come a little closer, let me taste your smile

eugene + jaden // challenge #4

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    02 novembre / 3:00


    «innanzitutto vorrei dire..» gli si spezzò la voce, un rimasuglio di aria calda e ruvida lungo la trachea. Non voleva dare l'impressione di aver appena commesso un passo falso, eugene jackson, sebbene gli occhi che lo osservavano con infinita pazienza e comprensione non avessero bisogno di giustificazioni; tra di loro potevano essere sinceri fino in fondo, mostrare una ferita aperta senza temere vi rigirassero un coltello. Si fidava dei casta, amava jade al punto da non doversi più asciugare nemmeno le lacrime isteriche quando guardavano insieme un film, ma era di fronte a delilah che non voleva crollare. Non poteva, fine dei giochi. Che lei lo sapesse o meno, lo sentisse o meno, euge sapeva di doversi fare forza, rimettere insieme i pezzettini sparpagliati della sua vita e affrontare per l'ennesima volta un evento che mai, mai nella vita avrebbe pensato di superare senza avere sua sorella accanto. Un anno prima, stessa gelida notte di inizio novembre, l'ex serpeverde si era ritrovato solo, incapace di offrire la sua solita facciata amichevole e affettuosa persino agli amici più cari, ancora stravolto da un dolore lacerante che pareva impossibile da placare, figurarsi dimenticare; non lo aveva fatto, questo mai, ma nel giorno del suo ventisettesimo compleanno il jackson poteva almeno dire di aver imparato nuovamente a conviverci. Con la rabbia, la frustrazione, il senso di mancanza e smarrimento, quel posto lasciato vuoto nel cuore da Delilah nel momento in cui fuoco e metallo l'avevano spazzata via, cenere e polvere. «grazie per essere venuti tutti. vorrei davvero ci fossero anche run e gemes, ma credo che danette capirebbe.»
    Perchè un anno, o quasi, era passato anche da quello.
    I suoi amici dispersi nel tempo, incastrati alla fine di qualche tunnel spazio temporale dal quale nessuno di quelli rimasti a londra sapeva se sarebbero mai effettivamente usciti. Gli mancavano come l'ossigeno ai polmoni, sempre, e si aggrappava a quell'assurda idea che fossero ancora vivi, ricordando i loro volti così come li aveva intravisti l'ultima volta attraverso lo specchio nel bagno di rea: stanchi, ma illesi. Andavano comunque avanti con la loro vita, ed era forse questo a sconvolgere maggiormente il jackson, impotente di fronte al tempo che, nel loro caso, scorreva lineare e decisamente troppo rapido; non aveva alternative, se non seguire il flusso delle cose e attendere il momento propizio per agire. L'arrivo di Andrew Stilinski al lilum qualche mese prima, ad esempio, sembrava aver dato il là ad un processo ancora agli inizi, un ingranaggio poco oliato che lentamente aveva cominciato a muoversi. Euge si era impuntato che fosse un segno, così come a suo dire era il fatto che Uran avesse iniziato a camminare da solo proprio il giorno del compleanno di heidrun. Di punto in bianco, senza grandi fanfare o strilli di tromba, quasi senza che i genitori se ne accogessero: un secondo prima era seduto sul pavimento ad incastrare mattoncini colorati, tirandone di tanto in tanto qualcuno contro il ventre voluminoso di t-jade, e l'istante dopo attraversava il salotto con piccoli passi incerti, sul volto rotondo l'espressione concentrata di chi ha da portare a termine un compito gravoso e di assoluta responsabilità.
    Per zia run, sembrava volesse dire.
    «venti secondi, jackson.» annuì di rimando alle parole di rea, in piedi come tutti gli altri tra quella stessa erba che poco meno di due anni prima era stata tinta di sangue versato nell'occasione più ingrata, quella in cui cordoglio e dolore non sarebbero mai dovuti essere messi in disparte dalla battaglia. Una battaglia che li aveva coinvolti tutti, il primo passo verso un baratro tutt'ora aperto. Eppure erano rimasti lì, i casta: intirizziti dalla notte, con il freddo a penetrare nelle ossa, ma inamovibili.«giusto, sono le tre. buon compleanno lardina .» sentì la mano di jade, piccola e fresca, posarsi sulla sua spalla destra, una sola stretta sufficiente a scandire il tempo e - allo stesso tempo - fermarlo.
    Negazione.
    Rabbia.
    Patteggiamento.
    Depressione.
    Accettazione.
    Andava e veniva, simile alle maree. Era passato da uno all'altro per mesi, rimbalzando come la pallina impazzita di un flipper in tilt, spesso senza nemmeno rendersi conto del cambiamento; lo leggeva invece chi gli stava intorno, riconoscendo la rabbia sul volto solitamente disteso, lo sguardo velato di tristezza lì dove le iridi grigio azzurre si erano sempre rivelate luminose e trasparenti. L'accettazione, quea sì che era una novità per eugene jackson. Come se fosse possibile davvero, nel profondo, accettare di perdere quell'unica persona presente accanto a te prima ancora di nascere; quella con cui hai condiviso respiri, lacrime, batticuore e persino le fitte lancinanti di ogni colpo subito. E se non si trattava di quello, allora il mangiamorte ci andava vicino: non era perfetta, la consapevolezza raggiunta da eugene, ma era il massimo che poteva permettersi. «auguri del.. auguri euge» sporgendosi in avanti l'ormai ex pavor soffió sull'unica candelina piazzata da elijah nel centro di un magnifico muffin al cioccolato (era stata erin a prepararglielo, ed euge aveva accettato quel gesto inatteso con il solito affettuoso entusiasmo) dal profumo inconfondibile di maria, lasciando nell'aria uno sbuffo di fumo grigiastro a disperdersi rapido attraverso il buio. Desidero solo che stia bene.
    Che da qualche parte stiano tutti bene.
    Non un pensiero astratto, il suo, ma la concreta possibilità che sua sorella - una copia, ma pur sempre delilah - si trovasse fra quei dispersi che il ragazzo si era impegnato a ritrovare. «vi ho mai raccontato di quella volta che due bulletti del nostro quartiere ci hanno chiamato 'Terry e Maggie splendide sorelle' e Lardina li ha picchiati?»

    ***


    «avevamo sei anni. quei due sono scappati via piangendo.» terminò il racconto con un sorriso nostalgico dipinto sul volto, le guance ormai ricoperte da uno strato di barba morbida e ben curata. Jaden stava annuendo, sebbene quella storia gliel'avesse già raccontata un milione di volte, le mani sprofondate nelle tasche del cappotto. C'era già euge ad apportare il giusto quantitativo di calore umano e violazione del proprio spazio personale per entrambi, camminando al fianco della bionda con il braccio destro a circondarle le spalle minute. La differenza di altezza ideale per tenerla sotto la sua ala e, al contempo, usarla come bastone per la vecchiaia.
    Cosa che, ben vedere, era: fino ad un anno e mezzo prima l'idea di poter mettere su una famiglia tutta sua creandola dal nulla e di esserne parte integrante non gli avrebbe nemmeno lontanamente sfiorato il cervello; si era sempre agganciato a qualcun altro per sopravvivere, bisognoso di cure e attenzioni, amici che gli facessero da mamme e baby sitter occasionali, senza lamentarsene mai. Insomma, chi vorrebbe ritrovarsi sul groppone il peso di certe responsabilità quando si poteva giocare tutta la vita all'eterno bambinone? Lo era ancora, questo lo sapevano tutti, ma qualcosa era evidentemente cambiato. Quando aveva stretto per la prima volta suo figlio tra le braccia, così piccolo e leggero da fargli provare per un istante il terrore di schiacciarlo con la sola forza delle dita, o forse anche prima.
    Era partito tutto da jade, da una run scomparsa nel nulla. Strano, come certe storie si ripetessero sempre all'infinito.
    «oh!» la sentì sobbalzare sotto il peso del braccio, mentre euge bloccava l'incedere di entrambi mandando la bionda a sbattere contro il proprio torace. «jackson, ma sei scemo, che c'è??!!» finita la comprensione per la recente ricaduta nella fase di lutto di euge, si tornava finalmente alla normalità. Apprezzava sempre gli sforzi che la bionda faceva nel mostrarsi delicata quando l'occasione lo richiedeva, ma la verità era che il ventisettenne la preferiva così: rude e diretta, carica e sempre pronta a scattare. Altrimenti il divertimento dove stava? «SSSSHHH parla piano! potrebbe sentirci!» la beech, he giustamente con il metro e ottantacinque di euge davanti non vedeva assolutamente nulla, gli tirò una gomitata nello stomaco costringendolo a spostarsi per liberare la visuale, ovvero l'ingresso di Amortentia una cinquantina di metri più avanti. Niente di sospetto, nessun cane nelle vicinanze che il jackson avesse deciso a correre a salutare. «ma chi? inizi con la demenza senile? paranoia? stai per avere un ictus? (se muori comunque dimmelo prima che ti saluto - cit. quanta poca fiducia nella sua mente geniale!!! Cosa poteva farci il jackson, se a questi giovani non era stato insegnato il rispetto? Gli era bastato compiere ventisette anni e jaden si era scatenata - e non era nemmeno una gen z! «SENTI. innanzi tutto sono ancora giovane e prestante, quando torniamo a casa ti do una dimostrazione pratica.» mlmlml, oh tanto uran stava tutto il giorno con amos e cash. «seconda cosa, credo di aver visto uno di quelli.. dell'altra parte entrare da amortentia. Assomigliava tantissimo ad Al.» seh, te piacerebbe. Brutto non sapere come fossero andate realmente le cose nell'au durante la miniquest, eh? Troppi morti, troppi pezzi importanti della sua famiglia andati perduti. echeccazzo, era crepato pure lui!!11! Strinse la mano destra della ragazza, partendo filato in direzione della spa magica con la musica de La pantera rosa che gli risuonava nella testa, insensibile alle proteste (ce ne sono) di jade come lo era quando gli lanciava addosso le mutande che disseminava in giro per casa, volte anche con intenzioni mirate il cui messaggio non veniva mai recepito dall'interessata. how romantic. «non dobbiamo farci beccare!»
