A matter of choice

Halley x Guinevre [challenge #02]

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    Con un’espressione assorta, tipica di chi è impegnato a perfezionare il suo piano di conquista dell’universo, Halley percorreva le stradine di Hogsmeade a passo lento. Poggiò la punta della piuma sul taccuino che aveva tra le mani e la spostò freneticamente per tutta la larghezza della pagina, tracciando una serie di linee marcate e cancellando così un’opzione della lista stilata quel giorno. Come aveva potuto anche solo pensare di scrivere un articolo sugli abitanti del multiverso magico? Forse, per un attimo, aveva rimosso il piccolo, insignificante, dettaglio dell’assoluta segretezza della missione ed era stata annebbiata dalla possibilità di pubblicare la storia del secolo, talmente importante da garantirle il corrispettivo magico del premio Pulitzer, da farla ascendere fino all'Olimpo dei giornalisti e diventare leggenda alla sua tenera età. Aveva tutto il necessario: prove inoppugnabili, fonti verificate, testimoni attendibili. Aveva Nicky, innanzitutto, grazie alla quale i Losers erano venuti a conoscenza di quella storia e della richiesta di aiuto da parte dei viaggiatori. E ad Halley sarebbe bastata la parola dell'amica per crederci, per accettare l'idea che in quella città, in quel mondo, fossero arrivate delle versioni alternative di alcuni di loro, persone sbalzate via dal tempo in cui vivevano e che avevano bisogno di ritrovare la strada di casa. Sarebbe stato un racconto difficile da digerire per molti, ma non per la grifondoro. Lei, Halley Oakes, era tutto quello, era un doppione, un paradosso, un’anomalia in una linea temporale che non le apparteneva e nella quale aveva dovuto infilarsi per tentare di salvare la propria, un’intrusa che, a differenza loro, aveva dovuto rinunciare per sempre alla sua vera casa.
    Aveva JJ, che – nella sua mente – era il primo esempio di viaggiatore spazio-temporale-dimens-quello che era che avessero conosciuto. Non poteva non esserlo. Nonostante Halley credesse alla teoria dei sette sosia sparsi in giro per il mondo, le tempistiche della comparsa del serpeverde erano state quantomeno sospette: arrivato ad Hogwarts a pochi mesi dalla misteriosa apparizione di Andy, si era rivelato tanto simile a Gideon nell’aspetto fisico quanto lontano dal punto di vista caratteriale. Quella, per la grifondoro, era la perfetta descrizione di un abitante delle tante Terre alternative – perché dava per scontato che la loro fosse quella originale e che gli altri, milioni di versioni di loro stessi, fossero variazioni sul tema. L'unica falla nel suo impeccabile ragionamento consisteva nel fatto che, a differenza del resto dei dispersi, il fake!Gid non avesse alcuna memoria della sua vita precedente. Davanti a quell'obiezione, Halley aveva sollevato pigramente le spalle e concluso che, una volta fuoriuscito dallo squarcio, JJ doveva essere atterrato di faccia, sbattendo la testa e dimenticando ogni cosa. Plausibile, no?
    Aveva suo fratello, che era tornato talmente scosso dalla missione di salvataggio intrapresa con Rudy da interrompere l'Hunter Day – il suo giorno d'aria, le ventiquattro ore che aspettava, ogni mese, per potersi liberare della grifondoro – e raccontarle ciò che era accaduto. Le sue prime parole erano state simili a versi indistinti, un farfugliamento frutto delle troppe informazioni accumulate e del fatto che la sua mente le stesse elaborando a ritmi fin troppo elevati per la sua bocca. Il secondo tentativo aveva portato a dei miglioramenti, ma fu solo dopo averlo invitato a trarre un respiro profondo e concedersi qualche istante per rimettere in ordine i pensieri che era riuscita a capire effettivamente cosa fosse successo. Si era imbattuto in due di loro, aveva le prove tangibili della veridicità di quelle voci e Halley, di conseguenza, tutto il necessario per realizzare un articolo con i fiocchi; tuttavia, raccontare ai quattro venti di quell’inaspettata scoperta, metterli in pericolo e scatenare il panico generale non le sembrò più un’idea particolarmente geniale.
    Portò nuovamente la piuma sul foglio e cancellò la parola Halloween dall'elenco. Non avrebbe potuto parlare neppure di quello, del party nella sala comune dei Tassorosso, senza rischiare di spedire metà degli studenti di Hogwarts in sala torture. Le persone da punire sarebbero state così tante da costringere ognuno a prendere un biglietto numerato e aspettare pazientemente il momento in cui sarebbe stato appeso al soffitto della stanza e spezzato mentalmente e fisicamente. Chissà, magari ci sarebbe stata anche una snervante musichetta d'attesa intervallata da una fredda voce registrata, che avrebbe tenuto traccia delle vittime con un semplice massacriamo ora il numero: centotrentasette. Scacciò via quei pensieri e tornò a concentrarsi sull'articolo. Avrebbe potuto scriverlo eliminando tutto ciò che non era ammesso tra le mura di quel castello, quindi l'erballegra, l'alcol, le pozioni di contrabbando e, più in generale, le feste clandestine. Mh, sarebbe rimasto ben poco. Avrebbe potuto trarre spunto da quella combinazione di regole infrante e dal delirio che aveva colpito la stragrande maggioranza dei partecipanti per parlare d'amore, se solo quell'argomento fosse stato nelle sue corde. Avrebbe potuto trattare gli effetti di droghe e alcol sui ragazzi, senza fare riferimento al disastro che si era consumato davanti ai suoi occhi. Meglio. «Oh, mi scusi!» si rivolse al passante contro cui era andata a sbattere, un uomo sulla sessantina che iniziò a borbottare qualcosa sui giovani, sulla loro totale alienazione dal mondo circostante e sulla rovinosa piega che la società aveva ormai intrapreso. Lo trovò eccessivo e avrebbe voluto sottolineare il fatto che fosse impegnata in un’intensa attività intellettuale, ma il monologo dell’uomo sembrava destinato a durare a lungo e non ammettere repliche. Si ripromise di dare un’occhiata alle piume magiche e valutare l'ipotesi di sfruttare uno strumento capace di trascrivere immediatamente le sue parole, evitando così il rischio di prendere in pieno un lampione o testare nuovi modi per mettere a repentaglio la sua vita.
