it's ok I (don't) have a plan

nathaniel + phobos [challenge #05]

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    «Ok, manteniamo la calma» Nate congiunse le dita, gli occhi azzurri in quelli del proprio interlocutore. «Non è poi così... non è così grave. Posso sistemare tutto» annuì leggermente cercando (chiaramente) di autoconvincersi, e ebbe un grugnito in risposta. «Hai ragione. Sono fottuto»
    Nathaniel Henderson aveva appena rapito un ippopotamo. E non sapeva che farsene.
    Si nascose il viso tra le mani sospirando rumorosamente, le palpebre strette mentre cercava di pensare - inutilmente - ad una soluzione. Riportarlo allo zoo non era un'opzione, usare una passaporta e lasciarlo tipo in Africa (gli ippopotami vivevano in Africa, vero??) neanche - era cresciuto in cattività, sarebbe morto entro una settimana. Vestirlo da sirena e spacciarlo per sorella minore di TJade a lungo perduta? Poteva chiedere aiuto a Lydia e usare uno dei bonus "Non fare domande"? No, li aveva probabilmente già finiti tutti, e non gli andava di darle spiegazioni. Chissà se esistevano canili per ippopotami.
    Chissà perchè non esistevano canili per ippopotami.
    Di nuovo sbuffò, e l'ippopotamo si avvicinò a lui dandogli un buffetto (forse per provare a mangiarselo?), gesto che provocò un urletto terrorizzato da parte di Nate. Adorava gli animali, davvero, ma aveva visto una volta un programma sui più feroci combattimenti di belve feroci, e l'ippopotamo era in ogni sfida. Almeno erano vegetariani... vero? "Non posso credere di essermi cacciato in questa situazione solo perchè voglio bene a mio fratello. Maledizione!".
    Vedete, Nathaniel aveva agito con nobili intenzioni: era andato per la sua visita settimanale al Carrows District, in tasca un dolcetto per il fratello che era certo avrebbe adorato. Quando il guardiano del parco però gli aveva detto che Hippo, il simpatico ippopotamo idolo dei bambini, sarebbe stato stelilizzato - beh, Nathaniel aveva dovuto agire, mettendo in atto una rivisitazione di "salvate il soldato Ryan", in cui il suddetto soldato Ryan erano i genitali di suo fratello.
    Aveva messo in pratica un piano ben congegnato e pensato in fretta che fra le altre cose aveva sfruttato in erba gatta, ormoni di fenicottero e cotton fioc (chissà perchè nessun sceneggiatore prendeva in considerazione le idee geniali di nate), e dopo appena un'ora Bran era libero per le strade di Hogsmeade e poteva abbracciare suo fratello!!
    ... o il presunto tale.
    Piccolo problema: impegnato com'era stato a organizzare il tutto (aveva dovuto pure pagare una bambina 10 galeoni per farsi cadere il gelato, perchè a quanto pareva 5 erano pochi; maledetta), non aveva guardato il cellulare; facendolo, avrebbe scoperto che Brandon gli aveva scritto mentre Nate era allo zoo, annunciando di essere in giro per il mondo alla ricerca di AU (bonus mille faccine felici).
    Ora Nathaniel era senza fratello, e con un ippopotamo non stelizzato al seguito in un vicolo di Hogsmeade. Un sogno, nonchè l'inizio di un'epica sit com poliziesca (chissà quante avventure per il giovane avvenente e il suo partner ippopotamo!!!)
