Vuota. Melvin Diesel si sentiva vuota, nel seguire Gwen attraverso un appartamento estraneo che già sapeva di casa, gli occhi verdi a posarsi sui mobili ed il panorama fuori dalla finestra. Aveva assorbito il dolore, e la rabbia, ed ancora dolore ed ancora rabbia fino a non sapere più dove finissero le sue emozioni ed iniziassero quelle degli altri, sciolta in lacrime che avevano il sapore di ventidue morti, e centinaia di storie diverse prive di fine: che chiedere lieto fine, oramai lo sapeva, sarebbe stato troppo – ma non avevano neanche una mera conclusione, quelle fiabe moderne lì. Ed era assurdo, vero? Non aveva alcun senso, perché le anime gemelle non era previsto venissero separate: e quindi Melvin ancora, ed ancora ed ancora, aspettava che Callie spuntasse alle sue spalle indicandole l’attaccapanni all’entrata con un sospiro ammirato, perché era un banalissimo attaccapanni ma era del duemiladiciannove, e Vin sapeva che la Jackson l’avrebbe trovato strabiliante: dove la Diesel vedeva del buono in tutto, Calliope aveva il dono di vedere del meraviglioso ovunque posasse lo sguardo – e di renderlo bello agli occhi di tutti, perché lei riusciva a renderlo speciale. L’aveva fatto anche con Melvin, l’ennesima ragazza cresciuta in un mondo perfetto in modo imperfetto, la macchia di un sistema che si sforzava d’essere eccellente e che d’eccellenza aveva solo la capacità di fingere: la bionda veniva amata da tutti in tempi ristretti, un timer scandito a battiti di cuore e buste di denaro fatte scivolare fra le dita, ed il fatto che per tutta la vita, tutta la nuova vita, se lo fosse fatto bastare, non significava che per il suo futuro non avesse voluto di più. E sapeva, sapeva, di non essere sola, ma – nessuno di loro era Callie, e per nessuno di loro Melvin era speciale. Qualcuno avrebbe detto una seccatura, altri un passatempo, e per quanto affermazioni del genere risedevano nell’affetto, era comunque diverso dal genuino entusiasmo ingenuo, e così buono della fotocineta. Non la prima a vedere qualcosa di salvabile nella Diesel, ma la prima a mostrarglielo senza ritrosie: fiducia e gioia raramente erano andate a braccetto con l’empatica, lasciandola a fischiettare la propria euforia senza darle alcun motivo concreto per farlo. Mai Melvin aveva creduto che l’universo la odiasse; mai, neanche quando si presentava a casa di Jamie con più lividi che pelle intatta, neanche quando le mani dell’ennesimo uomo senza nome le strizzavano la gola fino a non lasciarle ossigeno, sputandola poi fuori casa con soldi sporchi e trucco sciolto. Credeva invero che l’amasse, e che quello fosse il suo modo, il suo mondo, per dimostrarglielo: che poteva incassare e sopravvivere; che poteva rendere felice qualcuno, anche solo per pochi minuti, e poco importava che la sua presenza contasse poco o nulla. Che potesse fare la differenza, nella vita d’ombra di se stessa a cui era stata costretta dalle circostanze: tutti regali, per Melvin. Ottimista sarebbe stato un eufemismo; nessuno comprendeva perché, o come, Melvin Diesel fosse così - ma come lo si diceva, a qualcuno, che si trattava di sopravvivenza portata in extremis. Che senza il proprio sorriso, non sarebbero bastate né lacrime né sangue a colmare il vuoto nel costato, a convincerla che valesse la pena aprire gli occhi un altro giorno, e riprovarci ancora. Si consolava con il meno di niente, era felice con il nulla - ed andava bene così, a Vin. Ma quello - quello era stato inaspettato. Callie. Tokyo. Shot. Barry. Jason. Yoann. Murphy. Kieran. William. Akelei. Dakota. Quelle grida silenziose le aveva sentite tutte, assorbite ed amplificate, divenendo il diapason del pianto a mescolarsi al sangue. Di tutti, ma di loro un po’ di più – perché c’erano anche le lacrime di Vin, con loro. Dopo aver perso tutta la sua famiglia, s’era decisa a non credere alla morte: doveva essere solo uno scherzo, un colpo che toglieva il fiato una, una, volta giusto per testimoniare la propria esistenza, e poi ti lasciava in pace fino a che non fosse giunta, ad una veneranda età che avesse permesso di vedere tutto il mondo, l’ora di