    Ferma nel punto dello scontro, si guardò attorno per avere un’idea del luogo in cui quella trance giornalistica l’aveva condotta e si avviò in direzione di Madama Piediburro, spinta dalla voglia di acquistare qualcosa per Hunter. E mentre la distanza dal locale si riduceva, pensò ai Losers, a Gid, ad Haz, a Theia, a Perses – anche al serpeverde, sì; non avrebbe saputo definire la loro relazione, ma lo aveva visto nudo, perché negargli un dolcetto? –, a Rudy, a Rose e, in un attimo, si rese conto di non avere a disposizione così tanti galeoni da far contenti tutti i suoi amici, o almeno quelli che era quasi certa avrebbe incontrato una volta rientrata al castello. Quando arrivò davanti alla porta d’ingresso, vi trovò solo una ragazza, intenta ad ammirare le prelibatezze esposte in vetrina. A quel punto, le venne un’idea. Stupida, ovviamente, tanto da riuscire a immaginare suo fratello ascoltare quel piano e portare poi una mano sulla fronte, inclinando il capo, sconfortato, e abbandonando ogni residua speranza di insegnare alla grifondoro le norme alla base delle interazioni sociali. Tuttavia, una volta messi in moto, non sarebbe stato possibile fermare gli ingranaggi della mente di Halley. «Lo sapevi che questi dolci sono stati creati in onore di Andy Stilinski indicò dei biscotti che non aveva mai visto prima, augurandosi che la sconosciuta non fosse appassionata di pasticceria a tal punto da conoscerne le reali origini, e enfatizzò il nome dell’uomo. Non solo sperava che la ragazza fosse una di loro, ma confidava nel fatto che dei viaggiatori – casualmente di passaggio – captassero le sue parole e e si interessassero alla conversazione in corso. Le reali possibilità che un simile evento si verificasse erano infinitamente basse, ma non le importava, lo considerava più che sufficiente per fare un tentativo. «Grand’uomo, Andy annuì impercettibilmente e con fare solenne. «Si dice che Andy abbia fatto di tutto per salvare la sua gente, per riportarli a casa continuò, alzando il tono di voce tutte le volte in cui sperava di catturare l’attenzione dei passanti. A quel punto, mise in conto tre possibili reazioni da parte della sconosciuta: avrebbe potuto guardarla come se fosse una squilibrata appena evasa dal manicomio più vicino e allontanarsi da lei in silenzio, senza distogliere lo sguardo; avrebbe potuto risponderle – educatamente o meno, non era così rilevante – e arrivare alla stessa conclusione del punto precedente; oppure avrebbe potuto rivelarsi uno dei cloni di cui era alla ricerca e ringraziarla per averla trovata dopo mesi a vagare senza meta. «Pensi che i giovani d’oggi facciano eccessivo uso di droghe e alcol?» le servì la risposta su un piatto d’argento e la guardò negli occhi, mostrandosi innaturalmente seria sulla questione. Aveva pur sempre un articolo cui pensare, tanto valeva approfittarne per un rapido sondaggio.
    HALLEY OAKES
    You say we got no future
    You're living in the past
    So listen up
    That's my generation
    16 y.o.
    losers
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    Gideon Guinevre Merope McPherson
    "if we go down, then we go down together"

    19/11/2018 – mattino – Espresso per Hogwarts

    La pioggia batteva incessante contro i vetri dell'espresso per Hogwarts ed il freddo di quella giornata sembrava essergli penetrato nelle ossa e nella mente, congelando ogni pensiero al giorno precedente. Quel maledettissimo giorno.
    Solo due giorni prima aveva ricevuto da Borea, il suo gufo, una lettera di sua madre, in cui gli diceva che lo stato mentale di sua nonna si era aggravato e che, magari, vedendo lui si sarebbe tranquillizzata un po'. Gli aveva chiesto, senza troppi giri di parole, se fosse stato possibile prendersi due giorni di pausa da scuola per recarsi a Londra, la motivazione erano questioni familiari urgenti.
    Inutile dire che, questa notizia, lo aveva messo in allarme e fatto scivolare nel nero girone dell'ansia dal quale mai era riuscito a risalire del tutto. Ma...era felice di essere stato informato delle sue condizioni.
    Era stato piuttosto chiaro con sua madre, prima della partenza ad Hogwarts, ed aveva preteso di essere aggiornato su tutto ciò che accadeva in famiglia, in particolare su ciò che riguardava sua nonna, alla quale era particolarmente legato. Vicky, sua madre, sapeva che se fosse successo qualcosa alla nonna e lui fosse stato tenuto all'oscuro, non sarebbe stato capace di perdonarla, per cui si premurava di aggiornalo su tutto, conoscendo bene suo figlio e sapendo quanto, dinnanzi ad una piacevole bugia, preferisse una verità scomoda.
    Estebana Castillo aveva manifestato i primi segni di una demenza anni prima, ma se in passato questi si erano limitati ad una breve confusione mentale ed all'inizio di comportamenti afinalistici – gli piegava e ripiegava continuamente i vestiti di tutto l'armadio, e sebbene Gideon gliene fosse grato, con il tempo aveva capito che la cosa non era proprio un sintomo di equilibrio mentale – con il passare dei mesi la questione si era aggravata e Gideon per primo lo sapeva bene: più volte le era stato vicino sotto le false sembianze di sua sorella Guinevre, - o meglio l'aspetto che lui avrebbe immaginato per lei – e sua nonna non si era mai accorta di nulla, al contrario, ne era stata sorprendentemente felice. Non aveva mai avuto, però, crisi di grande portata. Di recente sembrava precipitata, i suoi deliri si erano fatti più frequenti del solito e le era stata adeguata la terapia più volte per contrastarne le crisi. Nonostante questo, sembrava ancora doversi stabilizzare, per questo era stata ricoverata nel reparto di geriatria dell'ospedale St. Mary di Londra.
    Dentro quell'ospedale, il giorno prima, Gideon McPherson aveva perso un pezzetto di cuore. Con il senno di poi, forse, avrebbe preferito non recarvisi.

