That's just great, eh?!

Jaeyong&JackDaniels

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    Huin Holangi
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    21 July 2001 || 17 Y.O.
    10/10/2018 || H 10:25
    ♪ Yeah, is it too late now to say sorry?
    'Cause I'm missing more than just your body
    Oh, is it too late now to say sorry? ♪


    Essere svegliati così di soprassalto, nel cuore della notte, non era mai un'esperienza piacevole, specialmente se a farlo era la suoneria del tuo telefono. Il giovane mago cominciò a tastare le lenzuola alla ricerca spasmodica del suo hyung (Hyunjin), nel disperato tentativo di trovare un immediato conforto nella presenza tranquillizzante dell'altro mentre il suo cuore batteva a mille. La suoneria -Sorry di Justin Bieber-, nel frattempo, continuava indisturbata a turbare il silenzio. « Jin? » disse Jaeyong, cercando ancora con le mani, ma nessuno gli rispose. Il giovane a quel punto si decise ad accendere la luce e si accorse subito che Hyunjin non era più nel letto con lui e che tutto quel trambusto era dovuto ad un numero che continuava insistentemente a chiamare al suo telefono. Confuso, mezzo rincoglionito dal sonno e spaventato, Jaeyong rispose. « Pronto? ». A rispondergli una voce sconosciuta. « Mr Kook? Ministero della Magia, attenda in linea. » disse quella voce, seguita da un attimo di silenzio. Inutile dire che Jaeyong non ci avesse capito poi molto. Benché fosse a Londra già da diversi mesi, infatti, non aveva ancora imparato un granché l'inglese e la sua comprensione era ad un livello talmente basso da essere paragonabile solo a quello delle elementari. Però aveva capito perfettamente cosa significasse 'ministero della magia' e già questo gli era bastato per avere il fiato corto. « Jae? » chiese una voce decisamente familiare. « Hyung? » chiese di rimando il giovane, scattando ancora di più a sedere sul letto della misera stanza che avevano preso in affitto qualche tempo addietro. « Che sta succedendo? Non sei a casa? Hyung? » chiese Jaeyong, tempestando il maggiore di domande mentre gli saliva un panico assurdo addosso. « Jae, ho poco tempo. Ho... fatto una cosa che non dovevo fare e mi hanno praticamente arrestato. Devi aiutarmi, Jae. Sono al Ministero della Magia di Londra. Mi hanno permesso di fare solo questa telefonata perché era il modo più rapido per raggiungerti ma ho davvero poco tempo a disposizione. » disse il maggiore mentre il più giovane si metteva le mani ai capelli. « HYUNG! Ma stavi dormendo! COSA TI È SALTATO IN TESTA? COSA HAI FATTO? » chieste ancora Jaeyong, cominciando ad andare in escandescenze. Hyunjin gli aveva promesso che non avrebbe fatto nulla di avventato e che lo avrebbe aspettato prima di fare qualunque cosa. GLIELO AVEVA PROMESSO. Valevano così poco le promesse per lui? Voleva davvero così tanto stargli lontano? Quanto gli sarebbe costata questa sua bravata? ORA ERANO DI NUOVO SEPARATI. « Ti avevo chiesto di starmi vicino! Ti avevo chiesto di essere prudente e di non fare di testa tua! E scopro che te ne vai in giro nel bel mezzo della notte, subito dopo aver litigato con me! E CHE SEI FINITO IN CARCERE! » urlò ancora il più giovane, sentendo già l'inizio di una protesta. Ok, non era ancora tecnicamente in carcere però era quasi la stessa cosa. Ed aveva tutte le ragioni per essere sull'orlo di una crisi di nervi. Tra l'altro non gliene importava un fico secco dei vicini. Che si svegliassero! Questa era una vera emergenza e lui era già sulla buona strada per incazzarsi sul serio. « Jae, ti prego. Questo non è proprio il momento. Vieni al Ministero della Magia. Per favore. » disse Hyunjin e, dal tono di voce, si capiva perfettamente quanto fosse spaventato e triste. Jaeyong cercò allora di ingoiare tutto quel fiume di parole pronto ad uscirgli di bocca, finendo solo col dire « Arrivo. » prima di chiudere la telefonata.

    [...]

