i'm naturally funny because my life is a joke

@bde, dwight

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    Era abituato a vedere cose strane al BDE: la cocaina nel gelato al fiordilatte, Sandwich che si cercava una sugar mama, sue gigantografie ad occupare gran parte delle pareti e le statuette iridescenti di Richard Quinn su ogni superficie disponibile, eppure ogni volta che indossava la divisa da marinaretto e metteva piede nel suo piccolo e freddo inferno personale, c’era sempre qualcosa di peggio. Pareva non esserci limite alla stravaganza di quel locale, e no, non si riferiva a Behan biondo platino (non quel giorno, perlomeno. fortuna che il cappellino copriva quell’abominio; purtroppo per la faccia non c’era niente da fare, Beh se la doveva tenere anche fuori dalla gelateria: tragic) né alla montagnetta di mutande che aveva trovato nascoste sotto uno dei tavoli all’apertura mattiniera (i passanti narravano di aver visto passare un ragazzo biondo a mollare lì la refurtiva, ma vigeva un po’ l’omertà in quel di Quo Vadis, quindi il mistero sarebbe rimasto). A perplimere Barnaby Jagger, il quale oramai avrebbe dovuto essere abituato al peggio del peggio, fu altro. Chiariamo un piccolo particolare: a Barbie piaceva farsi i cazzi propri. Da morire. Non voleva attenzioni, e non si riteneva un particolare paladino della giustizia. Voleva i suoi spazi, i suoi silenzi, e poter intagliare statuette di legno con la faccia di Nicholas Cage in santa pace. Se il mondo fosse andato a fuoco, lui si sarebbe spostato un po’ più in là, e neanche sempre a dire il vero: talvolta era disposto a rischiare di bruciare vivo, se significava poter dormire un altro po’, o prendersela con più calma ad uscire dall’edificio in fiamme. Era interessante conoscere i drama altrui, fino a che non intaccavano la sua placida bolla di quiete. Eddie, ad esempio, gli sarebbe sicuramente piaciuto se avesse ammorbato solo l’esistenza di Dick, di Beh, e dei piccoli adepti che pendevano dalle sue labbra, e non avesse cercato di venderlo al gruppo di mafiosi russi passati quel pomeriggio per uno dei loro milkshake speciali.
    Ma no. Non era neanche quello ad aver reso il suo pomeriggio memorabile e (poco) significativo – ordinaria amministrazione, anzi.
    Strinse le labbra fra loro, gli occhi bruni a guizzare impotenti sul Behan Tryhard che aveva scelto quell’esatto momento per andare in pausa. Sperava fosse per qualcosa di importante e vitale, non una sessione di awkward pomiciate con quel palo della luce cinese, perché altrimenti avrebbe finto la sua morte e lasciato all’ex Tassorosso tutti i suoi turni da coprire fino a che non avessero trovato una nuova vittima. Sostituto*, dannato autocorrettore. Tamburellò le dita sul bancone in alluminio della gelateria, capo reclinato al soffitto sperando che le luci al neon lo accecassero abbastanza da impedirgli di assistere a quel siparietto. Speranza vana: quando abbassò lo sguardo sulla fila davanti alla cassa, loro erano ancora dove li aveva lasciati.
    Ma chi gliel’aveva fatto fare di lavorare in quel posto di merda. Chi. Se lo chiedeva giornalmente, più volte nella stessa ora, e non riusciva a trovare una risposta che soddisfacesse il Quesito TM. Cioè, lo sapeva - era troppo pigro per cercare un altro lavoro; non era stato Barbie a cercare il BDE, ma il contrario, piombando nella sua vita con la grazia dei viaggiatori del tempo a Bodie, California, 1917, ed il Jagger aveva fatto quello che sapeva fare meglio: niente. - ma al contempo non lo concepiva. Davvero la sua vita era arrivata a quello? Quando aveva fallito così tanto? Era colpa di Barbie, o quella merda di Sander Bitchinskarden che non si era fatto abbastanza i cazzi propri e non era rimasto a guardare morire tutti i suoi cari nel 2043? COWARD. E certo, era più facile incolpare quel che era stato, piuttosto che il relitto d’uomo che era diventato: aveva ancora dell’amor proprio. Schioccò le labbra fra loro, un sospiro a sgusciare dalle labbra socchiuse mentre Dylan – quella che scriveva le fanfic su Eddie e Dick; no, non le aveva lette, ma i suoi capitoli erano appesi alla bacheca comune insieme alle foto di Beh. -, un ginocchio sul pavimento, attendeva la risposta del ragazzino alla proposta di matrimonio.
    Era tutto molto bello. Giovani amori, cuori impulsivi, eccetera eccetera. Ma: «quindi...» il gelato sul cono si era ormai sciolto, appiccicando le dita del Jagger al fazzoletto sottostante, e Barbie attendeva la risposta di Dwight alla sua domanda con più impazienza della Tassorosso. «il gelato lo vuoi o no?» Priorità.
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    «Comunque si chiama Dwight. Ti chiami Dwight, no?» «Giacomino» cit.
    giacomo linguini
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    Aveva sentito un mucchio di storie, prima del suo trasferimento. Stereotipi, perlopiù, di cui gli anziani membri della variegata stirpe dei Linguini avevano ritenuto necessario metterlo al corrente. Gli avevano parlato del cielo grigio, della pioggia costante, di quel clima che niente aveva a che fare con le temperature (infernali) delle lunghe estati a Canosa. Gli avevano ricordato che alle cinque non si consumava il tè, ma era il momento in cui, seduti attorno ad un tavolo pronto ad accogliere un esercito, si aspettava il terzo secondo di un normale pranzo in famiglia – e lo avevano minacciato, persino, dicendo che se si fosse convertito alle tradizioni culinarie inglesi («mettono il ketchup sulla pasta, te ne rendi conto?»), sarebbe stato cancellato dall'albero genealogico e bandito dalla città. Avevano commentato il carattere riservato di quel popolo («hanno la puzza sotto il naso, come i francesi» «io sono francese per metà» «perché ti abbiamo salvato in tempo»), avevano criticato il loro peculiare umorismo, avevano malcelato l'antipatia acuita dal fresco confronto calcistico dicendosi preoccupati per la sopravvivenza del minore dei Linguini – comprensibile, in un certo senso; era bastata una tranquilla passeggiata con Gin per finire nei laboratori estremisti. Gli avevano riempito la testa di raccomandazioni (vane perché, in un modo o nell'altro, il Vega si sarebbe cacciato nei guai), dimenticando di affrontare l'unico discorso realmente utile ad un adolescente: come cavarsela con le donne.
