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lydia + freddie [challange: 05]

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    lost in the echo

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    Buttò fuori l’aria dai polmoni, continuando a dondolare nervosamente sui talloni. In piedi su uno zerbino che aveva visto cento, mille altre volte, Lydia Hadaway non riusciva – come sempre – a trovare il coraggio. Se nella sua vita fosse stata più audace, d’altronde, non sarebbe stata Lydia.
    Sarebbe stata Annie, e la rossa non la era più da anni. Da tutta una vita.
    «grazie di avermi accompagnato» sussurrò, temendo che un tono troppo alto potesse richiamare all’attenzione gli inquilini dell’appartamento. Nathaniel si strinse nelle spalle e le indicò il nome segnato sul campanello: «dopotutto, è casa mia» incredibile come fosse sempre in prima linea per prendersi il merito per delle stronzate, come ad esempio il costume da sirenetta di Munin che cambiava colore a seconda della luce, ma faticasse ad accettare ringraziamenti sinceri su questioni che lo riguardavano personalmente, quasi credesse di non meritarli. O che fossero troppo stupidi, data l’occhiata in tralice che le rivolse. Come se fosse scontato.
    Non lo era. Lydia umettò le labbra e socchiuse le palpebre, percependo il cuore schiantarsi contro le costole. Era stata lei a voler andare da loro, dopo aver procrastinato per giorni; non riusciva davvero a comprendere come prendere decisioni fosse così semplice, ed attuarle sempre una fitta allo sterno. «e se non gli piacessi?» domandò sottile, suonando infantile e patetica, prima di sollevare gli occhi verdi su Nathaniel. «e se mi odiassero perché non sono - » si rese conto da sola di quanto la voce stesse raggiungendo pericolosamente vette acute, motivo per cui strinse le labbra fra loro senza concludere la frase. Non che ce ne fosse bisogno. Come lei sapeva che Dominique e Cole Baudelaire non fossero Arci e Cole, loro erano perfettamente consapevoli ch’ella non fosse Annie, e l’Henderson non aveva bisogno di sentirle pronunciare quel nome per sapere dove volesse andare a parare. Il terrore nelle iridi muschio parlava da sé. «perché sei qui, lydia?» Le ci vollero una manciata di secondi prima di elaborare la domanda di Nate, e qualcheduno in più per riconoscere nel suo tono il medesimo che, negli anni precedenti, dedicava agli studenti. «perché…» richiuse la bocca, deglutì, ed abbassò nuovamente lo sguardo sui propri piedi.
    Perché era passato un anno da quando Cole era morto. Un anno da quando Archibald Leroy Baudelaire era sparito cent’anni addietro in una dimenticata cittadina retrograda della California. Trecentosessantacinque giorni senza suo fratello, senza Jay, senza Murphy e Shot. Coprì il viso con entrambe le mani espirando debole e tremula, tentando (e fallendo) di rilassare i muscoli delle spalle. O di impedirsi di piangere. Il fatto che avesse aspettato, e stesse ancora aspettando, il loro ritorno, non significava che fosse a suo agio all’idea di rivederli davvero: gli occhi scuri di Arci, il sorriso a premere sempre sugli angoli della bocca, il modo finto naturale con cui passava le dita fra le ciocche corvine. E Cole? Una situazione ancor più complessa e delicata fatta di memorie che non aveva ma sentiva: perché aveva avuto un’intera vita di Cole Baudelaire, Annie – e non era mai stato perfetto, ma Annie Baudelaire aveva amato suo fratello con il triste abbandono di chi non avesse altro, e decidesse che il proprio affetto avrebbe coperto le mancanze dell’altro. Lydia non aveva mai avuto una possibilità, con Cole: non di conoscerlo.
    Non di dirgli addio.
    «mi mancano» ammise sui palmi delle proprie mani, dischiudendo le dita per poter lanciare un implorante sguardo all’Henderson. «e lo so - lo so» abbassò le mani tornando a stringere agitata un lembo della sciarpa, evitando i comprensivi occhi azzurri di Nathaniel. «che non sono i miei, ma…» sono qualcosa; sono meglio di niente. Ingoiò aria e saliva e si scosse debolmente nelle spalle. «sono …all’incirca la mia famiglia, no? di annie» si corresse, spostando la sciarpa dietro il collo. «ma è stata una pessima idea. hai ragione» indietreggiò pronta alla fuga, ma le dita di Nate le strinsero una spalla obbligandola a rimanere sul posto. «ti piaceranno» Chi ha detto che fosse quello il suo problema? (Come faceva Nate a saperlo? Una parte della Hadaway non voleva …rovinare il ricordo che aveva di loro). «e poi ho già suonato il campanello» cOSA. «nate» sibilò in un tono acuto comprensibile solamente ai delfini, ruotando il capo alla ricerca di (..stupide.) vie di fuga. Il panico dovette trasparire dai movimenti bruschi della ragazza, perché Nate le strinse entrambe le mani sulle spalle. Non sapeva quando Nathaniel, il suo Nathaniel, avesse raggiunto quello stato di nirvana, ma emanava una certa….sicurezza saggia, tipo il Dalai Lama. Aver avuto ragione su diverse teorie del complotto nel corso dell’ultimo anno, doveva avergli dato una scarica di fiducia in se stesso da duemila volt. «andrà bene» Davvero? Voleva crederci, Lydia. Aveva bisogno di farlo. Annuì piano cercando di convincersene. Quando sentì i passi al di là della porta, avvolse rapida le braccia attorno alla vita di Nathaniel; non era incline agli abbracci, Lydia Hadaway, ma in quel momento sentì di averne bisogno. «grazie di averli fatti stare qua» bisbigliò, serrando le palpebre ed inspirando per cercare la nota di foglie di tè che sempre, insieme al più aspro odore delle sigarette, rimaneva impigliato nei vestiti di Nate. Non sapeva neanche come fosse possibile; la sua teoria era che avesse un arbre magique al bergamotto. Si aggrappò al profumo familiare dell’Henderson, costante e casa, prima di affrontare i Baudelaire.