    Jaeyong era consapevole di avere un enorme difetto: la possessività. "Quello è mio", "Tu sei mio", "Quelli sono miei". C'era un tempo in cui condividere qualcosa con altri era stato un problema perché tutto era suo e non riusciva a lasciarlo andare. Specialmente le amicizie. Era stato da solo per troppo tempo ed aveva molta paura di perdere tutto ciò che aveva così faticosamente trovato, tant'è che diventava geloso quando una persona arrivava anche solo a sfiorare un suo amico, proprio per questo insensato timore di essere lasciato solo. Col passare degli anni era diventato molto più bravo a gestire questa sua caratteristica, però questa non era di certo sparita. Era rimasta rintanata in un cantuccio del suo cervello ed era tornata in carreggiata quando Hyunjin l'aveva trovato. Il dolore provocato dal suo rifiuto e dalla solitudine che ne era derivata, l'aveva davvero sconvolto ed una volta ritrovato l'amico perduto, i suoi sentimenti erano diventati davvero pesanti da gestire. Jaeyong non poteva stare lontano da Hyunjin neanche per qualche minuto. I primi tempi aveva anche faticato a farlo andare in bagno da solo, figuriamoci ad uscire di casa. Il giovane si rendeva conto di essere un po' pesante e Hyunjin, essendo una persona molto libera e socievole, sicuramente ne risentiva e se ne rendeva conto anche lui, però non poteva proprio fare a meno di evitare di essere così appiccicoso. Aveva bisogno di più tempo, specialmente perché non aveva ancora riacquisito tutta la fiducia necessaria a far sì che non temesse più di perderlo. Hyunjin non si era fatto di certo problemi ad urlargli contro, reclamando indietro la sua libertà, e da qui erano scaturiti diversi litigi che avevano portato i due a soffrire terribilmente e ad allontanarsi un po' nonostante la promessa fatta. Il loro non era un rapporto facile, specialmente perché certe cose se le dicevano in faccia ma nel modo sbagliato. Si urlavano frasi ma non in modo completo, nascondendo verità. Jaeyong non riusciva a spiegare i suoi motivi poiché se ne vergognava e Hyunjin, forse, non era pronto a vedere la verità o semplicemente aveva davvero bisogno di ritrovare una routine sana dopo i recenti avvenimenti, cosa che Jaeyong gli impediva in qualche modo di avere. Fatto sta che quella sera si erano addormentati abbracciati dopo essersi chiesti scusa e dopo essersi promessi per la millesima volta di stare insieme (sempre), ma qualcosa era andato storto e Jaeyong era furioso. Triste, demoralizzato. Un'altra promessa mancata ed un'altra delusione. Probabilmente questa sarebbe stata la volta buona: l'avrebbe ammazzato. I pavor poi non gliel'avevano fatto quasi neanche vedere. Due minuti di chiacchiera in loro presenza in cui veniva consigliato loro di assumere un avvocato (?) o qualcosa del genere. Onestamente Jaeyong continuava a capirci ben poco di tutto quello che dicevano e non aveva idea di quello che doveva fare. Capire tutte quelle parole in una lingua a lui totalmente estranea lo stava facendo sentire così indifeso! Non sapeva come aiutare Jin, non sapeva come poterlo riavere accanto e non capiva nulla. Sperava sinceramente che non si accorgessero poi dei documenti falsi, altrimenti tutto sarebbe andato perduto in un attimo! Aveva una così gran voglia di urlare che per la prima volta si sentì quasi costretto a chiudersi la bocca con le mani. "Se riesco a far uscire Jin di qui, giuro che lo rinchiudo io e poi lo ammazzo". Nel frattempo Jaeyong attendeva, solo, in una stanzetta. Che ci faceva lì? Boh. Cosa stava aspettando? Ah boh. Davvero non ci stava capendo un tubo.
    Something happens every time!