    Ci era già passato, anni addietro, quando i cugini si erano sentiti in dovere di descrivere certe dinamiche relazionali su cui lo special aveva poi rimuginato per ore – sguardo vacuo, posizione immutata e mente impegnata a rimuovere le immagini evocate dai Linguini. Tuttavia, non era il sesso a preoccuparlo (aveva visto "40 anni vergine", era piuttosto certo di avere tempo); gli sarebbe piaciuto sapere, ad esempio, come comportarsi di fronte ad un'inaspettata proposta di matrimonio ricevuta da una ragazza con cui aveva scambiato solo una manciata di battute. Perché nessuno lo aveva preparato ad una simile evenienza.
    In altre circostanze – e cioè: se fosse stato un semplice spettatore – si sarebbe mostrato positivamente colpito dal coraggio dalla Kane. Chi lo aveva deciso che doveva essere l’uomo a chiedere la mano della compagna al termine di un tortuoso percorso che prevedeva la previa approvazione del parentame e della cittadina tutta («DisgraziEto, non ce lo dici a Mimmo, che ti ha visto crescere?»), una serenata sotto la finestra, festa in piazza, prove di lavoro nelle tenute di famiglia, riunione collettiva per la scelta di una data lontana da eventi calcistici di rilievo e via discorrendo?
    Nonno Lino.
    E zia Orietta.
    E più o meno tutti i Linguini – tanto da averlo rimproverato per l'irrispettoso comportamento tenuto con Melvin.
    Ma a parte loro, nessuno.
    Ecco perché lo special apprezzò sinceramente la proposta della tassorosso. E avrebbe voluto dimostrarlo con un’espressione diversa da quella di panico comparsa sul suo volto; avrebbe voluto ricordare almeno una delle lingue imparate nel corso della sua giovane vita – inclusi i dialetti dei cugini – per fare qualcosa di differente dall’annaspare; avrebbe voluto poterle dire di sì, ma–
    «No.» dopo interminabili istanti di silenzio, sentì la sua bocca pronunciare quella sillaba quasi in modo meccanico – le iridi in quelle della tassorosso, il colorito ancor più pallido del solito e una paralizzante sensazione ad irrigidirne il corpo. «Cioè– sì!» aggiunse subito dopo, sgranando gli occhi in un’espressione colpevole. Come aveva potuto essere così sgarbato? Riusciva quasi a vederla, sua madre – la mano sollevata per uno scappellotto educativo e negli occhi un profondo senso di vergogna per il comportamento del figlio –, rimproverarlo per aver rifiutato il cono che il ragazzo dietro il bancone gli stava porgendo. Spostò lo sguardo da Dylan a Barbie, dal ragazzo alla sua mano, da quella alla tassorosso, cui riservò un sorriso carico di imbarazzo – come se l’inconveniente del gelato fosse l'unico motivo per cui non le aveva ancora dato una risposta. «T-ti dispiace scusarmi un secondo?» allungò la mano in direzione del Jagger, la strinse attorno alla sua – alla nocciola, al cioccolato e a ciò che restava del sottostante fazzoletto di carta – e chiuse gli occhi.
    Quando li riaprì, contro ogni previsione, Barbie non era morto.
    «Mi è riuscito?» chiese, sorpreso e, insieme, preda di un’incontenibile euforia. Non aveva mai provato ad includere qualcuno nella sua bolla temporale – non era neppure sicuro che fosse strettamente necessario toccare l’altra persona –, ma considerava un successo il fatto che il ragazzo avesse ancora tutti gli arti al loro posto. Almeno apparentemente. E soltanto per il momento, non poteva fornirgli alcuna garanzia sul processo inverso. «Sembri tutto intero, chi lo avrebbe detto!» se gli avesse appena confessato di aver messo a repentaglio la sua vita solo perché non era in grado di interagire con altri esseri umani? Forse, ma situazioni disperate richiedevano azioni sconsiderate disperate. Diede un'altra occhiata al Jagger, poi fece schioccare le dita davanti alla Kane, senza sortire alcuna reazione da parte di quella che sembrava una statua di cera. «Dobbiamo fare in fretta.» cancellò il sorriso dal suo volto e si fece improvvisamente serio, dando per scontato che il ragazzo avrebbe provato pietà per lui e lo avrebbe aiutato ad uscire da quella situazione spinosa. «Non posso sposarla. È carina e–» sicuramente possedeva una serie di qualità che il Vega non aveva ancora avuto modo di conoscere, avendo parlato con lei soltanto di cibo e di Mehan. «E–» ancora, avrebbe potuto aggiungere di avere soltanto diciassette anni o di non poter infrangere nuovamente le tradizioni di famiglia (accettando una proposta senza prima seguire l'iter che gli era stato imposto), ma preferì optare per un «È che sono già impegnato» dopotutto, Melvin lo aveva baciato per ben tre volte, alla festa di fine anno! E i Linguini potevano dire ciò che volevano, tra una proiezione e l'altra dei momenti salienti del prom, ma non gli sembrava un dettaglio di poco conto. «Credo. Non lo so. Io– perché tutte le ragazze, qui, vogliono sposarsi?» era forse una retrograda imposizione della società? Erano obbligate a trovare un marito entro un certo limite d’età? Oppure era soltanto il fascino dello straniero, quei tratti francesi – che i cugini non mancavano di fargli notare – uniti ad un animo puramente italiano a fare breccia nel cuore delle fanciulle? «Non voglio ferirla, capisci?» e se avesse pianto, lì, davanti a tutti? Avrebbe fatto lo stesso anche lui, molto probabilmente. «Che devo fare?»
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    «No.» Allora cosa ci faceva in una gelateria – o al mondo, se non accettava una spontanea richiesta di matrimonio da una perfetta sconosciuta. Non sapeva se quel diniego fosse per il cono o per la mano dell’amica di Joni, ma poco cambiò nell’espressione stanca e impassibile del Jagger. «k» «Cioè– sì!» Ma allora! «d-d-deciditi p-p-p-però» Corrugò le sopracciglia, una mano sul fianco e lo sguardo bruno a saettare dalla ragazzina all’indeciso cliente. Apprezzava sempre un po’ di sano drama, soprattutto quando non riguardava Baby Satan Moonarie, ma se ogni persona lì dentro bloccava la fila per problemi di cuore, non ne uscivano più. Barnaby Jagger voleva davvero, davvero, uscirne. Mostrò il proprio scarso interesse con un lento battito di palpebre, labbra strette fra loro in attesa che lo sgagno si riprendesse (tUtTo qUeLlO cH’ErA sUo) il gelato così da far scorrere la fila e far tornare al guaritore l’improvviso bisogno di tagliarsi le vene. L’altro, anziché stringere le dita attorno al cono, le strinse sulla sua mano.