    18/11/2018 - Ospedale St. Mary, Londra


    L'ambiente pulito, perfettamente sterile e soleggiato del reparto suggeriva quasi l'idea di allegria ed a Gideon non poteva che piacere quell'aria familiare e calorosa. Era andato da solo a trovare la nonna, mentre i suoi erano rimasti nella sala d'attesa dell'ospedale. Varcata la soglia della stanza, con in mano un mazzo di camelie, i suoi fiori preferiti, la vide sdraiata nel letto, pallida, disordinata, trasandata. Com'era possibile? Non riusciva a spiegarselo, proprio lei che aveva sempre tenuto così tanto all'aspetto fisico ed a curarsi. Sembrava tranquilla, però, quasi sorridente e, non appena il suo sguardo si posò su di lui, sembrò illuminarsi.
    « Che bel giovanotto, sei nuovo?
    Come? Stupido, da parte sua, dare per scontato che lei lo avrebbe riconosciuto subito e senza esitazioni, non aveva pensato nemmeno per un attimo che lei potesse averlo di fronte e non vederlo davvero, non riconoscerlo come suo nipote. Quel nipote che le era sempre stato vicino. L'idea, in realtà, faceva talmente male da spezzargli il fiato e togliergli la terra da sotto i piedi. Aveva esitato prima di rispondere, credendo ancora che fosse uno scherzo, sperandolo. Dopotutto, sarebbe stato tipico di sua nonna scherzare così.
    « Nonna? Sono io, sono Gideon. »
    Ma udito il suo nome, lei sembrò agitarsi, così tanto da portarsi una mano sul cuore in un crescendo di disperazione che lo terrorizzò.
    « Gideon? » Domandò e poi, sembrò quasi rianimarsi, uscire dalla confusione in cui era rimasta per tutto il tempo. « Gideon! Guinevre! Vienes a casa! Afuera esta lloviendo! Es peligroso! »
    L'anziana non sembrava avere lo stesso sguardo acceso di sempre, al contrario, sembrava persa in pensieri tutti suoi, e Gideon non sapeva cosa fare, aveva paura. Si avvicinò al letto, preoccupato, e poggiò i fiori sul comodino. « Nonna? Stai tranquilla, va tutto bene! » Ma l'agitazione non passò, al contrario, si fece più intensa che mai, costringendo il personale del reparto a recarsi nella stanza a causa delle grida della donna.
    « Guinevre? Donde esta la niña? Sta bene? Ohi, mi corazon! Donde esta mi nieta? »
    Lo avevano costretto ad uscire dalla stanza e lui, in uno stato di confusione totale per ciò che era successo, aveva preso posto insieme ai suoi genitori nella sala d'attesa, mentre l'anziana veniva tranquillizzata.
    Sua nonna Estebana era sempre stata una donna forte, solare, gioiosa, attiva oltre ogni immaginazione – di sicuro Gideon non aveva ricevuto da parte sua questo tipo di geni, Hazel invece sì – e vederla confusa, spaesata e distorta dalla malattia gli aveva fatto troppo male.
    Aveva pianto più lacrime di quanto fosse disposto ad ammettere a chiunque. Si era lasciato prendere dalla triste consapevolezza che ogni giorno che passava sua nonna perdeva un pezzo della propria memoria, come i petali di un fiore che sarebbe rimasto, prima o poi, solo nella propria corolla.
    Ed era triste, Gideon, perchè non avrebbe voluto essere dimenticato dalle persone a cui teneva. Da lei poi...meno che mai.
    Il giorno dopo era tornato all'ospedale sotto le sembianze di Guinevre. Indossava abiti decisamente troppo larghi per quel fisico minuto, ma aveva imparato, con il tempo, a non sentirsi a disagio in quel corpo. Al contrario, forse, era il suo vero aspetto a dargli problemi ultimamente - in tutti i sensi #JJ.
    Nonna Bana era rimasta placida e tranquilla per tutto il tempo, avevano chiacchierato tanto e si era rilassata tanto che i medici ne erano rimasti sorpresi.
    « Amore, puoi dire a Gideon che mi dispiace? Ho la sensazione di non essermi comportata mui bien, ma non ricordo il motivo. »
    Gideon aveva nascosto una lacrima sotto le dita.
    « Glielo dirò, non ti preoccupare. Te ama. »
    Le aveva tenuto la mano per tutto il tempo, ed aveva aspettato che si addormentasse prima di lasciare l'ospedale per fare ritorno ad Hogwarts.

    19/11/2018 – mattino – Espresso per Hogwarts


    Con la fronte poggiata contro il finestrino della cabina del treno, fissava lo sguardo sul paesaggio verde ma ingrigito dal tempo, offerto dalla zona di passaggio dall'Inghilterra alla Scozia. Una ciocca di capelli biondi e sottili gli sfiorava il mento, solleticandolo, indossava abiti troppo larghi per appartenergli, ed aveva ancora il volto minuto ed un'espressione malinconica che sembrava abbinarsi alla perfezione con il temporale che imperava in Gran Bretagna. Lo aveva fatto di nuovo, ma era stato necessario. Aveva detto a sè stesso che avrebbe dovuto smetterla, ogni volta si ripeteva che era l'ultima, e poi, come un drogato, ci ricadeva sempre. Lo aveva fatto per sua nonna o per sè stesso? Alla fine, la linea che separava le due ragioni si era fatta talmente sottile da apparire quasi invisibile. Sospirò, mentre con le dita accarezzava il ciondolo che portava al collo, e provò sollievo sentendolo caldo al tatto.
    Sorretto da una catenella non troppo sottile, portava il ciondolo che era appartenuto a sua nonna ed aveva sopra impressa la figura dell'Arcangelo Michele, protettore dei soldati. Lei ne era particolarmente legata, gli diceva sempre che durante il periodo della guerra si era affidata al Santo, per pregare affinchè suo nonno tornasse sano e salvo dalla guerra e pareva che lui l'avesse ascoltata.
    Sollevò un sopracciglio, allora, con espressione un po' scettica. Suo nonno era morto qualche anno più tardi di un male incurabile e Gideon aveva passato molto tempo a domandarsi se, dopotutto, era valsa la pena di pregare così tanto. Si era chiesto se non fosse stato meglio morire in battaglia, piuttosto che per una malattia che aveva logorato mente e corpo di tutti i famigliari.