    Ora: sarebbe stato molto più semplice - e razionale - entrare da amortentia fingendosi due clienti alla ricerca di un momento per rilassarsi, ma al jackson non piacevano le cose semplici e razionali; jade, dal canto suo, aveva copulato (innumerevoli volte e sempre con estrema soddisfazione) e procreato con il suddetto idiota, quindi nemmemo lei doveva essere fatta per i percorsi in linea retta. Ecco perché si intrufolarono entrambi come ladri, euge acquattato sulle ginocchia piegate nel tentativo di non farsi vedere dalla receptionist, che era comunque troppo impegnata a fotografarsi le unghie smaltate per instagram. Svoltarono un angolo togliendosi così dall'ingresso principale e finalmente il ragazzo poté tornare a distendere la schiena, allungando entrambe le braccia verso l'alto facendo scricchiolare le ossa. «oufh. ok, fase uno completata. ricordami di non fare più la lotta con tjade, ho la colonna vertebrale distrutta » quella bestia infame, non si fermava mai quando eugene chiamava il time out. Intravide l'espressione allarmata di jade prima ancora di percepire l'effettivo pericolo in agguato alle proprie spalle, nelle sembianze di un tizio grosso quanto un armadio a quattro ante con indosso la divisa del servizio di sicurezza; non li aveva ancora beccati, ma sarebbe stato inevitabile se la beech non avesse afferrato euge per il braccio più a portsta di mano, trascinandolo senza tropli complimenti oltre la soglia della prima stanza a disposizione. Che poi, stanza era un eufemismo: grande due metri per tre, la maggior parte dei quali occupati da scaffali carichi di asciugamani puliti, lo sgabuzzino aveva un altra piccola - ma deliziosa - particolarità, che euge non tardó a notare. «non.. c'è la maniglia??» la porta, una volta richiusasi dolcemente alle loro spalle, non presentava altro se non una superficie liscia e immacolata. Nessun tipo di pomolo in vista, o apertura a spinta come le uscite di sicurezza. «siamo sicuri che questo posto sia legale?» ci voleva una bella ispezione di giggino di maio dal ministero del lavoro! E comunque rimaneva il fatto che «siamo bloccati dentro.» la fronte corrugata, eugene jackson si immobilizzó con la mano destra avvolta attorno alla bacchetta, il braccio mollemente abbandonato lungo il fianco: sembrava che la magia, in quella scatola con una sola ventola accesa per il ricambio dell'aria, non funzionasse.
    Se avessero trovato un paio di scheletri dietro gli asciugamani non si sarebbe affatto stupito. «beh.. prima o poi avranno bisogno di un cambio, no?» toccó senza troppa convinzione i teli bianchi piegati sullo scaffale, un numero esiguo che certo non aiutava a rassicurare nessuno dei due. «nel frattempo..»
    NEL FRATTEMPO SI PACCA? dai jade, stiamo sempre con uran, sei troppo bella e c'è troppo poco spazio qui dentro come faccio a resistere, ci sono anche le luci soffuse e soffro di claustrofobia magari se limoniamo un po' mi passa. Tutte cose che jaden poteva chiaramente leggergli in faccia senza che le dicesse ad alta voce, un sorrisetto a tendere le labbra sotto i baffi, in attesa. Che lei sospirasse rassegnata o lo picchiasse, o magari both.


    i just need to get it off my chest, yeah, more than you know. you should know that baby you're the best, yeah, more than you know
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    C'erano parecchie cose della vita su cui Jaden Beech era confusa.
    La confondevano le persone che mettevano i cereali prima del latte; la confondeva il fatto che sua madre - così felice da quando era tornata single - non avesse buttato prima fuori casa il marito; la confondeva l'omofobia e il sessismo delle persone. La confondeva la propria relazione con Eugene Jackson - anzi, inutile girarci attorno: la confondeva la propria vita con Eugene Jackson, l'uomo che ora la cingeva mentre passeggiavano per Hogsmeade. Non sembravano tanto una coppia di spie alla ricerca di persone da un'altra dimensione, sembravano solo... una coppia. Ad un normale appuntamento. Non due genitori troppo giovani a fare la spesa all'ultimo di pannolini e co, non due amici con incredibile sexual tension a fremere fra loro, non due badass ai laser game (che entro fine sessione sarebbero finiti a fare petting dentro il quartier generale della squadra avversaria)... e la cosa, per quanto fosse in qualche modo piacevole, un po' terrorizzava la Beech. Che cos'erano lei e il Jackson?
    Fino a due anni prima non avrebbe mai pensato che si sarebbe trovata in quella situazione, madre per caso e a condividere la casa da sola con il padre di proprio figlio, e sebbene di giorno in giorno non potesse pensare che Uran fosse la cosa più bella che le fosse mai capitata - il motivo di cui non sapeva di avere bisogno per alzarsi al mattino - e non potesse pensare ad un mondo in cui non esisteva, era comunque strano fermarsi a pensare a quella che era la propria vita, a cosa realmente girasse attorno. O meglio, a chi.
    Eugene Jackson.
    E non solo perchè vivevano insieme, quindi per ovvi motivi erano davvero spesso nella stessa stanza, e non solo perchè condividevano la crescita di un figlio... semplicemente, Eugene c'era sempre, anche quando fisicamente non era presente. Jaden a lavoro sentiva una cosa divertente, e pensava di raccontagliela, vedeva un animale per strada, e voleva mandargli una foto, c'era un bambino biondo in giro, e si ricordava di quando (con una Jade ancora incinta) indicavano neonati chiedendosi come sarebbe stato loro figlio. Da quando lo conosceva, e specialmente nell'ultimo anno, era difficile che passassero troppe ore senza che l'uomo mai gli saltasse in testa. A volte si chiedeva se questo fosse dovuto al buon sesso, a Uran, o a una terza opzione che cercava sempre di scartare prima ancora di poterla formulare a parole. Jaden non era come Eugene - lei non pensava di essere innamorata una persona soltanto perchè ci si trovava bene insieme; non gridava al mondo "ti amo!" con innocenza e senza secondi fini se non era davvero - davvero davvero davvero davvero - sicura di amare quella persona (non a caso, in ventidue anni non aveva mai detto quelle due sciocche parole). Dire ad una persona di essere innamorati di lei, era una cosa grossa per la Beech - una cosa che poteva incastrare due persone in una relazione sbagliata, che poteva spezzare il cuore di qualcuno.
    In quei momenti di confusione, più che in altri, avrebbe voluto avere al proprio fianco le proprie migliori amiche. Avrebbe voluto avere al proprio fianco sua sorella.
    Jaden non era mai stato tipo da parlare dei propri sentimenti (vantandosi il più delle volte di non averne affatto), preferendo di gran lunga grugnire e lamentarsi genericamente, ma poter chiedere un parere a Maeve in quel momento sarebbe stato più facile che non continuare a tenersi tutto dentro perchè non trovava una persona con cui sfogarsi al riguardo usano parole, invece che guantoni da boxe o pistole dei laser game. E no, nonostante l'invito (esplicito) dell'Henderson, non sarebbe andata dal migliore amico del problema a chiedere che diavolo Jade e Euge stessero facendo della loro vita. Stavano insieme? No? Erano scopamici? Jaden pur senza mai detto di voler passare la vita con il Jackson si era comunque incastrata in quell'esistenza come i suoi genitori trent'anni prima? Sarebbe diventata anche lei come sua madre, bloccata e un po' folle, finchè decenni dopo non avesse messo alla porta il marito? lei e Jackson Non si erano mai messi a parlarne, Jaden non si era mai messa a parlarne, e ormai sembrava quasi troppo tardi farlo. Stupido.
    Allo stesso tempo, viversela alla giornata iniziava a diventare imbarazzante. Persino Rea e Elijah avevano una relazione più chiara di Jaden e Eugene! E loro non convivevano da quasi tre anni.
    «Dovevate essere una bellissima squadra» commentò alla fine del racconto, la testa posata contro la spalla dell'uomo.
    «oh!» sobbalzò, e questa è la storia di come Eugene pensò di aver visto Al!AU, e invece no.
    Magari, Andy, la prossima volta ci dai un elenco dei morti.

    Eugene continuava a parlare.
    Parlare.
    Parlare.
    Esalando nervosamente, Jade strinse gli occhi. Posò la mano contro la porta, provando a incanalare energia verso il palmo. Niente; nessuna luce, nessun calore.