    Quando Cole spalancò l’uscio, Nathaniel se n’era già andato. Terrorizzata come una bambina colta con la mano nel barattolo della marmellata, sollevò lenta lo sguardo sul fratello maggiore, ingoiando saliva ad una frequenza maggiore del solito per impedirsi di vomitare. La osservò con l’usuale cipiglio severo tipico di Cole-Baudelaire, e Lydia, sotto gli inquisitori occhi verdi, si sentì minuscola e vulnerabile. «lydia, giusto?» Tentò di appiccicarsi sulle labbra un sorriso, ma a notare dal lampo di preoccupazione nello sguardo di Cole, doveva aver fallito miseramente.
    Aspetta…lampo di preoccupazione? «LYDIA, ooh» Cole annullò la distanza che li separava con un’ampia falcata, chinandosi per stringerle le braccia alla vita ed appiattirla contro di sé in un abbraccio da orso. Non squittì solo perché voleva fingere di avere un briciolo di amor proprio, ma con il viso nascosto nella spalla di Cole, si permise di spalancare gli occhi e smettere di respirare. «mi dispiace per la tua – nostra? – perdita. Stai bene?» Non ce la faceva. Non ce l’avrebbe fatta. Posò una mano sulle palpebre per impedirsi di guardare l’espressione sincera e calda di Cole, sentendo un isterico singhiozzo minacciare di spezzarle la gola. Si limitò ad annuire piano, temendo ad ogni movimento di potersi rompere. Lo stupore iniziale era stato sostituto da un liquido, bollente languore ai polmoni che avrebbe voluto veder Lydia rannicchiata in un angolo a piangere. Non l’avrebbe fatto. Quando l’altro le sfiorò delicatamente una spalla, dovette costringersi a non indietreggiare.
    Il suo Cole non l’aveva mai fatto. Fino a quel momento non si era resa conto di quanto, irrazionalmente, le mancasse – o di quanto quel contatto fosse sempre mancato ad Annie.
    Era tutto ciò che Annie Baudelaire, che Lydia Hadaway, avrebbero voluto.
    Ma era troppo tardi, per loro. E quello non era il suo Cole - dovette ripeterselo una decina di volte, prima di trovare il coraggio di parlare. «scusa» ingoiò saliva ed aria. «è…» strano. Impossibile. Corrugò le sopracciglia, ma –per sua fortuna - non dovette concludere la frase. «entra, fa freddo fuori» non ebbe bisogno di fingere, nel sorriso che istintivo piegò le labbra cremisi.
    Neanche immaginava quanto freddo facesse dentro, per Lydia.
    L’appartamento di Nathaniel era familiare quanto - se non di più - il proprio riflesso nello specchio. Ricordava le giornate passate a progettare le lezioni con l’Henderson nella piccola cucina, le maratone di Netflix sul divano, Jay a nascondere il sorriso in un colpo di tosse da una parte all’altra della stanza. Dolorosamente, familiare. Si concentrò così tanto sulla respirazione, da non udire neanche una parola di quel che Cole le stava narrando.
    In salotto, Dominique sollevò gli occhi verso di loro. Quell’occhiata non ebbe bisogno di spiegazioni, perché Lydia la conosceva fin troppo bene: diceva sei come lei, ma non sei lei; diceva ho perso mia sorella da mesi; diceva e non sei la mia, ma sei comunque la sorella di Arci.
    «ehi»
    Era stata davvero, davvero, una pessima idea. Aveva forse creduto che vederli, vedere le loro versioni di un’altra realtà, potesse migliorare la situazione? Che potesse lenire il dolore costante della loro assenza? Che l’avrebbe reso più tollerabile? Perché se quelli erano i motivi che l’avevano spinta a bussare alla loro porta, aveva notevolmente fallito. «ehi» riuscì a replicare, nel tono fantasma di se stessa. Non poteva rimanere un secondo di più in quella stanza. Non poteva. «volevo solo -» evitò lo sguardo di entrambi, inspirò dalle narici. «vederci» Non alzò il capo al tono comprensivo e lievemente ironico del minore – perché avrebbe dovuto? Aveva ragione. Annuì colpevole stringendo le labbra fra loro; se avesse sollevato la testa, avrebbe notato l’occhiata di monito del maggiore, lo stringersi di spalle innocente di Dom, ed avrebbe - forse - colto la silente conversazione fra i due – ma no, Lydia sentì solo il sospiro, fuori contesto, di Cole. «anche io vorrei vedere i miei fratelli, se fossero… spariti da un anno» di nuovo la voce di Dom, conciliante ed amichevole.
    Come poteva dirgli - come - quanto non riuscisse ad impedirsi di odiarlo. Aveva ventiquattro anni, Dominique; aveva sei anni in più rispetto ad Arci quando l’avevano portato via a Lydia – e le probabilità che potesse vederlo diventare grande, si affievolivano di minuto in minuto. Anche Arci, nel far west, aveva vissuto cinque anni senza di lei? Era diventato un uomo senza che Lydia lo rimbrottasse quotidianamente di sistemarsi i capelli? Aveva un’altra famiglia? «ero solo passata a salutare» fu l’unico commento che riuscì a formulare, e non senza doversi prima schiarire la voce. Si sforzò di sorridere, ma era più concentrata a non piangere perché la forma della bocca assumesse una smorfia sincera e naturale. «se avete bisogno di qualcosa chiamatemi, vicino al telefono - » indicò vaga la zona dove, anni prima, aveva incollato al mobiletto del telefono (di quelli vintage; dubitava qualcuno l’avesse mai realmente usato, ma era carino) il proprio numero a lettere cubitali, così che anche da sbronzo Nathaniel potesse contattarla. «mi dispiace» deglutì, inspirando ed incrociando infine lo sguardo di entrambi.