    Edited by pipe dream: - 24/12/2018, 00:05
     
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    Quando recluso nelle quattro mura del proprio appartamento con lo sguardo smarrito oltre la cortina grigia del cielo londinese, Hyde poteva anche illudersi che ci fosse un limite all’idiozia umana, ma era un lusso che in qualità di Jack Daniels, lavorando al Ministero della Magia, non poteva permettersi. In un mondo utopico, gli enti governativi avrebbero dovuto raccogliere l’élite dei maghi e le streghe, menti brillanti e squisite il cui unico scopo fosse migliorare la (mediocre.) vita del popolo e mantenere l’ordine, seguendo l’antico dogma utilitarista Benthoniano: massima felicità per il maggior numero. Nella realtà concreta e quotidiana del diciannovenne a Capo del Consiglio, i Ministeriali erano un gruppo di ritardati animati dall’egoismo e da una chiusura mentale che gli impediva di osservare il disegno più grande concentrando invece le loro insulse, patetiche, forze in effimeri dettagli di cui nessuno, passando il francesismo, se ne sbatteva la minchia. Dietro la spessa scrivania in mogano del suo ufficio, sul quale porta aveva affisso un cartello che non lasciava spazio a dubbi di sorta (“vi apro solo se lo ritengo strettamente necessario”), Jack osservava impassibile il fervente omuncolo seduto sulla poltrona cremisi di fronte a se. Malgrado fosse (quasi) nel fiore degli anni, le calvizie iniziavano a masticare terreno sulla testa corvina dell’uomo; la barba, non particolarmente ben curata, lasciava intendere che non fosse un ammiratore del barbiere (o degli specchi) e le guance arrossate dall’animosità del discorso (vorrei ricordare, a senso unico: il Daniels non aveva aperto bocca da quando l’altro aveva fatto il suo poco trionfale ingresso nell’ufficio) facevano dedurre che prima di mettere piede al Livello Milizia, avesse assaggiato il vin brulé del barbone offerto nella via adiacente rispetto a dove si trovava l’ingresso del Ministero.
    «noi siamo qui non perché siamo contro gli stranieri, contro gli immigrati, ma perché siamo contro i clandestini.» Lui, forse. Hyde era lì perché il suo quoziente intellettivo triplicava quello dell’intero Ministero britannico, ma immaginava che non tutti potessero sollevare simili traguardi - non che ci volesse molto, per inciso. «divinazione» Ne seguì un silenzio denso e ricco di confusione dal parte del proprio interlocutore. Sollevò gli occhi cerulei verso quelli scuri dell’uomo, un biondo sopracciglio arcuato. «-divinazione?» Batté le ciglia, sospirò drammatico e stanco. Era frustrante dover sempre spiegare cosa si intendesse; perché le persone non potevano semplicemente seguire la sua stessa logica, anziché rimanere concentrati sul proprio discorso come cani aggrappati ad un osso? Per Hyde non si trattava mai di uno scambio diretto: qualunque cosa enunciata ad alta voce, denotava quanto il Crane Winston lo ritenesse importante e fondamentale – altrimenti non si sarebbe sprecato ad aprire bocca – e lui puntava sempre ad un punto successivo a quello in discussione al momento, così da completare il prima possibile il mosaico. Sostanzialmente, ottimizzava i tempi per levarsi dalle palle gli individui (tutti.) che non riteneva degni della sua presenza. «ah non stavamo parlando di cose stupide ed inutili?» allargò brevemente le braccia, ghignando piatto in quel modo peculiare che solo gli ottimisti avrebbero definito sorriso. «peccato, perché il secondo punto che avrei elencato sarebbe stato matthew sulveene» Una pausa, entrambi i gomiti poggiati sul tavolo. Lo sguardo gli cadde su alcuni chicchi di riso che l’uomo, fomentato dalla questione, aveva fatto cadere sul lucido mogano della scrivania. «il tuo nome, per inciso.» si sentì in dovere di specificare, avendo evidentemente a che fare con un troglodita d’inizio medioevo. Hyde era egualitario, e non odiava alcun individuo specifico – non per razza, etnia, o religione: odiava tutti allo stesso modo. Ma v’erano soggetti, e neanche troppo rari, che il biondo si ritrovava a