    «beh.. prima o poi avranno bisogno di un cambio, no?»
    «siamo bloccati dentro», mormorò ripetendo le parole di Euge poco prima, solo che lei era un po' più in crisi del mago. Non tanto per paura di restare lì per sempre, quanto perchè - semplicemente - chi avesse aperto la porta li avrebbe trovati lì, belli come il sole, nel posto decisamente sbagliato al momento sbagliato. "Ok, allora chiunque apra io lo immobilizzo, lo portiamo fuori, Eugene lo oblivia-..."
    «nel frattempo...» Si voltò, incrociando nel buio gli occhi chiari dell'uomo. Per l'amor del cielo, riusciva a essere bellissimo anche quando non ci si fottutamente vedeva.
    «Qui. Vuoi farlo qui» allargò le braccia, sconvolta e un po'... ok, un po' eccitata. Colpa del corpo di Eugene così vicino, del respiro caldo sul viso, del modo in cui ogni tanto lui si umettava le labbra, del tatuaggio dietro l'orecchio che appariva in parte da quell'angolazione e della cicatrice che lì sotto che ogni volta sembrava implorarla di farsi baciare.
    «sei un fottuto idiota, Eugene Jackson» già, ma c'erano giorni in cui anche lei era abbastanza stupida da lasciarsi pensare, per qualche secondo o qualche minuto, che fosse il suo fottuto idiota.
    Poteva sembrare impassibile, ma ci voleva in verità davvero poco per convincere Jaden Beech, debole allo sguardo di Eugene come forse solo a quello ugualmente azzurro e bello di Uran; neanche dieci minuti da quando erano rimasti bloccati in uno stanzino aveva un braccio sollevato oltre la spalla dell'uomo, in punta di piedi mentre gli socchiudeva le labbra baciandolo lentamente, stabilendo un ritmo carezzevole e suadente. Si staccò dalla bocca del Jackson solo per posare le labbra sul suo zigomo, sul collo. «Va meglio?» la mano rimasta giù teneva quella di Eugene, e Jaden stringe leggermente la presa, avvicinando il corpo al suo in un mezzo abbraccio.
    Viveva con lui da più di due anni: ovviamente sapeva che era claustrofobico, e ovviamente sapeva come dovesse sentirsi chiuso in uno stanzino senza maniglia. Non era forse una mogliettina anni 50 che fa trovare il pasto pronto al marito sul tavolo, che gli mette sul letto la cravatta abbinata alla camicia per il lavoro, ma aveva i suoi metodi per aiutare il Jackson - come lui aveva i propri, quando Jaden si rannicchiava nel letto perchè improvvisamente il buio era troppo buio. A modo loro, funzionavano alla grande. «Ehi» Non si staccò da lui, le labbra ancora a sfiorare la carne del mago, il viso nascosto nell'incavo del collo (Eugene doveva essere chinato per permetterglielo? e si chinasse . ). «domanda stupida, puoi non rispondere» si impedì di deglutire per prendere tempo, solo perchè così vicini lui l'avrebbe sentito, così come jaden sentiva il battito del cuore dell'uomo. «noi due, no? Stiamo-... cosa siamo?» Colpa del buio? Si stava approfittando del momento di debolezza di Eugene? Del proprio (erano pur sempre bloccati in uno stanzino buio e senza magia, non è che Jade, pur non claustrofobica, si sentisse a casa)? Per qualche motivo, chiederglielo lì sembrava più facile che non alla luce del sole o in un luogo familiare che avrebbe per sempre legato alla risposta. Prima di mettere in chiaro i propri sentimenti, voleva sapere cosa aspettarsi dall'altra parte; se era solo la madre di suo figli, o la sua coinquilina, tanto valeva mettere una pietra sopra tutte quelle paranoie. Forse aveva sbagliato, e Eugene non aveva mai pensato che potesse essere di più.
    like, one day you look at someone and you suddently realize you see them in a different light than you did the night before. That's falling ----------------------------------
    1996's | former ravenclaw
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    hey it's me,.
    jaden beech.
     
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    chi siamo?
    da dove veniamo?
    «noi due, no? Stiamo-... cosa siamo?»
    Tutte domande esistenziali che eugene jackson non si era mai posto. Della prima se ne fregava, per la seconda faceva affidamento a darwin e per quanto riguardava l'ultima, beh, gli era semplicemente mancata l'occasione di pensarci su con un minimo di serietà. Perché a differenza di jade, il serpeverde non aveva alcuna difficoltà ad immaginarsi come parte di una coppia a tutti gli effetti, trasportato da quella chiarezza di sentimenti che da sempre aveva caratterizzato lui e spaventato la bionda. Sapeva esattamente cosa provava, il jackson, il resto era solo fumo negli occhi, o per alcuni un salvagente cui aggrapparsi prima di annegare. «intendi oltre a belli come il sole, io molto stupido e tu meravigliosamente intelligente?» chiese, il mento appoggiato alla spalla destra di jade ed entrambe le braccia avvolte attorno alla sua schiena, immobile in una posizione incurvata che sarebbe potuta sembrare scomoda, ma non lo era affatto. Aveva ancora il suo sapore sulle labbra, una scia inconfondibile di fragole lasciata dal solito burrocacao, quel retrogusto delicato che eugene aveva imparato a riconoscere parte integrante della propria quotidianità. Non era più certo di poter affrontare la giornata senza almeno un bacio, senza sentire il profumo della pelle ancora calda di jade sotto le coperte. La risposta alla domanda della bionda, in fondo, stava tutta lì.
    Prese la sua occhiata come un invito a non scherzare, perché anche se aveva messo le mani avanti presentando la domanda come stupida, era ovvio fosse importante. Così importante da doverla sussurrare nella penombra di uno sgabuzzino dal quale non potevano uscire, con il solo rumore della ventole e dei loro respiri come compagnia.
    Poteva essere un idiota, eugene jackson, ma sapeva riconoscere un momento cruciale, quando ne viveva uno.
    «ok, d'accordo la smetto.» raddrizzando infine la schiena, il ventisettenne allentó - seppur di poco - l'abbraccio che li aveva stretti fino a quel momento, cercando lo sguardo di jade ed il suo volto con la mano destra, per impedirle di sfuggirvi; gliel'avrebbe ripetuto anche un milione di volte, se ne avesse sentito il bisogno, ma in quel momento era davvero necessario che jade capisse. Che leggesse nelle iridi chiare l'estrema sincerità di quanto stava per dirle, a costo di suonare melenso e scontato. A costo di farsi sbattere una metaforica porta in faccia, sebbene lo sapesse che non sarebbe mai successo. Glielo diceva una vocina, ad euge, che la bionda aveva solo bisogno del suo tempo per arrivare al cuore del problema. «possiamo essere quello che vuoi, jade. Oltre a genitori, e scopamici. Oltre a coinquilini e compagni di laser tag.» premette la mano libera sulla sua, su quelle dita che ancora percorrevano le linee frastagliate sotto la pelle di una ferita ormai rimarginata, ma non dimenticata. Non si lasciava toccare facilmente in quel punto, il jackson, lì dove solo le mani di sua sorella avevano contenuto i danni e le labbra di heidrun crane si erano posate prima che la beech pensasse anche solo di far parte della sua vita, che ancora bruciava durante le notti troppo lunghe e popolate dai peggiori incubi. Nessuno che fosse in grado di ricordare, ma c'erano. «io credo che possiamo essere tutte queste cose insieme, senza dover scegliere. È questo che fanno le persone quando si amano.» non era stato certo fino all'ultimo istante di voler usare quella parola, ma alla fine gli era rotolata fuori dalle labbra sottili con la naturalezza che solo chi non la teme può avere. Ce l'aveva sempre sulla punta della lingua quel ti amo, come fosse la cosa più naturale del mondo, la più nornale forma espressiva di qualcosa che proprio non riusciva a contenere: se lo sentiva esplodere nel petto, rimbonbare troppo rapido nella cassa toracica, martellare all'impazzata su fino in gola urlando a gran voce di uscire. «se vuoi. » concluse, piegando il capo fino a poggiare la fronte sulla sua, il labbro inferiore risucchiato all'interno della bocca.
    E comunque non potrei più sopportare di vivere senza di te.
    Ma questo non lo disse.
    Era quello il problema dell'avere un eugene nella propria vita, permettergli di diventare parte integrante di una famiglia. Alla fine della fiera lo capivi, anche senza un avvertimento da parte del diretto interessato, che quel ragazzone affascinante ma scemo era diventato una tua responsabilità fino a che morte non vi separi. E, più spesso di quanto non si potesse pensare, anche dopo. Non glielo disse perché sembrare disperato, a quel punto, sarebbe servito solo a convincere jade che una corsa a perdifiato nella direzione opposta poteva essere la soluzione migliore.
