nulla, dovette ricorrere al più brutale – ma efficiente – calcetto alla caviglia. «wando il protettore» un sibilo che, se tutto fosse andato bene, avrebbe sentito solo Friday. Sperava. «poi si parte» ripetè, un secco cenno con il capo verso il collo della bionda dov’era appeso il fischietto. «sì, si parte. Sicuro - ah» ci vollero ben due (2) tentativi prima che un fischio, acuto e stridulo, squarciasse il placido cielo scozzese sopra Hogwarts. Friday sorrise trionfante a Wendy, ed insieme alzarono il braccio verso gli studenti spingendoli dietro di loro. «fate» «spazio, fate spazio» per l’occasione, la gita fuori dalle mura scolastiche, Hogwarts aveva offerto loro un fiammante, bellissimo!, pullmino giallo ocra con il quale scorrazzare gli studenti – anche se, malgrado Friday possedesse la patente per i veicoli volanti, le era stato proibito di guidare: rude, e non necessario. «iniziate a caricare gli zainetti e prendere posto» Sul pullmino, decise Fray, avrebbero fatto l’appello: che senso avrebbe avuto prima, quando ancora avrebbero avuto tempo di perdere per strada almeno due o tre studenti? Una volta che fossero stati seduti sull’autobus magico, sarebbe stato più difficile che si dimenticassero di qualcuno.
    Forse.
    Speranzosamente.
    wendy: cdcm | fray: strategia | 26 y.o.
    20.09.2018 | 10:00
    Hot, strong, young and dumb
    Yeah, we had no fear Way back when we said
    We'd both be millionaires
    Now those days are over We're all ghosts



    Benvenuti alla quarta Lezione di CDCM, crossover con la Quinta Lezione di Strategia!
    -- Avete tempo per postare la vostra entrata fino alle 23:59 del 23:-|.09. Se non riuscite a postare l'entrata, ma pensate di partecipare comunque alla lezione, avvisateci; se non riceveremo alcun avviso e non avrete postato l'entrata, non sarà più possibile (a parte casi eccezionali quali nuovi player assenti, per forza di cose, all'entrata) unirsi alla Lezione.
    -- Possono partecipare pg fittizi, quindi che ancora non abbiano una scheda.
    -- come scritto nel post, gli studenti sono stati precedentemente avvisati (tramite Pergamena appesa nella bacheca di ciascuna sala comune) che per la giornata:
    a) nessuna divisa, solo abiti comodi;
    b) l'ora di ritrovo è alle 10:00 presso l'esterno dell'entrata principale di Hogwarts;
    c) ciascun studente ha l'obbligo di portare *: bacchetta; acqua; libro di cura delle creature magiche; una torcia (caso mai l'incantesimo lumos non potesse essere possibile); un Mokessino cui sia stato abbinato un incantesimo di estensione; kit del pronto soccorso; binocolo; un Trasportino Magico (reperibile al Serraglio Stregato; ha la capacità di adattare le proprie dimensioni alle esigenze della Creatura); Bombi Universali (biscottini, anche quelli reperibili al Serraglio, che cambiano il proprio sapore a seconda della Creatura Magica interessata; contengono una sostanza tranquillante).

    Se qualcosa non è chiaro, non esitate a chiedere! Le player di friday e wendy sono sara (#epicwin) e viola; contattateci per qualunque dubbio ♥


    Edited by etc. - 23/9/2018, 15:28
     
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    If you can't reach me again,
    Well, you are my only friend,
    And you'll find me at the bottom playing guitar badly.
    Tornare ad Hogwarts, da una parte, era stata un sollievo: niente più crisi familiari quotidiane, meno controllo - paradossalmente -, e la possibilità di allontanarsi almeno fisicamente dai suoi veri problemi. Dall'altra, ovviamente, c'era però la prospettiva di doversi svegliare presto e di dover rivedere le solite teste di cazzo degli altri anni. «c'est la vie» si era comunque detto Charles prima di uscire dalla sua stanza per dirigersi in Sala Grande. S'era stranamente svegliato di buon umore e non intendeva certo rovinare una così rara occasione con la sua scarsa capacità di sopportazione. Una volta lasciato il dormitorio, notò un piccolo drappello di Serpeverde in piedi dinanzi alla bacheca nella Sala Comune e si fece spazio fra loro, cercando di individuare la fonte della loro attenzione. «ma. che. palle.» ecco, non è che ci fosse voluto poi tanto. Dietrofront, tornò a cambiarsi dove un ancora addormentato Jonas giaceva ignaro nel suo letto. «oh giovannino, si va in gita» lanciò qualcosa addosso al suo coinquilino per svegliarlo ed iniziò a cercare in giro per la stanza l'occorrente indicato nella pergamena in Sala Comune, più la sua macchina fotografica. «evviva» con la voce attutita dalle lenzuola, la voglia di vivere del suo coinquilino gli era sempre d'ispirazione.

    Alle dieci e qualche minuto era arrivato ai cancelli all'ingresso del castello. Non è che fosse particolarmente in ritardo, ma lui era un tipo piuttosto preciso ed il fatto di aver sforato per colpa di un'organizzazione dell'ultimo minuto - aveva bisogno di un certo preavviso per scegliere i vestiti, sks - aveva inevitabilmente finito per irritarlo. Non che il solito entusiasmo delle De Thirteenth fosse d'aiuto poi, né tanto meno il pulmino giallo ocra in vista dietro di loro. Alzò gli occhi al cielo, cercando poi con lo sguardo Heather o Jonas che, no, non accennava ancora ad arrivare. Tuttavia, nel farlo, non poté non accorgersi di «kaufmann» oh, l'aveva detto sul serio? L'avrebbe volentieri evitato, visto che non era sicuro di riuscirsi a risparmiare quel mezzo sorriso malizioso che già accennava di spuntargli sulle labbra al ricordo di una certa serata di qualche tempo prima, ma ogni volta che provava ad impedirsi di aprir bocca—non gli riusciva un granché, ecco. «come sono andate le vacanze? passati i lividi?» gli passò un braccio attorno alle spalle con fare sardonico, pur consapevole di non essere poi così gradito al Corvonero, e cercò di spingerlo verso il pulmino per non perdersi il posto al suo fianco: meglio così, che morto di noia ad una lezione a cui non aveva neppure voglia di partecipare.
    Charles Antoine Dumont
    legacy:slytherin
    power:eccentric as fuck
    alignment:neutral
    birthday:2000's


    Post super di fretta pre-partenza oashdoiash ci si rivede tra una settimana bellih ♥
     
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    gets an adrenalin rush from contributing to class discussion
    nicky winston
    «Io non sono certa» «UNO» «Che sia una buona» «DUE» «idea» «TRE!»
    E oltre l'azzurro del finestrino nell'azzurro io volerò
    Quando la donna cannone
    giallo e nero diventerà
    Senza passare dalla porta
    L'ultimo posto in pullmino prenderà
    E in faccia ai maligni e alle means il mio nome scintillerà
    Dalle porte della notte il giorno si bloccherà
    Un applauso del pubblico losers lo sottolineerà
    E dalla bocca del mehan una canzone suonerà
    E CON LE MANI AMORE CON LE MANI PRENDI I POSTI..!
    E SENZA DIRE PAROLE RUBALI TUTTI PERCHE' SIAMO IN CINQUEE
    E NON AVRAI PAURA VAI NELLE STELLE COME DICI TU
    VOLERAI DAL FINESTRINO PER IL SEDILO
    NON TORNEREMO PIUUUU'
    Na na na na na naaaaaa

    Non c'è un modo carino per dirlo: Mehan Tryhard aveva appena lanciato stile donna cannone, con i suoi potenti muscoli da ballerino, la piccola ma rotondetta Nicky Winston contro il finestrino (precedentemente aperto) (spero) del pulmino, con l'intento di farle prendere, grazie un salto a sirena che Arien levate, i cinque posti in fondo prima che qualcun altro potesse rubarli loro. «PRESI!» (ammaccata per la caduta e spettinata, Nicky si alzò rapida e) alzò i pollici verso gli amici rimasti fuori.
    Quando le Dethirtheenth avevano parlato di viaggio in pullman, i Losers con flemma si erano guardati, si erano contati. Cinque. Dispari. Avevano dovuto agire in fretta, senza troppi pensieri, e la soluzione si era fatta realtà con un lancio della Nicky da Olimpiadi Hogwarts 2018. La fisica ci fa un baffo, e non importa se umanamente è difficile concepire l'immagine di un sedicenne che ne lancia un'altra (lancia, non la aiuta ad arrampicarsi, non le fa da scalino; lancia), sta di fatto che questo accadde, e Nicky si ritrovò dentro il pullmino pochi secondi dopo, a dover proteggere i posti guadagnati come un drago col suo oro - stesso cipiglio incattivito e stesso fuoco dentro (sebbene, nel caso di Nicky, il fuoco fosse dato dal disagio e dall'ansia che qualcuno dell'ultimo anno o delle mean potesse arrivare e chiederle di cedergli i posti; in fondo, spettavano ai popolari di diritto).
    "Deke mi direbbe" di non rivolgergli la parola se non è strettamente necessario "che è fiero di me. Per la mia presa di posizione". Anche Nicky era fiera di se stessa: un anno prima, non avrebbe mai sopportato di resistere qualche minuto da sola occupando dei sedili ambiti da troppe persone (e persone cattive; si sa che più si sale nella scala sociale, più si diventa infami). Erano cambiate così tante cose in così poco tempo, che faceva fatica a metabolizzarlo - amici e parenti morti e dati per traditori, poi scoperti vivi ma in giro per il tempo (per gli universi!), un governo accusato di corruzione, la nascita di un gruppo segreto per aiutare gli special, l'aver visto dal vivo Thomas/Yale e Shiloh, un nuovo lavoro (non pagato ma EHI, era una nuovo lavoro e un nuovo amico), il coming out.
    Era cresciuta nell'ultimo anno, era diventata adulta. Quella che ora stava sorvegliando il sovrapposto Losers era una nuova Nicky, insomma; più forte, più autoritaria, più sicura di sè, più calma, più- «Ehi-»
    «AH!» Nicky sobbalzò col cuore in gola, provvedendo subito dopo a spalmarsi sui sedili come la nutella sul pane «O-OCCUPATOH» se volevano rubarle i posti, gli si sarebbero dovuti sedere sopra. "Ti prego fa che sia leggero".
    «-hai del dentifricio sulla faccia»
    «...ah. Grazie» rossa in volto, ma senza spostarsi dalla sua posizione mentre con una mano abbracciava un sedile che aveva accolto generazioni di sederi, si pulì rapida la guancia scottante.
    "Ma dove sono gli altri". Si sentiva morire. Ok, più audace e più tutto, ma era pur sempre una Nicky, e le stava venendo la tachicardia ogni volta che qualche studente saliva e rivolgeva uno sguardo verso di lei. "Tipregononvenirequitipregononvenirequitipregonon- oooh Dumont, saresti meno gay per Iden soltanto se gli regalassi un braccialetto arcobaleno con scritto 'no homo'" La Winston, occhi puntati ora sulla kaufmont - un'ottima distrazione nella bolgia di studenti affamati di avventura e posti in fondo -, ridacchiò da sola. Ah, era così bello vedere le proprie otp darci dentro interagire, le dava soddisfazioni. "Uuuh oiu oiu je suis Charles Duoche. Je detest le baguette je ne suis pas gayò pour Idèn, onzi lo odio pour questo je suis sompre vicino a il" Doveva assolutamente aggiornare Erin per chiedere un parere al riguardo e pinnare nella bacheca kauffman pullmini; tanti pullmini - e vestiti normali!!1. Oh, era tutta reference per il gdr: probabilmente anche il suo pg Thomas metteva il braccio attorno ai ragazzi che """"odiava"""". Giusto per dar loro fastidio, eh............ per niente gay come atteggiamento da nemici, no no.....................
    2002's | hufflemuffin | VI year
    radio host | deatheater | 2034
    Perhaps I was born with curiosity
    The likes of those of old crows
    And oh, how the piano knows
    something I don't know

    "I grew up on the street. No, not the hood. the Sesame Street.



