stay so busy that you don't have time to be sad

bells + fawn

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    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    «mi sono presa una cotta.» Arabells Dallaire scivolò sull’isola della cucina dei Milkobitch spalmandovi il petto e le braccia, spodestando un Jeremy Milkobitch intento a preparare un panino. Vorrei dire che almeno quelli li sapesse fare, ma sarebbe stata una menzogna; Bells allungò le dita per rigirare la fetta di pane messa al contrario dall’ex Tassorosso, sospirando secca in ricordo dei tempi in cui mangiava ancora cibo vero: beata gioventù. «per?» Ma che domanda stupida era? La Dallaire sapeva che nel mondo non potessero essere tutti Corvonero, ma andiamo. Schioccò le dita davanti agli occhi del Milkobitch, strappandolo dalla stasi onirica con la quale osservava il prosciutto, indicando secca con il capo l’altro lato della stanza. Jeremy sollevò appena lo sguardo, prima di sbuffarle una roca risata di scherno. «ovviamente -» Certo. «ovviamente, ti sei presa una cotta per te stessa»
    Difficile di quei tempi trovare qualcuno che potesse reggere il confronto. Si strinse nelle spalle cuotendo la corta chioma castana. «tu no??» Scioccante. Inimmaginabile. Billie Dallaire aveva tutto ciò che Bells Dallaire cercava nei propri partner: era intelligente, sveglio, un giocatore di quidditch, ironico, bullo quanto bastava per essere ritenuto accettabile, e perculava suo fratello quasi quanto lei. I primi giorni di convivenza, lei e Billie si erano limitati a studiarsi a vicenda; verso la fine della settimana, erano giunti ad un accordo: Billie le avrebbe prestato Dominique (che nome di merda, avevano concordato entrambi) e Bells gli avrebbe ceduto Jeremy – il tutto, chiaramente, senza domandare ai terzi se fossero interessati allo scambio, in perfetto stile B. Dallaire. Ad inizio weekend, erano già migliori amici - amiche? Qualcuno avrebbe potuto pensare che fossero troppo uguali per andare d’accordo, ma quel qualcuno – evidentemente – non conosceva le Dallaire del mondo: non si trattava di vanità () quanto più di semplice, e non moderato, amore per se stessi. Legittimo e giustificato, per giunta. Che male c’era ad amarsi un po’ di più? Tutti avrebbero dovuto farlo, anziché giudicare le Arabells Dallaire del mondo sputando su di loro crudi egocentrica che, nelle loro menti limitate, avrebbe dovuto essere un insulto.
    Oh, boi. Il Milkobitch si strinse nelle spalle, decidendo che il pasto valesse come panino anche se non assemblato, soffiandole un «preferisco te» con tanto di mezzo sorriso e spallucce, aggiungendo un’adorabile occhiata ammiccante nella sua direzione. AW! Lecchino di merda - tanto non sarebbe andata comunque a scalare un’altra montagna con lui; se il suo scopo nella vita fosse stato arrampicarsi su percorsi impervi e sconsigliati, sarebbe nata capra e non Arabells Dallaire. «io preferisco billie a te» allargò le braccia lungo i fianchi, e Jeremy – sprofondando sul divano – le rispose con un ben più sincero dito medio. that’s my boy. A sentir nominare il suo nome, au-Bells sollevò gli occhi, eterocromatici come i suoi, verso di lei. Era così…assurdo vedersi nello sguardo di qualcun altro; lei e Billie, eccetto la diversità nella maledizione, erano pressoché identici: avevano la stessa indole, gli stessi sogni – perfino lo stesso sorriso, labbra dischiuse e palpebre assottigliate. Una parte di lei avrebbe voluto odiarlo per aver avuto un Elijah Dallaire con la memoria intatta; l’altra era ancorata al dolente sguardo di sottecchi che volgeva a Jeremy quando pensava nessuno lo stesse guardando.
    La paranoia della Dallaire di perdere l’ultimo superstite dei catafratti, aveva ormai raggiunto le stelle. Non avrebbe scambiato la sua vita con quella di Billie neanche per avere un Elijah Dallaire senza amnesia e conseguenti problemi: perlomeno suo fratello era vivo. Il fatto che Arci preferisse fare il cowboy anziché riportare il suo culo a casa, era temporaneo; stronzate metafisiche a parte, la vita di Arabells era…bella. Aveva una famiglia (di cui facevano parte Elijah, Nathaniel ed Eugene più dei suoi saltuari cugini killer; era abbastanza certa che Victor avesse perfino rimosso la sua esistenza ihih) aveva degli amici, aveva un futuro brillante. E sì, okaaay, il mondo in cui vivevano faceva pena e compassione, ma avevano tutto il tempo del mondo per sistemarlo.
    Perché, da aggiustare, lo era sicuramente. Non era certa di voler cercare il modo per contattare la Resistenza, ma era sicura di non poter tollerare oltre il genocidio organizzato dal Regime: Bells era una Purosangue, ma viveva di sacrosanta convinzione che tutti dovessero meritarsi elogi e punizioni (le quali, in un mondo ideale ed utopico, non avrebbero inglobato maledizioni o mutilazioni) sulla base dei fatti, piuttosto che sul pedigree della propria famiglia. Non concepiva come altri, come la gente al potere, potessero vederla diversamente. «bells» Scosse il capo rimettendo a fuoco la stanza, trovando un Billie a scuoterle la mano davanti agli occhi. «mh?» Il Dallaire la guardò interrogativa, probabilmente aspettandosi che fosse lei a dover chiedere qualcosa, considerando che lo stava fissando. Troppo presto per chiedergli la mano? Ma era considerato incesto? Battè le palpebre e drizzò la schiena. «serata ragazze.» decretò solenne, incrociando gli occhi chiari di Billie. Così, senza alcun contesto se non il voler passare un po’ di tempo da sola, ma non del tutto: l’Arabells Dallaire del Sotto sopra era l’unica persona al mondo in grado di ricordarle ciò che aveva anziché ciò che aveva perso.
    Billie le sorrise arcuando entrambe le sopracciglia. «quindi invito dom?»
    Vedete perché si amava?