    «Mi devi un favore, amico» borbottò, guardando l'animale fra le dita aperte ancora sulla faccia. «e uno bello grosso» Hippo inclinò leggermente la testa di lato, e Nate sospirò. La verità, era che avrebbe potuto provare a riportarlo indietro allo zoo... ma non se la sentiva; non era particolarmente un bell'ambiente, quello, e poteva vederlo negli occhi del piccolo (omg era davvero un cucciolo; come aveva fatto a pensare si trattasse di Brandon?) ippopotamo che era molto più felice ora, che non circondato da sbarre e da creature magiche che lo prendevano in giro per la sua natura babbana. «Non guardarmi così. Non posso tenerti con me» rabbrividì all'idea di quello che gli avrebbe fatto Rea se avesse portato a casa un cucciolo di ippopotamo; non sarebbe stato l'animale a venir sterilizzato. E casa propria? Non un opzione, visto che l'aveva data a disposizione della famiglia di Lydia!AU, e ancora non era certo di fidarsi che quel Cole fosse davvero un moderno hippie; e se avesse finito per cucinare l'ippopotamo a colazione? «Ti troverò un posto, non ti preoccupare. Magari Jericho vuole adottarti» in fondo era carino e killer, come lei. «Ma ti cambio nome, se non ti dispiace. Facciamo... muesli?» Hippopotamus, Muesli. Dai, era carino!!!! Il cucciolo grugnì indispettito (indispettita? Ora che ci pensava, non era neanche sicuro fosse un maschio) «...vabbè a quello ci pensiamo»
    Eh, non bastava aver dovuto organizzare con Andy un gruppo di ricerca per persone da un altro universo con la vaga (vaga!) speranza di riportare a casa la propria famiglia e i propri amici, non bastava non avere un appuntamento (e quel che ne segue) da dieci (10) mesi, non bastava aver scoperto da nientemeno che una versione strafatto di Gemes che lui, Nathaniel Henderson, nel Sottosopra era morto stecchito («Jericho come l'ha presa?» «E' morta prima di te» «cOsA?!?!»).
    Ci voleva un ippopotamo dal dubbio sesso che non sapeva dove mettere.
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    09.12.2018
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    Umettò le labbra per poi dischiuderle in un sorriso cordiale, il gomito destro comodamente appoggiato sul bancone di legno e le gambe incrociate, così da lasciare che tutto il peso del corpo gravasse sul gabbiotto e su di un solo piede; si spinse maggiormente gli occhiali da sole – inutili, in una triste ed uggiosa giornata come quella, direte voi: Phobos Xavier Campbell invece, a chiunque gli avesse fatto notare che in quel di Hogsmeade non ci fosse altro che una fitta coltre di nubi che quasi prometteva l’Apocalisse, avrebbe sapientemente risposto che c’era sempre la possibilità che oltre la cortina grigio topo ci fosse uno splendete sole pronto ad illuminare la vita di tutti i maghi in transito nella cittadina; certo non avrebbe rivelato che era una copertura studiata ad hoc, e che oltre all’inguaribile ottimismo c’era di più (parafrasando una mai abbastanza, secondo il professore, famosa Sabrina Salerno) – sulla radice del naso, lasciando che Ciuffo, il suo fido Whug, da sopra la spalla fischiasse adulatore per enfatizzare il concetto.
    «signor campbell…» «non sono il signor campbell.» tagliò corto, con un tono di voce molto più grave del solito – come dicevo, era sotto copertura: agiva per conto della Mystery Inc. (sebbene dei suoi intenti avesse avvertito solamente Idem, e con una semplice nonché estremamente rapida chiamata: «IDEM HO UN CASO VADO CIAO SENNÒ LO PERDO TI AGGIORNO» «???»), e non poteva assolutamente lasciar intendere che facesse parte di un’organizzazione segreta di tal spessore. L’anziana strega seduta dall’altra parte del banco si sistemò gli occhiali da vista, ed il Campbell fu impeccabile sia nel fingere di non vedere gli occhi roteare dietro le palpebre che con lentezza andavano a coprirli, che nell’interpretare quel sorriso esasperato e rassegnato come uno sbuffo di qualche vecchia erogatrice di biglietti.
    Okay, onore al merito. Forse, e dico forse!, quella era la settima volta che si presentava dalla simpaticissima signorina Singh (guai a chiunque si fosse mai azzardato ad etichettarla come signora: giravano leggende riguardo i pochi temerari che avevano commesso quell’errore, la stragrande maggioranza delle quali prevedeva o un omicidio, o una precisa ed accurata eziologia sulle inquietanti matriosche che adornavano la mensola alle sue spalle) per chiedere l’esclusiva su alcune voci trapelate direttamente dal Carrow’s District, ed ogni volta con un tesserino differente – a volte ispettore sanitario, altre guardia forestale, altre addirittura ufficiale del corpo di polizia della Regina Elisabetta. Il dubbio di lei era lecito e fondato, ma comunque sorrise. «mh, va bene» Era nei più rosei pensieri di Phobos, quello di credere che alla vecchietta facesse piacere quel fortuito ed occasionale svago – una fuga dalla quotidianità, una risata che spezzasse la routine. Gli avevano anche più volte, oltre alla storia delle matriosche, raccontato che Agnes Singh fosse stata, ai suoi tempi, una donna dagli interessi peccaminosi e peculiari (a voler essere generosi) ed amante sfegatata dei giochi di ruolo, ma non si era mai prestato a tali dicerie. «… signor… spears britney?» annuì, convinto e felice: le targhette gliele preparava Gansey III, non poteva pretendere fossero meno… come dire, fasulle. «le ripeterò quello che ho già detto ai pavor: non ho idea di dove sia finito quell’ippopotamo»
    Andiamo per gradi.