    Uh.
    «a-a-apprezzo m-m.ma n-n-non s-s-sei il m-m-mio t-t»ulipano. «t-»ortino. «t-»-TARGEEEEEEET. «tip-uh» Provò la strana, stranissima sensazione di cadere pur rimanendo in piedi, quasi come un Lele qualsiasi a Ferragosto. Un vuoto allo stomaco non dissimile a quello che si provava piombando nel vuoto nei sogni, cuore in gola e fitta allo sterno. Oddio. Da quando i ragazzini gli facevano quell’effetto. Oddio. Era grave. Ai suoi tempi e nella sua gioventù, l’avevano certamente definito un po’ - senza un po’ - depravato, ma non a quei livelli: era un bambino, per Dio! «Mi è riuscito?» Barbie, la mano ancora seppellita sotto strati di gelato sciolto e sudore del ragazzino, ripetè la domanda che centinaia di migliaia di volte il mondo, in tutte le sue vite e dimensioni, aveva rivolto accusatoria a lui: «c-c-cosa hai f-f-fatto.» senza punto di domanda, perché ogni inflessione della voce avrebbe rischiato di rompere quel precario equilibrio. Era ancora leggermente sporto in avanti, e l’unico movimento concesso fu quello degli occhi quando, finalmente, si guardò attorno. «Sembri tutto intero, chi lo avrebbe detto!» Purtroppo, era una frase che sentiva spesso nei propri confronti.
    A quale punto era arrivata, la sua vita.
    Senza distogliere lo sguardo dal peculiare, cristallizzato, mondo circostante, sospirò. Era difficile trovare una risposta adeguata ad un sembri tutto intero, chi l’avrebbe mai detto che non implicasse una lunga lista di insulti, ed una denuncia per violenza su minore - lo sapeva per esperienza. - quel soffio d’aria sputata fra i denti avrebbe dovuto bastare. «Dobbiamo fare in fretta.» Temeva che togliendo la mano da quella del ragazzo, sarebbe accaduto qualcosa di devastante ed irrevocabile, motivo per cui perpetrò la loro stretta, ormai cementata da nocciola e rimpianti, e lo tirò leggermente a sé. Dobbiamo? Barbie Jagger non doveva fare proprio niente, mai nella vita, figurarsi con un adolescente a cui era appena stata fatta la proposta di matrimonio. Ma sapeva con chi stava parlando? Il Re dei pigri e dei procrastinatori; il Principe del menefreghismo; la Principessa delle deleghe. «n-n-noi?» Arcuò scettico un sopracciglio, lasciando che Lo Sguardo esprimesse tutto il proprio dissenso e la propria assoluta, irremovibile, voglia di non collaborare. «Non posso sposarla. È carina e–E–È che sono già impegnato» Ok.
    E quindi.
    In primo luogo, cosa c’entrava lui. In secondo luogo, qual era il problema. Aveva… quanto, quindici anni? A quindici anni non esistevano storie serie. Poteva sposarsi per provare il brivido del matrimonio, ed annullarlo just because. Duh, i giovani del ventunesimo secolo non sapevano più viversi la vita. Umettò le labbra, tirandole poi in un sorriso forzato. «ho un-n-n-n’idea» Si chinò per rivelare il grande segreto. «p-p-potresti d-d-d-dirglielo» spalancò anche gli occhi, mimando con la mano libera un cervello che esplodeva. «Credo. Non lo so. Io– perché tutte le ragazze, qui, vogliono sposarsi?» Poteva inventarsi una gran cazzata sull’amore a prima vista, sarebbe stato perlomeno divertente, o qualcosa su una mafia dei matrimoni, ma gli sembrava abbastanza disperato da meritare una risposta sincera. «s-s-soldi» gli diede una leggera pacca consolatoria sulla mano, ma senza azzardarsi a sciogliere la presa. Non voleva perdersi, di nuovo, in qualche mistico limbo spazio temporale.
    «Non voglio ferirla, capisci?»
    Ci pensò. «n-n-n-no» In effetti non aveva dovuto pensarci per niente.
    Ed ecco la domanda che aveva temuto sin dall’inizio, frutto di chiara innocenza ed ignoranza nell’interpretazione delle espressioni umane. Chissà cosa, nel volto di Barbie, aveva suggerito allo sgagno fosse una buona idea chiedere consiglio a lui. Doveva essere davvero disperato. Non che la disperazione smuovesse l’animo del Jagger, ma che ne poteva sapere il Linguini. Affranto, gli offrì il secondo sospiro - al terzo era strike – osservandolo con un cipiglio severo e saggio. «d-d-d-devi dire d-d-di sì. È la l-l-legge» sancì, sicuro. «le d-d-donne hanno s-s-sempre r-r-ragione, e quando p-p-piangono s-s-sono b-b-brutte» la soluzione era semplice, per il fu-quasi-Bodiotto; che non fosse quella desiderata dall’altro, non lo toccava minimamente. Già che c’era, e sentiva il brivido dell’essere – per una volta – ancora integro, accennò vagamente all’ambiente che li circondava. «q-q-quanto d-d-dura il b-b-blocco, c-c-cronocineta?» così, per sapere quanto tempo avesse a disposizione per ciulare i soldi alle vecchie milf prima che ci arrivasse Sandwich.
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    «Comunque si chiama Dwight. Ti chiami Dwight, no?» «Giacomino» cit.
    giacomo linguini
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    «n-n-noi?» istintivamente, voltò il capo verso destra e sinistra prima di tornare a fissare Barbie. C’era forse qualcun altro? Era uno di quei momenti in cui il co-protagonista si rendeva conto che non erano soli, all’interno della stanza, e, con un dito tremante puntato oltre la spalla del compagno, tentava di indicargli la minaccia che avrebbero dovuto affrontare di lì a poco? Immaginava già la scena, il Linguini: una manciata di clienti rimasti intrappolati tra le pieghe del tempo, divisi tra il presente di una normale giornata in gelateria e il limbo creato dallo special; li vedeva avanzare minacciosamente nella loro direzione, mentre prendevano confidenza con quel nuovo status di aberrazioni – privi di arti o in preda a glitch, doveva ancora deciderlo.
    Mancava qualcosa, però.
    Inquietanti e incomprensibili versi in sottofondo, tanto per cominciare – ma avrebbe potuto accettarlo; trovava che il silenzio creasse una suspense maggiore.