    Nicky ruba i posti in fondo al fondo (ciauz scusate se li volevate voi, i losers sono disposti a litigare non è vero) eeee parla con qualcuno sul pullman che le dice che ha il dentifricio in faccia #wat può essere pg vero se volete offrirvi MLMLML7

    post molto random, scusate prof COSA SONO I SENTIMENTI. Sarò sincera: avevo paura ci rubassero i posti in fondo #wat
     
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    Gideon McPherson | 16 y.o. [sheet]
    RAVENCLAW | VI YEAR
    AMERICAN HALFBLOOD
    ONCE: GIDEON ROSIER
    20/09/18 H 10.00

    Il giorno prima - 19/09/18 h 16.00


    Il diciannove settembre pomeriggio Gideon si era recato in biblioteca per fare i compiti assegnati quella stessa mattina durante la lezione di Storia della magia - non che fosse un evento straordinario vederlo in quell'ala del castello, lo sarebbe stato il contrario, in effetti - ed aveva preso posto in una bancata silenziosa, distante da un gruppo di Grifondoro che, era evidente, si trovava lì per far tutto meno che per studiare. Ma non si sentiva infastidito da loro, tutt’altro, quando non esageravano gli tenevano persino compagnia. Sfogliava con attenzione un libro Storia della Magia che aveva trovato interessante e soprattutto era un ottimo spunto per la relazione che doveva scrivere: “La Storia Magica inglese e le tradizioni dell'età contemporanea”, da qui avrebbe tratto le informazioni che gli servivano per finire il compito. Aveva già scritto due fogli di pergamena pieni, li aveva poggiati dinnanzi a sé, e con il senno di poi avrebbe giudicato quella scelta sconsiderata. Perdere di vista i fogli anche solo per un istante non era stata una mossa saggia, non quando non sapeva ancora quali insidie nascondeva quella biblioteca, per lui ancora tutto sommato nuova. Fu infatti risollevando lo sguardo dalle righe di inchiostro, in un momento di distrazione, che si rese conto che i suoi fogli non solo non erano più dove lui li aveva lasciati, ma che poco distante da lì, uno o due posti più avanti, uno strano animaletto li stava allegramente sbrandellando per mangiarseli. Il commento ribollì dall’interno e gli sfuggì dalle labbra come un ringhio.
    « Merlino Vacca. » Si slanciò in avanti con la mano per recuperare il salvabile, ma afferrò solo un pugno di briciole di pergamena. Non era rimasto più niente da salvare, quel piccolo topo aveva divorato tutto, lasciando solo una domanda per i più curiosi: dove li aveva fatti stare ben due fogli di pergamena? Era troppo, troppo piccolo per averli mangiati entrambi. Sbiancò, immaginando il lavoro di un pomeriggio andare in mille pezzi.
    « Qualcuno ha visto il mio ghiro? »
    Dall’altra parte della sala, un ragazzo attirò la sua attenzione e Gideon prontamente si alzò per recuperare il piccolo mammifero che aveva ancora tra le fauci pezzi di pergamena che masticava allegramente. Era talmente piccolo da rimanere dentro un suo pugno, e se non fosse che gli aveva appena rovinato il lavoro di un pomeriggio, bè, lo avrebbe anche trovato simpatico.
    Si avvicinò al biondo, porgendogli il roditore.
    « Scusami? » Quando quello si voltò, Gideon si rese conto che gli era familiare. Strano ma vero, quanto il mondo potesse essere piccolo. Lo aveva incontrato per la prima volta a fine agosto in una sala giochi di Londra, mentre si trovava lì con sua sorella. Ricordava chiaramente il suo nome, Perses, anche detto belli capelli. Lo aveva rivisto, poi, in televisione, aveva vinto il concorso per incontrare Yale Hilton. Era sorpreso di scoprire che anche lui fosse un mago, sorpreso ed un po’ spaventato da quella coincidenza. Buffo che lui lo avesse già visto e riconosciuto due volte, mentre il biondo lì davanti non aveva idea di chi lui fosse, dato che lo aveva conosciuto sotto l’aspetto di Guinevre.
    « Ecco il tuo ghiro. » Glielo porse. « E... non vorrei sembrarti scortese, ma ha mangiato i miei compiti. »
    Glielo voleva fare presente, non certo per rimproverargli qualcosa, ma magari per far sì che il danno che lui aveva subìto non toccasse ad altri in futuro.
    « Dovresti controllarlo meglio affinché questo non capiti a qualcun altro. » Aveva sorriso, ed era stato persino troppo educato, ripensandoci. Ancora non aveva imparato che essere gentili ed educati, spesso e volentieri, non pagava affatto. Al contrario, era probabile che non lo avrebbe imparato mai.
    La risposta diretta dell’altro era arrivata come una frecciata al cuore e lo aveva colpito.
    « E che sarà mai. » Ma, quanto meno, si aspettava uno SCUSA, a gran voce. Come sarebbe a dire E che sarà mai? La sua espressione accigliata doveva aver fatto capire al ragazzo che quella risposta lo aveva lasciato molto confuso. Così, il tipo, pensò di rimediare a modo suo.
    « Stava facendo scorte di cibo per il letargo. » Ah, certo, comprensibile. Facciamogli mangiare tutti i compiti degli studenti, magari anche le copie originali di manuali antichissimi, perché no?
    « Non la definirei una piccolezza. »
    Ammise, sinceramente.
    « E’ solo uno stupido compito, amico! » E gli diede una pacca sulla schiena. Una pacca bella forte che in altre circostanze avrebbe anche apprezzato.
    Gideon era gentile, lo era sempre, ma questo non significava certo che subisse passivamente tutto ciò che gli succedeva, e purtroppo doveva dire ciò che pensava.
    « Fermati un attimo. » Alzò una mano, come a voler fermare ogni tentativo di replica del biondo – che sinceramente aveva già detto abbastanza. -
    « Stupido compito? Vogliamo davvero parlare di cosa è stupido? »
    La risposta, lasciata al silenzio, era palese. TU.
    « Ti vedo nervoso, è successo qualcosa di grave? »
    Il tipo continuava a minimizzare la cosa, come se lo stesse allegramente prendendo per il culo. E Gideon avrebbe voluto tirargli quella cravatta verde argento, e costringerlo a stare chinato sul libro sul quale lo era stato lui per tutto il pomeriggio e la notte a seguire. Lo stile di vita IDGAF non gli era mai appartenuto, ed avrebbe tanto desiderato che non appartenesse nemmeno ad altri ma, certo, non poteva dipendere da lui.
    « Sai che ti dico? Che adesso tu vieni con me e rifai il compito che il tuo ghiro ha mangiato. Avanti. »
    Gli fece largo con il braccio, per invitarlo a sedersi dove prima era seduto lui.
    « Ma sei un Corvonero, sarebbe una vergogna, non hai bisogno certo del mio aiuto. »
    E si era dileguato, veloce come un peto. Lasciandolo di stucco. U tried, Gid. Certo il problema non era rifare il compito, quello era il minimo. Era la non curanza del ragazzo che lo aveva sorpreso.
    Chissà che non fosse giunto il momento di farsi qualche nemico?

    [...]

    Quella sera stessa aveva avuto pensieri contrastanti sul Serpeverde, misti tra rabbia e disgusto, con qualche sprazzo di rimorso. Alla fine, poi, si era sentito profondamente in colpa per come era andata a finire con lui, così in colpa che avrebbe voluto andare a cercarlo per mettere in chiaro le cose e...chiuderla in pace. Non ce la faceva a vivere bene sapendo di avere dei conti in sospeso. Sapeva di essersi lasciato andare al nervosismo perché non stava attraversando giorni sereni, tutt’altro. Ma certo non era giusto che riversasse la sua negatività sugli altri.
    Erano stati due giorni difficili, gli ultimi. Vivere ad Hogwarts era complicato, e nonostante avesse qualche amico, lì, sentirsi isolato dal resto del mondo lo faceva soffrire. Era distante da casa sua, l’America, nella quale se avesse potuto sarebbe tornato il prima possibile. Eppure, riusciva comunque a sembrare tranquillo, agli occhi altrui: sorridente, felice. Lo sembrava sempre.
    Più di ogni altra cosa, però, gli premeva sapere che i suoi amici stessero bene, gli premeva così tanto che quella notte non era riuscito a dormire serenamente.
    C’era una cosa che lo teneva sulle spine, per farla breve, qualcosa di cui non aveva parlato con nessuno ma che solo Hazel, probabilmente, avrebbe potuto capire se avesse saputo. Apprendere cosa fosse successo a Boston, nella zona in cui lui abitava, lo aveva sconvolto e non sapeva cosa lo avesse frenato dal tempestare i genitori di lettere. Era probabile che immaginare l’anonima casa McPherson sommersa da Gufi, che avrebbero di sicuro attirato l’attenzione del vicinato, lo aveva fatto riflettere: non era saggio lasciarsi prendere dal panico in quel modo, doveva pensarci bene.
    Dopo una riflessione si era limitato, quindi, a spedire una sola lettera, precisa e concisa in cui chiedeva, con estrema urgenza, aggiornamenti sulla situazione in corso.
    Aveva letto, attraverso la rubrica internazionale del Morsmordre, che alcune esplosioni di gas metano avevano mandato a fuoco una quarantina di case a Boston, ma dato che si trattava solo di abitazioni appartenenti a maghi “mezzosangue”, si era pensato ad un attentato politico. Temeva che qualcuno dei suoi amici fosse coinvolto e questo pensiero gli toglieva il respiro.
    Quella notte, piuttosto che passarla nel proprio letto a fissare il soffitto, avrebbe preferito fare qualcosa che non faceva davvero mai: infrangere le regole. Non gli bastava nemmeno più sdraiarsi sul divano della Sala comune dei Corvonero, a fissare il soffitto drappeggiato da stelle fittizie. Avrebbe voluto uscire fuori, prendere aria. Ma si addormentò così, con il pensiero e la paura di fare qualcosa che gli sarebbe costato la Sala torture.

    [...] Il giorno della lezione - 20/09/18

    Il mattino seguente non era esattamente fresco come una rosa. Ma aveva lezione alle dieci, ed aveva tutta la sensazione che non sarebbe stata una passeggiata. Prima di andare a fare colazione in Sala Grande era passato davanti alla Sala comune dei Grifondoro, come ormai faceva ogni mattina, per recuperare sua sorella che non si fece attendere più di tanto.
    « Brutti pensieri, fratellone? »
    Vedendola, s’illuminò. La prese sotto braccio per stringerla, anche se lei, un po’ selvatica, si dileguò quasi subito dall’abbraccio. « Ti mancavo così tanto che non riuscivi a dormire? »
    Gli diede un pugnetto sul fianco.
    « Si vede così tanto? »

    [...]

    Si ritrovò a sorseggiare il suo caffè lungo, fumante e tipicamente americano, rigirandosi tra le mani la tazza bollente. Quel calore gli dava un sollievo minimo, non certo come quando fuori imperava il freddo, ma l’autunno era alle porte e le temperature erano scese rispetto a due settimane prima.
    Quella mattina di settembre aveva volto stanco di chi non aveva passato una bella nottata, ma un sorriso immancabile sul viso, nonostante tutto dedicato a chi gli stava intorno. Gideon Mcpherson aveva sedici anni e sulle spalle una responsabilità pressante: credeva che la felicità altrui non dipendesse strettamente da lui, ma che avrebbe potuto influire su questa in maniera significativa e voleva farlo, doveva farlo. Anche per questo sorrideva, e lo faceva in modo spontaneo e spesso. Anche quando il mondo pareva andargli contro e non rispondere alle sue pressanti domande.
    « Quando arriva la posta? » Voleva saperlo, era impaziente, e lo aveva domandato ad uno studente che non conosceva e che stava passando alle sue spalle e quello, dopo averlo squadrato, aveva risposto solo...
    « Ti sembro il postino? »
    Alzò le mani, in segno di resa. Sconsolato, bevve un altro sorso del proprio caffè proprio mentre Hunter Oakes prendeva posto al suo fianco.
    « Ma quando arriva la posta? »
    « C8H10N4O2 »
    « Cosa? »
    « E’ ciò che mi serve prima di iniziare a rispondere alle domande di primo mattino. Caffeina. »
    Aveva ragione anche lui eh. Gideon gli passò una tazza gigante di caffè, perché gli amici erano sempre pronti ad aiutarsi nel momento del bisogno. e.e
    Quando finalmente nella Sala grande entrarono i Gufi per portare la posta, Gideon si irrigidì quasi come fossero entrati un gruppo di dissennatori. Per chi non lo conoscesse, quello poteva essere un atteggiamento del tutto normale, ma chi invece lo conosceva bene sapeva che stava aspettando qualcosa, e la stava aspettando con ansia. Gli occhi color nocciola vagarono attenti per la sala, passando da un gufo ad un altro nella speranza di localizzare quello della propria famiglia.
    Borea, il gufo grigio fumo, arrivò in picchiata su di lui. Aveva una lettera tra le zampe e quando Gideon la vide percepì non pochi problemi dentro la propria cassa toracica. Questo non gli impedì, comunque, di accarezzare il pennuto che si era appollaiato al suo fianco, in attesa di un cenno. « Grazie » . Gli grattò il piumaggio con un dito.
    Raccolse la lettera appena caduta sul piatto vuoto dinnanzi a sè e l’aprì lentamente. Lesse il contenuto e subito, la poggiò sul tavolo, traendo un profondo respiro.

    CITAZIONE
    Ci siamo informati, tutti i tuoi amici stanno bene, per cui stai tranquillo. Non c’è nessun motivo per stare in ansia. Sii prudente e controlla tua sorella. Ti voglio bene, mamma.

    Sprofondò nella panca in cui era seduto, come se improvvisamente qualcuno avesse reciso i fili che lo avevano tenuto ritto fino a quel momento. Si accasciò sul tavolo e sul compagno di fianco, finendo con il corpo praticamente su Hunter. Poteva sembrare che avesse letto qualcosa di brutto, ma era tutto il contrario. Semplicemente dopo aver tenuto duro per due giorni di fila, ora poteva rilassarsi.
    « Buone notizie. »
    Quella lettera gli aveva rasserenato cuore e mente dopo due lunghe giornate di paranoia.

    [...]