    Uno: perché mai il Ministero si era adoperato per la ricerca di un ippopotamo scomparso dallo zoo magico? Doveva esserci, senza dubbio, qualcosa di più grande sotto. Lo sapeva, lo sapeva!, che quello era finalmente un vero caso su cui indagare; non vedeva l’ora di comunicarlo alla squadra!
    Due: maledizione. Aveva sperato che spacciandosi come un agente del Mossad (nuove tattiche interculturali) avrebbe avuto più informazioni, invece gli erano toccate quelle che avevano già ricevuto dei banali difensori della legge magica.
    Tre: «uau, agnes» si sporse un po’ di più sul bancone, arcuando le sopracciglia biondo cenere ed abbassando leggermente gli occhiali sulla punta del naso – gli davano un aspetto figo e misterioso, senza dubbio alcuno, ma non ci vedeva una ceppa con tutta quell’ombra. «hai fatto qualcosa ai capelli? sono f-a-n-t-a-s-t-i-c-i» «aw, grazie phobos» «non sono phobos.» «li ho semplicemente tinti!» ah, ma pensa! E lui che avrebbe detto che aveva fatto una piega: effettivamente, senza occhiali si notava di più lo sgargiante fucsia ed i timidi riflessi azzurri. Come aveva potuto non farci caso prima?
    Quattro: «i pavor sono già stATI QUI?????» il mini koala magico, allarmato quanto il trentunenne, attivò la modalità drama; non aveva mai avuto le giuste priorità, Phobos Campbell. Glielo dicevano in tanti. «dove sono andati?»
    Giustamente, non ne aveva idea.

    «scusate,» si avvicinò ad una giovane coppia, in mano una piccola foto. «avete per caso visto questo ippopotamo?» i due, terrorizzati, scapparono a gambe levate. Phobos sospirò, i pugni sui fianchi ed il fiato pesante per l’andatura veloce; doveva trovare quel magnifico esemplare di hippopotamus amphibius prima della legge, ed a quel punto sapere il perché non poteva essere granché rilevante.
    Era una questione di principio. Non poteva lasciare che lo uccidessero.
    E se lo aveva rapito qualcuno? E se quel qualcuno volesse solo donargli la libertà, e per questo fosse in pericolo di vita? Come Sabrina, il tassorosso doveva assolutamente intervenire.
    Senza contare che c’era sempre l’eventualità che non fosse davvero un ippopotamo, ma un qualche tesoro – o un’arma. Qualcosa di pericoloso.
    Avrebbe continuato, senza alcuna ombra di dubbio, a girare a vuoto per High Street prima di cambiare luogo di ricerca, se solo non fosse stato per quell’urlo.
    Urlo, oddio. Era più lo strillo tipico di ogni bionda ad inizio film horror che veniva brutalmente uccisa e che, invece di provare a sopravvivere, decideva di dare ai decibel una nuova soglia limite. Ciò non significava alcunché, avrebbe comunque soccorso quella bionda in pericolo di vita. Bacchetta in mano, osservandosi intorno per cercare di capire se qualcun altro, oltre a lui, avesse sentito il grido d’allarme – no, ovviamente no.
    Forse si era fatto una canna di troppo, quel giorno – possibile.
    «ma ti cambio nome, se non ti dispiace. facciamo... muesli?» non capiva il contesto - e come mai avrebbe potuto? -, ma sorrise a prescindere, concorde con la voce familiare. Ciuffo, al contrario ed affine invece al grugnito dell’ippopotamo dietro l’angolo, scosse la testa e riprodusse fedelmente il jingle della morte di pac-man.
    Aspetta. Grugnito dell’ippopotamo.
    «hippo???» saltò (letteralmente) l’angolo che lo divideva dalla voce e dall’animale, felice come un bambino strafatto di zuccheri. «e – nate?» non era la bionda in pericolo che si era aspettato, ma ci era andato vicino. «perché sei con hippo?» arcuò le sopracciglia, levandosi drammatico gli occhiali da sole. «cosa sta… succedendo, qui?» qualsiasi cosa fosse, era interessante. Il mistero si infittiva.