    Aveva con sè la catenina di sua nonna perchè gli occorreva un oggetto a lei caro. Lei glielo aveva regalato, ed al suo posto Gideon aveva legato al polso di lei un braccialetto incantato, grazie al quale avrebbe potuto sapere, in qualsiasi momento, come stesse, solo toccando il ciondolo: quando era caldo, lei stava bene, mentre quando era freddo significava che stava male. Assurdo pensare a quanti oggetti utili si trovassero nei negozietti della Londra magica.
    Il fischio del treno lo distrasse da quei pensieri, e si rese conto di essere arrivato alla stazione di Hogsmeade. Con fare indolente si alzò dal comodo divanetto della cabina in cui aveva viaggiato da solo e, fiacco, tirò sulle spalle lo zaino nero dal quale non si era separato da tutto il tragitto. Tirò sui capelli biondi il cappuccio della felpa, per ripararsi dal freddo e scese dal treno, dimenticandosi persino di avere un altro aspetto. Quando si rese conto di avere ancora le sembianze di Guinevre, decise di dirigersi verso i Tre Manici per cambiare, ma non prima di essersi soffermato dinnanzi ad ogni vetrina possibile, perchè si...molti negozietti avevano già addobbato tutto con decorazioni natalizie e lui era troppo curioso di vederle.
    Attraversò le strette viuzze di Hogsmeade, soffermandosi ad osservare alcune vetrine che sprizzavamo gioia da ogni poro, e sorrise. Il Natale gli metteva sempre il buon umore, era felice, gli ricordava il calore familiare che gli mancava in quel momento. Non ricordava i vecchi tempi con una nostalgia definibile triste, al contrario, sorrideva e ricordava quel periodo con affetto. Si soffermò in particolare dinnanzi alla vetrina di Madama Piediburro, i cui dolcetti esposti non poterono non attirarne l’attenzione. La tentazione di entrare nel locale per assaggiare qualcuna di quelle prelibatezze era tanta. Era sul punto di varcarne la soglia - o sfondarne la vetrina - quando al proprio fianco una voce familiare lo distrasse.
    Si sarebbe potuto aspettare di vedere chiunque, in quel momento, ma non Halley Oakes.
    Si voltò verso di lei, quasi dimenticandosi di non avere il suo vero aspetto, ma non ci mise molto per rendersi conto di non essere lui: l'altezza che le separava era decisamente diminuita rispetto a quando era nel suo vero corpo. Adesso, riusciva a vederla a pochi centimetri di distanza. La osservò bene, permettendosi di notare dettagli che non era stato possibile notare in precedenza a causa del fatto che, quando si ritrovava ad incrociarne lo sguardo, era portato a distoglierlo.
    Una tempesta di informazioni e domande gli piovve addosso, distraendolo da ogni pensiero come solo lei era in grado di fare.
    Doveva avere una faccia confusa, mentre lei parlava, ma forse non così tanto dato che non si fermò ed anzi, in un crescendo del tono di voce ed informazioni, continuò ad elargirle. Chi era Andy Stiles? Non ne aveva la minima idea. Magari era qualcuno di davvero importante.
    Chissà se era una cosa che doveva sapere necessariamente, tipo...un must tra i giovani - si era sempre sentito più simile ad un ottantenne, che ad un sedicenne, però -. Se si fosse trovato nel suo vero aspetto, probabilmente, avrebbe cercato di fare colpo su Halley in qualche modo, facendo la figura dell'idiota come sempre accadeva e piombando nel totale imbarazzo. Ma non era nel suo aspetto, si sentiva libero di essere solo...ignorante in materia. Quel senso di tranquillità provato in sua presenza gli parve così strano ma al tempo stesso estremamente piacevole. Non lo provava mai.
    « E' tipo...un pasticcere famoso, come Jacob Kowalski? Anche lui ha salvato tanta gente, me compresa. » Ridacchiò. « Non ho la minima idea di chi sia, mi dispiace. Dovrei saperlo? » Gli dispiacque non poter portare avanti quella conversazione, purtroppo non poteva permettersi di legare con nessuno con quelle sembianze, e con Halley meno che mai. Comunque non era necessario essere un Corvonero per capire che la grifondoro fosse fin troppo losca in quel momento. L'aria sospetta con cui aveva iniziato e portato avanti quella conversazione gli fece sospettare che si trattasse di qualcosa di strano. E nella sua testa, finalmente, si accese un campanello di allarme, e lo riportò ad una conversazione avuta di recente con sua sorella. Forse Andy Stiles aveva qualcosa a che fare con la storia dello strappo temporale e degli au persi nella loro dimensione? Sì, doveva trattarsi di qualcosa di simile perchè il nome non gli era familiare e più ci pensava, più nella sua mente andavano a sistemarsi dei tasselli. Halley si aspettava davvero di trovare qualcuno dei dispersi lì, in quella via in pieno giorno? Accidenti, la questione lo incuriosiva come poche cose. Comunque, si convinse che non era affar suo, non avrebbe nemmeno dovuto risponderle, avrebbe dovuto tagliarla corta ed andare via da lì.
    "Pensi che i giovani d’oggi facciano eccessivo uso di droghe e alcol?"
    La guardò, per istanti infiniti, tanto che chiunque si sarebbe sentito messo in soggezione dinnanzi a quello sguardo. E poi, ow, era così bella da guardare. Non l'aveva mai guardata per così tanto tempo senza mai distogliere lo sguardo. Ma questo non toglieva che doveva, per forza, rispondere alla sua domanda, possibilmente in modo...cattivo (?)
    « Sì, decisamente. Dovresti diminuire le dosi. »
    Detto questo, avrebbe dovuto andarsene, lasciando di lui/lei un ricordo tra il neutro ed il pessimo nella mente di Halley.

    Ma qualcosa di MISTERIOSO, accadde improvvisamente.




