and now the day bleeds into nightfall

[post quest #09] cranewinstons

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    i was getting kinda used to being someone you loved
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    shapherd
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    Aveva sempre creduto nel destino, mabel winston crane, un’infanzia passata tra film della disney e libri a lieto fine che avevano reso impossibile il contrario. Ma l’aveva imparato presto, fin troppo, che il “vissero tutti felici e contenti” nella realtà non esisteva affatto. Ciò però non le aveva impedito di continuare a credere in un disegno cosmico più grande, in un percorso già stabilito dal quale era impossibile scappare: nel destino ci credeva, mabel winston crane, ed aveva imparato a fare i conti con il fatto che non sempre ciò fosse un bene.
    Perché credere fermamente come lei nel destino, significava anche accettare il fatto che la morte di sua madre fosse stata inevitabile. Così come quella di suo padre, solo tre anni dopo, quella di run e di una lista infinita di persone alle quali mabel aveva voluto bene. E senza le quali aveva creduto che vivere sarebbe stato impossibile: a sedici anni aveva perso sua madre, a diciannove aveva dovuto imparare ad esserlo. Che il destino poteva anche aver stabilito di portar via loro i genitori, ma la ragazza era stata certa di una cosa: non li avrebbe divisi. Loro, i crane-winston, sarebbero rimasti insieme nonostante tutto: aveva rinunciato alla sua adolescenza, mabel, per prender le redini di quella famiglia. Per tenerli uniti, per far in modo che non li separassero: del resto aveva diciannove anni, e non era più una ragazzina.
    Che poi, una ragazzina aveva già smesso di esserlo anni prima quando, insieme a maeve winston, in parte era morta anche mabel. E si sarebbe tranquillamente lasciata andare, se non fosse stato per al. E se, dopo che anche lui li aveva abbandonati, non avesse avuto la responsabilità di quella famiglia: hemingway era sempre stata troppo ingenua, troppo buona per dover assumere quel ruolo. Grey e jekyll troppo giovani, hyde poco più che un bambino. Non se lo meritavano un destino del genere, i crane winston, eppure era quello che era capitato loro.
    Che sarebbe potuto andare peggio, e la ragazza sentiva la necessità di ripeterselo ogni giorno, come un mantra per trovare la forza di andare avanti.
    Aveva i suoi fratelli.
    Aveva i suoi cugini, ed i suoi zii.
    Aveva Tupp, e per quante fossero molte di più le volte in cui si urlavano contro di quelle in cui parlavano da persone civili, aveva Lynch. Ed erano più che sufficienti, come motivazioni per alzarsi dal letto ogni mattina.
    Che se le cose erano andate in quel modo, un motivo doveva esserci. Ed era stata così ingenua ad identificarne uno, anni dopo, nello scopo della missione: poteva pur far credere a tutti di aver preso quella decisione per motivi nobili, ma la verità era che per una volta sentì la necessità di comportarsi da ragazzina egoista, come mai era stata prima, così da poter riaver indietro i suoi genitori. Che non si sarebbero ricordati di lei, nè lei di loro, ma non le importava: le bastava la possibilità di vederli vivi. E di creare una linea temporale in cui il destino non avrebbe decretato una loro morte prematura.
    Che era sempre quello, il nodo della questione.
    «credi anche tu che certi legami siano già prestabiliti?» in ventisei anni di vita non aveva mai avuto dubbi a riguardo, ma più si avvicinava il giorno della partenza più iniziava a metterlo in discussione. E lo sapeva che, in caso di risposta negativa, probabilmente avrebbe scelto di mandare tutto all’aria e rimanere lì: si era fidata sempre più del giudizio di tupperware che del proprio. E solo quando la vide annuire, e allacciare le dita della sua mano con quelle della winston, che la bionda sentì di aver fatto la scelta giusta: non sarebbe poi cambiato così tanto, nel passato.
    Perché, per mabel winston crane, pensare ad una vita senza tupperware armstrong al suo fianco era inimmaginabile.
    Senza lynch beaumont barrow? Erano state tante le volte in cui aveva dovuto reprimere l’istinto di strangolarlo con le sue stesse mani, ma lo amava, e l’idea di perderlo non l’aveva nemmeno contemplata.
    Aveva messo in conto di dover vivere senza di loro per un po’, mabel winston crane. Di dover sopravvivere finché il destino avrebbe fatto il suo corso e non li avrebbe riavuti entrambi indietro.