    «ti serve una mano?» a fare cosa? Boh, a caso.
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    Billie Dallaire aveva sempre odiato le Smaterializzazioni. Pur non avendolo mai, evitandosi così i pregiudizi superficiali che una tal affermazione avrebbe portato, affermato pubblicamente di preferire il viaggio alla meta, non aveva mai nascosto di essere esattamente quel genere di ragazza – o ragazzo, dipendeva delle scuole di pensiero. C’era qualcosa di quieto ed eccitante nello spostarsi da un punto A ad un punto Z – qualcosa di inaspettato dietro l’angolo, sorprese a cambiare scenario e scrivere storie diverse. Amava volare, Billie; amava sedere sul sedile del passeggero di una qualunque auto babbana e spingere la testa fuori dal finestrino, lasciando che l’aria scompigliasse i ricci capelli corvini schiacciandoli all’indietro. Non aveva senso, per la Dallaire, ritrovarsi in un punto B senza l’alfabeto di mezzo a dividerlo dalla A.
    Ecco perché, con la schiena poggiata al tronco di un albero dall’Avis ed i vestiti leggeri di un Luglio al suo tramonto, ad Arabells Dallaire – ventitrè anni, ex Corvonero, giocatrice di Quidditch professionista – giravano i coglioni. In meno di un battito di ciglia, s’era ritrovata strappata dai suoi amici, dalla sua famiglia, e scaraventata nell’ennesimo buco spazio-dimensionale fra una realtà e l’altra.
    Voglio dire: ma porca merda. Non era spaventata. Non era preoccupata per l’incolumità sua o dei suoi cari, nessuno dei quali (altrimenti sarebbe stato complesso aver qualsivoglia rapporto con lei) era stupido o mancante di creatività per salvarsi il culo perfino in situazioni così estreme.
    Era, in maniera del tutto legittima, incazzata come una iena. Frugò nelle tasche fino a trovare il pacchetto d’erba che, per precauzione e scaramanzia, si portava sempre appresso ogni qual volta si ritrovasse a dover affrontare situazioni particolari – fosse una missione per salvare il mondo, o una ben più rilevante partita di campionato: i’m sorry brother, so sorry lover, ma il Quidditch sarebbe sempre rimasto la sua priorità – estraendo, con tutta la calma del mondo, l’occorrente per rollarsi una canna. Non che avesse molto altro da fare, in ogni caso: erano giorni che girava a vuoto per Diagon Alley e dintorni nella vaga speranza di trovare qualcun altro; non si arrendeva facilmente, ma non era neanche così stupida da sbattere la testa contro un muro fino a spaccarsela.
    Poteva rigirarsi il mondo magico -e non- nel palmo quanto voleva, ma se gli altri non volevano essere trovati, e sapeva non potessero, non li avrebbe trovati. Da quando avevano scoperto la fragilità dei confini della loro realtà, era stato chiaro a tutti (ed enfatizzato con attente ammonizioni prima di qualunque missione, data l’imprevedibilità di quell’equilibrio) che, se fosse loro capitato di trovarsi dove non avrebbero dovuto essere, era loro compito non intervenire – non farsi scoprire. Billie aveva scoperto in quale anno fosse finita, in quale mese e giorno, ma non significava che avesse idea di quale parte del mondo avesse intaccato con la propria presenza. Era lo stesso di William Barrow e Archibald Leroy? Lo stesso dove lei, vagino munita!, aveva passati anni scolastici a tormentare i cata con la propria, sempre gradevole, compagnia?
    Lo stesso dove Jeremy era ancora vivo?
    Idiota pensare che la Dallaire, vagando in quel mondo opposto ed uguale al proprio, non avesse cercato le invisibili orme di quei fantasmi, ma calcarne le orme con il proprio piede non significava le avesse seguite fino all’origine: aveva ordini precisi, e li avrebbe rispettati. Sempre. Pur sapendo che, probabilmente, Andrew Stilinski non avrebbe mai saputo se Billie avesse o meno infranto il taciuto giuramento dei viaggiatori intra-realtà andando a bussare alla porta di Jeremy Milkobitch fingendosi un fattorino, non sarebbe stata a posto con la coscienza all’idea di deluderlo. Era la sensazione meno razionale con cui Billie avesse mai avuto a che fare in vita propria: comprendeva l’affetto; comprendeva l’odio ed il sentirsi in debito con qualcuno; comprendeva il sempre istintivo bisogno di dimostrare qualcosa, di primeggiare e distruggere i propri avversari – non aveva dubbi esistenziali sugli esseri umani ed il loro scopo nel mondo.