    Di essere così strana. Così fragile. Sbagliata.
    «non sono annie» malgrado non fosse stato che un sussurro, la voce riuscì comunque - comunque! - a spezzarsi: perché in parte l’avrebbe voluto. Aver sempre avuto al proprio fianco Arci, avere un Cole - era un reato che Lydia potesse desiderare quella vita? «ma…voglio aiutarvi» a trovarla. A tornare a casa. A ridarvi la famiglia che non ho più. «è solo…» umettò le labbra indietreggiando verso la porta. «un po’ troppo, al momento. Ho bisogno di…» Tempo. e ad ogni, ogni parola, le sembrava di essere tornata alla prima conversazione con Arci.
    Farò del mio meglio anche io per rispettare i tuoi tempi.
    «magari…magari ripasso domani? vi porto – vi porto la colazione» tirò l’estremità della sciarpa fino a sentirsi soffocare. «se posso. se…vi va. Direttamente da…» No, inutile. Non ce la faceva a pronunciare il nome della panetteria.
    Imboccò la porta prima di concludere la frase, senza sentire la loro risposta.
    Non fece molta strada, uscita dall’appartamento di Nathaniel, prima che le gambe decidessero di non voler più collaborare. Si abbandonò su una panchina che, un tempo, faceva da fermata del pullman, ma che da quando la linea aveva cessato di circolare fungeva solo da sosta di emergenza per le Lydia Hadaway del mondo. Con i gomiti puntellati sulle ginocchia, nascose il viso fra le mani incastrando le dita nelle ciocche ramate, i palmi a schiacciare le palpebre abbassate. Annie Baudelaire aveva una famiglia. Annie Baudelaire aveva una famiglia da tutta la vita.
    Mi dispiace per la tua perdita.
    E non ce l’aveva fatta, Lydia Hadaway, a dire a Cole che le sue condoglianze giungevano in ritardo di ventun anni.
    Dispiace anche a me.
    In the valley of the dolls, we sleep Got a hole inside of me Living with identities That do not belong to me
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    i don't want to dive in first, you don't want to hear these words. it's only gonna make it worse. i'll love you through a periscope

    «I'm just a poor boy, nobody loves me»
    victoria sapeva come uccidere un uomo in almeno una cinquantina di modi diversi, e nei dieci anni che freddie aveva passato al fianco della bionda il rischio di sperimentarne alcuni si era fatto sempre più vivido, quasi il ragazzo cercasse un modo lento e doloroso per farla finita ma non fosse in grado di pensarci da solo. Veniva da pensarlo, perchè altrimenti non si spiegava proprio come facesse di tutto per provocarne le ire funeste, quando già si vedeva che la quinn era ad un solo passo dall'ennesimo omicidio. «rimetti a posto quelle forchette e piantala, frederick.» eaula, frederick, addirittura! solo lei e suo fratello utilizzavano il nome completo per richiamarlo all'ordine, ma nel caso del secondo si trattava più di un'abitudine: il tono di gemes non era mai minaccioso, e certo sul volto dell'ormai anziano avvocato non si era mai intravista tale aria di tempesta cataclismatica. «He's just a poor boy from a poor family!.» le mani di fergie gli calarono sulle spalle, il volto del ragazzino a spuntargli da sopra una spalla nel fissare un'ormai esausta bionda dagli occhi di giada. Anche a ferguson piaceva il rischio, ma il jackson aveva dalla sua che vic lo considerava un po' come un figlio, e per questa ragione finiva sempre con una sgridata e poi la concessione di passarla liscia: freddie, dal canto suo, approfittava sempre della sua presenza utilizzandolo come arma di difesa estrema, la solita domanda a ronzargli nelle orecchie.
    Come sopravvivevo prima?
    E la risposta, sempre presente, ad ardere come un tizzone acceso conficcato nel petto: ci pensava gwen.
    «ci rinuncio. fottiti pure l'argenteria, freddie, non è un problema mio» ecco, appunto. Semmai il problema era di quell'harvard hilton che aveva messo a disposizione vitto e alloggio - oltre ad un'ineguagliabile collezione di porno d'autore che l'hamilton aveva già visionato nella sua completezza, for science -, e finchè non si lamentava lui freddie poteva continuare a rubare con la coscienza a posto; la quale, tanto per essere chiari, aveva ormai fatto armi e bagagli da tempo, quindi che il padrone di casa rompesse pure le palle se voleva. «grazie madama, per l'inattesa concezione. racconterò della vostra immensa benevolenza anche ai gonzi che lei e il suo accompagnatore avete scippato notte tempo.» forse victoria pensava non sapesse del loro hobby? Derubare le vecchie milfone e sfilare portafogli non rientrava nel giro abituale del ventisettenne, ma non è che si metteva a criticare le scelte altrui di passare il proprio tempo tra una ricerca e l'altra, giusto? Frederick preferiva gli oggetti di valore, i titoli al portatore, a volte, se era in vena e il suo solito compratore sapeva dove piazzare la merce, anche macchine di lusso e qualche quadro. In quel mondo però mancava il buon vecchio Snoop (Dog, che nella realtà alternativa alla loro a quanto pareva faceva il cantante rap), quindi fred si limitava a forchette d'argento e collane di perle.
    Tanto poi i soldi spicci glieli allungava sempre gemes, gne gne.