    Non aveva mai messo in conto, che si sarebbe potuto trasformare in un per sempre. Perché quella missione l’aveva sempre vista come un modo per riavere indietro i propri cari, non certo per perderli.
    Non se lo meritava, mabel winston crane.
    Ma il destino non lavorava in vista di un lieto fine,
    e lei l’aveva imparato fin troppo presto,
    ed era stata stupida,
    talmente stupida,
    da finire per dimenticarlo.

    Se chiudeva gli occhi, la ragazza riusciva ancora a sentire le dita di barry strette intorno alle proprie, il suo respiro qualche centimetro più in alto rispetto al viso della ragazza e il battito cardiaco veloce, un po’ per l’euforia del combattimento, un po’ per l’entusiasmo di avercela fatta, un po’ per l’incertezza su cosa sarebbe accaduto dopo. E se si concentrava di più, riusciva a vedere chiara l’immagine davanti a sé: la presa del ragazzo farsi un po’ più stretta, un sorriso sincero sulle sue labbra. Lo stesso che riusciva a vedere sul viso di Erin, di Jess, di Stiles e di Swing. Che aveva ricambiato, un attimo prima che tutto precipitasse: perché era finita, ed avevano vinto.
    Lo avevano fatto? Si erano illusi per un attimo che fosse andata così, quando l’ultimo dei nemici era caduto a terra senza vita. Aveva stretto di più la mano intorno a quella di barry perché stavano bene, erano salvi ed erano finalmente a casa. Era quello, l’unico motivo per cui valeva la pena rievocare quel ricordo: la mente della ragazza era entrata in tilt, nel momento in cui era accaduto tutto quanto. E non faceva che ripetere, ripetere fino allo sfinimento, quel preciso istante, l’attimo prima che tutto precipitasse, come un disco rotto.
    Ed era così che si sentiva, Amalie Shapherd: un oggetto senza più uno scopo, senza più un motivo d’esistere. E così, come un disco rotto, continuava a ripetere quell’immagine nella propria testa
    ancora
    ed ancora
    ed ancora
    per darle la possibilità di rivivere le emozioni di quell’istante.
    Prima che tutto precipitasse. Ed era bello ripensarci, era rassicurante, perché per un breve istante la ragazza si dimenticava tutto il resto. E si sentiva investire da tutte le speranze che aveva accumulato in quei mesi nel 2119, dalla gioia dell’esser tornata a casa, dal aver potuto finalmente riabbracciare erin. Poi però, potente e fulminea come era arrivata, quella sensazione andava via per lasciare spazio al dopo. Ed allora ecco che il dolore arrivava a colpirla
    ancora
    ed ancora
    ed ancora
    togliendo alla ragazza la capacità di respirare, portandola a sentire di nuovo il vuoto sotto i propri piedi ed il mondo perdere ogni significato. sentiva la stretta di barry farsi più debole, fino a non esserci affatto, e vedeva il sangue di erin, il sorriso morire sulle labbra di jess, il corpo di stiles cadere a terra senza vita e swing smettere di respirare. Sentiva di nuovo le urla, amalie, forti ed assordanti come lo erano state lì sulle rive del lago nero ed il rumore dei corpi ad impattare contro suolo. Avvertiva di nuovo, cieca e primordiale, la necessità di stringere ancor di più la mano di barry, di afferrargli un polso con l’altra e barry, non fare il cretino non stai morendo. Di stringerlo più forte, mentre la presa di lui si faceva sempre più debole, di cadere a terra con lui e stringerlo con tutta sé stessa, come se la stretta delle sue braccia sarebbe stata in grado di ridargli vita. Di passargli una mano tra i capelli, l’altra a delineare il contorno del suo viso incurante di tutto quel sangue a coprire il corpo del ragazzo. Che forse, anche volendo, non avrebbe notato: gli occhi troppo appannati dalle lacrime, le labbra piegate in una risata isterica perché barry, non fare il cretino apri gli occhi. Perché solo di quello poteva trattarsi, uno stupido scherzo di cattivo gusto, perché lei lo amava e lui non se lo poteva permettere di andarsene così. Glielo aveva promesso, che non l’avrebbe abbandonata.
