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Anjelika x Rea

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    Anjelika Queen
    Non sono cattiva, sono gli altri che mi disegnano così.
    Non è vero.


    Una giornata tranquilla per Anjelika consisteva in una sezione di torture al ministero, quando non aveva lezione ad Hogwarts, in quel caso torturava qualche studente; e una volta a casa si sarebbe dedicata a sua figlia, o magari no. Sperava sempre di trovarla addormentata, non sopportava che le raccontasse delle sue giornate fatte di giochi e divertimento con Pearl, era una pessima influenza per la bimba; aveva più volte pensato di non farle più fare la babysitter ma non avere la marmocchia tra i piedi era decisamente meglio che fare la mamma. Se pensate che sia una brutta persona, avete ragione perché lo era. Non aveva l'istinto materno, anche se in futuro avrebbe voluto un figlio da Damian, ma Antares non lo era, anche se era con lei da tre anni, non era sangue del suo sangue. Continuava a bere il vino nel suo bicchiere di cristallo, seduta sul suo divanetto mentre si godeva il caldo del camino, era stanca e sperava davvero che nessuno la disturbasse, ma non sempre poteva essere felice, con una bambina tra i piedi che come se l'avesse chiamata si palesò davanti a lei.
    «mamma» la vocina che per altri poteva essere adorabile, per la mora era solo una delle tante che le facevano venire mal di testa e si sa che lei ne soffriva davvero molto e facilmente. Abbassò lo sguardo verso la marmocchia che per qualche istante, con quegli occhioni celesti e capelli mossi biondo cenere era quasi adorabile, per le persone normali ovviamente, ma per Anjelika era qualcuno che se non fosse stata sua figlia e specialmente se non avesse promesso a suo marito di non farle niente, probabilmente l'avrebbe già mangiata. Continuava incessantemente a tirare i suoi pantaloni mentre la donna in silenzio la fissava, magari avrebbe smesso se avesse fatto finta di niente; ma era una testa dura come la madre (quale?scegli te) «Dai mamma» e di nuovo quegli occhi dolci che provavano a farle tenerezza.
    «Antares» si mosse finalmente dalla posizione in cui era, prese in braccio la bambina e se la mise sulle gambe «Non devi mai pregare nessuno. Se vuoi qualcosa prendilo, senza esitazione» e d'improvviso la bimba si gettò su di lei, l'abbracciò, lasciando la mora senza parole, quasi schifata ma non poteva schiacciare la testa della figlia solo per quel gesto. Forse.
    «L'hai detto tu» caspita se era furba la piccoletta, forse non era così male. Ripeto forse; Anjelika riservava ancora qualche dubbio al riguardo, ma aveva appena guadagnato un punto ed era meglio di niente.
    «touche. Ma ora scendi e vai a letto. Che devo andare da Rea» disse notando che l'ora del riposo era finito e che doveva assolutamente mettersi in marcia, in più non aveva più voglia di stare lì ad ascoltare sua figlia; insomma voleva interrompere proprio quel momento madre figlia, era stato abbastanza per quella settimana.
    «dalla zia?»
    «non è tua zia, quindi non chiamarla tale quando vi vedete, non penso le piacerà»
    «Va bene mamma» e le sorrise, dannazione era davvero adorabile quando faceva in quel modo; questo non aiutava la sua causa, perché se da una parte non le piaceva dall'altra quasi si scioglieva in quelle occasioni, e ovviamente questo la riportava ad odiarla. Insomma come una perfetta malata lottava contro i sentimenti. Facevano così schifo.
    «e ora vai prima che il serpente ti mangi» disse mostrando gli occhi verdi alla bimba che ridendo prese a correre verso la propria camera. Se lo avesse saputo quanto fosse vera quella sua affermazione, avrebbe sicuramente smesso di ridere.
    «Gin» chiamò l'elfa domestica, mentre si metteva il mantello, aveva decisamente bisogno di uscire e magari compiere il suo dovere, come cercare quei casi umani che si aggiravano nel loro mono indisturbati. Ci volevano anche loro a creare problemi come se non ci fossero già abbastanza guai ai quale rimediare.
    «Io esco, controlla Antares» e senza aspettare la risposta si smaterializzò nei pressi di New Hovel, dove aveva fissato con la Hamilton, avevano deciso di incontrarsi lì perché posto migliore per trovare qualche topo impaurito o magari no, ma insomma avrebbero passato del tempo insieme, spargendo paura e nel caso di Anjelika, avrebbe persino torturato persone a caso, giusto per fare qualcosa di divertente. Le mancava avere un'amica, passare una serata come quella che stava per avere, e a dirla tutta le mancava proprio Rea.
    Aveva proprio voglia di passare del tempo con la sua ex compagna di classe, da quando si erano diplomate, ormai era diverso tempo, che non si frequentavano. Anche se non lo avrebbe mai ammesso, anzi si, in fondo si trattava di ferire gli altri e con Rea lo aveva sempre fatto molto volentieri. Le mancava davvero infastidire le persone in sua compagnia, raramente aveva trovato persone incline a fare del male col solo gusto di farlo e la Hamilton sembrava praticamente la sua anima gemella. Magari più normale, eppure era convinta che avrebbero fatto la ricerca di quelle persone nel modo giusto. Forse bruciando qualche casa o persone, perché no, insomma se bruciavano qualche dimora, magari come topi in fuga questi si sarebbero mostrati a loro.
    «Da dove iniziamo?» chiese la mora non appena vide arrivare ( direi anche in che modo, ma non voglio osare perché non ricordo che mezzi potrebbe avere Rea) l'amica. Impugnò la bacchetta, pronta a bruciare, torturare e perché no, anche uccidere qualcuno. Ci voleva del sangue sulle mani per renderla felice in quella noiosa tranquilla giornata.