    «e il fatto che ripeta spesso ti amo anche a nate non vuole dire che non ci creda davvero quando lo dico a te.» non sarebbe stato lui, se non avesse cercato di mediare con una battuta, avvertendo la lieve tensione dei muscoli a scorrere sotto la pelle di jade, ora che il corpo della ragazza gli premeva di nuovo contro; avvertendo la propria, di improvvisa rigidità (no, non quella. EDDAI) muscolare, che forse era dovuta all'essere rimasto chiuso in uno spazio angusto con troppo poco ossigeno a disposizione, ma non del tutto. Era soprattutto l'ansia di chi si trova per la prima volta ad un bivio sconosciuto, un percorso mai affrontato, un baratro oltre il quale la vita non lo aveva mai costretto a spingersi. Poteva davvero essere respinto da una persona che amava con tutto se stesso? Che prospettiva terribile, come viveva la gente con questa spada di Damocle sulla testa? Incapace di trattenersi, assolutamente deciso ad evitare che jade avvertisse il lieve tremore delle sue dita, Eugene la bació di nuovo, esasperato e affamato, spaventato ed eccitato tutto insieme; sicuramente meno delicato di quanto non fosse stata la beech qualche minuto prima, con quel lieve tocco sulla pelle tinta con l'inchiostro sostituito dalla pressione della mano aperta contro la schiena di lei, per sentirla più vicina. Per sentirsi più vicini.
    E a quel punto sì, che si era dimenticato della missione.
    Tali genitori, tale figlio. (eh hunter???? ♡)

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    «intendi oltre a belli come il sole, io molto stupido e tu meravigliosamente intelligente?»
    Ecco, Jaden già si pentiva della domanda fatta a cuore aperto; aveva forse pensato che il buio e lo spazio chiuso avrebbe aiuto i due a fare una conversazione seria? che illusa. Erano pur sempre dei due ventenni che schiacciavano senza pietà i bambini ai laser game, che giocavano con i liquidator in casa, che avevano insegnato a Uran prima a andare sullo skate che non a usare il vasino, che neanche una settimana prima avevano improvvisato la rievocazioni della seconda guerra mondiale con popcorn e pentole; non si poteva chiedere troppo. Sì, Eugene la faceva ridere (persino in quel momento sul viso rotondo da biondina di Jade c'era lo spettro di un sorriso, sebbene avrebbe voluto cancellarselo) e sì, le piaceva non avere vincoli o altro - ma per una volta, una sola volta, avrebbe voluto un po' di serietà e una risposta sincera; neanche quando le aveva detto di Uran, avevano mai avuto modo di parlarne da adulti, Eugene già sulla tangenziale pochi minuti dopo la notizia su quanto loro figlio sarebbe stato un bambino bellissimo. Sbuffò infastidita, e come risposta parve bastare all'uomo, il cui tono si fece improvvisamente più serio: «ok, d'accordo la smetto.»
    Non oppose resistenza la bionda quando lui si staccò leggermente, cipiglio ancora imbronciato e labbra fra i denti mentre si obbligava a non dargliela vinta; cosa ci poteva fare se ogni volta che Eugene (Eugene! Un mancato modello) la definiva bella un po' si scioglieva? "Jaden, I didn't raise you like that" si ricordò, gli occhi ostentatamente in basso verso lo scollo dell'uomo. Alle dita sulla guancia, un chiaro invito ad alzare lo sguardo nel suo, Jaden dovette accettare di puntare gli occhi in quelli chiari del Jackson, sempre più visibili mano a mano che l'oscurità diventava familiare.
    Ebbe la tentazione di posare il viso maggiormente sulla mano dell'uomo, ma si limitò a stare dritta, aspettando con sguardo serio la risposta che si meritava. C'era una buona probabilità che le dicesse che si stavano soltanto divertendo, che Uran era il loro legame come all'inizio lo era stato Run; a Jade sarebbe andata bene, purchè sapesse cosa aspettarsi da quel giorno in poi; non aveva bisogno di paletti o etichetti, ma solo di capire.
    «possiamo essere quello che vuoi, jade. Oltre a genitori, e scopamici. Oltre a coinquilini e compagni di laser tag. io credo che possiamo essere tutte queste cose insieme, senza dover scegliere. È questo che fanno le persone quando si amano.»
    Ecco, l'aveva detto, aveva di nuovo parlato di amare (scatenando un - piacevole? - aumento cardiaco per la ragazza), e l'aveva fatto con semplicità disarmante, come se fosse stato ovvio che anche Jade amava lui; forse, si disse la bionda, ovvio lo era davvero. Le persone che si amavano erano felici insieme, le persone che si amavano non vedevano altri per spassarsela, le persone che si amavano si bastavano, come a Jaden bastava Eugene. «se vuoi»
    Voleva? Le piacevano le cose come stavano: crescere Uran insieme, ridere, vivere sotto lo stesso tetto, dormire nello stesso letto. Non aveva bisogno di vedere altre persone romanticamente, perchè Eugene colmava ogni vuoto nella vita di Jade, si incastrava come un puzzle riempiendo ogni mancanza che avrebbe potuto sentire.
    "siamo in una relazione", constatò (non tanto sorpresa quanto... sollevata?). "una vera". Insomma, quelle che pensi dureranno per tutta la vita, quelle per cui fai piani a lungo termine, perchè senti che sarà per sempre. Era una prima volta per Jaden, che aveva sempre avuto modo di esplorare la propria sessualità senza mai concentrarsi particolarmente sul lato emotivo della cosa, senza mai lasciare il tempo a sè - o alle persone con cui usciva - di affezionarsi troppo prima di lasciarsi.
    Era spaventata? Decisamente; se ne avrebbe sofferto? Se gli avesse spezzato il cuore? Eugene non sapeva così tante cose di Jaden, e se non l'avesse più amata? Se se ne fosse andato? Senza troppi fronzoli si rese conto in un attimo che ormai era comunque troppo tardi per scappare o tirarsi indietro: non avrebbe potuto passare una vita senza il Jackson al proprio fianco, ora che sapeva com'era avercelo, con quel suo sorrisone stupido e lo sguardo azzurro troppo sincero.
    «Mhh» puntò gli occhi sulle labbra dell'uomo, perchè lui non ci leggesse guardandoli più di quanto Jade voleva far trasparire. Non aveva negato quel "quando le persone di amano"; era già più di quanto avesse mai ammesso.
    «e il fatto che ripeta spesso ti amo anche a nate non vuole dire che non ci creda davvero quando lo dico a te.»
    Ed eccolo lì, il suo (!!!) uomo che alleggeriva la situazione con la cazzata del momento. Jaden alzò lo sguardo al cielo, e se un attimo prima le labbra erano impegnate in un insulto («sei un coglione, Jackson»), quello dopo erano già state rapite dal bacio di Eugene, ben più rude e vorace rispetto a poco prima - e ben più adatto al bollore delle guance di Jaden o al suo battito accelerato. La mano ancora sul collo del ragazzo andò a scivolare per aggrapparsi meglio a lui, per tirarlo a sè mentre con solo mezzo passo indietro Jaden si trovava spalle al muro, piacevolmente intrappolata fra la porta prima di maniglia e il corpo di Eugene - il fatto di essere rimasti chiusi dentro momentaneamente dimenticato dopo la scoperta di avere un ragazzo. Mentre si staccava per riprendere fiato, la mano libera a ricercare pelle bollente sotto la giacca del Jackson, con la testa che girava e il respiro corto, Jaden posò le labbra sull'orecchio di lui. «Immagino sia come dici, cazzone» un bacio, mentre le dita salivano sul petto alzandogli i vestiti «Temo proprio di amarti anch'io» per poi tornare a cercare la sua bocca prima che potesse rispondere e rovinare il momento, l'eccitazione della ragazza per aver ammesso per la prima volta a chiunque (se stessa inclusa) di poter essere innamorata.
    like, one day you look at someone and you suddently realize you see them in a different light than you did the night before. That's falling ----------------------------------
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    «Ci sono un sacco di lati positivi di essere finiti un universo alternativo indietro di cinque anni», spiegava il ragazzo camminando col volto nascosto nella sciarpa (letteralmente, nascosto - sembrava un terrorista eschimese). I capelli tristemente castani spuntavano dal cappello scuro, quest'ultimo utile contro il freddo così come a coprire la ricrescita chiara, e ogni tanto Win alzava una mano per assicurarsi che la sua bellissima chioma ci fosse ancora e la ragazza al suo fianco non avesse deciso di tagliargliela via in segreto. «Non mi riconoscerà comunque nessuno, sono cresciuto tantissimo da quando avevo quindici anni!», aveva insistito (inutilmente) il Jonsten quando Ade lo aveva minacciato di non azzardarsi fuori dal Rifugio con quella testa bionda, e alla fine erano arrivati al compromesso della tinta. A quanto pareva, però, quella blu o verde per lui - che in quel mondo aveva un doppione considerato morto - era troppo appariscente. Donne.
    Tirando fuori una mano guantata dalla tasca, il fu biondo iniziò ad alzare le dita infreddolite mentre elencava: «Possiamo andare a vedere di nuovo le Appleby Arrows contro i Chudley Cannons nel fatidico Derby del 2019; non è uscito il tormentone dell'Estate 2020» rabbrividì; non avrebbe detto il titolo di quella canzone, per evitarsi di incastrarsi in testa il motivetto per il resto della settimana, ma era sicuro che la propria compagna di avventure avrebbe capito a cosa si riferiva; nel loro mondo, non esiste pietra che non avesse mai ascoltato l'Innominabile e non ne fosse stato ossessionato. A volte Win quasi sentiva la mancanza del country. «e possiamo fingere qui non uscirà mai; ci si cullava nel senso di falsa sicurezza che Di Caprio non lavorasse solo per vincere l'Oscar e avrebbe fatto altri film; l'iPhone ancora stava in tasca e non avevano inventato l'iMarsupio per portarselo in giro... convengo che sia molto triste non avessimo a disposizione i meme di Trump che perde contro la Obama» spallucce «Ma ehi, poteva andare peggio!» Potevano restare bloccati nel 1918 AU per cinque mesi. Tipo.