    Che non avrebbe fatto il coglione come il lynch beaumont barrow dal quale mabel winston crane aveva tanto cercato di metterla in guardia, senza alcun successo. Perché lo amava e cristo santo era certa che l’avrebbe amato in ogni vita ed in ogni universo ed in ogni dannatissima linea temporale differente. Ed erano rare le volte in cui si affezionava così tanto a qualcuno, amalie shapherd. Ed ancor di più quelle in cui qualcuno si affezionava a lei: i suoi genitori non l’avevano mai amata, e ci erano voluti anni per capire, finalmente, che fossero loro il problema, e non lei. O almeno, si era illusa che fosse così. Perché barry era morto stringendole la mano ed erin, la sua erin, era a terra senza vita a qualche passo di distanza. Ricordava di aver cercato il volto della ragazza, quando aveva preso consapevolezza del fatto che il corpo dello skylinski che stringeva a sé era privo di vita. Di aver cercato il suo conforto, di volerle lanciare un’implicita richiesta d’aiuto per dirle ti prego aiutami a lasciarlo andare, da sola non ce la faccio.
    Ed ogni volta, ogni dannatissima volta, persino nei suoi ricordi si illudeva di poter scorgere il suo volto tra quello di tutti gli altri. Di vedere i suoi capelli color nocciola, di poter attingere dai suoi occhi quel briciolo di speranza di cui avrebbe avuto bisogno in quel momento per andare avanti.
    Le sarebbe bastato quello, per farcela.
    Che se erin therese chipmunks se li fosse avvicinata e le avesse detto che tutto sarebbe andato bene, amalie ci avrebbe creduto davvero. E sarebbe stata in grado di allentare la presa intorno al corpo di barry e forse persino di rialzarsi. Ma quegli occhi color smeraldo, tra le persone in piedi, non li aveva trovati.
    Non lo sapeva ancora, che non li avrebbe più rivisti.
    E poi, quando finalmente aveva preso coraggio per abbassare lo sguardo e concentrarsi sul terreno intorno a sé, l’aveva vista. Ed era stata la cosa più sbagliata alla quale avesse mai assistito: era sempre stata colpita dalla sua vitalità, amalie. Dal sorriso sempre ad illuminarle il volto, e da quella personalità che sarebbe stata capace di muovere intere folle, se l’avesse voluto. Non era umano il fatto che fosse lì a terra, immobile e coperta di sangue.
    Non era umano niente di tutto quello, in realtà: stiles, swing, jess, marcus, dick.
    Non erano nemmeno tutti i morti: dovevano ancora arrivare, gli altri.
    E le sarebbe bastato incrociare lo sguardo di erin, per stare meglio.
    Ma non così,
    dio, non così.
    Quando l’aveva vista a terra senza vita, amalie shapherd aveva stretto ancor di più a sé il corpo di barry - finché non si era ritrovata a stringere solo aria - ed aveva iniziato ad urlare.
    E nella sua testa, seppur fossero passati giorni, non aveva ancora smesso.

    Non sapeva cosa ci facesse di preciso, lì davanti alla porta di casa daniels. Sapeva solo che, dopo quanto? una settimana? dieci giorni? sinceramente non le importava molto, ciò che contava era il fatto che dopo giornate intere incapace di abbandonare il letto, alla fine aveva deciso di uscir fuori da quell’intreccio di lenzuola. E non era stato perché mossa dalla preoccupazione negli occhi di maeve, dal desiderio di andar a consolare dakota e scott o dal voler andar a cullare lewis e carole. Tutte cose che avrebbe voluto fare, ma per le quali non si sentiva all’altezza: come poteva tranquillizzare maeve, quando lei stessa dubitava che si sarebbe mai ripresa? Non voleva darle una falsa speranza.
    E come poteva anche solo pensare di consolare dakota e scott quando condivideva il loro stesso dolore e non avrebbe fatto altro che farli stare peggio, piuttosto che aiutarli? Non voleva peggiorare la situazione.
    Ed infine, come poteva cullare quelle bambine, le sue sorelle, quando l’ultimo corpo che aveva stretto a sé era stato quello senza vita di barry? Sentiva di non potersi avvicinare a qualcosa di così bello, così puro, quando pochi giorni prima aveva sperimentato sulla propria pelle un’esperienza del genere. Erano state due, le cose che l’avevano fatta finalmente uscire da quella stanza: il piccolo acquario di vetro in bella vista con il pesce rosso all’interno, ed il letto talmente grande da sembrarle inadatto.
    Perché mushu sguazzava tranquillo nell’acqua, incurante di ciò che era successo, vivo mentre erin invece non c’era più.