    Dopo aver fatto colazione seguì il flusso di studenti che si dirigeva verso l’esterno del castello, appena fuori dall’ingresso, il punto di incontro prefissato per quella mattina. Arrivato fuori, osservò le due ragazze che guidavano il gruppo, identiche in tutto eccetto che per minimi dettagli e per il colore dei capelli. Gli sembrarono simpatiche sin da subito, persino alla mano, per essere due professoresse di Hogwarts. Non era nella sua natura farsi un pensiero su qualcosa o qualcuno basandosi su impressioni altrui, per questo aveva tentato fino all’ultimo di non lasciarsi influenzare da ciò che i compagni più anziani gli avevano raccontato sul corpo insegnanti. Ciò che avevano avuto da dire sulle DeThirteenth, comunque, era stato tutto sommato positivo.
    Aveva con sé tutto ciò che era stato richiesto, ne era sicuro, ma ripercorse mentalmente ciò che avevano elencato per quella giornata. La bacchetta l’aveva, e fin lì non c’erano problemi. L’acqua non poteva mancare mai, nemmeno ad una lezione ordinaria. Il libro di Cura delle creature magiche gli sembrava il minimo, dato che la lezione verteva anche su quello. La torcia era riuscito a recuperarla in un negozietto ad Hogsmeade, e gli avevano assicurato che avesse una durata...quanto meno decente. Sperava comunque non avesse dovuto utilizzarla, perché avrebbe significato trovarsi al buio eh...bè, preferiva la luce. Il mokessino lo aveva, e prudeva da morire ad ogni movimento, ci aveva applicato l’incantesimo di estensione come richiesto, ed aveva inserito al suo interno il kit di pronto soccorso che, again, sperò non gli servisse, il binocolo ed il trasportino che non avrebbe mai potuto portare a mano, e che stava dentro la borsa. Allo stesso modo, per ultimo ma non meno importante, aveva preso i bombi universali al Serraglio. Costeggiò sua sorella, nell’avanzata verso il pulmino.
    « Spero tu abbia portato tutto quello che serve perché non ti presto niente. » E, dicendo questo, le poggiò una mano sulla testa, per poi avvicinarla al proprio petto. Bè, insomma, era una bugia. Sapeva benissimo che se avesse avuto bisogno le avrebbe dato tutto l’occorrente al costo di rimanere lui senza. Era pur sempre il fratello maggiore – e soprattutto non voleva che sua madre gli sequestrasse i libri se fosse successo qualcosa ad Hazel.
    Poco più avanti, quasi all’arrivo al pulmino, notò una testa bionda, troppo bionda per essere ignorata. E avanzò di qualche passò per trovarsi spalla contro spalla a Perses Sinclair, al quale, in modo parecchio petulante – lo sapeva – intimò, scherzando (ma non tanto).
    « Fatti i miei compiti? » Dopotutto glieli doveva.
    Gli restituì la pacca che Perses gli aveva dato il giorno prima, non attese una risposta, in realtà, e lo superò per arrivare al pulmino.
    Caricò lo zaino, mettendolo su in una posizione strategica per evitare che altri studenti, più focosi di lui al momento, glielo schiacciassero lanciandoci sopra i propri zaini. Esattamente come aveva appena fatto Hazel, che lo aveva lanciato dentro senza nemmeno guardare dove fosse finito e poi si era diretta sul pulmino. Glielo raccolse e sistemò in una posizione diversa, vicino al suo, poi salì sul mezzo e prese posto affianco a sua sorella, in un posto a due che affacciava sul corridoio.
    Si voltò verso Nicky, che aveva localizzato con la coda dell’occhio proprio poco prima di sedersi al suo posto e le sorrise calorosamente. Allo stesso modo, poi salutò i presenti, compresi Charles e Iden.
    « Spero di non vomitare la colazione a causa delle curve, ihih » Che culo ad avercelo affianco. Tornò a guardare davanti a sè sperando che Hazel non lo abbandonasse per quello.


    Edited by s t i t c h e s - 12/10/2018, 17:59
     
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  5. big eyes‚
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    User deleted


    iden kaufman
    idk fuck his mind
    Si sapeva già, ad iden le lezioni non piacevano – in generale, ad iden la scuola non piaceva.
    Una frase un po' qualunquista /senza ombra di dubbio/ ma avanti, che cosa si poteva salvare di quello che ormai hogwarts era diventata? Le lezioni di giorno in giorno mettevano in pericolo l'incolumità degli studenti, le punizioni si facevano tanto più severe quanto più frequenti, in una scala direttamente proporzionale abbastanza terrificante /e badate, che iden non aveva mai utilizzato tale termine, neanche nella propria testa. E il peggio era non poter dire nulla – perché alla fine a cosa poteva servire?, si limitava ad odiare un po' tutti in quel periodo, osservando le varie figure che gli passavano affianco – senza nemmeno notarlo – con una certa sufficienza, come se all'improvviso tutto ciò fosse diventato di troppo, stancante, muffa per una personalità estremamente instabile come la sua. Non che avesse bisogno di chissà quali stimoli, ma all'inizio del nuovo anno diventava difficile posare a terra i piedi e alzarsi, prepararsi per la nuova lezione, percorrere i corridoi della scuola, sostare nelle aule come se nulla fosse.
    Come se nulla fosse.
    Persino guardare in faccia le persone diventava difficile, stancante, un esercizio a cui non era più abituato... quasi forzato, l'insieme di quel viso; lo stare alto, il guardare negli occhi, il sorridere e addirittura parlare – molte volte si trovava senza fiato senza alcun motivo, col solo istintivo bisogno di isolarsi. Non credeva fosse normale per una persona come lui, tant'è che era dall'inizio della scuola che non era finito nemmeno una volta in punizione... le ferite che durante l'estate avevano avuto modo di rimarginarsi, ora erano tiepidi cicatrici pallide, ricordi che lo avevano sicuramente segnato per la vita... ma che tali restavano. Ricordi. Come tutto ciò che era accaduto in quell'estate un po' frenetica, un po' piatta, di una piattezza che pareva congelare gli istanti per sempre.
    Frenetica, come il modo in cui aveva perso la propria verginità.
    Immobile, come quei momenti immediatamente successivi, di una pigra calma, la stanchezza delle membra prima di crollare disteso, sul corpo bagnato dal sudore di lui – che in tutta quella frenesia era andato a scivolare lungo le cosce e la schiena, cadendo poi in piccole gocce sul corpo sotto. E lei, che poi mollemente s'era lasciata cullare dal suo petto per qualche istante, come il mare calmo dopo la tempesta – prima di scivolare via da lì, e frenetica rivestirsi e sparire, senza lasciargli alla fine granché.
    Nulla, ad essere sinceri.
    Non sapeva quanto ciò sapesse di amaro, o se si sentisse vagamente in colpa per aver dimenticato l'unica cosa che lei gli aveva dato modo di conoscere – un nome, nulla che potesse seriamente essere d'aiuto per... per cosa?, non l'avrebbe mai cercata. Non l'avrebbe mai più vista, e non per il semplice problema del fatto che quello lì era, , lui, ma non certo adesso... Perché andandosene, charlene, aveva lasciato più amaro che altro.
    Poi, qualche sprazzo del suo compleanno, con quelle sue sorelle a cui se n'era aggiunta un'altra /come se già non fossero abbastanza/ per colpa di quel coglione del padre che andava a seminare e poi non raccoglieva – era pure stato un suo “paziente” (si doveva dire così?, boh) i primi anni, e la rivera /dio, ma quant'era difficile chiamarla per nome o addirittura sorella??? roba da pazzi/ era venuta addirittura con un regalo.
    Roba da pazzi, ancora.
    Quell'estate lo aveva travolto, e sapeva che i problemi erano solo all'inizio: perché poi c'erano i suoi amici, che a stento riusciva a guardare negli occhi senza sentire una stretta ferrea al petto per il modo in cui, inconsciamente, si stava comportando anche con loro... quasi avesse provato un isolamento, non rispondendo a chiamate o messaggi, se non dopo ore. Perché poi? non lo sapeva, ma aveva passato le giornate valutando l'ipotesi di stare solo, e così aveva provato a fare – arrivando persino a provare un po' di odio per quella festa a sorpresa e quella torta con su scritto un enorme diciassette. Già, come se se lo fosse dimenticato.
    In ogni caso, in tutto quel /casino/ di pensieri e ricordi, sentiva del beneficio nell'aria fresca della mattina: il sole era salito da un bel pezzo, ma faceva figo dirlo – la tarda mattinata sapeva di giornata sprecata a letto, e a lui andava benissimo così. Niente divisa, un'altra cosa che gli piaceva abbastanza: stare in quella felpa che quasi contava i suoi anni e in jeans, sciatto, eppure il più sereno degli studenti, mentre tranquillo percorreva la strada verso il punto di ritrovo. No, a iden la scuola faceva proprio schifo, ma andava ammesso che... quella delle twins!de thirteenth guadagnava già punti abolendo la divisa e svolgendosi all'aperto... e iden sentiva di averne bisogno: in un'aula chiusa avrebbe sentito il peso di quei pensieri soffocarlo più del dovuto.
    Così, poteva quasi illudersi che le sue giornate fossero tornate come quelle di un anno prima – magra, ma pur sempre una consolazione. Di fronte al pulmino /maddai, che cosa stra babbana/ c'erano già i primi gruppetti: se ad una persona nei suoi stessi panni sarebbe salito il magone, di lui andava detto che fu completamente diversa la sensazione – iden li attraversò con una calma quasi surreale, evitando di ignorare dove sentiva di non potere, perché non tutti si meritavano propriamente il suo tranquillo menefreghismo.
    Salutò quindi, non più di un cenno, verso alcuni suoi compagni, nicky (intravista giusto per caso prima che sparisse dentro il pulmino) ma limitò allo stretto indispensabile qualunque altra relazione umana, diretto a sua volta verso l'interno del pulmino quasi temesse che i posti tranquilli (aka isolati) finissero... e infatti non sbagliava troppo, ma prima di poter effettivamente salire sul pulmino /ignorando efficacemente i discorsi delle gemelle (perché bla bla bla pergamena bla bla bla disidratati bla, lui lo zainetto se l'era fatto fare dal suo compagno di dormitorio, doveva per forza essere tutto apposto...o lo avrebbe ucciso, sempre che fosse sopravvissuto) fu effettivamente turbato da qualcosa, un qualcuno a voler essere un poco più precisi. «kaufmann» severo ma giusto, roteò gli occhi – non aveva davvero bisogno di vederlo in faccia per riconoscerlo; bastava quel tono, quel lieve accento, quella sfumatura perennemente derisoria a macchiare di un sorriso perennemente falso le sue labbra, per sapere esattamente chi aveva pronunciato il suo cognome. «dumont» e lo disse tra i denti, senza accorgersi di averli stretti con un certo astio.
    Perché andava detto, qualcosa era cambiato durante quell'estate in cui il suo viso nemmeno per sbaglio gli era materialmente capitato davanti... come se ce ne fosse un qualche bisogno, bastava che iden chiudesse gli occhi per ritrovarselo lì, davanti, a sparargli contro o a tirargli un pugno.
    O a medicargli la spalla.
    O a fissarlo negli occhi in modo così feroce da lasciarlo privo di qualunque pensiero, una volta annullatosi.
    «come sono andate le vacanze? Passati i lividi?» sapeva come non fossero davvero delle domande che necessitassero di risposte, e sapeva anche che in un'altra occasione avrebbe semplicemente tolto quel braccio /anche malamente/ e si sarebbe discosto da lui – ma stavolta si concesse di voltarsi e guardarlo, dritto negli occhi, con un sorriso quasi feroce in viso «mancava in qualche modo la tua snervante presenza» ma fu allora che qualcosa non funzionò, per davvero – fu in quell'istante che qualcosa si inceppò nel delicato equilibrio del ragazzo. Quegli occhi, ora così vicini, sapevano di conosciuto, e non gli ci volle niente per dare un nome a quel conosciuto – erano gli stessi occhi in cui era affogato mentre col corpo affondava, fin quasi ad annullarsi, sciogliervisi, contro il bacino di lei.
    E fu terrificante, di nuovo, da costringerlo ad indietreggiare colpevole.
    Era assurdo, ecco tutto; iniziava ad avere le traveggole, a vederla a caso ovunque... ora probabilmente guardando nicky negli occhi vi avrebbe rivisto charlene /e invece, ci vide solo un qualcosa di letteralmente possessivo, ai limiti del materno, verso gli ultimi sedili del pulmino/ doveva smetterla di pensarci.
    Era andata così, la sua prima volta: era sfuggita come un sogno all'alba, un soffio di vento fra fronde autunnali... restava giusto qualche sensazione, qualche suono in memoria, qualche sapore. E basta. Deglutì, col capo chino mentre buttava lo zaino nel bagagliaio e saliva dentro, sempre con charles addosso «non mi libererò facilmente di te oggi, vero?» inarcando le labbra in una smorfia, mentre prendeva posto su un sedile ma senza fare in tempo ad allungare le gambe su quello vicino – un silenzioso monito, che naturalmente una persona tanto snervante quanto recidiva come charles avrebbe ignorato.