    Non sarebbe stato del tutto corretto dire che il giovane Winston, Win o Wins per gli amici, si stesse vivendo del tutto bene la propria avventura nel Sottosopra, ma questo ovviamente non era un buon motivo per non provare a vedere il lato positivo della situazione.
    ...o, comunque, parlare ad Ade ininterrottamente per non fermarsi a pensare su quanto fossero fottuti e senza un minimo piano su come tornare a casa e le loro ricerche per trovare il resto della combriccola fossero state negli ultimi mesi un buco nell'acqua continuo. Era così che il rampollo Jonsten, giocatore di Quidditch di giorno e studente universitario a tempo perso («Dovrebbe essere il contrario», aveva cercato più volte di ripetergli Preston negli anni ma whatever), pensava ai problemi: non lo faceva. Era molto più facile non impazzire in un mondo dove non poteva girare per strada a viso scoperto se cercava di dimenticarsi come e perchè questo succedeva, e invece si appiccicava ad Ade ricercando il confronto e il calore umano di cui aveva decisamente bisogno. Gli mancavano i The greatest (freaks) show, gli mancavano i propri fratelli (2043, ma pur sempre fratelli), gli mancavano gli amici di tutti i giorni, gli mancava il Quidditch, gli mancava il suo ragazzo. Non si pentiva di essersi proposto per quella missione - era stata la cosa giusta da fare - ma era difficile non essere un po' arrabbiato con il mondo, sotto sotto. Molto sotto. Non si sarebbe mai permesso di perdere le staffe davanti alla sorella di CJ - neanche se questo avrebbe significato tenersi tutto dentro e dire suicide jokes in cui invero credeva (gen z 4 ever bitches). Alla fine, aver trovato Ade era comunque una piccola gioia in quel mare di mainagioia, e Winston avrebbe voluto ringraziare il cielo per non essere del tutto solo in quel mondo.
    Continuarono la loro allegra escursione mentre Win elencava tutte le cose belle che avrebbero potuto rivivere in quel mondo o quelle che (per fortuna.) si erano persi; andare in giro per un quartiere magico come Hogsmeade era un lusso, e se non fosse stato per comprare la nuova tinta, probabilmente non sarebbero mai usciti in posti così belli e alla luce del sole, quindi Win aveva tutta l'intenzione di godersela al meglio. Inspirava a pieni polmoni l'aria invernale, sorrideva ai passanti, ammirava le luci natalizie. La prigionia in quel mondo sarebbe stata più facile, se avesse saputo dov'erano i suoi amici e la sua famiglia, ma ma poteva sempre fingere che entro Natale avrebbe ritrovato tutti e sarebbero tornati a casa.
    «buongiornissimo» salutò una passante camuffando la propria voce e rendendola più roca (era stato il compromesso fra lui e Ade, visto che non poteva indossare i baffi finti a quanto pareva), e mentre questa ricambiava confusa (maddai, i buongiornissimo non erano di moda nel 2018?) Win notò qualcosa di ben più shookkante: «La professoressa Beech!» Nonchè - zia? qualcosa del genere - di 2043!Ade. E forse in qualche modo di James!2043? Difficile la vita quando la gente cambia il futuro morendo.
    Occhi sgranati, Win indicò la bionda poco distante, appiccicata a quello che riconobbe come il suo kinda, circa, quasi marito (la Beech non era mai stata molto discreta, nel mostrare ai propri studenti le foto del proprio amato o di loro figlio a scuola). Aveva avuto la donna come insegnante due, tre anni forse, ma la ricordava bene; era sempre stata carina con lui, chiaramente affetta dalla tipica malattia del "sei un caso umano e un pessimo studente, e proprio per questo sono affezionata a te". Era... strano vederla in giro per Londra.
    Era strano vederla viva.
    Per qualche motivo, decise che non doveva essere un caso, aver trovato lei e il Jenkins in giro per Hogsmeade, e che per chiedere a gente random se sapevano del sottosopra, tanto valeva interpellare loro due «Era in coppia con Winston!AU, cinque anni fa» tirò la manica di Ade «E' destino!!»
    Joey aveva aiutato Jaden!Canon, e ora Jaden!au avrebbe ricambiato con Winston. tutto tornava (???). Winston già stava pensando di approcciarsi a loro (chissà se Jade lo avrebbe riconosciuto - anche in au Joey si era fatto conoscere bonariamente dai prof?) quando la coppia felice, in tutta rapidità, pensò bene di correre dentro-... no. nooOOOO!!! Dentro Amortentia??? Quello non poteva essere una coicidenza !!!!! Magari stavano cercando proprio loro! «SEGUIAMOLI!!!»
    Neanche chiese a Ade se era d'accordo, limitandosi a correre dietro a Beech e compare all'interno del negozio. Una volta lì, Winston si trovò di fronte alla receptionist.
    Dannazione.
    «Reggimi il gioco» mormorò alla Milkobitch, prima di posare il gomito sul bancone sorridendo ammiccante alla commessa, guardandosi ogni tanto in giro di sottecchi alla ricerca degli Eubeech. «Saaaaalve, noi vorremmo comprare delle tinte, dove le troviamo?» Non puoi essere beccato per aver detto una bugia se dici la verità *meme*
    La ragazza, confusa, indicò oltre il corridoio. «Troverete un mio colleg-»
    «SI GRAZIE ANDIAMO»
    Winston ripartì nel corridoio, fermandosi per usare i suoi sensi da ragno per sentire rumori in giro. Si voltò all'improvviso verso una porta. «C'è qualcuno qui dentro» confuso prima, preoccupato dopo. Che ci faceva qualcuno in uno stanzino?? (sapeva lo fosse: erano stati altre volte da amortetia e aveva beccato la porta aperta - non c'era niente lì dentro; a volte credeva lo usassero come in Grey's anatomy per pomiciare e basta - che sciocchezza!). Si avvicinò con il viso «Ehi Nessuna risposta; era una sua impressione o chiunque chi fosse lì dentro stava soffocando? Sentiva dei gemiti sconnessi, il fiatone. OMG, QUALCUNO STAVA MORENDO LI' DENTRO E NESSUNO FACEVA NULLA «Ade, dobbiamo aiutarlo!»
    Neanche attese la risposta della maggiore, mano già sul pomello della porta mentre, veloce e con tutta la propria forza, spalancava la porta. «...cos»
    E cadeva a terra all'indietro buttato giù da sessanta chili di Jaden Beech.
    Non aveva avuto molto tempo per guardare, prima di essere schiacciato al suolo, ma quel tanto era bastato per capire che le braccia e le gambe avvinghiate non erano certo quelle di persone che stavano soffocando . Awkwaaaaard.
    Per colpa del peso sulla pancia gli mancò l'aria, per qualche secondo, gli occhi sgranati mentre capelli biondi gli vorticavano addosso e cercava di capire se fosse vivo o avesse sbattuto troppo la testa, ma alla fine qualcosa riuscì a pronunciarla: «Giorno prof» Sentì il peso su di sè sparire improvvisamente (Jaden che trafelata si alzava), e Win rischiò un sorriso ancora dolorante mentre cercava di tirarsi leggermente su «Mi è mancata; è bello vederla. Viva, intendo»
    Beh, se l'aveva beccata a concepire un secondo (terzo!au?) genito in un locale pubblico, Jaden non poteva essere tanto diversa dalla sua versione au: sicuramente li avrebbe aiutati.
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    C'erano persone al mondo che, stringendosi nelle spalle, affermavano di non dare alcun peso al giudizio altrui; sono chi sono, constatavano con la semplicità di bambini cui fosse stato domandato se esistesse o meno Babbo Natale; non mi importa cosa pensino gli altri.
    E poi c'era Adelaide Milkobitch, la quale metteva effettivamente in pratica quel che la maggior parte della gente, per mera convenzione sociale od inganno a se stessi così da poter dormire la notte, blaterava senza realmente crederci. Al mondo non esisteva individuo più singolare, e meno interessato al resto, di Ade; viveva un'esistenza tutta sua nella quale raramente permetteva agli altri di entrare, su di un piano sfalsato rispetto al resto del genere umano: non aveva bisogno di dire che i giudizi altrui non la tangessero, quando lo dimostrava giornalmente ed in qualunque contesto; non le importava abbastanza da chiarirlo, non era un suo problema che lo comprendessero o meno. Immobile e costante come un placido lago di montagna, Adelaide aveva la stessa superficie inverosimilmente blu ed identici, gelidi abissi invisibili dall'esterno. Bella da vedere, impossibile da esplorare, e del tutto disinteressata ai drammi provenienti dalle coste. Ancora si domandava, osservando di sottecchi i suoi fin troppo giovani genitori, come fosse possibile: era del tutto opposta ad entrambi, la Milkobitch, nel suo essere riservata e silenziosa; non aveva l'arroganza e la presunzione di sua madre, né il costante bisogno di correggere gli errori di sistema di suo padre, fossero casi umani cui trovare uno scopo o Giustizia da trovare in aula. E di certo, del fratello, non aveva nulla: non la superbia, non le insicurezze, non gli occhi feriti a tagliare come il vetro della bottiglia di cui avevano rubato il colore.