    16 y.o.
    it's fem!gideon, bitch!
    a kind of PTSD


    tumblr_m7w2o3N94I1r6o8v2
    made in china — I'm here at the beginning of the end


    Edited by s t i t c h e s - 20/11/2018, 00:14
     
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    I'll be stuck chasing time Running all my life Trying not to lose a fight Burning in my eyes In mad mad world I'm falling in Little lost to go Tryna start again Tick tock don't stop I'm breathing
    Quel piccolo, inutile, figlio di buona donna (ciao au-mamma!). CJ Hamilton strinse i denti ed il pugno, la pergamena nel palmo oramai accartocciata e pressoché illeggibile. Aveva trovato l’articolo mesi prima, in uno dei primi giorni dediti al vagabondaggio in quel poco amichevole mondo del cazzo: traditori, blablabla, morti, blablabla, accompagnato da un non fraintendibile set fotografico di coloro ch’erano stati decretati colpevoli – e defunti, per completare il quadro.
    Non solo i suoi genitori erano (di nuovo, sempre) così inutili da non essere apparentemente nei paraggi, ma quella merda di se stesso gli aveva imposto un nuovo livello di segretezza: era più grande di quel CJ, ma i tratti sottili ed affilati erano rimasti maledettamente e dolorosamente identici, il che costringeva l’Hamilton a mantenere un profilo più che basso, dato che l’altro era a tutti gli effetti fuori dai giochi.
    Come se avesse potuto permetterselo. Come se tutta, tutta!, la sua famiglia non fosse sparsa in quella santiddio di realtà alternativa, metà dei quali, come lui, creduti morti o impostori; ed i suoi amici ritardati? Più passava il tempo, meno la possibilità di rivedere quei rincoglioniti vivi gli pareva probabile. E Meara, la stessa Meara che poteva sproloquiare per ore sulla nuova edizione di Uomini e Donne, e che nel proprio DNA non aveva la basilare concezione del non attirare fottutamente l’attenzione? Non poteva neanche fingere di non pensarci, considerando che non aveva – letteralmente – nulla di meglio da fare.
    E Kanye e Siobhan. Razionalmente, CJ si rendeva conto del fatto che fossero ormai adulte e vaccinate, e che avessero solo due anni di differenza da papà e mamma, ma …le avevate viste? Come avrebbero fatto a sopravvivere in un mondo del genere? Nei suoi incubi peggiori, Kanye cercava di approcciare il fottuto vice Ministro della Magia, e Siobhan finiva catturata dall’accalappia cani insieme a qualche suo nuovo cucciolo.
    CJ Hamilton stava maledettamente uscendo di testa. Ogni respiro, ogni battito di ciglia o di cuore, non riusciva a liberarsi dalla soffocante sensazione di non aver avuto, di nuovo, il tempo di dire addio – che da lì, non ci fosse alcuna via d’uscita. E si odiava il doppio, il fu Grifondoro, perché una parte di lui era stata sollevata dallo scoprire d’essere caduto, all’incirca letteralmente, su quel piano della realtà.
    Perché aveva sperato – aveva sperato! – di poter rivedere suo fratello. Nel momento in cui aveva aperto gli occhi su quel mondo che non gli apparteneva, che conosceva ma non era suo, il ventitreenne si era egoisticamente permesso di credere di poter rivedere BJ Reynolds – e pur sapendo, era difficile dimenticarsene, che non fosse il suo, aveva permesso al fiato di farsi più morbido e dolce nei polmoni. Si trattava pur sempre di un BJ, lo stesso ragazzo che non aveva mai compiuto diciotto anni e non aveva mai conosciuto le sue nipoti; lo stesso ragazzo ch’era morto, insieme a decine d’altri, in una guerra che non aveva neanche scelto, di cui CJ l’aveva privato: lo stesso a cui aveva chiuso una porta in faccia, prima di unirsi egli stesso alla rivolta.
    L’ultima volta in cui l’aveva visto vivo, in cui la voce di BJ gli era giunta ovattata dal legno e dai metri che CJ era stato rapido nel frapporre fra se stesso e l’empatico. Suo fratello, il battito che gli mancava ad ogni secondo di ogni giorno, l’ombra intravista con la coda dell’occhio o colta nel proprio riflesso. Erano passati cinque anni, ma la sofferenza non si misurava in giorni o respiri – gli mancava come il primo minuto, come la prima notte, come il primo giorno ed il primo mese.
    Ma, ovviamente, quella merda di au-BJ, insieme a quel piccolo stronzetto di CJ Knowles ed affini, aveva ben deciso di rimanere a farsi i cazzi propri solo Dio (e Lancaster, ma c’erano giorni in cui non credeva fossero due entità distinte) sapeva dove: danno, beffa, e rottura di minchia – proprio a voler essere del tutto onesti e privi di filtri.
    Gli mancavano i tempi in cui non aveva nessuno. Quella specie d’inferno sotto marca sarebbe stato più tollerabile se non avesse, emotivamente, dovuto condividerlo con Adelaide, Gemes e Roy, Barrow, Winston, Preston e Frankie, Meara, Kanye e Fawn – e invece. Ancora si malediceva per non essersi fatto gli affari propri cinque, lunghi, anni prima; per non aver ignorato i ferini, e feriti, occhi verdi del Knowles quando l’avevano sottilmente supplicato di fottutamente svegliarsi, il sangue a sporcare il mento del Tassorosso e le dita del Grifondoro.
    Siamo uguali, io e te.
    E per principio aveva voluto dimostrargli che non fosse affatto uguale a lui, ma facendolo lo era diventato.
    Aveva una famiglia. Aveva degli amici. Aveva Meara. Aveva un lavoro, un futuro, delle responsabilità che non lo vedessero giudice, giuria e boia – una vita normale, un aggettivo che a diciassette anni non aveva creduto di poter, un giorno, affibbiare alla propria liquefatta esistenza. Deglutì, morse l’interno del labbro inferiore ed abbassò lo sguardo sulla chioma bionda di Iden Kaufman. Si era scontrato con il ragazzo poco tempo dopo l’essere approdato in quel mondo, e da quattro, infiniti, mesi, se lo portava appresso come un accessorio non particolarmente gradito – o almeno, quello era ciò che piaceva far credere all’Hamilton. La triste, patetica realtà dei fatti era che preferiva la compagnia di Iden, all’essere da solo. Non ce l’avrebbe fatta, lo sapeva; avrebbe finito per leggere i pensieri della persona sbagliata, per perdere il senno in un vicolo buio e crivellare di colpi qualche ingenuo passante che non avesse avuto un cazzo di utile da dirgli per fargli ritrovare tutti gli altri. C’era andato maledettamente, maledettamente vicino nella prima settimana in cui aveva peregrinato in solitaria.