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    erin timberlake aguilera // We love, we learn We find We live, we die
    Corrugò le sopracciglia, un’occhiata sbilenca verso l’improvvisato parkour dei loser, l’unica cosa che era stata in grado di distrarla dal suo (sano!) stalking quotidiano. Quella mattina, come ogni mattina, Erin l’aveva passata ad osservare, neanche troppo segretamente, Regina Castle; chi non l’avesse conosciuta avrebbe potuto pensare che la Chipmunks – pardon, Aguilera - si fosse presa una sbandata per la Corvonero, ma Scott la conosceva abbastanza da sapere quali fossero le nobili intenzioni della Tassorosso. Aveva preso davvero a cuore la sua missione, datagli da una se stessa trentenne ed un fu ragazzino in procinto di partire per il secolo antecedente: controlla che non facciano cazzate, gli aveva scribacchiato Sander Bitchinskarden su una pergamena.
    Era diventato il suo nuovo mantra – nonché l’unica cosa sulla quale potesse vantare un minimo di controllo; in quel modo poteva fingere di rendersi utile, la Chips, mentre il mondo attorno a loro continuava a collassare pezzo dopo pezzo, la Resistenza faticava a rimettersi in piedi, ed i suoi amici ancora non erano tornati. Nel suo piccolo poteva fare ben poco, ma almeno quel poco avrebbe cercato di farlo nella maniera più minuziosa e impeccabile possibile. Si morse il labbro inferiore, gli occhi verdi a cercare quelli altrettanto chiari di Scott. Non gli domandò, per la cinquantesima volta, dove fosse Regina (Scott, al contrario di Erin, era un ragazzo ansioso; quando Erin, le rare volte, si lasciava prendere dall’angoscia, finiva per moltiplicare il pozzo già senza fine dell’ansia di suo fratello trascinando entrambi in un baratro senza fondo), indicandogli invece con un cenno del capo la donna volante ch’era appena atterrata all’interno del pullmino.
    «sono un po’ offesa» bisbigliò sottovoce, abbassando lo sguardo sulla punta dei propri piedi. Forse delusa sarebbe stata la parola più corretta – ma anche quella che più, conoscendosi, le avrebbe fatto inumidire gli occhi: era emotiva, cosa poteva farci (ed era già frustrata dal fatto che Nathan e Jess non potessero seguirli: sì che erano invisibili ma salire su un pullmino per andare chi sa dove? Non potevano rischiare così tanto). Sarebbe stato troppo infantile ammetterlo ad alta voce, ma … ci era davvero rimasta male, Erin. Non perché avesse mai creduto di far parte del gruppo di Nicky (non che fossero elitari, ma erano una squad affiatata e sapeva non ci fosse posto per lei) ma perché non…credeva, fossero così da ultima-fila-tutti-insieme, ecco; più ultima-fila-perché-siamo-cinque-ma-prendiamo-anche-le-file-vicine-così-ci-mescoliamo. Era abituata ad essere considerata poco, dato che aveva sempre vissuto come accessorio al Quartier Generale, ma…damn, non così poco. Viveva davvero in un mondo di unicorni e glitter, Erin Therese Chipmunks. «cioè, lo so che non è personale» chiarì, come se fosse necessario – quando s’innervosiva, tendeva a straparlare – pur sapendo che Scott avrebbe compreso. «e che non l’hanno fatto con cattiveria» storse il naso alle sue stesse parole, aprendo i palmi in segno di resa. Quando mai qualcuno (in tutto l’universo, od i tempi! #1918 #2118 #2043 #au) avrebbe potuto affibbiare kattivi ai loser? Le veniva da ridere al solo pensiero. «ma… non so» si strinse nelle spalle alzando le braccia per stringere maggiormente l’elastico ai capelli. «sai cosa mi piacerebbe?» L’espressione di Scott diceva sì, lo so, ma nON DIRMELO.
    Erin glielo disse comunque. «che ci mescolassimo di più» ecco, l’aveva detto. Sapeva che a Scott quell’idea non sarebbe piaciuta, ma non sarebbe stata Erin se non gliel’avesse detta: lui era il paguro, lei l’onda che cercava di strapparlo al suo guscio. «andiamo, scott! sono inoffensivi» sibilò, spostandolo (non senza fatica) con le mani sulle spalle per mostrargli i loro compagni: senza freaks erano davvero delle patate in divisa. «dovremmo fare amicizia, non…non fare i chips» indicò con una mano lo spazio fra loro, abbassando ulteriormente il tono di voce sull’ultima parola: il mondo, perlomeno di Hogwarts, non sapeva che Erin fosse una Chipmunks, o che lei e Scott fossero fratelli. Quando si riferivano l’uno all’altro come mia sorella et similia, dicevano semplicemente di essere così amiki che era come se lo fossero – non era neanche una menzogna, considerando che avevano scoperto del loro legame biologico solo un anno prima.
    Osservò allora, interessata ed accademica, la fauna del luogo: i Loser erano insieme, i Kaufmont erano insieme («scott ma iden ti ha detto qualcosa? Eh? EH?» con tanto di gomitino. Se aveva mandato suo fratello ad indagare sulla otp? #hell yeah, captain shipper attendeva aggiornamenti), i McPherson erano insieme… dov’era lo spirito di gruppo. Si offese personalmente con ciascuno di loro, labbro inferiore sporto all’infuori e braccia incrociate sul petto. «inaccettabile» lanciò lo zainetto, con l’usuale poca grazia, insieme agli altri. «dovremmo DAVVERO fare qualcosa in proposito» cosa. «tipo rompere il circolo» annuì a Scott, ignorando il lieve scuotere il capo dell’altro Tassorosso. Gli prese le mani fra le proprie: «i gotta go my own way» e si sporse, sulle punte, per baciargli brevemente la guancia, prima di salire sul pullmino. Si appiccicò a metà fila schiacciandosi contro il finestrino, valutando quanto sarebbe stato fuori luogo scrivere su un cartello posto libero, facciamo amicizia!
    Tanto?
    Oh, beh. Con Jess, al suo primo pranzo al Quartier Generale, aveva funzionato.
    …Ma magari no, eh Erin.
    Giusto, magari no.
    hufflepuff - vii year - 17 y.o.
    erin timberlake
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    behan Beh tryhard // i came, i saw, i made it awkward
    Era un esperto di idee stupide, Behan Tryhard: a volte gli venivano in mente perché ispirato da iconiche scene di film o serie televisive, altre perché si lasciava trasportare troppo dalla fantasia per colmare la noia durante le lezioni. Ma quelle davvero sceme? Quelle gli venivano in mente solamente nei momenti di pura disperazione.
    E noi-siamo-cinque-in-pulmino-con-posti-da-due era decisamente uno di quelli: si era scatenato il panico, quando i losers si erano resi conto della situazione. E in quegli attimi, mentre si erano guardati negli occhi tra loro condividendo quell'angoscia, il cervello di Beh aveva iniziato a lavorare al doppio della solita velocità, e la sua bocca aveva parlato prima di valutare razionalmente ciò che stava proponendo, spinto dal terrore di rimanere fuori dalle coppie ed esser costretto a far posto a qualcun altro, o ancora peggio, rimanere seduto da solo.
    «LANCIAMOCI SUI POSTI DIETRO»
    Si pentì di aver parlato esattamente due minuti dopo, quando si ritrovò impotente ad osservare la sua migliore amica venir lanciata - letteralmente, come un missile - da suo fratello nel bus per occupare gli ultimi posti: era un'idea stupida, pericolosa, e «NICKY SEI VIVA????» Ti prego dimmi che sei viva.
    Se nell'ultimo anno non fosse stato investito dalla pubertà come da un treno ad alta velocità, si sarebbe volentieri offerto per esser lanciato all'interno del bus, ma il suo esser diventato il più alto del gruppo dall’oggi al domani l’aveva escluso automaticamente dai papabili acrobati #cos
    Si sentì ancora più in colpa per la sua proposta quando dall’interno del pulmino non arrivò alcuna risposta: era ferita? svenuta?? aveva sbattuto la testa contro una delle cinture di sicurezza??? Il ragazzo spostò lo sguardo sui suoi amici, rivolgendo loro il suo miglior sorriso rassicurante che non lo era «chi tace acconsente??» no. Ma dai, bisognava pensar positivo. E soprattutto, dovevano assolutamente entrare prima di tutti gli altri, altrimenti i loro sforzi sarebbero stati vani: aveva fiducia in Nicky, sia chiaro, ma non così tanta da credere che sarebbe riuscita a tener testa a tutta la scuola. O almeno, era sicuro al cento per cento che ci avrebbe provato con tutte le sue forze, ma la percentuale della sua riuscita si abbassava ad un drastico venti per cento. Ah dai vabbè, a scuola non c’erano più i freaks, facciamo pure trenta #wat
    «dobbiamo assolutamente raggiungerla» ormai quella dei posti era diventata questione di vita o di morte. E per questo Beh rinunciò persino a starsene fuori un attimo in più in attesa di veder spuntare la chioma color cioccolato di Maple Walsh da un momento all’altro: non era certo nota, la tassa, per la sua puntualità a lezione, ed il Tryhard solitamente coglieva al volo ogni possibilità di incrociare il suo sguardo e magari, i giorni in cui si sentiva più coraggioso, alzare una mano nell’accenno di un saluto invece che rimanere a fissarla come un ebete che era. Diventava più imbranato del solito, quando doveva relazionarsi con qualcuno per cui aveva una cotta, ma con Maple stava davvero raggiungendo livelli da record: passava ore a ripassare i consigli che gli dava suo fratello e poi, puntualmente, li dimenticava tutti quando incrociava lo sguardo della Walsh. Un disastro.
    «spero ci portino a raccogliere bacche » dai, come nei pokemon!!1! Sapeva che non sarebbe andata così, ma un ragazzo poteva sempre sognare, no?
    Behan non era ancora andato nel panico solamente perché adorava le professoresse DeThirteenth: si sarebbe spacciato per malato mettendo un termometro nel tè caldo piuttosto che salire su un pulmino scolastico diretto verso una meta sconosciuta se ad accompagnarli fosse stato un qualunque altro professore.
    Anche se si fosse trattato di suo padre? Soprattutto se si fosse trattato di lui.
    Aveva un discorso in sospeso con Phobos e Meh da più di cinque mesi, ed aveva intenzione di tenerlo tale per altri cinque, se non di più.
    huffleclumsy - vi year - losers sqwad
    behan
    tryhard
    I want to be one of those hot bad boys
    but I'm tiny soft and sensitive
    do you see my problem?
    i catch pokemon, not feelings
     
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    If you can't pronounce my name, don't worry.
    You can call me Gum, like everyone else.
    If you can, then 10 points to your house!
    You totally deserve it.
    Il leggero russare di Gwan-Min era l'unico suono udibile all'interno dei dormitori di Tassorosso. Tutti gli studenti stavano ancora beatamente riposando nei loro letti a baldacchino ma nell'ombra c'era un essere mezzo beige e mezzo arancione che, quatto come un gatto -if you know what I mean-, si avvicinava sempre di più verso Gwan-Min. Con un balzo silenzioso, l'essere si posizionò sul comodino accanto al letto del giovane e si mise ad osservarlo da lì, stizzito. La coda gli si muoveva a scatti da una parte all'altra e, dopo qualche secondo perso a contemplare il ragazzo dormiente, il gatto alzò una zampa in aria, quasi come per avvertire Gwan-Min di tenersi pronto per la sua prossima mossa. Il giovane, però, ovviamente era troppo impegnato a dormire per accorgersene e quando il gatto, dopo un balzo di tutto rispetto, gli atterrò dritto in faccia, il povero ragazzo si svegliò di colpo. Urlando. « Hyuk! » disse Gwan-Min con tono esasperato, spostando il sedere del gatto dal suo naso, cuore a mille per lo spavento. Il gatto, di tutta risposta, offeso dal trattamento subito -nessuno poteva pensare anche solo di rimproverarlo, figuriamoci a farlo!- ed ancora più determinato a farsi ascoltare, cominciò a miagolare ed a lamentarsi ad un volume sempre più alto, svegliando anche chi fino a quel momento s'era miracolosamente salvato dall'urlo di Gwan-Min. « Non di nuovo, Gum! Zittisci quel gatto. » urlò allora uno dei suoi compagni di dormitorio, lanciando un cuscino verso il suddetto ragazzo. Gwan-Min, ancora mezzo addormentato, si ritrovò fuori dal letto in un battibaleno e quasi in automatico acciuffò Hyuk per la coda. Peccato però che nel compiere questo fatidico gesto avesse anche pestato le tende del letto che, naturalmente, si strapparono in parte a causa del peso. Quella povera anima di Gwan-MIn non ci stava ancora capendo un cavolo dato che era del tutto rinciutrullito dal sonno! Però i grugniti esasperati dei suoi compagni gli fecero capire che si, aveva combinato di nuovo qualche pasticcio. Ci avrebbe pensato poi. « Tu non sei un gatto, sei una peste! » disse Gwan-Min, sentendo un coro di grugniti d'assenso in risposta a questa sua affermazione. Sbadigliando, inciampando nel macello che decorava la stanza e trasportando Hyuk come Rafiki fece con Simba per mostrarlo a tutti gli animali sulla Rupe dei Re, Gwan-Min uscì fuori dalla stanza per andare a cibare il suo gatto impaziente. Ovviamente non era neanche l'alba. « Hyuk, ma perché?? » chiese il giovane, poggiando il gatto a terra nella sala comune. La ciotola era pure piena, quindi se avesse avuto fame... beh, lì c'era tutto il cibo che voleva. Quindi? Perché? Perché doveva fare così per la quinta volta di fila? « Che cosa c'è Hyuk? Cosa vuoi? » chiese il giovane, passandosi una mano sul volto per tentare di svegliarsi. Dal canto suo il gatto, invece, sembrava felicissimo adesso e si era pure messo a fare le fusa mentre si strusciava tra le gambe di Gwan-Min. « Vuoi giocare? Vuoi le coccole? Alle 4 del mattino? » chiese ancora Gwan-Min, totalmente esasperato dal comportamento del suo gatto. "Se non gli volessi così tanto bene..." pensò il giovane che, tra l'altro, non era un'amante delle sveglie all'alba. Anzi, era piuttosto uno dei tipi che avrebbe potuto dormire tranquillamente anche 24 ore di fila per poi svegliarsi ancora stanco. « Forza, vieni qui. » disse poi, mettendosi su uno dei divani della sala comune. Il gatto, pieno di vita, gli portò uno dei suoi giochini ed i due passarono del tempo così... a divertirsi. Gwan-Min era consapevole che tra qualche ora si sarebbe dovuto preparare per andare a lezione, tra cui una in particolare che avrebbe portato diversi studenti in "gita", ma che poteva fare? Non era mai riuscito a dire di no ad Hyuk e questo era il risultato. Inutile dire che ovviamente Gwan-Min si addormentò sul divano, una mano ad accarezzare inconsapevolmente uno Hyuk acciambellato sul suo petto, intento a fare le fusa.