    Ma quella cieca adorazione, non aveva mai avuto un senso per la cinica, realista, Arabells Dallaire. Non l’avrebbe chiamata fiducia, quella provata nei confronti di Andy: si fidava di Elijah, Billie; si fidava di Amalie; con qualche, costretta, ritrosia, si fidava di Dom – e suo malgrado si fidava di Ryder, e di Frankie, di Roy e Todd, di Maeve e Daveth. Quello che sentiva nei confronti dell’ex giocatore di Quidditch, sarebbe stato più appropriato definirlo fede che non fiducia, e nell’accezione più ideale e religiosa possibile: fede, riverente e pura, nei confronti di un idolo.
    Quello spiegava perché non avesse paura di trovarsi lì, ovunque lì fosse: non sapeva quando, non sapeva come, ma era certa che Andy li avrebbe (la avrebbe?) riportati a casa. Non aveva mai, neppure negli istanti più grezzi e crudi a ribollirle nelle viscere, creduto alla possibilità che potesse non farlo. Era leggermente imbarazzante come la Dallaire seguisse lo Stilinski voltandosi come un fiore al proprio sole, ma non poteva – né voleva – farci nulla: se l’era meritata, quella considerazione. Quando, cinque anni prima, i fiati caldi e veloci dei sopravvissuti si erano rivolti alle macerie di Hogwarts, gli occhi chiari di Billie non avevano cercato lo sguardo dolente di suo fratello, o quello altrettanto sofferente di sua sorella, perché non avrebbero cambiato niente di quel che già le schiacciava il petto: si erano invece incollati alla nuca di Andy, che fra odore di sangue e carne a cielo aperto, asciugandosi il viso con il dorso della mano, aveva semplicemente affermato e ora ci riproviamo - ed incomprensibilmente, quasi fosse stata la parola magica per un incantesimo di cui Billie non aveva mai conosciuto l’esistenza, l’avevano fatto.
    Ci avevano riprovato, ricostruendo dalle ceneri un mondo ad immagine e somiglianza di chi aveva vissuto anni di barbarie e si era ribellato per farle cessare: non era un mondo bello, il loro.
    Ma era un mondo giusto, e se l’erano fatto bastare. Andy era stata la roccia in un mondo di macerie, e il fanatismo di un’aspirante giocatrice nei confronti di un giocatore professionista già integrato nella scena pubblica, era divenuto semplice rispetto. Difficile da guadagnare, di quei tempi. Era quel genere di persona che avresti seguito ovunque, e non perché se ti avesse chiesto di saltare, avresti domandato quanto in alto – ma perché sapevi, con una certezza matematica da mettere soggezione, che non avrebbe mai chiesto a qualcun altro di saltare: l’avrebbe fatto lui, e nella discesa altri l’avrebbero seguito perché era la cosa giusta da fare. Tirava fuori il meglio dalle persone - e delle persone - e la parte surreale era che non ci provasse neanche. Veniva istintivo rimanere al suo fianco, perché aveva qualcosa che il mondo aveva dimenticato di possedere da un pezzo: la gente ricordava l’onore; la gente, nel proprio sangue, conosceva rispetto e gerarchia.
    Ed aveva dimenticato, trascinandosi in anni di terrore e brutalità, che non era la paura a fare di un uomo un leader: era buono, Andy. Ed era leale, e altruista, e disinteressato al potere. Per chi, come Billie, era cresciuto fra scambi di favori ed ambizione, era una boccata d’aria fresca. Per Billie lo era. Non si era resa conto di quanto il mondo fosse andato a puttane, finchè fra gli esseri umani non aveva trovato qualcuno in grado di essere umano. Si rendeva conto di quanto poco lusinghiero suonasse per la propria specie, ma tant’era. Spesso, con la pigrizia dei quesiti privi di risposta, si era domandata se fosse quello che altri provavano conoscendo Elijah, ma con altrettanta frequenza aveva accantonato la questione con una scrollata di spalle: non era obiettiva nei confronti di suo fratello; avevano vissuto insieme tutta la vita, era la sua famiglia, e Billie non poteva trovarlo perfetto, avendolo conosciuto al suo meglio ed al suo peggio. Era semplicemente diverso. Arabells si era sempre sentita responsabile per Eli quanto Eli per lei, motivo che l’aveva indotta a crescere più scettica e concreta del dovuto; aveva dei doveri, morali e e necessari, nei confronti di suo fratello, che lo rendevano automaticamente meno la risposta e più il problema, com’era giusto e normale in una famiglia. Immaginava però che altri, non avendo quel conflitto, potessero vedere negli occhi verdi di Eli, quel che lei vedeva nello sguardo caramello di Andy. Non lo concepiva, eh, ma quello era un altro – fanatico – discorso.
