seems like the whole damn world went and lost its mind

TUTTI, DAJE. [ challange: 08] @ateas, 26.12

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    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    «è così…» Fergie, chinato di fronte al Cobain e con le mani immerse in due barattoli di vernice, alzò lo sguardo nella sua direzione sollevando perplesso un sopracciglio. Franklyn Cobain tendeva sempre a fingere di avere tutto sotto controllo, o scrollandosi nelle spalle s’illudeva che la questione non lo toccasse, ma nel tono della sua voce era chiaramente udibile il bordo aguzzo di un malcelato terrore. Oltre al già cristallino hint, ad aiutare il Jackson nella soluzione dell’enigma c’era il fatto che Frankie continuasse a dondolare sui talloni, incapace di rimanere immobile. «buio.» arricciò il naso, la testa reclinata all’indietro a fissare il soffitto dell’entrata della tenda. Avrebbe potuto fargli notare che dovesse, essere buio; che l’intero punto di quella festa era che non ci fosse abbastanza visibilità da farli scoprire, ma la possibilità di trovare altri come loro, trascinati fin lì dall’evento largamente pubblicizzato da Fergie. Il ventenne aveva ignorato con classe le proteste di Andy, liquidando ogni opposizione con sbuffi più o meno sonori: per lo Stilinski era pericoloso, per il Jackson necessario.
    Quindi, come sempre, Fergie aveva fatto il cazzo che gli pareva. Forse una festa non era quello che Andrew avrebbe scelto per recuperare gli altri dispersi, ma – come infine s’era costretto ad ammettere – a quel punto avevano davvero poche alternative alle quale appellarsi: erano quasi sei mesi ch’erano bloccati in quel mondo, ed i progressi erano infinitesimali. Il malcontento dilagava come in ogni periodo storico antecedente una rivolta, e la speranza si affievoliva ad ogni alba priva di indizi su come tornare maledettamente a casa: una festa, era esattamente quello di cui avevano bisogno.
    Fergie aveva pensato a tutto – d’altronde, organizzare party era una delle skill di cui andava più fiero. Aveva (rubato!) recuperato una tenda da Harvard Hilton, il suo nuovo padre ad honorem, e l’interno era abbastanza grande da poter ospitare qualsivoglia evento; la tenda era buia, priva di alcuna luminosità eccetto le luci stroboscopiche. Ciascuno degli invitati, all’ingresso della tenda, veniva benedetto con vernice fluorescente da due dei loro, così che – potendoli osservare da vicino – tali /guardie/ potessero riconoscere eventuali membri della missione; un gesto del tutto innocente che non avrebbe fatto sorgere a dubbi a chi, nell'ipotesi se ne fossero presentati, non avesse idea dell’au.
    Era tutto così maledettamente calcolato, che il Jackson ebbe perfino timore di passare per troppo sveglio: aveva dovuto suggerire spogliarelliste e partite ai dadi erotici, per tornare nella comfort zone del “ah, jackson, stupido marpione del cazzo!”. «paura?» domandò invece, sorridendo malizioso al Cobain, alzandosi con le dita grondanti di vernice fosforescente. Lo sbuffo ironico di Frankie, un rauco e tremulo verso di gola, fu un soffio caldo sulle guance del Jackson, abbastanza vicino da percepire il nervosismo emanato ad ondate dal poliziotto.
    Aw. Era lui, a renderlo nervoso? Domanda retorica, ovviamente: sapeva di essere lui. Avrebbe dovuto essere abbastanza galante da fingere di non accorgersene, ma perché quando Frankie gli serviva la possibilità di essere se stesso su un piatto d’argento? «paura di me abbassò intenzionalmente il tono di un’ottava, sollevando nel mentre entrambe le sopracciglia. Conosceva la risposta. «nO» e non era quella. Come a voler dimostrare la sua tesi, quando Fergie allungò le dita verso il suo viso, Frankie sobbalzò sul posto. L’occhiata del Jackson, o l’orgoglio personale, lo costrinsero poi ad imprecare a denti stretti; lo osservò mentre si obbligava a rimanere immobile, teso come le corde di un violino. Oh boi, che carino. «è che non mi piace» serrò perfino le palpebre – che melodrammatico! – quando delicatamente premette i polpastrelli sulle sue guance. Fergie era troppo Fergie per fingere che quello fosse un incentivo a smettere – sapeva non lo fosse. Fortunatamente (o forse no?) per entrambi, non avevano tempo per un po’ di sano divertimento alla vecchia maniera. Sospirò, evitando – da bravo ragazzo qual era – di esitare con le dita sulle zone sensibili, sfregando solo appena la pelle per lasciarvi l’impronta della vernice. «rimanere solo con me» concluse per lui, matter of fact, senza alcuna intonazione particolare se non un impercettibile, e divertita, curva delle labbra. «credevo volessi tenermi d’occhio» osservò, indietreggiando – anziché avanzare, come avrebbe voluto – così da poter guardare /l’opera/ completata. Beh? Fergie era un’artista, perfino in momenti delicati come quello aveva specifiche priorità. Annuì soddisfatto a sé stesso, e potè quasi – quasi – giurare di aver visto le guance di Frankie avvampare.
    Cristo, quant’era trasparente. Era davvero un-bravo-ragazzo - poco importava che volesse fingere il contrario. Quasi si dispiacque di aver insistito (ma neanche troppo, in realtà? era successo e basta) perché rimanessero loro a far da Guardie alle porte della tenda: sarebbero stati loro ad iniziare i partecipanti all’evento con i primi disegni in viso, loro ad accertarsi se si trattasse o meno di compagni smarriti o delle centinaia di persone invitate dal Jackson.
    Sì. Aveva davvero stra pubblicizzato l’evento: go big or go home. «no, non era quello che-» ahh, quanto odiava quel genere di preliminari! Ruotò gli occhi al cielo, costringendolo a tacere con una mano premuta sulla bocca. «sì, invece» tagliò corto, spingendolo di lato per passare. «ma non sono offeso, sono lusingato» specificò, sorridendo da sopra la spalla e scrollando le mani così che le gocce residue di vernice andassero ad intaccare le pareti della tenda. Sollevò con una mano la /porta/, attendendo che Frankie lo superasse per mettersi in posizione – sarebbero rimasti lì, all’esterno dell’entrata come due fuckin guardie svizzere alle porte di Buckingham, per tutta la sera.
    Confidava che (Vic) Freddie lo amasse abbastanza da portargli almeno un po’ d’alcool, e che qualcuno (davvero chiunque) affascinato dalla sua presenza, decidesse di trasferire la festa . «ti muovi o no?» si mosse – cit.
    fergie j.
    & frankie cobain
    20 / 21 y.o.
    slyth / huff
    acid / healer
    criminal / cop


    DAI RINCO. USCITEMI LE 300 PAROLE DI SALVATAGGIO IN EXTREMIS
    :nois:
    per chi posta entro il 30 (un bacio in fronte, e) la possibilità di scoprire qualcuno da iscrivere al capodanno oblivion! (ma avete tempo fino al 7 per la challange, questo è un bonus #cosa)

    riassunto:
    festa all'aetas, appuntamento alle 22 del 26.12. la festa si svolge in una tenda completamente al buio fatta eccezione per le luci SPECIALIH.
    ogni partecipante alla festa, all'entrata, trovata fergie e frankie - i quali, metodici, li palpano gli applicano fantastiki disegni sul viso con la vernice fluo. FINE CIAO!
     
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    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    «mh.» fredda, impassibile, victoria quinn non lasciava trasparire nulla di quanto stava realmente pensando. Non fosse stato per la lieve inclinazione del capo verso sinistra, impercettibile ad un occhio poco allenato, si sarebbe potuta scambiare per una bellissima bambola di porcellana. Ma freddie la conosceva come le sue tasche e sapeva che quel cenno significava no così fai davvero skifo sembri un pezzente. «no, così fai davvero schifo, sembri un pezzente.» VISTO??!1! Sbatté le braccia in segno di resa, l'hamilton, più che mai deciso a presentarsi nudo alla festa organizzata da f&f; tutto, purché quella tortura finisse. «poi mi spieghi perché a fergie non hai rotto così le palle.» la vide inarcare un biondo sopracciglio, e per un istante temette di essere arrivato al punto in cui gli occorreva pregare i santi del paradiso invece che tirarli giù come suo solito.
    La verità è che a frederick hamilton piaceva correre ogni giorno quel famoso quarto di miglio alla volta, sul filo del rasoio. L'unica differenza nella loro solita routine, era quell'ombra di preoccupazione calata come un velo mortuario sul volto del purosangue, il marchio inconfondibile che qualcosa non andava; che qualcosa, per la prima volta nella vita, stava sfuggendo al suo controllo. Pensi le sia successo qualcosa? alla fine aveva ceduto, esprimendo a parole quel pensiero che lo tormentava da mesi, una bottiglia aperta di whiskey tenuta saldamente tra le dita e dominic seduto al proprio fianco. Quando il ragazzo aveva mosso la testa in cenno di diniego, freddie aveva scorto per un istante una traccia di ansia che non aveva fatto altro se non aumentare la sua. Sta bene, ne sono sicuro, ed entrambi erano rimasti in silenzio a crogiolarsi nella fragilità di quell'affermazione appena sussurrata. «perché si è dileguato prima che potessi dirgli qualcosa. è più intelligente di quanto sembri.» il che pareva quasi sottolineare quanto invece non lo fosse frederick.
    Con un'alzata di spalle Victoria si rimise in piedi, le mani esperte ad intrecciarsi tra i capelli color grano raccogliendoli morbidamente sulla nuca, un'ultima occhiata agli abiti indossati dall'amico seguita dall'ennesimo sospiro. «facciamo così: metti quelle scarpe e la giacca che ti ho preso» aka: rubato ad harvard hilton «e sotto puoi tenerti quella roba.» ecco come andava avanti la loro vita insieme, fianco a fianco: a fottuti compromessi.

    «come ti senti, Pioppo? Tutto a posto?» freddie sollevò una mano fino a raggiungere la testolina del brucaliffo, un esempio vivente di quella psicologia millennials che i gen z avevano semplicemente scopiazzato alla grande spacciandola per propria. Credevano davvero che la voglia di morire un giorno sì e l'altro pure fosse una loro invenzione? Illusi. «sono certo che ti divertirai.» si conoscevano da meno di quarantotto ore, e già lo amava; pioppo, il cui nome era stato scelto all'unanimità da freddie e fergie quando la creatura aveva spruzzato per la prima volta il suo magico oppio nella stanza dell'hamilton, si era dimostrato da subito un compagno fedele e silenzioso, che il ragazzo non so era sentito di abbandonare a villa hilton. «dev'essere quella.» victoria, che camminava accanto a lui stringendo una bottiglia di vodka nella mano destra, allungò il collo sottile oltre la sciarpa voluminosa che le copriva il viso fino al naso, indicando la tenda ad una cinquantina di metri da loro.
    Nessuna luce, tranne un lieve baluginio all'ingresso, e l'inequivocabile sottofondo musicale a tutto volume che faceva tremare il terreno sotto i loro piedi. «che due pirla.» freddie si lasciò sfuggire un sospiro tra le labbra dischiuse, inevitabilmente tese in un sorriso. Vic lo imitó assicurandosi di tenere segreta quella curva della bocca, per non dare troppe soddisfazioni ai tre ragazzi: aveva recuperato tutti i suoi bambini, volente o nolente. «stronzetti, avete messo su un pittura party? o fate solo giochetti tra di voi?» oh, a guardarli tubare il dubbio veniva spontaneo. «quindi ho fatto bene a portare rinforzi.» la bionda sollevò la bottiglia piena di liquido trasparente, svitando il tappo della stessa senza però separarsene. Se proprio doveva affrontare la serata tanto valeva cominciare ad ubriacarsi per prima.

    freddie h.
    & victoria quinn
    27 y.o. / 27 y.o.
    fuckit / slyth
    criminal / rich


    parlano con frankie e fergie ♡


    Edited by j e r k . - 27/12/2018, 10:27
     
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    Hazel McPherson
    «Deve essere fighissima!»
    «Non ne dubito.» Aaah, Gid e il suo non sbilanciarsi mai! Avrebbe mai imparato a gettarsi a capofitto senza pensarci due volte?
    «Bene. NOI andremo a quella festa,» aveva decretato vittoriosa, alzando le braccia al cielo di scatto con un urletto entusiasta, mentre il tipo dietro di lei prendeva un pugno sul naso totalmente random e Gid si scusava al posto suo. Ops. Mica era colpa sua se le stava attaccato al culo però!! Aveva fatto bene a fargli male. Si girò a fulminare con un’occhiataccia lo sconosciuto, quasi sperando che lui le desse un appiglio per attaccare briga. Neanche per le strade di Londra potevano si poteva stare tranquilli!
    «… NOI chi?» era state le ultime parole famose di suo fratello, che le aveva suscitato un sorriso psycho dal cuore. Sì sì, l’avrebbe portato con sé e si sarebbero divertiti un mondo insieme! Magari ci sarebbe stato anche Hunter, doveva informarsi. Nel dubbio, avrebbe provato a fare pressioni psicologiche perché si vestisse in modo secchesi.