    Per tutta risposta la bionda gli diede le spalle sollevando in aria un dito medio puntato al cielo, che frederick ricambió sfiorando la propria fronte con la mancina. Quella sì che era l'emblema di un'amicizia vera e duratura; duratura sa Vic si fosse trovata qualcuno con cui sfogarsi a letto, perché tutta la frustrazione che covava rischiava seriamente di porre fine alla vita travagliata di freddie (e di frankie, quando le girava proprio male) un giorno sì e l'altro pure. «a volte ti invidio, sai?» spostò le iridi grigio azzurre dalla schiena della ragazza al volto imberbe di fergie, stringendogli brevemente le dita attorno al braccio «vorrei tornare ad essere anche io un bambino per farmi coccolare da mamma vicky un epiteto che ebbe cura di sussurrare, terrorizzato all'idea che la quinn potesse sentirlo e lanciargli un kedavra a tradimento. «beh,» batté le mani tra loro, facendo sparire le posate d'argento in una tasca interna della giacca di pelle: accompagnavano ogni suo passo con un allegro tintinnio, jingle bells all of a sudden. Mancava solo una bella nevicata del cazzo poi era a posto. «io vado da dom!» però detto con la stessa ferrea risoluzione di quel bambino che voleva fare la cacca solo da paolo.
    Rigiró tra le mani un pacchetto di sigarette miracolosamente apparso tra le sue dita, rapide come becchi di gazze ladre, l'ennesimo scippo ai danni di una victoria quinn che ormai doveva aver capito il trucco; se glielo lasciava fare, arrivati a quel punto della loro vita passata fianco a fianco, era perché sapeva di essere condannata. Una certezza, come la morte e le tasse, sin dal giorno in cui un'assonnata gwendolyn l'aveva pregata di non uccidere il ladruncolo sedicenne intrufolatosi nella loro stanza, abbastanza in gamba da bypassare il sistema d'allarme di villa quinn, ma non altrettanto furbo quando si era trattato di resistere ai propri impulsi: aveva svegliato gwen posandole um bacio sulle labbra, incapace di trattenersi, e per poco non ci aveva rimesso la pelle. Un errore tattico di cui frederick non si sarebbe mai pentito, nemmeno sotto tortura. Quella notte freddie hamilton aveva incrociato il suo destino, su una strada che l'avrebbe portato lontano dai laboratori e, inevitabilmente ad un soffio da annie: non fossero intervenuti gli altri, facendosi cazzi non loro in nome di un bene superiore di cui comunque non sapevano una beata mazza, freddie nom avrebbe mai conosciuto la giovane Baudelaire, mai si sarebbe perso nei suoi occhi color bosco mandando all'aria anni di severe convinzioni in base alle quale innamorarsi era una perdita di tempo.
    E gwendolyn non sarebbe morta.
    Non poteva saperlo con certezza, ma ne era comunque convinto.

    «merda.» frederick hamilton, che di francese non aveba proprio nulla, fermó il passo rigirandosi il pacchetto di sigarette aperto tra le dita, un brivido di puro gelo a scorrere lungo la colonna vertebrale. La scatolina di cartone e plastica era tristemente vuota, un solo foglietto ben piegato all'interno: comprati le tue, di sigarette, grafia elegante e precisa, messaggio altrettanto diretto e onesto. Coglione lui a non rendersi conto prima che sfilare il pacchetto a vic si era rivelata un'impresa fin troppo facile. Rivolse al nulla un sorriso, il ventisettenne, che su quella faccia pulita gli faceva sempre guadagnare quattro o cinque anni di giovinezza, complice anche il cappuccio della felpa calato sui capelli castano scuro. Non hai più quindici anni, freddie. Dove vuoi andare? Da dom, se non si era capito.
    Ovvero a casa di nathaniel henderson, uno dei tanti doppioni che aveva messo alloggi a disposizione dei dispersi; quello stesso nate senior che freddie sapeva morto, ucciso in una battaglia della quale il mago ricordava solo sprazzi e piccoli pezzi di un puzzle impossibile da ricostruire in toto. Dove rimanevano i buchi ci pensava l'immaginazione a metterci una pezza. Era solo felice di non dover incontrare proprio la gwen di quel mondo, correre il rischio di trovarsela di fronte sapendo non fosse la sua. Almeno quel colpo al cuore se l'era scampato, e non che avesse così da starsene con le mani in mano, non quando all'appello mancavano ancora annie e ryder. Per quanto riguardava la prima, frederick ne sentiva la mancanza quanto quella di una buona sigaretta tra le labbra in una grigia giornata di dicembre, ma la conosceva ormai abbastanza bene per sapere che poteva cavarsela in qualunque situazionr. Annie Baudelaire era una forza della natura, e non solo quando si trattava di prendere a borsate in faccia il primo scippatore di turno. L'incolumità di ryder, d'altro canto, lo preoccupava molto.
    Diede una rapida tastata alle varie tasche della giacca in pelle, alla ricerca di eventuali sigarette sopravvissute agli ultimi giorni, trovandovi solo un butterfly (tenero gemes a regalarglielo, con tanto di 'però usalo solo per legittima difesa!!1!!' sure, bro), la bacchetta che tanto non sapeva usare, un paio di monete e le famose forchette d'argento. Non poteva fumare nessuna di queste cose, per sua sfortuna. In compenso, ebbe il culo di notare l'unica persona presente lungo la strada, seduta su una panchina; mancavano solo un centinaio di metri alla casa dell'henderson, e forse freddie avrebbe potuto resistere ancora qualche minuto finche non fosse arrivato da Dominique e Cole - sicuro scroccare una sigaretta a quest'ultimo non sarebbe stato un problema-, ma l'istinto ebbe la meglio. L'istinto o il destino, difficile dirlo con certezza.