non tollerare più di altri (vedi: matthew) e che lo spingevano ad adottare l’antica strategia di guerra il nemico del mio nemico è mio amico. Sulveene era un Pavor, e di certo non dei più brillanti; svolgeva lavori d’ufficio, fingeva di occuparsi delle relazioni con gli altri enti governativi, regalava spille con su scritto PRIMA GLI INGLESI a chiunque fosse nato nella terra natia degli One Direction, e passava i propri annoiati pomeriggi a cambiare il colore delle cravatte dei suoi colleghi ad un brillante verde smeraldo. La leggenda narrava che al Ministero, anziché presentarsi in Metropolvere, giungesse con la Ruspa Volante 2000 (da non confondere con il mezzuccio babbano con il quale non aveva nulla con cui spartire…eccetto per la forma ed il funzionamento, ecco, ma era tutta un’altra cosa!!). Beveva Earl Grey ed ascoltava solo i Rolling Stones, perché con i Beatles aveva chiuso dopo la faccenda Yoko Ono. Yoko Ono era il suo Dinkleberg, per i fan dei Fantagenitori in grado di cogliere la citazione: aveva distrutto i Beatles, a dire del buon Matthew. Aveva sancito ufficialmente l’odio per Matthew nei confronti di tutti gli orientali, mascherata dall’uomo con una fitta propaganda incentrata sui clandestini - ma chi voleva prendere per il culo? Chi fosse stato intenzionato ad equale pulizia etnica non sarebbe andato in giro preparando bombe di carta contenenti chicco di riso, né avrebbe cercato di accalappiare orientali blaterando di sushi, sashimi, e riso alla cantonese – sì, Matthew lo faceva. L’uomo lo osservò senza battere ciglio, l’usuale espressione intelligente di chi si fosse svegliato nel continente sbagliato; Jack Daniels si chinò lento verso di lui, scandendo le parole come avrebbe fatto con Jekyll un bambino particolarmente speciale. «ti sto prendendo per il culo» chiarì, spalancando i grandi occhi azzurri. «ti ho ascoltato» mio malgrado. Anzi, no: «mio malgrado» tamburellò con le dita sulla scrivania, aprendo e chiudendo il fascicolo che l’uomo, trionfante, aveva sbattuto sul tavolo quella mattina. «e posso dirti, in tutta onestà…» una pausa. Schioccò le labbra fra loro, lo sguardo a scivolare dalla foto segnaletica del ragazzo (avrebbe mentito se avesse detto di conoscerlo, ma aveva qualcosa di familiare – e no, non perché fosse orientale sì invece) al volto di Sulveene. «che non me ne frega un cazzo.» sorrise, e quasi (quasi.) per davvero, nel poggiare sornione la schiena al sedile della propria poltrona. Uno dei tanti motivi per i quali aveva ambito ad occupare quel posto: potere significava avere la possibilità di essere brutalmente onesti, e poter dire ai figli di puttana che bussavano alla sua porta che potevano anche andare a farsi fottere – ed il tutto senza ricevere alcuna ammonizione per la propria inadeguatezza e poca diplomazia.
    Ah, la politica. Che meraviglia! «ma è una questione I M P O R T A N T E. è un C R I M I N A L E. Dobbiamo rispedirlo in corea! CHIUDERE I PORTI. BASTA CON QUESTE FANDONIE» Non sapeva neanche quale fosse il capo d’accusa nei confronti del ragazzo, né se fosse effettivamente colpevole o innocente, ma ecco cosa sapeva: oltre ad essere Capo del Consiglio, era un magiavvocato; Matthew Sulveene gli stava sul cazzo.
    Non ci voleva un grande ingegno (insomma, avrebbe potuto arrivarci perfino Matt) per comprendere quale fosse la semplice, ovvia, soluzione: si sarebbe preso carico del caso – pro bono, se non avessero avuto soldi con i quali pagarlo.
    Ed avrebbe vinto la causa. Magari avrebbe potuto farsi ricompensare per il proprio lavoro con un selfie, così aveva già pronto anche il biglietto con gli auguri di Natale per Matt e famiglia: meraviglioso. «ti do tre secondi per uscire dal mio ufficio,» guardò l’orologio, controllando metodico lo spostarsi delle lancette. «ed andare a farti fottere*» (*: glielo dice in cinese, ma sara ha paura di quello che ha trovato cercando su google, quindi non lo scriverà in cinese; voi fingete lo sia) «poi ti uccido.» sorrise, il fu Hyde Crane Winston.
    E sorrise, perché era mortalmente serio.