    [...]

    « Gum? Gum! » una voce lo stava chiamando e delle braccia lo stavano scuotendo. Sentiva il mondo un po' alla rovescia ma Gwan-Min non ne capiva esattamente il motivo. Finché non scivolò dritto di testa sul pavimento della sala comune. C'era qualcosa di profondamente sbagliato in tutto questo... e di ingiusto. Perché la sua testa doveva sempre essere bersaglio di qualcosa? Specialmente quando dormiva beatamente? « Hyuk? » chiese lui, ancora rincoglionito dalla botta e dal sonno. Nemmeno aveva aperto gli occhi, desideroso di ripiombare nel mondo dei sogni al più presto. « Hyuk? Ma che stai dicendo? Guarda che devi andare a lezione! Ti aspetta Phoebe nella Sala Grande. Me lo hai detto tu, ricordi? Sono quasi le 10. » disse ancora quella voce misteriosa. Gwan-Min alzò un dito come a chiedere un secondo di tempo per schiarirsi le idee. Occhi ancora chiusi. E poi... l'illuminazione. « SONO IN RITARDO. » urlò Gwan-Min. Tutto finalmente gli era più chiaro. Si alzò di scatto, corse verso il suo dormitorio dove aveva lasciato tutti gli oggetti che gli sarebbero serviti per la lezione (travolgendo più compagni di casata al suo passaggio ed inciampando in un gradino) e poi ringraziò di volata il ragazzo che l'aveva svegliato mentre si dirigeva fuori dalla sala comune.

    [...]

    "Sono in ritardo? Non sono ritardo? Dov'è Phoebe?" si chiese il ragazzo, cercando l'amica con lo sguardo. A parte i polmoni ormai andati ed il cuore pronto all'infarto, aveva pure il sedere ammaccato perché era riuscito a scivolare sui gradini di pietra proprio nell'ultima rampa di scale che portava alla Sala Comune. Lui e questo tipo di sfiga / brutte figure avevano un rapporto molto stretto, purtroppo. O si faceva male lui o faceva male agli altri. Ancora ricordava come una volta aveva colpito per sbaglio Phoebe al naso quando, troppo eccitato per aver preso un buon vuoto, aveva alzato le braccia al cielo ma in realtà non proprio ed infatti aveva colpito lei. Mortificato, si era scusato come poteva ma ormai tutti sapevano che era meglio non stargli troppo vicino. Non si sapeva mai che poteva accadere! Phoebe però era coraggiosa ed evidentemente, se era ancora sua amica, non si faceva troppi problemi per questo tipo di incidenti. Anzi, continuava pure a stargli vicina-vicina! Sorprendente. Ed infatti, ad un certo punto, mentre osservava l'area per capire dove fosse Phoebe, si sentì completamente travolto da qualcuno. Phoebe infatti gli era completamente saltata addosso da dietro e gli era rimasta aggrappata. « Phoebe! » disse il ragazzo, contento di vederla. Gwan-Min era una persona socievole di natura e quindi era sempre contento quando era circondato da tante persone. Un po' meno quando inavvertitamente pestava un piede a qualcuno o faceva qualche altro pasticcio, però insomma... era bello avere delle persone intorno! Specialmente gli amici. « Ci conviene correre. Arriveremo in ritardo! O già siamo in ritardo? » chiese lui ancora confuso. Perdeva spesso la cognizione del tempo. Fatto sta però che insieme alla giovane si mise a correre verso il luogo dell'appuntamento (che per sfortuna loro non era vicino).

    [...]

    I due riuscirono fortunatamente ad arrivare in tempo per l'inizio della lezione. Gwan-Min avrebbe voluto raccontare a Phoebe quello che Hyuk gli aveva fatto passare anche quella sera -si notavano le occhiaie?- ma non ne aveva ancora avuto il tempo. Sperava che durante la lezione avrebbe trovato cinque minuti per aggiornare l'amica sulle ultime novità. In realtà però non aveva idea di che cosa sarebbe successo in quella lezione ed una parte di lui ne era sia eccitata che impaurita. Erano stati avvisati tramite un messaggio in bacheca, era stato chiesto loro di portare tantissimi oggetti e robe varie e Gwan-Min non capiva assolutamente che cosa mai sarebbe potuto accadere. In più quella era come una "gita" babbana! Con un pulmino! Ne aveva sentito tanto parlare da altri amici mezzi babbani o babbani del tutto ed era stra-curioso! Si sarebbe divertito? Si sarebbe fatto male? Sarebbe stata una noia mortale? Dubitava, anche perché c'era Phoebe. Però di sicuro sarebbe stato tutto molto più facile con qualche ora di sonno in più. "Grazie Hyuk.". Dopo aver sentito la presentazione delle tue professoresse, Gwan-Min si avviò con Phoebe verso il pulmino, scegliendo poi dei posti abbastanza centrali (né troppo vicino alle prof né troppo troppo in fondo -tanto quei posti erano già occupati-). « Se mi addormento svegliami... Anzi no. » disse poi il giovane rivolto a Phoebe. Veramente, in quel momento nonostante tutta l'eccitazione per quella lezione particolare, il sonno la stava vincendo comunque.
    Kang Gwan-Min
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    Dio, quel diamine di riccio veramente odierebbe stare al suo posto, non è così? Era più di mezz'ora che Romeo Ventimiglia si trovava di fronte allo specchio per riuscire a tirare fuori qualcosa di buono dai suoi capelli "post-dormita". Non che avesse fatto niente di selvaggio la sera prima, figuriamoci, la cosa brutta era precisamente quella: non aveva fatto niente, perciò i suoi capelli si erano semplicemente svegliati con lui ed avevano deciso di non voler collaborare.
    Basta, è ufficiale.
    Avrebbe prenotato il giorno dopo per potersi rasare completamente a zero.
    (Ma sappiamo tutti che non l'avrebbe mai fatto, andiamo).
    Non che Romeo fosse un narciso o qualcosa di simile, semplicemente gli era sempre piaciuto tentare almeno di dare un fottutissimo senso a ciò che aveva in testa. Certe volte quei ricci lo facevano uscire riccio, eppure ricordava perfettamente ancora quando sua madre glieli pettinava, da più piccolo. Certe volte si ritrova a fermarsi e pensare a loro, quasi fossero una cosa del passato, una cosa che si era lasciato indietro. Eppure erano più veri di quanto lo si volesse pensare. Di quanto Romeo ricordasse.
    Con un sospiro, allora, lasciò perdere quel dannatissimo riccio, scegliendo semplicemente di mettersi una felpa col cappuccio in grado di coprire quel disastro. Nel momento in cui aveva letto, facendo il solito giro in Sala Comune, di quella "gita fuori porta", qualcosa in lui era scattato. Insomma, essere appena tornati dalle vacanze era dura quando si trattava di passare la giornata divisi tra lezioni, clubs e quant'altro. Una gita fuori porta ci voleva proprio, nonostante fossero appena tornati. Ma shhhh, lasciamo godere Romeo di questo piccolo momento di felicità. Anche perché finalmente si sarebbe potuto levare di nuovo la divisa.
    Dalla sua stanza, allora, non gli restava niente più da prendere, giusto? Okay, diamo di nuovo un'occhiata nello zainetto accuratamente preparato.
    Bacchetta? check
    Acqua? check
    Libro? there it is
    Continuò così, il giovane, finché non si rese conto che si stava dimenticando solamente la torcia. Una volta presa tra le dita sottili, quindi, uscì dalla stanza.

    ( . . . )


    Erano precisamente le 10.01, quando arrivò sulla soglia della scuola. Non si può dire di lui che non è puntuale.
    Le due professoresse, fin troppo sovraeccitate per i suoi gusti, erano intente a guardarsi intorno e tentare di capire se potevano cominciare l'introduzione alla lezione. Gli occhi scuri del giovane si spostarono su ogni volto presente lì, mentre le due parlavano, salutando con un piccolo sorriso di cortesia quelli che conosceva, mentre si premurò di non osservare troppo quelli che invece ... no.
    Nemmeno una volta saliti su quel pullmino ocra
    ( sarebbero sopravvissuti? solo il tempo avrebbe portato con sé questa risposta ), Romeo si levò il cappuccio. Arricciò di poco il naso nel vedere le acrobazie di alcuni, tutti intenti ad occupare i posti come fossero la cosa più di vitale importanza. C'era un posto ancora libero vicino ad una ragazza mora, che aveva visto un paio di volte in giro per la scuola. Erika? Elise?
    Fece un'altra specie di sorrisetto di cortesia, allungando una mano verso il sedile vuoto e chiedendo, allora, con una voce particolarmente assonnata.
    « È ancora libero? »
    Magari, si disse, riesco a recuperare un po' di sonno. O almeno spero.
    Romeo Ventimiglia, 16 y/o.
    halfblood
    20.09.2018 H. 10AM
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    con la testa tra le nuvole, mehan tryhard ci passava gran parte della suo giornata, e non perché cercasse a tutti i costi di evadere dalla realtà; gli piaceva, quella in cui viveva, ma sentiva comunque il bisogno di figurarsi nella mente il proprio futuro. Una visione a lungo e breve termine, dipendeva dall'umore con cui si apprestava a racchiudersi in se stesso. Quella mattina, come stava accadendo sempre più spesso da un po' di tempo a quella parte, il grifondoro era partito per la tangente immaginando se stesso da adulto, e le tappe o gli eventi tra loro concatenati che lo avrebbero portato ad una tal situazione: già si vedeva, studente ribelle pronto ad abbandonare la scuola per dedicarsi alla passione più grande, ballerino aggraziato quanto un monaco tibetano scatenarsi sul palco di un rinomato teatro, per poi cadere vittima del suo nemico più grande. Il mal d'amore. (premonizioni? fantasie? solo kieran saegent potrà dirlo). «ehi, tryhard, ti è andato di nuovo in pappa il cervello?» eh ma quanto adorava Boris Caucher e il suo herpes genitale congenito: meh rispondeva di rado alle sue provocazioni, preferendo intervenire solo quando il serpeverde del terzo anno e il suo gruppetto di mean girls (letto minkions) se la prendevano con il povero reginald, o azzardavano anche solo a guardare male nicky e suo fratello. Ma poi, dico, avevano tredici anni, succhiavano ancora il latte dalla tetta della madre, dove volevano andare? Non dava nemmeno gusto allungare un piede mentre ti camminavano affianco per fargli lo sgambetto. NO CHE DICO ERA DIVERTENTISSIMO. Quindi il sedicenne lo fece, sporgendo la punta della scarpa quanto bastava perché «oops» il bamboccino rotolasse sull'erba ancora umida di rugiada notturna, la mano destra premuta su un gomito graffiato. «mi dispiace davvero tanto.. che tu non sappia camminare, Vaucer. Prima o poi imparerai, tranquillo.» E mentre quello si rialzava con il moccio al naso, Mehan trotterelló felice come una pasqua lungo il viale all'ombra delle imponenti mura di hogwarts, dove un pulmino stava già attendendo lui e gli altri studenti della lezione. Una meravigliosa lezione doppia, con altrettanto meravigliose e doppie professoresse: merlino lo stava graziando non con una, MA BEN DUE GURU FRAY! che giornata magnifica! «beh, Beh (ihih), sai già se viene anche maple? devi darti una mossa, fratello, il tempo stringe.» quale, direte voi. Ma il tempo delle conquiste, ovviamente! Non avrebbero avuto sedici anni per sempre, e quelle faccette affascinanti avrebbero fatto colpo ancora per poco. Giusto finché le ragazze li avessero considerati come due dolcini pasticcini e imberbi, ammaliate dalla possibilità di prendersi cura di loro come con dei cuccioli di foca. Almeno, questa era la tattica che usava Mehan. Funzionava? Meh. A giudicare dalle occhiate omicide che Nat Beech gli lanciava di tanto in tanto, si sarebbe detto di no. «buongiornissimo, giovanotti e giovanotte. Oggi sarò la vostra supplente di strategia e scherma. mentre la professoressa blon-de thirteenth, come l’anno precedente, supplisce la cattedra di cura delle creature magiche. prima di partire, check up!» belle, brave e intelligenti le gemelle de13, fresche come bocciUoli di rose bagnati dalla pioggia primaverile - such a poeta: mehan sospirò con l'intensità di una damina ottocentesca descritta dalla mente delicata di jane austen, sfilando lo zaino dalle spalle per assicurarsi ci fosse dentro l'occorrente. A parte un'assicurazione sulla vita mai firmata (al suo posto il tryhard conservava un bigliettino stropicciato sul quale aveva vergato le sue ultime volontà), sembrava esserci tutto. «se una creatura misteriosa dovesse mangiarci, sappiate che vi ho amato» posò le mani sulle spalle rispettivamente di behan e nicky, mentre a loro si aggiungevano dopo pochi istanti anche halley e hunter, inseparabili; meh li capiva, come solo chi aveva un gemello poteva fare, cosi come intuiva per quale motivo sembrassero sempre muoversi su uno specchio d'acqua gelata: con attenzione e procedendo pian piano, cercando nello sguardo dell'altro la sicurezza necessaria ad andare avanti. Dopo tutto, senza un po' di sano disagio non sarebbero mai potuti entrare nei losers. Il fatto che la bionda fosse anche particolarmente carina non aveva affatto influenzato il giudizio del sedicenne quando, all'ultima riunione della sqwad, si era dovuti giungere ad un verdetto *nervous fake laughs* «iniziate a caricare gli zainetti e prendere posto» AH, IL SEGNALE. Di pericolo, allerta, un monito a farsi trovare pronti: il pulmino giallo stile 'allacciate le cinture, viaggiando si impara' sostava a pochi metri di loro, i sedili vuoti appena visibili dai finestrini; file a due a due, come facilmente immaginabile, con l'unica differenza dei quattro posti uniti in fondo. Ora, la matematica non era un'opinione nemmeno per uno come mehan che la odiava, e il ragazzino sapeva che qualcuno di loro si sarebbe dovuto offrire come vittima sacrificale per tenerlo sulle ginocchia, ma dovevano comunque lottare per conquistarli. Seppur scomodi, almeno vicini! «nicky. finestrino.» oh, volendo ci sarebbe passato /comodamente/ anche lui, ma chi lo avrebbe sollevato imprimendo la forza necessaria a far giungere le sue meravigliose chiappette sane e salve dalla parte opposta? Voleva bene a Beh, ma no, e la confidenza data a Hunter ancora non raggiungeva il livello del fai di me ciò che vuoi broh, quindi quella rimaneva l'unica soluzione. Teneramente, Nicky sollevò un piede, convinta di trovare presto le mani del tryhard su cui poggiarsi e dare la spinta, ricevendo in cambio di dell'ingenuitá il volto inespressivo del giovane: sembrava avesse una rana in bocca, proprio come dicevano le malelingue su instagram. «pronta.» nemmeno una domanda, quel punto. Le strinse le mani attorno alla vita, calcolando a mente la distanza da terra al finestrino aperto senza dimenticare la direzione del vento e l'influenza delle maree «Io non sono certa» «UNO» troppo tardi «Che sia una buona» «DUE» gli antichi posti andavano portati in salvo «idea» «TRE!» prima che nicky potesse aggiungere altro, mehan la sollevò in aria facendo leva sulle ginocchia, lanciando - letteralmente - l'amica verso l'ormai infausto finestrino, un rettangolo minuscolo attraverso il quale lei passò per un pelo, un tonfo sordo a segnalare l'arrivo dalla parte opposta. In quali condizioni, non gli era dato saperlo. «spero ci portino a raccogliere bacche » strinse brevemente il collo di suo fratello, dopo aver lanciato lo zaino nella pancia del pulmino, fiondandosi poi su per la scaletta fino ad intravedere una winston spiaggiata in fondo «tu nel dubbio non mangiarle. leggevo di alcune bacche che ti riempiono la faccia di porri pelosi.» per la serie: informazioni random che nessuno voleva. Con Halley e Hunter già seduti accanto a Nicky, Meh concesse a Behan l'ultimo posto, appollaiandosi sulle gambe della ragazzina «un meraviglioso tuffo carpiato, signorina winston» mimetizzato al meglio tra i losers per non farsi notare troppo: che poi, se le professoresse de13 l'avessero fatto sloggiare per motivi di sicurezza (quali), mica gli sarebbe pesato occupare il post libero accanto a Erin Aguilera, eh.