    Pavor
    ex-slytherin
    27 y.o


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    made in china — I'm here at the beginning of the end



    Scusa, non è il massimo =(
     
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    Serrò le palpebre; inspirò secca dalle narici, gonfiando i polmoni con la lentezza di un nuotatore olimpico pronto per la prima immersione, ma l’hint non venne –evidentemente- colto dal peculiare individuo seduto al suo fianco. Con tutto, tutto!, il tavolo della cucina disponibile, Gemes Hamilton doveva per forza spalmarsi al suo fianco? Non comprendeva. Non voleva comprendere. Era peggio di assistere tutte le notti al rientro in semi coma etilico del canon Gemes post eurun; era un nuovo livello di assurdità che la Hamilton si sforzava d’ignorare. Le mancavano i tempi in cui, seduti agli opposti del tavolo, lei e Gemes si rivolgevano un mite cenno con il capo e non sentivano la maledetta necessità di comunicare per sentirsi a loro agio in compagnia l’uno dell’altro. Le mancava Gemes punto. Quando riaprì gli occhi, lanciò un’intensa occhiata allusiva al Dallaire – il quale, pur essendo biondo, colse la non troppo velata antifona della Hamilton e tirò la sedia dell’avvocato più vicina a sé. Con il proprio spazio vitale nuovamente integro, la mora tornò a piluccare la cena con l’usuale eleganza tipica di una regalità della quale era stata privata alla nascita, ma che chiaramente le spettava di diritto: era solo nata nel secolo sbagliato. «è sempre così inquietante?» domandò atona, sollevando un sopracciglio in direzione della biondina. Se due anni prima le aveste detto che avrebbe dato asilo politico a due soggetti provenienti da una realtà alternativa, la Hamilton vi avrebbe riso in faccia, e per aver azzardato un’affermazione del genere, avrebbe dato fuoco alla vostra famiglia - così, per puro divertimento. E invece, nel duemiladiciotto, si ritrovava a cenare con un Gemes non Gemes, una bionda dall’aria vagamente familiare, Fawn e Nathaniel. La bionda era Elijah Dallaire, per inciso. «non è inquietante» MmmMmMmMm. Ruotò gli occhi verso un altro mondo – ancor più au di quello ch’era entrato prepotente nella loro realtà – così da evitarsi lo scambio di occhiate fra Siobhan e l’Hamilton; se c’era qualcosa che tollerava ancor meno della molestia insita in quel Gemes, era il morbido sorriso che rivolgeva sempre alla bionda quando lei cercava conferma nelle iridi blu dell’uomo. Cioè, ew? RIDATEMI IL MIO GEMES? Era come vedere una versione…nerd degli elite, ma condensata in una sola persona.