    Adelaide Milkobitch non c'entrava nulla, con la sua famiglia. E quello era probabilmente il motivo per il quale si era sempre inserita perfettamente, una nota mancante a rendere una distratta sinfonia armonizzata: li equilibrava, tutti loro, come da sé o fra loro non sembravano in grado di fare, mitigando le fiamme con le fredde acque alpine che si portava nel sorriso e nello sguardo. Pur essendo quella che, letteralmente nel suo piccolo considerando che non arrivava al metro e cinquantacinque, tendeva a primo impatto ad attirare maggiormente l'attenzione, era anche la meno memorabile dei Quinn-Harvelle-Milkobitch-Hamilton: prevedibile, considerando ch'era l'unica a non minacciare di distruggere qualcosa slash uccidere qualcuno slash portare in tribunale quando la situazione diveniva spiacevole; la ragazza dalla voce sottile ed i corti capelli color della neve tendeva a passare - per forza di cose - in secondo piano, rispetto agli uragani che accidentalmente si era trovata nella propria linea di sangue.
    Essere la figlia di Gemes Hamilton ed Heidrun Harvelle, nonché la sorella di CJ Hamilton, faceva quell'effetto: non erano mai stati il conforto del tè caldo nelle fredde notti d'inverno, ma Ade non aveva mai avuto bisogno lo fossero. Erano un particolare tipo di droga del quale la Milkobitch non doveva far uso, ma di cui doveva occuparsi nella distribuzione al pubblico: era la pusher di fiducia, sostanzialmente.
    Beh? Le mele non cadevano mai troppo lontano dall'albero. «[…] andare peggio!» Inutile specificare che, come nei mesi precedenti, Adelaide non avesse ascoltato mezza parola del costante blaterare di Winston Jonsten; ruotò gli occhi blu verso di lui per regalargli un mite sorriso di incoraggiamento, spostandosi leggermente verso destra per dargli una spallata. Il ventunenne parlava decisamente troppo, sia per i gusti di Ads che per quelli di chiunque altro, ma perlomeno non si aspettava alcuna risposta: era il suo meccanismo di coping per affrontare l’assurda situazione nella quale si trovavano, e la Milkobitch lo rispettava. Lei, d’altro canto, non aveva bisogno di metodi per affrontare una realtà alternativa: arrivava dal futuro, era piombata nel 2018 nel bel mezzo di una guerra dov’era morto suo fratello, ed aveva due nipoti poco più giovani di lei. Era impermeabile all’impossibile, Adelaide Milkobitch.
    Soprattutto, non conosceva – né mai aveva conosciuto – il panico o l’ansia. Avevano un problema, perfetto, ma perdere la propria, amata razionalità non avrebbe aiutato nessuno di loro, e preoccuparsi non le avrebbe fatto trovare più in fretta i suoi genitori o suo fratello: seguiva il flusso, la medium, adattandosi agli imprevisti come acqua all’interno di una conchiglia. Camminava per le strade di quella Hogsmeade come avrebbe fatto nella propria, mani in tasca ed un morbido cappello di lana sulla corta chioma avorio. Pur avendone le dimensioni, e la fragilità, vedendo la Milkobitch era difficile paragonarla ad una bambola: il viso tondo e le labbra a forma di cuore avrebbero potuto trarre in inganno, ma la solennità dei seri occhi blu cancellava l’impressione prima ancora che potesse prendere forma nella mente di chiunque. Aveva un qualcosa d’antico, Adelaide; aveva lo sguardo vecchio di chi di quel mondo, o di qualunque altro, avesse visto troppo e non ne fosse rimasta impressionata, ed il sorriso dolce di chi, con un adorabile francesismo, poteva fare il culo a chiunque senza scomporsi la pettinatura od uno degli innumerevoli accessori tintinnanti che tanto amava indossare.
    Si faceva i cazzi propri, Ads – ma non accettava stronzate da nessuno. Quando decideva, e solo quando sceglieva lei, di entrare in scena, poteva apparire alta il doppio e spessa il triplo; non era il caso di far arrabbiare l’imperturbabile Adelaide Milkobitch, perché in confronto i CJ - di un o mondo o l’altro- vi sarebbero parsi bambini con manie di protagonismo.
    Perfino quelli armati di motosega.
    L’aveva ignorato perché superiore a mere provocazioni tipiche dei mortali, ma non le era sfuggito l’hashtag lanciato da suo fratello durante la cena del Ringraziamento di quattro anni prima, quando la Milkobitch aveva costretto l’Hamilton a ricorrere all’aiuto di Frankie per riprendersi dalle costole incrinate nel petto: #Ade fa così paura.
    E giustamente.
    Winston continuò a parlare, ed Ads continuò ad ignorarlo. Osservava le vetrine dei negozi con sguardi discreti ma mai superficiali, pensando al senso della vita ed a chi, in quei mesi, avesse sfamato i suoi cani. Non ricordava di aver avvisato alcuno dei suoi amici (i quali, per inciso, esistevano: se non li aveva mai presentati a suo fratello, od ai suoi genitori, era semplicemente perché amava essere indipendente, e non voleva mischiare parti diverse della sua vita) di star partecipando ad una missione magica per conto del Ministero.
    Rivolse una muta preghiera a Cous Cous perché non morisse di fame. Aveva già Fois Gras come animale fantasma da compagnia – e BJ, non dimentichiamolo mai – averne un altro sarebbe stato troppo mainstream. «buongiornissimo» Alzò gli occhi verso il Jonsten, trovandolo impegnato a salutare una perfetta sconosciuta quasi si fossero trovati su un sentiero in alta montagna.
    Ruotò gli occhi verso l’au-sistema solare, ma non commentò: fosse stato per Adelaide, per quanto bene volesse al Jonsten, l’avrebbe legato in una cantina ed abbandonato finchè non avesse trovato una soluzione da sé – ma ahimè, sapeva che Winston avesse bisogno di compagnia, e di vedere la luce del sole, per non perdere il senno. Si rincuorò pensando che, fra tutte le persone che avrebbe potuto incontrare in quei mesi, poteva andarle peggio: poteva incontrare CJ, ad esempio. Amava suo fratello come un secondo e più lento battito cardiaco, ma non significava che fosse così masochista da augurarselo, in un mondo alternativo!, per mesi in solitaria: non avrebbe fatto altro che lamentarsi, quando non tentare un genocidio; l’Hamilton era incantevole, ma frustrante. Ed i migliori amici di suo fratello? Compreso il Jonsten, non erano particolarmente migliori di CJ – ed Ade li aveva visti crescere, quindi ne sapeva qualcosa. Nel momento in cui, come Vigilante, era apparsa nel loro tempo, aveva volontariamente preso le distanze da tutti loro: non erano malissimo, ma…non erano i suoi. Non erano i Meara, Lynch e Ronan con il quale aveva passato la maggior parte delle sue vacanze rimbalzando da una centrale della polizia all’altra; non erano i Sander ed i James a cui aveva insegnato a leggere.
    Meara, Preston, Barrow, Frankie e Winston, non li conosceva: carini, per carità – adorabili; le piacevano.
    Ma comunque, non era interessata a conoscerli, non più di gli-amici-di-mio-fratello: facevano parte della sua vita, ma non li voleva nella sua vita. Distinzioni sottili che cambiavano tutto. «La professoressa Beech!» Rimpianse di aver deciso, lanciando un’ultima occhiata alla stanza che condivideva con Winston, di lasciare sul letto lo scotch anziché intascarlo: la bocca dell’ex Corvonero sembrava davvero averne un disperato bisogno. «dillo più forte, win» sorrise ironica del ragazzo, gli occhi blu a seguire la traiettoria indicata. «non credo ti abbia sentito» rimase a guardare la nuca di Jade mentre, insieme ad Eugene Jenkins, s’infilava all’interno di Amortentia.
    Con una cocente stretta al petto, Adelaide Milkobitch cambiò idea sulla meta della giornata: forse i suoi capelli avrebbero potuto aspettare un altro giorno, prima della nuova tinta; avrebbe potuto sopportare la ricrescita corvina per altre ventiquattro ore, se significava evitare d’incontrare i suoi zii. Se si fosse trattata di sola malinconia, avrebbe potuto gestirlo; era una medium, il lutto era la sua specialità: era sopravvissuta alla morte di quasi tutta la sua famiglia, nel 2043 – ed era sopravvissuta alla morte dei più giovani Eugene e Jade, tornando indietro.
    Quel che soffocava la Milkobitch, era il senso di colpa.
    Nella linea temporale dov’era nata e cresciuta, se li era lasciati alle spalle. Era previsto tornasse, Ade - non avrebbe dovuto rimanere al fianco di CJ, o dei suoi genitori – ma non l’aveva mai fatto.
    Li aveva abbandonati.
    Poco importava che quei Jade ed Eugene, non ne avessero idea: si sentiva sporca, ingrata. Dopo tutto quel che avevano fatto per lei ed i suoi fratelli alla morte dei suoi genitori, aveva comunque deciso di andarsene; non passava giorno senza che la Milkobitch si domandasse cosa avessero pensato nel non vederla tornare.