    Okay, le sue pressioni più terroristiche e psicologiche non erano servite a niente, e la ragazza proprio non capiva perché Gideon fosse stato tanto sconvolto quando gli aveva proposto di uscire nudo. Avrebbe sicuramente riscosso un notevole successo. Tsk, tradizionalista dei suoi stivali.
    «Non vedo l’oraaa, magari incontreremo anche qualche nostro amico, eh Gid?» Essendo una zucca dura, non comprese che il silenzio dell’altro poteva essere interpretato come la scarsa voglia di vivere – o di parlarle – del momento. Era STRACONVINTA che suo fratello, in fondo, sarebbe stato entusiasta tanto quanto lei di partecipare #no Vedere per credere! Saltellò allegramente, il visetto tondo che spariva per metà dietro la sciarpa troppo grossa per il suo corpicino scattante e minuto, ma a dicembre nessuna sciarpa era troppa. Avrebbe tanto voluto portare con sé il suo piccolo Ade, ma quando erano andati via lui stava dormendo abbracciato all’albero di Natale, dopo che lei gli aveva detto che non avrebbe potuto giocare con lui perché doveva uscire. Era divertente vederlo giocare con il Kovu di Gid, che Haz ovviamente incitava sempre a fare più guai possibili.
    Trascinò con sé Gid, che si era rifiutato di portarla sulle spalle perché “anche così avrebbe trovato il modo di far ammazzare entrambi”. Glielo diceva spesso anche la mamma, soprattutto da quando Hazel per poco non aveva dato fuoco all’albero mettendolo un po’ troppo vicino al camino perché ehi, altrimenti dov’era il calore del Natale?? In realtà le aveva ispirato fuoco fin dal primo istante, ma non era stato intenzionale, poteva giurarlo! Uno sbaglio e subito tutti addosso, oh, lei che era sempre una figlia ineccepibileH! Offesa, si era ritirata in camera sua a fare quello che la rendeva felice e la faceva sospirare quasi come una ragazzina romantica, certo, sempre psicopatica ma romantica.
    E come si faceva a non esserlo, quando aveva tra le mani l’abbozzo di quello che sarebbe stato il Grande, il Mitico, l’Indimenticabile romanzo a tema McOakes di sempre! Sarebbe andato a ruba nelle librerie, sarebbe diventata famosa come Shiloh Abbot, solo per dire “No, io non capisco un cactus di queste cose, mi piace il wrestling, la birra e il Quidditch, le vere stelle sono loro!!!”. Poi sarebbe partita la canzoncina di Uomini e Donne e avrebbe aperto delle immaginarie tende per rivelare le sue star, le sue fonti d’ispirazione, il tronista e il corteggiatore vincitore – scelto da lei, ma dettagli – del Trono Gay, sarebbero caduti mille coriandoli arcobaleno e allora Gideon e Hunter AVREBBERO CAPITO: erano destinati a incontrarsi, amarsi, farle fare sto benedetto matrimonio che aveva organizzato nella sua testa da mesi e avrebbero adottato dei figli che per lei sarebbero stati nipotini da educare all’omosessualità e allo scaricatore di porto style. L’avrebbe intitolato “Cinquanta Sfumature di McOakes” – sfumature arcobaleno eh, ben chiaro, altro che grigio o nero, SCHERZIAMO? – e come sottotitolo avrebbe scritto “Sorelle fantastiche e dove trovarle”. Che vita gioiosa e piena di soddisfazioni.
    C’era tanto lavoro da fare, ma ce l’avrebbe fatta. «GUARDA, mica sarà quella la tenda?? VEDO DELLE PERSONE.» Si sarebbe messa a correre, se solo suo fratello avesse potuto fare lo stesso; peccato che era quasi certa sarebbe sgattaiolato via non appena se ne fosse presentata la possibilità. Invece continuò a stringergli il braccio con decisione, determinata a divertirsi, e cercò di curiosare con lo sguardo all’interno della tenda, intravedendo solo dei bagliori di luce. Che belle le luci!!!(?) Si rivolse sorridente ai due ragazzi all’entrata, spalancando gli occhi affascinata quando vide sui volti di chi li aveva preceduti dei disegni fluo. «Lo fate anche a noi??? OH OH OH, mi scrivi sulla fronte “Go hard or go home”? GRAZIE MILLE, GENTILISSIMO, ma voi due state insieme?» domandò sempre ai due, alzando e abbassando le sopracciglia come a insinuare senza pudore, prima che Gideon potesse ammonirla di tapparsi la bocca. Sentiva gay vibes nell’aria. «Vi shippo troppo.»


    Gryffindor | 15 y.o.
    Halfblood | Terminheteror
    She wears black
    but she has
    the most colourful mind.
    I'm in love with your Butterbeer.
     
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    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    La fai facile, tu. Non hai un braccio rotto. Aveva detto proprio così, il ancora per poco prefetto serpeverde con la sua solita espressione seria / quasi annoiata, e quel tono – che sembrava più simile ad un borbottare. Come c'era finito in quella situazione? Oh giusto, colpa di alcune teste calde all'interno della scuola. Tre mesi sarebbero stati abbastanza, in ogni caso. Abbastanza per allentare la tensione, senza avere sulle spalle quella carica di prefetto che sì, gli piaceva anche se alcune volte neanche troppo. Tre mesi di riposo, per così dire. Tre mesi per - attenzione – tornare più carico di prima. Ciò stava a significare che sarebbe stato più cattivo, scrupoloso, maledettamente rigido? Yasss. No, la verità è che ci metti un'ora a prepararti! Con o senza braccino monco. Aveva detto il riccio, penzolando a mezz'aria il proprio braccio sano – imitando Charlie. Il serpeverde aveva già portato lo sguardo su Chris, giusto per assottigliare gli occhi e fulminarlo, notando il gesto. Tuttavia, aveva completamente ragione. Charlie forse non si rendeva conto che ogni volta impiegava ore nel prepararsi – anche se questo voleva dire far aspettare una ragazza ad un appuntamento. Per Chris era diverso: lui si metteva la prima cosa che trovava – pulita o sporca non faceva alcuna differenza. Allora insegnami tu, guru della moda. E già che ci sei dimmi perché hai abbinato quei pantaloni a quella maglia, mh. A quanto pare abbiamo il figlio di Enzo Miccio tra di noi. Ma come ti vesti?! Lo aveva squadrato da cima a fondo con un tono sarcastico nel pronunciare guru - solo per far notare a Chris che non aveva affatto, secondo lui, buon gusto nel vestirsi. Quindi la prossima volta mi porti a fare shopping con te, carA? Stizzito, Charlie decise di far cadere il discorso rivolgendo una smorfia all'altro ragazzo, visibilmente nauseato per quella proposta che somigliava tanto ad una presa in giro. Certo, l'espressione divertita di Chris – ammiccando anche con l'occhio destro - non era molto d'aiuto al serpeverde, che in quel momento avrebbe preso volentieri a mazzate sulle gengive il riccio di fianco a lui. Chiudi quella bocca, altrimenti.. Neanche il tempo di finire la frase. Altrimenti cosa? Mi colpisci le palle con il gesso? Aveva sbuffato divertito - con una risata - prendendo una sigaretta dal pacchetto quasi vuoto per appoggiarla con davvero poca classe sulle labbra, alla ricerca dell'accendino. In effetti, posso. Aveva replicato con un tono serio, fissando Chris che però non accennava a voler smettere di ridacchiare. Come per dire “stai attento, ho intenzione di colpire quando meno te lo aspetti”, anche se al riccio non interessava minimamente. Troppo preso ad accendere la sigaretta. Hai preso la roba? Vuoi andare alla festa o preferisci stare qui impalato, come un idiota? Aveva cambiato discorso in un secondo, stavolta con un tono ed un'espressione davvero interessata - solo perché aveva bisogno di una risposta. Insomma, il serpeverde si era messo tutto in tiro per niente? Di questo passo lo avrebbe lasciato in quella piccola via di Hogsmeade, recandosi alla festa senza la regina il re della moda. Mhmh, ho la fiaschetta dentro la tasca dei jeans e qualche pasticca. E non sono un idiota. Aspirando da quella sigaretta, Chris gli aveva fatto cenno di seguirlo – possibilmente ad un passo piuttosto veloce, non voleva perdersi la festa – senza dire altro durante il tragitto che li avrebbe portati di fronte alla destinazione. Chris, con le mani nelle tasche del giubbotto e Charlie, con un braccio ingessato, si erano avvicinati all'entrata – inutile dire che uno sembrava appena uscito dall'ospedale e l'altro pareva essere strafatto di red bull. Il serpeverde si era fermato per qualche secondo a guardare uno dei due ragazzi fermi all'entrata – cercando di ricordare dove poteva averlo già visto. Ciao Gli aveva infine rivolto parola, fissando la pittura sul suo viso – senza aver paura, magari, di poter inquietare il ragazzo / ovvero Fergie. Perché vi siete truccati? Non è carnevale. Oh oh, Capitan Ovvio. Ma che simpaticone. Tuttavia era una domanda seria, e non si curò molto di Chris – che intanto aveva accettato di buon grado / forse troppo / di farsi dipingere la faccia dall'altro ragazzo.
    Charlie A.
    & Christopher Garnier
    16 / 17 y.o.
    C'mon barbie, let's go party!
    26.12.2018


    Arrivano alla festa - Chris si lascia dipingere il viso da Frankie, e Charlie scambia qualche parola con Fergie! :pervi intensifies:


    Edited by u m e - 27/12/2018, 11:25
     
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    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    «perché continui a seguirmi?» Ne aveva avuti di fan strani, nel corso della sua vita, ma non si era mai ritrovato costretto a viverci insieme. Ed ad una come Rowan Quinn era difficile dire di no in modo brusco, ogni qual volta la ragazzina lo implorava affinché potesse accompagnarlo quando lasciava la villa di Harvard Hilton o anche solo quando lasciava la cucina «mi sei simpatico» non poteva esiger un po' di tranquillità rivolgendosi in modo brusco alla ragazzina, non quando quest'ultima aveva passato quasi sei mesi completamente sola, dal loro arrivo in quell'universo, e soprattutto non quando a viver sotto il loro stesso tetto c'era victoria quinn: la ragazza gli faceva troppa paura anche solo per rischiare di ferire i sentimenti di sua cugina. «e poi sei famoso » /ah, ecco/ Apprezzava la schietta onesta della Quinn. Non che, del resto, la sua popolarità contasse più qualcosa in quel mondo: nelle indagini fatte insieme a domi erano arrivati alla conclusione che, lì, erano sfigati. Qualcosa di davvero assurdo a cui credere, per uno come il Campbell che era letteralmente cresciuto nella fama, guadagnata quando era solo un bambino: sua madre li aveva praticamente fatti crescer negli studi di Disney Channel. Li, perchè la vita di Beh e Meh era sempre stata identica: dopo cinque anni, non aveva ancora metabolizzato il fatto di non aver più il gemello al proprio fianco, e dubitava di poter mai esser in grado di farlo. Più volte di quante fosse disposto ad ammettere assisteva a qualcosa e non vedeva l'ora di raccontarla a Meh, così come gli capitava di provare una nuova pasticceria e comprare un pezzo di torta a Phoebe, sicuro che alla sorella sarebbe piaciuto da matti: erano momenti in cui dimenticava di averli persi entrambi, per sempre. Era rassicurante, vedere quanto fossero felici in quell'universo i Losers, ed a Beh era bastato osservarli da lontano, senza intromettersi: certo, era rimasto parecchio sconvolto nello scoprire che i gemelli di cognome facessero Tryhard e non avessero rapporti con Phoebe, ma perlomeno tutti e tre erano felici. E vivi, soprattutto. Al Campbell bastava quello.