    Era terrificante. «come ti pare» se il tono della ex Serpeverde avesse potuto essere più glaciale, avrebbero avuto bisogno di piumini e sciarpe anche in casa. Si eclissò dal resto della conversazione, ignorando gli sguardi dei commensali quanto le domande di Nathaniel ai due stranieri; si sentiva, seppur in versione più affascinante e mora, una Alice caduta per errore nella tana del Bianconiglio: quella quotidianità, del tutto normale nella sua anormalità, non aveva mai fatto parte della sua vita. Non l’aveva mai voluta, ed all’interno di quella bolla si sentiva aliena e sbagliata, come una tessera di puzzle incastrata a forza dove non apparteneva. Prese le distanze dall’ambiente familiare, ma non del tutto creato dal vociare dei suoi inquilini, graffiando distrattamente il piatto con la punta della forchetta. Nathaniel brillava quasi di luce propria, nella gioia di aver trovato un universo alternativo canon - per quanto avesse i suoi alti e bassi, tipo la morte di tutti i Lowell - e l’aveva già sentito blaterare più volte delle nuove, infinite possibilità di avere le proprie otp canon; Elijah, bella stella del mattino, si limitava a sorridere ed annuire, troppo Elijah-Dallaire per intromettersi nel discorso o domandare chiarimenti sui termini incomprensibili usati dal Trio Fortuna.
    C’era troppa eccitazione allegra, per i suoi gusti. «chi altro è morto?» domandò ruvida, arcuando le labbra nell’accenno di un sorriso quando la temperatura nella stanza giunse a livello Antartide. Vide Siobhan allontanare a disagio il piatto, quasi vuoto, di fronte a sé; come, aveva forse rovinato l’appetito dei suoi commensali? Che dispiacere infinito – o come avrebbe detto Shia, Amen. Allo sguardo interrogativo di Gemes, sollevò le sopracciglia ed indicò la tavolata con la forchetta. «chi altro è morto» ripetè, scandendo le lettere come solitamente faceva con Eugene Jackson per qualunque quesito richiedesse almeno cinque (5) termini nella domanda: alla terza parola, l’ex Pavor tendeva a distrarsi. «chi non dobbiamo cercare?» tentò, socchiudendo le palpebre per racimolare quel poco di forza di volontà che la voleva seduta su quella sedia anziché con le dita strette al loro collo. Difficile che la Hamilton facesse conversazione per il puro gusto di una chiacchierata fra amici, e di certo la curiosità non era mai stata una sua pecca; raro che, quando infine si decideva ad aprire bocca, non avesse almeno due secondi fini – in quel caso, chiaramente, a) peggiorare l’umore dei suoi compagni e b) risparmiarsi tempo per le ricerche. Voleva evitare di placcare una Jaden Beech insolitamente felice solamente perché –era raro, ma poteva capitare – indossava un sorriso anziché l’usuale seccato broncio carico di disappunto, credendola un AU, se in AU era morta. «ti, mh» Ruotò il capo verso l’Hamilton, posando sull’avocato un paio d’intensi, e senza dubbio poco amichevoli, occhi bruni. Era a disagio?
    AU-Gemes Hamilton era davvero troppo sfigato per esistere – in senso buono, avrebbe detto qualcuno; non Rea Hamilton. Chissà se poteva filmarlo così da ricattare il canon quando, e non se, fosse infine tornato. «preparo una lista?» Addirittura? Battè lenta le palpebre, gli angoli della bocca piegati verso il basso. «okay?»
    Okay.