    Oppure, un’espressione di puro terrore impressa sul volto del suo alleato – che, invece, sembrava piuttosto impassibile; infastidito, avrebbe osato dire, se solo il Vega fosse stato attraversato, anche solo per un attimo, dal pensiero che a Barbie non interessasse un fico secco delle questioni in cui era invischiato. Ma perché mai avrebbe dovuto abbandonarlo a se stesso? Il Linguini, a ruoli invertiti, non lo avrebbe fatto – nonostante le sue competenze in materia fossero pari a zero (nonostante la sua conoscenza del mondo, più in generale, fosse alquanto lacunosa) e tutto ciò che avrebbe potuto offrire sarebbero stati consigli tratti dai film che aveva visto, pacche consolatorie (q.b.) o lunghi silenzi per permettere all’altro di sfogarsi e giungere da sé alla soluzione del problema. E tanto bastava, allo special, per escludere quell’eventualità.
    «ho un-n-n-n’idea» sapeva di aver scelto l’uomo giusto (e non semplicemente l’unico che era stato in grado di raggiungere dalla posizione di semi-immobilità in cui era stato gettato dalle parole della Kane); se lo sentiva (in realtà no, ma ci sperava) che avrebbe tirato fuori uno di quei saggi consigli derivati da anni e anni di contatti con la più disparata clientela. Fiducioso, si avvicinò a sua volta al ragazzo e rimase in quella posizione per alcuni secondi, in attesa che al suo «p-p-potresti d-d-d-dirglielo» seguissero una serie di dettagliate istruzioni su come procedere.
    Istruzioni che non arrivarono.
    Allontanò il viso dal suo, inclinò leggermente il capo e non tentò di nascondere l’espressione – a metà tra la confusione e la delusione – che si dipinse sul suo volto. Sul serio, «Tutto qui?» Non che non fosse d’accordo sull’essere onesto, sia chiaro, ma davvero Barbie non aveva intenzione di prendere carta e penna, aiutarlo a buttare giù un lungo monologo e provarlo poi insieme, mentre interpretava la parte della tassorosso? «Potrebbe insultarmi,» non Dylan, ma se fosse successo, lo avrebbe accettato senza fiatare «piangere» uno scenario terribile in cui non avrebbe saputo come comportarsi «o chiedermi spiegazioni» forse l’ipotesi peggiore, preludio di un ciclo infernale che avrebbe racchiuso tutte le precedenti opzioni. «Serve qualcosa di…» onesto, ma delicato; criptico, magari, una di quelle frasi da metabolizzare nel corso del tempo. «Qualcosa come...» non era un amante del genere romantico, il Vega; soprattutto, non lo aiutava il fatto che il 99% di quei film avessero un lieto fine – che non poteva essere raggiunto, nella restante parte, soltanto per la morte di un membro della coppia; opzione che avrebbe preferito scongiurare. Portò lo sguardo verso un indefinito punto della stanza e passò in rassegna tutte le citazioni che gli venivano in mente, per poi illuminarsi di colpo e cercare le iridi di Barbie. «Non voglio che tu perda tutte le cose che qualcun altro potrebbe darti» era perfetta! E veritiera, soprattutto. Giacomo Linguini era soltanto il ragazzo più bello, gentile e intelligente del mondo, stando al parere di sua madre, cosa avrebbe potuto offrirle? «s-s-soldi» «Ah» si rabbuiò e distolse lo sguardo da quello del ragazzo, concedendosi qualche istante per elaborare quell’informazione. «capisco» non del tutto, a onor del vero. Aveva un senso, certo, credere che una così prematura proposta di matrimonio fosse accompagnata da un secondo fine (e, più in generale, riusciva finalmente a spiegare il suo insolito successo con le ragazze), ma «lo trovo triste, comunque» non a livello personale, non ce l’aveva affatto con la Kane; era l'idea in sé a turbarlo. «Ma dovrei essere contento, no? Non ho soldi, sono salvo» bastava dirlo a Dylan, quindi «Cioè, per il gelato sì» non voleva certo pensasse che non avesse intenzione di pagare la malta con cui le loro mani si erano fuse assieme. «E pochi altri. Li tengo da parte per Crez, però, nel caso in cui dovesse indebitarsi fino ad essere rapita» concluse, senza preoccuparsi di fornire altre spiegazioni o di come uno sconosciuto avrebbe dovuto reagire ad una simile esternazione.
    Convinto di avere la chiave per sfuggire alla proposta di matrimonio, tentò di sciogliere la presa di Barbie – senza successo. «d-d-d-devi dire d-d-di sì. È la l-l-legge» aggrottò le sopracciglia, assottigliò lo sguardo e lo fissò, perplesso. «Ma un minuto fa hai detto che...» che avrebbe dovuto dirglielo, che era tutta una questione di denaro e via discorrendo. Lasciò il discorso in sospeso, aspettandosi che fosse lo special a concludere la frase e scongiurare l’ipotesi che avesse iniziato a perdere la memoria a breve termine, preda di effetti imprevisti di quel blocco temporale. «Credo di poter reggere ancora un po', ma– non vorrei sembrare scortese, sicuro di stare bene?»
    17 YO | VEGA
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    Barnaby Jagger era nato sotto il segno della sfortuna. Bisognava dirlo, ammettere quel fatto troppo spesso taciuto o dato per scontato; bisognava concretizzarlo, così da dare uno scopo ed obiettivo alle persone che, sempre casualmente, incrociava sul proprio percorso. Non doveva neanche domandarsi chi fosse stato in una vita precedente per meritarlo, perché lo sapeva, ed era piuttosto certo che quella sua nuova, fantastica ed altamente entusiasmante vita di merda, fosse colpa di una macumba di Danielle Leroy Gallagher. Un malocchio che l'aveva segnato dal lontano milleottocento novanta quattro, e del quale non si era liberato atterrando nel ventunesimo secolo: l'aveva solo intensificato.
    Strinse le labbra ed alzò gli occhi al cielo per evitarsi il terzo, e conclusivo, sospiro, ovverosia lo strike che avrebbe concluso quel match decretando che di vincitori non ce ne fosse neanche uno.
    «Tutto qui?»
    Cos'era quel tono deluso. Cosa gli rappresentava, la delusione dipinta negli occhi chiari dello sgagnetto. Che cosa...voleva e si aspettava, esattamente, da un Barbie. Aveva forse una faccia amichevole?? Affidabile?? Dove aveva sbagliato per meritarsi un trattamento simile. Odiava le...aspettative, e lo rese cristallino battendo lentamente ed unimpressed le palpebre.
    «Potrebbe insultarmi,» Ed era...un problema? Una...sorta di questione? Qualcosa che avrebbe preferito non succedere? Secoli di nascita e fasce d'età differenti a parte, Barbie e Giacomino vivevano su due piani dell'esistenza troppo alieni per venirsi incontro su quel genere di problematiche. Non esistevano compromessi o terre di mezzo.