    «TOOOOOOOOOOOOOOOOOONIGHT»
    «WE ARE YOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOUNG»
    Con un braccio avvolto alla vita di Billie Dallaire, entrambi lerci come Run e Murphy alle Maldive a lanciare granate su Stiles, Bells reclinò la testa all’indietro cantando alla notte la sua serenata. Era rimasta così colpita dal fatto che i Fun., nell’AU, si chiamassero Boredom, da non riuscire a togliersi quella canzone dalla testa – e lo stesso ragionamento doveva averlo seguito au-Bells, perché – pur non conoscendo il testo se non quella breve strofa – da quando, ciondolando, erano usciti dal Better Run, non avevano smesso un secondo di cantare. Non ricordava molto della serata al locale, se non di non aver speso un centesimo per bere: credeva fermamente nel diritto (e dovere) delle donne di aprirsi portiere e tenersi il maledetto ombrello, ma non sarebbe stata certo lei a ricordarlo nel momento in cui qualcuno si prodigava per offrirle cocktail dai nomi improbabili. Il barattolo dei Cata mica si riempiva con i buoni propositi, ed il pick-up di Arci non si manteneva certo da solo. Assottigliò le palpebre guardandosi intorno, alzando nel mentre una mano per tappare la bocca dell’altra Dallaire: «patatine fritte» cosa? «cosa.» «sì»
    Cosa.
    Guardarono entrambi, immobili al centro di Diagon Alley, il vuoto - eppure non dovettero spiegarsi, connessi ad un livello superiore (letteralmente, considerando che erano la stessa persona). – decretando nello stesso momento la direzione da prendere: sempre dritti, e non si sbagliava mai. Stavano cercando, e Bells poteva esserne certa per ambedue, un posto dove mangiare; il fatto che, nel cuore della notte, non pullulasse di fast food, non li avrebbe fermati dal continuare la loro ricerca – anzi. E sapete perché? Perché da quelle parti vivevano un sakko di suoi amici.
    Tipo Eugene e Jade. «ma hanno uran» asserì fra sé, senza aver mai iniziato la sentenza ad alta voce. Portò pollice e indice al mento, immergendosi in annebbiati e offuscati pensieri privi di capo o coda.
    E poi, l’illuminazione: «lo zio dei miei nipoti» Nonché l’altra parte dell’equazione relijah, comunemente conosciuto come supporto morale in quanto Altro Fratello. In quel momento volle decidere che il sottile (inesistente) legame che li univa, fosse abbastanza da scroccargli un sandwich.
    Non avrebbe avuto senso per nessuno, ma per Bells lo aveva – e di conseguenza, anche per Billie, il quale schioccò (male) le dita sollevando il pugno verso il cielo. «ryder» «amos»
    «e daveth»
    «cosa?»
    «cosa?»
    «eh?»
    «ciUPA»
    «vabbè balliamo andiamo.»
    E questa è la breve, ma mai triste, storia, di come LA MIA VITA è CAMBIATA canon-Bells ed au-Bells, alle quattro di notte, si ritrovarono a sgattaiolare per le strette viottole di New Hovel.
    «qual è la casa?» Mh.
    Mh. «una di quelle»
    «sì ma-»
    «una» si strinse nelle spalle mettendo a tacere l’altro, gli occhi a scrutare nell’oscurità alla ricerca di un punto di riferimento. Ovviamente non ne aveva idea; ovviamente, non le interessava. Indicò il cartello (run) eu beech al Dallaire, facendo poi scorrere il braccio seguendo la traiettoria (QUALE) dall’appartamento di Jade ed Euge, alle case circostanti. «io vado a sinistra, tu vai a destra» nikita.mp3: si scambiarono un breve, ma sentito, saluto militare, prima di separarsi.
    Fortuna volle che New Hovel fosse (scioccante!) uno dei quartieri più tranquilli del mondo magico, dato che raramente i maghi andavano a ficcare il naso e gli special tendevano a farsi i cazzi propri, perché quella mossa (separarsi. ubriachi) fu davvero un’idea molto stupida, specialmente per due Corvonero. L’unico problema sarebbe stato incappare in Jericho, ma dai, quante probabilità c’erano????
    Tante. Anziché bussare alla porta come una comune cristiana, Arabells Dallaire s’intestardì nello scassinare (si poteva dire scassinare?) la finestra: era chiusa, okay, ma quelle casupole erano montate a patafix e speranza. Non dovette sforzarsi più di due minuti, prima di riuscire a sollevarla dall’esterno. «ugh» gracchiò, infilando prima la testa e poi il resto del corpo all’interno dell’appartamento. Cadde a peso morto sul divano, un braccio già abbandonato sugli occhi. Quello sarebbe stato il momento per sussurrare, discreta, ”Amos?” - ma non quella notte. «facile.it facile.it facile.it»
    Cosa non si faceva per un cheeseburger.