    «Da dove iniziamo?» Rea, nel procedere verso Anjelika Queen, sfiorò leggera i muri di ogni dimora presente a New Hovel, lasciando che le dita scivolassero curiose su ogni crepa ivi presente. Era una vita, letteralmente!, che la Hamilton non dava libero sfogo alla propria vena sadica e crudele, frenata da inibizioni che mai le erano appartenute, e tutto avevano a che fare con i Velini che l’aspettavano a casa. Si sentiva in trappola; si sentiva poco sé stessa in quelle costrizioni che, invero, non le pesavano così tanto: non avere malinconia della febbre di potere suscitata dal togliere la vita a qualcuno, era probabilmente la cosa che la infastidiva di più. Era seccante che non le mancasse la vecchia, pragmatica, Rea Hamilton.
    Era così fuori dal suo carattere.
    Fece spallucce sorridendo eterea alla mora, senza celare i poco buoni propositi nelle iridi scure: di possibilità, ne avrebbero avute un milione. Di fattibili? Sicuramente meno. Non potevano permettersi incantesimi invasivi che avrebbero attirato attenzioni non necessarie alla causa, né potevano – come entrambe avrebbero voluto, senza dubbio - dar effettivamente le abitazioni alle fiamme così da costringere eventuali clandestini a mostrarsi.
    Forse. O forse alla Hamilton non importava abbastanza, che non li scoprissero: si era offerta per le ricerche, ma non aveva mai specificato le modalità. Avrebbero dovuto essere più cauti, con gli Hamilton del mondo. «là» le indicò con il capo la zona più lontana dal centro, lasciandosi alle spalle gli appartamenti di Jade e Amos: non voleva rimanessero vittima del fuoco incrociato, figurato o metaforico che fosse. Dalla borsa appesa alla spalla, la mora prese una bottiglia di (pessimo) rum, direttamente presa in prestito dalle scorte Crane™, ed un pezzo di stoffa bianco e pulito. Cosa? Se aveva portato il materiale per costruire una molotov?
    Certo che l’aveva fatto. Non aveva i poteri, ed Anjelika non ne era a conoscenza, ma non voleva perdersi il divertimento. «hai da accendere?» domandò con innocenza, quando giunsero nei pressi della casupola più lontana dai suoi fratelli, sorridendo con sincero entusiasmo: ci voleva davvero poco per ricadere nelle vecchie abitudini.
    Davvero poco.
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    chapeaux [cha-peaux] espr.
    1. espressione francese che indica stupore. da usare quando allafacciadelcazzo ti fa sembrare troppo ruspante.

    Arrivato nel punto designato, attese il passaggio di un losco individuo incappucciato che non tardò a farsi riconoscere. Dopo uno scambio veloce di mani, ripose qualcosa in tasca, mettendo nella mano dell’uomo una manciata di monete. Da quando era arrivato in quell’universo aveva iniziato a fare uso di sostanze illecite (?), più che altro merda tagliata con altra merda che rischiava di friggergli il cervello, ma non era mai stato il più saggio tra i figli Rosier. Non nascondeva di essere arrivato all’ultima spiaggia già da qualche giorno: era disperato. Le sue ricerche lo avevano condotto a vari buchi nell’acqua, ed era sprofondato in quegli stessi buchi. Le droghe erano state in grado di sollevarlo dall’ansia, gli proponevano il mondo in una versione meno pensante di sé stesso, era un modo di passare le giornate, un modo per alleviare l’assenza delle persone a lui care: Travis, per esempio, ma soprattutto Hazel, e la preoccupazione non sapere dove si trovasse Finnegan, la paura di non rivedere Guinevre. Se all’inizio quelle droghe avevano avuto la capacità di farlo ragionare in maniera più lucida, di recente il mercato si era riempito di schifezze delle quali, lui, non poteva fare altro che accontentarsi. Per disperazione.
    Si fermò in un angolo, giusto il tempo per dare una sniffata alla bustina che gli era stata venduta e…ogni cosa acquistò un senso.
    Ed in quel momento, lo giurava, non solo era infinito, ma era anche DIO.