    Ed amalie aveva tutto lo spazio necessario per rigirarsi su sé stessa nel letto, senza il rischio di prendere a calci barry, e col passare dei giorni iniziava a sentire tutto quello spazio troppo opprimente perché lei era viva, si svegliava nel cuore della notte piangendo a causa degli incubi e barry non era lì a consolarla. Lui, che negli ultimi mesi c’era sempre stato: non li aveva mai dovuti affrontare da sola, da quando era tornata dall’upside down. Da quando aveva visto i suoi fratelli morire, ed erin, e scott, e jade, ed euge, e will . Non i suoi, ma aveva fatto male comunque: aveva vissuto con loro per cinque mesi, amalie. E l’unica cosa che le aveva dato la forza di affrontare quegli incubi, e di rimettersi a dormire ogni volta che i loro volti senza vita la svegliavano nel cuore della notte, era la speranza di rivederli nel suo, di mondo. Non aveva mai pensato, che le cose sarebbero potute andare così.
    Che avrebbe perso erin, la sua erin, per sempre.
    E che barry non sarebbe stato più lì presente ad ogni suo risveglio per stringerla tra le braccia e tranquillizzarla, ma uno dei volti a farle visita negli incubi
    Quindi non sapeva bene cosa ci facesse di preciso lì, davanti a casa di Hyde e Jekyll. Quello che sapeva, però, era che avere la possibilità di conoscerli anche nel suo, di universo, era uno dei momenti che aveva più atteso mentre era nel futuro. E se l'era immaginato diversamente, il loro primo incontro. Forse con una presentazione power point per mostar loro quanto avesse imparato sul 2043, forse con una torta al cioccolato o con uno dei libri preferiti dei mal. Aveva immaginato un sacco di scenari, ma di certo di tutti quelli non faceva parte uno in cui lei che scoppiava a piangere non appena, dopo aver bussato ed aspettato qualche minuto, le aprirono la porta.
    Ed invece fu esattamente ciò che accadde.
    Non sapeva perchè fosse lì, ed in quel momento si sentiva una stupida: forse si era illusa che rivederli avrebbe migliorato le cose, ridandole magicamente un po' di quel coraggio di cui aveva bisogno «non sono mabel» non era forte, lei. Non era coraggiosa, non aveva le energie nemmeno per uscire di casa: non poteva immaginare come avesse fatto, la winston crane, a tirare avanti un'intera famiglia. «mi dispiace» Per averli abbandonati, per non essere la sorella alla quale avevano detto addio nel futuro, per non esser riuscita a salvare nessuno.
    «mi dispiace»
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
     
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    Non troppo sorprendentemente, uno dei primi ricordi di Hyde Crane Winston riguardava la morte. Aveva cinque anni quando, in uno dei rari momenti in cui la sua cagionevole salute gli permetteva di mettere piede fuori casa, aveva trovato un coniglio riverso al suolo nel cortile sul retro; ricordava di essere rimasto a guardarlo per ore, trattenendo di tanto in tanto il respiro come se l’attesa bastasse a far battere ancora il cuore dell’animale: era un bambino curioso, Hyde, e quell’immobilità non la capiva. Prima o poi, si diceva, avrebbe dovuto muoversi - non perché tenesse particolarmente alla creatura, proprio per principio. Sua madre l’aveva trovato con le dita a pochi centimetri dal pelo del roditore, anche loro in attesa di percepire qualcosa - calore, forse. Un tempo Hyde credeva che le cose bisognasse toccarle, perché diventassero reali. Quella era stata la prima volta in cui un consapevole Crane Winston, era venuto a contatto con la morte; la prima volta in cui Maeve, chinandosi per avere gli occhi alla sua stessa altezza, gli aveva spiegato cosa fosse: è il ciclo della vita, gli aveva detto; tutto ciò che nasce, prima o poi muore. Logica e razionale, perché sapeva che Hyde, pur essendo un bambino, aveva bisogno di quello: realismo. «perché?» ed indicò il coniglio, che Hyde non voleva sapere perché gli esseri viventi dovessero cessare d’esistere: voleva sapere perché fosse morto. Aveva cinque anni, ed aveva già la vena pragmatica che l’avrebbe seguito nei quindici successivi: se scopri l’origine, puoi