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    William Yolo Barrow era stanco. Non una stanchezza fisica, né propriamente emotiva. Era una stanchezza fatta di futuro, e lungo termine, e scelte su scelte su scelte che avrebbe dovuto continuare a fare perché quella era la vita che si era costruito e scelto. Non significava che non la volesse, che non fosse pronto, che non accettasse le conseguenze delle proprie azioni o che di lì a poco avrebbe alzato le mani arrendendosi – però era stanco, e talvolta ammetterlo era già parte della soluzione. Ogni tanto scherzava, ma neanche troppo, al capezzale di un JD ancora in coma, con mood, same, e canticchiando le canzoni di ross Olivia Rodrigo, god i wish i could do that, guadagnandosi occhiatacce truci dai Guaritori e i Medimaghi in turno. Un buffone. Non prendeva la questione abbastanza sul serio. Cristo Santo, cosa si aspettavano facesse? Se baciandolo l’avrebbe fatto risvegliare, ci avrebbe provato; se avesse potuto accelerare il processo, assicurarsi che aprisse gli occhi, con qualche incantesimo oscuro ed antico nascosto in qualche segreta biblioteca di Praga, l’avrebbe fatto - ma non poteva. Non poteva assicurare a Holden che non avrebbe subito effetti collaterali, a Murphy che sarebbe andato tutto bene, o a Cora che un giorno avrebbe potuto tornare ad usare la gamba al cento per cento. Non poteva promettere a Kyle, miracolato fra le macerie, che non sarebbe più successo, o a North che avrebbe potuto riavere la sua vita.
    Non era passato neanche un mese da Anoobi, e la Resistenza faticava a rimettersi in piedi – alcuni, letteralmente (Troppo presto? ) - eppure, William Barrow aveva organizzato una festa. Perchè?
    Perchè la vita andava avanti.
    Perchè era un Ribelle, ma era anche un uomo. Un compagno. Un padre. E sarebbe stata una menzogna dire che fosse solo una copertura, che ci si aspettava la organizzasse e di conseguenza dovesse farlo per non far saltare la propria reputazione: l’ex Corvonero e leader della Ribellione, voleva quella festa. Quegli stupidi (cit testuale di Ake) palloncini colorati, quei festoni brillanti che pendevano dal soffitto come code di stelle comete, quei pacchetti colorati poggiati sul largo tavolone in salotto. Voleva sentire le risate di Ronan e Lynch, felici di essere lanciati verso il finto cielo dipinto sul soffitto per cadere sempre nel morbido delle braccia di mamma o papà. Non credeva potesse esistere qualcosa che lo rendesse fiero quanto combattere contro un regime sbagliato, ma poi Akelei aveva scelto lui; poi Sandy, Sersha, Barrow ed Ellis erano piombati nella sua vita; poi Ronan e Lynch. Sapeva quanto fosse sbagliato, e rischioso. Sapeva che avrebbe dovuto usare la Beaumont, il suo status al Ministero, per i propri fini, e capitava accadesse, perché era il fottuto leader della Resistenza, ma non era mai stato solo quello. Dio, a volte l’avrebbe preferito. Sarebbe stato più facile, se Ake fosse stata solamente un ponte e sesso.
    Se non l’avesse amata; se non fosse diventata la sua famiglia.
    I gemelli avevano un anno, e Will ancora faticava a crederci. Anche quando lo tenevano sveglio la notte (sempre), quando piangevano inconsolabili come se il Barrow fosse stato il peggior criminale sulla faccia della terra (vero) e non il loro papà, erano un piccolo miracolo. Il suo, il loro, piccolo miracolo. Sapeva dei criminali adolescenti, certo, ma un conto era una conoscenza teorica e astratta, un’altra ritrovarseli in fasce a riempire pannolini e pannolini di pupù. Era reale. Nel giro di vent’anni, avrebbero avuto lo stesso sghembo sorriso di Barry e Sandy, gli stessi occhi di quando i due ragazzi avevano saputo di arrivare dal futuro ed essere i suoi bambini – prima che Sandy cambiasse faccia e diventasse improvvisamente una pop star inglese; Will aveva scherzato chiedendo ad Ake se dovesse dirgli qualcosa, magari riguardo il postino o l’idraulico: non era andata a finire bene. Così simili a loro; così diversi.