    ...qualche minuto più tardi...
    Un sonoro fischio gli sfuggì dalle labbra, mentre ammirava le mutandine di pizzo di una signora over cinquanta, messe all’aria grazie ad una folata di vento. Bianche. Commentò secco, con una smorfia ed un misto di delusione e frustrazione nel tono di voce. Serrò la mascella, contando a mente un punteggio che lo vedeva vergognosamente in perdita.
    Ne aveva indovinate meno di quanto avesse sperato.
    Era una cosa stupida? Lo era senza alcun dubbio. Ma da qualche giorno quel gioco era diventato per lui un chiodo fisso, e lo ripeteva ogni qualvolta vedesse una persona matura in gonnella passargli affianco - e soprattutto quando era fatto. Era da ormai qualche anno che non negava più a sé stesso quanto gli piacessero le MILF – ed i DILF, all’occorrenza, certo non faceva preferenze - , aveva fatto i conti con questa consapevolezza molti anni prima e viveva serenamente con sé stesso. Quando vedeva una donna sopra i quaranta, il cuore di Saul sembrava esplodere, così come le sue stesse mutande che si facevano più strette.
    I suoi amici, spesso, gli davano del pervertito e lui alzava le mani alle loro parole, perché aveva troppo pudore per ribattere che le loro madri non la pensavano così. Era maschilista? Non gli piaceva vederla così, erano solo cosce e culi, alla fine. Avrebbe fatto lo stesso con qualche ometto della stessa età, ma non se ne vedevano molti con la gonna di quei tempi – certo era che quell’universo era bizzarro. Nel suo le cose giravano in maniera del tutto differente!

    ...un’ora più tardi...
    Chissà quale strano meccanismo chimico stava avvenendo nel suo cervello, chissà se le cellule sanguigne erano sature di polvere di stelle. Più il tempo passava, e più si sentiva più simile ad un ailuropoda melanoleuca che ad una persona e non c’era niente di più bello che sentirsi un panda nudo in giro per il mondo. Aveva camminato tanto, ma aveva smaltito poco di ciò che aveva sniffato. Si era allontanato di qualche isolato dal centro di Diagon Alley, per finire in una frazione più appartata della stessa. Una mossa fortunata, dato che, parecchi metri più avanti, ebbe la fortuna di vedere DUE MILFONE!
    Portò le mani al volto, come fosse il quadro di Munch. Era troppo estasiato all’idea da non accorgersi subito che, no...non erano due persone, ma due canne di bambù. Rise da solo, piegandosi in avanti con due mani a tenersi lo stomaco, come se potesse stramazzare a terra. Come aveva potuto confondere due canne di bambù con due persone? Assurdo.
    Forse un miracolo lo salvò dal fiondarsi su entrambe tentando di morderle – vi immaginate il boom tra Rea e Anjelika? JESUS - , forse una mano divina che lo trattenne e gli schiarì le idee prima che potesse sbracciarsi verso di loro e raccoglierle entrambe in un abbraccio da panda. Ma quando si tirò su, le due canne di bambù erano sparite, ed al loro posto erano ricomparse due persone. Sono molto confuso dannazione. Ammise, triste. La sua mente gli stava giocando brutti scherzi, quanto sarebbe durata?

    Si avvicinò cauto, fissò lo sguardo sulla mora che pareva una vedova nera – Anjelika – e la scrutò come si scrutano i dipinti d’epoca. Belle signore. Salutò entrambe, cordialmente e con un sorriso sbarazzino. Quanto importava che avessero solo qualche anno più di lui, quando il suo cervello aveva più nebbia che neuroni? Il suo sguardo scuro si illuminò alla vista di quella bella signora, davvero. Lei ha più o meno di quarant’anni? Giusto per sapere quale canone di bellezza utilizzare per le MILF future, perché la vedova nera aveva appena rialzato – come minacciava di alzarsi qualche altra parte del corpo di Saul – pericolosamente lo standard. Ma il suo pensiero si fece man mano più lucido fino a lasciare, di nuovo, un po’ spazio alla realtà, mentre ne osservava il volto. Ah no, ma sei troppo giovane, che maleducato, dimentica! La delusione nel tono di voce era percepibile. Niente curve piene da ammirare, nessun inizio di ruga da studiare, nessuna fantasia che gli sfiorasse il cervello più del necessario. Erano belle, eh, ma da qui ad essere considerate MILF VERE ce ne passava. Questo vostro universo è bizzarro davvero, nemmeno un uomo con la gonna. Ma che problemi avete? E poi, lo sguardo ricadde sulla bottiglia di rum stretta in mano dell'altra ragazza – anche detta La terrorista - e sul suo fazzoletto di stoffa bianco. Chapeaux. Che donne! Non sono mai riuscito a costruirne una. A quel punto, tutto gli fu chiaro, si irrigidì e si allontanò di un passo dalle due, pronto a sparire in una folata di vento. Ma siete due terroriste? Domandò, adesso mostrando i segni di un cedimento, un velo di paura a tradirgli lo sguardo. Il suo solito culo! Non ho intenzione di fermarvi, anzi, se volete vi aiuto! Una bella folata di vento per innalzare la temperatura.
    Saul
    (Gideon McPherson)
    Rosier

    21 ✖ scelto ✖ manip. dell'aria ✖ milfone addicted
    upside
    down
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco


    Lucky Strike di Dicembre.