    «dai andiamo, così non rischiamo di far tardi alla festa» Row dubitava che qualcuno avrebbe fatto caso al loro ritardo, ma tenne i suoi pensieri per sé: del resto voleva arrivare in tempo. Prima di loro, giusto per avere un attimo per riflettere e valutare se andarci a parlare o meno. Cioè, voleva davvero farlo, anche solo per capire se sapessero qualcosa, ma allo stesso tempo aveva un po' paura: ci aveva già provato una volta, fallendo miseramente, quando due giorni prima era andata a comprare una copia di "Extraterrestri Fantastici e dove trovarli" e trovandosi faccia a faccia con Barry non era riuscita a far altro che sorridere imbarazzata e poi mettersi a far commenti sugli alieni. Era strano, dopo tutti quegli anni, scoprire che quella per gli extraterrestri era una passione ereditata da suo padre: per Row, papà sarebbe per sempre stato Richard Quinn. Ma aveva deciso di affrontare quella situazione dopo aver confessato tutto a Vic, e quest'ultima le aveva consigliato di pensarci bene, prima di ignorare la lettera. Di non ripetere lo stesso errore di Gwendolyn.
    «lei se n'è pentita troppo tardi, row. Non fare la stessa cosa» Aveva pensato che voler bene a Dom e Cillian come genitori avrebbe, in qualche modo, tolto qualcosa al suo rapporto con Sebastian, per poi rendersi conto che fosse giusto amare tutti e tre allo stesso modo. E Row, naturalmente, aveva subito deciso di seguire quel consiglio. Il come era ancora un problema.
    Non appena arrivarono, la ragazza corse verso Fergie e Frankie, accelerando il passo quando notò la vernice: aveva già sospettato qualcosa spiandoli osservandoli durante i preparativi all'evento, ma scoprire che le sue ipotesi erano giuste le mise ancor più felicità. Arrivata davanti a loro, spalancò le braccia e chiuse gli occhi, pronta a esser riempita di colori «DIPINGETEMI COME UNA DELLE VOSTRE RAGAZZE FRANCESI» Avvertì i passi di Beh alle sue spalle, e sentì chiaramente un sospiro sconsolato del ragazzo «...a me risparmiate i capelli, vi prego» non sapeva che dicendo così, fergie gli avrebbe chiaramente sporcato anche i capelli?? Che scemo. «per caso -per caso, eh- Barry ed Amalie sono già arrivati?? O almeno verranno???» For science . E vabbè, poteva tranquillamente passare per una psycho shipper qualunque.
    Che, tra parentesi, era.
    Behan C.
    & rowan quinn
    21 y.o. / 16 y.o.
    famous / gryff
    26.12.2018
     
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    Spiegami ancora una volta perché lo sto facendo. Imogen non era una ragazza particolarmente paziente e, anzi, molti suoi compagni erano quasi intimoriti dalla sua personalità. Aveva rivolto un veloce sguardo ad Augustus, incrociando le braccia al petto prima di alzare gli occhi al cielo e sbuffare sonoramente. Perché ho preso in ostaggio la tua 3ds e vuoi riaverla, vero? Era vero. Vero. E se voleva avere indietro quell'oggetto quasi essenziale, doveva per forza accompagnarlo alla festa a cui era stato invitato. Ma poi, perché proprio lei? Aveva incontrato quel ragazzo per puro caso – un giorno, ad Hogsmeade – e le era sembrato subito che avesse bisogno d'aiuto. Aveva seguito l'istinto, evento forse più unico che raro, dato che sentiva un certo legame versi di lui, a pelle. E potete tutti immaginare il seguito; non si sono più separati. O meglio - lui si era attaccato alla rossa come un polipo. In più, non era certo il tipo di ragazzo che passava inosservato – e non in senso buono – e alla rossa era capitato più volte di ritrovarsi occhi puntati addosso da sconosciuti per colpa sua. Tuttavia, c'era da dire che era molto bravo con i videogiochi, quasi quanto lei – tanto che le era capitato di perdere un paio di volte. Anche questo, era un evento molto raro. Lui, d'altro canto, non aveva problemi ad approcciarsi alle persone che gli stavano intorno – anche se la maggior parte lo riteneva un personaggio da circo o casa degli orrori. “Ma sei completamente tatuato o è un trucco?!?” - è tatuato. Dappertutto. Dopo questa delucidazione, alla sua faccia ci si può benissimo abituare – proprio come ha fatto Imogen. All'inizio si era ritrovata spesso a fissarlo come una scema, chiedendo cose tipo “Ma ha sentito dolore?” - “Perché sei completamente tatuato?” - e altre domande simili, a cui lui aveva risposto senza alcun problema. Un paio di settimane più tardi, aveva chiarito qualsiasi dubbio della ragazza, che nel mentre lo aveva aiutato a nutrirsi, vestirsi, e a cercare insieme a lui altre persone. I suoi amici. Le sembrava una specie di videogioco, in cui lei era una detective e lui un povero pargoletto smarrito. Doveva scoprire da dove veniva quel misterioso ragazzo, e perché era di vitale importanza riconciliarsi agli altri. Ma quindi sono tutti come te? Aveva alzato le sopracciglia, continuando a camminare di fianco al ragazzo – molto più alto di lei – rivolgendogli uno sguardo per avere la risposta, che non tardò ad arrivare. No! Solo io sono come me stesso. Insomma, quel discorso non faceva una piega. ...Giusto. Mi sembra..logico. Anche se la sua espressione lasciava intravedere ben altro – perché, per l'appunto, non era affatto convinta da quell'affermazione. A tratti, quel ragazzo le pareva più che altro un alieno venuto da chissà quale pianeta, a conquistare il mondo. O a visitarlo da perfetto turista, in maschera. C'era un che di logico nella sua mente, potete starne certi. Pronta a far baldoria? A quelle parole, la rossa inchiodò bruscamente – corrugando la fronte, totalmente in disaccordo. No, no, no! Non si è mai parlato di andare insieme alla festa! Dovevo solo accompagnarti, girare il culo nella parte opposta e svignarmela a gambe levate! Non esiste che io venga là dentro, puoi scordartelo. Le ultime famose parole. C'era da dire che, vedere un ventenne insieme ad una ragazzina di appena quindici anni non era proprio l'idea più geniale del mondo – chiunque poteva fraintendere – e agli occhi altrui, lui poteva benissimo passare per un pedofilo. Oppure, cosa molto più improbabile / ma non impossibile, lo avrebbero scambiato per un bodyguard – dato che la stazza c'era tutta, e perfino il viso da “toccala e ti spezzo in due”. A modo suo, incuteva timore a prima vista. Si erano avvicinati alla tenda in questione – Imogen conosceva il posto molto più di lui, pareva, anche se ancora non aveva la ben che minima intenzione di entrare. Per questo aveva le braccia incrociate ed il broncio. Oh andiamo, sarà divertente! E poi guarda, ci dipingono la faccia! A quel punto – con la pazienza quasi del tutto esaurita – si rivolse al ragazzo con lo sguardo più cattivo del mondo. Gas, hai già la faccia dipinta. E in questo momento preferirei essere in camera mia, a giocare alla console che tu mi hai preso. Se ne era uscita così – con una freccia dritta alla schiena del ragazzo, prima di superarlo per avvicinarsi ai due davanti l'entrata. Alla fine aveva dovuto farlo – questo e altro per riavere indietro la sua 3ds. Augustus l'aveva seguita con un sorriso soddisfatto – dato che alla fine lei sarebbe entrata insieme a lui – mettendo le mani sulle spalle della rossa, nel guardare Frankie con la speranza di non fargli paura / cosa molto improbabile. Dipingici la faccia!Non farmi sembrare ridicola. Le due facce della stessa medaglia.
    Imogen F.
    & Augustus Foster
    15 y.o - pureblood
    20 y.o - special
    26.12.2018
    canon / au

    Arrivano alla festa e parlano con Frankie :ihihih:
     
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  7. chrysalism
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    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    « Sono molto deluso dal tuo comportamento, Iphigenia. » Suo padre la osservava come si fa con il fantasma di una persona a cui, un tempo, avevi voluto bene. La delusione che trapelava dalla sua espressione sembrava bruciarla come fuoco sulla pelle. E Virginee fu costretta ad abbassare lo sguardo, colpita da quelle parole più di quanto avrebbe voluto. Aveva tentato di rimandare quel discorso il più possibile, tentando di godersi le vacanze di Natale come una normale adolescente - cosa che non sentiva di essere da troppo tempo, e che forse non era mai stata. Era conscia del fatto che prima o poi avrebbero dovuto affrontarlo, ed una bella cena di famiglia era proprio l’occasione perfetta. « Non ero andata lì per fare ribellione. » Provò a spiegare i motivi che l’avevano spinta a recarsi in Sala torture la famigerata sera dell’occupazione. « Ero andata lì per - »
    Ma suo padre la interruppe prima di lasciarla terminare. « Non mi interessano i motivi per cui eri lì. Non dovevi esserci. Dovevi stare nel tuo dormitorio. » Fredde, quelle parole sferzavano l’aria come fruste. Non sapeva perché ci tenesse a dare a suo padre una buona impressione di sè, quando lui incarnava gran parte degli ideali contro cui combatteva.
    Strinse i pugni, Virginee, perché sapeva che, in realtà, suo padre in parte aveva ragione. Chinò ancora la testa, lasciando che delle ciocche chiare di capelli le coprissero il viso. Non si era mai sentita così sottomessa come quando si trovava a casa sua, eppure non sarebbe mai riuscita ad immaginare un universo alternativo senza la sua famiglia. Percepiva lo sguardo inquisitorio di suo padre sopra di sè, e non aveva certo risparmiato una pessima occhiata sulla cicatrice a forma di R che le era stata incisa sull’avambraccio come punizione.
    « R come ribelle. » Continuò George, con tono neutro, mantenendo una compostezza invidiabile, mentre sul suo volto era presente una chiara espressione di disgusto.
    La ragazza avrebbe voluto sputargli in faccia tutto il suo pensiero, ed ammettere quanto fosse fiera di quell’appellativo che, troppo spesso, veniva utilizzato come un’offesa. Ma rimase in silenzio, limitandosi a giocare con il cibo che era rimasto nel piatto in ceramica.
    Sua madre posò una mano sulla spalla di suo padre, e con tono dolce tentò di salvare il salvabile. « Non ti agitare, George, conosco un mago da amortentia che saprà farla sparire. »
    Suo padre annuì, ma sembrava non aver terminato ciò che aveva da dire, ne aveva fin troppe di cose da tirare fuori. « Per non parlare di Perses, poi, e della gente che frequenta. Spero tu non faccia i suoi stessi errori, Iphigenia. Sii come tuo fratello, non come tuo cugino. »
    E con un accenno del capo indicò Kallistos Sinclair, dall’altro capo del tavolo.
    Al silenzio di Kal, Virginee sembrò accendersi di un fuoco che non aveva avuto prima, più vivo.
    « Perses ha creduto nelle persone sbagliate. Capita di commettere un errore. » Ricordò le parole di Charles Dumont, che si fecero spazio dentro di lei come un coltello, di nuovo. Ricordò le sue minacce riguardanti suo cugino e non poté fare a meno di pensare che fosse solo colpa sua. Sapeva di star seguendo il gioco del Governo, che più di ogni altra cosa avrebbe voluto metterli gli uni contro gli altri, e se doveva dirla tutta, dopo aver visto le foto del volto tumefatto di suo cugino comparire sui giornali, e dopo aver visto lo stesso dal vivo, Virginee non poteva astenersi dall’odiare coloro che erano egoisticamente scomparsi, lasciando i loro amici nella merda. « Per di più...Jourdain, non mi piace. Te l'ho sempre detto. » Virginee strinse tra le dita la forchetta.
    « Mi fido di lui. » E poi, lo disse, non credendo alle proprie orecchie. « Non mi interessa cosa pensi. » Suo padre parve strozzarsi con il suo stesso bicchiere d'acqua, che all'improvviso parve più amara. Si asciugò la bocca, recuperando un contegno.
    « E tu, Kal, non hai niente da dire? » Virginee portò lo sguardo su suo fratello, seduto fin troppo distante da lei. Quel tavolo era decisamente troppo grande per quattro persone. Lo sguardo distaccato di Kallistos era talmente affilato da ferirla. D'altro canto il ragazzo aveva ascoltato poco e niente di quel discorso, sapendo già come sarebbe andata a finire. Nascose meglio sotto il tavolo il cellulare, con sopra aperta la pagina di Pinterest che non aggiornava da tre mesi (per Dio!!!11!) In risposta sollevò appena un calice contenente un liquido color ambra chiaro, il cristallo era talmente sottile da sembrare invisibile.
    « Here’s my cup of care. » E portò il calice dal bordo dorato alle labbra finendo il poco contenuto troppo velocemente. Riguardò prima Virginee che, di rimando l’osservava interrogativa, poi sua madre ed infine suo padre. « Oh, look, it’s fucking empty. » Stronzo, inutile, antipatico, decisamente poco divertente. Tanti aggettivi potevano essere detti su Kallistos Sinclair, ma che non fosse sincero no, mai. E che non avesse un orgoglio ancora meno.
    La verità era che se sua sorella era un’idiota, e suo cugino non sapeva scegliersi gli amici, non era certo un suo problema. E la risolveva così, fingendo che la questione non lo toccasse nemmeno un po’, ma in realtà persino lui poteva dirsi colpito dal comportamento che Virginee aveva assunto negli ultimi due anni. Era cambiata, e Kallistos non riusciva a capire quale fosse il motivo. Non capiva perché tra di loro non ci fosse più il dialogo che c’era stato un tempo, non capiva perché lei avesse deciso di tagliarlo fuori dalla sua vita, ed era per questo motivo che, all’apparenza, la odiava. Se avesse saputo che era entrata nella Resistenza, che era stata costretta a mentirgli più volte per il bene di quella causa, forse e solo forse, avrebbe capito il suo comportamento. Ma non ne sapeva niente, e davanti ai suoi occhi si palesava l’immagine di una ragazzina bugiarda che un tempo era stata sua sorella. E faceva troppo male, ammettere di non avere più il primo posto nel suo cuore, nè di avere un minimo spazio là dentro, faceva così male che era lui il primo a tentare di sabotare il loro rapporto da ormai troppo tempo.