    Aprì la porta della grigia stanzetta ministeriale riservata ai colloqui con gli avvocati. A quanto pareva, per l’immensa gioia di Matthew, gli involtini primavera erano diventati due – uno incriminato, e l’altro pronto a salvarlo. A pensarci bene, forse avrebbe dovuto paragonarli ad una nuvola di drago e l’immancabile salsa agrodolce. Rimase sulla soglia il tempo necessario perché il ragazzo alzasse lo sguardo, quindi gli rivolse un pigro cenno con il capo. «jack daniels» si presentò, ma non allungò la mano per stringere quella del ragazzo: che non esagerasse con la confidenza. Battè le ciglia a prese posto sulla sedia opposta a quella del moro, aprendo distrattamente il fascicolo contenente i dati di un certo…nome impronunciabile; non si sarebbe posto la domanda finchè non fosse stato strettamente necessario. «è tuo fratello?» domandò, cercando di appiattire il pesante accento londinese. Da quel che aveva capito (poco) non parlava inglese, ma non aveva compreso da quale parte dell’oriente giungesse – non aiutava il fatto che tutti continuassero ad additarlo come kinese: ma che cazzo voleva dire, poi. Non che, in fin dei conti, saperlo avrebbe cambiato qualcosa: Hyde parlava un gran numero di lingue (ma si era sempre rifiutato di imparare il francese: si amava troppo per imparare l’idioma degli stessi individui che pensavano fosse intelligente portare del pane sotto un’ascella) ma non significava amasse usarle nei giusti contesti.
    Significava solo che potesse mandare a fanculo in tutte le lingue del mondo.
    «quale reato ha commesso? Perché la cartella dice “nighiri senza alga”, ma penso sia un…» simpatiko skerzone. «errore burocratico.» leggero e falso, curvò le labbra in un sorriso. «d’altronde, i nighiri non hanno l’alga.»
    Mica per altro, eh.

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    Il silenzio era snervante. Solo il suo respiro affannoso lo spezzava, così come il battito accelerato del suo cuore. "Che sta succedendo? Che ci faccio qui? Che fine farà Hyunjin?" si chiedeva il giovane, portando entrambe le mani alla testa in un chiaro segno di disperazione. Era facile dimenticarsi della giovane età di Jaeyong ma era bene tenerlo a mente poiché il ragazzo non aveva che diciassette anni, pertanto non ci si poteva proprio aspettare che affrontasse la situazione in modo pacato e sereno. Neanche un adulto si sarebbe comportato meglio, tranne qualche eccezione. In più il fatto che si trovasse in terra straniera non faceva che peggiorare le cose, purtroppo, perché Jaeyong non capiva davvero nulla di ciò che gli veniva detto e questo, ahimè, era un dato di fatto, così come la sua giovane età che si faceva sentire proprio in momenti del genere. Nel suo paese, la Corea, non era ancora neanche maggiorenne, eppure eccolo lì impegnato a salvare il suo hyung dalla prigione in cui era finito (forse) ed a cercarne pure un altro ritenuto morto. Era davvero questa la sua vita? Come c'era finito in questa situazione? Beh, in effetti il 'come' gli era abbastanza chiaro, così come il 'perché' dato che se c'era una cosa di cui era sicuro era che amava i suoi hyung più di qualsiasi altra cosa al mondo, però non capiva davvero come si potesse essere così sfortunati, questo si. "Appena metto le mani su Hyunjin, giuro che lo ammazzo! Accidenti a lui!" pensava il povero Jaeyong, continuando ad arruffarsi i capelli nella speranza di un qualcosa. Che cosa? Boh. Una rivelazione, forse. Una spiegazione. Un qualcosa (qualsiasi cosa).

    Tic-Toc
    Tic-Toc


    Quanto tempo era passato? Un'ora, forse. Due. Tre. Chi poteva dirlo? In quella stanza il povero Jaeyong aveva letteralmente perso il conto di qualunque cosa. L'avevano lasciato lì da solo ed il ragazzo soffriva davvero moltissimo la solitudine, specialmente dopo i recenti avvenimenti che l'avevano visto abbandonato dalla sua seconda famiglia, ossia quella formata dal gruppo di giovani ribelli conosciuti alla scuola magica coreana. Ogni suo hyung se n'era andato, chi per un motivo e chi per un altro, e Jaeyong si era ritrovato a viaggiare da solo alla ricerca di Sehyung, così come nei suoi peggiori incubi. Una parte di lui ci aveva sempre creduto poco... Una parte di lui aveva sempre immaginato che prima o poi sarebbe successo ma come uno sciocco aveva messo da parte quei pensieri ed aveva deciso di avere fede nei suoi amici più cari. Ed effettivamente quelli erano stati davvero gli anni più belli della sua vita. Era diventato più aperto, più fiducioso, più carismatico. Anche la sua danza ne aveva giovato, persino il suo canto. Si, era diventato molto più consapevole delle sue doti grazie all'autostima che i suoi hyung avevano contribuito a fargli avere... ma ora si sentiva solo il fantasma di se stesso. Aveva