    «sono di nuovo emotivo» perchè qualcuno in famiglia doveva pur esserlo. Tamponò gli occhi per non rovinare il trucco da principessa (era bene insegnare subito ai bambini che i vestiti non avessero genere, e che potessero essere quel che cazzo gli pareva) infilando poi il fazzoletto in un taschino del vestito, un mezzo sorriso alla Beaumont. Era incredibile come ogni giorno diventasse più bella. Una maledizione, un fottuto pozzo senza fondo. Più reale anche lei, concreta ed ancorata al suolo – al suo fianco. Fottutamente assurdo. Ed anche se la stanza era piena di persone – la loro famiglia di entrambi i tempi, i loro amici, altri bambini che strillavano felici per l’immensa gioia di tutti i presenti sopra i dieci anni – gli sembrò, come in un qualsiasi romanzo rosa che si rispettasse, che ci fossero solo loro due. Il futuro era un po’ meno terrificante, ed un po’ meno stancante, quando si rendeva conto l’avrebbe affrontato con lei. Vivere come Will - come uomo, e compagno e padre - non gli era mai sembrato più semplice. «cristo» inspirò a denti stretti, soffiando l’aria in un sibilo. Allungò una mano a spostare una ciocca di capelli di Ake dietro l’orecchio, il pollice ad indugiare sulla guancia – affilata, tutta angoli appuntiti e sangue sempre fresco. «penso di essere innamorato» l’ombra di un sorriso, nel tono basso con cui sembrava aver confessato un enorme segreto. Come se non glielo avesse ripetuto ogni giorno - ed ogni notte, soffiato sulle clavicole come una preghiera, ed ogni mattina, le labbra premute sul collo e le dita intrecciate ai capelli oro - e fosse una scoperta nuova e fresca.
    Un po’ la era sempre.
    «di questo vestito» indicò il proprio abito, l’ampia gonna lavanda ed il corsetto allacciato davanti, inarcando lieve un sopracciglio. «potrai mai farci l’abitudine?» Lui no; lui mai.
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    Sorprendentemente, avere dei bambini non era un’esperienza che poteva essere equiparata ad avere dei cani. Il che era bizzarro dato che entrambi piangevano per avere il cibo, defecavano dove volevano, e non erano indipendenti- quando l’aveva detto al corso pre parto l’avevano guardata male, anche se in fondo sapevano che vi era un fondo di verità. Ad Akelei, gli esseri umani non erano mai particolarmente andati a genio, il fatto che avesse lasciato entrare William e le bestie del futuro nella sua vita era una rara eccezione- e ora, doveva imparare ad amare due altri piccoli umani? Brividi, davvero terribile. Il fatto era che, contro tutte le aspettative, la Beaumont aveva sviluppato qualcosa di vicino a degli istinti materni, il che l’avevano resa più umana intorno ai bambini. Era stato un cataclisma, un evento straordinario capace di spazzare civiltà intere, un qualcosa che nemmeno gli scienziati sapevano spiegarsi, tanto meno Akelei. Era capitato che non potesse affidare i gemelli -o meglio, non si fidava- a nessuno e che li dovesse portare in ufficio, la reazione dei suoi colleghi a vederla interagire con i mini-umani era stata di chiederle se fosse la gemella di Akelei. Il che era a) rude e b) del tutto lecito, non poteva biasimarli- anche lei ogni tanto si domandava se i laboratori non avessero contribuito a creare una seconda persona in lei. Ed ecco, come si era ritrovata nella situazione attuale: la festa di compleanno dei gemelli. Prima, non festeggiava nemmeno il compleanno dei suoi genitori, ed ora era diventata la versione ricca di una soccer mom. Aveva organizzato la festa che tutti i bambini sognavano (o meglio, aveva assunto qualcuno), con tanto di principesse disney ed eroi marvel, castelli gonfiabili in