    Qualche ora più tardi, i Sinclair avevano deciso di darsi una tregua l’un l’altro dopo quella che si era rivelata una cena di famiglia impegnativa. Virginee a volte detestava suo fratello per i suoi comportamenti, ma poi si ricordava di essere lei quella in torto, la bugiarda che l’aveva tagliato fuori dalla sua vita perché non avrebbe potuto essere altrimenti. Non poteva parlargli della Resistenza, non voleva coinvolgerlo in una causa a cui, lo sapeva, Kal non credeva come avrebbe dovuto. E nonostante fosse la sorella minore ci teneva a lasciarlo in quella sorta di protezione data dall’ignoranza.
    « Perché devi essere sempre così stronzo? Non potevi appoggiarmi stasera? »
    Domandò, mentre entrambi si avviavano verso il luogo che sapevano avrebbe ospitato una festa interessante. Si strinse nella sua giacca bianca, nascondendo l’outfit della festa che compendeva un dolcevita blu elettrico e pantaloni neri aderenti. Kallistos sollevò le spalle non sapendo dove andare a parare, per cui scelse una risposta diretta e sincera. « Non sono stronzo, riconosco che il nostro paparino ha ragione, sei stata stupida Iphigenia. » Ridacchiò divertito. Quella sera aveva scelto un abbigliamento semplice, dolcevita nero con pantaloni dello stesso colore – tutto di nero al buio poteva essere più molesto #wat.
    Virginee gli diede un colpo sul braccio, senza spostarlo di un millimetro. « Smettila. »
    Ma non se la prese più di tanto per averla chiamata con quell’odioso nome: alla fine le apparteneva. Non riusciva a tenergli il muso troppo a lungo, necessitava della sua approvazione almeno quanto quella di suo padre. Sospirò e si strinse di più a lui, ringraziando i poteri dell’ossofast che le consentivano una camminata quanto meno spedita, sebbene la caviglia le facesse ancora male dopo la punizione in sala torture. Si avvicinarono al tendone dal quale non si intravedeva nessuna luce e Virginee raggiunse uno dei due ragazzi, felice di farsi dipingere il volto. « Per stanotte accantoniamo gli ottant’anni e facciamo finta di averne sedici. Mi disegni un sedici qui? » E porse la guancia destra a Fergie.


    Kallistos osservò i presenti alla festa con l’espressione snob che lo caratterizzava dalla nascita e che non era dettata da niente se non da una fortuita combinazione genetica. Orripilato lo sguardo si soffermò sulle paffute guance di Hazel McPherson e la sua goffa presenza. Era talmente brutta da guardare e da sentire che Kal non si spiegava come certa gente potesse nascere così sfortunata. Si era appena fatta dipingere la faccia con la vernice dai due ragazzi ai lati dell’ingresso alla tenda. Sorrise, Kallistos, ma più che un sorriso quello parve un ghigno malefico. La tipica espressione di chi aveva in mente qualcosa di non troppo carino. Si soffermò per farsi fare due righe in faccia da Frankie, mentre sua sorella faceva lo stesso con Fergie. Diede una pacca al tipo per ringraziarlo prima di entrare dentro la tenda e fiondarsi sulla nana Grifondoro. « La piccola McPherson. » Era così bassa da fargli venire il torcicollo ogni volta che provava a guardarla, ecco perché il più delle volte, Kal non la guardava, preferendo parlare al vento. « Sapendolo avrei portato con me un cavatappi. » Ma poi si rese conto che non era sola, e si trovava in compagnia del suo altissimo e strambissimo fratello. « Ma ci hai già pensato da sola. » Ghignò. Non era sua intenzione apparire simpatico, davvero. Gli veniva naturale. Perchè si divertiva a molestare una più piccola? Perchè quella non era una ragazzina qualsiasi, era l'anticristo e Kal lo sapeva.
    virginee
    & kallistos
    SINCLAIR
    16 / 17 yo
    slyth / gryff
    rebel / death
    cheer / quidditch



    Virgie da Fergie
    Kal da Frankie
    Kal molesta Hazel
     
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    I am not a hero.
    I am a loser scientist.
    “Halley, ti prego.”
    Non era solito supplicare, Hunter, ma negli ultimi giorni si era ritrovato a dover chiedere il permesso alla sorella per fare qualsiasi cosa: dall’alzarsi per andare a prendere un bicchiere d’acqua, all’andare in bagno. Non era così che funzionavano le cose! Di solito era lei a chiedere e lui a rispondere “No”, appunto. “Eddai...”
    Mise il broncio, le labbra tirate in giù dai pesi invisibili di quel capriccio fin troppo infantile anche per i suoi gusti. La verità era che già non ce la faceva più ad essere confinato nel suo lettino dell’Istituto, gli sguardi severi dei Custodi che aspettavano solo il momento giusto per sottolineare quanto il suo comportamento avventato avesse potuto, addirittura, minare l’intera missione per cui erano tornati indietro nel tempo; non sopportava l’impossibilità di riuscire a stare in piedi sulle sue stesse gambe per un lasso di tempo che non superava i 20 minuti, o, peggio, di poter utilizzare uno dei suoi skateboard. Non poteva suonare senza provare una fitta lancinante all’altezza del ventre, dove i punti di sutura tiravano ad ogni respiro. Era andato al San Mungo contro la sua volontà, costretto dalla bionda che minacciava di stordirlo e di portarlo lì a tradimento, la diagnosi già conosciuta da entrambi: la maledizione della Queen ci avrebbe messo più del previsto a guarire, non era un semplice Diffindo, piuttosto una sua formula alterata, modificata per far sì che la pelle evitasse di cicatrizzarsi nell’immediato, prolungando in questo modo la sofferenza della vittima.
    “Non se ne parla.”
    Socchiuse gli occhi, evitando di sbuffare davanti a quella versione bacchettona di Halley che gli metteva, seriamente, i brividi.
    “È una festa, cosa può succed-?”“E poi cosa facciamo se ti dovessi sentire male? Se qualcuno dovesse tirarti una gomitata sulla ferita? E se questa si dovesse riaprire? Mh?”
    Vide la Grifondoro avvicinarsi con fare minaccioso e, istintivamente, si portò una mano sul ventre, schermandolo da un eventuale attacco fratricida della bionda, volto a supportare le sue tesi. Non che avesse tutti i torti, sia chiaro, ma il Corvonero aveva deciso che non sarebbe rimasto a marcire un secondo in più in quel letto, che non gliel’avrebbe data vinta. Non alla Queen. Non alla Scuola. Non al Regime.
    “Ci sei tu per questo! Farai pentir loro di essersi avvicinati e, se dovessi stancarmi, evoco una sedia… una poltroncina, così sto più comodo? Dai, posso anche medicarmi da solo se si dovesse riaprire! Non esco da cinque giorni…”
    Scherzava Hunter, aveva messo su un sorriso che non sentiva fino in fondo e sapeva che Halley non se l’era bevuta. Avevano detto niente più bugie, niente più segreti, eppure lui si ostinava a cercare in quei giorni qualcosa di positivo, una bugia bianca da raccontarsi per alleggerire il peso della realtà. Non gli era sfuggito lo sguardo grave della sorella quando aveva ripreso i sensi in Infermeria, gli occhi rossi, gonfi e lucidi che aveva tentato di nascondere alla sua vista. Così come non gli era sfuggita la rabbia e la frustrazione, il senso di vuoto e di impotenza che si celavano dietro le iridi di quell’azzurro così intenso da far paura, perché sapeva che dietro di esse vi fosse un mare in tempesta.
    “Non è vero.”
    Touché.
    “Il Ministero non conta.”
    Tagliò corto, la voce improvvisamente più bassa, la mano che andava a stringere le bende che andavano a coprire il suo nuovissimo marchio che gli decorava il polso, quella lettera scarlatta che sarebbe dovuta servire da monito per non compiere più atti di ribellione e che, invece, non aveva fatto altro che alimentare quella scintilla di resistenza che albergava in lui. Erano trascorsi cinque giorni dalla riunione in seduta comune del Corpo Docenti e, di conseguenza, dall’incontro ravvicinato con la Queen. Quello non era stato che l’antipasto di una punizione che lo stava spezzando e logorando più del taglio, da parte a parte, che gli aveva squarciato il ventre. Ogni giorno si dovevano recare al Ministero e affiancare Pavor, Cacciatori e Torturatori nelle loro mansioni quotidiane. Fu quando gli ordinarono di operare con la professoressa di Pozioni che svenne la prima volta. Dissero che era troppo debole per la Maledizione che avrebbe dovuto lanciare, la verità era che il suo stesso corpo, non solo la bacchetta, si stava rifiutando di fare del male. Non era quello il tipo di intervento che avrebbe voluto fare, non se implicava rischiare di strappar via una vita per ottenere delle informazioni. Hunter era contro la violenza e, già in quei primissimi giorni, ne aveva vista abbastanza per stare a posto per le prossime 5 vite.
    “Sei svenuto, Hunter, e più di una volta! Sei ancora troppo debole. Non riesci neanche a mangiare!”
    Stette in silenzio per qualche istante, lo sguardo ferito fisso sull’orlo del lenzuolo, incapace di guardare verso la sorella. Aveva colpito lì dove sapeva facesse più male. Era debole. Debole di spirito, debole fisicamente, debole mentalmente. Serrò le labbra in una linea sottile, incapace di ribattere. Odiava sentirsi impotente, odiava sentir venir meno le forze ogni volta che al suo corpo era richiesto uno sforzo che fosse superiore al semplice respirare. Odiava non avere un decimo della forza della sorella, essere sottile come un Asticello e correre sempre il rischio di essere schiacciato. O spezzato. Sapeva che Halley si riferiva esclusivamente al fatto che in quei giorni fosse più deperito del solito, che l’incapacità di nutrirsi gli aveva fatto perdere almeno tre kg e che, continuando così, sarebbe scomparso a breve, ma non fu in grado di non riempire quelle parole con le sue paure e con i suoi timori.
    Capiva Halley, aveva passato una vita a rincorrerla e ad assicurarsi che si rialzasse dopo ogni caduta, poteva immaginare cosa frullasse nella mente iperattiva della Grifondoro, era in grado di leggere sul volto i suoi pensieri e le sue preoccupazioni, ma al posto di starsene buono come avrebbe dovuto, si impuntava sulle cose all’apparenza più insignificanti. Avevano passato gli ultimi due giorni a litigare sul loro primo tatuaggio, perché la bionda aveva deciso di rimandare l’appuntamento e prenotare un’altra data, quando lui non voleva far altro che incidere qualcosa di diverso sulla sua pelle, qualcosa che lo aiutasse a non pensare a cosa aveva appena subito. Se da un lato la Grifondoro era salda nella sua idea di non lasciare che nessuno sfiorasse la pelle del fratello, il Corvonero difendeva la sua convinzione di dover lasciarsi tutto alle spalle e provare a ricominciare. L’aveva ferita dicendo che quella O che spuntava sul suo polso sarebbe stata il pianeta che l’avrebbe rappresentata e non era stato in grado neanche di chiederle scusa. Era arrabbiato. Con tutto e con tutti. Con chi aveva avuto l’idea della rivolta, con i professori, con chi aveva dato modo al Regime di governare le loro vite, con chiunque gli capitasse a tiro. Era come se fosse vittima di quella crisi adolescenziale che aveva quasi saltato a piè pari e che ora aveva deciso di colpirlo a tradimento, prendendosela con l’unica persona gli fosse stata (da) sempre vicino.
    “Per favore. Vorrei soltanto andare a dare un’occhiata, torniamo a casa subito, te lo prometto! Non posso né bere, né fumare, né suonare la batteria o andare sullo skate. Posso solo lamentarmi.” Almeno fino a quando Halley non avesse deciso di lanciargli contro un Silencio e privarlo così anche di quella piccola, effimera, gioia.
    “Sarò la tua ombra.”
    “Come se fossi io quello scomparso alla festa di Hall… Oh! È un sì?”
    Il volto gli si illuminò all’improvviso, le braccia in avanti strette attorno al corpo della sorella in un abbraccio che stava a significare tante, troppe cose.
    “Non ti-” “Sì, non mi lascerai da solo neanche un istante e non farò storie quando mi intimerai di tornare a casa, né quando mi obbligherai a farti un po’ di spazio per dormire incollata a me. Andata… Ora, però, mi servirebbe una mano a vestirmi.”