    meh | 16 yo | baby boy
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    he was looking kind of dumb with his finger and his thumb
    In the shape of an "L" on his forehead
    hello from the other side of the finestrino
     
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    “Ciao mamma sono viva” aveva scritto frettolosamente sul primo pezzo di pergamena disponibile, con lo spazzolino ancora in bocca ed i capelli arruffati. Per tutta l’estate la madre l’aveva pregata di scriverle più frequentemente, di chiamare di tanto in tanto, rimproverandola ogni qualvolta osasse rispondere con un “guarda le mie storie su instagram se vuoi davvero sapere”. L’anno prima, Maple aveva perfino impostato una sveglia: ogni trentasette giorni si ricordava di mandarle un messaggio su Whatsapp, alternando fra foto di pasti sbilanciati, battute tremende e vocali silenziosi lunghi tre minuti. Voti mai, neanche quelle rare volte che prendeva un O, troppo timorosa di far crescere in loro chissà quale aspettativa. Quell’anno però Maple Walsh aveva scoperto di avere un gufo. Un gufo grasso e tremendamente pigro la quale unica attività giornaliera era quella di andare a rubare il cibo degli altri gufi. Perché mandare un whatsapp se puoi mandare un gufo? “Fa così vintage!!1!” Piegò il foglio di pergamena in quattro, legandolo con cura fra la piega che si era andata a formare fra il doppio e il triplo mento di Paolo (il gufo). Poi lo spinse giù dalla finestra con nonchalance, sperando che a) avesse abbastanza spirito di sopravvivenza da prendere il volo e b) sapesse la strada di casa.

    Si lanciò fuori dal dormitorio alle 9:59, munita di tutto ciò che le era stato richiesto eccetto la testa. La chioma biondastra che ondeggiava sulle sue spalle, seguendo il ritmo della sua camminata saltellata. Era contenta. Le avevano permesso di svegliarsi due ore più tardi del solito, di non mettere la divisa e, per di più, la portavano fuori dal castello. Aveva fame, come sempre del resto, ma non poteva lamentarsi per come era iniziata la giornata. Una volta fuori dalle mura cominciò a guardarsi intorno, curiosa di vedere se Paolo fosse diventato tutt’uno con il pavimento. Non vi era traccia né di piume né di interiora in terra, perciò sollevò il mento al cielo, notando in lontananza un ovale marrone faticare nel mantenere la quota. “VAI PAOLO CREDO IN TE" lo incitò a squarcia gola, con tanto di saltelli e coreografia degna di una cheerleader. Era la prima volta che usava un gufo per mandare un qualche messaggio, che funzionasse? Sfilò il cellulare dalla tasca dei Levi’s, sbloccò lo schermo ed aprì la chat con la madre: “Ho inviato Paolo, dimmi se arriva” ed inviò entusiasta. Si emozionava con poco, Maple Walsh.

    Come previsto, fu una delle ultime ad arrivare al pulmino. Giallissimo, lo adorava. Senza che troppi pensieri le passassero per la mente entrò nel mezzo, ritrovando decine di volti fin troppo conosciute. Aveva passato l’intera estate a Westerfall, con i suoi, con Connor, quasi sempre in mutande e quasi sempre sul divano; rivederli tutti lì le faceva uno strano effetto. Civiltà!! Finalmente!! Si scusò con lo sguardo per il ritardo, lanciando un leggero sorriso in direzione delle insegnanti mentre cominciava ad avanzare nello stretto corridoio. O era ingrassata, o il pulmino era più piccolo di quanto ricordasse. Ripensò a tutti i gelati mangiati nella pausa estiva, pensando che forse – ma forse eh – aveva esagerato e doveva riprendere gli allenamenti di Quidditch al più presto. Arrivò all’altezza della fila di Erin, notando un sedile interamente vuoto proprio dall’altra parte del corridoio. Salutò l’amica con un sorriso enorme, accennandone un altro in direzione del ragazzo che le faceva compagnia, fiondandosi letteralmente dall’altro lato. Ad essere sinceri, Maple sperava non arrivasse nessun altro lì di fianco. Due sedili = letto = pisolino.

    Lanciò uno sguardo distratto verso il fondo del pullman, attratta dal suono di voci familiari. “Salutare o non salutare. Salutare o non salutare” si incantò su un punto impreciso, mentre era impegnata ad avere una conversazione intensa con la propria coscienza. Poi arrossì, consapevole di essere rimasta imbambolata per troppo tempo. “Respira Maple”. “Hey” In direzione di Behan, poi degli altri, con un sorriso super awkward stampato in volto. Si sarebbe volentieri presa a schiaffi in faccia, oh sì. Si voltò, tornando a guardare dritto davanti a sé, chiudendo gli occhi per la vergogna e maledicendosi per aver anche solo fiatato. ”Dio Maple, gli hai detto solo hey”.

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    19/09/18, h 16.00



    Pers ispezionò l'ennesimo tavolo della biblioteca di Hogwarts, controllò sotto i fogli vari e i libri, senza dimenticarsi delle sedie. Non trovando nulla, si avvicinò alla libreria più vicina e controllò la superficie delle mensole, sentendo l'ansia nel petto crescere esponenzialmente.
    Idiota di un ghiro.
    Ebbene sì, Perses aveva perso il suo ghiro. Non aveva idea di come potesse essere successo, perché era sicurissimo di non averlo perso di vista nemmeno un attimo, ma a quanto pare quel sicurissimo non era poi così sicuro. Nel fare i compiti con estrema concentrazione, aveva alzato lo sguardo e Sleepy non era più dove lo era stato un minuto prima, ovvero vicino alla pergamena su cui stava scrivendo e cui dava la caccia - con il chiaro intento di farla finire nel suo stomaco - da quando il ragazzo l'aveva tirata fuori. Qualcun altro ne sa qualcosa.
    Autocritico com'era, il Serpeverde aveva incominciato a insultarsi tra sé e sé per la mancata attenzione che lo aveva portato a quella situazione. Davvero si era distratto per un minuto, o era molto di più e Sleepy aveva deciso di avventurarsi per i corridoi della scuola? Se qualcuno non l'avesse visto, finendo per calpestarlo? Se si fosse infilato in qualche nicchia e fosse rimasto incastrato? Non sapeva quanto fosse passato da quando si era messo a girare per la biblioteca alla ricerca dell'animaletto, nascondendo il nervosismo sotto la sua patina fatta di impassibilità e gesti calmi dove, invece, avrebbe volentieri scaraventato qualcosa fuori dalla finestra. "Preoccupato" non rendeva minimamente l'idea del suo stato d'animo, e la cosa peggiore era che stava lentamente prendendo coscienza che trovare un roditore piccolo come il suo in quella biblioteca, soprattutto se quel roditore era veloce e scaltro, non era affatto facile.
    Passò accanto a un altro tavolo, dove un paio di studenti di Grifondoro alzarono il capo per osservarlo con aria interrogativa e, appena si accorsero di chi lui fosse, rinunciarono a una risposta e tornarono a farsi i fatti loro. Pers li aveva ignorati completamente, iniziando a chiedersi se non fosse il caso di mettere da parte il suo essere restio a ricevere aiuti per il bene di Sleepy. Insomma, quante probabilità c'erano che potesse riuscirci da solo? Odiava sentirsi debole e dover chiedere agli altri, ed era sempre stato così. Se la cavava da solo in tutto come meglio poteva e di ammettere implicitamente di fronte ad altri una sua mancanza non se ne parlava proprio.
    Anzi, non se n'era parlato fino ad adesso. Pers si morse l'interno guancia con forza alla prospettiva - Theia gli diceva ogni giorno che avrebbe dovuto smetterla con quella stupida abitudine, ma era più forte di lui -, tuttavia la preoccupazione superava persino il suo desiderio di isolamento.
    «Qualcuno ha visto il mio ghiro?» La voce gli uscì piuttosto irritata e irritante e roca per quanto poco la usava quando non c'era sua sorella nei paraggi. Non nutriva comunque grandi speranze al riguardo e perciò iniziò a cercare di nuovo Sleepy senza aspettarsi una vera e propria risposta. Complimenti sul serio, Sinclair! Maledizione. Maledizione maledizione maledizione.
    «Scusami?» Al culmine della tensione, Perses dovette trattenersi dal girarsi e lanciare un'occhiataccia a chiunque gli avesse rivolto la parola o, in un universo in cui fosse stato più incline al dialogo, sbraitare che non aveva tempo per nessuno. Si girò e vide un ragazzo all'incirca della sua altezza, forse un po' più alto e già per questo insopportabile #wat, capelli bruni e mossi. Solo in un secondo momento, abbassando gli occhi, si avvide di quel fuggiasco di un ghiro che masticava qualcosa di non ben identificato; il sollievo fu immediato, portandolo ad allungare di scatto la mano per accogliervi il roditore e portarselo vicino alla pancia. Se fosse stato solo lo avrebbe accarezzato, magari sorridendo, ma dato che così non era fece semplicemente un lungo sospiro. Alla scomparsa della preoccupazione, si sa, a prendere piede sono le tendenze a scaricare la colpa sugli altri di quello che era successo. Questa colpa, invece, Perses se la addossò tutta e non avrebbe potuto essere diversamente. Strinse appena le dita attorno al pelo marroncino dell'animale, dimentico del Corvonero fino alle sue parole successive.
    Allora si concesse un secondo in più per scrutarlo. Non credeva di conoscerlo e, stranamente, nemmeno di averlo mai intravisto in quegli anni. Aveva un'aria abbastanza amichevole e, questo, lo notò per decidere se chiedere scusa in modo freddo, ma pur sempre rivolgendo le proprie scuse, oppure no. Chiariamo, Perses non era davvero dispiaciuto, però quel ragazzo aveva trovato Sleepy ed era ciò che contava.
    Poi, il bruno riuscì ad abbattere ogni suo minimo interesse a scusarsi civilmente, rinfacciandogli in un solo colpo che aveva sbagliato e che, in fondo, non era stato abbastanza attento nei confronti del suo ghiro. Grande sbaglio. Perses contento era impassibile, Perses annoiato era impassibile, Perses infastidito era impassibile, Perses sul punto di morte sarebbe probabilmente stato impassibile, ma un Perses reduce di nervosismo, sensi di colpa e fastidio cui veniva rinfacciato di essere dalla parte del torto era nient'altro che uno stronzo superbo. Che era come tutti lo conoscevano, alla fine.
    «E che sarà mai,» pronunciò, armandosi di quel sorrisetto che faceva venir voglia persino a Theia di prenderlo a schiaffi. Odiava essere in torto, non importava quanto fosse gentile o in buona fede il suo interlocutore. Il cipiglio del tipo fu impossibile da ignorare, tanto che Pers fece spallucce, seguendo quell'impulso che lo portava a, be'... fare lo stronzo. «Stava facendo scorte di cibo per il letargo,» aggiunse. Non mi importa dei tuoi stupidi compiti, era il messaggio insito.
    «Non la definirei una piccolezza.»
    Pers aberrava con tutto se stesso ogni tipo di pregiudizio ma, se così non fosse stato, avrebbe pensato che quello fosse il classico Corvonero che teneva ai suoi compiti come Sleepy alle sue scorte.
    Il suo sorriso divenne teso. «È solo uno stupido compito, amico!» Conoscere Perses, in questo caso, avrebbe significato comprendere che, se lui chiamava qualcuno amico e addirittura lo toccava, voleva dire che stava facendo di tutto per farsi odiare. Lui non aveva dubbi sul fatto che ce la stesse facendo a meraviglia, anche se non sapeva realmente perché si comportava sempre così. Era così che funzionava e basta.
    Avvertì il ghiro raggomitolarglisi sul palmo e gli fece una veloce carezza col pollice, senza interrompere il contatto visivo con il tizio. Non si scompose all'insinuazione dell'altro sul suo essere stupido: non si stava comportando bene, Pers, era lampante, ma chi era quello lì per definirlo stupido? Non aveva mai fatto parte di un gruppo, non aveva mai sentito il bisogno di avere l'approvazione altrui e, vivendo principalmente in solitudine, si imparava in automatico a fregarsene alla grande dei pareri della gente, soprattutto se si aveva come esempio dei genitori anafettivi. Almeno, era stato tremendamente naturale per lui.
    Ancora quel sorriso, e l'atteggiamento di chi tratta una persona con condiscendenza, lo fissò con finta innocenza. «Ti vedo nervoso, è successo qualcosa di grave?» gli pose sarcastico.
    La "proposta" del ragazzo, che obbligo voleva essere, glielo fece squadrare quasi indignato. Generalmente lo avrebbe ritenuto giusto come provvedimento, eh, era per la giustizia, eppure era sempre stato allergico alle imposizioni. Pers dava retta solo a Theia e non sempre, non avrebbe dato retta a quel ragazzo. Indugiò a osservare meglio il Corvonero per imprimerselo nella mente, come faceva con tutti coloro che incontrava.
    «Ma sei un Corvonero, sarebbe una vergogna,» calcò sull'ultima parola, rinnovando il proprio sorriso ironico. «Non hai bisogno certo del mio aiuto.» Che la verità ti renda libero. E lo oltrepassò senza attendere che l'altro ribattesse, con il suo caro ghiro in mano e uno strano vuoto all'altezza del petto che avvertiva troppo spesso. Perses Sinclair sapeva essere stronzo e quella era una delle tante prove per eccellenza.