ritrovato Hyunjin ma era riuscito a litigare persino con lui, quindi le cose davvero non andavano bene per il giovane mago. "Ed ora questo..." pensò ancora Jaeyong, immaginando poi Jin nelle sue stesse condizioni. Anche lui sicuramente era spaventato ed in ansia, però cosa poteva farci lui? "Perché se n'è andato? Cosa gli è venuto in mente? Perché deve fare sempre di testa sua quando gli avevo espressamente chiesto di non andare?" si chiedeva il mago. Quel tradimento bruciava. Non c'era nessuno a cui Jaeyong tenesse di più ma certe volte avere a che fare con Hyunjin era troppo perfino per lui che l'amava così tanto. Ed era la seconda volta che lo tradiva: la prima perché l'aveva abbandonato e la seconda perché aveva infranto la promessa. Quante altre volte l'avrebbe fatto? Davvero poteva fidarsi di lui? Davvero voleva farlo in eterno? Se lo chiedeva, Jaeyong. Si domandava che tipo di futuro l'avrebbe aspettato se si fosse tenuto sempre al fianco Hyunjin. E da quello che poteva vedere non è che gli sembrasse poi molto roseo. "Però... però senza di lui come faccio?" si chiese il giovane mentre una lacrima solitaria gli scendeva lungo il viso. Ed era proprio questo il problema: Jaeyong era fin troppo attaccato a Hyunjin. Non era un rapporto fraterno perché non si comportavano come fratelli. Non era un'amicizia perché definirla un'amicizia era fin troppo poco. Allora cos'era? "Che cos'è? Che stiamo facendo? Perché mi sento uno schifo e una pasqua allo stesso tempo?" si chiese ancora una volta il giovane, però per fortuna i suoi pensieri vennero fermati dall'arrivo di una persona sconosciuta.

    Jaeyong era sicuro di non aver visto prima quella persona (sebbene gli sembrassero tutti un po' uguali) e questo istintivamente lo fece subito drizzare sulla sedia. Quel giovane uomo non si mosse dalla porta per qualche secondo ma subito dopo si presentò, o almeno così gli sembrò. «jack daniels» disse l'uomo e Jaeyong chinò subito il capo in segno di rispetto, così come era solito farsi nelle città orientali. L'uomo non gli chiese il suo nome in cambio, dunque il giovane non disse nulla poiché non lo conosceva e non voleva tradirsi in alcun modo. L'istinto infatti gli stava quasi per far dire il suo vero nome ma alla fine il mago si era fermato in tempo, prima di combinare un vero disastro. Aveva già dato un nome falso, Ryu Kay, quando si era presentato per vedere Hyunjin, però aveva comunque troppa paura di ripeterlo. Non era abituato a lavorare con un nome non suo, specialmente in una situazione così delicata, ma ci avrebbe provato per il suo bene così come per quello di Hyunjin. Non dovevano dimenticarsi di essere ancora ricercati dal Ministero della Magia coreano. «è tuo fratello?» chiese l'uomo. Fortunatamente quella era una parola che Jaeyong conosceva dato che era la cosa che più si avvicinava al significato di 'hyung'. Ovviamente era più difficile capire a chi fosse riferito dato che molte cose non le aveva ancora comprese, ma ci andò ad intuito. « No. » disse, poco sicuro ma in modo veloce. Era sempre meglio dire di no (?). Credeva che l'uomo gli avesse chiesto se fosse il fratello di Hyunjin e quindi era un no, sebbene comunque all'inizio ci avesse pensato. Avrebbero potuto facilmente spacciarsi per fratelli, ma... sembrava sbagliato? C'era qualcosa dentro di lui che proprio si era ribellato alla sola idea, quindi aveva scelto di lasciare le cose come stavano e continuare anche in quel caso ad essere amici. «quale reato ha commesso? Perché la cartella dice “nighiri senza alga”, ma penso sia un…errore burocratico. D’altronde, i nighiri non hanno l’alga» disse infine l'uomo e temo sia inutile sottolineare quanto poco Jaeyong avesse capito di quel discorso. Purtroppo era un caso perso: quel paese non faceva proprio per lui, sebbene amasse molto le canzoni in quella strana lingua. « Nighiri senza alga? » chiese il giovane confuso perché sapeva perfettamente cosa fosse un nighiri ma non capiva cosa c'entrasse con il discorso. Che gli stesse chiedendo se gli piacessero? « Ah! » esclamò il giovane, convinto di aver capito tutto, anche se perplesso comunque dalla domanda (?), ma pensò comunque che fosse educato rispondere. « Nighiri? Si. Buono! » disse lui, portando le mani alla bocca come per far capire ancora di più che i nighiri da mangiare gli piacevano molto, specialmente con la salsa di soia. Diciamocelo, però, tutto è più buono con la salsa di soia. "Ma non è che è Hyunjin che vuole i nighiri?" si chiese il giovane. Poteva davvero essere vero dato che Hyunjin aveva un pozzo al posto dello stomaco, quindi aveva sempre fare. « Amico mio, nighiri? » chiese Jaeyong, facendo portando di nuovo entrambe le mani alla bocca per mimare una persona che mangiava qualcosa.