    «scusa, hai--» sapeva di correre un rischio, l'hamilton, decidendo di approcciarsi ad una sconosciuta quando l'unica raccomandazione di suo fratello era quella di nascondersi e mantenere un basso profilo, ma credeva davvero che quel rischio fosse calcolato. Evidentemente non aveva capito nulla, di quanto fosse stronzo il fato (sks fato bellissimo). Lo seppe all'istante, freddie, prima ancora che lydia si voltasse completamente verso di lui, che non si trattava della sua annie. Lo capì nel momento in cui l'espressione sofferente dipinta sul volto della ragazza gli riempì la visuale, le iridi verde scuro cariche di dolore incrociarono le sue, più vivide e chiare; cambiava la luce, in quegli occhi, una luce che per annie rappresentava fuoco e fiamme, impossibili da domare. «scusa» ripeté, proprio lui che quella parola la odiava con tutto se stesso e se la faceva uscire a forza dalla bocca solo in casi di estrema necessità, indietreggiando di un passo. Non per scappare, ma al contrario per osservare Lydia con maggior attenzione, suo malgrado affascinato dall'incredibile somiglianza tra le due ragazze, almeno nell'apparenza. Freddie non aveva provato l'esperienza di un doppione sulla propria pelle, perche con jayson matthews non aveva assolutamente nulla a che spartire. «tu non sei.. cioè, sei-» cosa aveva detto dom? lydia «lydia?» ne era piuttosto certo, il ventisettenne, ma aggiunse comunque un accenno di domanda, nel caso la memoria gli avesse tirato un brutto scherzo (ihihi). Non era preparato per affrontare una situazione di quel genere, sebbene fosse ovvio che prima o poi avrebbe dovuto farci i conti; è che guardarla lo faceva stare male, e allo stesso tempo non riusciva a distogliere lo sguardo limpido dai lunghi capelli ramati, che gli solleticavano il naso mentre vi affondava il viso, l'attenzione dalle labbra piene e leggermente dischiuse, che gli imprimevano morbide segni cremesi sulla pelle della gola. «non sono un malintenzionato, giuro» anche se girava con coltelli e argenteria rubata in tasca «mi chiamo frederick. Hamilton.» doveva specificarlo? nel dubbio era pronto anche a darle codice fiscale, indirizzo e data di nascita.
    Non si poteva mai sapere.


    frederick
    (jayson matthews)
    hamilton

    27 yrs ✖ thief ✖ wasted ✖ 03.12.18
    upside
    down
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco


    Edited by blank/space - 6/12/2018, 20:31
     
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    Intrecciò le dita ai capelli, abbandonando le guance sulle mani. Avrebbe dovuto essere felice, giusto? Sentiva, razionalmente, che avrebbe dovuto esserlo: aveva avuto la conferma che, almeno in una vita, ai Baudelaire fosse stato permesso d’essere una famiglia – ma non riusciva a cancellare l’amaro in bocca nel sapere che ai suoi, di Baudelaire, quella possibilità era stata strappata via. Avremmo potuto essere così: conversazioni silenziose con un’occhiata, ricordi accumulati da anni vissuti fianco a fianco, battute che potevano comprendere solo loro; conoscere e riconoscere i propri ed altrui limiti.
    Ma anche solo rimanere insieme, un lusso che lei, Arci, e perfino Cole, non avevano mai avuto.
    Inspirò, espirò. Si disse che non fosse importante; si ripetè che non fosse giusto essere gelosi di una realtà di cui, in concreto, non sapeva nulla. Si rimproverò perfino, Lydia Hadaway, nel piccato almeno io ho Nate vivo con il quale cercò una misera vittoria nei confronti di Anastasie Baudelaire. «scusa, hai--» Parlavano con lei? Immaginava di sì, considerando che quella strada non era fra le più frequentate del quartiere – e sperava di no, perché era nel maledetto bel mezzo di una crisi d’identità: non si era più liberi neanche di avere un mental breakdown, da quelle parti? Abbassò le dita alzando pigra il capo, più stanca che arrabbiata nel ricambiare l’occhiata del ragazzo. «scusa» ah, ecco (-cit). Corrugò le sopracciglia ramate, un fastidioso prurito alla gola nell’incrociare le iridi verdi ihih azzurre dell’altro; al suo indietreggiare, Lydia rispose istintivamente drizzando le spalle ed appiattendo la schiena al sedile della panchina, nervosa senza alcun motivo apparente. Aveva…aveva qualcosa di familiare, abbastanza da costringerla ad umettare le labbra nel vano tentativo di renderle meno secche, da obbligarla ad intrecciare le dita fra loro schiacciando i palmi l’uno contro l’altro. Una parte di lei sapeva che avrebbe dovuto conoscerlo, ma l’altra – più grande, e sempre un po’ più disperata - le ricordava che non poteva. Non importava quanto avrebbe voluto ricollegare quel viso a qualcuno di conosciuto; non importava quanto, seppur in versione più giovane, quel volto lo conoscesse meglio del proprio, perché se Annie, quello di Freddie, aveva voluto imprimerselo nella retina per timore di perderlo, del suo non le era mai importato abbastanza. Gli incantesimi della memoria se ne sbattevano delle dita a scivolare fra le sbarre di due celle, o delle mani premute sul petto a spingere e tirare, o di come uno stupido esperimento avesse portato la Baudelaire a trovare l’incastro perfetto per le proprie labbra – nell’incavo poco sopra la clavicola, così che sfiorando con un bacio la pelle potesse poggiare la fronte sulla sua spalla. Ad Annie, in fin dei conti, sarebbe andato bene dimenticarsi di Annie; era Frederick Hamilton, il suo problema.
    E la dimostrazione che non importava quanto desiderassi qualcosa, quanto ne avessi bisogno: il fato non se ne faceva nulla di speranze e buoni propositi.
    Era avvezza da anni a quella calda, troppo calda sensazione di familiarità, conoscenze lavate via da una spugna intrisa di oblivion: non una novità, per Lydia, sentire l’ingiustificato batticuore nato dal sentirsi in trappola in una vita che non le apparteneva più.