    «e q-q-quindi.» non una vera e propria domanda, quella del Jagger. Non si aspettava, né voleva, una risposta dal minore, ma sentiva che sarebbe arrivata comunque, accompagnata da qualche metafora cinematografica che il guaritore non conosceva né era interessato a conoscere. «piangere» Quello, lo comprendeva di più. Come aveva già saggiamente accennato alla mini clessidretta, le persone erano estremamente brutte quando piangevano. E fastidiose. Insomma, potendo scegliere anche lui avrebbe evitato - soprattutto se Dylan Kane doveva poi piangere al BDE. «o chiedermi spiegazioni» «d-d-dio n-non v-v-voglia» commentó atono, roteando gli occhi verso un nuovo sistema solare. Sarà che era sempre stato un ragazzo di poche parole, il buon Barbie, e mai troppo interessato ai sentimenti altrui per preoccuparsi di come reagire alle situazioni. Gli piaceva credere di essere spontaneo e genuino, ma la verità era che fosse un po' stronzo.
    Eh vabbè. Qualcuno doveva pur esserlo. Non era molto, ma era un lavoro onesto. «Serve qualcosa di…» Inarcò le sopracciglia, incitandolo a proseguire con un cenno della mano. Era quasi, quasi!, curioso di sapere dove volesse andare a parare con quel discorso, quale fosse secondo la sua mente contorta e machiavellica la soluzione al Problema ™. «Qualcosa come....Non voglio che tu perda tutte le cose che qualcun altro potrebbe darti»
    L'aveva detto davvero, e con un'espressione totalmente seria.
    Era davvero giunto il momento del terzo sospiro. Allungò una mano, quella non impregnata di gelato (forse.), posandola sopra la testa bruna del ragazzino, e lo scosse dolcemente come un ovetto Kinder. «n-n-n» nono, no no non mi lasciare, amore mio ti amo, afferra la mia mano. «non scoperai m-m-mai nella v-vita» che erano verità sempre difficili da consegnare al destinatario, soprattutto quando era uno sgagno sconosciuto che ancora credeva in qualcosa, ma qualcuno doveva pur dirglielo, e se quel qualcuno doveva essere un annoiato e confuso Barnaby Jagger, così fosse. Le priorità di Barbie erano molto chiare nella vita, ed erano tutte ridotte al (sesso. era un ventisettenne nato nel secolo precedente semplice) risparmio energetico. Perché mai volesse intavolare una discussione con (lui) la rossa, lo confondeva. Cioè, minchia, o le diceva si e viveva l'avventura che (nessuno) tutti sognavano, o le diceva no e si sposava quella dopo. Che sbatti aveva di vivere? «ah. capisco. Lo trovo triste, comunque» «c-come te lo avessi c-c-chiesto» esortò a spiegare, poggiandosi al bancone con entrambi i gomiti, premendo il mignolo sulla palpebra abbassata. Non soffriva davvero di emicranie, non soffriva nulla, ma la percepiva sotto pelle come un arto fantasma. Sentiva la pressione di quel che avrebbe potuto essere, una specie di terzo occhio dei millennials. «Ma dovrei essere contento, no? Non ho soldi, sono salvo. Cioè, per il gelato sì» «e anche p-p-per la m-m-mancia» provó perfino a sorridere, customer care prima di tutto. «E pochi altri. Li tengo da parte per Crez, però, nel caso in cui dovesse indebitarsi fino ad essere rapita» Forse qualcuno l'avrebbe trovato strano, ma andiamo. Barbie arrivava dal 1919, per l'amor di Dio, e prima di quello, dal 2043; aveva partecipato alla prima guerra mondiale; conosceva i freaks.
    Insomma. Tutto era lecito nella sua vita, ed accolse la notizia con un pollice sollevato. «b-b-bravo, s-stai andando f-f-forte» apri tutte le porte. Poi, l'illuminazione. «questa c-c-cr» etina «crez c-conosce tanta g-g-gente disposta a r-rapire le p-p-p» annocchie. «persone?» chiedeva per un amico. «c-c-chiedo per m-me.» chi non era amico di se stesso, si perdeva metà del divertimento. «Ma un minuto fa hai detto che...» KEEP IT UP GIACOMINO EDDAI. Lo osservò a palpebre socchiuse, studiandolo con il misto di rammarico e rimpianto che tingeva tutte le occhiate del Guaritore. Si chiedeva spesso, se non sempre, come si infilasse in certe situazioni; dire che capitassero e basta, sembrava ridicolo - eppure. Poteva dirgli che gli avrebbe dato qualunque consiglio gli avesse fatto chiudere la bocca per primo, ma ebbe un breve, fugace, attimo di umanità, e decise di concedergli la propria saggezza. «d-dille che t-t-tua m-mamma non v-vuole» fine, that was it, il Consiglio Supremo di ogni uomo che si rispettasse (cit Sander probably), con tanto di amichevole pacca sulle spalle. Dai, gli mancava poter usare quella scusa (di cui in gioventù aveva abusato, pur essendo sempre stato orfano. Si faceva quel che si poteva). Non rispose alla domanda su come stesse; non ne era certo da quasi trent'anni, rubando qualche anno al Bitchinskarden. «v-vuoi ...» lo stava per fare davvero.
    Offri il QUARTO sospiro della giornata, a cui raramente arrivava, arrendendosi molto prima. Fece scivolare lo sguardo bruno sul negozio ancora cristallizzato, osservando tutte le possibilità offerte da quel momento - tutte le vendette che avrebbe potuto prendersi, che sotterrò sotto una domanda che non pensava avrebbe fatto.
    Stava proprio invecchiando.
    «v-vuoi p-provare c-con m-m-me?» un cuore d'oro.


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    «Comunque si chiama Dwight. Ti chiami Dwight, no?» «Giacomino» cit.
    giacomo linguini
    (aka dwight)
    C’era stato un momento – un folle attimo di cui avrebbe fatto ammenda in seguito – in cui l’incrollabile fiducia di Dwight verso il genere umano si era incrinata. Impercettibilmente, forse, e di certo non in maniera irreversibile, ma aveva davvero considerato l’ipotesi che Barbie fosse entusiasta di quella situazione quanto lo sarebbe stato se gli avessero chiesto di contare tutte le scaglie di cioccolato contenute nel dispenser alle sue spalle. E ad instillare il dubbio non erano stati gli eloquenti sguardi dello special – le iridi puntate verso l’alto fino a sparire sotto le palpebre – né il tono piatto delle sue lapidarie repliche. Erano bastate due parole. Ci era voluto – del tempo, ma ne avevano a sufficienza, per la gioia del Jagger – quell’«e q-q-quindi» che la mente dell’italiano aveva istintivamente tradotto in un più familiare ed esplicativo «e sti cazzi?».