    […]


    Non era bastato rassicurare Halley delle sue condizioni fisiche per allontanarla dal posto del guidatore della loro macchina d’epoca. Avevano vinto l’opportunità di avere passaggi gratis a vita e sarebbe stato stupido non sfruttare quel mezzo di trasporto magico per raggiungere il tendone dove si sarebbe tenuta la festa. Certo, lasciare la sorella alla guida era come sperimentare una guida, se possibile, più violenta e aggressiva del Nottetempo, ma non aveva avuto abbastanza palle forze per opporsi alla decisione della bionda di mettersi alla guida del veicolo. Doveva mantenersi carico per il party!
    “Sto meglio, davvero.” Affermò portandole un braccio sulle spalle, sfruttando quel vantaggio di altezza che aveva su di lei per non affaticarsi troppo lungo il tragitto che li separava dall’ingresso. Non stava mentendo: avere qualcosa da fare, vedere volti conosciuti in un contesto diverso da quello scolastico o ministeriale stava davvero giovando al suo umore. Sarebbe durato fino al pomeriggio successivo, quando si sarebbe dovuto nuovamente presentare davanti ai Pavor, tuttavia era intenzionato a viversi al meglio quell’ora d’aria.
    “Credo di aver visto Hazel e Charlie entrare e… Quello non ti sembra Beh, ma più vecchio? Dici che…?”
Oh. OH. O H . AU! “Dove ha lasciato Meh? Dovremmo salutarlo? Ma non ci conosce.”
    Si avvicinarono all’ingresso e impallidì una volta riconosciuto il volto di Fergi tra i buttafuori? Buttadentro? Organizzatori della festa. Si passò le dita sull’orlo della maglietta, tirandola appena, provando a prendere aria e contrastare quella vampata di calore improvvisa chiamata anche profondo senso di disagio. Perché era lui che lo aveva beccato nell’Avis, vero?
    Cazzo.
    “Ti prego, non fucsia.”
    Hunter Oakes | 17 y.o.
    2043: Uran Jackson
    10.09.2001 | 10.06.2017
    Ravenclaw


    Edited by Messier_43 - 28/12/2018, 11:00
     
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    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Non c’era bisogno di spostare lo sguardo dal proprio riflesso per rendersi conto di avere un altro paio d’occhi puntati contro la propria figura. Provava ancora i brividi ogni volta che incontrava quelle iridi identiche alle proprie, se non fosse per il guizzo di vivacità che le sue avevano ormai perso. Osservare Chelsey Weasley era come osservare la vecchia versione di se stessa, quella prima della ribellione, prima del colpo di Stato, prima dei rimpianti e dei rimorsi che costellavano la sua vita come le stelle nel cielo. Tanti, troppo pesanti per sostenerne il peso da sola.
    “Puoi entrare.”
    Disse atona, senza prestarle attenzione, ancora concentrata sulla linea di eyeliner che stava cercando di raddrizzare e che non ne voleva proprio sapere di uscire. Era la terza volta che ci provava e aveva già dato fuoco a boccetta e pennello nel tentativo precedente.
    “Che fai?”
    Si sentì domandare con curiosità, la chioma rossa della ragazzina che occupava gran parte del suo campo visivo. La risposta a quel quesito era talmente ovvia che si limitò a sollevare il pennino che aveva tra le dita.
    “E perché ti trucchi? È una festa!”
    Si pentì immediatamente di aver dato il permesso alla sua copia di avvicinarsi, fulminandola con lo sguardo. No, non era affatto dell’umore per poter interagire con lei e con la sua parlantina. In quei pochi giorni che avevano trascorso insieme aveva quasi capito perché Hyde fosse restio a dar loro ospitalità, temendo che anche lei fosse come la ragazzina con cui condivideva l’aspetto, il nome e, un tempo, anche lo spirito.
    “Dov’è Kain?”
    Domandò curiosa, deviando la domanda e accorgendosi solo in quel momento che il Tassorosso non le stesse ronzando attorno, come era abituato a fare. Non le era passato inosservato il fatto che i due fossero quasi inseparabili e che, quando non erano impegnati a battibeccare, andavano fin troppo d’accordo per essere gli acerrimi nemici che dicevano di essere. Così come non era sfuggita a nessuno la presenza costante del Kellergan in quella casa, o il fatto che la sera prima fosse scappato dalla cena di famiglia solo per piombare nel loro appartamento e scambiare i regali con Chelsey. E addormentarsi sul divano mentre lucidava il suo manico di scopa, ma queste sono solo quisquilie.
    Faceva male vederli interagire, completarsi le frasi a vicenda, essere in grado di comunicare anche solo con lo sguardo. Ogni volta che incrociava gli occhi dorati di Kain sentiva un vuoto dentro che non riusciva a colmare. Quella versione che aveva davanti era troppo stupida per essere la sua. Troppo ingenua. Troppo… libera.
    Aveva la sua gabbia dorata, certo, eppure c’era qualcosa di profondamente sbagliato in quel modo di affrontare la vita. Lo sentiva diverso perché era diverso. Un altro mondo, un’altra versione, un altro Kain. Un Kain che non usava il suo potere da Veela – e non sarebbe stata di certo lei ad aiutarlo a sbloccare quel potenziale -, un Kain che tifava le Vespe – poteva essere così sfigato? -, un Kain che non si era ribellato a Berenix Black. Che ancora non aveva mollato Chelsey lì, su due piedi, dopo averle detto che era innamorato di lei. Forse non si sarebbero mai amati quei due quindicenni, forse sarebbero rimasti sempre in quel limbo, in quella realtà ovattata che non li avrebbe mai definiti. Eppure li aveva visti alcuni segnali, come il senso di protezione che spingeva il Tassorosso ad avvicinarsi alla Grifondoro ogni volta che Hyde entrava nella stanza, lo sguardo che si irrigidiva appena ogni volta che li sentiva parlare e lui non era incluso nel discorso.
    Forse avrebbe dovuto fare un passo nella direzione del ragazzo, confortarlo, ma, onestamente, non se la sentiva di immischiarsi in quella storia che non avrebbe fatto altro che allargare prepotentemente quel vuoto che aveva nel petto.
    “Si sta cambiando, viene anche lui.”
    “E tu esci… così?” Incenerì la Rossa con lo sguardo, lasciando perdere per un momento la linea che non stava riuscendo a disegnare per concentrarsi sull’outfit che la Weasley stava per sfoggiare. “Non sei a Hogwarts, non ti farò indossare una simile oscenità.”
    “Ma tu ti sei fatta bionda!”
    “Non osare.”
    Bastò il piccolo trucco dei capelli che prendevano fuoco per convincere la quindicenne a eseguire gli ordini, non a zittirla, quello mai, ma sentire i suoi borbottii era meglio che pensare all’eventuale sguardo di disapprovazione che avrebbe potuto scorgere negli occhi di Chris, l’unica che poteva immaginare il perché di tutta quella cura ai dettagli, lei che se ne era sempre infischiata delle etichette e delle apparenze. C’era una voce che circolava tra gli AU e lei doveva accertarsene di persona. Doveva essere lì quella sera e ci sarebbe andata anche senza i due tirapiedi che si stava portando dietro.
    Sistemò un paio di shorts e una blusa leggera sul letto, intimando il suo clone di indossarli senza fare storie, mentre le preparava gli stivali alti, per ripararla dal freddo. Lei aveva puntato a una camicia bianca, da uomo, che ricadeva morbida su un paio di pantaloni in pelle di drago, aderenti al punto da farle quasi perdere il respiro. Ma era una Dallaire, avrebbe sopportato in silenzio quella che il mondo chiama moda e che lei aveva classificato come tortura. Tornò a truccarsi allo specchio quando sentì gli le iridi celesti della Weasley su di lei, per la seconda volta in pochi minuti.
    Alzò un sopracciglio, intimandole di parlare.
    “Puoi… truccare anche me?”
    Battè le palpebre due, tre volte, osservando la figura sottile alle sue spalle come se le avesse appena chiesto di trasformarla in un pollo allo spiedo, sorpresa da quella richiesta.

    […]


    Camminava dietro Chelsey e Kain, la pesante sciarpa di lana che le copriva il viso, lasciando intravedere solo qualche ciuffo color grano. Sentiva lo stomaco contorcersi di aspettativa, quasi una parte di lei sperasse davvero fosse lì, per quanto statisticamente impossibile. Stupidamente, credeva ancora nel miracolo del Natale, in quella piccola magia in grado di cambiare interamente le sorti del mondo. Certo, era il 26 dicembre e Natale era ben più che passato, ma non riusciva a smettere di pensare a quell’infinitesima chance di incontrarlo lì.
    Cosa avrebbe fatto se lo avesse rivisto? Probabilmente gli avrebbe dato fuoco, ma questo era solo un piccolo dettaglio cui avrebbe pensato solo in seguito. Era inutile studiare 1000 modi +1 per farla pagare a una persona quando ancora non aveva la certezza di poterli mettere in pratica.
    “Hey Frankie! Si prospetta una festa col botto?”
    
Salutò il ragazzo prima di entrare, mentre le metteva la tinta sul viso, e di sorvegliare a vista i due minorenni che stavano con lei. Se non altro, ci avrebbe potuto pensare la Weasley a far saltare in aria tutto, in preda a uno dei suoi lampi di genio. E questa ipotesi era caldamente sconsigliata.
    Chelsey
    Weasley & Dallaire
    16 | 21 y.o.
    Gryffindors
    Fire | Metamorphomagus
    Rebels