    Ma la reazione del ragazzo non fu quella che, solitamente, le riservavano coloro che aveva dimenticato. Sembrava più…curioso, come se trovarla lì, seduta su quella panchina, fosse qualcosa che non si aspettasse – come se le Lydia del mondo avessero dovuto trovarsi da tutt’altra parte, e non strette a se stesse per timore di spezzarsi ad un respiro di troppo. Confuso.
    Almeno su qualcosa si trovavano in sintonia. «tu non sei.. cioè, sei-» Abbassò lo sguardo imbarazzata, lisciando pieghe invisibili sul cappotto. Quello era esattamente il momento in cui Lydia, solitamente, sperava che Fune di Fuga entrasse in gioco IRL permettendole di sparire con una fantastica uscita ad effetto. Fino a quel momento non aveva ancora funzionato, ma chissà: c’era sempre una prima volta, no?
    «lydia?» Inaspettato. Solitamente chi conosceva Annie, non…non conosceva Lydia. «sì?» Si rese conto del fatto che come affermazione fosse debole, con quel sotto tono interrogativo, ma era davvero troppo incerta sulla vita – proprio in generale – per permettersi sentenze convinte. «non sono un malintenzionato, giuro» che era….esattamente la frase che avrebbe detto qualunque malintenzionato. Senza contare che, fino a che l’altro non aveva ritenuto opportuno sottolinearlo, Lydia non ci aveva neanche pensato. Era l’occasione perfetta per andarsene, quella – liquidare l’altro con un cenno del capo e dileguarsi - e l’avrebbe fatto, Lydia; aveva già raccolto la borsa in grembo, pronta ad alzarsi per tornare alla civiltà, quando: «mi chiamo frederick. Hamilton.»
    ………
    …………….
    …………………..
    Rimase immobile, Lydia. Dimenticò perfino come respirare, nel sollevare con esasperata e collosa lentezza gli occhi lungo la figura di frederick hamilton, sentendo il cuore ormai ad un passo dal balzare sulla lingua per schiantarsi sul marciapiede. «jay…» gracchiò sottile, muovendo appena le labbra. Si schiarì la voce, il pugno a picchiare – neanche troppo delicatamente – sul petto, lo sguardo ad infine spingersi fino ad incrociare quello altrui. «freddie?» tentò, anche solo per masticarlo lento fra i denti. Il suo - il suo Freddie? O meglio, quello… «vieni dal…» corrugò le sopracciglia e scosse il capo, mordendosi la domanda fino ad ingoiarla intera.
    Beh, Lydia. Di certo non è Jay – eppure sa chi sei.
    Frederick Hamilton. Ricordava notti, la Hadaway, in cui svegliandosi di soprassalto percepiva sulla lingua il sapore del suo stesso sangue, ed il retrogusto acido di un nome senza volto. Ricordava una vita, Lydia, in cui i pezzi - i suoi pezzi - non avevano ancora trovato un loro posto. Quello che non ricordava, era una vita senza Freddie. Letteralmente. Poco importava che non avesse saputo per anni a chi appartenesse, ma quel nome – quello stupido nome - l’aveva conosciuto prima ancora del proprio.
    Nel senso meno metaforico del termine. Indicò se stessa, poi spostò la mano ad indicare lui. «noi ci…» Domanda sbagliata. Scosse il capo, arricciò debolmente il naso. «conosci annie?» un quesito stupido - stupido - da fare, ma era l’unica risposta del quale in quel momento, ed in cento altri, avesse bisogno: sapere che non importasse quando, non importasse come, e non importasse con quali nomi, ma loro due avrebbero finito per trovarsi sempre. Un briciolo - uno sputo - di speranza per credere che non importasse quando, come, o con quale nome, ma anche lei avrebbe riavuto Jay.
    Destino, uh? «frederick hamilton» ripetè in un bisbiglio, battendo incredula le palpebre. Credeva di essere oramai temprata ad affrontare qualunque tipo di assurdità, Lydia Hadaway.
    Si era sbagliata.
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    Se lo sarebbe dovuto aspettare.
    In fondo lo sapeva, frederick hamilton, che le probabilità di incontrare qualcuno identico alle persone che amava giocavano contro l'assurdità della situazione. Eppure, nell'osservare la sfumatura verde bosco simile a pennellate nello sguardo diffidente di lydia, il ventitreenne non poté fare a meno di stupirsi. Perché erano fottutamente uguali, in ogni singolo dettaglio: quei particolari che freddie aveva imparato a conoscere, ricordando a memoria dove si trovasse ogni neo, ogni piccola voglia, i punti precisi in cui annie odiava essere toccata e quelli che quando il ragazzo li sfiorava poi non era autorizzato a smettere. E diverse, anche e soprattutto diverse, lydia hadaway e annie baudelaire. Che quella luce di timore e bisogno, freddie non l'aveva mai vista. «jay…» Così, come previsto, lui conosceva lei, lei conosceva lui.
    Nemmeno questo avrebbe dovuto stupirlo più di tanto, sebbene negli ultimi cinque anni l'hamilton avesse pensato raramente all'espressione triste e contrita del suo doppio, al modo in cui le spalle del ragazzo parevano curvarsi sotto il peso dei sensi di colpa. Per essere scomparso (di nuovo), per non aver salvato gwendolyn; nemmeno la conosceva, quella gwen, eppure jayson matthews si era sentito schiacciato da una responsabilità non sua. Frederick non aveva idea di cosa potesse aver ridotto il ragazzo in quello stato, ma era ben lieto di non aver condiviso la sua vita e il suo destino, almeno la parte meno divertente. Quanto a lydia, a annie, forse certe cose semplicemente non si potevano evitare.