    Lo faceva spesso, il Vega, – non utilizzare un linguaggio scurrile ma – aveva sempre avuto il vizio di interpretare liberamente le risposte altrui. Aveva dovuto imparare a farlo, per compensare le sue discutibili abilità sociali o colmare le differenze linguistiche. Di volta in volta, si era lasciato aiutare dall’espressione sul volto del suo interlocutore (per uno scarso 10%, se avesse dovuto fornire una percentuale; aveva imparato da Crez e Lux che si poteva benissimo sorridere ed augurare all’altra un fulminante attacco di dissenteria), dal contesto (un modesto 20% perché le dinamiche attorno ai Linguini non erano mai del tutto chiare), dalla sua fantasia (unico strumento su cui avrebbe sempre potuto fare affidamento) e dalle sue conoscenze pregresse (che finivano per sembrare alquanto limitate quando la persona che aveva davanti iniziava a parlare in un pugliese stretto che tendeva a sfociare nell’inglese maccheronico, per poi fondersi con espressioni tipiche del dialetto milanese che, a sua volta, aveva ricevuto contaminazioni da altri idiomi sparsi per il resto della penisola – in poche parole, ogniqualvolta si trovava invischiato in una normale conversazione in famiglia).
    E proprio in virtù di quel difetto che lo caratterizzava, decise di concedere a Barbie il beneficio del dubbio. Lo guardò a lungo, domandandosi se non fosse stato lui stesso ad aver utilizzato impropriamente dei vocaboli inglesi, traendo in errore il suo nuovo amico. O forse, quello del Jagger, non era affatto un tentativo di sminuire e archiviare la questione quanto più un modo per stimolare l’italiano a trovare da sé la soluzione a quel problema – un incipit, come lui aveva tentato di fornirlo allo special nel provare a comprendere se la sua memoria si stesse sgretolando con una rapidità preoccupante. Cercò di fare uno sforzo, dunque, di seguire quell’esercizio mentale che gli imponeva di partire da una sua considerazione – «Potrebbe insultarmi», ad esempio – per poi giungere ad un punto di svolta. «e q-q-quindi» «e quindi sarebbe un’esperienza… di crescita?» non fremeva all’idea di essere ricoperto di frasi poco lusinghiere, ma non lo avrebbe neppure trovato eccessivamente imbarazzante – concetto che, dopo essere cresciuto con i Linguini, aveva assunto contorni molto vaghi. E poi, «Dylan potrebbe sfogarsi e stare meglio!» esclamò, entusiasta per la conclusione cui era arrivato senza che fosse l’amico ad imbeccarlo ulteriormente. Perché era lì che Barbie voleva farlo arrivare, no? No. Una volta capito il gioco, continuò riprendendo un’altra delle sue obiezioni: «Potrebbe piangere» «e quindi... qui è pieno di fazzolettini» anche se né lui né il Jagger sembravano intenzionati ad utilizzarli per scrostare il gelato dalle loro mani. «No, aspetta» non poteva certo essere una conclusione così banale. «Piangere fa bene?» (cit Behan) il punto era sempre quello, dopotutto, far stare meglio la Kane nonostante fosse lui la causa di quel profondo dolore che cercava di alleviare. Piuttosto contorto, doveva ammetterlo, ma l’idea che entrambi i ragionamenti lo avessero condotto lì, lo convinse di essere sulla strada giusta. Quello e il fatto che Barbie lo avesse incitato a proseguire, facendogli un cenno. «Potrebbe chiedermi spiegazioni» «e quindi» vide Barbie allungare una mano nella sua direzione – che avesse deciso di schiaffeggiarlo per la risposta data? Di benedirlo, forse? Ne aveva le facoltà? – e si lasciò shakerare senza opporre alcuna resistenza – magari voleva solo riordinarne i pensieri. «n-n-n» non gli era piaciuta la citazione? «non scoperai m-m-mai nella v-vita» ah. «Lo pensi davvero?» e forse, a quel punto, il Jagger avrebbe temuto l’ennesima richiesta di aiuto per scongiurare una simile prospettiva. Invece, il Vega concluse con uno «speriamo» che dava un’indicazione piuttosto chiara della sua posizione in merito. Non aveva problemi con il suo corpo – non ne accettava tutte le reazioni, certo, ma stava imparando a conviverci – né a spogliarsi come ogni pg di Alice – era impossibile vivere a Canosa, condividere ogni centimetro quadrato con un’altra decina di persone e mantenere inalterato il senso del pudore – ma l’idea di giocare a tetris con altri individui non lo entusiasmava affatto – specie dopo aver sentito, suo malgrado, i racconti che (quasi) tutti i cugini ci avevano tenuto a condividere con lui.
    E a proposito di Linguini, «questa c-c-crez c-conosce tanta g-g-gente disposta a r-rapire le p-p-persone?» non aveva idea della lista di amici della ragazza, ma era piuttosto sicuro di «no, figurati!» come gli era venuta in mente una simile domanda? Il Vega aveva soltanto detto di essere pronto ad un futuro, più o meno lontano, in cui l’italiana avrebbe potuto essere rapita, non che frequentasse abitualmente gente di quel tipo. «Cioè» a pensarci bene, era capitato che alcuni di loro venissero barattati da Lucrezia in seguito a debiti di gioco contratti; dunque, avrebbe dovuto concludere che trattasse con persone dalla morale talmente discutibile da poter essere disposti al rapimento. «Credo» si fermò a riflettere, lo sguardo puntato su un oggetto qualunque sul bancone, viso corrucciato e la mente impegnata ad unire i puntini di quel ragionamento. Ok, non c’era una differenza poi così sostanziale «ma» la domanda era un’altra, dunque. «c-c-chiedo per m-me.» perché voleva saperlo, Barbie? «oh, ho capito» non aveva capito. «non devi preoccuparti di noi, siamo brave persone» salutiamo sempre (cit. i vicini degli assassini accusati dei crimini più efferati della storia). Era chiaramente colpa della lingua, ancora una volta; doveva aver impostato male la frase, tanto da indurre il Jagger a credere che la sua famiglia navigasse in acque pericolose e spingerlo a sentirsi minacciato (dal fatto che quella pausa temporale stesse diventando un sequestro di persona?) dalla presenza del giovane special. Bastava guardarlo per capire che un simile timore non avesse alcun fondamento!