    Edited by C h e l l S E Y - 28/12/2018, 10:52
     
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    Non mi fido di te.
    Quale novità. Sarebbe stato sciocco da parte di santo Andrew della nobile casa Stilinski, prioa del suo nome, re dei sandali, degli Auror e dei Primi Uomini, signore dei Sette Vasetti, protettore del Regno, principe di Uova del Drago, Khaleesi del Grande Mare d'Erballegra, il Un-po'-bruciato, Padre dei Draghi, re del Ministero, Distruttore di catene, fidarsi di Newhaven Parker.
    Quindi dovrai sempre indossare questa.
    Ma sti cazzi. Il fatto che comprendesse la (totalmente giustificata) mancanza di fiducia nei suoi confronti, non significava che accettasse di buon grado una maledetta cavigliera elettronica a segnalare costantemente la sua posizione al Grande Capo: era forse un criminale? In quel mondo, un Parker come lui - il quale, principalmente, tendeva a farsi i cazzi propri - non lo sarebbe stato, ma nel loro, mannaggia la miseria, era considerato soggetto pericoloso. Ma vi rendete conto? Solamente perché "il suo comportamento non era prevedibile" - che gli facessero tutti un po' capire: si aspettavano fosse un bot?
    No, Parker, basta che rispetti le regole. Con quale senso mettere delle regole se non ci aspettava che qualcuno le infrangesse? Incredibile. Privo di rispetto. Caso mai aveste voluto illudervi che il ventottenne avesse aderito alla missione di sua libera iniziativa, è mio dovere civico fermarvi subito: chiaramente l'ex Serpeverde non poteva sbattersene le palle di meno di una missione ministeriale (ministeriale! MAGICA!) per nascondere delle fantastiche clessidre contenenti le sabbie del tempo (roba da far arrossire d'invidia il principe di Persia), ma a quanto pareva agli Auror non piaceva farsi i cazzi propri, ed era /proibito/ nonché /moralmente sbagliato/ punire i propri studenti, babbani, facendoli svolazzare da una parte all'altra della stanza. Se avessero dovuto sopportare quotidianamente i drammi del liceo Smith, gli avrebbero chiesto perdono leccandogli il tacco della scarpa - tant'era. Onde evitare "sanzioni" eccessive per aver violato il codice, Newhaven aveva acconsentito a deliziare brillanti ed agguerriti soggetti, realmente interessati al progetto, con la propria meravigliosa compagnia. Alcuni erano stati troppo gentili per fargli notare fosse un peso; altri ci avevano provato, ricevendo in risposta un distratto e tatuato middle finger con su scritto you. Ebbene sì, per risparmiarsi tempo e fiato, pigro e pragmatico dalla nascita, il Parker si era tatuato FUCK sulle nocche, e varie ed eventuali aggiunte (sempre utili) su ciascun dito: non era propriamente un chiacchierone, e preferiva conservare ossigeno per i suoi famosi Sospiri, emblema di "vi odio, giovani" più di centinaia di vocaboli. Fra tatuaggi, sbuffi, ed occhiate eloquenti, Newhaven Parker aveva un dizionario tutto suo, universale e tascabile.
    E perché vi sto narrando tutto ciò? Per giustificare il «adelaide» borbottato a denti stretti, con un evidente fatica di vivere, all'uscio di una villetta qualsiasi di Londra. Non aveva neanche alzato lo sguardo, Parker; osservandosi le dita giusto per avere qualcosa da guardare che non fosse l'ennesima faccia che avrebbe dimenticato, aveva poggiato una spalla allo stipite constatando semplicemente il motivo di quella, forzata, visita. Adelaide Milkobitch non avrebbe dovuto essere lì. Non avrebbe neanche dovuto sapere esistesse un lì. Aveva sempre dato per scontato fosse una babbana come Agatha, Agnes o Luke (beh? Essere una merda di persona non pregiudicava avere amicizie, non lo sapevate? Aggiornatevi, cazzo) ed invece?? Se l'era ritrovata li?? Non aveva dato granché peso alla nana da giardino con la parrucca di Vittorio Sgarbi durante la faccenda, ma a) non solo Regan parlava un sacco (davvero....un....sacco; aveva pensato più volte di piantarla in asso, ma gli faceva tenerezza. Embè? Basta con questi cliché, era un po' stronzo ma non un mostro) di .... chiunque, portando Parker a mettere in dubbio la sua stessa vita sociale, ed in quei mesi gli aveva sciorinato tutti i partecipanti alla missione (Parker aveva perfino finto gli importasse: quel mondo lo stava già cambiando. Fottuto au-ossigeno) ma b) dato che la sua vita non aveva fatto abbastanza pena e compassione nei mesi precedenti, dopo una Regan gli era toccato un Andy, il quale aveva - per motivi non meglio precisati - deciso che il telecineta l'avrebbe aiutato a trovare gli altri. ??? Ma perché avrebbe dovuto. Non avrebbe approcciato neanche i due ragazzini, una certa....vicky? E il suo amichetto...mika? (No, rain - no, ma era qualcosa del genere? Vabbè) se non avesse pensato che potessero sapere dove trovare, boh, Elijah o Dakota o Amalie, così che Parker potesse scaricare la bionda senza sentirsi troppo in colpa. Non che Newhaven non amasse suo fratello, anche lui a spasso in quella realtà, ma ...insomma, il telecineta era chiaramente (seppur in metafora) un lupo solitario. Il piano del Parker minore era trovare gli altri all'ultimo, ma ultimo ultimo, e farsi riportare a casa senza gli stupidi convenevoli della collaborazione che avrebbe implicato approcciarli priva del previsto.
    Pensare che potesse, intenzionalmente!, aiutare la causa, denotava un ottimismo che rasentava l'idiozia.
    Ma vabbè, era andata così.
    Questo per spiegare come Parker sapesse della reale esistenza della Milkobitch, ed avesse un concreto indirizzo a cui andarla a recuperare.
    Non ricevendo risposta, alzò pigro gli occhi blu di fronte a sé.
    E li abbassò di nuovo, l'abbozzo di un ghigno divertito a sfiorare le labbra. «bifolco» era l'unica persona sulla faccia della terra ad usare bifolco come insulto - aveva un vocabolario davvero peculiare, la bionda. «non sapevo fossi una di noi» Adelaide Milkobitch era, come Sara amerebbe definirla, una Betta: minuscola, adorabile, e terrificante. Seppe di aver fallito da qualche parte quando la vide, elegante e quieta, incrociare le braccia sul petto. «cafoni? non lo sapevi perché non la sono, una di voi» che permalosa. Parker sollevò gli occhi al cielo alla ricerca di una risposta che non fosse fottiti, e quando aprí bocca riuscì infatti a dirle «fottiti», perché come volevasi dimostrare, Dio non esisteva ed al Serpeverde toccava tutta la fatica di salvarsi da solo. «cosa sai fare?»
    «cani»
    «uh?»
    «farfalle»
    «...»
    «acquile»
    E con quale tono tranquillo, figli miei. Parker batté le ciglia cessando di darle corda, perché - lo sapeva - Ads avrebbe potuto continuare per giorni ed anni, tutto il tempo che sarebbe occorso al telecineta per comprendere i propri errori e domandare umilmente scusa.
    «non di origami»
    «infatti parlavo di ombre cinesi»
    «ads.» La bocca della donna si curvò in un sorriso divertito e leggero, gli occhi blu a luccicare di mite malizia. «parker» il tono melenso di lei non ammorbidí l'arido, ed offeso, sguardo del telecineta. Razionalmente sapeva di avere le sue stesse colpe, considerando che anche lui non le aveva mai detto nulla, ma? Niente ma, doveva solo trovarsi nuovi hobby.
    «hai finito di fare la finta tonta?» «no. e tu lo stronzo?» Il sorriso di Parker si fece più sincero sotto la pressione dei denti, e le concesse umilmente un cenno del capo.
    «no.»
    Ma andava bene così.

    «non è una palla, Newhaven» ringhiò la Milkobitch, in quel tono secco ed asciutto che un CJ Hamilton avrebbe colto al volo per quel che era: un breve preavviso prima della tempesta. Ads inspirò dalle narici e si chinò per raccogliere Uovissimo, il Togepi di Parker, e stringerlo (dolendo) al petto. Quell'infame del telecineta l'aveva preso a calci una volta di troppo, e se l'avesse visto alzare un'altra volta il piede, gli avrebbe piantato un tacco nell'occhio.
    Nessuna metafora, e nessuna minaccia: era una promessa ed una constatazione. «è malvagio» «anche tu saresti malvagio se ti prendessero a calci» l'altro le sorrise come se con quell'affermazione, si fosse risposta da sola.
    L'aveva fatto?
    Lo osservò per un paio di secondi senza battere ciglio, scuotendo poi il capo per proseguire verso la tenda. Le sembrava così...assurdo, fosse reale - fosse parte di quel mondo. Non aveva mai collegato che potesse essere /uno di quei Parker/, aveva solo dato per scontato fosse un cognome comune.
    Era stato quasi - quasi - offensivo vedere l'espressione di CJ nell'osservare il profilo di Parker, e sentire il suo sussurro nella mente: allora hai davvero degli amici.
    Lo amava più di quanto amasse sé stessa, ma non era la prima volta che soppesava l'idea di rimanere figlia unica per almeno altri dieci anni: RJ e DJ, una volta entrati nell'adolescenza, sarebbero (forse) stati accettati dalla mora come fratelli, ma fino a quel momento Adelaide avrebbe potuto godersi un po' di meritato riposo.
    Accarezzò distrattamente la tasca della giacca, dove Cepheus riposava il suo flaccido corpicino verde da bruco in visione degli impegni del giorno seguente (l'aveva convinto che sarebbero andati a nuotare con i piranha; aveva poco meno di ventiquattro ore per trovare una soluzione che non implicasse nuotare con i maledetti piranha). «non mettermi in imbarazzo» sorrise a Frankie spostando le ciocche bionde così che potesse dipingerle il volto, ruotando appena gli occhi sul Parker. «vedrò cosa posso fare» schifo.
    Sempre ❤.

    parker
    & ads milkobitch
    30 y.o./
    28 y.o.
    vigilante /
    0 fucks given
    medium / telekinesis
    lawyer / teacher



    non interagiscono con nessuno perché sono davvero molto stanca ma voi FINGEte ci abbiano salutato e portato a bere!!&& CIAO CI SI BECCA PER GLI ALTRU POST NOJ SJ MOLLA MAI
     
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    «PERCY»
    «tim»
    «PEEE/EEEEERCY»
    «tim???» Timothy Cohen, appesa al braccio del (povero) Corvonero Buckingham Meadoes Volkswagen, continuava a dondolare da una parte all'altra incapace di trattenere il proprio entusiasmo o l'enorme sorriso a tirarle le labbra. Stavano andando ad una festa in un universo alternativo!!! Cioè, cosa poteva (ma dico, COSA!) esserci di più entusiasmante?? Oltre ad essere addotti dagli alieni e la pace nel mondo, ma per la prima questione la Cohen sapeva, con certezza matematica, di dover aspettare la maggiore età, mentre per la seconda questione contava di arrivarci non appena avesse scoperto l'ingrediente segreto della Coca-Cola; nel preciso momento storico in cui si trovavano in quel momento, contando che - per l'appunto - erano capitati in un universo alternativo, una festa era decisamente la cosa più entusiasmante che potesse loro capitare. E LE GIOIE NON ERANO FINITE! indossava un paio di bellissime orecchie da gatto che aveva creato lei stessa usando la penna magica ricevuta da Babbo Natale, e Sakura, il suo meraviglioso esemplare di Disgusto, le aveva detto CHE ERA BELLISSIMA E PERFETTA E SI SAREBBE DIVERTITA UN SACCO INSIEME AI SUOI AMICI ED AVREBBE TROVATO LA DONNA DA SPOSARE!!!! (all'ultimo punto, Timothy le aveva domandato emozionata se nei paraggi ci fosse Rihanna; Sakura non le aveva risposto, quindi l'aveva interpretato come un FORSE.)
    Timothy Cohen, sostanzialmente, era felice. La fortuna aveva voluto che, con in programma una festa, anche Percival avesse abbandonato il broncio per indossare nuovamente il sorriso smagliante e leggero: nell'avviarsi verso la tenda, sembravano sotto effetto di cocaina.
    /e forse lo erano/.
    Ma sembravano anche giovani, ed ingenui, e normali: quella era la possibilità per tutti di fingere che l'incidente fosse una loro scelta; che quel Natale passato lontano dalle loro famiglie, fosse solo un'interferenza.
    Che tutto, in un battito di ciglia, potesse tornare nella norma. Il sorriso di Tim si addolcí, le dita ad intrecciarsi a quelle di Percy. Erano diversi, il diciottenne e la sedicenne, eppure in quello si compensavano alla perfezione: la Cohen tendeva a diffondere il proprio amore come un'acqua profumata per ambienti, ed il BMW ne aveva bisogno come sole od acqua ad una pianta. Lo vedeva, Tim; lo sapeva. Offriva senza chiedere mai, e non le importava che i sorrisi di Percy non fossero realmente per lei, quanto che la sua mano in quella di lui avrebbe potuto essere quella di chiunque altro, per il blu bronzo: le bastava sapere che, nel suo piccolo, lo aiutava a star meglio. Tim avrebbe voluto che fossero tutti facili da accontentare quanto Percival, ma sapeva che non sempre gli abbracci bastavano a scaldare la pelle ed il cuore. «SONO FELICE» sottolineò, caso mai qualcuno avesse ancora avuto dei dubbi, ricevendo un eye roll da oscar dal ragazzo. Si sollevò sulle punte per spettinargli i capelli azzurri, ridendo quando le ciocche cambiarono colore sotto i polpastrelli. Percy era una bellissima sirenetta, e Timothy Cohen sperava non sarebbe cambiato mai. In prossimità della tenda, i versi della tassorosso erano diventati intelligibili: stava cantando? Stava parlando con Sakura? Stava lanciando qualche macumba ai signori dell'olio di palma ? Mistero della fede.
    «percy.» si bloccò d'improvviso tirando la manica del ragazzo, nascondendosi un poco dietro la sua giacca per sbirciare i primi arrivati. Sollevò interrogativa lo sguardo al «merda» bisbigliato da Percy, il quale liquidò la faccenda con una mite scrollata di spalle.
    Il problema di Percy era, ovviamente, Frankie Cobain. Il suo personale tarlo quotidiano, finché morte non li avesse separati, amen. Quello di Timothy, era Row. Cioè: non solo era la cugina di Victoria Quinn e Roy Harvelle (!!!!!!!!!!!!!! E già così era troppo, per lei) non solo era una fan dello spazio e degli alieni, mA era così.....bellissima??? Le ricordava un po' Meara, il suo idolo e guru supremo, ma in versione più kawaii. Chissà se c'era un modo per dirle tutto quello che pensava senza sembrare psycho.
    Non che avesse importanza: Tim sembrava sempre un po' psycho, per chi non la capiva. Si concesse tre secondi per decidere il come (lasciando poi che fosse il destino a scegliere per lei), prima di fiondarsi sulla Quinn con la delicatezza di un giocatore di sumo, trascinando entrambe dentro il tendone (non prima che Frankie riuscisse a lanciarle dietro una pennellata di vernice, rendendola ancora più felice). «ROWQUINN» dai! Erano compagne di scuole e le più piccole della missione, sicuramente si amavano e facevano sleepover. E mentre Tim si perdeva nei meandri del suo teenage dream, Percy affrontava colui che, convinto Percy fosse una principessa, aveva deciso di essere un drago.
    «non fidatevi di Frankie, probabilmente disegnerà un pene o uno smiley creepy» battè languido le ciglia e sorrise, posando gli occhi chiari su una ragazzina dai capelli rosso fuoco, ed un certo Gus (di lui aveva sentito parlare; difficile passasse inosservato). Ignorò il «rude?» di Frankie, immergendo le dita nel barattolo di vernice per seguire alcune curve dei tatuaggi di Gus, e disegnare due linee (si, come quelle che le tribù si dipingevano con il fango prima di entrare in battaglia: l'attitudine gli sembrava quella) sulle guance della rossa. «spero ci sia da bere, o sarò molto offeso» commentò, affacciandosi sul barattolo di vernice con il naso arricciato. Lo sollevò poi verso alcuni dei presenti, scuotendo piano il contenuto. «per caso qualcuno sarebbe così gentile da spalmarsi la vernice sulle labbra e baciarmi?» indicò la guancia portando nel mentre il palmo in avanti, già sulla difensiva ma con un leggero sorriso sulle labbra. «o dove volete, non mi offendo» quando mai!