    Annuì, quando la rossa sussurró il suo nome, con quel nomignolo che ormai utilizzavano tutti tranne gemes - sempre frederick, come un vero ometto -, prendendo finalmente posto sulla panchina; le concesse un abbondante spazio personale, un meccanismo di difesa più utile a lui che a lydia. Non gli era facile starle vicino e toglierle gli occhi di dosso, avvertire contemporaneamente una fitta di nostalgia e preoccupazione, ma anche metterla a disagio sembrava troppo. Un altro ragionamento strano, per frederick hamilton, che oltre a non chiedere mai scusa difficilmente se ne sbatteva delle reazioni emotive di chi gli stava accanto. Agiva spesso e volentieri per proprio tornaconto, abituato sin dalla tenera età che per contare davvero su qualcuno bisognava rivolgersi a se stessi, un insegnamento che i genitori avevano pagato a caro prezzo. «dall'altra parte, sì. come la chiamate voi, realtà alternativa?» gli suonava ancora strano, soprattutto quando era lui quello nel posto sbagliato. Non voleva essere una versione leggermente modificata di se stesso, frederick hamiltom: se c'era una brutta copia, quello era jayson. «e annie.. beh, e ci fosse qui lei ti direbbe che non mi conosce.» che era un po' la risposta standard della ragazza, anche quando freddie era presente. che tenera ♡ «ma in realtà mi ama. sono irresistibile e lei lo sa.» si strinse nelle spalle, poggiando la schiena contro la panchina, movimento sottolineato da un intenso tintinnio di posate. Se esisteva una cosa davvero scomoda, era sicuramente una forchetta d'argento conficcata sotto una costola.
    Il dubbio gli venne all'improvviso, quando già la domanda gli stava solleticando la base del cervelletto da una decina di minuti, inascoltato; perché si chiamava lydia e non annie? Perché jay e non freddie? «tu e.. jay..» avvicinò rapidamente gli indici di entrambe le mani mimando un insieme sottontiso, giusto per chiarire la situazione « anche te non ricordi niente?» l'aveva chiesto a jayson, prima che quest'ultimo scomparisse nel portale e il dolore della ferita al fianco lo mandasse dritto al tappeto. Mi hanno cancellato la memoria, aveva detto, le iridi caramello fisse nelle sue, finalmente abbastanza forti da reggere il peso di una dichiarazione tanto distruttiva. Ci aveva pensato su a lungo, freddie, sulla fortuna che aveva avuto jayson nel ritrovare le persone importanti della sua (della loro) vita pur non ricordando i momenti passati insieme, su come il destino del matthews sembrasse essere davvero già scritto. Non era certo, però, che al suo posto avrebbe avuto lo stesso buccio di culo.
    Raggiunto il culmine della sopportazione, il ventitreenne piegò maggiormente la schiena all'undietro, sfilando da sotto la giacca una forchetta e un cucchiaio, incrociando le iridi scure di lydia solo per un istante prima di mettersi a battere le impugnature delle posate sul bordo della panchina. Sapeva che in fondo non erano affari suoi, che quelle domande alla ragazza non avrebbe dovuto porle, ma era più forte di lui. Esisteva una copia della donna che amava, identica in tutto e per tutto se non per la vita che l'aveva forgiata, legata a quell'altro se stesso nei cui occhi freddie non riusciva a riconoscersi: la curiosità era troppa per resistere. «io rubo.» così, dal nulla. Forse per giustificare la presenza delle posate d'argento, forse per stemperare quella domanda inopportuna che non era proprio riuscito ad intrappolare sulla punta della lingua. E con una certa fierezza, aggiungerei. «mi ci guadagno da vivere. ed è così che ho conosciuto annie.» tornò a voltarsi in direzione della rossa, incontrando per l'ennesima volta il viso pallido sotto una cascata di capelli castano ramati, simili a lingue di fuoco sulla neve. Quel genere di sfumatura che riconosci all'istante, anche a distanza di mondi, anche se annullano la tua persona e ti cancellano la fottuta memoria. «ho cercato di rubarle la borsa e per poco non mi ha lanciato ub crucius»
    eeehh, bei tempi.


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    Continuava a lanciare occhiate di sottecchi al proprio fianco, lasciando che lo sguardo si posasse su tutti i dettagli poco familiari del profilo di Frederick Hamilton. Era così assurdo - tutto di quell’universo lo era, e non certa che la diversità fosse in accezione negativa. I Baudelaire sono una famiglia; non ho mai perso la memoria; Frederick non è mai diventato Jay, ed è cresciuto con Gemes. Qualcuno poteva forse biasimarla se, in parte, era gelosa di come la loro vita si fosse risolta? Guardava Freddie, Lydia, e si domandava se fosse felice. Se da una parte osservarne gli occhi chiari, e non caramello, rendeva quella conversazione più semplice, dall’altra una parte sopita di Lydia riconosceva il viso morbido dell’Hamilton, sapeva cosa avrebbe provato se avesse stretto le guance fra le dita.
    Si sedette sulle proprie mani, bloccando così il tremore sul nascere. Trattenne istintivamente il fiato quando il ragazzo prese posto al proprio fianco, ma fu sollevata dal fatto ch’egli avesse mantenuto intatto il suo spazio personale – sarebbe stato rude spostarsi, ma non era certa che sarebbe riuscita a sopportare una vicinanza troppo intima. Era pur sempre uno sconosciuto, e mai Lydia Hadaway si trovava a proprio agio con chi non conosceva – dannazione, faticava come l’inferno anche con chi conosceva. Sentiva il cuore rimbombare nel petto, e si rese conto di non voler davvero sapere se Annie e Freddie si conoscessero: preferiva credere di sì, pur non avendone certezza, che sapere di no. «dall'altra parte, sì. come la chiamate voi, realtà alternativa?» Sospirò, nascondendo un sorriso nella sciarpa. Si sentì felice, con quella conferma: non poteva che significare che in ogni modo, ed ogni mondo, avrebbero finito per trovarsi sempre.