giardino e stand dove si potevano creare braccialetti di perline e oggetti kitsch del genere. Aveva udite e udite concesso a William di unirsi all’animazione come principessa, un po’ perché non sapeva come gestire la notizia e un po’ perché il suo entusiasmo aveva smosso il suo pugno di ferro- era felice che fosse così partecipe invece di abbandonarla e fuggire in Messico, she’d take what she could get. «sono di nuovo emotivo» anche lei, se avesse dovuto sistemargli il trucco che William stava sbavando da cinque minuti. Almeno tra i due c’era qualcuno che mostrava emozioni, al posto di labbra premute tra di loro e sopracciglia vagamente disturbate da un tic nervoso- era la sua espressione standard, Akelei mostrava tutto il suo entusiasmo dentro, e solo pochi eletti erano in grado di distinguere la sua Espressione Felice e quella Omicida. L’unica eccezione erano i suoi figli e William, e anche se preferiva riservare le manifestazioni d’affetto per momenti privati, vi erano volte in cui era troppo debole. Quello che preferiva fare era esprimere il suo affetto tramite azioni, come quell’assurda festa di compleanno- sì, l’aveva organizzata per ostentare la sua superiorità economica e i suoi figli, ma anche per tirare su di morale William. Era facile assumere che Akelei fosse troppo assorbita da se stessa per prestare attenzione alle persone che la circondavano, e se di solito era così, era difficile non notare la stanchezza nella postura di William, il sorriso un po’ troppo tirato che le rivolgeva alle volte e l’espressione vacante quando pensava che nessuno lo stesse guardando. Ad Akelei mancava il tatto emotivo per affrontare una discussione simile, ma non era così cieca da non vedere che c’era qualcosa di sbagliato nel Barrow. E, se poteva riportargli il sorriso anche solo per poco, avrebbe stretto i denti e sarebbe stata la strega cattiva della principessa. «cristo, penso di essere innamorato» una volta, Akelei non avrebbe dato a William la soddisfazione di vedere i suoi austeri lineamenti ammorbidirsi in qualcosa di più vulnerabile, un rossore appena accennato a colorare le sue gote. Erano stati tanti gli uomini -e donne- a sussurrarle le stesse parole nel buio di una camera da letto, prima che divorasse la sua preda e la lasciasse in un letto macchiato di peccato e sangue. Akelei schioccò la lingua contro il palato, un sopracciglio alzato in un debole tentativo di imitare la sua espressione più indifferente (spoiler: non ci riuscì)- e se si crogiolò per qualche momento nel calore del palmo di William, erano solo affari suoi. «e me lo dici solo dopo due figli? mi sembra tardi, william» poco importava che Akelei custodiva le innuverevoli confessioni del Barrow in un angolo della sua mente, rivisitandole quando dubitava ogni gesto di affetto, chiedendosi come una come lei si meritasse qualcuno come William. Se, un giorno, rendendosi conto del diavolo che vestiva prada e una pelle fin troppo umana sotto il suo tetto, se le sarebbe rimangiate. «di questo vestito» certo, del vestito. Akelei alzò gli occhi al cielo, l’ombra di un sorriso sulle sue labbra- niente, William Barrow era lo stesso idiota che aveva conosciuto decenni prima. «potrai mai farci l’abitudine?» la Beumont si concesse un momento per pensare a come ribattere, lo sguardo ora occupato ad osservare la festa in full swing dietro a William. Vi erano Murphy e Shot con le altre loro bestie, alcuni colleghi di Akelei che aveva invitato tanto per mantenere le apparenze, amici di William che non aveva mai visto prima e sua sorella Niamh occupata ad intrattenere i gemelli e gli altri figli del futuro- sperava che Archibald & Co. non fossero a sniffare cocaina, ma era una speranza vana. Lasciò scivolare le sue dita nella mano di William, portandola alle sue labbra per lasciare un bacio sulle sue nocche- un gesto un po’ inusuale, ma che si era permessa data la relativa privacy nell’angolo dove erano situati «mai» ammise, con un candore che raramente si concedeva «ma è questo il bello: scoprire qualcosa di nuovo ogni giorno, non annoiarsi mai» come il fatto che il padre dei suoi figli potrebbe avere un kink nascosto, ancora tutto da esplorare. Lasciò la mano di Will per portare le braccia dietro la sua testa, erano abbastanza vicino da permettere ad Akelei di notare le varie sbavature nel trucco del Barrow, o come i brillantini sembrassero sparsi su tutta la faccia. Qualcosa di simile a fondness threatened to burst nel suo petto, se qualcuno le avesse detto qualche anno fa che si sarebbe ritrovata nel giardino di casa sua a festeggiare il compleanno dei suoi figli (figli suoi e di William) li avrebbe probabilmente pugnalati- e invece, eccola lì. Akelei scoppiò a ridere, di botto e un po’ isterica, perché il trucco del Barrow era così buffo da non potersi trattenere -apprezzava lo sforzo ma era un po’ too much- e finì con il soffocare la sua risata sulla spalla di William, nascondendosi al resto degli ospiti «scusa» la sua voce era sforzata dal vestito, un po’ senza fiato dal suo improvviso outburst «la prossima volta che ti vuoi truccare da principessa dimmelo» Akelei si ricompose nuovamente, raddrizzandosi per non attirare l’attenzione- insomma, non più di quanto avesse già fatto. «Puoi fare affidamento su di me, spero che tu lo sappia» la sua voce si era fatta un po’ più seria, più concreta la preoccupazione che l’aveva assalita negli ultimi tempi. Still, l’avrebbe lasciato at that, non volevo dampening l’atmosfera della festa- al massimo, c’erano sempre gli alcolici a tirarla su di morale.
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    Edited by cocaine/doll - 3/6/2022, 00:24
     
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    Vide l’espressione di Akelei ammorbidirsi, gli angoli farsi curve ed il serio sguardo verde sciogliersi in liquido smeraldo, e non potè fare a meno di sorridere con quel misto di reverenza e compiacimento che un fenomeno simile meritava – perché era l’unico, insieme ai loro bambini di ogni età, ad ottenere quella Beaumont. Ci pensavate mai? Will sì, spesso, e non era mai abbastanza certo di quanta percentuale avesse avuto la fortuna, e quanta il merito. Non aveva problemi di autostima, ma quella era Akelei Fuckin Beaumont, e come un adolescente qualsiasi alla sua prima cotta, sentì il cuore sfarfallare nel petto quand’ella – delicata, e dolce – gli prese la mano per posarvi un bacio.
    Un gesto ordinario. Intimo. Vulnerabile, e Will ne fece tesoro come la circostanza meritava, tenendo le dita della bionda fra le proprie ed avvicinandola un po’ di più. Non sapeva se sarebbe mai stato in grado di stancarsi, o abituarsi, a quello, o se (permettendo che ci arrivasse; nient’affatto scontato) a sessant’anni ancora si sarebbe stupito della donna al suo fianco.
    Perchè certo, che ci sarebbe stata. Aveva dubbi su tante cose, William, ma non su di lei, e non su di loro. Non gliene fotteva un cazzo che Ake avrebbe potuto trovare di meglio, qualcuno che combattesse le sue stesse battaglie e scegliesse sempre la sua parte; qualcuno che non rischiasse la sua vita inspirando, e che non espirasse rivolta e tradimento; qualcuno che poteva promettere, e credere, di esserci sempre.
    Era un egoista bastardo, e se la sarebbe tenuta finché il tempo gliel’avrebbe concesso.