    Si rabbuiò per un attimo, e proprio quando stava iniziando a credere che la collaborazione con Barbie non avrebbe portato i risultati sperati, avvenne la svolta.
    E arrivò il consiglio™.
    «d-dille che t-t-tua m-mamma non v-vuole»
    Rimase in silenzio, ponderando quelle parole. Poteva funzionare? Il parere di un genitore era importante, dopotutto. Non si poteva certo discutere con un adulto – loro sapevano tutto, avevano vissuto più a lungo, avevano avuto esperienze diverse, conoscevano il mondo e avevano sempre un’idea precisa di come sarebbero andate le cose. Dunque, aveva senso. Nella sua semplicità, aveva perfettamente senso. Non si aspettava certo che Dylan gli chiedesse di impersonare un giovane Romeo e andare contro il volere della sua famiglia.
    Vero?
    Fece per rispondere e ringraziare Barbie per quell’illuminante consiglio, ma il suo nuovo amico e maestro proseguì.
    «v-vuoi»
    Forse non il migliore degli inizi dato che, lo stesso incipit, ascoltato pochi minuti prima, lo aveva portato a cristallizzare il tempo per sfuggire ad una proposta di matrimonio. Eppure, sgranò lentamente gli occhi, il fiato sospeso in attesa di conoscere le parole successive.
    «p-provare c-con m-m-me?»
    Lo sapeva, lo aveva sempre saputo! Dal momento in cui aveva stretto la mano alla sua e lo aveva trascinato in un quella situazione potenzialmente mortale, aveva sentito che Barbie era l’uomo giusto. Saggio, profondo, esperto conoscitore del genere umano. Talmente buono da non poter fare a meno di aiutarlo.
    «Sì!» rispose, senza trattenere l’entusiasmo per quella proposta. «Sì, grazie! Allora, ok, dammi un minuto e ci sono» si passò una mano sul viso, per cancellare il largo sorriso che era comparso e tornare serio. Chiuse gli occhi, inspirò profondamente ed espirò. Quando li riaprì, puntando le iridi in quelle del Jagger, si sentiva perfettamente calato nella parte.
    «Dylan» e fin lì, nessun problema – anche perché non conosceva il nome dello special, quindi sarebbe stato praticamente impossibile fare confusione. Un momento. «Pausa, stop, un attimo. Io sono Dwight, mi dispiace non essermi presentato prima, sono stato pessimo» allungò una mano nella sua direzione, aspettò una risposta (e il suo perdono) e proseguì. «Dicevo... Dylan, sono lusingato» giusto un po’ meno rispetto a quando credeva che quella proposta fosse dettata da un sentimento sincero, piuttosto che dal vile denaro. «ma mia madre non vorrebbe questo per me» a quel punto avrebbe dovuto interrompersi, attenendosi così alle indicazioni del Jagger, ma aveva la sensazione che mancasse ancora qualcosa. «non sei tu il problema, davvero» un grande classico con cui sperava di risollevare l’autostima della ragazza senza dover rispondere alle domande sul perché la futura suocera la odiasse senza averla neppure conosciuta «è lei» no, un momento. Non voleva mettere sua madre in cattiva luce «cioè, la mia famiglia» chissà se, in quell’istante, il sesto senso dei Linguini si era attivato, percependo l’eresia che aveva appena pronunciato, o se la bolla avrebbe impedito ogni contatto telepatico. «No, no, no, aspetta» da bravo italiano, iniziò a gesticolare per rafforzare i concetti che stava tentando di esprimere. «Voglio bene alla mia famiglia» davvero, un sacco! «è che ci sono tradizioni particolari» talmente tante che non sarebbe bastata una vita intera per conoscerle tutte; e poi, rimanere sul vago avrebbe giocato a suo favore, no? «per esempio, io ero pronto a sposare Melvin» beh, non proprio pronto, quanto più «ad assumermi le mie responsabilità» derivate da cosa, nello specifico, lo sapeva soltanto lui «ma hanno impedito tutto» e ne era stato sollevato, ad essere sincero. Non perché la special non gli piacesse, tutt’altro, ma perché quella storia del matrimonio – senza almeno concedersi una ventina d’anni per conoscersi – non faceva proprio per lui. «forse non dovrei parlarti di una mia ex» che ex non era mai stata, ma la Kane non avrebbe potuto saperlo con certezza. «anche perché è acqua passata, te l’assicuro, ma se pensi che sia una storia troppo recente, sono d’accordo» magari anche la Furia credeva che servisse più tempo per archiviare una relazione di tale portata, onde evitare che gli strascichi influissero sul loro possibile matrimonio. «Il punto è che» si stava dilungando troppo, doveva tagliare corto. Doveva attenersi al piano. «non ho soldi» perfetto «e» stava per dirlo? Stava per dirlo. «non vorrei privarti delle cose che altri potrebbero darti» con lo sguardo colpevole di un cucciolo che aveva appena smembrato il cuscino del divano, guardò Barbie. «Lo… rifacciamo?»
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    Chissà cosa si provava a farsi realmente i cazzi propri. Un emozione che Barbie, iniziava a pensare, non avrebbe mai provato, perché in qualche modo riusciva sempre ad infilarsi in situazioni che non lo riguardavano, ed a rimanerci. Perfino… volontariamente. Capitava di rado, ma anche abbastanza spesso da farlo dubitare del suo potere decisionale.
    C’era un motivo se non aveva mai votato alle elezioni, pur avendone diritto.
    Giacomo Linguini era solo uno dei tanti rami di un albero che non avrebbe dovuto esistere in primis, ed uno anche bello robusto. Barbie persisteva nel battere le palpebre impassibile, attendendo la svolta successiva, e l’altro non lo deludeva mai, persistendo nel mostrare che al peggio non ci fosse fine, e ci fosse sempre – sempre – qualcos’altro di incredibilmente assurdo da dire. Viaggiavano davvero su due linee parallele, quel tipo di binari che non avrebbero dovuto incontrarsi mai; avevano sfidato la fisica stessa dell’essere, e quello ne era il risultato.
    Non era un problema di lingua. Non era neanche un problema di linguaggio, slang dell’800 contro quello (non troppo; per essere un ragazzino, gli pareva davvero vecchio dentro) giovanile del nuovo millennio. Era un problema a monte, fatto di esperienze non condivise ed un modo tutto opposto di guardare il mondo. Ecco, quello era l’unico punto in comune che avevano: erano due osservatori. Ai poli opposti, e verso altri continenti, ma osservatori.
    Barbie con gli occhi chiusi, e Giacomino con il terzo occhio cinematografico.
    Insomma.