    Sempre ammettendo che ci fosse, un mondo a cui tornare: nessuno aveva mai fatto due viaggi per confermarlo. «Era in coppia con Winston!AU, cinque anni fa» Impassibile nel proprio, personale, inferno, non spostò la propria attenzione dagli Eubeech al Jonsten.
    Sono così giovani. Sono così belli.
    Aveva immaginato centinaia di volte il salotto dei due in attesa del ritorno dei Vigilanti – così tanto che le pareva di aver assistito realmente ad una conversazione che, in realtà, aveva solo immaginato.
    Nelle sue fantasie, Jade non guardava l’orologio; guardava Eugene Jenkins, gli occhi di ambedue stanchi ed arrossati ma sempre orgogliosi - l’uno dell’altro, dei loro figli o di quelli che avevano amato come tali – il quale invece non smetteva di osservare la lancetta segnare minuti ed ore.
    «non tornerà, euge» Perché Jaden Beech era sempre stata concreta, realista – e conosceva Adelaide abbastanza da sapere che la possibilità non tornasse nel loro mondo, fosse tangibile. «sì, lo so, ma…poteva almeno salutare» Quella frase era una costante, nell’immaginario della Milkobitch; e poco importava quanto la frase, in ogni scenario, fosse ammorbidita da un sorriso affettuoso e da sinceri occhi azzurri, perché faceva comunque maledettamente male.
    Non aveva mai salutato.
    Non le avevano mai insegnato a farlo.
    Doveva essere una specialità di famiglia.
    «è destino!!» Non espose i propri pensieri, o il proprio dolore, in proposito alla prospettiva di seguirli (già segnata nella mano del Jonsten a tirarle la manica della giacca) ma non fece eco all’entusiasmo del ragazzo. Non che in quei mesi l’avesse mai fatto, ma perfino lei talvolta si mostrava partecipativa. «SEGUIAMOLI!!!» Ovviamente.
    Battè le ciglia strappandosi dal proprio mondo per atterrare con un morbido tonfo nello stesso ecosistema di Winston, cui rivolse uno sguardo seccato ma distante: nell’osservarlo a palpebre dischiuse, Ade si domandò quanto sarebbe stato maleducato da parte sua girare i tacchi ed abbandonarlo alle sue (discutibili) scelte di vita, valutando i pro contro come un’analista al conto semestrale.
    Ah. Non sarebbe stata Adelaide Milkobitch se avesse abbandonato un ingenuo Winston Jonsten in un mondo dov’era considerato morto e/o terrorista: che dura la vita dei badger. Fortuna (o meno, a seconda dei punti di vista) che avesse fatto allenamento con individui ben peggiori (ciao mamma, ciao papà). Lo seguì all’interno di Amortentia, in parte sperando di convincere il ragazzo a lasciare il locale prima di trovarli, in parte pregando di poterli vedere da vicino: le sarebbero bastati cinque secondi.
    Anche solo per dire addio.
    «Reggimi il gioco» Ruotò gli occhi verso un (ben poco) affascinante Winston intento ad approcciarsi alla ragazza della reception; ignorando l’invito del Jonsten, proseguì per il corridoio di destra, sapendo che il biondo non avrebbe avuto bisogno di lei per umiliarsi: era una meraviglia di suo. Gli voleva bene anche per quello. Allungò una mano verso il barattolo delle tinte permanenti, valutando quale colore avrebbe potuto sfoggiare per la quindicina di giorni successiva (aveva trent’anni, ma prevedibilmente non si adattava a quel che la società avrebbe voluto da una trentenne), quando «C'è qualcuno qui dentro»
    Davvero scioccante che in un negozio ci fosse qualcuno in un…mh, magazzino? Arcuò un sopracciglio corvino, troppo buona per sottolineare l’idiozia di quell’affermazione: confidava che Winston ci arrivasse da solo.
    Non lo fece. «Ade, dobbiamo aiutarlo!» Con quale coraggio il Cappello Parlante l’aveva smistato nei Corvonero? Inspirò e si avvicinò all’altro, cercando di impedirgli di fare qualche idiozia tipo - non so - aprire la maledetta porta e rompere il cazzo ad un commesso che stesse solamente facendo il proprio lavoro. «no, non dobbiamo» sibilò, trattenendosi dallo schiaffeggiare il braccio del ragazzo come avrebbe fatto con un cucciolo poco obbediente. Si rendeva conto che in quel mondo, loro due, erano intrusi? Che chiunque avrebbe potuto, in qualunque momento, scoprirli – e probabilmente non sarebbe stato piacevole - ?
    «winston.» un ringhio vagamente feroce, riverbero ed eco del tono più crudo e mordace di suo fratello.
    Troppo tardi. Sempre troppo tardi.
    Purtroppo, la scena non si svolse a rallentatore: il battito di ciglia prima, Adelaide fulminava con un’occhiataccia il migliore amico di suo fratello; quello successivo, il karma l’aveva punito schiacciandolo al suolo con il dolce peso di una ragazza.
    Ed il battito ancora seguente: «giorno, prof» Perché ovviamente – ovviamente! – con la sua usuale fortuna, di chi altri poteva trattarsi se non di Jaden Beech? Anziché cercare di aiutare l’uno o l’altro dei biondi a terra, Ads sollevò gli occhi blu verso l’interno della stanza.
    Com’era giovane, Eugene - doveva essere perfino più giovane di lei. Deglutì, incapace di abbassare lo sguardo dal viso arrossato dell’uomo, le labbra gonfie – cristo santo, winston……..avevano proprio bisogno del tuo aiuto, uh- ed il respiro spezzato nel petto. Razionalmente sapeva, sapeva, che Eugene non poteva conoscerla: l’altro CJ gliel’aveva detto, in un tono amaro e masticato che le aveva chiuso lo stomaco, che in quel mondo Adelaide non esisteva – eppure, nel modo infantile con il quale ancora si rattoppava il cuore ogni qual volta raccontava di un episodio che né CJ né i suoi genitori potevano ricordare, Ads ci sperò comunque. Irrazionale. Chiuse la bocca e distolse lo sguardo, ignorando il brusco cambio di frequenza del battito cardiaco. Euge e Jade. Erano lì. Erano lì davvero.
    «Mi è mancata; è bello vederla. Viva, intendo» Con la classe di una regina priva di corona, Adelaide Milkobitch pestò la mano del Jonsten così forte da temere (…sperare) di fratturargli almeno una falange, trattenendosi per puro principio morale dal passeggiargli sopra la faccia – ma la tentazione di farlo, fu spericolata. Per colmare la mancanza di tatto, e di buon senso, di quello stupido ragazzino troppo ottimista per le leggi darwiniane, la Milkobitch rivolse un ampio sorriso ai due giovani colti in flagrante di reato.
    Non dovette neanche fingerla, quella posa calda sulla bocca. «generazione zeta» commentò a denti stretti, calcando il tallone sulla mano del Jonsten – e sticazzi il Quidditch, con tutto l’affetto possibile – cercando di liquidare la questione il più in fretta possibile. «ma, per quanto possa esservi utile…» umettò le labbra lasciando trasparire una piccola porzione, quella che meritavano, dell’Adelaide Milkobitch a cui, in un’altra vita, avevano insegnato ad usare una spada laser. «siete mancati anche a me» la voce tipica dell’assistente – cordiale e distaccata – non dava fiducia a quelle parole, ma ad Ade non importava credessero: lo sapeva lei, e tanto le bastava. Si spostò in modo che Winston potesse alzarsi, ma non si offrì per aiutarlo. «sono adelaide m-»ilkobitch? nO, spoiler! «…-ma potete chiamarmi ads» un cenno con il capo al caso umano più in basso. «lui è…» tante cose, ma perlopiù: «dispiaciuto per avervi interrotti.» sorrise, mantenendo sempre il margine di allontanamento che le aveva permesso di vivere, e sopravvivere, in un mondo dov’ella ancora non era nata. «non siamo esattamente di queste parti» o di questo tempo.
    In entrambi gli universi, ma immaginava fosse un troppo per un primo incontro. Avete visto mio fratello? I miei genitori? Sapete chi siamo? Sapete chi sono? «ci siamo persi. Speravamo poteste aiutarci» inspirò, espirò, e si costrinse ad incontrare lo sguardo di entrambi.
    Così reali. Così dannatamente vivi, e belli e giovani, ed Adelaide Milkobitch avrebbe solamente voluto stringerli, e chiedere scusa, e dire loro che li aveva amati – che li amava ancora. «non potete saperlo, ma dalle nostre parti eravamo» una famiglia «amici.»
    Il tono tremò impercettibilmente, ma Ade decise di non darci peso: che importanza poteva avere, a quel punto ed in quella vita, sapere che il vento soffiava anche in montagna.
    Che d’imperturbabile, nel mondo, non ci fosse proprio un cazzo.
    Born with a void, hard to destroy with love or hope
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    (ade milkobitch)
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    Edited by selcouth - 9/12/2018, 18:11
     
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    ti amo.
    Due parole, tre sillabe, cinque lettere.
    Così semplici eppure spesso impossibili da pronunciare, capaci di aggrovigliarsi sulla lingua peggio delle cuffiette arrotolate in tasca.