    Poi era arrivato Iden. Il fatto che fossero stati compagni di scuola, non aveva certo contribuito a farglielo piacere – anzi, risaputo che l’Hamilton non fosse mai andato d’accordo con nessuno. Nella sua vita, non aveva mai preso in considerazione di conoscere il ragazzo, o di interessarsi a lui abbastanza da capire l’esatta sillabazione del suo cognome. Dopo mesi passati con lui, rimpiangeva di non averlo fatto?
    No, mai. Non esageriamo. Ma era meno peggio di quanto inizialmente si fosse aspettato; doveva aiutare il fatto che, pirla com’era, il Kaufman continuasse a ricordargli Frankie e Winston.
    Gli mancavano. Ci potevate credere? Lui, certamente, no. Gli mancavano come un arto fantasma, il bisogno costante di stringere oggetti con mani dimenticate sul campo di battaglia. Non si era reso conto di quanto tutti loro avessero riempito la sua vita, o quel vuoto dietro al costato, finchè mesi prima non glieli avevano portato via. Di quanto fosse stato stupido a non chiedere alla Cooper, quando ne avevano avuto la possibilità, di portare la sua roba a casa sua: si era illuso di aver tempo, di poter fare le cose con calma – di trovare il momento giusto.
    Un CJ Knowles l’avrebbe saputo, che il tempo non facesse per loro – l’Hamilton l’aveva imparato nel modo peggiore.
    E Adelaide, con quel sorriso sempre sarcastico sul viso tondo e dolce, la nota seria ed ironica degli occhi blu – i corti capelli bianchi che cambiavano colore con la stessa frequenza del numero di telefono della Milkobitch, tartassata quotidianamente da conoscenze intime ma superficiali, come amava definirle sua sorella (più comunemente denominati scopamici, ma era troppo carina per termini così grezzi). Gli aveva detto fosse rimasta per lui; non aveva riempito la ferita, sempre sanguinante, lasciata dalla morte di BJ, ma almeno avevano potuto condividerla: una cicatrice di famiglia. Si perdevano entrambi, CJ ed Ade, ad osservare i profili addormentati di RJ e DJ, pregando Dio o chi per esso che loro, almeno loro, non dovessero capire cosa significasse perdere un membro della propria famiglia – un pezzo di cuore. La silente promessa che si sarebbero presi cura di loro, sempre - che potessero vivere la vita del quale CJ Hamilton e BJ Reynolds erano stati privati.
    Avevano già fallito, per inciso, considerando che erano riusciti a perdere i loro genitori. Tutti e due, ovviamente - potevano divorziare quante volte volevano, ma ci voleva un universo ancor più alternativo prima che l’uno non seguisse l’altro in qualche stupida, stupida, missione del cazzo.
    Ed ora, da quattro mesi in un utopico 2018, i due gemelli nel 2023 erano completamente soli: bel lavoro di merda, fra tutti. «dio» commentò a caso in un sibilo, e privo d’alcun contesto, verso il suo compagno di viaggio. Non era un gran chiacchierone, l’Hamilton (eufemismo dell’anno), il che significava che l’empatico doveva sorbirsi le casuali e sconnesse ingiurie di CJ, e interpretarle come educati ed allegri buongiornissimi. Lanciò l’articolo in un cestino dell’Aetas, infilando poi i pugni nelle tasche della giacca. Una giacca da poracci, uno dei fattori che meno andavano giù all’Hamilton: in quel mondo, ed a quelle costrette condizioni di vita, era…povero. Non aveva un soldo, e non poteva arrangiarsi come avrebbe fatto nel proprio mondo – era un fottuto zombie. Portava vestiti da plebei, camminava come i plebei, mangiava quel che, a stento, lui e Iden riuscivano a rubare da quei pezzenti di Hogsmeade.
    Ugh. CJ si era studiato tutte le cartine dei locali nelle vicinanze, sperando che uno di quei cunicoli segreti, di quelle stanze più buie, potesse contenere uno dei loro: fino a quel momento, aveva fallito – in compenso, quelle conoscenze gli erano state utili per avere sempre un maledetto tetto sopra la testa, particolarmente conveniente quando la temperatura s’era fatta rigida ed irrespirabile. «ricordami di non giocare mai a nascondino con nessuno di loro» commentò aspro, masticando le parole sul palato e spostando gli occhi verdi sulla strada di fronte a loro. «st’infami» concluse, con il solito apatico tono per il quale tutti, da sempre, (non) lo amavano. Non era neanche intenzionale, quel suo freddo distacco – era semplicemente fatto così, tutte mura innalzate ed alcuna breccia entro il quale schiacciarsi per passare. Capitava, perché era capitato, che intenzionalmente avesse abbassato il ponte per permettere a qualcuno d’entrare.
    In quel momento, rimpiangeva d’averlo fatto.
    Non aggiunse altro mentre, come ogni giorno, si trascinarono verso il centro della cittadina magica. Era diventato un pro ad ignorare i tentativi di conversazione di Iden, e l’altro era diventato quasi accettabile nel concedergli i suoi spazi: nell’insieme, per quanto irrazionale potesse sembrare, funzionavano. Dove CJ era irruento e crudele, il Kaufman era in grado di premere sul freno impedendogli di andare troppo oltre, salvandoli entrambi da una sanità mentale che s’era disfatta nel momento in cui s’erano risvegliati in quel posto del cazzo. L’Hamilton poteva percepire i pensieri di Iden, così come Iden poteva sentire le emozioni del Knowles: se parlavano poco, era anche per quello - non avevano bisogno di chiacchiere inutili, quando quel che c’era da dire era già impresso sui volti o le mani strette a pugno. Tenne il capo basso, il cappuccio ben calcato sulla testa, recettivo a qualunque pensiero fuori dall’ordinario - o familiare. Non fece quasi, quasi caso a come i piedi l’avessero trascinato verso la vetrina di Madama Piediburro; Iden era stato abbastanza sveglio da non fare domande scomode, ed il Knowles s’era sempre evitato di spiegare il perché, fra tutti i posti del fottuto mondo magico, andasse a parare sempre lì.