    Ciao belle MILFONEassone
     
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    respirare, già un peccato imperdonabile agli occhi scuri dell’ex Serpeverde. Il fatto che nel 70% dei casi si trattenesse, significava solo che non fosse un animale, ma – da narratrice – vi posso assicurare che il primo istinto fosse sempre quello di staccare la carne dalle ossa fischiettando No Woman No Cry. E senza indicibili colpe, da un punto di vista oggettivo.
    Figuriamoci quando qualcuno ci si impegnava, a voler morire. «Belle signore.» Ed era già un fallimento in partenza, perché la Hamilton non aveva certo bisogno del primo ragazzetto strafatto di ectasy per sapere di esserlo – anzi, udirlo dalla voce gioviale dell’imberbe in avvicinamento, fu quasi offensivo. Inarcò un sopracciglio piantando gli occhi bruni in direzione dell’aspirante suicida, la quasi molotov ancora stretta nel pugno. «Lei ha più o meno di quarant’anni?»
    Cosa
    Stava
    Succedendo.
    Dovette battere più volte le ciglia, incredula di fronte alla spavalderia del ragazzino; fece guizzare gli occhi da lui alla Queen, decidendo – saggiamente – di fare un passo all’indietro prima che Anjelika, presa dalla follia omicida, trasformandosi in rettile, decidesse di mangiare anche lei. Ci teneva alla propria pelle, Rea, e non solo perché con sé avrebbe portato Elijah e Nate – anzi, quella era perlopiù la sua croce. «Ah no, ma sei troppo giovane, che maleducato, dimentica!» Stava accadendo sul serio, o aveva aspirato troppa aria di povertà a New Hovel? Eugene aveva di nuovo dato fuoco alle siepi speciali? Si vide costretta a porre una domanda la cui risposta, in ogni caso, non l’avrebbe convinta del contrario: «sei ritardato?» Non ebbe neanche bisogno di alludere al fatto di essere armata: nessuno sano di mente, di principio, si sarebbe avvicinato ad una Hamilton ed una Queen – figurarsi quand’erano insieme. Doveva avere un serio death wish per osare perfino spiccicare parola – e non essersi ancora chinato per lucidare loro le scarpe con la lingua! Non esistevano più i galantuomini di un tempo. Forse avrebbe dovuto staccargliela, e compiere il lavoro da sé. «Questo vostro universo è bizzarro davvero, nemmeno un uomo con la gonna. Ma che problemi avete?» Il fatto che venisse – a quanto pareva – da un universo alternativo, non lo giustificava ad essere così demente. Sempre che fosse, uno dei loro – magari era così fatto da credere di provenire da Marte. «uomini con brutte gambe» commentò, priva d’inflessione come la voce in stazione che ricordava agli sfortunati Treni d’essere appena arrivati a Novi Ligure. «Ma siete due terroriste? Non ho intenzione di fermarvi, anzi, se volete vi aiuto!» Rea piegò il capo sulla spalla, osservando il fanciullo di sottecchi. Quanti anni poteva avere? Quindici, sedici? No Dovette ammettere a se stessa che le faceva un po’ pena, rendendosi conto che ucciderlo sarebbe solamente stato uno spreco di tempo – un po’ come picchiare uno dei casta ogni volta che dicevano qualcosa di stupido: alla fine ti abituavi, limitandoti a non ascoltarli, perché passare ventiquattro ore al giorno a massacrarli di botte, diventava stancante per (Rea) tutti. «te lo lascio,» osservò con lo stesso tono apatico, ignorando il blaterare del moro per volgere gli occhi sulla Queen. Si strinse distrattamente nelle spalle, cedendole, se ne avesse avuta voglia, il piacere di ucciderlo – troppo sbattimento per lei. «al massimo poi brucio il corpo» beh, aveva una molotov, tanto valeva usarla!!&&

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