    When I was young Whatever happened it would do me no wrong
    lies
    arabells dallaire
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    Siobhan non aveva un grande senso del tempo, figurarsi dopo essersi infilata sotto la coperta e con il suo pc sulle gambe. Il mondo per lei non esisteva più, dopo una certa ora smetteva di rispondere alla gente così che magari cogliesse l’hint e andasse a dormire e si rifugiava nell’accogliente calore del suo letto – perché avrebbe dovuto andare a fare serata quando aveva tutto quello? Quella sera non era tanto differente dalle altre, non avendo molti amici vivi era difficile che Fawn uscisse e così aveva fondato la sua propria tradizione: netflix&nachos. Giusto perché di chill ne aveva anche troppo con i suoi fumetti e aveva bisogno di prendere le distanze. Quella sera la O’Hara aveva fatto una scelta pessima per la salute: un recuperone di Vikings; che detta così non sembra neanche così tesa, se non si conosce la serie. Era così addictive che la ragazza non poteva fare a meno che continuare puntata dopo puntata a rimandare il momento in cui avrebbe dovuto spegnere, ma come si faceva? Non ne avrebbe mai avuto abbastanza di Lagertha, e vabbè anche di Ragnar che in fondo era un bell’uomo, se avesse patteggiato anche per quella riva (quale?). Ormai aveva finito le patatine da lungo tempo, cosa di cui fu particolarmente grata quando iniziò LA puntata. Non c’era bisogno che nessuno le dicesse niente, i segnali era tutti lì a indicare che Lui non vi sarebbe sopravvissuto e sebbene sapesse della sua morte da tre stagioni il colpo fu comunque duro. Il suo primo pianto fu appena a sei minuti nell’episodio, riprendendo ogni volta che lo inquadravano senza potersi fermare, un po’ come un’Elisa a Endgame. Sapeva di non essere pazza, ma non capiva comunque come potesse avere tutti quei liquidi in corpo da andare steady per cinquanta minuti di puntata. E poi dicevano che non aveva talenti, scacco matto atei. Il coup de grâce lo ebbe alla fine, quando Lui venne lasciato a morire da solo, come se non fosse un GRANDISSIMO EROE DI GUERRA. «ma….ma-» cercò di fare un commento coerente, fallendo miseramente quando la voce si incrinò nuovamente. Ormai stava singhiozzando, e non nel modo aggraziato e aesthetic dei film, no Fawn ricordava più un mostro moccoloso. Un’immagine molto sexy lo so. Fu quando finalmente aveva superato il vero momento teso che qualcosa andò storto. Sentì un rumore provenire dalla cucina, il tipo che solo qualcosa con abbastanza peso poteva fare, anche se sperava che fosse qualcuno dei suoi gatti «fufu?» no, non mi ricordo come si chiamino. Provò a chiamarne uno, rendendosi conto con un certo orrore che era ai piedi del suo letto.
    Non voleva andare di là, anzi, sarebbe stata felice di scivolare tra le coperte e fingere che queste potessero proteggerla. Purtroppo sapeva di non poterlo fare, qualcuno doveva proteggere la vita dei suoi figli. Si pulì il viso alla meglio con il lenzuolo, va bene che era un intruso ma non ci teneva ad apparire come una pazza «facile.it facile.it facile.it» ma cristo santo, per poco non prese un infarto a sentire una voce del buio. A piccoli passi raggiunse il salotto, una mazza da baseball stretta tra le mani quando accese la luce del salotto «AAAHHHGGG» urlò nel precipitarsi dentro, imitando l’espressione più spaventosa che aveva visto in Vikings. A giudicare da come si mise a ridere la ragazza era certa di aver fallito. Fece scattare gli occhi sulla figura sul divano, taking in il volto della sconosciuta accorgendosi che quella era Arabells Dallaire. «cosa….cosa ci fai qua? Alle-» spostò lo sguardo sull’orologio alla parete, rendendosi conto del fatto che fosse notte fonda «qUAtTrO???» ma soprattutto «posso aiutarti in qualche modo? Volevi mica Amos?» e a quel punto sarebbe sprofondata sul tappeto vicino al divano, era decisamente troppo tardi per avere la forza di stare in piedi tutto quel tempo.
    20.12 - H: 4.11
    tumblr_m7w2izzY0j1r6o8v2