    Non l’avrebbe pensata così se avesse saputo dell’aiuto esterno di BJ Reynolds, ma lasciamola sognare: doveva pur aggrapparsi a qualcosa. «e annie.. beh, e ci fosse qui lei ti direbbe che non mi conosce.» Chissà perché, ma la cosa non la stupiva affatto. Non si preoccupò di nascondere il sorriso, ruotando lo sguardo sul suo interlocutore. Un’ondata di languido trionfo le riempì i polmoni, soddisfatta che almeno una di loro fosse in grado di mettere in chiaro le cose con i disastrati esseri umani che, più per scelta che per destino, avevano deciso di amare. Chissà se anche Freddie ha il brutto vizio di sparire, o sono io la privilegiata. «ma in realtà mi ama. sono irresistibile e lei lo sa.» Arcuò entrambe le sopracciglia, osservandolo dalla punta dei piedi a quella dei capelli, le ciglia ad oscurare con lentezza le iridi verdi. «modesto» criticò piccata, incapace di tenere il commento sulla lingua. «suppongo sia stata la tua umiltà ad affascinarla» gli sorrise, e per la prima volta il sorriso era diretto a lui piuttosto che alle sue parole. Più l’altro parlava, più Lydia si sentiva a suo agio, sentendo i muscoli delle spalle sciogliersi. Posò le mani in grembo, trionfante quando notò che non avessero più l’accenno di alcun tremolio. «tu e.. jay..» Nel seguire con lo sguardo le dita dell’Hamilton, Lydia Hadaway fu davvero convinta che Freddie avrebbe concluso in un altro modo quel gesto, o lo osservò fra l’oltraggiato e l’incredulo. Cioè, okay che stavano facendo amicizia, ma non le sembrava il caso di iniziare già con le confidenze? Strinse le labbra in una linea dura, facendo sfuggire un sospiro fra i denti. «quando non sparisce» replicò, sentendo l’amaro in bocca di quella – severa ma giusta – realtà dei fatti. «e quando non bacia gente a caso a capodanno» Si strinse nelle spalle piegando la testa sulla spalla. «insomma, qualche volta» concesse infine, studiandolo di sottecchi. Sperò davvero che Annie, per compensare la sfiga di Lydia, facesse passare al ragazzo le pene dell’inferno: giustizia. «anche te non ricordi niente?» Distolse lo sguardo per posarlo sulle proprie dita, intente a torturare il bordo della sciarpa. Si decise infine ad annuire, il capo ad alzarsi ma gli occhi distratti dal marciapiede. «no, ho perso la memoria anche io» e si rese conto, per la prima volta, che almeno per quanto li riguardava, fosse un bene. «non credo che ad annie sarebbe piaciuto jay» Accennò una smorfia divertita, ruotando il capo per incrociare gli occhi azzurri dell’altro. Come a Jay non sarebbe piaciuta Annie, come Freddie e Lydia non avrebbero mai potuto funzionare - Dio, come tornava tutto. «e non sono cresciuta con ar-..dominique, come jay non è cresciuto con gemes» Quanti parallels? Corrugò le sopracciglia alle sue stesse parole, costringendosi ad abbassare ancora lo sguardo sulle proprie ginocchia. Malgrado fosse un momento totalmente a caso di quella chiacchierata, sentì in maniera fisica la mancanza di Jayson: avrebbe voluto fosse lì, al suo fianco, a sollevare gli occhi al cielo ad ogni parola di Freddie – ed avrebbe voluto che, sapendo di Annie e l’Hamilton, si rendesse conto come lei di quanto, nelle loro infinte imperfezioni, fossero invece perfetti l’uno per l’altro. Cheesy, lo so, ma dopo un anno passato a guardare commedie romantiche con Nathaniel e Sin per cercare di recuperare un po’ dell’ottimismo perso, era giustificata ad esserlo.
    Ora. Non dico che il tintinnio non l’avesse insospettita, ma aveva deciso di non farci caso (beh? Per quanto ne sapeva, Freddie poteva collezionare campane); quando l’altro tirò fuori dalla giacca due posate, però, non poté impedirsi di fissarlo con sguardo interrogativo: perché girava con delle forchette nella stra maledetta giacca? Dovendo percepire il dubbio negli occhi di Lydia, con una naturalezza disarmante Freddie spiegò: «io rubo.»
    Ah, ochei. «mi ci guadagno da vivere. ed è così che ho conosciuto annie.»
    Ah, ecco. Pure. Battè le ciglia, cercando di capire come…come le cose potessero incastrarsi fra loro. Che Annie avesse una seconda segreta identità da ladra? Che fosse una poliziotta? Che - «ho cercato di rubarle la borsa e per poco non mi ha lanciato un crucius»
    Beh, quasi. Annuì come se quella spiegazione avesse senso, stringendo le labbra fra i denti. «quindi non…hai un lavoro vero? pensi di…rubare tutta la vita?» arcuò un sopracciglio, osservandolo critica di sottecchi. Non era certa del perché si fosse messa sulla difensiva, considerando che non doveva assolutamente nulla ad Annie - forse voleva semplicemente che, almeno loro, avessero una sorta di…peculiare lieto fine? Lei non sembrava proprio alla fine del tunnel, quindi insomma.
    O forse aveva passato troppo tempo con Nate, e per le proprie otp bisognava sempre riordinare le priorità. «non giudico solo complimenti lo trovo solo…» Scosse il capo, senza sapere con esattezza a cosa si riferisse: alle differenze con Jay, o a come trovasse improbabile costruire un futuro con un Lupin che rubava forchette e cucchiai? Both is good. «strano. Jay non è il tipo da rubare» credeva? Per quanto ne sapeva, in realtà, nel far west poteva essere un bandito. «siete così …diversi» concluse, osservando nuovamente Freddie.
    Non lo disse, ma lo pensò intensamente: grazie a Dio.
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