    timothy
    & percy bmw
    18 y.o./
    16 y.o.
    hufflepuff /
    ravenclaw
    geokinesis / metamorphosis
    (adelaide) /
    (levi)


    Tim molesta row, Percy parla con Imogen e gus e poi chiede a qualcuno (di sbucciarlo #cosa) no ske, sbaciucchiatelo come una delle vostre ragazze francesi
     
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    «quindi... cecile, eh?»
    «quindi danielle»
    nicky - quella sedicenne - strinse le labbra fra loro, annuendo lentamente all'informazione dell'altra ragazza. Fino a quel giorno non le era mai venuto in mente di chiedere alla propria controparte se avesse un nome diverso (né perché si facesse chiamare "Domie", a dir la verità), e se non fosse stata la ventunenne a chiederle sorpresa per cosa stesse la seconda D sulla carta d'identità, probabilmente non avrebbe mai scoperto che Domie si chiamava Cecile.
    «perché... perché non ti fai chiamare col tuo nome intero?» domandò fingendo noncuranza.
    «in qualche modo non lo sento mio. Capisci, vero?»
    Nicky sapeva che Domie le stava nascondendo qualcosa fin dal primo giorno; lo capiva da come parlava in modo cauto, quasi avesse paura di dire qualcosa che non avrebbe dovuto; lo capiva dalle sue occhiate attente nelle quali Nicky sentiva domande non formulate che non riusciva a comprendere.
    Di solito la tassa non era particolarmente ficcanaso (forse con le ship, ok, ma chi non lo era nel xxi secolo?), ma da un'altra versione di se stessa non si sarebbe aspettata segreti; non meritava forse Nicky un po' di onestà, soprattutto quando erano cosi simili sotto tanti aspetti? Domie era piu adulta, meno imbarazzante, ma Nicky dava la colpa all'età e a un'autostima maggiore; sotto sotto, erano uguali.
    «forse eravamo destinate a chiamarci tu danielle ed io cecile, ma l'universo si é sbagliato»
    ancora quel sorriso triste e inspiegabile «gia. forse»
    Le piaceva Domie. Raccontava del proprio mondo senza denigrare quello di Nicky quando la ragazzina le chiedeva le cose più disparate («in che senso non c'è la tortura o la pena di morte? e come evitate che le città si riempiano di criminali?» «ma se i vostri fun non sono fun, i beatles sono butterfly? i queen sono king? twilight è uscito prima nella versione genderswap?» «almeno in AU, archie e hiram sono canon???»), e dopo i primi giorni di silenzio era diventata altresì curiosa riguardo vita di Nicky: voleva sapere dei suoi amici, di suo fratello, di cosa facesse per passare il tempo; aveva chiesto se avesse un annuario scolastico vecchio da sfogliare, e si era letta tutte le fanfiction preferite di nicky - chiedendo alla fine se tal shiloh abbot avesse altro materiale, un blog, un portfolio, o addirittura un indirizzo pubblico attraverso cui contattarla. Nicky aveva pensato che Domie conoscesse Shiloh nell'au e questa fosse morta come meh, come mitch, ma la maggiore aveva scosso le spalle. «non ho fatto in tempo a conoscerla prima che se ne andasse e vorrei rimediare, tutto qui»
    Stavano andando alla festa di Frankie («non è giusto, voglio anche io un frankie! chissà come si chiama qui» «mmmh watchu say»), entrambe truccate e imbacuccate per accentuare le differenze quando stavano vicine. Nicky non era particolarmente tipo da festa, e avrebbe preferito guardare un film a letto o massaggiare con Hunter per farsi aggiornare sulle sue condizioni ogni minuto (con l'unico paletto che il discorso /charlie/ fosse trattenuto, e il suo nome sostituito dal termine "mango". Dopo la sorpresa sotto l'albero per Domie, Nicky non era neanche certa di poterlo guardare in faccia senza voler morire), scrivere per il FRAT... ma voleva rendersi utile. voleva fare qualcosa per domie e tutti gli altri bloccati nel mondo sbagliato; sperava ci fosse qualcuno cosi nel 1918 e 2118 per i suoi amici e parenti.
    «so di essere stata adottata, se è questo il discorso che provi a ignorare» commentó ad un certo punto, sempre più vicine al luogo d'incontro. visto che domie faceva winston di cognome e aveva avuto un mitch, nicky immaginó anche lei fosse stata adottata e potesse essere quello il segreto. nicky aveva scoperto dell'adozione ancora bambina, sebbene non avesse mai affrontato l'argomento con i suoi; forse per domie era una scoperta recente «so che il nome non l'ha scelto mamma, ma ha tenuto quello che avevo - avevamo - già»
    «non ignoro discorsi»
    e invece lo faceva.
    Con un sospiro, Nicky decise di chiudere la questione per il momento.
    All'entrata le accolsero Frankie e il suo ragazzo (cosa? non stavano insieme? forse intendevate dire non stavano imsieme, ancora), e dopo tutti i saluti del caso, eccole nel clou della festa.
    «campbell boy!»
    nicky notò il viso dell'altra illuminarsi alla vista di beh!AU (cosi grande e cosi... non losers), ma mentre la maggiore andava a salutarlo, lei (provó a non sbavare sulla biondina) si voltò alla ricerca di altri volti noti (col fatto che le aveva dato subito un vecchio cellulare per contattarla in caso di bisogno, non aveva paura di separarsi da lei). Domie stava cercando Aidan!AU, fra gli altri, e si era detta quasi sicura il Lestrange avrebbe partecipato, eppure Nicky non lo vedeva da nessuna parte - complici il buio e le troppe persone. Qualcun altro, invece, attiró la sua attezione.
    «halley! hunt!» spintonando in giro fra le facce fluo (doveva ammettere fosse molto figo; doveva prendere spunto è proporre un evento nel FRAT gdr) cercó di raggiungere gli Oakes sorridendo. «hunter, che ci fai qui?» il sorriso sparí all'istante «hunter, che ci fai qui?» alzò lo sguardo per poi abbassarlo, studiando l'amico. «non dovresti ancora andare in giro» nervosamente, si strinse fra le dita il polso. era stato deciso senza bisogno di parlarsi fra i sedicenni, di farsi anche loro un segno sulla pelle come quello dell'oakes, di erin, di scott, ma il fatto che volesse bene ai propri amici non fermava nicky dall'avere una paura matta che altre torture avrebbero seguito - o, peggio, che i Ribelli arrivassero e cercassero di traviare altri. un conto era immaginare Iden e charles cattivi, un conto una Erin o un Beh.
    «avete visto qualcun altro che conosciamo? nostri o AU» indicò con la testa «domie sta parlando con Beh!AU, è troppo strano: come vedere nel futuro» agitó la manina riconoscendo Imogen (intrattenuta da uno strano... tipo) e non si preoccupò di disturbare Hazel, intrattenuta da un biondo Sinclaire (a giudicare dallo sguardo omicida, non si trattava dell'au gentile che settimane prima le aveva trovate).
    «oh guarda, c'è il tuo amico maniaco bello e dannato» nicky voleva bene a rose e le era gia passata per il bacio sotto amortentia, ma suo fratello charlie ancora non le andava molto giú, gallo cedrone e popolare (ex popolare? era ancora confusa da come fosse finita la storia per la scala sociale dopo la storia dell'occupazione).
    «hashtag team vik» ricordò amichevolmente con una pacca sulla spalla a hunter. avrebbe benedetto qualunque unione che avrebbe reso felice l'amico neoscopertosi gay, ma ci teneva anche a far sentire la proproa finché poteva. Ohi, lei chiedeva sempre pareri sulle proprie cotte, erano i losers a non darle paletti!
    d.d. nicky
    & d.c. domie
    21 y.o. / 16 y.o.
    special / hufflepuff
    26.12.2018



    domie e nicky parlano fra loro
    domie si ferma a chiacchierare con BEH!AU (e row??), mentre nicky va dagli oakes a parlare, e saluta da lontano imogen
     
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    «quello non mi manca affatto» Billie Dallaire, la schiena poggiata alla porta del bagno, sorrise al nulla alzando gli occhi al cielo. Un colpo al legno, proveniente dall'interno della stanza, lo smosse di qualche centimetro, causando una lieve risata di gola nell'ex Corvonero.
    Per tutto il tempo in cui, insieme ad Elijah, aveva vagato per quell'universo, non si era mai posta il problema se stessa: aveva pensato a Jeremy e Jericho; aveva pensato a Nathaniel ed Eugene e Rea; aveva pensato a Gwen - l'idea di incontrare Arabells Dallaire, non l'aveva minimamente sfiorata.
    Figurarsi immaginare che sarebbe stata una delle esperienze più mistiche della sua vita (il che, detto da una ragazza che aveva perso la vagina quasi dieci anni prima, la diceva lunga). Quando si era stanziata dai Milkobitch, senza neanche effettivamente preoccuparsi - metodo Dallaire™ - di domandare se potesse o meno, si era preoccupata per Jeremy, per Todd; non aveva preso in considerazione quanto incontrare Bells Dallaire potesse essere destabilizzante. Un boost up di ego, senza dubbio: la guardava e si domandava come, qualcuno, potesse non amarla.
    Poi si ricordava che avevano lo stesso carattere di merda, e brindando con birra sotto marca ridevano di un mondo troppo piccolo per anime come le loro. Billie non aveva problemi con i suoi amici o la sua famiglia, ma non significa che di lei sapessero tutto o potessero comprendere tutto: bells, d'altro canto, non doveva nemmeno sforzarsi per interpretare il minimo cambiamento negli occhi grigio azzurri del Dallaire pene minuto. Avendo visto Arci vs Dom, si era...boh, convinta che per lei sarebbe stato lo stesso: come poteva esistere un'altra creatura come LEI?
    E poi aveva trovato Bells. Aveva già domandato ad Elijah se, tornando a casa, potessero portarsela dietro, ma il fratello le aveva (astutamente) ricordato che Andy non avrebbe approvato - e si sapeva che quando si nominava Andrew Stilinski, Arabells /Billie/ Dallaire entrava in estasi religiosa.
    «ti muovi?» eh, un'altra delle cose che avevano in comune: né Billie né Bells proliferavano di amicizie femminili, anche se il motivo era sconosciuto ad entrambi. Bells poteva perfettamente comprendere perché Billie non piacesse alla squad ovaie: «mcscuse me, mr ho-il-pene, ma non tutti qui possiamo hashtag uscirlo ed urinare sugli alberi come barbari» Billie sentì lo sciacquone, e qualche secondo dopo la porta si aprì mostrando un'offesa, rigida, Arabells Dallaire con le braccia incrociate sul petto. «perchè no? tutto esercizio per le gambe, ne sarai grata durante -» rispose alle assottigliate palpebre killer della Corvonero, con un'occhiata eloquente. «- le partite di Quidditch. Jeez guuurl, ma lo sai con chi stai parlando?» e dato che sì, lo sapeva, ed erano evidentemente molto simpatiche, si scambiarono il saluto segreto #bills e tornarono alla tenda dove, finalmente!, Il popolo cominciava a giungere. Billie non poteva credere a tre cose, quella sera: che Fergie fosse riuscito a organizzare qualcosa senza infilare un giro di riciclaggio denaro sporco; che Frankie Cobain (il frankie-cobain che aveva visto crescere e amato come un fratello minore e un po' stupido) avesse una cotta per Fergie.
    E che «dom, ma che cazzo» corrugò le sopracciglia verso il Baudelaire, labbra piegate offese verso il basso. Offrì una mano a Bells perché la Corvonero gli si arrampicasse sulle spalle, così che entrambe potessero osservare il moro con giudizio e disapprovazione: «non ti sei fatto scrivere sulla faccia ...? mmmh, bells, sai cosa fare» come un meccanismo ben oliato, Billie prese uno dei barattoli di vernice posati sul pavimento, e lo porse a Bells; lei, elegante e rapida, allungò i polpastrelli sulla fronte olivastra del francese: #bills siete xfetti vi lowo.
    Billie sorrise allargando le braccia per abbracciarlo.
    «aw grazie, anche noi ti vi bi!&&&» siamo fatti così.mp3
    billie
    & bells dallaire
    23 y.o./
    18 y.o.
    ravenclaw /
    ravenclaw
    quidditch / quidditch
    my captain /
    oh my captain