    1994 - medium - neutral - cartoonist - traveller

    siobhan
    o'hara
    my cat just slapped me wtf
    no loyal ppl in this world

     
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    «AAAHHHGGG»
    «AAAAAAAAAAAAAAAAAAAA-uh?» Bells rotolò supina sul divano, le braccia incrociate sul bracciolo ed il mento poggiato sopra. Un sopracciglio arcuato verso quella che non sembrava (ma poi chissà!) essere Amos, non ci provò neanche a trattenere il sorriso, che divenne allegra e sguaiata risata nel prendere nota del terrore sul volto della ragazza: doveva intrudersi più spesso a casa di perfetti sconosciuti, Arabells Dallaire. Ma poi che voleva farci quella, con una mazza? «hai bisogno di una pistola» osservò, fra un singhiozzo ilare e l’altro, mantenendo sorniona il liquido sorriso sbronzo sulle labbra. «o almeno di un taser» corresse, battendo le palpebre per mettere a fuoco il viso della ragazza – non le sembrava un’idea brillante, considerata la reazione, consigliare un’arma da fuoco a… «cugina dei barrow?» ma dai, com’era piccolo il mondo!
    Beh dai, non era l’Hamilton, ma poteva di gran lunga andarle peggio. Si rilassò sul divano, solo lontanamente conscia del fatto che avrebbe dovuto andarsene – d’altronde gli appartamenti di new hovel erano del governo, no? E chi le pagava le tasse? Eh! – e che la sua presenza potesse essere sgradita: utopico, che a qualcuno potesse dar fastidio Arabells Dallaire.
    Non vedevano quanto fosse bella, brillante, e adorabile?
    «cosa….cosa ci fai qua? Alle…qUAtTrO???» Cavoli, erano solo le quattro del mattino, ed era già lerciata così a merda? Seguì lo sguardo della O’Hara verso l’orologio, sopracciglia corrugate ed angoli delle labbra piegati verso il basso: «non ho più l’età» quella consapevolezza riuscì a spegnere l’entusiasmo del momento, facendole posare gli occhi chiari [into the distance] alla ricerca della risposta ai perché della vita. Tipo,«ti chiedi mai chi abbia inventato il tempo?» così, perché lei lo faceva spesso e volentieri – non il tempo in sé, ma chi avesse deciso di misurarlo: cioè, qualcuno ci si era sbattuto da morire, ed ai poster non giungeva neanche il suo nome. Rude? «posso aiutarti in qualche modo? Volevi mica Amos?» Volere, volere…che concetto complesso. Cancellò l’interrogativo agitando vaga la mano nell’aria, occhi chiusi ed uno sbuffo a fior di labbra. «un sandwich» aprì il palmo e lo richiuse, limitata nei movimenti quanto nei pensieri. Idealmente sapeva che avrebbe dovuto mettere un contesto, almeno oggetto e soggetto, in una frase – ma sembrava così…difficile. «morirò se non mangerò un sandwich» solenne ed incredibilmente seria nel dischiudere le palpebre, e puntare l’intenso sguardo grigio sulla ragazza: non vedeva che stava soffrendo? Che amos e amos, AMOSSSARELLA, FORSE. Iniziò a ridacchiare da sola per la grande battuta appena pensata, una mano a premere sulla bocca per soffocare i singulti. «vedi?? sto già morendo!!!»
    When I was young Whatever happened it would do me no wrong
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    arabells dallaire
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    ravenclaw
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