dire addio. Non importava che sapesse chiunque potesse morire, ed in qualunque momento: logica e Melvin Diesel non erano mai andate d’accordo, nell’aggrapparsi costante al Fato della seconda. Gli altri potevano morire – i suoi amici, no. I suoi amici, no. Glielo dovevano, di vivere. Glielo dovevano, un pagamento per aver perso così tanto, ed in così poco tempo: non era previsto la lasciassero sola. Perché Perché allora, l’avevano fatto comunque? E come avevano potuto farlo a Yoann, a Kier e Murphy, a Laurent e William e Akelei e Dakota: fra tutti, Jason Maddox era quello che faticava a comprendere di più, ed altrettanto difficilmente riusciva a perdonare. Non vedeva quanto Dakota lo amasse? Non lo sapeva, quanto aveva bisogno di lui? Ed allora perché, avrebbe voluto domandargli, perché te ne sei andato. L’amore non avrebbe dovuto essere più forte di qualsiasi cosa? Non poteva, né voleva, accettare che potesse non essere abbastanza: aveva bisogno di crederci, Vin. La stessa Vin che aveva supplicato Jamie di fare qualcosa, qualunque cosa, per riportarglieli indietro – la stessa che gli aveva detto di odiarlo, e l’aveva inteso. Non aveva mai provato rabbia a lungo, e di certo l’odio non rientrava nella gamma di emozioni consuete della diciassettenne, ma in quel momento, vibrando di dolore e disperazione e dio, perché? l’aveva odiato sul serio. L’unica persona che per anni, per tutta una secondo vita, aveva considerato famiglia. Che potesse risolvere tutto, che non ci fosse nulla d’impossibile per lui: delusa, da lui e da se stessa e da come avete potuto farci questo. Non era scritto nelle stelle; il suo oroscopo non gliel’aveva detto. Non era previsto. E tremava ancora, Melvin Diesel, nella camicia che qualche studente di Hogwarts le aveva ceduto per coprire il sangue e tenerla al caldo, nel sollevare infine gli occhi smeraldo su Gwendolyn: l’aveva seguita con cieca, e devota, fiducia, aggrappata alla sua vita per udirne il battito contro l’orecchio. Non importava che, in quel momento, non la conoscesse: sapeva l’avrebbe fatto, perché quello sì ch’era destino, e tanto se l’era fatto bastare per stringersi a lei come ne andasse della sua vita. Vuota, svuotata dalle lacrime che aveva pianto su Gamal e Yoann, su un Dakota Wayne dagli occhi disperati e la bocca spalancata, su una Bucky che non aveva idea di chi fosse, ma ch’era così triste da supplicarla, quella stretta. Perché le loro sofferenze, le aveva sentite tutte. L’avevano riempita così tanto, ma così tanto, c’era stato inevitabile alla fine scoppiasse rimanendo guscio vacuo e fragile: ed ancora si rifiutava di credere fosse vero. Ed ancora, perfino affacciandosi sulla stanza indicata da Gwen, attendeva il bionda, mi stai facendo venire mal di testa di Jaz non appena Vin apriva bocca. Che poi come funzionava, quel non poter neanche salutare? Cos’avevano pensato, prima di passare dall’altra parte? Si erano sentiti soli? Si erano chiesti se qualcuno li amasse? Avevano avuto paura? Non era stato loro concesso neanche di stringere la mano, tenergli compagnia - rassicurarli che tutto sarebbe andato per il meglio. Per loro. Erano i sopravvissuti, quelli a trascinarsi le cicatrici. Ma salutando, almeno salutando, avrebbero potuto andare avanti. Così – così come ci si aspettava potessero farlo? Nella sua elaborazione del lutto, Melvin s’era intestardita sulla fase della negazione, testardamente convinta che nulla di quanto successo fosse reale, o che fosse spiegabile: magari in quel mondo avevano cessato d’esistere solamente per continuare a farlo in un universo alternativo; magari l’uomo cattivo aveva aperto un altro portale. Magari Magari stavano solo dormendo. «se -» deglutì, insicura per la prima volta in diciassette anni. Umettò le labbra, capo alzato verso Gwen. Le aveva già dato così tanto, che chiederle ancora qualcosa le pareva offensivo, ma - «se vado a farmi la doccia, rimani in bagno a parlare con me?» appena un sussurro, le dita strizzate sul tessuto della camicia. Aveva paura che sarebbe sparita anche lei, se si fosse distratta troppo a lungo. «per favore», non voglio rimanere sola.