aggiustarlo. Era bravo ad aggiustare le cose, Hyde; che ne sapeva, che non sarebbe bastato. «chi può dirlo; forse l’età, forse qualche malattia: sono creature molto fragili» Aveva annuito, perché non lo erano forse tutti? Non aveva ancora la coscienza dell’impotenza, ma nei pigri occhi azzurri che aveva rivolto a sua madre, c’era quel genere di domanda che avrebbe sempre, sempre tormentato il subconscio del biondo, navigando fra incubi e vuoti a perdersi. «quindi non sono stato io?» Il fatto che fosse stato lui a trovarlo, gli aveva fatto sorgere il dubbio – come poteva sapere da quanto fosse morto? Come poteva essere sicuro di non aver fatto nulla per causarlo? Il mondo era un posto enorme ed incredibile, per il bambino dalla pelle chiara ed il cuore troppo fragile, costretto la maggior parte del tempo sotto le coperte della propria cameretta. E per quanto non avesse mai amato gli abbracci, quello se l’era preso, perché una parte di Hyde sapeva che sua madre ne avesse bisogno più di quanto non ne avesse bisogno lui: genitori, una razza particolare d’umani. «no, hyde, non è colpa tua: è solo così che va il mondo»
    Era solo così, che andava il mondo. Con l’odore di sangue ad impregnare pelle e vestiti, mezzo piede oltre la soglia della stanza, ed il braccio allungato istintivamente al proprio fianco per fermare l’inevitabile assedio dei compagni all’interno del locale. Così, con spuntoni che dal nulla tagliavano carne e muscoli, mentre un Hyde immobile ed intatto osservava lo scempio sotto i propri occhi: i suoni giungevano ovattati, i visi apparivano con un secondo di ritardo nel campo visivo del Crane Winston, ritrovatosi fermo fra decine di corpi in movimento. Non accennava a spostarsi quando si facevano troppo vicini, incassando sterile gomitate e spinte affrettate; la sua era una realtà diversa dalla loro, ed Hyde, come sempre, era intoccabile.
    I suoi genitori.
    Le sue sorelle.
    Le sue cugine.
    Guance sporche di sangue e pianto.
    Tupperware.
    Lynch.
    Zio Dick.
    Un Hyde bambino aveva creduto a sua madre, quando gli aveva detto non potesse essere colpa sua; a vent’anni, la storia era un po’ diversa, con i contorni resi più marcati da tutto quel che poteva fare e non aveva fatto: era un Vigilante; Tupperware e Lynch, erano una sua responsabilità. Ed era il fratello di Mabel - non poteva fare quello, a sua sorella.
    Ma l’hai fatto, Hyde.
    Ed il tempo tornò a scorrere regolare, le iridi cerulee volte sull’uomo che esigeva la loro attenzione – qualcuno che non conosceva: i 2043 avevano già cambiato la storia. In quel momento, si domandò se ne fosse valsa la pena, o se avessero semplicemente mandato tutto a puttane. Neanche una volta Hyde si permise di far scivolare lo sguardo su Maeve e Al, su Amalie o Heidrun; non cercò neanche Jekyll o Chelsey, occhi fissi sull’individuo che aveva appena ucciso Dragomir Vasilov. E non amava essere toccato, Hyde - ma non ebbe scelta, quando Jack Daniels venne tirato in causa: chi era il capo, da quelle parti? Non guardò neanche Mitchell Winston, impassibile e vuoto nel posare lo sguardo ovunque e da nessuna parte. Quando furono liberi di muoversi, e di piangere, non aveva esitato un secondo prima di afferrare il gomito del fratello, i liquidi occhi di lui su Noah e Mabel, e su Leia e Murphy, e sul posto lasciato vacante da zio Dick. «andiamo» che non era posto per loro, quello. Che non erano i loro, quelli, e non potevano fare proprio un cazzo. «jekyll» un altro strattone, i denti digrignati ed una furia fredda nelle iridi azzurre: perché vaffanculo, jek, credi che a me questa situazione del cazzo piaccia? Amalie Shapherd neanche sapeva della loro esistenza. Non erano nessuno, per lei. «ce ne andiamo, ora» e lasciò che un po’ di quella disperazione condivisa trapelasse, perché sapeva che alla fine, per quanto gli costasse, Jek l’avrebbe seguito, lasciandosi alle spalle gli strilli di Mabel Winston Crane e Noah Hamilton. Se li sentiva vibrare nelle ossa, Hyde. Erano sempre stati quelli responsabili, loro; quelli che non piangevano, ed avevano una risposta a tutto.