    «c'est la merde» brontolò a denti stretti, nostalgica del suono della propria voce dopo giorni di silenzio. Con un fluido movimento della bacchetta, accese la canna e ne aspirò una densa occhiata, trattenendo il fumo sulla lingua e ruotando gli occhi sulla corteccia dell’albero al quale era poggiata. Avrebbe potuto essere qualunque albero, quello.
    Ma non lo era.
    Gli ci erano voluti mesi per smussare gli angoli aristocratici del Baudelaire, nonché centinaia d’occhiate in tralice prima che la smettesse di commentare in tono agrodolce ogni luogo poco affine alla sua indole in cui ella lo trascinava. Né lei né il Milkobitch, d’altronde, avevano mai avuto gusti raffinati: Dom, aveva deciso Arabells senza un vero motivo specifico, ci avrebbe fatto l’abitudine. E l’aveva fatto. Ricordava il giorno in cui il moro aveva smesso di essere il Baudelaire, ed era diventato semplicemente Principe Dom (Dom quando si sentiva particolarmente buona). Presso quello stesso albero, le spalle poggiate a quello stesso tronco, il fumo a galleggiare mai troppo nocivo di fronte ad entrambi, Billie l’aveva osservato per un tempo indeterminatamente lungo, prima di decidersi a parlare.
    «vorrei avesse avuto il tempo di conoscerti» aveva commentato, senza distogliere lo sguardo da quello bruno di Dominique. Il fatto che seduti su quell’aiuola ci fossero solamente loro due, non significava che fossero davvero solo loro: poteva percepire il peso di Jeremy Milkobitch in ogni filo d’erba, ogni ruga della corteccia, ogni filo di sole a scivolare dalle fronde degli alberi. «gli sarei piaciuto?» «ti avrebbe odiato» aveva sospirato in un sorriso languido, battendo le ciglia e tirandogli una debole gomitata al fianco.
    Non era vero. Più passava tempo con Dominique, più si rendeva conto che c’era molto più di quel che al francese piaceva mostrare – o credere di essere. L’aveva giudicato male, la prima volta: non avrebbe commesso di nuovo lo stesso errore. «non sei così male, principe dom» aveva commentato, soffiando il fumo verso l’alto. «potremmo perfino diventare un’ottima squadra» ed aveva allungato le nocche per picchiarle contro le sue, l’ombra di un sorriso a pungere gli angoli della bocca. Ottima, ma non la migliore: per quello, era un po’ tardi per entrambi.
    Pur sentendo il rumore di passi, Billie non sollevò gli occhi dal vuoto di fronte a sé – ma sorrise, perché quel suono l’avrebbe riconosciuto ovunque, memore di una Arabells Dallaire ancora bambina, e cieca, che su quella musica avrebbe scritto poemi interi.
    Perché significava che Elijah fosse tornato a casa.
    «ce ne hai messo di tempo a trovarmi,» commentò atona, alzando un ghigno verso il Dallaire maggiore: ovvio, che l’avrebbe trovata. Arabells Dallaire era prevedibile, ed aveva contato su quello per recuperare – almeno – lui. «fratellino.»

    «non dovresti preoccuparti per ryder,» mesi dopo, ed almeno una tonnellata di pazienza infinita (davvero, amava suo fratello, ma talvolta – sempre – avrebbe voluto ingozzarlo di chill pill fino a fargli perdere i sensi), Billie sollevò indifferenti occhi grigio-verdi verso quelli smeraldo di Elijah. «ormai sarà morto.» decretò con l’usuale semplicità, stringendosi appena nelle spalle. RIP lsd boi, ti ricorderemo come il trapper che non mi lasciava dormire perché doveva provare i suoi pezzi. Xoxo.