    molesta dom (cosa? I post si fanno sempre più a caso? NON SI MOLLA MAI)
     
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    Era uscito dalla doccia senza provare minimamente ad asciugarsi, le gocce d’acqua che scivolavano copiose lungo il suo corpo, almeno fino a quando non decise di scrollarsele di dosso come il peggiore dei selvaggi. Non che il Black fosse sempre una bestia, ma aveva minuziosamente calcolato il punto esatto in cui avrebbe potuto dar fastidio a Bunny senza risultare molesto in modo eccessivo. Avrebbe potuto usare la scusa del ops! Non me ne sono accorto o quella del eppure non ci ho messo troppa energia! e raggiungere comunque l’effetto desiderato.
    Da quando si erano trasferiti nella dépendance di Villa Hilton era tutto così… noioso. Prima vivevano col brivido del non riuscire ad arrivare al giorno dopo, del dover arrangiarsi per poter provare a vivere una vita dignitosa, andando di fiore in fiore casa in casa, ripulendole come la migliore delle ditte di pulizie. Ora, beh ora avevano tutto a portata di bacchetta e, si sa, il troppo agio stanca.
    “Sai, pensavo che potremmo accettare la proposta di Harvard.” Fissò il riflesso del suo corpo che gli rimandava il boudoir dove la O’Sullivan si stava truccando. “Quella di girare porno.” Specificò prima di spostarsi a destra, scansando la spazzola che la bionda gli aveva appena lanciato contro. Oh. Lui ci aveva provato. Di nuovo. Sarebbe stato divertente rovinare la vita dei loro doppioni, lasciando un segno imperituro nell’industria del V18, magari distruggendo la loro reputazione. Non lo avrebbero fatto per i soldi, ma solo per la gloria. E per il divertimento. Soprattutto per quello.
    Si avvicinò alla sua compagna di viaggio, termine talmente generico che ogni tanto arrivava davvero a porsi il dubbio di come definire quello strano duo a delinquere che avevano creato. Potevano essere tante cose e, in realtà, nessuna di queste li connotava veramente. Le sfilò dalle dita sottili la collana che stava avendo difficoltà a indossare, noncurante del fatto di essere ancora, completamente, nudo. Quello era uno dei giorni in cui decideva di sorridere al mondo e di donare a tutti parte della sua immensa grazia. La verità era un’altra: Alister provocava. Sempre. Costantemente. Era parte della sua natura e, in quelle settimane di nullafacenza, sentiva il bisogno di inventarsene sempre una nuova per poter dare fastidio. O, meglio, farsi notare. Avere gli occhi costantemente puntati addosso. Si beava dell’approvazione altrui, della possibilità di suscitare negli altri quel tipo di desiderio che lo manteneva in vita.
    “È per rendere le cose più piccanti.”
    Sussurrò dopo aver agganciato la collana, sfiorando con le labbra la pelle delicata della bionda, quel collo che aveva spesso sognato di mordere. Meglio mettere da parte determinati tipi di pulsioni. Avevano pur sempre una facciata da mantenere.
    Si allontanò alzando le braccia in segno di resa, non prima di averle slacciato il reggiseno, e si immerse completamente nell’armadio, alla ricerca dell’outfit migliore per quella serata.
    Ogni festa era un’opera d’arte e lui, l’umilissimo Alister Black, aveva l’ingrato compito di renderla un capolavoro solo ed esclusivamente con la sua presenza.
    Si smaterializzarono a pochi passi dal tendone e restò quasi sorpreso dall’affluenza esterna. Davvero, non si aspettava che Frankie e Fergie potessero, dal nulla, organizzare una festa, figuriamoci renderla un successo. E invece…
    Era vicino all'ingresso quando la voce di Percy giunse alle sue orecchie. Le labbra si incurvarono in un sorriso sghembo. Piccolo. Povero. Ingenuo BMW.
    Intinse un dito nella vernice, passandolo velocemente sulla pelle morbida, prima di avvicinarsi con passo felino all'ossigenato, una mano sulla mascella del più piccolo, mentre l'altra lo tirava a sé, facendo schioccare le labbra su quelle di Percy, il marchio fluorescente che già spiccava nella penombra. Certo, la natica destra del BMW era piuttosto secca per i suoi standard, ma per il momento poteva soprassedere.
    "Bisogna sempre stare attenti a ciò che si chiede."
    Si voltò verso la O'Sullivan, passandole un braccio dietro la schiena, le dita a sfiorare le curve morbide di lei.
    "Suvvia, non essere gelosa. Ci stiamo ancora scaldando."
    Alister
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    Edited by b l a c k w o l f - 29/12/2018, 00:06
     
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    «ricapitolando» Ancora? Ancora. Era probabilmente la quinta volta che le faceva ripeter la stessa cosa, e probabilmente avrebbe contiunato a farlo fino all'eternità «non vivi con gli hiltons?» «no» Shoooooock. Ogni volta che glielo diceva era un colpo al cuore. «non sei famosa?» Assurdo dai, nemmeno una pagina in copertina?? Nemmeno un articolo scandaloso??? Nemmeno una paparazzata con qualche bel fusto in un bar random??? «no» Il mondo non se lo ricordava neppure, il volto della ragazza: era sparita dalle scene quando era soltanto una ragazzina, Sutton, appena in tempo prima che la fama investisse del tutto la loro famiglia e strappasse la loro privacy. «ma sei comunque ricca?» «per la quinta volta, nostra madre è una nobile» Assurdo pt.2, suo padre non le aveva mai rivelato l'identità della madre, e Penn e Darth avevano sempre dato per scontato che si trattasse di una che era stata attirata semplicemente dai soldi degli Hilton, e dopo aver partorito non si era presa la briga di star dietro ai figli, preferendo una vita in qualche isola esotica con i soldi estorti a loro padre. Scoprire che tutte le headcanon che per una vita intera aveva dato per scontato fossero false l'aveva alquanto turbata. Così come l'aveva turbata scoprire che la sua controparte nell'upside down avesse realizzato uno dei sogni che la Hilton aveva da quando era soltanto una bambina, ma a cui nel corso degli anni aveva rinunciato per compiacere il padre ed adattarsi agli standard della famiglia. «ed hai una clinica privata, dove sei un medico vero??» «sì» Mhhh...l'avrebbe volentieri odiata, se non fosse stato per il fatto che aveva il suo stesso splendido aspetto e, soprattutto, la sua stessa mente brillante. Che aveva saputo sfruttare, tra parentesi. E poi, c'erano altri due ambiti in cui la ragazza era messa decisamente peggio di lei: per prima cosa, chiamarsi Philadelphia Sutton Maribel Soledad Buckingham Meadowns Volkswagen non doveva esser semplice, soprattutto ogni qual volta in cui la BMW doveva firmar un certificato medico, e la ragazza non aveva un neonato ad aspettarla a casa una volta tornata da lavoro: per quanto stressante, portatore di notti insonne e occhiaie chilometriche sotto gli occhi e vomitatore seriale dopo ogni pasto, Bang era la miglior cosa che le fosse successa.
    «okay..» a giudicare dallo sguardo che Sutton le rivolse, capì di aver raggiunto il limite di sopportazione della ragazza «..un'ultima domanda? Ti preeego» Nessuno era immune agli occhi da cucciolo della Hilton. Ed infatti, la mora non potè far altro che annuire rassegnata «di solito per andare a una festa ti vesti in modo così..» da vecchia, avrebbe voluto dire, ma si trattenne «..formale, o sono gli unici abiti che ti sei portata dietro?» Così, giusto per capire se "stile orrendo" fosse un altro punto da inserire nella colonna dei "contro" dell'esser una Sutton (L'aveva fatta davvero? L'aveva fatta davvero. Eh vabbè, a Penn fare liste piaceva #wat) «di solito non vado alle feste» /ah ecco/, ora sì che si spiegava tutto.

    Sutton, fino a circa due ore prima, non aveva avuto alcuna intenzione di andare a quella festa. Insomma, il fatto stesso che avessero organizzato una festa era di per sè un'idea stupida: okay, dovevano ritorvare gli altri ancora scomparsi, ma non avrebbero potuto scegliere un modo più intelligente per farlo? E più sicuro, soprattutto?? Alla fine aveva ceduto solamente perchè suo fratello l'aveva implorata di - testuali parole - non fare la spacca gioie come sempre, e così la ragazza non aveva potuto far altro che ceder al sorriso di Percy ed accettare di andare. E persino senza lamentarsi! Anche se, arrivata all'ingresso della festa, iniziava a pentirsi della sua scelta. Soprattutto quando il ciclone Penn Hilton aveva deciso di investirla, di nuovo, e Sutton si era ritorvata a risponder alle stesse domande a cui la ragazza l'aveva sottoposta il primo giorno che si erano incontrate. Una tortura. «per caso qualcuno sarebbe così gentile da spalmarsi la vernice sulle labbra e baciarmi?» OMG, erano arrivate proprio nel momento migliore! «percy, adesso chiuderò gli occhi e fingerò di non aver sentito nulla» insomma, per lei era ancora solamente un bambino: non si era ancora abituata, al fatto che suo fratello fosse un adolescente. «non sono pronta a vederti baciare...persone» Insomma, se Percy era in età da relazione, significava che lei era diventata vecchia??? Già Penn aveva definito il suo abbigliamento formale, era troppo da sopportare in un giorno solo. Fu costretta a riaprire gli occhi qualche attimo dopo, quando sobbalzò sentendo un urletto al suo fianco. «dovrei...dirglielo?» rivolta ai tre ragazzi al suo fianco. «ormai è andata» Con un'alzata di spalle rassegnata, Sutton osservò Penn buttarsi all'urlo di «KOALA IN ARRIVOO» sulle spalle di suo cugino. Suo, per l'appunto, non di Penn. Chissà come avrebbe reagito Parker ad un simile slancio d'affetto «perchè non mi hai detto che venivi??? SEI UN TRADITORE YALE, MI POTEVI CHIAMARE» Un po' le dispiaceva, c'erano momenti in cui la Hilton le sembrava davvero intelligente. Quasi quanto lei, perlomeno «..ah ma non sei Yale» Almeno
    Un po' in ritardo ed in un modo tutto suo, ma alla fine alle cose ci arrivava.
    Penn H.
    & sutton BMW
    21 y.o. / 26 y.o.
    model / doctor
    26.12.2018


    penn molesta parker, sutton si ferma con suo fratello, frankie e fergie e commenta...cose #wat
     
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