    Non che ci fosse stato bisogno di spiegarlo, se Iden avesse conosciuto Kanye o Fawn: CJ era convinto che prima o poi, prima o poi, almeno una delle due l’avrebbe trovata lì, fosse per cercare il prossimo Caleb Nichols o per prendere in prestito un dolcetto. Deglutì bile e saliva, i denti stretti alle gengive. Capì di essersi morso solamente quando il sapore ferroso e ramato del sangue gli bagnò la lingua, costringendo il naso a storcersi: non provare alcun dolore poteva essere pericoloso, quando s’era un sadico e masochista CJ Hamilton.
    L’aveva appreso anni prima.
    «Lo sapevi che questi dolci sono stati creati in onore di Andy Stilinski?» Non s’immobilizzò a metà passo solamente perché avrebbe attirato più attenzione del necessario, ma la mano scivolò fuori dalle tasche per stringersi attorno al polso del Kaufman. Reclinò appena il capo verso la voce sottile di una ragazzina, rallentando l’andatura verso il negozio. «Si dice che Andy abbia fatto di tutto per salvare la sua gente, per riportarli a casa.» Fu quasi tentato di ridere, alzare le mani in segno di resa e dire: ah beh, allora non è il nostro - astioso ed iracondo, ma sarebbe stato bugiardo: conoscendo Andy, era probabilmente quel che stava cercando di fare.
    Il fatto che fosse un fallito ed un idiota inconcludente, non significava che non ci provasse – significava solo che era inutile. Schioccò la lingua sul palato e piegò la bocca in un sorriso piatto e poco amichevole, le iridi verdi a brillare di velenosa malizia verso il Kaufman.
    Poteva essere una trappola. Sembrava, una trappola.
    Seguì la voce fino ad individuare una ragazzina dai capelli biondi ed il sorriso morbido, familiare in maniera quasi dolorosa ed indubbiamente fastidiosa. Né lei né la compare – era la…McPherson? – parevano particolarmente pericolose, ma dato che un libro non si giudicava dalla copertina, preferiva partire prevenuto.
    Ecco perché, ignorando l’occhiata di Iden, si avvicinò alle due schiudendo piano la giacca.
    «vi ha raccontato così tante cazzate?» domandò, dall’alto del suo quasi metro e novanta, volgendo una smorfia sghemba alla bionda. «idealista pezzo di merda» infilò una mano nella tasca interna della giacca, mostrando nel mentre casualmente la semi automatica ivi infilata, mentre afferrava uno sgualcito pacchetto di sigarette. Non poteva permettersi, in un luogo così affollato, di abbassare il cappuccio e rendersi riconoscibile – ma da quella distanza, non avrebbero dovuto avere dubbi. «se mi riconoscete, condoglianze» accese la sigaretta, chiuse la giacca. Se sapevano chi lui fosse, significava che avevano avuto la sfortuna d’incontrare CJ Knowles – e l’Hamilton non l’avrebbe augurato neanche al suo peggior nemico, quell’insolente bastardo di un Tassorosso. «cosa sapete dello stilinski?» domandò, cortese e alienato, soffiando fumo ed evitando lo sguardo di entrambe. Per correttezza, portò lentamente un dito alle labbra e sorrise, affatto confortante: «immagino di non dovervi specificare di non dirmi cazzate,» il tono dolce e grumoso di una granita estiva. «o di non andare in giro ad aprire bocca su stronzate che non conoscete, ragazzine.» Il sorriso sparì com’era giunto, soffocato da un ghigno e dal fumo grigio della sigaretta.
    CJ Hamilton era uno stronzo, ma…
    No, niente ma: era effettivamente uno stronzo, e privo d’alcuna giustificazione.
    Almeno quello, non lo rimpiangeva manco per il cazzo.
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    «No, non devi conoscerlo per forza! Diciamo che Andy… ha una ristretta cerchia di seguaci avrebbe potuto credere alla sua storia, la sconosciuta, e continuare a pensare che i dolci fossero al centro della conversazione; dopotutto, la pasticceria era un’arte per pochi. Era creatività e rigore. Era pazienza, precisione, attenzione ai dettagli. Era tutto ciò che la grifondoro non possedeva, decisamente più propensa a farsi guidare dall’istinto – o lasciare che fosse suo fratello ad utilizzare i fornelli e preservare l’integrità della cucina dell’Istituto. Si affrettò a sorridere, tentando di mascherare la delusione che si intravedeva sul suo viso e che ne aveva alterato il tono di voce. Ci aveva sperato, Halley Oakes, nonostante sapesse che le possibilità di successo della sua discutibile tecnica di ricerca rasentavano lo zero e che, al contrario di ciò che si augurava, quelle inutili informazioni non avrebbero fatto altro che fornire ai passanti un valido pretesto per starle alla larga. Avrebbe avuto maggior fortuna se avesse fermato degli sconosciuti per raccogliere fondi a favore di sospette organizzazioni di beneficenza o per provare a convertirli ad una nuova setta religiosa – sarebbe stata tra quegli individui dotati dello straordinario potere di allontanare ogni persona nel raggio di chilometri e creare varchi tra la folla come solo Mosé era riuscito a fare con il Mar Rosso.