    La cosa più - più assurda? Era che sapeva per lei fosse lo stesso. E se non l’avesse saputo, l’avrebbe imparato in quell’esatto momento, con la sua risata a vibrare sulla pelle scaldando un cuore ch’era certo di aver scambiato una decade prima in cambio di una causa.
    Quello, era il bello. Scoprire qualcosa di nuovo ogni giorno.
    E sapeva che per evitare di gonfiare un ego già di suo spropositato, non avrebbe dovuto guardarla con quello stupore e quella meraviglia, eppure come poteva evitarlo: era un bugiardo bravo, ma non così bravo. «scusa. la prossima volta che ti vuoi truccare da principessa dimmelo» Capite? Akelei FUCKIN Beaumont, il capo reparto dei Cacciatori, gli aveva appena detto che l’avrebbe truccato come una FUCKIN PRINCIPESSA, e se una frase così stupida, fuori luogo, e perfetta, bastò a fargli saltare un paio di battiti, rimarrà un segreto fra noi. «sono: offeso. Ho fatto una wing perfetta» chiuse gli occhi per mostrarle la linea sbilenca dell’eyeliner, perché come cazzo si mette quest’affare Mitchell porca troia ma hai visto i tutorial chi cazzo sa fare una roba disumana del genere mioddddio fottuti sociopatici, incapace di strapparsi dalle labbra il sorriso allegro e rilassato.
    Era felice.
    Lo strillare dei bambini in sottofondo, conscio che fra quei vandali ci fossero anche i suoi, lo rendeva felice. La donna al proprio fianco, indipendente da quanto i loro stili di vita fossero diversi, lo rendeva felice. Il presente, lo rendeva felice. «Puoi fare affidamento su di me, spero che tu lo sappia» Tenne gli occhi chiusi ancora un istante, uno solo, il tempo di celare quanto quella frase gli avesse spezzato il cuore, prima di riaprirli e sorriderle come se quanto detto da Ake fosse stato realmente possibile. Quasi rise, di gusto ed isterico quanto la francese poco prima, ma la tenne lì, quella risata, premuta fra lingua e palato come una medicina.
    Voleva che fosse vero. Dio solo sapeva quanto voleva potesse essere vero.
    «per quanto?» domandò in un soffio di voce, ma privo di quel rimorso. Di quel dubbio. Era un tono leggero e provocante, quello del Barrow, una sfida bisbigliata in un sorriso ed un paio di sopracciglia arcuate. «un giorno?» si allontanò, tendendo il braccio fra loro, ondeggiando lievemente sul posto a ritmo della musica terribile con cui Sandy aveva deciso di (maledirli) graziarli. «un paio di mesi?» La tirò verso di sé, facendo scivolare le dita sui fianchi. «qualche anno?» accarezzò con le labbra il collo di Akelei, sentendo il cuore pulsare in gola e sulla lingua.
    Non l’aveva progettato. Non ci aveva pensato mesi, come credeva avrebbe fatto, e non aveva un grande gesto pacchiano con cui dimostrare le sue intenzioni, ma era Will, ed era Akelei: tutto nella loro relazione era semplicemente successo.
    Era il momento giusto, perché era quello più naturale. Perchè la amava. Perchè la vita era una cazzo di presa in giro, ma non avrebbe lasciato che lo fottesse gratis.
    «e se fosse...» portò la mano di Akelei al petto, lasciando fosse qualcosa solamente loro, invisibile al resto degli invitati. «fino a che morte non ci separi?» solo un bisbiglio nel sorriso di Will, che avvolse uno dei frufru del vestito attorno all’anulare di Akelei.
    Non poteva promettere molto, ma almeno quello sì.
    «la butto lì»
    Perchè era un tipo profondamente romantico.