    Aveva scherzato, Billie, ma la possibilità era invero più concreta di quanto volesse ammettere perfino a se stessa: si trovavano in quel 2018 da Luglio, e pur essendo alle porte del Natale, non avevano ancora incontrato nessuno. Nessuno! La sua più sincera preoccupazione, era che Sasha si fosse fatto uccidere prima che qualcuno potesse raccattarlo: non poteva pensare che la propria, meravigliosa!, faccia, potesse aver smesso di esistere.
    Inaccettabile. Sperava non si fosse prostituito per trovare dimora in quei mesi da vagabondo: la sua vagina non era una merce di scambio. Girarono l’angolo, ed un pungente odore di stagno? punse le delicate narici della Dallaire obbligandola a torcere il naso. «ew-?» ma s’interruppe improvvisa, la gola stretta e le spalle rigide. Non era stato l’ippopotamo, per quanto inaspettato, a bloccare Billie Dallaire.
    Ovviamente. «eli…» bisbigliò, indietreggiando fino a trovare la mano di suo fratello. Poco importava che lei avesse ormai ventitrè anni, e lui avesse superato la trentina – con tanto di moglie e figli! – perché quando strinse il palmo di lui nel proprio, erano di nuovo a cinque anni prima, con i suoni della battaglia ad imperversare attorno a loro e loro a piangere tutto quel che avevano perso. Cercò gli occhi del Dallaire, sostenendone il peso con una solennità che a diciott’anni ancora non le era appartenuta: Nathaniel Lowell era lì, a pochi metri da loro.
    Vivo. «magari…» umettò le labbra, slacciando lentamente la stretta ferrea con la quale – in tutta onestà – l’aveva trattenuto: non era certa di come avrebbe potuto reagire. Nessuno dei due si era mai trovato di fronte alla concreta possibilità di parlare con uno di loro - loro amici, loro fratelli, loro morti. Billie non era diversa dalle centinaia di altri AU sparsi in quel di Londra – almeno non in quello: perché sapeva, non fossero i suoi.
    Ma ci assomigliavano così tanto. «è meglio se vado a parlarci da sola.» i’m asking but also telling u. Attirava meno l’attenzione, Billie Dallaire, e per quanto Nath fosse stato come un fratello per lei, non era stato realmente suo fratello: non come lo era stato per Elijah Dallaire, perlomeno. «stai qui» ordinò secca, arcuando entrambe le sopracciglia corvine. «almeno per ora» concesse, ma in un sibilo che lasciava poco spazio (aka: nessuno) alla contrattazione.
    «un ippopotamo, un campbell, ed un lowell» sorrise amabile allargando le braccia, ma senza rilassare i muscoli della schiena o del viso. «vorrei dire che è la prima volta che succede, ma…» Piegò gli angoli della bocca verso l’alto e fece spallucce. «meh e beh sul ponte di comando, seconda stagione, ep. 3» piegò le dita della mano destra stringendo il pollice e l’indice, annuendo e schioccando ammirata la lingua sul palato. «gkee è stata una bomba nella parte della biologa marina» bei tempi.
    Bei tempi sul serio.
    it's about being masculine and feminine at the same time
    billie
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    ravenclaw
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    Per poco non gli venne un colpo quando da dietro l'angolo spuntò la sagoma di un uomo. "That's it. Ecco come finirà la mia carriera - per colpa di un ippopotamo". Se il giorno prima glielo avessero chiesto, non ci avrebbe mai credut- beh. In realtà sì, lo avrebbe fatto. Non era neanche così strano, ora che ci pensava, non quando i suoi amici erano a spasso nel tempo, esistevano le prove tangibili di almeno un universo alternativo ora a contatto col loro, e esistevano alcune persone che apprezzavano l'ananas sulla pizza. L'ananas sulla pizza!
    Il mondo andava così: strano.
    «hippo???» AH GIA' «NO HABLA TUO DIOMA!!!» «e – nate?»
    mission abort mission abort il poliziott lo conoscev- un attimo. «phobos
    CIUCHINO!