    20/09/18, h 10.00



    «Iniziate a caricare gli zainetti e prendere posto.»
    «Ti sei mica dimenticata qualcosa?» Perses attese la risposta di sua sorella, che di sicuro non sarebbe arrivata perché, come lui, si era persa ad osservare lo spettacolo della Winston che volava attraverso il finestrino del pulmino. Tryhard aveva un'ottima mira, su questo non c'erano dubbi.
    Perplesso, distolse lo sguardo dalla scena e lo puntò su Theia, scoprendo che quest'ultima lo stava osservando con occhi pieni di entusiasmo e il labbro leggermente all'infuori come a dire "Dai dai, facciamolo anche noi!".
    «Ehm, no.» Si passò una mano sulla nuca, il gesto che loro due usavano per comunicare all'altro di non insistere oltre, e la bionda sbuffò prima di afferrargli il polso e iniziare ad avvicinarsi al pulmino, e Pers si chiese una volta di più come facesse a sembrare una leggiadra farfallina persino quando batteva con cattiveria i piedini per terra. Non che le sarebbe durata a lungo, nel giro di trenta secondi l'avrebbe sentita di nuovo ridere e chiacchierare come al suo solito. Si lasciò trascinare con quella rassegnazione che solo i fratelli vessati(??) conoscevano e si accorse solo all'ultimo della presenza del tipo che aveva incontrato in biblioteca il giorno prima, che con una tale simpatia da sembrare Perses Sinclair in persona gli chiese se avesse fatto i suoi compiti.
    Aspetta che rido. Suo malgrado, la coscienza gli sussurrò che glielo doveva e Pers si appuntò di domandargli - antipaticamente, ovvio - su che cosa fossero i compiti di ieri.
    Theia sistemò il proprio zaino assieme agli altri con una risatina. «Un altro con cui hai fatto lo stronzo?» Gli lanciò un'occhiata di finto rimprovero e rise ancora, strappandogli un piccolo sorriso mentre metteva lo zaino accanto a quello della gemella. «Perché ti ostini a volere la conferma?» Ma quella sottospecie di grillo biondo era già andato avanti e lui si affrettò a seguirla, più per tenerla d'occhio e controllare che non facesse guai che altro. Salito sul pulmino, studiò rapidamente le alternative che gli rimanevano: i sedili in fondo erano occupati, così come alcuni a coppia di due. C'era poi chi aveva un posto libero al proprio fianco, ma lui aveva già individuato due posti liberi di fronte a una ragazza castana.
    Stava per prendere posto con la sua solita flemma, quando quella iena di sua sorella - perché era EVIDENTE che l'aveva fatto apposta, lei e il suo amore per socializzare - lo afferrò dal braccio e gli diede uno strattone; Pers si sbilanciò e si impuntò sul piede sinistro cercando di non cadere, finendo per fare una mezza giravolta degna della migliore ballerina di danza classica e si trovò con il regale deretano seduto proprio vicino alla ragazza castana. E lui non era così scortese da alzarsi e cambiare posto. Era ufficiale: Theia era una persona estremamente malvagggia. Si girò per comunicarle tutto il suo odio primordiale, ma lei era occupata a parlottare con una delle sue amiche. Si riavviò i capelli, guardando la ragazza con l'espressione impassibile-meno-impassibile che rivolgeva alle ragazze dall'aria spaesata. E lei l'aria spaesata l'aveva stampata in faccia. Magari fu quella a convincerlo a rivolgerle un saluto appena accennato con la mano.
    Il suo "Ciao Maple", insomma.

    Perses Sinclair | 16 y.o. | sheet
    Pureblood
    20.09.2018 | H: 10:00 am
    Metamorphomagus


    Edited by Anchor(less) - 22/9/2018, 21:49
     
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    19 SETTEMBRE

    Le lezioni del pomeriggio erano appena terminate e Rose aveva appena superato il ritratto della Signora Grassa che cantava imperterrita una canzone decisamente troppo alta per le sue corde vocali.
    Subito notò che un gruppetto di ragazzi si era radunato intorno alla bacheca della sala comune parlottando tra di loro, chi entusiasta chi decisamente meno. Anche la rossa si avvicinò per capire quale fosse la notizia che aveva destato l’interesse dei compagni e facendosi largo tra la piccola folla tra un -Scusa- un colpo alla schiena -Permessoo- un colpo alla spalla, riuscì ad arrivare davanti al gruppo.
    Un foglio di pergamena affisso con una puntina informava gli studenti che la lezione di cura delle creature magiche e di strategia e scherma si sarebbero svolte insieme e non tra le mura del castello
    Chissà dove ci porteranno e soprattutto che cosa hanno in mente di fare.
    Rose era abbastanza contenta della notizia, non amava le lezioni di routine, frontali e passive. Quindi da un lato era contenta di cambiare un po’ aria ma allo stesso tempo non sapeva cosa aspettarsi. lo scopriremo presto
    Ora il problema era recuperare tutto il materiale richiesto. Non aveva il tempo di acquistare ciò che le mancava quindi passò il resto della giornata a importunare le sue compagne di dormitorio affinché le prestassero una torcia, un binocolo e un trasportino magico. Con sua grande sorpresa riuscì a recuperare tutto entro l’ora di cena.

    20 SETTEMBRE

    Era tutto pronto dalla sera prima eppure era riuscita comunque ad essere in ritardo. Ormai chi la conosceva sapeva bene che la puntualità non era un suo pregio, anzi. Ed eccola quindi lì, per la millesima volta da quando aveva iniziato il suo percorso ad Hogwarts, sfrecciare per le scale che conducevano all'ingresso.
    Aveva rischiato di urtare diversi studenti, di cadere a terra diverse volte ma alla fine, alle 10.05 era riuscita ad arrivare, in tempo per sentire il discorso abbastanza strano fatto dalla De Thirteenth. Strana coppia di professoresse
    Essendo arrivata tardi, e ritrovandosi quindi tra gli ultimi componenti del consistente gruppo di studenti che si erano raccolti davanti alle porte del castello, quando il pulmino giallo apparve davanti agli occhi dei presenti, non fece in tempo a sfrecciare così come molti altri.
    Noto il volo di una ragazza che le sembrò essere Nicky, una tassorosso che aveva intravisto ogni tanto tra le mura del castello. Che lancio…sarà viva?
    Una volta salita sul pullman si diresse verso il fondo, non amava stare nei primi posti che erano decisamente troppo vicini ai professori. Gli ultimi posti erano già stati occupati da Nicky, precedentemente lanciata e a quanto sembrava ancora viva, e dal suo gruppetto. Anche i posti davanti sembravano occupati e tra gli studenti notò Hazel, grifondoro del suo anno e suo fratello.
    -Ehi ciao- la salutò con un grande sorriso per poi trovarsi un posto libero poco più avanti.
    I posti migliori erano già stati occupati ma ne notò due liberi poco distanti così occupò quello vicino al finestrino e sistemò lo zaino sopra in modo da lasciare libero il posto accanto così che se qualcuno si fosse voluto sedere non avesse trovato il suo zaino ad occuparlo.
    Magari qualcuno viene a farmi compagnia…se no be, più spazio per me no?

    Rose Anderson | 15 y.o.
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    Away wannadie take
    a suicidal guy
    «Che cazzo dovrei dirti, la scuola è iniziata solamente qualche settimana fa e vogliono chiudermi il club perché ho poche iscrizioni. Non ha senso.»
    «Ehi, hai pensato al fatto che regali dei biscotti con delle lamette all’interno?»
    «Non sai che il ferro fa bene all’organismo? E questo potrebbe essere l’ultimo dei problemi della scuola, sai, abbiamo un albero fuori dal castello che cerca di lanciarci in aria se ci avviciniamo troppo.»
    «…tu mi fai paura.»
    «Aw, abbiamo qualcosa in comune. Biscotto?.»
    Miglior inizio di giornata per Away Take non poteva esserci, lui che aveva capito che il dormire era diventato un concetto troppo arcano e distante, gli occhi che si facevano visibilmente stanchi e, con essi, anche la sua voglia di vivere sembrava farsi sempre più lontana. Più del solito. Doveva averla lasciata da qualche parte, forse in camera sua, forse a Brighton, non ne aveva idea, ma si sarebbe abituato, quella era stata la promessa, silente, che aveva pronunciato nei confronti di se stesso, la razionalità a divenire un'isola arenatasi nell'oceano. Ti ci abituerai. Sembrava quasi una cosa facile, quando in realtà non lo era affatto: implicava l'acuirsi di uno spirito d'adattamento che mai aveva posseduto, d'altra parte era risaputo che lui, la spina dorsale, non l'avesse mai avuta. Era sempre bastato poco a farlo crollare, sempre bastato poco a metterlo all'angolo ed assicurarsi che abbassasse la testa. Debole? Sì, un po'. Forse anche più di quanto fosse realmente accettabile, o almeno questo era esattamente ciò che avrebbe affermato lui.

    Se ne sarebbe volentieri rimasto a letto nonostante il sonno lo avesse abbandonato da un pezzo, il biondo, rannicchiato tra le lenzuola a lamentarsi con i suoi compagni di stanza del fatto che non ci fossero più le corde resistenti come un tempo o, se si fosse alzato di buon umore, di come i bigliettini motivazionali di suo cugino Self finissero ovunque, dalle scarpe alle tasche posteriori dei pantaloni. E invece no, eccolo a chiudere gli occhi per un attimo e poggiare la testa sulla superficie di legno della tavolata in sala grande, incredibilmente già apparecchiata per la colazione. Restò in quella posizione fino a quando la sua attenzione fu catturato da un ragazzo della sua casata che, con un asparago, iniziò a punzecchiargli una guancia per accettarsi che non fosse morte ma, plot twist, lui lo era già dentro!!11!1!
    «Daffuq, bro? Non sai che gli asparagi non vanno più di moda dal 2009? Non sarai mica un vegetariano? Ed anche in quel caso, nemmeno quello è più aesthetic da anni, ormai. Il prossimo passo è mangiare aria, aggiornati.» pronunciò il grifondoro e, con il solito sguardo perso nel vuoto e da persona che ti sarebbe saltata addosso a momenti per strangolarti, Away se ne tornò con la testa sul tavolo, rischiando quasi di farsi una maschera alle uova, pancetta e fagioli. Ma ehi, al posto del viso ci finirono i suoi capelli. « …ditemi che è uno scherzo. Voglio MOoOoOoORIRE. » lasciò che i polpastrelli andassero a toccare le ciocche sporche di uova e fagioli, mordendosi forse con fin troppa forza l’interno della guancia nel momento esatto in cui una ragazza della sua casata, Phoebe, si avvicinò per chiedergli come stesse quella mattina. Si limitò a schiudere le labbra e a scuotere il capo, Away, prima di lasciare la sala grande.