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    Sarebbe stata una lunga mattinata. Jack osservò impassibile il ragazzo, un sorriso – poco – cordiale cristallizzato sulle labbra. Se non fosse stata una questione di principio, una rivolta nei confronti di Sulveene, il Daniels avrebbe schioccato le dita sbattendo china e china-con-furore ad Azkaban senza perdere un’ora di sonno giusto perché poteva permetterselo, ma ahimè, per quanti pochi principi avesse, infastidire coloro che riteneva propri nemici rientrava nella (davvero breve) lista. Sfogliò distrattamente i fascicoli, scollando lento lo sguardo azzurro dal moro. Con intenzione, drammatica quanto inutile considerando che si trattava solo di scena, umettò il pollice e l’indice fingendo di provare interesse verso gli scarabocchi dell’ennesimo pavor illetterato; come aveva scoperto nell’anno precedente, in un mondo corrotto quanto il loro la carriera di magiavvocato si basava principalmente sull’apparenza: giacca e cravatta erano abiti di scena, l’aula di tribunale il loro palcoscenico. Le cause non interessavano a nessuno, erano solo moderno e spiccio teatro d’alto borgo. «il tuo amico è sicuramente un nighiri» commentò apatico a se stesso, bisbigliando appena, prima di levare gli occhi blu verso il suo interlocutore. Vorrei dire che il ragazzo avesse un viso familiare, ma sia Hyde che Jack avevano sempre prestato poca attenzione al resto del mondo: poteva essere stato il suo vicino di casa per vent’anni, ma con il poco cazzo che se ne sbatteva del genere umano, il biondo non l’avrebbe mai saputo. Girò i fogli in modo che il retro fosse visibile, quindi prese una penna ed iniziò a disegnare. Tratti rapidi e semplici – un ragazzo, una cella – e al fianco della vignetta, scrisse un punto di domanda. Fece scivolare i fogli verso l’altro, indicando prima il prigioniero e poi l’interrogativo, domandandogli silentemente il motivo per il quale fosse stato rinchiuso: lo sapeva, almeno? Qualcuno aveva avuto la decenza di dirglielo, o a Jack toccava bullizzare una delle guardie? Non che gli sarebbe dispiaciuto, eh; ogni occasione era buona per un po’ di terrorismo psicologico. «p e r c h è?» sillabò lento, cercando di aiutare l’orientale a comprendere quale fosse la domanda. Magari la parola perché la conosceva. Era certo che numerosi inglesi l’avessero fermato e, mani sulle spalle, gli avessero posto quella stessa domanda: la Gran Bretagna non era più posto per gli immigrati, d’altronde. Agli inglesi toccava oramai lavarsi i piatti da sé, con gli italiani rispediti a impastare pizza e suonare il mandolino, quindi perché sei qui, o giovane asiatico, quando potresti fare il kash con una boy band #nohomo in patria? «fammi un d i s e g n o» puntò la penna sul foglio, lasciando poi l’arma contundente al giovane. Incrociò le braccia al petto ed abbandonò la schiena al sedile, lo sguardo puntato al soffitto mentre rifletteva sulla caducità della vita. «siete m a g h i?» mimò di agitare una bacchetta nell’aria, impassibile come Vessicchio a San Remo nascosto sotto chili di spumosi barba e baffi. «o e s p e r i m e n t i?» con lo stesso, spiccato, talento naturale, picchiò i pugni fra loro e li allargò disegnando nell’aria un arcobaleno, con tanto di esplosione soffiata fra i denti. Si sentì un po’ Jekyll, in quel momento – stupido, sì.
    Ma sempre con classe.
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