    Le spalle di Nathaniel si rilassarono, la mano - che già era andata a prendere la bacchetta - si abbassò. sospirò di sollievo. C'erano tante persone, sue amiche, che non avrebbero capito perchè Nate si ritrovava con un ippopotamo, e che lo avrebbero obbligato a restituirlo allo zoo (o avrebbero finto di non conoscerlo per almeno un mese dopo quell'avventura #ciaoRea) ma il Campbell era uno di cui ci si poteva fidare. Suvvia, lui ne faceva di cose strane !!! Una volta lo aveva trovato a girare per Hogwarts vestito da orso.
    E poi, era un uomo. Avrebbe capito meglio di qualunque vaginomunita l'urgenza di salvare mini hippo.
    «perché sei con hippo? cosa sta… succedendo, qui?»
    strinse le labbra e congiunse le mani. Mh, come spiegare senza spiegare. «c'è un tempo e un luogo per ogni cosa, ma non ora» non poteva mica dire di brandon, no ??? doveva inventarsi una scusa per il rapimento, e per quella ci serviva tempo; quanto era credibile spacciarsi per un volontario di greenpeace? In fondo lo sapevano tutti che amava gli animali...
    «ti serve una mano?»
    AH ! poteva non spiegarsi?? FANTASTICO !!! «sarebbe perfetto!» a fare cosa, non lo sappiamo, ma questo è un problema che lasciamo al nate del futuro, perchè il nate del presente venne interrotto prima di poter dire un piano al professore: «un ippopotamo, un campbell, ed un lowell»
    si voltò verso la voce di scatto, di nuovo i sensi all'erta. Un guardiano dello zoo??? "No"
    c'era qualcosa di dannatamente familiare nel ragazzo che era apparso dal nulla (e no, non perchè nate conosceva bjorn #k6). Forse il colore degli occhi, forse i modi di fare. Nate per un attimo ebbe la certezza di conoscerlo, eppure non riusciva a collegare per qualche motivo, o dove lo avesse visto. «vorrei dire che è la prima volta che succede, ma... meh e beh sul ponte di comando, seconda stagione, ep. 3. gkee è stata una bomba nella parte della biologa marina»
    Tante parole che non avevano senso messe insieme una vicino all'altra e che gli avevano fatto aggrottare le sopracciglia, assunsero d'un tratto significato a quel nome: Gkee. L'altro Gemes aveva parlato di Jericho riferendosi a lei così, ne era sicuro, e gli ingranaggi nella testa del Lowell ripresero a girare. Andy aveva detto che sarebbero stati loro a trovarli, ma non si aspettava che l'avrebbero fatto davvero così a caso; non si usava suonare il campanello?
    In ogni caso, il tipo dell'altro universo conosceva sia lui che il Campbell. Per quanto aveva capito, l'altro Nathaniel prima di morire non era mai stato professore, quindi non poteva essere un suo studente; chi, allora?
    «Ci conosciamo? Di qua o... dall'altra parte. Sei amico di Jericho- Gkee Si sporse oltre il vicolo, controllando non cifossero movimenti, e nessuno in arrivo (e non vide elijah #ciao) «Se non sai come trovarli, possiamo aiutarti a metterti in contatto con i tuoi compagni» almeno, immaginava li stesse cercando: non l'aveva mai visto nel retro del bar di isaac, e nate cercava di tenere sotto controllo tutta la situazione AU come meglio poteva, per essere il più d'aiuto possibile. «so come contattare il vostro leader, andy, e f-» un grugnito alle sue spalle. si voltò, chiedendosi perchè mai Phobos dovesse fare versi mentre parlava con un ragazzo eeeeee ovviamente non era stato Phobos (via l'ovviamente; era phobos, non si sa mai con lui).
    Si era dimenticato dell'ippopotamo.
    «-ma prima, cerchiamo di risolvere questa situazione. Cosa succede esattamente in quell'episodio che dicevi? Asking for a friend»
    E questa è la maxi storia di come la mia vita cambiata capovolta sottosopra sia finita Nate e Phobos, con la'aiuto della dallaire (e di elijah??) adottarono un ippopotamo dopo averlo salvato all'orrendo (???) destino della sterilizzazione. EVVIVA LA VITA!
    Nathaniel out.
    I'm selfish, impatient and a little insecure. I make mistakes, I am out of control and at times hard to handle. But if you can't handle me at my worst, then you sure as hell don't deserve me at my best -------------
    former gryff | deatheater
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    nathaniel
    henderson



    mi disturbava avere una role aperta quindi chiusura flash !!!! ma se volete potete rispondere ???
     
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3 replies since 9/12/2018, 01:54   289 views
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