    Inutile dire che arrivò con qualche minuto di ritardo nel punto di incontro per quella lezione, sia per il mancato tentativo di darsi una veloce lavata ai capelli, sia per immortalare con il suo nuove telefono delle zone molto a e s t h e t i c del castello e dintorni, tipo una strana macchia marrone in lontananza, quasi simile ad una palla con le ali. Unica gioia insieme alle foto da pinnare fu la combo gita + foresta proibita + Wendy&Fray = morte assicurata.
    Tra qualche dimostrazione di affetto mancata prima in sala grande, e poi qualche chiacchierata sulla diatriba tra Machine Gun ( che bel nome ) Kelly ed Eminem, Away salì – sfortunatamente – sano e salvo sul pulmino. Tenendo stretta tra le falangi la spallina della borsa che conteneva tutto il necessario per quella lezione, il finto biondo lasciò scivolare lo sguardo da una parte all’altra della vettura, cercando uno posto libero. Boom, Service Self, almeno aveva trovato qualcuno da poter utilizzare come cuscino. Prima di salutarlo realmente portò l’indice davanti al suo volto, andandogli così ad indicare il fatto che, no, non ci sarebbe stata alcuna conversazione riguardante la situazione capelli. « Self, ti prego, non farmi domande. So che ho ancora dei pezzi di uova tra i capelli, spero solo si mimetizzino con il biondo.... » sospirò con fare automatico, il corpo che si lasciò cadere sul posto a sedere vicino al cugino ed il capo che venne poggiato sulla sua spalla, cercando di recuperare almeno un paio di minuti di sonno o, magari, di risvegliarsi da quell’incubo che poteva chiamare vita ( sad-boy.jpg ).

    gryffindor | 17 y.o.
    20.09.2018 | 10:00
    I hear foolish things from here and there
    As they stupidly laugh
    Out of the majority, the minority are fools
    So I’m floating on top alone
    Don't try to understand the music in my head
     
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    Hazel Elizabeth McPherson
    Hazel McPherson
    La sensibilità di Hazel aveva uno spessore piuttosto sottile. Ovvero, la sua profondità era talvolta pari a quella di una bella pozzanghera e ogni tanto era troppo occupata a cacciarsi nei guai qua e là con la velocità di un boccino per accorgersi di quello che accadeva attorno a lei.
    Per fortuna, Haz conosceva così bene suo fratello che non le serviva una particolare empatia per rendersi conto che quella mattina Gideon era ridotto da schifo. Non glielo disse solo perché anche lei aveva l'aspetto di un morto vivente - e ciò faceva di loro la coppia di morti viventi più bella di Hogwarts -: l'accaduto a Boston aveva un po' stravolto entrambi, ma se il suo fratellone non lo dava a vedere e non rinunciava mai il sorriso, caratterialmente Hazel era così iperattiva che sembrava non fregargliene assolutamente niente, che non vi riflettesse mai, e se da una parte era troppo occupata dai suoi mini attentati alla sicurezza pubblica, dall'altra le importava eccome.
    «Brutti pensieri, fratellone?» E niente, per quanto suo fratello la ammonisse su diminuire il volume della voce lei si sentiva con tutta comodità a metri e metri di distanza. Saltellò allegramente accanto a Gideon, e per poco non si storse la caviglia inciampando sui suoi stessi piedi, ma si riprese all'ultimo senza che l'altro facesse una piega. Pff, che ingrato! Si scostò i capelli dal viso con fare plateale e l'espressione di chi è sopravvissuto a una Guerra Magica, come se non passasse metà della sua vita a rischiare di ammazzarsi, e offesa tirò su col naso. Ma Gid era evidentemente nato sotto il segno zodiacale dell'Orsacchiotto Coccoloso; mandò all'aria il suo piano di atteggiarsi a dolce damigella in difficoltà - seh - che non sarebbe comunque riuscito con uno dei suoi abbracci che a Hazel, come diceva sempre, facevano salire il diabete. Però c'erano volte in cui non adottava la soluzione "calcio alla caviglia" e si sottraeva quasi delicatamente, e quelle volte in cui invece, negli abbracci di Gid, ci sarebbe rimasta per un'ora di fila - ma doveva essere davvero, davvero turbata, oppure avere la febbre a quaranta -.
    Quella era una di quelle giornate, proprio perché vedeva che Gid era preoccupato per il suo stesso motivo e le andava di condividere quel peso e, magari, alleggerirlo un po'. Indugiò nel calore delle sue braccia, permettendosi di chiudere gli occhi e lasciarsi andare a quelle cose da femminucce per non più di qualche secondo, poi li riaprì e si divincolò con forza dalla sua stretta. Scosse la testa e lo scrutò con un sorrisetto furbo. «Ti mancavo così tanto che non riuscivi a dormire?» E gli mollò un pugnetto sul fianco così, giusto perché era una tipetta un po' manesca e nel suo linguaggio era esprimere affetto. Rise della risposta di suo fratello e annuì, prima di iniziare a marciare spedita verso la Sala Grande lasciandolo indietro. «Senza di me sei un ragazzo distrutto. Ora andiamo, ho fame e SAI che potrei fare a botte per il mio caffè.»

    ***



    Hazel stava stalkerando Gideon dal tavolo dei Grifondoro da quando si erano seduti. Certo, lo stava facendo per assicurarsi che nessuna ragazza si avvicinasse troppo a lui facendole scattare in automatico l'allarme "Ti renderò la vita un inferno", ma suo fratello non stava facendo altro che sorridere a destra e manca - cavolo, avrebbe tanto voluto un foglietto per appuntarsi il nome della Corvonero che aveva osato ricambiare, ma chi si credeva di essere?? wat -, seduto accanto a Hunter Oakes. Che carini, il suo cuore di shipper stava iniziando a stilare la lista di cose da fare per il loro matrimonio, ma si era bloccata sui fiori. Mmmh, ortensie? Fiori d'arancio??? La vita di wedding planner era inaspettatamente difficile. Avrebbe chiesto il parere agli sposi, se avessero saputo di essere promessi sposi. Eh vabbè, cose che capitavano nel magico - letteralmente - mondo di Haz.
    Si appropriò dell'ultima ciambella sul piatto davanti a lei, battendo sul tempo Tess e lanciandole un'occhiataccia di avvertimento. Nessuno doveva toccare il cibo che Hazel puntava, sapeva essere incredibilmente vendicativa. Diede un vittorioso morso alla ciambella e tornò a fissare Gid, che aveva in volto l'espressione da costipato di quando aspettava qualcosa con impazienza e un po' di paura: Haz era in ansia tanto quanto lui e si era già scolata due tazze di caffè lungo sotto lo sguardo attonito e ammirato di Eddie. Se ne versò un'altra con fare nervoso, comprendendo alla perfezione lo stato d'animo del suo fratellone. Era pronta a scommettere tutti i macarons del mondo, e nonostante lei e la matematica non andassero d'accordo aveva la matematica certezza che Gideon avesse spedito una lettera a casa per sapere come stavano tutti. Dai Borea, muoviti o ti faccio mangiare tutto il cibo da Aura. Ebbe una fugace visione di Aura che si buttava su Borea stile wrestler e il caffè le andò di traverso, proprio nel momento in cui i Gufi iniziavano a fare il loro ingresso e uno grigio fumo, tra tutti, portava una lettera a Gid.
    «Avanti, ringrazialo dopo, aprila no Eddie riportò gli occhi su di lei con incertezza, probabilmente iniziando a ritenerla pazza perché sembrava stesse parlando da sola - cosa che, di fatto, stava facendo -, ma Hazel non se ne curò e bevve un generoso sorso di caffè per ingannare l'attesa. Poteva sentire l'ansia andare di pari passo con lo sguardo di Gid che danzava veloce da una riga all'altra e corrugò sempre più le sopracciglia, mano a mano che attendeva una sua reazione e da essa la definitiva conclusione. Se lui fosse rimasto immobile, tenendo tra le mani la lettera e senza alzare lo sguardo, sarebbe stata la notizia che entrambi temevano; se avesse curvato le spalle, o abbassato le mani, chiuso gli occhi o reclinato all'indietro, voleva significare che tutti stavano bene.
    Andiamooo.
    Quando Gid si spalmò come formaggio fuso sulla panca, Haz avvertì un'esplosione di felicità nel petto e le venne istintivo esclamare: «SÌ!», stendendo le braccia verso l'alto. La tensione che le irrigidiva il corpo si era dissolta, e finalmente poté smettere di preoccuparsi.
    Si risedette tranquilla come se nulla fosse successo, fischiettando un motivetto e portandosi la tazza alle labbra. Ma aspetta. Non era vuota, prima. «Strano,» borbottò. Poi vide delle macchie scure sul tavolo e seguì la direzione fino a Eddie, il suo viso furioso e la nuova colonia Eau de Café che colonia esattamente non era. Mistero risolto. Hazel si schiarì la voce e ridacchiò, giocherellando col manico della tazza. «Oops, eheh. Scusa. Ci voleva proprio però eh, fa caldo oggi, vero?»
    «ERA. CALDO.»
    «Uh. Ce n'è ancora?»

    ***



    Le professoresse le stavano un sacco simpatiche, sì sì, e quel dettaglio rendeva la lezione ancora più meravigliosa. Okay che si entusiasmava con poco, ma quanto bello era quel pulmino? Hazel e le avventure andavano di pari passo e quella lezione si prospettava divertentissima. Almeno, era l'idea che si era fatta. Non stava più nella pelle di sapere cosa avrebbero fatto! Ad Hazel piaceva stare all'aperto, si elettrizzava di fronte alle sfide o a esperienze che non aveva mai fatto prima, e la possibilità di indossare abiti comodi le aveva migliorato la giornata. Era fatta così, impulsiva e allergica alla pazienza.
    «Daiii, un pulmino Gid, un pulmino!» Nel caso qualcuno se lo stesse chiedendo, no, non era mica la prima volta che ne vedeva uno, ma in quel frangente le sembrava unico e spesciale. Sarebbe stato bellissimo usarlo per andare in campeggio! Per un secondo prese in esame la possibilità di stanziarsi sul tettuccio, cantando "I Believe I Can Fly" per tutto il tragitto, ma qualcosa, cioè la triste normalità, le sussurrava che avrebbe dovuto accontentarsi dei noiosissimi sedili interni.
    Ovviamente, suo fratello Gideon ignorò i suoi deliri. «Spero tu abbia portato tutto quello che serve perché non ti presto niente.» E per quanto Haz era sicura che avesse portato tutto - poteva darsi di sì eh, chi lo sa, era tutta una scoperta -, non riuscì a capire a cosa lui si riferisse prima di ricordarsi dello zaino sulle proprie spalle. Allora sbuffò, con una risatina non molto convincente. «Certo, per chi mi hai presa...! Però nel caso qualcosa me lo presti,» tossicchiò, camuffando l'ultima frase contro il suo petto. Sorrise della tenerezza di Gid che, estremamente diverso da lei, ancora riusciva a sorprenderla, e si allontanò da lui canticchiando.
    Avanzò baldanzosa verso il pulmino, suo malgrado tentando di quantificare la distanza in metri dal terreno al tettuccio, e caricò lo zaino buttandolo distrattamente per poi salire a bordo del mezzo. Salutò tutti i ragazzi che incrociarono il suo sguardo e anche quelli che non si erano accorti di lei, nel frattempo valutando dove sistemarsi con una buffa smorfia di indecisione.
    Optò per una fila di posti da due, precisamente quello più vicino al finestrino - guardare fuori dal finestrino e osservare la strada che percorrevano era un'altra cosa che le piaceva, seppur la sua soglia dell'attenzione fosse un po' bassa -. Non appena Gideon le si sedette accanto Hazel mise la gamba sinistra sulla sua coscia, sistemandosi meglio in una posa alquanto da maschiaccio. Ahhh, ecco a cosa servivano i fratelli!
    Alla menzione del vomito Haz inorridì, schifata, e lo guardò come se lui stesso fosse stato fatto di vomito. «Se proprio devi vomita dall'altra parte. Ma posso sempre farti uscire dal finestrino se vuoi.» Lo scrutò come se stesse cospirando contro di lei e magari era proprio così e gli diede un pizzicotto al braccio a mo' di ammonimento. Con la coda dell'occhio intravide una ragazza dai capelli rossi avvicinarsi e, automaticamente, si appiccicò al fianco di Gid come a intimarle di stare lontana da lui, ma poi si accorse che era Rose e la sua aria minacciosa scomparve, sostituita da un sorrisone. «Ehilà Rose, come stai??» La rossa si sedette poco più avanti e Hazel si staccò da Gid, dato che non sapeva cosa fosse la delicatezza e lo stava praticamente soffocando. «Ma lo sai che hai una spalla comodissima?» Soddisfatta, non attese realmente una risposta e poggiò la testa proprio sulla spalla di suo fratello in un raro momento di accettazione del contatto fisico.

    Gryffindor | 15 y.o.
    Halfblood | 20/09/18
    When you can't
    find the sunshine
    be the sunshine.
    Live more, worry less.


    Edited by .hazard. - 23/9/2018, 19:50
     
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