«da voi a scuola si insegnava divinazione?» Strinse le labbra fra loro, un’occhiata di sottecchi alla Markley. Avrebbe dovuto dirle subito quanto sarebbe stato un pessimo affare infilarsela in casa: lei, d’informazioni sul futuro, non ne aveva. Inutile, nel piccolo universo che s’era creata in Francia, lontana da tutto il resto. Sapeva tutto sui serial killer, amava la storia, ma il mondo contemporaneo non era mai stato di suo interesse. «sicuro» mentì, incapace d’ammettere che non ne avesse ida, perché lei a scuola non c’era mai andata. Tokyo lo saprebbe. Distolse lo sguardo riportandolo sulle gambe incrociate, la gola a tremare nel tentativo di buttar giù saliva. «sai cosa ci servirebbe?» Certo che lo sapeva: «legalizzare la cocaina!» «una scuola di divinazione!» eeee «unA SCUOLA DI DIVINAZIONE – sì, infatti» Giustappunto quello che stava dicendo. Curvò le labbra verso il basso, sopracciglia così arcuate da creare onde sulla fronte dell’empatica. Barry avrebbe detto legalizzare la cocaina. Che ne pensava? «penso che….» soppesò la questione tamburellando l’indice sul labbro inferiore. «sia un’idea S T U P E N D A» battè le mani fra loro, un sorriso entusiasta e oh, così Melvin, alla ragazza. Sarebbe stata una cheerleader perfetta, se solo avesse mai frequentato una scuola: di supporto, ci viveva e sopravviveva. «potremmo fare tipo -» un sacrificio di sangue? No, troppo estremo. «- un rito d’iniziazione per accedere alla scuola» solenne, nel drizzare le spalle ed osservare la ragazza. «non tutti sono eletti: il fato non parla con chicchessia» puntò il dito alla fronte indicando il Terzo Occhio, stringendosi poi nelle spalle. «pensi che possiamo ancora leggerlo? Il futuro» la lingua a guizzare sulle labbra, un vibrar di panico nello sterno. «penso che – magari – ce l’ha con noi, no, perché io …» abbassò il tono di voce, sapendo quanto le parole possedessero Potere. «non avevo….previsto….» tutto quel sangue; tutte quelle lacrime; tutti quegli addii incastrati nei denti. «cose.» soffocata, ancora incapace a dirlo ad alta voce. «ed ancora non so quale segreto volessi rivelarmi, prima di -» dillo, Vin. Dillo, tanto lo sai che non è reale. Che non è successo Davvero davvero. «cose.» Perchè poteva anche non essere reale, ma Callie e Tokyo e Jason non erano lì per dirglielo.
| | 17 y.o. 02.01.2102 | empathy /muggle/ | neutral Neutral good |
|