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    è stato: inaspettato

    quasi un anno scusami. sono un mostro
     
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    Se qualcuno avesse detto a una Akelei diciassettenne che dieci anni dopo si sarebbe trovata alla festa di compleanno dei propri figli in compagnia di William Barrow, probabilmente gli avrebbe lanciato un maledizione che mai avrebbero dimenticato nella vita. Sia chiaro che non le era mai piaciuto il rampollo della famiglia Barrow, rozzo ed arrogante, una presenza che spesso e volentieri stonava con i contesti importanti che entrambi frequentavano: cene e balli sfarzosi che l’élite britannica amava organizzare per fare a gara a chi ce l’aveva più lungo. Nemmeno sapeva il suo nome all’inizio, l’unica ragione per cui il Barrow era stato oggetto della sua attenzione era perché il suo incessante fissare stava diventando irritante. Certo, la giovane Beaumont era solita ricevere qualche sguardo, o l’occasionale commento sotto voce, ma nulla a cui desse peso- non aveva tempo per coloro che considerava al pari di bestie. All’inizio l’aveva ignorato come aveva fatto per tutti quelli prima di lui, ma dopo l’ennesima cena passata a giocare a quel gioco di gatto e topo la labile pazienza di Akelei era evaporata. L’aveva sbattuto al muro con la bacchetta puntata alla gola, una minaccia soffiata sulle labbra del biondo intimandogli di farsi i cazzi suoi, or else. Non doveva aver funzionato molto bene, perché un battito di ciglia dopo si era trovata il Barrow premuto contro di sé in un corridoio dimenticato da Dio, troppo occupati a scoprire il sapore l’uno dell’altra per curarsi della festa ancora in corso. Non sarebbe stata l’ultima volta.
    Fu solo qualche mese dopo che Akelei si degnò di avere una conversazione con William che non includesse minacce di mutilamenti vari, o palpeggiamenti in qualche sgabuzzino. La serpeverde si trovava in infermeria in seguito a una brutta caduta dalla scopa durante un allenamento di Quidditch, avrebbe preferito essere in qualsiasi altro luogo ma almeno non c’era nessuno nella sala. La Beaumont era convinta che avrebbe passato il resto del pomeriggio in pace, lontana da tutti gli idioti che a malapena tollerava. Fino a che qualcuno non era irrotto dalla porta trascinandosi dietro un ragazzo che era familiare alla Beaumont, con la differenza che sembrava avere più sangue sui vestiti che in corpo. Lo mollarono a due lettini da lei senza tante cerimonie, facendo poi marcia indietro e ritornando da dov’erano venuti, probabilmente la sala torture. La francese avrebbe voluto continuare a farsi gli affari suoi, non fosse stato per i gemiti di dolore che provenivano dal Barrow. All’inizio, fu facile ignorarli in favore di leggere uno squallido libro che aveva trovato in giro, ma presto incominciarono a darle sui nervi quando si accorse di non riuscire a concentrarsi. «dov’è quella rincoglionita dell’infermiera?» borbottò Akelei in francese, osservando il Barrow di sottecchi tanto per assicurarsi che non fosse sull’orlo della morte. Peccato, non lo era. L’infermiera era sparita da dieci minuti, informandola che avevano finito le scorte di who-knows-what e che si sarebbe assentata dall’infermeria per qualche momento. La serpeverde stava incominciando a sospettare che fosse sgattaiolata via per avere una sveltina con il guardiacaccia, lasciandole un enorme seccatura tra le mani. Se Akelei fosse stata più pratica di medicina, avrebbe saputo cosa infilargli in gola per zittirlo per qualche ora, ma non era così e l’unica cosa che poteva fare era soffocarlo con un cuscino. Posò il libro sulle gambe e voltò il capo verso il Barrow «non puoi stare zitto?» rude, ma si parlava pur sempre della Beaumont. All’inizio non sembrò sentirla, così la serpeverde stava per lanciargli il cuscino in faccia per puro dispetto ma William si voltò prima che potesse prenderlo in mano. La fissò per qualche momento, probabilmente a malapena in sé, prima di esordire nella cazzata più grande del secolo «sono finito all’inferno?» di solito non era il contrario? Qualche cazzata sul sei caduta dal cielo? Non ne aveva idea, qualcosa di inglese che le sfuggiva. Akelei non sapeva cosa la spinse a rispondere, ad abbandonare il libro sul letto poco dopo in favore di distrarre il Barrow fino a che non sarebbe arrivata l’infermiera. Per un breve momento pensò che il corvonero non doveva essere così male, fino a che non aprì bocca «beaumont, come si dice un giorno avremo tre figli, una ot3 e qualche cane in francese?» alla fine, il Barrow il cuscino in faccia se lo beccò comunque.