    Era una conversazione molto strana, che raggiunse il suo culmine quando all’osservazione che non avrebbe mai scopato, l’altro lo guardò con sollievo: «Lo pensi davvero? Speriamo» che si guadagnò l’ennesimo side eye – non bombastico, ma solo perché ormai si era arreso – della giornata. Non giudicava (sì invece), ognuno aveva le proprie preferenze (ma il sesso) e tante belle cose politicamente corrette. «[blank space ma vocale]» perché non metterlo nel parlato non avrebbe dato lo stesso senso di vuoto cosmico nell’espressione del Jagger. «ok.» secco e conclusivo, perché non aveva intenzione di ripetere tutti gli e quindi elencati dal cronocineta. Poteva scegliere la spiegazione che preferiva, farsi tutti i suoi headcanon in merito, tanto nessuna delle precedenti era la risposta che gli avrebbe dato Barbie. Ovviamente.
    «non devi preoccuparti di noi, siamo brave persone» La sua famiglia? Barbie fece scivolare lo sguardo da Giacomino al resto del locale ancora bloccato nel loop. Posò gli occhi scuri sulla mano stretta a quella del cronocineta, prima di tornare al viso sorridente del ragazzo. «p-p-pensa» non era preoccupato, e non poteva fregargliene di meno. Trovava molto più allettante che non lo fossero, e potessero aiutarlo nel suo Problema Personale (abbreviato PiPì, perché tanto più che uno scarto Edward Moonarie non era.).
    Comunque, niente. Per qualche motivo, si era fatto infinocchiare dalla parlantina dell’italo francese, e si era mostrato disponibile per una prova del discorso da fare alla rossa. Ma, Dio, dimmi, perchè. Volle credere fosse per dare una fine a quella farsa e poter andare avanti, ma forse – molto forse – una piccola, minuscola, infinitesimale parte di Barbie, voleva davvero rassicurarlo che sarebbe andato tutto bene. A suo modo, che era sempre il peggiore, ma almeno era qualcosa.
    «Sì, grazie! Allora, ok, dammi un minuto e ci sono»
    Barbie, ancora bloccato nella bolla temporale di Giacomo Linguini: «eh, n-n-non ho f-f-fretta» ciglia a battere lente, molto lente, sugli occhi quercia morti al mondo. Lo guardò scendere nel personaggio, e l’espressione del guaritore non cambiò di una virgola. Se avesse potuto esprimere più disinteresse, l’avrebbe fatto. Il fatto che fosse un essere fisicamente vivo, glielo impediva.
    Giacomino lo guardò.
    Barbie ricambiò.
    «Dylan»
    Non riuscì neanche a ridere. Battè solo, ancora, le palpebre, tentato di lasciarle chiuse per sempre.
    «Pausa, stop, un attimo. Io sono Dwight, mi dispiace non essermi presentato prima, sono stato pessimo» Dwight…? Non aveva la faccia da Dwight. Lo osservò da capo a piedi, ed annuì secco, labbra naturalmente imbronciate verso il basso. Ok? Gli interessava? No, esatto. Ma l’altro continuava ad osservarlo, forse aspettandosi… qualcosa. Barnaby Jagger, dall’alto dei suoi centovent’anni, corrugò lievemente le sopracciglia, indicando secco con la mano libera il ricamo sulla divisa con su scritto Barbie. Dopo un altro paio di secondi di silenzio, dove qualunque cosa si aspettava di sentirsi dire dal Jagger non sarebbe arrivata, proseguì con il teatrino. «Dicevo... Dylan, sono lusingato» Mh. Barbie annuì, invitandolo a proseguire. «ma mia madre non vorrebbe questo per me» Toh! Perfetto! Impeccabile! Accennò perfino un sorriso, ed alzò un pollice in segno positivo. Era fatta…? Potevano tornare - «non sei tu il problema, davvero» No, a quanto pareva. No. Inspirò profondamente, consapevole che quello sarebbe stato l’inizio di un altro, sentito, monologo, del quale non avrebbe condiviso nulla. Lo vedeva nelle linee preoccupate che segnavano il volto di Dwight, il cipiglio serio e lo sguardo solenne.
    Wow. Aveva preso proprio sul serio quell’improvvisazione. Ottimo lavoro. Si sentiva un po’ friendzonato anche lui.
    «p-p-perf -» «è lei» Mh. «cioè, la mia famiglia» Cosa. «No, no, no, aspetta» Urca, non andava da nessuna parte. Era quasi curioso di vedere quanto a fondo avrebbe scavato la sua fossa. «Voglio bene alla mia famiglia» come avrebbe detto Billie Eilish, i don’t relate to you… i don’t relate to you, no. Lo lasciò comunque proseguire, anche perché l’avrebbe fatto comunque. «è che ci sono tradizioni particolari» Ok. Piegò le labbra verso il basso, ed annuì.
    Fine?
    «per esempio, io ero pronto a sposare Melvin»
    Colpo di scena inaspettato. Melvin… del futuro? L’empatica bionda che gli aveva detto il suo broncio fosse derivato dall’essere un Toro incompreso? Perchè avrebbe dovuto -
    «ad assumermi le mie responsabilità»
    L’aveva… l’aveva messa incinta? The plot thickens. Assottigliò le palpebre, chinandosi sul bancone per appoggiare il mento sul palmo della mano libera.
    «ma hanno impedito tutto»
    deadpan: «gasp»
    «forse non dovrei parlarti di una mia ex»
    «c-c-continua p-p-pure»
    «anche perché è acqua passata, te l’assicuro, ma se pensi che sia una storia troppo recente, sono d’accordo»
    Chissà. Chissà. Cos’era il tempo per i giovani. Barbie ancora buggato al quasi matrimonio di Dwight – aveva avuto una vita breve, ed era già stato quasi all’altare due volte.
    «Il punto è che non ho soldi»
    Oh, la!
    «e» «e?»
    «non vorrei privarti delle cose che altri potrebbero darti»
    Wow. Dritto al cuore. Se Barbie ne avesse avuto uno, si sarebbe commosso. Picchiò la mano libera contro la spalla, applaudendo alla performance del ragazzo.
    «Lo… rifacciamo?»
    Avrebbero proprio dovuto. «m-m-m-ma che d-d-dici, era p-p-perfetto» gli diede uno schiaffetto sul braccio, sorridendo perfino. «v-v-vai t-t-tigre, sei p-p-pronto» show time.
    Fine.
    Fine…?



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    io davvero. davvero. grazie di tutto. secondo me possiamo chiuderla così, oppure rubiamo dylan per il gran momento. il silenzio ai sentimenti
     
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