    Euge, che quella difficoltà non l'aveva mai riscontrata, ricordava comunque alla perfezione la prima volta in cui lo aveva pensato, invece di dirlo ad alta voce. Perchè stava tutta lì, la differenza: provare un sentimento, prima ancora di riconoscerlo e quindi dargli un nome, aveva tutto un altro sapore. Aveva sempre funzionato al contrario, l'ormai ex pavor, privo di quel filtro tra cervello e bocca che permetteva alle persone normali di ragionare precedendo l'espressione del proprio parere, dando così modo ad una frase di depositarsi per essere rimaneggiata, cullata, compresa. Non si era mai soffermato sul significato della parola amare, prima che la certezza di aver perso run per sempre gli si conficcasse nello stomaco come una pugnalata a tradimento; non aveva mai creduto davvero quel sentimento potesse pesargli tanto sul cuore, prima che jade urlasse in una stanza affollata di aspettare un bambino.
    Il suo.
    «sei un coglione, Jackson» eh, se non lo sapeva! A giudicare dall'espressione dipinta sul volto di jade, quel mezzo sorriso di chi rimane sempre sorpreso nel constatare un fatto ormai comprovato, poteva anche andarne fiero. L'avrebbe fatto in ogni caso, il jackson, quello che da ragazzino si spingeva sul naso gli occhiali mostrando i pugni nudi ai bulli di turno, quello che rideva sputando sangue addosso ai suoi aggressori mentre sua sorella li finiva con un calcio nelle palle, lo stesso coglione che scambiava coca per farina quando c'era da preparare le fettine panate: faceva parte del suo dna, l'essere un grandissimo pirla, e mai nella vita avrebbe voltato le spalle una parte tanto fondamentale del proprio io. Era solo quando si cominciava a rinnegare se stessi, che si perdevano davvero i testicoli. «mh» si limitò ad annuire, spingendo avanti il capo prima ancora di sentir scemare la sua voce, inspirando a fondo il profumo di fragole che si mescolava al proprio. Anche baciare jade, come dirle che l'amava, era dannatamente facile.
    «Immagino sia come dici, cazzone» era stato sufficiente un passo, per spingere la schiena della bionda contro la porta chiusa, e un altro così da far aderire il proprio corpo al suo; se i polmoni del jackson ringraziavano per quella pausa approfittando della nuova scorta di ossigeno, ogni altro centimetro di pelle e muscoli e sangue nelle vene sembrava protestare all'unisono, cieco e sordo nei confronti dell'importanza di quel momento più unico che raro. Volevano tutto, e lo volevano subito, attraversati come cavi elettrici dall'energia di infiniti ormoni impazziti e alimentati dal più piccolo movimento delle gambe di jade contro le sue, delle piccole dita contro la pelle nuda del torace sotto la camicia, dal calore che emanava il suo respiro irregolare ad un soffio dall'orecchio. «Temo proprio di amarti anch'io»
    temo
    proprio
    di
    amarti
    anche
    io
    che per eugene jackson era come sentirsi sussurrare all'orecchio frasi piccanti nel bel mezzo dell'amplesso. Niente gli faceva perdere il controllo più di un bel ti amo buttato lì a sentimento, soprattutto se nel mentre si ritrovava tete-a-tete (letteralmente) con la sua ragazza e una mano saldamente ancorata al fondoschiena di lei. Come sarebbe andata a finire se il mancato freak non avesse spalancato la porta proprio in quel momento lo sapete bene, ma è comunque giusto e sacrosanto ribadirlo: al diavolo la legge contro gli atti osceni in luogo pubblico, eugene era già bello che pronto a mettere l'ennesima palla in buca (si può dire? è una metafora troppo esplicita per la fascia protetta? #wat), con il rischio concreto di dare a uran la sorellina che sicuramente già agognava - fategli causa se non girava ogni minuto con un preservativo in tasca, oh.
    Ma entrambi i jackson - senior e junior, il quale scalpitava all'idea di concludere degnamente la giornata - ricevettero un'amara delusione nel momento in cui la bocca di euge si sentì sfilar via senza preavviso la pelle morbida che stavano saggiando, le dita di jade strette tutto d'un tratto sulla stoffa della camicia. Che non resse allo sforzo (cosi imparava a comprarsi la roba alle bancarelle), lacerandosi all'altezza dello sterno quando la bionda cadde all'indietro. Fu una fortuna, almeno per wiston, che l'ex pavor riuscì a bloccare il proprio corpo puntellandosi con entrambi i palmi contro lo stipite della porta, un miracolo sceso dal cielo. Altrimenti per la versione au di joey non ci sarebbe stato scampo.
    E POI COME LO DICEVA A STILES CHE AVEVA UCCISO UNO DEI DISPERSI???
    «Giorno prof» quindi insomma, ricapitoliamo: era appena stato beccato con le braghe quasi calate e un'evidente tensione generale da uno degli studenti di jade? Un fottuto sogno! Bullarsi con i pischelli di avere una ragazza gnocca era uno dei passatempi preferiti di eugene jackson, così come durante gli anni passati ad hogwarts andava in giro facendosi bello con i compagni raccontando quanto fantastici fossero i suoi amiki. Era il tipo di persona, euge, che se beccava dei bambinetti intenti a sfidarsi con capriole e ruote in un parcheggio li zittiva tutti esibendosi in un triplo salto carpiato: ma vai ma vieni, ma chi sono eh, pirletti, CHI SONO? - cit giovanni storti at his finest. Quindi c'era euge che ridacchiava sotto i baffi, au!joey che soffocava con un gomito di jade infilato nello stomaco e -
    era al funerale di del.
    grazie per essere rimasta con noi, adina.
    non tornerà più, vero?

    - una ragazza bionda che dimostrava all'incirca l'età del pavor, ma i cui anni non erano affatto sottolineati dai tratti del volto, quanto più dal peso di un'indicibile responsabilità gravante sulle spalle minute. L'aveva già vista? era al funerale di del. Gli dicevano qualcosa quegli occhi come mare in tempesta, la curva gentile della bocca, persino l'espressione corrucciata e la minuscola fossetta nella guancia destra. Nemmeno lo sapeva, eugene jackson, che quella ragazzina vista di sfuggita avrebbe potuto ricordargli altre cento vite passate insieme, che quello stesso viso era la perfetta combinazione di tratti conosciuti a memoria. Legati a lui da un filo che non si poteva spezzare. «Mi è mancata; è bello vederla. Viva, intendo» «ma, per quanto possa esservi utile… siete mancati anche a me»
    Qualcosa, un sesto senso interiore cui euge dava raramente ascolto, gli suggerì che doveva essersi perso dei pezzi per strada, non una grande novità. Difficile che il pavor stesse davvero al passo con una situazione man mano che questa si svolgeva, e nella maggior parte dei casi la colpa era esclusivamente sua: deficit dell'attenzione suonava quasi come un eufemismo. «awww jade! hai parlato di me ai tuoi studenti?» ok, sembravano un po' cresciutelli entrambi per aver frequentato hogwarts negli ultimi due o tre anni, ma chi era lui, quello che aveva perso due anni, per giudicare? «mi ha descritto abbastanza figo? date pure un'occhiata! forse abbastanza figo sì, ma mai abbastanza stupido da avvicinarsi alla realtà. nemmeno le parole del cantastorie più dotato poteva descrivere quel grado di imbecillaggine nei minimi particolari. «in realtà sono certo di avervi già visto, ma..» ma quando hai passato gran parte della tua vita da strafatto è difficile distinguere le cose che ti sei sognato da quelle accadute realmemte. Questo però preferì non dirlo - AVEVA UN FIGLIO NON POTEVA SMERDARSI COSI! (anche se lo sapevano tutti che era un fattone) -, osservando i due ragazzi con più attenzione.
    Si, dai, la sensazione di deja vu era così palpabile da sembrare gelatina.
    «non siamo esattamente di queste parti. ci siamo persi. Speravamo poteste aiutarci» weird. forse non erano studenti di jaden, dopotutto. fece per aprire bocca, il jackson, dando fiato al cervello con un commento sulla propria scarsa affidabilità nel guidare i turisti nella giusta direzione, ma lo sguardo di adelaide lo convinse a tacere. La sua espressione, e quel tremito quasi impercettibile nella voce, che era certo in cuor suo di aver già sentito. «non potete saperlo, ma dalle nostre parti eravamo.. amici.» e lì un lumicino nel cervello del serpeverde effettivamente si accese; fare due più due non era mai stato il suo forte, ma quando la soluzione gli veniva offerta così, su un piatto d'argento, persino uno svampito come lui riusciva ad afferrarla al volo. «voi siete..??» ancora titubante nel dirlo ad alta voce, il pavor spostò finalmente le iridi grigio azzurre dalla ragazza a winston, la fronte aggrottata in una ruga di iniziale comprensione. Possibile che fosse.. ma no dai. Gliel'avevano detto (chi) che nella linea temporale dei dispersi erano già passati cinque anni, ma non credeva fosse possibile che i pischelli crescessero così dannatamente in fretta. Lo farà anche uran.
    Uno schiocco di dita e non lo riconoscerai più.
    «tu sei joey. TU SEI AU!JOEY!»
    ma che bella bottiglia.

    QUOTE
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    27 | deatheater | dad | castafratto
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Eugene
    jackson
     
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