    «sono: offeso. Ho fatto una wing perfetta» la Beaumont sbatté le palpebre un paio di volte, strappata via dai suoi ricordi dalla voce di William. Le urla dei bambini in sottofondo, dei loro figli, la vista dei palloncini e delle decorazioni appese ai muri: una Akelei diciassettenne non avrebbe mai immaginato quel futuro. No, quell’Akelei avrebbe dipinto un futuro fatto di sangue e di ambizione, di una letto troppo spazioso che solo raramente era scaldato dalla presenza di un altro essere umano. Non era un futuro colorato, o riempito dagli strilli di gioia dei piccoli Lynch e Ronan. «Puoi fare affidamento su di me, spero che tu lo sappia» gli aveva detto, convinta fermamente di ogni sillaba, risoluta come mai lo era stata. Cristo, l’avrebbe persino aiutato ad occultare un cadavere, se glielo avesse chiesto. Era raro che Akelei Beaumont concedesse quel livello di fiducia, che giurasse quel tipo di irremovibile lealtà a qualcuno che non fosse il proprio riflesso nello specchio. «per quanto? un giorno, un paio di mesi, qualche anno?» la Beaumont inclinò il capo, osservando William con un sopracciglio inarcuato. Era curiosa di sapere dove volesse andare a parare, un presentimento a cui non sapeva dare forma né nome che scaldava una cavità ormai dimenticata ogni battito che passava. Akelei si lasciò attirare tra le braccia del Barrow come se fosse la cosa più naturale del mondo, le dita a scivolare tra i ricci dorati, il collo a piegare quanto bastava per lasciare spazio alle sue labbra. Poco importava che fossero in pubblico, erano tutti troppo distratti dai bambini a correre per il salone.
    «e se fosse...» Akelei seguì con lo sguardo la mano di William, intrecciata alla sua, il battito impazzito del suo cuore a rimbombare sotto i polpastrelli quasi fosse una dichiarazione d’amore. Forse lo era, per gli Akerrow, così abituati a tessere la storia che volevano con le loro parole che l’unica cosa di reale, viscerale che rimaneva era ciò che il corpo non poteva celare.
    «fino a che morte non ci separi?»
    Akelei osservò il Barrow avvolgere qualcosa al suo dito come se fosse uno spettatore nel proprio corpo, come se non stesse accadendo a lei.
    Perché non era possibile, no?
    Sbatté un paio di volte le palpebre per scacciare la patina di qualcosa a cui si rifiutava di dare un nome, il suo cuore una perfetto specchio di quello di William. Impazzito, estasiato, ancora incredulo. La Beaumont ci provò a darsi un contegno, a imporre alle mani di smettere di tremare e a celare la vulnerabilità sul suo volto dietro a un sorriso tagliente, colorato dell’arroganza che contraddistingueva la bionda «te la sei presa comoda, barrow» e se la sua voce avesse tremato d’emozione, nessuno era lì per coglierla nell’atto «sì, certo che sì» rispose alzando gli occhi al cielo tanto per rendere chiaro che , ormai non si sarebbe più liberato di lei. Strinse una mano attorno alla stoffa del vestito e attirò William a sé, indietreggiando fino a che la sua schiena non trovò il muro. Le loro labbra si incontrarono a metà, persi nel loro mondo e troppo occupati a scoprire il sapore l’uno dell’altra come se fosse la prima volta per curarsi della festa ancora in corso. Sapeva di déjà vu.
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    dai secondo me è conclusa.......unless??
     
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3 replies since 6/9/2021, 17:08   181 views
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