    Se n’era andato quel giorno. Se n’era andato quelli successivi, quando erano più le ore passate al Ministero che quelle nell’appartamento che condivideva con Chelsey e Jek, perché non ce la faceva. Assurdo da ammettere, terribile da esistere, ma Hyde non riusciva a tollerare l’idea di aver fallito - tipico di Hyde scegliere d’andarsene nel momento in cui più avrebbero dovuto rimanere gli uni vicini gli altri. Senso di colpa, impossibile da deglutire anche se corretto al whisky o al rum, gli stessi che trascinava fino al portone di Alister Black per rubare ancora del tempo, prima di dover tornare a casa.
    Vagava, Hyde. Camminava senza meta per le strade di Londra e di Hogsmeade, nascondendosi nelle ombre di un mondo al quale non apparteneva. Estraneo ed escluso, in quella fottuta seconda occasione che era riuscito a mandare a puttane - odiandosi, per fare quello a suo fratello. Per lasciarlo solo, quando sapeva – sapeva! – che Jek l’avrebbe voluto al proprio fianco.
    Egoista, Hyde, lo era sempre stato. Un tipo solitario ed eccentrico, incapace di relazionarsi come un qualsiasi cazzo di essere umano avrebbe dovuto fare. E quando tornava a casa puzzando d’alcool e sigarette spente con le dite, liquidava i due con vaghi cenni del capo prima di chiudersi nella propria camera.
    Chi è il capo, da queste parti?
    Kimiko Oshiro era tornata al comando, ma Hyde - ma Jack - quella responsabilità se la sentiva ancora sulle spalle: non avrebbe mai creduto che sarebbe giunto il momento in cui avrebbe accettato, mai ammesso, di essere troppo giovane.
    Per quel ruolo.
    Per quel mondo.
    Per quella doppia vita del cazzo.
    Fu per puro caso che quel giorno, quando il campanello disturbò il placido sonno di Graffio, Hyde fosse ancora a casa.
    Sollevò lo sguardo verso l’uscio, un’occhiata poi sbilenca al corridoio dove si trovava la camera di Jek. Non gli domandò se aspettasse qualcuno: sapeva, non fosse così.
    Nessuno suonava alla loro porta, se non alle ore dei pasti quando ordinavano pranzo e cena d’asporto.
    Sospetto.
    Passò l’indice sul labbro inferiore, la bacchetta già stretta nel pugno nell’affacciarsi cauto sullo spioncino.
    Un respiro.
    Forse due.
    La bacchetta riposta nella tasca dei pantaloni.
    Forse ha sbagliato citofono.
    Aprì, impassibile di fronte al viso bello, sempre troppo fottutamente bello, di sua sorella; la speranza era una puttana ingannatrice. Arcuò lento un sopracciglio, le nocche rese bianche dalla pressione sulla maniglia interna della porta; si spostò lateralmente in modo da impedire a Jekyll, giunto come un uragano alle sue spalle, di uscire ed abbracciarla, perché non sapevano ancora –
    «non sono mabel» Sputato fra le lacrime, e fra i deboli battiti di cuore di chi a quel nome, associava ancora un tutto. «mi dispiace» Ancora immobile, ancora troppo immobile, Hyde. Aveva temuto ed atteso quel momento da quando avevano deciso di rimanere in quel tempo: e che sempre, fottuto!, male al cuore, vedersi sbattere in faccia la crudele realtà dei fatti.
    Non era Mabel.
    «nessuno ti ha chiesto di esserlo,» non si era neanche reso conto d’aver parlato, o di essersi infine spostato abbastanza da permettere a Jekyll di muoversi – ad Amalie di entrare. Si sentiva di troppo, Hyde; perché Mabel sapeva, com’era il fratello minore, e l’aveva sempre accettato com’era - ma Amalie? Che ne sapeva, Amalie Shapherd. E che peso sulla lingua, quel anche se noi non siamo i tuoi fratelli a cui non riusciva a dar voce.
    Un passo all’indietro, ed altri due. Un terzo non poteva certo far male, perché – onestamente? – preferiva prendere le distanze da subito, che subire il rifiuto dopo. Solo con un sussurro appena percettibile, concluse la ruvida replica di prima: «sei comunque nostra sorella»
    hyde cw
    leader of the council
    Where did you go?
    I should know, but it's cold
    And I don't wanna be lonely
    So show me the way home
    I can't lose another life
     
    .
1 replies since 27/6/2019, 23:28   193 views
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