    «Oh, no, no!» non faccio uso di alcol e sostanze stupefacenti sarebbe stata la risposta che chiunque avrebbe pensato di ricevere, «Fumo solo erballegra con mio fratello.» quella che, invece, la ragazza si ritrovò ad ascoltare. Le sorrise, Halley, e liquidò la questione con naturalezza, senza badare al fatto che una simile affermazione avrebbe restituito l’immagine di una famiglia allo sbando, i cui figli avevano l’insolito hobby di drogarsi in compagnia. «Te l’ho chiesto per un articolo. A proposito, ti va di essere intervistata?» non aveva idea delle domande che le avrebbe posto, ma confidava nel fatto che sarebbe venuto fuori qualcosa di decisamente più proficuo rispetto agli scarabocchi con cui, quel giorno, aveva riempito le pagine del suo taccuino. «Fantastico, sarà un sondaggio del tutto anonimo!» continuò, raggiante, senza attendere la sua risposta. A quel punto l’avrebbe invitata ad entrare da Madama Piediburro, compiendo l’immenso sacrificio di introdursi in un luogo in cui il rosa era il colore predominante e le regole del galateo una parte imprescindibile del proprio bagaglio culturale – era più o meno quella l’ambientazione dei suoi peggiori incubi. Lo avrebbe fatto, se una voce maschile non avesse interrotto la loro conversazione. Si voltò, incredula, e passò gli istanti successivi a far scorrere lo sguardo da un ragazzo all’altro alla ricerca di un segno – un dito in più, il terzo occhio, lingua biforcuta, roba del genere – che li qualificasse, inequivocabilmente, come individui appartenenti ad un altro pianeta. Sapeva bene che non cercavano alieni, ma l’apertura di uno squarcio spazio-temporale rientrava nella categoria delle stranezze tali da non escludere a priori mutazioni così lievi. Ascoltò passivamente le parole dell’incappucciato, mentre si complimentava con se stessa per una tecnica che fino a pochi minuti prima le era sembrata una delle idee più stupide che avesse mai partorito e che, invece, si era trasformata in una genialata di cui si sarebbe vantata con Hunter per i giorni successivi – continuava a chiedersi perché suo fratello avesse così poca fiducia in lei. D’un tratto, quella voce che aveva fatto da sottofondo ai suoi vaneggiamenti si trasformò nel suono prodotto dalle unghie su una lavagna. Era appena stata minacciata?
    Peccato, era andato tutto liscio fino a quel momento.
    «Ehi!» lo guardò, mentre il viso della grifondoro veniva attraversato da emozioni differenti. Era perplessa, priva dell’euforia dei minuti precedenti. E avrebbe dovuto avere paura, ma quella era probabilmente l’unica sensazione che non riusciva a provare in quel momento. Non c’entrava nulla l’infondata convinzione di essere destinata a vivere un’esistenza innaturalmente lunga; era solo fin troppo irritata per poter avvertire davvero quelle minacce. «Non mi aspettavo certo di vedervi scoppiare a piangere, abbracciarci ed elencare una serie di ringraziamenti come Ci avete salvato la vita! o Vi saremo debitori per sempre!» una descrizione talmente accurata da rendere chiaro a tutti – telecineti e non – quanto quello fosse esattamente ciò che la grifondoro aveva creduto sarebbe successo. Non che si fosse unita a quel gruppo di ricerca per essere ricoperta di gratitudine e gloria, sia chiaro «ma non pensavo neppure di trovare uno come te avrebbe potuto fermarsi lì, lasciare che l’espressione corrugata sul suo viso e quella nota di fastidio nel tono di voce chiarissero il concetto. Peccato che le risultasse piuttosto difficile tenere la bocca chiusa. «Mi spiego meglio.» chiuse il pugno e portò il pollice verso l’alto, ad indicare l’inizio di un elenco di cui avrebbe voluto tenere il conto. «Innanzitutto, e non vorrei passare per una bacchettona, il tuo linguaggio è, come dire... aggressivo.» concluse, dopo aver finto di pensarci per qualche istante. Cercò lo sguardo del suo interlocutore, troppo concentrato sulla sigaretta appena accesa e sul completare l’immagine del perfetto cattivo ragazzo per badare a loro, e proseguì. «In secondo luogo, non fraintendermi, sono contenta che tu non ci abbia mostrato altro» organi, orologi falsi, gioielli di famiglia. Era noto a tutti che quando uno sconosciuto apriva l’impermeabile il cappotto per strada, ci si doveva aspettare di tutto. «ma credo si sia accidentalmente intravista un’arma.» un gesto, quello dell’Hamilton, che avrebbe portato un qualsiasi individuo dotato di buon senso ad ammutolirsi e sottostare alle sue richieste. Non Halley. Era infastidita dai suoi modi arroganti, dall’immagine che aveva creato di se stesso, da quel ragazzine che in un attimo aveva messo a tacere la voce familiare che rimbombava nella sua testa, monito costante e inutile a non cacciarsi nei guai. Scusa Hunter, sarà per la prossima volta. «Per finire, sembra proprio che tu ci stia minacciando. Ma non è possibile, giusto?» sorrise, con un’aria di finta innocenza. Nessuno le aveva detto cosa aspettarsi o che genere di individui avrebbero incontrato. Che avesse trovato l’unico viaggiatore disposto ad uccidere pur di tornare a casa? Poco male, era pur sempre una strega. Giovane, inesperta e non tra le più dotate forse, ma aveva anche dei difetti in barba al divieto di compiere magie lontano da Hogwarts – si sarebbe trattato pur sempre di legittima difesa, no? – avrebbe trasfigurato quella pistola in un fiore. O l’avrebbe resa morbida come la gomma. O avrebbe fatto sì che i proiettili si trasformassero in coriandol– stava divagando. Si sarebbe inventata qualcosa, come sempre. «Perché, sai, ero convinta che foste voi quelli dispersi da mesi, ed io» si fermò di colpo, ricordando solo in quel momento che la sconosciuta al suo fianco non sapeva nulla della realtà parallela, della missione in corso né del rischio che stava correndo. Era stata Halley a trascinarla in quella situazione e avrebbe dovuto assicurarsi che i suoi genitori non la ritrovassero con una pallottola piantata in testa. Era il minimo che potesse fare, dopotutto. «noi quelle in grado di aiutarvi. E chi si comporterebbe così in una situazione simile?» la grifondoro, per fare un esempio; fin troppo impulsiva e risentita per rendersi conto dei guai in cui rischiava di cacciarsi, era giunta alla conclusione di non aver fatto nulla di male. Al contrario, era stata piuttosto calma per i suoi standard. Si era semplicemente fatta valere. «Ricominciamo, ok? Sappiamo come contattare Andy.»
    HALLEY OAKES
    You say we got no future
    You're living in the past
    So listen up
    That's my generation
    16 y.o.
    losers
    rebel
     
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